ASSEMBLEA COSTITUENTE
XXVII.
SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT
indi
DEL VICEPRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Gasparotto Congedo:
Presidente.
Verifica di poteri:
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Presidente
Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri
Russo Perez
Cacciatore, Sottosegretario di Stato per l’assistenza post-bellica
Bibolotti
CASSIANI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale
Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno
Rodi
Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici
Pastore Raffaele
Chatrian, Sottosegretario di Stato per la guerra
Chiaramello
Bellusci, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione
Pellizzari
Presentazione di disegni di legge:
Gullo, Ministro di grazia e giustizia:
Modificazioni al regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 560, relativo alla riforma dell’ordinamento della Corte d’assise
Norme complementari per l’applicazione del regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 560, relativo alla riforma dell’ordinamento della Corte d’assise
Procedura per i reati di competenza della Corte d’assise
Disegno di legge: Nuove formule di giuramento (N. 1) (Discussione):
Presidente
Della Seta, Relatore
Lucifero
Bencivenga
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno
Lussu
Giannini
Badini Confalonieri
Molè, Presidente della Commissione
Pellizzari
Condorelli
Fabbri
Gabrieli
Riccio
Persico
Longhena
Rescigno
Interrogazioni, interpellanze e mozione d’urgenza:
Presidente
Corsi, Sottosegretario di Stato per l’interno
Costa
Ravagnan
Merlin Umberto
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno
Gullo, Ministro di grazia e giustizia
Castelli Avolio
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
Sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Gasparotto. Ne ha facoltà.
GASPAROTTO. Mi sia consentito dire una parola in onore di una nobile e singolare figura di uomo, di parte conservatrice, amico della libertà e della libertà difensore, anche, e soprattutto, nei momenti più torbidi, quando la onorata bandiera era stata disertata da gran parte dei suoi amici.
Uomo che, se non appartenne a questa Assemblea, fu deputato per sei legislature, successivamente senatore e consultore, Enrico Scalini, è morto nei giorni decorsi all’età veneranda di 90 anni, uno dei pochi, ahimè troppo pochi, membri del Senato che abbiano osato resistere costantemente e palesemente alla cosiddetta rivoluzione legislativa che ha frodato il paese delle garanzie costituzionali.
Enrico Scalini, agronomo, industriale, patriota, fu monarchico, il che non gli impediva – ed era caratteristico in lui – di portare costantemente all’occhiello il garofano rosso, perché, diceva: «Se sono monarchico, la repubblica non mi spaventa».
E di lui vorrei ricordare ai giovani questo episodio caratteristico: quando, durante la guerra di Eritrea, per obbedienza cieca al loro duce, deputati e senatori si affrettarono ad offrire all’erario la medaglia parlamentare, egli vi si ricusò, non perché lesinasse l’obolo alla patria – verso la quale fu sempre generoso – ma per marcare ancora una volta e clamorosamente la sua resistenza all’uomo, che non stimava e non temeva. E poiché il Presidente del Senato credette di fare anche il suo nome fra i senatori offerenti, con una lettera sdegnosa gli impose la rettifica, per non essere compreso nel novero dei sottomessi.
Se, fino all’ultimo giorno, ebbe costante ed affettuosa amicizia col più anziano dei principi di casa reale – pur esso morto recentemente in malinconico esilio – dell’amicizia si valse per far arrivare al sovrano, ben prima del 25 luglio, i sensi della sua umiliazione per veder la corona prostrata ai piedi del dittatore che – a giudizio di tutti gli uomini di senno – stava portando il paese verso la sua rovina, tentando, in questo nobile gesto, di separare la causa del Paese da quella della monarchia.
Non poté assistere ai lavori della Consulta perché sentiva le forze venirgli meno, e allora si ritrasse nella pace dei campi, ai piedi delle sue prealpi lombarde: e qui stoicamente attese la fine, serenamente affidandosi al destino, come un umanista del buon tempo antico. Pareva fino agli ultimi giorni, agli amici che ebbero a fargli conforto di visita, che dal bel volto perpetuamente sereno spirassero le parole memorabili di Leonardo da Vinci che egli stesso si ripeteva: «Nella contemplazione soave e lieta dell’alma natura che al ciel ci invita, sta la gioia serena e il piacer della vita».
Così in gioia serena, coll’animo placato nel vedere il paese restituito alla libertà, è morto Enrico Scalini.
Ora è ombra; ombra che lascia dietro a sé una luce di esempio: la fedeltà alle proprie opinioni, che dà forma e forza al carattere, il rispetto al proprio passato che gli dona prestigio.
Chiedo al Presidente che all’unica sua figlia, Contessa Ada Gabrielli, sia trasmessa l’espressione della nostra solidarietà al suo dolore (Applausi).
PRESIDENTE. Mi renderò interprete dei sentimenti di cordoglio dell’Assemblea.
Nessun altro chiedendo di parlare, il processo verbale s’intende approvato.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Corsini.
(È concesso).
Verifica di poteri.
PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni nella riunione odierna, in seguito alla morte dei deputati: Achille Grandi, della Circoscrizione di Milano (IV); Giovanni Lombardi, della Circoscrizione di Napoli (XXIII); Luigi Corazzin, della Circoscrizione di Venezia (X); ha deliberato di proporre, a termini dell’articolo 64 della vigente legge elettorale, la proclamazione dei candidati che risultino primi dei non eletti nelle rispettive liste.
Conseguentemente, al deputato Achille Grandi subentra, per la Circoscrizione di Milano (IV), il candidato Pietro Ferreri; al deputato Giovanni Lombardi subentra, per la Circoscrizione di Napoli (XXIII), il candidato Luigi Renato Sansone; al deputato Luigi Corazzin subentra, per la Circoscrizione di Venezia (X), il candidato Celeste Bastianetto.
In seguito all’annullamento della elezione dell’ingegner Guglielmo Visocchi nella Circoscrizione di Roma (XX), deliberato dall’Assemblea Costituente nella seduta del 10 dicembre, la Giunta stessa propone che sia proclamato in sua vece l’onorevole Giovanni Persico, primo dei non eletti della medesima lista.
Do atto alla Giunta di queste comunicazioni e metto ai voti le proclamazioni proposte.
(Sono approvate).
Avverto che da oggi decorre, nei riguardi dei nuovi proclamati, il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali proteste o reclami.
Comunico inoltre che la Giunta delle elezioni nella riunione odierna ha verificato non essere contestabili le elezioni dei deputati: Roberto Tremelloni per la Circoscrizione di Milano (IV), Olinto Cremaschi per la Circoscrizione di Parma (XIV), Reginaldo Monticelli per la Circoscrizione di Siena (XVII), Luigi Benedettini per la Circoscrizione di Roma (XX), Italo Giulio Caiati per la Circoscrizione di Lecce (XXVI), Michelangelo Galioto per la Circoscrizione di Palermo (XXX), e, concorrendo negli eletti i requisiti previsti dalla legge elettorale, ne ha dichiarata valida l’elezione.
Do atto alla Giunta di questa sua comunicazione e, salvo i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.
Svolgimento di interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.
La prima, per la quale è stata chiesta la discussione di urgenza, è quella dell’onorevole Russo Perez, al Ministro degli affari esteri, «per conoscere se, in vista del fatto che le trattative preliminari per la pace con la Germania sembrano già iniziate dai rappresentanti delle Nazioni vincitrici, si sia fatto, e in che forma, quanto era necessario per l’ammissione dei nostri rappresentanti alle dette trattative, com’è buon diritto dell’Italia in vista della cobelligeranza, ufficialmente riconosciuta dalle Nazioni unite».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. I quattro Grandi si sono messi d’accordo in questi giorni a New York per fissare il mese di marzo come epoca in cui essi prenderanno in esame la questione della pace con la Germania. Nel frattempo una Commissione di supplenti inizierà il lavoro preparatorio.
Le trattative si svolgeranno fra le quattro Potenze che esercitano il controllo sulla Germania senza la partecipazione di nessuna delle altre Nazioni Unite.
Il Governo italiano, come non ha mancato finora, non mancherà di compiere i passi necessari per la tutela dei nostri diritti e dei nostri legittimi interessi.
Già nel passato il Governo italiano non ha infatti trascurato di fare quanto era nelle sue possibilità, affinché l’Italia, nella sua qualità di. cobelligerante, fosse considerata nei confronti della Germania alla stessa stregua delle Nazioni Unite.
Fin dal 12 settembre del 1944, in vista del crollo del Reich, chiedeva al Capo della Commissione Alleata assicurazioni che l’Italia avesse potuto attivamente partecipare all’armistizio con la Germania.
La stessa richiesta veniva ripetuta il 30 dello stesso mese dal Presidente Bonomi all’Ammiraglio Stone.
Cessata la guerra in Europa, fu nuovamente e reiteratamente richiamata l’attenzione delle quattro Grandi Potenze sulla necessità giuridica, politica, economica e morale che l’Italia fosse ammessa a sottoscrivere gli strumenti di resa stipulati fra le Nazioni Unite e la Germania.
Le nostre ragioni furono, allora, dettagliatamente esposte in un memorandum rimesso il 28 giugno 1945 agli Ambasciatori delle due predette Potenze, nonché a quelli dell’U. R. S. S. e della Francia.
Tali ragioni da allora il Governo italiano non ha cessato di ribadire, senza peraltro avere sinora ottenuto un favorevole risultato.
Il Governo italiano avanzò, a suo tempo, richiesta che l’Italia fosse tenuta presente nel conteggio delle riparazioni da esigere dalla Germania, e ciò solo al fine di ottenere da quel Paese un congruo indennizzo per le depredazioni e le razzie compiute dalle truppe hitleriane sul territorio italiano. Questa richiesta di legittimità incontestabile, non fu tuttavia presa in considerazione.
Il Governo italiano sottopose ancora agli Alleati una delle questioni che maggiormente interessano il nostro Paese, cioè quella della tutela dei diritti che competono all’Italia per il recupero dei crediti vantati dal Governo e da cittadini italiani verso il Governo e cittadini tedeschi, crediti che ammontano a parecchie centinaia di miliardi di lire italiane. Anche questa richiesta non ebbe risultato favorevole. Anzi, l’articolo 67 del progetto di Trattato di Pace impone all’Italia la rinuncia ad ogni reclamo nei riguardi della Germania, ivi compresi i crediti di qualsiasi natura.
Il Ministero degli esteri, nel corso delle discussioni relative al trattato di pace, cercò di ottenere che il testo dell’articolo 67 fosse modificato, tenendo conto dei gravi sacrifici della cobelligeranza italiana, cobelligeranza che fu appunto la causa delle più gravi ed onerose spoliazioni tedesche. L’azione della nostra Delegazione tuttavia non ha trovato purtroppo accoglienza favorevole e l’articolo 67 fu approvato senza variazioni dalla Conferenza di Parigi, né consta che la Conferenza di New York lo abbia, malgrado le nostre rinnovate insistenze, ripreso in esame.
Unica possibilità finora offertaci è quella di inviare nella zona americana della Germania una missione per il ricupero delle opere d’arte e del materiale industriale asportato dai tedeschi.
Assicuro l’onorevole interrogante che la questione sarà mantenuta viva e attentamente seguita dal Governo italiano, che non tralascerà alcun tentativo per la difesa dei legittimi diritti del nostro Paese nei confronti della Germania.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
RUSSO PEREZ. Ringrazio nell’onorevole Brusasca il Ministro degli esteri e il Governo, che ha voluto subito rispondere alla mia interrogazione, dimostrandone così l’urgenza, l’importanza e la costruttività. Mi duole che il Ministro degli esteri di oggi e quello di ieri non siano presenti, certo non per loro volontà; ma ciò, se può togliere onore alla discussione, non credo possa togliere importanza all’argomento. Io apprezzo questa risposta del Governo, ma non posso dichiararmi in tutto soddisfatto delle dichiarazioni. In fondo, noi abbiamo saputo dal Sottosegretario agli esteri che attualmente sono già in corso le trattative preliminari della pace con la Germania e noi ne siamo assenti.
Il mondo ignora se noi abbiamo fatto quanto era necessario per tentare di essere presenti. Noi non abbiamo fatto quanto era necessario per cercare di essere presenti, perché, attraverso le vostre dichiarazioni, onorevole Brusasca, io ho sentito che noi abbiamo parlato dei nostri diritti di cobelligeranti solamente in sede di tribunale, nel quale eravamo imputati, cioè durante le trattative per la pace delle Nazioni vincitrici con l’Italia sconfitta. Credo sia invece necessario incaricare i nostri ambasciatori a New York, a Londra, a Mosca, a Parigi, per una richiesta formale di partecipazione, quale che possa esserne la risposta, e di dare risonanza a questo nostro passo.
Permettetemi, illustre Presidente dell’Assemblea, di rubare qualche altro minuto ai cinque che mi assegna il regolamento, ma io non credo che ci possano essere questioni più gravi di questa per la nostra Patria, perché mediante una buona pace noi avremo le fondamenta per poter ricostruire, mentre mediante una cattiva pace potrebbe crollare l’intera economia italiana e non ci potrebbe essere sforzo di Governo e sforzo di popolo capaci di far risorgere la nostra Italia. Queste, onorevoli colleghi, sono parole quasi testuali che trovo nel nostro memorandum a Parigi dell’agosto 1946. Noi abbiamo molto parlato della guerra nella quale siamo stati sconfitti, abbiamo poco parlato della guerra in cui siamo stati convincitori, e pure sono stati 18 mesi di durissima guerra nella quale noi abbiamo perduto 65.000 uomini delle nostre forze regolari e 65.000 delle forze partigiane, alle quali mando il nostro commosso saluto, come lo mando a tutti coloro che hanno combattuto per la Patria e per i loro ideali. Inoltre abbiamo perduto oltre 200 aerei e abbiamo subito 5000 miliardi di danni.
Il nostro apporto alla sconfitta dei tedeschi è stato chiamato da Sir. Noël Charles «imponente», ed anche l’attuale Ministro degli esteri inglese, Bevin, disse che fu un «sostanziale contributo».
Del resto gli onorevoli colleghi non ignorano che non per colpa nostra il nostro contributo non fu maggiore, perché molte volte noi chiedemmo di contribuire con maggiori sforzi e alla nostra richiesta si opposero dei rifiuti.
Tutto questo nostro sacrificio e questo nostro sforzo diventò diritto. Infatti il 5 ottobre 1943 il generale Eisenhower consigliava al nostro Governo di dichiarare la guerra alla Germania. Il 13 ottobre 1943 la dichiarazione formale di guerra fu fatta dall’Italia e il 13 stesso i tre Governi alleati annunciavano al mondo la nostra cobelligeranza, la quale è stata anche riconosciuta dal preambolo dell’ordine di pace, perché è improprio chiamarlo trattato.
Della nostra cobelligeranza si è parlato poco in forma giuridica, anzi niente. Si è posto un problema soltanto di carattere morale. Non si è mai detto: noi abbiamo il diritto di intervenire al trattato di pace e di fare le nostre richieste, giacché anche il signor Molotov a Parigi, l’11 agosto, riconobbe, proprio parlando della Germania, che le nazioni che sono state in guerra con essa hanno il diritto alle riparazioni.
Anche in sede di Commissione dei trattati ebbi l’onore di chiedere al Ministro De Gasperi perché non siano stati fatti passi per essere ammessi alle trattative di pace con la Germania, ed egli mi rispose, come risponde ora il Sottosegretario agli esteri: al momento opportuno…
Intanto, ci si farà trovare bello e pronto il trattato di pace con la Germania e, quale che esso sia, in base all’articolo 15 del trattato del Lussemburgo, noi dovremo riconoscerlo senz’altro.
Alla nostra richiesta gli Alleati potranno rispondere sì o no; ma se risponderanno no, è difficile che possano ben motivare il diniego, in modo che l’opinione pubblica internazionale non si schieri a nostro favore.
Pensate, onorevoli colleghi, che malgrado la dizione dell’articolo 78 del trattato di pace, secondo cui esso entrerebbe in vigore quando avrà la firma delle quattro grandi potenze, è evidente che anche i Parlamenti dovranno ratificare il trattato. E come possiamo noi sperare, per esempio, che il nobile Senato americano si unisca a noi nel deplorare questo trattato di pace e possa non approvarlo, quando noi stessi italiani non siamo concordi nel far sentire la nostra voce al mondo, non siamo concordi nel muovere e commuovere l’opinione pubblica perché i nostri interessi siano riconosciuti, e perché i popoli si schierino solidali con noi, visto che spesso i popoli sono migliori dei loro governanti?
Io mi auguro che il Governo voglia rimeditare la questione e incaricare i nostri rappresentanti di fare una richiesta formale. In questo, io penso, potremo essere tutti concordi, in tutti i settori della Camera; concordi in questo tentativo di spronare l’opinione pubblica mondiale in nostro favore, di suscitare un moto di consenso e di comprensione a favore di questa nostra Italia. In questo, ripeto, saremo concordi in tutti i settori, perché sono convinto che in Italia non può e non deve esservi nessun cittadino che non aspiri a rivedere la Patria libera, prospera e felice, pacificata nella democrazia e nel lavoro. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione del l’onorevole Bibolotti, al Ministro dell’assistenza post-bellica, «per conoscere se non sia suo intendimento promuovere, di concerto con il Ministro dell’interno, un provvedimento di eccezione, allo scopo di andare incontro ai bisogni delle popolazioni della provincia di Massa e Carrara, della Versilia e della Garfagnana, che più a lungo e più duramente ebbero a soffrire i danni morali e materiali della guerra, subendo distruzioni, evacuazioni forzate di intere popolazioni, incendi ed atrocità senza nome e che oggi si vedono costrette alla disoccupazione ed alla indigenza per la perdurante paralisi dell’industria marmifera e per la ritardata riattivazione di molti stabilimenti della «Zona industriale» apuana».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’assistenza post-bellica ha facoltà di rispondere.
CACCIATORE, Sottosegretario di Stato per l’assistenza post-bellica. Il Ministero per l’assistenza post-bellica, nella sua sfera di competenza, ha erogato le seguenti somme alle provincie della Versilia e della Garfagnana:
per la ricostruzione di case distrutte dai nazifascisti (somme prelevate dal Fondo di solidarietà nazionale):
Apuania, lire 80.880.000; Pisa 65.830.000; Pistoia 45 milioni; Lucca 43 milioni;
per la ricostruzione di case per i reduci, secondo l’articolo 1 del decreto 26 aprile 1946, n. 240; Apuania 30 milioni; Pisa 50 milioni; Pistoia 30 milioni, Lucca 25 milioni.
Devesi rilevare che in confronto delle altre province, quelle sopra elencate hanno avuto dal Ministero un trattamento di favore eccezionale, in considerazione appunto delle condizioni di estremo bisogno in cui trovansi quelle popolazioni.
Ulteriori provvedimenti di particolare eccezione, in favore delle ripetute provincie, possono essere adottati se ed in quanto venga emanata, di concerto con gli altri Ministeri interessati, un’apposita legge che prevede particolari agevolazioni in confronto delle altre provincie della Repubblica. In tal senso, il Ministero dell’Assistenza Post-bellica sta provvedendo ad avanzare preposte alla Presidenza del Consiglio.
PRESIDENTE. L’onorevole Bibolotti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
BIBOLOTTI. Mi riferisco alle cose che ho avuto occasione di dire ieri: le due interrogazioni di ieri e quella di oggi in fondo si riferiscono allo stesso problema. Io chiedo venia quindi all’Assemblea se intervengo oggi ancora su questo problema.
I provvedimenti che ho invocati ieri dal Ministero della industria e commercio si riferiscono sì ad un periodo prossimo; ma sempre differito nel tempo; i provvedimenti che invocai alcuni mesi addietro dal Ministero dell’assistenza post-bellica si riferiscono, invece, alla situazione presente, situazione veramente grave, sulla quale ancora oggi richiamo l’attenzione di tutti i membri del Governo.
Tutta l’Italia oggi è in una situazione di grave disagio, e questo porta ad una certa insensibilità quando si accenna a situazioni particolari. Ma io penso che tutti noi che abbiamo avuto occasione di transitare, per ferrovia e per via ordinaria, per quelle contrade, non possiamo non essere stati colpiti dalle distruzioni sistematiche che vi ha portato la guerra, e, soprattutto, il permanere della guerra. Otto mesi di fronte, otto mesi quindi di azioni dall’una e dall’altra parte hanno portato alla distruzione sistematica di abitati, di cose e di persone; la stessa terra, la stessa agricoltura, ha risentito danni enormi. Ora, le popolazioni che sono rientrate, come dicevo ieri, non hanno più trovato le loro case o le hanno trovate del tutto vuote, saccheggiate dai tedeschi, saccheggiate non si sa da chi.
Allora, è necessario, io penso, che il Governo ponga la sua attenzione su queste situazioni particolari, che visiti quelle località. Vorrei che il Ministro dell’assistenza post-bellica visitasse quelle contrade, le quali gli riveleranno una situazione veramente grave, eccezionalmente grave. Salga sui monti, se è possibile, vada a visitare là dove i tedeschi hanno distrutto letteralmente i paesi. Questi non si vedono dalla ferrovia. Il solo paese di Sant’Anna, piccola frazione di comune, ha avuto 650 vite umane distrutte, fra bambini, donne e vecchi. La stessa cosa a Vinca, a San Terenzo; qualcosa di meno, ma di analogo a Val di Castello. Tutta una serie di paesi hanno subito queste distruzioni.
Ora, quando si visitano quelle contrade, come è accaduto frequentemente a me, si prova un senso di scoramento e di rammarico, perché si pensa che il Governo le abbia dimenticate. Mi sono trovato a Vinca nel giorno anniversario della strage. Il parroco del paese mi ha accolto come se giungessi da un altro pianeta ed ha detto: «Finalmente c’è qualcuno che si ricorda di noi». Ed avendogli io ricordato che in quella occasione, nella quale aveva raccolto a scopo celebrativo la popolazione superstite – superstite, perché quando giunsero i tedeschi si era dispersa e nascosta sui monti, così che gli uccisi furono i vecchi, le donne i bambini, gli infermi – non avesse avvisato le autorità, egli si è meravigliato ed ha detto: «Io pensavo che una data come questa non potesse essere ignorata né dimenticata da alcun italiano», perché in quel giorno tutta la popolazione presente in questo paese è stata letteralmente distrutta, come sono state distrutte le cose, come sono stati distrutti gli animali. Con le fucilazioni e gli incendi, tutto è stato distrutto.
Ora, di questi paesi, nella montagna apuana ve ne sono almeno tre. Vi è quindi la necessità di provvedere in qualche modo e d’urgenza. Qualche cosa è stato fatto, anzi è stato fatto molto, secondo le cifre indicate dall’onorevole Cacciatore. Anche il Ministero delle finanze è venuto incontro a quelle popolazioni. Io faccio una invocazione al Governo. Si tratta di un problema morale, politico. Si facciano vedere, i membri del Governo; vadano a visitare quelle fiere popolazioni che sono, come dicevo ieri, popolazioni tradizionalmente repubblicane, tradizionalmente e fortemente democratiche, che sperano nella Repubblica, perché la Repubblica l’hanno sempre voluta e per la Repubblica hanno molto combattuto. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Bibolotti, al Ministro dei lavoro e della previdenza sociale, «per sapere se non intenda promuovere, di concerto con gli altri Ministeri interessati, una vasta riforma a favore di tutti i pensionati, tendente: 1°) a migliorare sensibilmente il loro trattamento, tenuto conto che il fondo di quiescenza venne a suo tempo costituito da trattenute e da contributi in moneta avente ben più alta capacità d’acquisto; 2°) a promuovere il collocamento a riposo di tutti gli aventi diritto a pensione con un quinquennio di anticipo, assicurando loro il trattamento normale di compiuto servizio, rendendo così possibile e lo svecchiamento delle pubbliche amministrazioni e l’assorbimento dei giovani reduci e partigiani ed ex combattenti della guerra di liberazione ancora disoccupati in grande numero».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale ha facoltà di rispondere.
CASSIANI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Il Ministero del lavoro non ha mancato di promuovere, anche recentemente, provvedimenti diretti a migliorare, nei limiti del possibile, la situazione dei pensionati, essendo ben consapevole che tale categoria, per la mancanza e la riduzione della capacità lavorativa, è quella che meno di ogni altra può reagire con mezzi propri al disagio economico derivante dalle ben note cause di ordine generale.
È da rilevare, a tale riguardo, che ben poco assegnamento si è potuto fare sulle risorse del sistema assicurativo vigente (capitalizzazione) che soltanto da un numero di anni relativamente scarso (1939 in poi) aveva cominciato a funzionare con apporti contributivi realmente efficienti.
La maggior parte delle pensioni base le cui riserve matematiche, occorre ricordare, furono a suo tempo prevalentemente investite in titoli pubblici e nel finanziamento di altre gestioni bisognose di anticipazioni (quale, ad esempio, l’assicurazione tubercolosi) ha, infatti, importi assolutamente irrisori.
Dopo un primo aumento del 25 per cento attuato nel 1943, si è dovuto pertanto, nel 1945, introdurre un sistema autonomo di integrazioni di ben più vasta portata, basato sul principio della ripartizione, con aumenti che, nel corrente anno, hanno raggiunto il 700 per cento a scalare, della pensione base, con la garanzia di un minimo annuo indipendente dall’ammontare della stessa pensione base.
Si è fatto, inoltre, ricorso alla finanza statale che ha assicurato una ulteriore integrazione a proprio carico.
Laddove si consideri il minimo stabilito per la pensione di vecchiaia uomini – lire 10.800 – e vi si aggiungano le lire 3.600 della integrazione statale, si raggiunge attualmente un importo minimo complessivo che, pur essendo indiscutibilmente non adeguato alle necessità dei pensionali, raggiunge, rispetto al livello medio delle pensioni base, un rapporto all’incirca corrispondente a quello di svalutazione della moneta.
Nonostante ciò, il Ministero del lavoro non è certo alieno dal prendere in considerazione ulteriori miglioramenti.
È da ricordare, tuttavia, che la possibilità di tali miglioramenti è condizionata alla ulteriore capacità contributiva delle forze produttive (le quali generalmente già ritengono eccessivi ed insostenibili gli attuali oneri) ovvero ad un più generoso intervento dello Stato, di cui sono note però le difficili condizioni di bilancio.
In meritò alla seconda richiesta – abbassamento del limite di età – è da rilevare, per quanto concerne l’assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti, che la riduzione di un quinquennio del detto limite (ora 60 anni per gli uomini e 55 per le donne) è già entrata in pieno vigore fin dal 1° gennaio 1944, con corrispondente considerevole aggravio delle gestioni assicurative.
L’attuale limite, che corrisponde, del resto, salvo rare eccezioni per speciali categorie, a quelli più favorevoli delle principali legislazioni straniere, non sembra ulteriormente riducibile.
Appare invece da studiarsi, sia pure con la ponderatezza richiesta dai considerevoli riflessi cui può dare luogo, la estensione della predetta riduzione al personale delle pubbliche amministrazioni, problema che, peraltro, non è di esclusiva competenza del Ministero del lavoro.
PRESIDENTE. L’onorevole Bibolotti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
BIBOLOTTI. Non mi posso dichiarare pienamente soddisfatto anche se io debba ben riconoscere che molto è già stato fatto. Ma il problema dei pensionati, di tutti i pensionati d’Italia, da quelli civili a quelli militari, dai pensionati di guerra a quelli della previdenza sociale e degli enti locali, a quelli della marina mercantile, è un problema che investe una massa enorme di cittadini.
Le cifre che posseggo sono le seguenti:
1°) Pensioni ordinarie da parte della Amministrazione statale, n. 350.000.
Aumento della pensione da 1 a 10; aumento del carovita da 1 a 30. In media la pensione è di circa otto decimi dello stipendio.
Esempio: una pensione di lire 800 è stata elevata a, lire 8.000 e il carovita da lire 80 è stato elevato a lire 2.400, con un totale di lire 10.400.
2°) Pensioni di guerra, n. 750.000.
Aumento della pensione da 1 a 10.
Esempio: soldato categoria la (inabile 100 per cento): una pensione da lire 340 mensili (1° luglio 1923) è stata elevata a lire 3696 mensili; soldato categoria 2ᵃ (inabile 80 per cento): una pensione da lire 240 mensili (1° luglio 1923) è stata elevata a lire 1292 mensili; vedova di soldato: una pensione da lire 90 mensili (1° luglio 1923) è stata elevata a lire 660 mensili.
3°) Pensioni da parte della Cassa depositi e prestiti, n. 50.000.
Aumento della pensione da 1 a 7; aumento del carovita da 0 a 1500 mensili.
Esempio: pensione prima della guerra lire 650 mensili; pensione attuale lire 3000 mensili; carovita lire 1500 mensili = 4500 mensili.
4°) Rendite infortunio da parte dell’Istituto nazionale infortuni, n. 200.000.
Aumento rendita da 1 a 1 e mezzo; carovita super invalidi da 0 a lire 250 mensili.
Esempio: lavoratore invalido al 35 per cento (perdita di un occhio): rendita prima della guerra lire 160 al mese, rendita attuale lire 250 al mese; lavoratore invalido al 50 per cento (perdita gamba 3° inferiore, oppure di un piede): rendita prima della guerra circa lire 275 al mese, rendita attuale circa lire 350 al mese, più carovita lire 200 mensili.
5°) Pensioni invalidità e vecchiaia da parte dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, n. 1.128.000.
Aumento pensione da 1 a 4 ½.
Esempio: pensione massima d’invalidità: prima della guerra lire 340 mensili, pensione attuale lire 1350 mensili.
Esempio: pensione massima di vecchiaia: prima della guerra lire 350 mensili, pensione attuale lire 1366.
6°) Pensioni da parte delle Amministrazioni autonome circa n. 200.000. Totale n. 2.678.000.
Si tratta dunque di trecentocinquantamila pensioni ordinarie dell’Amministrazione dello Stato, settecentocinquantamila pensionati di guerra, cinquantamila della Cassa depositi e prestiti, duecentomila rendite da infortuni, sul lavoro, 1.128.000 per invalidità e vecchiaia, una cifra approssimativa di duecentomila dipendenti delle amministrazioni autonome. Il totale ci porta a oltre due milioni e mezzo; ma se noi andiamo con la mente agli altri pensionati delle banche, di altri istituti privati, abbiamo una massa enorme di cittadini che sono oggi costretti a vivere con una retribuzione assolutamente insufficiente. Si tratta di vecchi lavoratori, di vecchi servitori dello Stato, di funzionari, di ufficiali, di insegnanti; gente che ha dedicato tutta la vita al servizio della collettività, che ha partecipato alla produzione ed all’arricchimento del Paese e che oggi soffre in modo particolarmente atroce. Il vecchio che non ha il minimo per vivere diventa elemento di turbamento nella stessa famiglia nella quale si sente ed è di peso. Noi dobbiamo pensare al dramma di questi nostri vecchi, che hanno lavorato e che, lavorando e producendo, hanno sperato di avere nella loro vecchiaia di che vivere, sia pure modestamente, ma indipendentemente.
Ora, il problema finanziario è certamente grave, e potrebbe apparire insolubile. Che cosa fare? È necessario che, amministrazione per amministrazione, si riesamini la posizione di questi pensionati e si studi se non sia possibile un ulteriore svecchiamento di esse, concedendo il massimo della pensione alcuni anni prima. Ciò permetterà una maggiore ed una più sollecita assunzione dei reduci, dei partigiani ed, in genere, dei nostri giovani senza impiego, senza pane, senza avvenire. Io penso in modo particolare agli insegnanti; ci sono insegnanti che hanno trenta e quarant’anni di insegnamento e che non osano abbandonare l’insegnamento perché, abbandonare il servizio, significa la fame e la morte lenta.
Ora, io dico: se gli istituti previdenziali non possono, quali enti erogatori, fare di più di quello che hanno fatto, occorre un provvedimento legislativo, occorre cioè che l’insieme del Governo pensi ai pensionati e provveda adeguatamente. I pensionati coprono i nostri tavoli di lettere, di memoriali, di telegrammi; io parlo qui un po’ anche come sindacalista: ricevo da ogni associazione di pensionati e da pensionati singoli, invocazioni perché l’autorità costituita si occupi dei loro problemi. Essi chiedono, intanto, che non vi sia differenza tra uomini e donne.
Com’è si è provveduto per i salari, è necessario si provveda a ristabilire il rapporto tra salario normale e pensione, tra stipendio e pensione, a ristabilire cioè il rapporto preesistente alla guerra. Per citare soltanto l’esempio dei pensionati per l’invalidità e la vecchiaia; si hanno queste cifre di riferimento. Mentre l’aumento delle pensioni va da uno a quattro, il salario è stato aumentato da uno a tredici, mentre i generi alimentari sono saliti da uno a trentatre. Potrei citare molte altre cifre, ma scopo della mia interrogazione è quello di invitare il Governo, e specialmente il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, a fare non soltanto quello che è di sua particolare competenza e di sua diretta spettanza, ma di promuovere i provvedimenti necessari, di concerto con tutti gli altri Ministri, perché sia fatto, a favore dei pensionati, uno sforzo maggiore e siano deliberate misure di solidarietà nazionale.
Si tratta di alcuni milioni di cittadini, che devono chiudere la loro vita, ma che devono chiuderla salutando l’alba della Repubblica, della nuova democrazia, ed il ritorno della libertà, con la constatazione che qualche cosa nei loro confronti viene fatto e fatto sistematicamente ed adeguatamente. Quanto è stato già fatto è indubbiamente meritorio e ne faccio elogio al Ministro, ed agli organismi che hanno provveduto.
Ma io insisto perché qualcosa di più organico e di più sistematico sia fatto, sulla base d’un piano finanziario, che faccia gravare questi maggiori oneri su proventi particolari, che devono considerarsi come espressione della solidarietà nazionale verso coloro che dettero alla Patria ed alla ricchezza nazionale tutte le loro energie vitali, fisiche ed intellettuali.
Mi auguro e spero che il Ministro del lavoro – il quale può anch’egli considerarsi un pensionato delle lotte del lavoro – sia sensibile a questo problema e lo affronti coraggiosamente; e si presenti candidato alle benemerenze verso i vecchi lavoratori, verso tutti i pensionati statali e non statali, civili e militari, che attendono dal Governo un’opera di riparazione. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Rodi al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere le ragioni per le quali è stata ripristinata l’efficacia del decreto-legge 14 gennaio 1944, n. 13, riguardante la disciplina della stampa, considerato che: 1°) il provvedimento è stato preso dal Consiglio dei Ministri subito dopo l’aggiornamento dell’Assemblea Costituente, che doveva essere consultata in proposito; 2°) l’articolo 4 del decreto in questione, imponendo l’obbligo agli editori dei giornali di richiedere ogni tre mesi una nuova autorizzazione, pone praticamente la stampa alla discrezione delle autorità competenti e di eventuali interferenze di natura politica; 3°) l’articolo 7 dello stesso decreto dispone che le norme ivi contenute vanno applicate per tutta la durata della guerra, il cui stato è ora ufficialmente cessato; 4°) il provvedimento in parola non trova giustificazioni plausibili nell’eccessivo esercizio della libertà di stampa, perché ogni licenza può e dev’essere punita con le leggi ordinarie».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno. Ne ha facoltà.
CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, competente a rispondere alla interrogazione, che riguarda la stampa, è infermo; quindi non può oggi dare le notizie che l’onorevole interrogante richiede.
Vorrei pregare il Presidente e l’interrogante di rinviare lo svolgimento dell’interrogazione.
RODI. Acconsento al rinvio.
PRESIDENTE. Lo svolgimento di questa interrogazione è dunque rinviato.
Presidenza del Vicepresidente TERRACINI
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se non creda opportuno richiamare gli Uffici del Genio civile a che negli appalti a società cooperative venga applicato l’articolo 42 del regolamento 12 febbraio 1911, n. 278».
L’onorevole Sottosegretario per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.
RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. La materia degli appalti a società cooperative e ai loro consorzi fu disciplinata con circolare 28 settembre 1945, n. 721-53, con la quale si autorizzava la concessione di appalto a trattative privale, a cooperative e loro consorzi, lo scorporamento di appalti e concessioni a trattative private a cooperative della parte di essi in cui fosse prevalente la mano d’opera.
Con la stessa circolare si prescriveva poi che, per il caso che per la esecuzione di lavori non fosse richiesta una specifica dotazione di mezzi di opera, si potesse procedere agli appalti mediante licitazione fra cooperative della stessa provincia ed in mancanza di provincie limitrofe.
Si raccomandava altresì di applicare le disposizioni di cui sopra quando si fosse trattato di autentiche cooperative, cioè di cooperative che non servono di mascheramento a privati speculatori, e si prescriveva che gli ingegneri capi potessero prescindere dalle gare ufficiose normalmente esperite per affidare i lavori che si eseguono da cooperative in seguito a trattative dirette ed anche provvedendo con cottimi parziali successivi, sempre che la tecnica del lavoro lo consentisse.
A norma del Regio decreto 8 febbraio 1923, n. 422, l’importo massimo degli appalti da affidarsi per licitazione a trattative private a cooperative di produzione e lavoro ed a cooperative agricole di produzione, nonché a Consorzi di cooperative, fu stabilito rispettivamente in 1 milione e 5 milioni e fu poi elevato con provvedimento dell’11 giugno 1946 a 5 milioni e 25 milioni.
Il Ministero dei lavori pubblici, accogliendo i voti recentemente espressi al Congresso nazionale delle cooperative, ha predisposto uno schema di decreto sul quale si attende l’adesione dei Ministeri interessati, con cui detti limiti vengono elevati rispettivamente a 20 milioni e a 100 milioni.
In sede di comunicazione delle deliberazioni che saranno prese, assicuro l’onorevole Pastore che si provvederà a richiamare l’attenzione degli uffici del Genio civile su quanto forma oggetto della sua interrogazione, ma nello stesso tempo si richiamerà l’attenzione degli uffici stessi sulla necessità che le cooperative favorite dalla legge siano organizzazioni di autentici lavoratori e non aziende mascherate a scopo speculativo.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
PASTORE RAFFAELE. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario di Stato delle informazioni e delle assicurazioni datemi, però non posso dichiararmi soddisfatto, perché le dichiarazioni del Governo non rispondono a quello che gli uffici da esso dipendenti praticano ogni giorno.
Gli uffici del Genio civile pare che tengano poco conto delle circolari emanate dal Ministero dei lavori pubblici. Siamo d’accordo sul fatto che i lavori vengano assegnati alle cooperative, alle vere cooperative, però richiamo l’attenzione del Governo sul fatto che le Commissioni di vigilanza sono composte in maggioranza di componenti di diritto, cioè di impiegati statali, fra cui anche funzionari del Genio civile. Ed all’uopo richiamo l’attenzione del Ministro del lavoro perché metta in condizione la Commissione di vigilanza di funzionare, perché fino ad oggi i suoi componenti non hanno potuto assolutamente vigilare sulle cooperative, e quindi non si è potuto constatare se una cooperativa è o non è una vera cooperativa, per modo che oggi, all’ombra delle cooperative, assistiamo a tutte le speculazioni possibili.
Noi cooperatori siamo d’accordo che la vigilanza sia esercitata e sia pronta e tale da escludere quelle cooperative che di cooperazione hanno il solo nome.
Io mi auguro che il Governo tenga presenti queste considerazioni e ponga le Commissioni in condizione di esercitare il loro mandato.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Reale Vito al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere le ragioni che ancora impediscono i concorsi per le scuole elementari e per le scuole medie per collocare i migliori, per togliere alla scuola lo stato di provvisorietà che tanto danno le arreca».
Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Pieri, al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, «per conoscere quale risposta intenda dare al memoriale inviatogli da una parte degli abitanti di Cortina d’Ampezzo, richiedente l’annessione del territorio di Cortina alla provincia di Bolzano».
Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Tessitori al Ministro delle finanze, «per sapere se e quando creda disporre la ripresa dei lavori di costruzione – interrotti da anni – del palazzo per gli uffici finanziari di Udine e ciò sia per concorrere a lenire la disoccupazione, sia per liberare gli edifizi attualmente occupati da detti uffici, edifìzi per i quali lo Stato corrisponde al comune di Udine l’affitto mensile di lire 500 e che potrebbero servire ad altro uso».
Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Chiaramello al Ministro della guerra, «per conoscere se non intende provvedere con la massima urgenza, in considerazione della riduzione degli effettivi attualmente alle armi – effettivi che si presume, e si augura, non verranno più aumentati – a rendere liberi il più rapidamente possibile tutti i locali (alberghi, case, immobili in genere di proprietà privata) occupati come accantonamenti, uffici, depositi, officine, ecc., dalle forze armate, sia allo scopo di diminuzione di spese, sia per riportare anche in questo campo il paese alla normalità dopo oltre un anno e mezzo dalla cessazione delle operazioni belliche. Le numerose caserme possono ampiamente ospitare le truppe e gli uffici di qualsiasi genere, anche se di carattere militare riservato. L’interrogante, inoltre, chiede che sia provveduto con rapidità all’alienazione di caserme, casermette. ricoveri, baracche, capannoni, campi, ecc., di proprietà od in consegna al Genio militare, attualmente in completo stato di abbandono, che si trovano sparse in tutta Italia, ed in particolar modo nell’Italia del Nord e nella zona alpina. Molti di questi immobili potrebbero essere assegnati ad istituzioni di beneficenza, ai comuni ed enti locali, ad opere assistenziali per i lavoratori, che potrebbero adibirli a colonie estive ed invernali, sia per i bimbi, come per i lavoratori stessi. L’importante è di rientrare nella normalità anche in questo campo e dimostrare che i miliardi malamente spesi dall’Amministrazione militare per opere inutili possono in parte essere ricuperati o meglio utilizzati per l’avvenire in favore delle classi meno abbienti e della collettività».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la guerra ha facoltà di rispondere.
CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la guerra. Il Ministero della guerra si rende pienamente conto del dovere e della necessità di restituire nella misura maggiore possibile gli immobili civili, requisiti per necessità militari, alle normali esigenze della vita civile. Da tempo ha perciò disposto la derequisizione di tutti i locali, la cui occupazione non era più resa necessaria da perduranti esigenze militari e la quasi totalità degli alberghi e altri immobili è stata derequisita nelle varie città.
Il Ministero della guerra non ha, poi, costantemente omesso di insistere presso le autorità militari alleate, perché queste addivenissero alla derequisizione degli immobili da esse occupati. Anzi, spesso, ha provveduto a trasferire enti dell’esercito italiano in altre sedi, per lasciare immobili militari propri alle suddette autorità, consentendo così la dismissione di stabili civili.
Anche il problema della cessione degli immobili militari esuberanti al fabbisogno presente dell’esercito e a quello prevedibile futuro è stato da tempo affrontato dal Ministero della guerra, con spirito di comprensione, sia per le necessità sociali, sia ai fini di una riduzione delle spese militari a cui accenna l’onorevole interrogante.
Sin dall’agosto scorso sono stati interessati i comandi periferici militari per la precisa definizione degli immobili da riservare all’Amministrazione militare e di quelli cedibili a enti civili. Nelle direttive emanate in materia, rendendosi conto dei bisogni particolari delle grandi città, il Ministero ha disposto che le truppe fossero, di massima, sistemate alla periferia, per lasciare gli immobili resi liberi nell’interno delle città a disposizione delle autorità civili.
Intanto, in relazione alle necessità urgenti prospettategli volta per volta, il Ministero non ha mancato di venire incontro, per quanto possibile, alle richieste di altre amministrazioni dello Stato, di enti parastatali, di cooperative, di comunità religiose, ecc., col disporre la cessione in via definitiva o temporanea di numerose caserme, depositi, baracche, terreni ecc.
Alcune cessioni da temporanee potranno diventare definitive, non appena sarà reso possibile definire meglio la struttura dell’esercito. Infine, altre cessioni potranno aver luogo allorché saranno restituiti all’Amministrazione militare numerosi immobili, tutti occupati, per esigenze di comandi e di truppe delle Nazioni Unite.
L’onorevole interrogante dimostra una giusta preoccupazione per il ritorno alla normalità anche in questo campo, e perché siano evitate spese per opere inutili. Il Ministro della guerra, mentre si associa ai suoi rilievi, fa notare che dopo l’8 settembre 1943 le spese relative agli immobili militari sono state limitate a lavori di riattamento e di sistemazione di installazioni preesistenti, per necessità inderogabili di vita degli enti destinati ad occuparli.
In conclusione, il problema sollevato dall’onorevole interrogante è stato affrontato e in parte risolto. Lo assicuro che esso verrà ulteriormente perseguito; nella sua interezza potrà però essere definito soltanto quando sarà possibile stabilire l’ordinamento di pace dell’esercito nazionale.
PRESIDENTE. L’onorevole Chiaramello ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
CHIARAMELLO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per la guerra; e infatti devo constatare, dopo l’inoltro della mia interrogazione nello scorso mese di agosto, che molto il Ministero della guerra ha fatto attraverso i comandi periferici. Mi permetto però di insistere ancora, affinché molte richieste fatte da comuni, soprattutto dell’Italia del Nord, vengano accolte con una certa sollecitudine. Nell’Italia dei Nord, soprattutto nelle piccole cittadine, noi manchiamo di case popolari e di edifici pubblici, e come tali destinati ad enti di beneficenza; e quindi molte caserme, ormai inutilizzate, servirebbero benissimo allo scopo.
Richiamo ancora all’attenzione dell’onorevole Sottosegretario per la guerra la necessità urgente che molti baraccamenti, casermette, ecc., siti nelle nostre zone di montagna, siano concesse al più presto ad istituzioni di beneficenza ed enti collettivi, perché potrebbero servire per gli alloggi delle colonie estive, delle colonie invernali, per bambini e anche per aderenti alle organizzazioni sindacali. Su questo punto mi permetto ancora di insistere, ringraziando però il Sottosegretario per la guerra, che molto ha fatto in questo campo, ma spero ancora di riuscire ad ottenere dallo stesso qualche cosa di più, perché le necessità sono urgenti.
Non vorrei poi che nei paesi di montagna, dove molti terreni sono ancora soggetti a servitù militare, si verificasse quello ch’è avvenuto nella zona di Chivasso, dove un campo dell’aeronautica venne occupato dai contadini nei passati giorni, campo inutilizzato che lo Stato non aveva e non ha ancora retrocesso per gli usi dell’agricoltura.
Insisto quindi affinché baracche, edifici e terreni ancora in consegna alle autorità militari, e site in qualsiasi regione d’Italia, vengano senz’altro retrocessi ai vecchi proprietari oppure alle istituzioni di beneficenza o enti pubblici di cui ho fatto cenno nella mia interrogazione.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cicerone al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, «per conoscere se il Governo abbia consentito che personalità estranee alla Delegazione italiana presso la Conferenza dei Ventuno espatriassero e raggiungessero Parigi, e se non abbia intenzione, il Governo, di impedire che simili incidenti si ripetano. Tanto, in considerazione della circostanza che alcuna di tali personalità ha manifestamente svolto azione contraria alla condotta ufficiale del Governo, compromettendo così gli interessi del Paese agli effetti della pace».
Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Chiaramello, ai Ministri della guerra e dei lavori pubblici, «per sapere se, in considerazione che molte strade, e soprattutto quelle in zone alpine, di arroccamento e di allacciamento fra i valichi terminali delle valli, già costruite dal Genio militare e ad esso in consegna, sono ora completamente abbandonate e prive anche di un minimo di manutenzione, tanto nelle massicciate, quanto nelle opere d’arte (ponti, cunette, ecc.), non sia opportuno e conveniente passare le strade stesse direttamente in consegna agli speciali Uffici del Genio civile per la viabilità statale, istituiti in ogni regione, data anche l’impossibilità dei comuni e delle provincie di provvedervi per l’esiguità e la deficienza dei loro bilanci. L’interrogante fa presente che buona parte di queste strade collegano le varie valli attraverso valichi importantissimi, servono non solo dal lato turistico, ma soprattutto contribuiscono a risolvere in parte il sempre aperto problema della montagna finora mai affrontato da nessun Governo; valgono a mettere in efficienza, anche dal lato agricolo, economico ed industriale, terreni, corsi d’acqua, miniere, ecc., che non devono essere trascurati in questo momento nel quale tutte le energie della Nazione devono essere impegnate nella ricostruzione e costituiscono una cospicua parte del patrimonio stradale nazionale che deve essere con energia salvaguardato».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la guerra ha facoltà di rispondere.
CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la guerra. Da tempo il Ministero della guerra ha preso in esame il problema delle strade militari di frontiera, nel quadro della cessione degli immobili esuberanti rispetto alle esigenze future dell’esercito. A tale scopo, sono state chieste ai comandi periferici precise segnalazioni circa le strade militari di interesse prevalentemente civile cedibili ad enti locali.
Le esigenze prospettate e gli inconvenienti lamentati dall’onorevole interrogante sono già stati considerati. Quanto prima verranno definite le condizioni di cessione tendenti a consentire di mantenere in efficienza, a favore delle popolazioni di montagna, un ingente e prezioso patrimonio stradale. È inoltre in corso lo studio delle modalità con cui potrà essere attuata la manutenzione delle strade che non verranno cedute, di quelle strade cioè che conserveranno la caratteristica di strade militari.
PRESIDENTE. Ha facoltà di rispondere l’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici.
RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Per quanto concerne il Ministero dei lavori pubblici, convengo che il problema che forma oggetto dell’interrogazione è molto importante. L’Amministrazione dei lavori pubblici attende dal Ministero della guerra di conoscere quali sono le strade in parola, e, di esse, quali eventualmente dovranno rimanere a questo ultimo dicastero, perché di esclusivo interesse militare.
Delle rimanenti, quelle alle quali saranno riconosciuti i caratteri di strade di grande comunicazione, potranno classificarsi tra le statali e, di conseguenza, saranno sistemate e mantenute dall’Azienda della strada. Le altre strade, a seconda dell’interesse particolare che ad esse sarà riconosciuto, potranno essere classificate tra le strade provinciali o tra le strade comunali e godere degli eventuali benefici della legislazione vigente per la viabilità minore e di quelli previsti dalla legge sulla disoccupazione.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
CHIARAMELLO. Ringrazio i due Sottosegretari della guerra e dei lavori pubblici; però devo consigliare a che queste strade non siano consegnate ai comuni, che non avrebbero la possibilità di mantenerle. È preferibile che siano date in consegna ai vari uffici speciali, creati dal Ministero dei lavori pubblici, attraverso il Genio civile.
È molto più comodo che queste strade, che hanno una importanza colossale perché servono d’allacciamento delle varie vallate e d’arroccamento, e che hanno una importanza enorme anche per le nostre popolazioni alpine, restino affidate alla manutenzione dello Stato. Mi permetto quindi di insistere che sia il Genio civile a prenderle in consegna, sia direttamente, sia attraverso l’Azienda della strada. Neppure le nostre provincie hanno la possibilità di assumerle, perché si tratta di una manutenzione quasi sempre assai costosa: meglio dunque lo Stato che assuma direttamente, attraverso i suoi organismi specializzati dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici, la consegna e la conseguente manutenzione delle strade oggetto dell’interrogazione.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pellizzari, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se non ritenga equa l’emanazione di un provvedimento legislativo col quale si disponga che il limite d’età per il collocamento a riposo degli insegnanti nelle scuole medie venga esteso fino a compimento del settantesimo anno, almeno limitatamente agli insegnanti i quali erano già in servizio di ruolo nel 1935, quando una legge fascista modificò in modo arbitrario il patto giuridico col quale essi erano stati assunti in servizio».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.
BELLUSCI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. II Ministero della pubblica istruzione non ignora le aspirazioni degli insegnanti, specie di quelli assunti in ruolo anteriormente al 1935, dirette ad ottenere il ripristino del vecchio limite di età di 70 anni, abbassato a 65 in periodo fascista, col decreto 24 aprile 1935, n. 565. Tuttavia non sembra opportuno affrontare ora isolatamente il problema. Appare invece preferibile l’esame e la soluzione, in sede di riassetto generale, della legislazione scolastica vigente.
Frattanto si è consentito di mantenere in servizio, per l’anno scolastico 1946-47, il personale che abbia raggiunto, o raggiungerà entro il 31 dicembre 1946, l’età di 65 anni e sia ancora in grado di prestare servizio nelle scuole.
Con apposita circolare in data 24 agosto 1946, n. 11692, diretta ai Provveditori agli studi e ai capi degli istituti di istruzione artistica, sono state impartite in proposito le istruzioni del caso.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
PELLIZZARI. In un certo senso io dovrei dichiararmi soddisfatto della risposta del Sottosegretario di Stato alla pubblica istruzione, perché egli riconosce la giustizia nel desiderio degli insegnanti.
Tuttavia mi ridomando, e domando a lui perché quando si riconosce la giustizia di un provvedimento si debba rinunciare a prenderlo, sostituendolo con una serie di circolari, di provvedimenti parziali, quasi che si avesse paura di riconoscere che in passato si è sbagliato e che ora è bene rimediare. Il Governo ha sufficienti mezzi a sua disposizione per risparmiarsi questo abuso delle circolari, le quali già costituiscono un abuso ad un altro abuso che è quello del decreto-legge. Ma almeno il decreto-legge prende una misura di carattere generale, riconosce la giustizia generale e non riduce ad una serie di favori individuali ciò che si ritiene opportuno ed equo. Quindi non mi posso dichiarare soddisfatto della risposta. Mi rincresce, onorevole Bellusci, ma fra lei e me c’è una specie di incompatibilità di carattere per cui tutte le volte che presento un’interrogazione sono costretto a dichiararmi insoddisfatto della sua risposta. Mi auguro che la prossima volta possa dichiararmi pienamente soddisfatto.
PRESIDENTE. Essendo trascorso il tempo dedicato alle interrogazioni, lo svolgimento delle altre interrogazioni è rinviato a domani.
Presentazione di disegni di legge.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia. Ne ha facoltà.
GULLO, Ministro di grazia e giustizia. Ho l’onore di presentare i seguenti disegni di legge:
Modificazione al regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 560, relativo alla riforma dell’ordinamento della Corte d’assise;
Norme complementari per l’applicazione del regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 560, relativo alla riforma dell’ordinamento della Corte d’assise;
Procedura per i reati di competenza della Corte d’assise.
Chiedo che l’Assemblea autorizzi la Commissione permanente, che esaminerà i disegni di legge, a presentare la sua relazione alla Presidenza anche durante l’aggiornamento dei lavori parlamentari.
PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questi disegni di legge che saranno trasmessi alla Commissione competente. Se non vi sono osservazioni sulla richiesta dell’onorevole Ministro, così rimarrà stabilito.
(Così rimane stabilito).
Discussione del disegno di legge: Nuove formule di giuramento.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge circa le nuove formule di giuramento, per il quale l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri aveva chiesto l’urgenza ed era stata nominata una Commissione speciale.
Secondo la deliberazione dell’Assemblea, la Commissione nella sua riunione di ieri ha stabilito di riferire oralmente.
E do, pertanto, facoltà di parlare al Relatore, onorevole Della Seta.
Presidenza del Presidente SARAGAT
DELLA SETA, Relatore. Onorevole Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, cari colleghi, nell’accingermi a fare una breve, brevissima relazione sul disegno di legge, presentato dal Presidente del Consiglio in accordo con tutti i Ministri, non posso sottrarmi alla suggestione dei ricordi; non posso dimenticare che non è la prima volta che nel Parlamento italiano viene presentata una legge sul giuramento.
Non posso non ricordare che nel dicembre del 1882 (taluni di noi erano appena nati, e molti fra voi erano tra i nascituri), non posso non ricordare che allora fu presentato un disegno di legge sul giuramento, che diede luogo ad una discussione memoranda.
Il disegno di legge era presentato da Agostino Depretis, ed erano in Commissione uomini come Marco Minghetti e Ferdinando Martini. Alla discussione parteciparono uomini come un Andrea Costa, un Benedetto Cairoli, un Agostino Bertani. E sul problema, il mio gruppo, il gruppo del Partito Repubblicano, espresse il suo giudizio con la parola di un uomo che fu il vanto dell’Ateneo napoletano, che fu l’onore del Parlamento italiano, e al quale gli onesti di tutti i partiti, pur dissentendo, si inchinarono come innanzi ad un uomo rispettabilissimo per la integrità del carattere e per la nobiltà dell’intelletto: alludo a Giovanni Bovio. Invito i più giovani a leggere quel discorso, denso di pensiero, di Giovanni Bovio.
Ma è pur vero che trattavasi allora di una legge specifica, di una legge concernente il giuramento politico dei deputati, un giuramento da prestarsi quando lo Stato viveva, per così dire, la sua vita normale, nel suo assetto monarchico-costituzionale; mentre oggi si tratta di una ben altra legge, di una legge generica, di una legge concernente il giuramento di ogni cittadino in quanto funzionario dello Stato e di uno Stato che – per quanto, dopo il referendum, inequivocabilmente repubblicano – è ancora nel suo formarsi e attende ancora dalla nuova costituzione e dalla nuova legislazione il suo vero fondamento, il suo stabile assetto democratico e costituzionale.
Per essere quanto più possibile fedele nella mia relazione, dirò che in seno alla Commissione non sono mancati pregiudizialmente giudizi di carattere etico e filosofico.
Taluno ha detto che il giuramento in tanto ha valore in quanto risponde all’intimo convincimento della coscienza. Perfettamente d’accordo. Non sono i giuramenti che sostengono le istituzioni vacillanti, non sono i giuramenti che consolidano le istituzioni nascenti. Questo è stato ed è il pensiero costante della scuola repubblicana italiana. Se un giuramento non risponde all’intimo dettato della coscienza, non è più un giuramento. Un giuramento in sé ha un carattere essenzialmente religioso.
Altri ha osservato una certa contraddittorietà in questo disegno di legge. Si è detto: con quale coerenza possiamo noi discutere un disegno di legge sul giuramento di fedeltà ad una istituzione che ancora attende dalla Costituzione la sua formulazione giuridica? Sotto un dato aspetto, anche questo è vero, e certo la Commissione si sarebbe trovata molto più a suo agio se avesse avuto innanzi a sé quello che sull’argomento ha deciso o dovrà decidere la prima o la seconda Sottocommissione per la Costituzione. Questo è vero, ma è anche vero che, nella mora della futura prossima Costituzione, lo Stato ha ben il diritto ed il dovere di esigere dai cittadini, in quanto funzionari dello Stato, un atto di fedeltà alle istituzioni repubblicane.
Sono state fatte altre due considerazioni di carattere generale. Lo dico per offrire materia di una possibile discussione.
La prima considerazione è stata quella dell’onorevole Lucifero. È presente?
LUCIFERO. Sono qui.
DELLA SETA. E voglia essere questo un omaggio personale all’onorevole Lucifero, il quale, pur considerando, come egli mi ha dichiarato, la monarchia una forma perfetta di Governo, tuttavia, come riconoscimento di un fatto storico, come rispetto delle leggi esistenti, non ha esitato a fare in seno alla Commissione una dichiarazione di lealismo repubblicano. (Commenti).
L’onorevole Lucifero così argomenta: perché far rinnovare il giuramento a quelli che hanno già prestato sotto la formula monarchica? Ormai, egli dice, quelli che hanno già prestato un tale giuramento, ne sono stati prosciolti dal luogotenente; quindi il primo termine, la formula «il re e la monarchia», se ne è andato, rimanendo il secondo termine, il giuramento verso la patria. Non v’è bisogno quindi di far ripetere questo giuramento. E perché? Perché, dice, noi turberemmo la coscienza di questi cittadini. Conclusione? Nessuna necessità, per questi funzionari, di un nuovo giuramento.
Noi apprezziamo molto le preoccupazioni psicologiche dell’onorevole Lucifero, ma non possiamo accettare questo psicologismo luciferiano (Ilarità): non può valere come giuramento repubblicano un giuramento che antecedentemente fu prestato con intendimento monarchico. Non si tratta di filologia, di parole spostate od aggiunte. Si tratta di psicologia, di morale e di politica: e perciò giustamente, nel disegno di legge, è stato affermato che non solo dovranno prestare il giuramento quei cittadini che non lo hanno mai prestato, ma anche quelli che già lo prestarono. Questi ultimi, dopo l’approvazione di questo disegno di legge, dovranno rinnovare il giuramento. Ciò è consacrato nell’articolo 1, dove dice: «prestare o rinnovare il giuramento».
Una seconda considerazione è stata fatta da chi ha l’onore di parlarvi. Noi siamo rimasti impressionati come nel disegno di legge siasi troppo accentuato il carattere della provvisorietà. Si dice che fino a quando non verrà deliberata la nuova Costituzione la disciplina della materia non potrà non avere evidentemente che carattere provvisorio, in quanto che le formule di giuramento sono strettamente collegate alla struttura politica e amministrativa dello Stato.
Si ripete infatti nel già citato articolo 1° del disegno di legge: «fino a quando non venga diversamente stabilito in dipendenza della nuova Costituzione dello Stato».
Nessun dubbio, dal punto di vista formale e costituzionale, sulla provvisorietà di questo giuramento.
Ma, a parte la considerazione preliminare che si è troppo esagerato nell’affermazione di questa provvisorietà (Capo provvisorio dello Stato, Repubblica provvisoria, ecc.), a parte tutto questo, vi è una certa logica in questa nostra seconda considerazione. Il giuramento provvisorio è prestato da un cittadino al Capo provvisorio dello Stato; e poiché questo Capo provvisorio – l’osservazione non ha nessun carattere personale, – non ha prestato il giuramento innanzi alla Assemblea da cui è stato eletto, si avrebbe un cittadino che presta il giuramento nelle mani del Capo che non ha giurato.
Non bisogna esagerare. Anche se provvisorio, si tratta pur sempre di un giuramento di fedeltà alla Repubblica, che non potrà essere sostanzialmente diverso da quello che verrà sancito nella Costituzione. Si tratta sempre di un giuramento alle istituzioni repubblicane. Non dobbiamo dunque troppo accentuare questo carattere della provvisorietà.
Per la chiarezza dei concetti dobbiamo considerare la norma giuridica che disciplina tutta questa materia come distinta in tre momenti:
primo momento, il momento attuale: fino a che questo disegno di legge non sarà approvato, rimane in vigore l’articolo 9 del decreto legislativo presidenziale 9 giugno 1946, vale a dire si presterà il giuramento secondo la formula che già si prestava sotto la monarchia, tolto naturalmente ogni accenno al re ed all’istituto monarchico;
secondo momento: si giurerà conforme alla formula dell’attuale disegno di legge, dopo la sua approvazione;
terzo momento: si giurerà secondo la formula approvata dalla nuova Costituzione, per quanto, ripeto, tra il secondo momento ed il terzo non ci potrà essere un grande divario, perché si tratterà sempre di un giuramento di fedeltà prestato alle istituzioni repubblicane.
Ed ora veniamo agli articoli. Per quanto riguarda l’articolo 1, la Commissione ha ritenuto di staccarne il secondo comma per farne un articolo a parte, l’ultimo articolo, l’articolo 8.
L’articolo 2 riguarda le Forze armate, e dice: «La formula di giuramento per gli appartenenti alle Forze armate dello Stato è stabilita come segue: «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana ed al suo Capo, di osservare lealmente le leggi e di adempiere tutti i doveri del mio stato al solo scopo del bene della Patria». La stessa formula si applica per gli appartenenti ai corpi militarizzati, nei casi in cui il giuramento sia previsto dalle vigenti disposizioni».
Su questo articolo la Commissione non ha avuto nulla da obiettare: era pienamente giustificato che, tra le categorie, in primissima linea venissero le Forze armate. È da queste sovrattutto che lo Stato ha il diritto di esigere un giuramento di fedeltà. La storia insegna che molte volte le Forze armate potrebbero ben tramutarsi in bande armate per qualche colpo di mano o per qualche criminale politica avventura. È anche giusto l’aver incluso il concetto di «Patria». Se il milite rimane sempre un cittadino con tutti i diritti civili e politici – questo è il principio della democrazia – tuttavia le Forze armate stanno al di sopra e al di fuori dei partiti, essendo loro compito specifico quello di difendere la Patria.
Per quanto riguarda l’articolo 3, circa la formula di giuramento per i dipendenti civili dello Stato e degli enti locali, la Commissione, pure accettandone sostanzialmente la formulazione, ha proposto una forma molto più concisa, ponendo soprattutto in rilievo il dovere del mantenimento del segreto di Stato, un segreto che troppe volte purtroppo non viene rispettato. La formula proposta è la seguente:
«La formula di giuramento per i dipendenti civili dello Stato e per i dipendenti degli enti locali è stabilita come segue:
«Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana e al suo Capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato, di adempiere tutti i miei doveri, serbando scrupolosamente il segreto d’ufficio, nell’interesse dell’Amministrazione e per il pubblico bene».
Per la promessa solenne, richiesta dalle vigenti disposizioni agli impiegati in prova, si applica la formula di cui al comma precedente, sostituendo la parola «prometto» alla parola «giuro».
L’articolo 4, a parte un inciso sul quale richiamerò tra breve la vostra attenzione, riguarda i magistrati dell’Ordine giudiziario od amministrativo.
Si potrebbe osservare che, in fondo, il dovere del magistrato può essere equiparato al dovere cui deve attenersi qualsiasi altro funzionario dello Stato. Ma qui giustamente si è voluto rendere un particolare omaggio alla magistratura nel grande suo compito di amministrare la giustizia.
Se la Costituzione, da una parte, sancirà la indipendenza della magistratura, dall’altra è un dovere per il magistrato di essere fedele alle istituzioni dello Stato, specie in questo delicato momento, nel quale non poche ancora sono le cause di carattere essenzialmente politico. È bene che il magistrato conservi, con la indipendenza, anche una grande serenità di giudizio.
All’articolo 5 la Commissione ha apportato una modificazione. La disposizione riguarda coloro che «occasionalmente» sono investiti di pubbliche funzioni. Si è voluto distinguere il giuramento di chi deve semplicemente adempiere un dovere inerente alla funzione temporanea che esercita – per esempio un perito o un giurato – dal giuramento di coloro che sono investiti di vere e proprie funzioni di Stato.
Sull’articolo 6, riguardante il giuramento dei sindaci e dei presidenti delle deputazioni provinciali, e sull’articolo 7, riguardante il giuramento prescritto per coloro ai quali sia stata concessa la cittadinanza italiana, la Commissione non ha nulla da eccepire.
Ripeto che, dopo l’articolo 7, viene posto, sotto forma di articolo 8, il secondo comma dell’articolo 1, concernente la formula del giuramento, sino a che questo disegno di legge non sarà approvato.
Ed ora eccomi all’inciso dell’articolo 4 cui dianzi accennavo. Con questo inciso si richiamano all’obbligo del giuramento, come i magistrati, così i professori universitari.
La Commissione unanime, proponendo un emendamento e attenendosi, del resto, a quanto già disposto nel decreto legislativo in data 5 luglio 1945, ha invece ritenuto che i professori universitari debbano essere esentati dal giuramento.
Vedo in questo momento il Ministro della pubblica istruzione, onorevole Gonella. Sono lieto di tributargli un pubblico plauso, non solo in quanto, nel discorso inaugurale del Congresso internazionale di filosofia, ha esaltato la libertà della scienza, la libertà del pensiero, la libertà dell’indagine scientifica, ma soprattutto in quanto più recentemente, in una radio-conversazione, ed all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Padova, si è pronunciato esplicitamente per l’esonero dei professori universitari da ogni obbligo del giuramento.
Suggestionato da un parvente egalitarismo, taluno ha pur voluto osservare; che, se i professori universitari non giurano, dovrebbero non giurare anche i professori degli altri gradi, i professori delle scuole medie e delle elementari; e che, se questi insegnanti giurano, dovrebbero giurare anche i professori universitari. Noi teniamo a rilevare che nel proporre l’emendamento la Commissione ha seguito un ben altro criterio: noi non abbiamo voluto costituire per i professori universitari un privilegio, il che non sarebbe democrazia; né tanto meno riteniamo che un professore universitario, venendo meno alla dignità della cattedra, possa tramutare la cattedra in tribuna od in pulpito per farvi della propaganda politica, o confessionale. La ragione è ben più alta. Noi abbiamo proposto il nostro emendamento non tanto per una ragione di ordine contingente – che in questo momento avrebbe pure il suo alto significato – cioè come condanna ancora una volta di un regime che fra tante ignominie ebbe pur quella di innalzare alla dignità della cattedra insegnanti che alla propria ignoranza supplivano col servilismo della coscienza (Approvazioni) e di costringere molti docenti, insigni per nobiltà di vita e per altezza di mente, a scendere dalla cattedra piuttosto che prestare un giuramento che non rispondesse al proprio intimo convincimento. Noi abbiamo proposto l’emendamento perché vogliamo la libertà dell’insegnamento per tutti; perché vogliamo la libertà del pensiero e della scienza, perché vogliamo la libertà dell’indagine, senza di cui l’Ateneo non può essere quello che fu, e dovrà essere, cioè il vero tempio civile della Nazione, cioè l’istituto che dovrà stare alla avanguardia nella ricostruzione spirituale della Patria.
Con questo io chiudo la mia relazione. Spero essere stato interprete fedele del pensiero della Commissione. La Commissione non dubita che, con tutte le modificazioni che, attraverso la libera discussione, potranno essere apportate, questo disegno di legge abbia presto la sua applicazione. Questa legge non vuole essere una violenza esercitala all’altrui coscienza, né tanto meno vuole essere l’affermazione esclusiva di un principio ideologico proprio di un dato partito politico. Questo giuramento di fedeltà alla Repubblica vuol essere un segno di riconciliazione, non di disgregazione e di odio di parte; vuole essere il riconoscimento di quanto la Nazione ha affermato nel pieno esercizio della sua sovranità; vuol essere l’ossequio alle leggi dello Stato democraticamente costituito; vuol essere un giuramento di fedeltà alla Patria. Patria e repubblica oggi s’identificano: questa patria, questa repubblica, che noi tutti oggi, senza restrizioni mentali e contro ogni possibile insidia, abbiamo il diritto e il dovere di difendere, di consolidare c di perfezionare con devozione di figli e con lealtà di cittadini. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Non era mia intenzione di chiedere la parola su questo argomento, perché avevo già avuto l’onore di esporre il mio pensiero alla Commissione, di cui il Presidente ha voluto chiamarmi a far parte.
Ma poiché l’onorevole Della Seta, con tanta cordialità e lealtà di avversario e di amico, ha voluto richiamare e ricordare le affermazioni da me fatte in tale sede, ritengo mio dovere di assumerne personalmente la responsabilità in questa aula e di chiarirne il significato, onde non vi possano essere – come altra volta è accaduto – false interpretazioni.
Io ho confermato in quella, come in ogni sede, la mia convinzione e la fede che è nota: io ero e sono un monarchico. Chi ha combattuto come io ho combattuto una battaglia, non la può combattere in quel modo senza una profonda convinzione, e le convinzioni non possono cambiare per un voto.
Non nego, però, che oggi lo Stato italiano abbia una forma e che in questa forma esso si esplichi e si sviluppi: questa forma è quella che sta diventando e si sta costruendo nella forma repubblicana. Quindi, pur restando monarchico, vedo – come ha detto l’onorevole Della Seta – dietro questa forma la patria e confermo ancora una volta che, come ieri gli italiani repubblicani servirono questa patria fedelmente quando era retta a monarchia, con la stessa fedeltà i monarchici italiani servono la patria, oggi che si avvia a costituirsi in repubblica.
È un atto di lealtà verso la patria e le sue leggi; è un dovere di cittadino, di tutti gli italiani di qualunque fede, di fronte all’Italia; è la convinzione profonda del dovere che ci accomuna e ci impone di vivere per la patria e, se è necessario, per la patria morire. (Applausi al centro e a destra).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Bencivenga. Ne ha facoltà.
BENC1VENGA. La nostra Assemblea è messa di fronte ad un disegno di legge, cui è doveroso annettere grande importanza data l’urgenza richiesta dal Governo, senza che l’Assemblea abbia avuto il tempo necessario per fare indagini sulla sua portata.
Non mi dilungo sulla opportunità di un giuramento. Potrei qui leggere le bellissime parole pronunciate alla radio dal Ministro della pubblica istruzione, onorevole Gonella; potrei ricordare le discussioni avvenute alla Camera dei Deputati nel 1882; potrei, infine, ricordare come la Repubblica francese, dopo l’infelice esperimento della Repubblica del 1848 abolì il giuramento che – si noti – era allora limitato a quello del solo Presidente.
Ricorderò come gli uomini di sinistra furono tutti avversi al giuramento, il quale avrebbe solo un valore se religioso. Ricorderò come lo statuto di re Carlo Alberto stabiliva il giuramento dei soli Deputati e Senatori e che solo nel 1872 fu introdotto il giuramento nell’esercito dal regolamento di disciplina.
Ma non è il caso di dilungarsi sull’argomento; basta accennare al fatto che il giuramento è stato abolito dalle democrazie più evolute, per chiedersi se la nostra Costituzione dovrà stabilire l’obbligo del giuramento. Una discussione in tal senso avrebbe dovuto avere la precedenza. Ma la cosa più grave è che la legge, che viene sottoposta al nostro esame, parla di giuramento al Capo dello Stato e alla Repubblica, senza che siano definiti i poteri del Capo dello Stato e la forma della Repubblica. E si noti che deliberatamente si è introdotta una formula che lega il giuramento non a quello che è oggi la Repubblica, né a quello che è oggi il Capo dello Stato, ma a quello che risulterà dalla Costituzione, che deve essere ancora discussa e approvata. Faccio rilevare, comunque, che nelle Costituzioni che prescrivono il giuramento, esso viene prestato per primo dal Capo dello Stato.
Ora, quale sarà la formula di questo giuramento al Capo dello Stato nella nuova Repubblica? Io non sollevo la questione per spirito di parte o per virtuosismi giuridici, ma perché ciò che è stabilito dalla legge presenta gravi pericoli; e qui mi riferisco essenzialmente alle forze armate. Quali poteri avrà in questo campo il Presidente della Repubblica? Sarà, come nella monarchia di Carlo Alberto, il Presidente della Repubblica anche il Capo delle forze armate? E in tal caso, in quale situazione le forze armate si troverebbero nella eventualità di un colpo di Stato da parte del Presidente, quale fu quello di Luigi Napoleone del 2 dicembre 1851? Ho accennato a questi punti, non già illudendomi di sviscerare l’argomento, ma per mettere in luce la stretta correlazione che esiste tra la formula del giuramento, il tipo di Repubblica e i poteri del suo Presidente.
Ora, sembra strano che tutte queste considerazioni non siano venute in mente al Governo. Perché allora strozzare la discussione con la presentazione di un disegno di legge di urgenza, che molti di noi non hanno neppure letto e sul quale non hanno potuto meditare, tanto meno sulle considerazioni del relatore del disegno di legge?
Questa fretta può dar luogo a sospetti che è bene diradare. Aggiungerò che sollevare oggi una tale questione è un contributo a quel malessere che è in molti strati della pubblica opinione. Mi permetterò di ricordare che la moderazione è saggia arte di Governo e che la storia insegna che anche le più desiderate restaurazioni e invocate radicali riforme hanno fallito quando ha fatto difetto la misura dei provvedimenti. Stiano sicuri i colleghi del Parlamento che oggi la Repubblica non corre alcun percolo e che, comunque, non sarebbe un giramento, come la storia insegna, quello che ne garantirebbe la stabilità. Propongo quindi all’Assemblea il rinvio alla discussione in sede di esame del progetto della nuova Costituzione. Prego, comunque, di prendere atto che la mia proposta di rinvio non parte da propositi ostruzionistici, ma da una gelosa cura perché la libertà e la democrazia siano, per quanto è umanamente possibile, messe al sicuro sotto ogni aspetto. (Vivi applausi a destra).
PRESIDENTE. Pongo in discussione la proposta di sospensiva dell’onorevole Bencivenga. Chiedo al Governo di esprimere il suo parere.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Vorrei osservare, egregi colleghi, ciò che è evidente, che questo progettino non pregiudica affatto i diritti dell’Assemblea e quindi le tesi generali per cui il giuramento si possa mantenere o non mantenere nel nuovo Stato. Noi ci troviamo dinanzi a delle condizioni di fatto; alcune formule di giuramento devono essere modificate. Noi le abbiamo modificate una prima volta omettendole, e questo nelle prime 36 ore dopo la proclamazione del referendum; ma oggi quelle formule sono diventate vacue; bisogna quindi sostituirle con qualche cosa dopo il fatto compiuto ed è quello che abbiamo disposto, senza voler pregiudicare menomamente una deliberazione definitiva dell’Assemblea circa la formula del giuramento.
Io convengo che, in tesi generale, si possa essere contrari a qualsiasi formula di giuramento; ma questo è mantenuto in quanto costituisce per il funzionario direttiva sostanziale che riguarda l’esistenza dello Stato. Bisognava dunque creare, almeno provvisoriamente, una formula che potesse essere consolidata nella Costituzione stessa. Nell’articolo primo, si dice precisamente: «Fino a quando non venga diversamente stabilito in dipendenza della nuova Costituzione dello Stato». E qui è già fissato subito il carattere transitorio del provvedimento.
Non si tratta poi di un tentativo d’urgenza di consolidare la Repubblica, perché la Repubblica è già viva ed è già un fatto che è nella coscienza del popolo. Non è quindi che dalla nostra formula possa dipendere il suo consolidamento. Sono favorevole, e sempre lo sono stato fin dall’inizio, a questa affermazione d’una formula per tutto quanto riguarda i militari e i funzionari dello Stato. Perché? Proprio per un senso diverso che pare preoccupi l’onorevole Bencivenga. Ci sono degli uomini i quali lealmente hanno servito la Monarchia e conservano ancora in sé un senso di devozione, sia alle persone, sia all’istituto come tale; però sono uomini leali, sono uomini che riconoscono che fondamentalmente si deve obbedire alle leggi; essi accettano la forma democratica; riconoscono che il popolo ha deliberato coscientemente e deliberato definitivamente.
L’onorevole Lucifero qui alla Camera ha avuto occasione di chiarire il suo pensiero e nessuno – a cominciare dal Relatore – può mettere in dubbio la lealtà che si rivela nelle parole dell’onorevole Lucifero, cioè la lealtà del suo impegno ad obbedire alle leggi dello Stato e a collaborare al consolidamento della sua forma presente.
Ma quanti altri nel servizio militare o nel servizio civile dello Stato hanno questa occasione?
E come potrebbe serpeggiare il sospetto che siano dei traditori di fronte ai loro compiti nella gerarchia civile e militare? Se si tratta di uomini d’onore che, pur avendo servito la Monarchia, alzeranno la mano per giurare il rispetto alla Repubblica italiana, non ci sarà motivo di ritenere e nessuno potrà dubitare che non lo facciano con piena coscienza è lealtà.
E allora io dico che questa è una misura di conciliazione, una misura di libertà; che mette dinanzi a tutto il popolo l’impegno dell’onore, l’impegno della coscienza.
Perciò non mi pare che si possa rinviare la legge del giuramento, nell’interesse stesso della conciliazione nazionale, guidali da un pensiero unico, il pensiero delle sorti della Patria, alle quali l’onorevole Lucifero, con parole cosi eloquenti, ha inneggiato.
Quindi prego la Camera di respingere la proposta di rinvio. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Sulla proposta di sospensiva hanno diritto di parlare due deputati a favore e due contro.
LUSSU. Chiedo di parlare per esprimere parere contrario.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Non mi ero proposto di parlare su questo argomento, e se non avessi udito le argomentazioni dell’onorevole Bencivenga non avrei parlato.
Ma ho sentito, e sono certo che molti colleghi di quest’aula hanno sentito, con me, il pericolo politico che nel pensiero dell’onorevole Bencivenga e di altri suoi colleghi è implicitamente posto, quando si sostenga che non è più necessario che l’Esercito pronunci il giuramento di fedeltà tradizionale agli istituti della Nazione.
Io so, per mia esperienza personale, avendo l’onore di annoverare nell’Esercito molti ufficiali miei amici repubblicani o monarchici, quale peso abbia questo impegno d’onore per quanti prestano il loro servizio nelle forze armate.
Io so che nel periodo critico, in cui si discuteva di monarchia e di repubblica, molti ufficiali che, per una profonda crisi di coscienza subita durante il periodo della lotta clandestina, erano arrivati al convincimento della necessità di questa nostra Repubblica, dicevano: «Ma noi siamo legati dal giuramento alla monarchia!»
E io deferivo a questo senso d’onore che impegnava alla monarchia molti cittadini, mettendoli al bivio di fronte al problema centrale della ricostruzione nazionale.
Non è quindi vero (e voi, onorevole Bencivenga, valoroso soldato e capo di valorosi combattenti dovete riconoscerlo per primo), non è vero che il giuramento non significhi nulla per quanti prestino servizio nelle forze armate.
Il giuramento è un grande impegno di onore, del quale ciascuno riconosce l’indispensabilità dell’adempimento, e che è pertanto una cosa estremamente seria. Ecco perché mi stupisco che l’onorevole Bencivenga faccia questa proposta.
Da questi banchi, dove era venti anni fa, l’onorevole Bencivenga è passato adesso a quei banchi… (Applausi a sinistra – Rumori a destra).
PATRISSI. È un apprezzamento gratuito!
LUSSU. Noi ci conosciamo da tempo, onorevole Bencivenga, e lei sa che qui affermo una cosa profondamente vera. Non si presta giuramento? Come non si presta giuramento? Dice l’onorevole Bencivenga: Lo si presterebbe al Capo della Repubblica e alla Repubblica, ma a quale Capo e a quale Repubblica?
Ma questa Assemblea Costituente è precisamente convocata per darsi una Costituzione democratica e non già dittatoriale. Sappiamo quindi che noi avremo un Presidente, che avrà posto in istituti democratici, e che avremo una Costituzione repubblicana democratica e non dittatoriale (Rumori a destra); per cui quando l’onorevole Bencivenga si pone il quesito quasi drammatico «che cosa farà l’Esercito se, per ipotesi, si ripetesse il triste avvenimento per cui Napoleone III andò al potere col colpo di Stato, quale contegno in quel caso terranno le forze armate?», io rispondo, onorevole Bencivenga, che in quel caso le forze armate, che hanno prestato il giuramento di servire il Capo dello Stato e la Repubblica democratica, hanno un solo dovere: quello di sparare su Napoleone Bonaparte… (Applausi all’estrema sinistra – Commenti e rumori a destra) …che suppongo potrà essere, per esempio, una volta che abbia deposto la sua bella penna per la spada folgorante, il leader dell’Uomo Qualunque…
PATRISSI. Anche questi sono apprezzamenti gratuiti. Siate più seri. (Rumori).
Una voce a destra. È un vecchio slogan!
BENCIVENGA. Questo è il giuramento fascista.
LUSSU. Esattamente il 5 dicembre l’onorevole leader dell’Uomo Qualunque, parlando in un comizio a Cagliari, ha detto: «C’è in Italia il pericolo della guerra civile. Uno solo non la vuole e la impedisce: e sono io, Guglielmo Giannini!» (Ilarità – Interruzioni – Commenti).
Una voce a destra. Ma cosa c’entra questo col giuramento? Qui non si fa ora un comizio.
PRESIDENTE. Lascino parlare l’oratore. Non interrompano!
LUSSU. Se non mi sbaglio, chi interrompe è l’onorevole Giannini in persona?… (Rumori – Commenti – Proteste).
Ho ascoltato quasi religiosamente il collega Bencivenga quando esponeva delle idee totalmente contrarie alle mie. (Interruzioni – Rumori).
PRESIDENTE. Non interrompano!
LUSSU. Se, come è da ritenere, il «Buon senso» è l’organo ufficiale del qualunquismo… (Interruzioni – Rumori).
Una voce a destra. Ma che c’entra questo? Parli del giuramento! (Interruzioni – Rumori).
LUSSU. Anche io ho il diritto di rispondere alle interruzioni. (Rumori).
Il discorso dell’onorevole Giannini, che ho rievocato in parte, perché è riportato nell’organo ufficiale dell’«Uomo Qualunque»…
Una voce a destra. Ma che c’entra l’«Uomo Qualunque» col giuramento? (Interruzioni – Rumori).
LUSSU… il discorso dell’onorevole Giannini – e cito testualmente – è riprodotto nell’organo ufficiale dell’«Uomo Qualunque»…
RUSSO PEREZ. Parli del giuramento. (Rumori – Interruzioni).
PRESIDENTE. Continui, onorevole Lussu.
LUSSU. Senza queste interruzioni avrei già finito. L’onorevole Giannini, dunque, leader del qualunquismo… (Interruzioni – Rumori).
PRESIDENTE. Vada avanti, onorevole Lussu.
LUSSU… allora, l’onorevole Giannini… (Interruzioni – Rumori).
Una voce a sinistra. Non parli dell’Uomo Qualunque; parli di fascisti, perché sono fascisti quelli dell’Uomo Qualunque… (Vivi rumori a destra – Interruzioni – Rumori – Scambio di vivaci apostrofi fra l’estrema sinistra e la destra).
PRESIDENTE. Proseguiamo nella discussione, che dovrebbe essere molto seria. (Approvazioni). Prego l’onorevole Lussu di continuare.
LUSSU. Io sono lieto che in questo momento sia rientrato nell’aula l’onorevole Giannini, il quale garantirà della fedeltà con la quale ho citato il suo pensiero espresso in un grande comizio pubblico nella città di Cagliari il 5 dicembre, nel quale – desidero collegare il ragionamento che le molte interruzioni hanno allungato – nel quale l’onorevole Giannini diceva che egli solo, Guglielmo Giannini, egli solo ha impedito e impedisce la guerra civile. (Rumori – Commenti).
GIANNINI. È vero! (Rumori vivissimi all’estrema sinistra).
PRESIDENTE. È una opinione personale dell’onorevole Giannini. Continui, onorevole Lussu.
LUSSU. Io ho riferito dunque il pensiero in modo perfettamente esatto. (Rumori).
PRESIDENTE. Sta bene. Continui.
LUSSU. Dobbiamo essere grati all’onorevole Giannini per tanto spirito patriottico accomodante, e in un certo senso ci sentiamo tranquilli dopo questa dichiarazione che egli ancora ha riconfermato poc’anzi. Però dall’altro canto noi dobbiamo esprimere le nostre preoccupazioni, perché se da una parte soltanto l’onorevole Giannini, ed egli solo, impedisce la guerra civile, dall’altra, quelli che la vorrebbero, evidentemente la grande maggioranza dei suoi seguaci… (Interruzioni – Rumori)… cioè, c’è una grande parte di voi che prenderebbe gusto letterario a un simile avvenimento, il quale – onorevole Giannini, io non lo auguro a nessuno, per le sorti del nostro Paese – è una cosa ben differente da una commedia teatrale. (Applausi a sinistra – Rumori – Commenti a destra).
Questo dicevo per affermare che è falso che la Repubblica sia consolidata.
Onorevole Bencivenga, è falso che la Repubblica sia sicura, e i vostri stessi argomenti per impedire che si presti il giuramento rivelano una speranza che la Repubblica non sia consolidata (Applausi a sinistra – Rumori, proteste a destra).
Ma quanti nel nostro Paese hanno speso la loro vita e impegnato tutta la loro azione per il trionfo della democrazia e della Repubblica non permetteranno così facilmente che questa grande e fondamentale conquista democratica possa essere distrutta.
Il giuramento è necessario a consolidare la stabilità della democrazia; non vi sarebbe niente di più catastrofico per la ricostruzione del nostro Paese che avere l’opinione pubblica permanentemente divisa tra monarchia e repubblica, perché non possiamo permetterci il lusso di un secondo referendum, dopo di che ne verrebbe un terzo. La volontà popolare si è espressa. Noi abbiamo una democrazia repubblicana, abbiamo la Repubblica e dobbiamo consolidarla come istituto permanente, storico. (Interruzioni a destra).
Ed allora, onorevole Bencivenga, mi consenta: bisogna che tutti i soldati siano chiamati a questo dovere. E qui mi permetto rivolgermi al Governo, al Presidente del Consiglio, a tutti i Ministri, che hanno responsabilità collegiale, e soprattutto ai tre Ministri delle forze armate: noi non ci sentiamo ancora garantiti. In regime monarchico era giusto, era politico, era necessario che l’esercito fosse monarchico; ma in regime di Repubblica è utile, è necessario, è indispensabile che l’esercito sia repubblicano. (Applausi a sinistra).
CAPUA. È indispensabile che l’esercito sia italiano! (Rumori a sinistra).
LUSSU. Ho espresso le mie preoccupazioni e, credo, quelle di parecchi settori di quest’aula: i tre Ministri delle forze armate lavorano troppo lentamente. Noi abbiamo bisogno della riforma integrale dell’organizzazione del Ministero della guerra, dell’esercito, del Ministero della marina, della flotta anche se ridotta, del Ministero dell’aeronautica…
CAPUA…. di essere repubblicani obbligatori!
LUSSU…. noi esigiamo che queste forze armate siano, per la riforma dei quadri, garantite da capi sicuri. Essi debbono riscattarle dal periodo miserabile dell’avventura fascista, in cui lo stesso esercito è stato ingolfato; essi sono chiamati a riscattare questo periodo e ridare al paese forze armate espresse dagli interessi, dalla volontà, dalla dignità e dall’onore della Nazione, della nuova democrazia repubblicana.
Concludo affermando che non basta, onorevole Bencivenga, pronunciarsi per la libertà e la democrazia; siamo tutti per la libertà e la democrazia: però oggi in Italia non c’è libertà, né democrazia senza la Repubblica. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per fatto personale, l’onorevole Bencivenga. Ne ha facoltà.
BENCIVENGA. Dirò due parole semplicemente. Il collega Lussu è in un momento di cattivo umore e soprattutto non ha ascoltato quello che ho detto; aggiungo che, forse, non ha tutto compreso. Io ho fatto la questione se era veramente urgente presentare un disegno di legge ed imporne la trattazione di urgenza non dando nemmeno il tempo di riflettere. Non so spiegarmi perché questo sia avvenuto. Quanto alla questione del giuramento, non ho espresso nessun parere, né pro, né contro, perché ciò dipende dalla formula stessa del giuramento. Che vi siano molti contrari ai giuramenti, voi potete accertavene ricordando ciò che scrissero o dissero pensatori ed anche molti uomini politici.
PRESIDENTE. Onorevole Bencivenga, si limiti al fatto personale.
BENCIVENGA. Quanto poi al fatto che nell’esercito sia necessario il giuramento, non l’ho nemmeno messo in dubbio: ma, quale giuramento? Per la Patria, altrimenti nel passato tutti i repubblicani, che hanno Combattuto sotto casa Savoia, avrebbero tradito la loro fede.
Hanno combattuto per la Patria. Il giuramento dell’esercito infatti è: «Giuro di essere fedele al Re ed ai suoi Reali successori, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato al solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria». Ora io dico: i repubblicani dell’esercito hanno combattuto per il Re, per la monarchia? No, hanno combattuto per la Patria! Quindi il giuramento che sancirà l’obbligo del cittadino italiano di lottare per la Patria è sacrosanto!
GIANNINI. Chiedo la parola per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Desidero rassicurare l’onorevole Lussu.
È vero che ho detto sulla piazza di Cagliari che la guerra civile in Italia non si fa anche perché io non la voglio. (Interruzioni a sinistra).
Amici miei, io vi consiglio, nel vostro interesse, di non interrompermi. Io sono uomo di battute: più interrompete e più mi incitate. (Si ride – Commenti).
Volevo dire all’onorevole Lussu che si rassicuri. È sempre un bene che ci sia qualcuno che non voglia la guerra civile; ed il fatto che io non la voglia lo dovrebbe rassicurare. Ad ogni modo, posso effettivamente giurare, con la formula del giuramento che egli vorrà, che alla guerra civile non ci voglio arrivare; e che del fatto che non ci voglio arrivare ne ho dato prova e ne do prova ogni giorno.
Onorevole Lussu, legga le cronache dei giornali e si convincerà della nostra sincerità.
Sarebbe opportuno nelle nostre discussioni non mettere tanto odio, tanto astio; innanzitutto non è bello, e poi non risponde al nostro temperamento. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore della proposta Bencivenga l’onorevole Badini Confalonieri. Ne ha facoltà.
BAD1NI CONFALONIERI. Premetto che non mi interessa la questione personale dell’onorevole Lussu con l’onorevole Bencivenga o con l’onorevole Giannini. Mi interessa soltanto la questione del giuramento. Alle osservazioni dell’onorevole Lussu posso rispondere con due brevi obiezioni. L’onorevole Lussu ha detto che non sarà il caso, ma che se comunque fosse il caso, dovrebbe l’esercito sparare su colui che ritentasse il gesto di Napoleone Buonaparte. Sono d’accordo. Ma ritengo che col giuramento o senza il giuramento, questo comportamento sarà sempre di obbligo per un qualsiasi esercito italiano. E pertanto l’argomento dell’onorevole preopinante nulla conferisce a favore o contro il giuramento.
Afferma drasticamente l’onorevole Lussu: è falso che la Repubblica si sia consolidata. Posso obiettare che è altrettanto falso che la Repubblica si possa consolidare mediante atti formali quali il giuramento.
Ci auguriamo che con altri istituti di ben diversa, concreta sostanza si possa, e si debba consolidare la Repubblica.
Ci sono poi gli argomenti dell’onorevole Presidente del Consiglio, il quale asserisce che la proposta di oggi non pregiudica quella decisione che l’Assemblea Costituente potrà assumere domani. Non pregiudica; la cosa è dubbia. Ma pregiudica forse il sospendere la sottomissione al giuramento oggi, in attesa di quella deliberazione che con ben maggiore ponderatezza, domani potrà questa Assemblea assumere?
Io penso assolutamente di no. A prescindere da ovvie ragioni di opportunità politica, mi pare che questo istituto del giuramento, di natura indiscutibilmente feudale, non sia oggi di conveniente e urgente attuazione, e lo sia tanto meno dopo quella inflazione di continui giuramenti che abbiamo avuto durante il ventennio fascista, e che hanno dimostrato come un istituto di natura puramente formale nulla aggiunga e nulla tolga a quello che è il vincolo contrattuale – e insieme di onore – che deve legare il funzionario allo Stato. Tant’è che in ogni altro contratto di lavoro, in quel contratto di lavoro che unisce il lavoratore privato al suo datore di lavoro, mai si è ritenuto di ricorrere alla formula del giuramento, e non vedo proprio i motivi che impongono una tale differenza di situazione tra il lavoratore comune delle aziende private ed il lavoratore alle dipendenze dello Stato.
Se una persona dovesse per caso essere legata ad un giuramento, questa dovrebbe essere il Capo dello Stato, e per motivi evidenti. Per ogni altro funzionario statale, se uomo d’onore, il giuramento è superfluo; se non uomo di onore, il giuramento è inutile; ma è comunque evidente che il giuramento oggi è cosa del tutto prematura. Mi richiamo alle osservazioni alle quali ha già fatto cenno l’onorevole Bencivenga: ma che cosa si giura? A quale repubblica? A quella che noi domani intendiamo costituire attraverso i lavori di questa Assemblea Costituente? Ed allora, siamo logici: costituiamo prima la Repubblica, rinsaldiamola mediante una sana Carta costituzionale, e poi parleremo eventualmente di un giuramento. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Molè. Presidente della Commissione. Ne ha facoltà.
MOLÈ, Presidente della Commissione. Devo dire il mio pensiero, che è quello della Commissione nella sua grandissima maggioranza, la quale rispecchia la grande maggioranza dell’Assemblea. La eventualità di un rinvio era stata ventilata da qualche Commissario, ma fu respinta dalla Commissione, la quale non può dunque non rinnovare la sua netta opposizione alla proposta di sospensiva dell’onorevole Bencivenga.
A me pare che la discussione sia sconfinata dal tema e minacci amplificazioni, diversioni e sconfinamenti, che dobbiamo assolutamente evitare.
Ho sentito dibattere questioni teoriche, fare affermazioni di principio, affrontare problemi ideologici, che debbono essere riservati ad altra sede. Ma chi ha mai invitato l’Assemblea a discutere sull’opportunità ed estensione del giuramento, sul suo valore religioso, morale, giuridico, sulle funzioni e uffici che importano o non importano l’obbligo del giuramento? Di queste cose, come di tutti i problemi annessi e connessi, parleremo quando discuteremo il progetto di Costituzione.
Il Presidente del Consiglio non ha presentato e non poteva presentare un progetto di legge organico sul giuramento per porre in campo ex novo le quistioni di merito e di fondo. Egli ha presentato un disegno di carattere transitorio, di proporzioni ben limitate, per soddisfare una concreta esigenza: la sostituzione delle formule di giuramento per coloro che son tenuti a giurare, allo stato della legislazione vigente. Esigenza concreta così evidente, come è evidente il suo carattere di urgenza. L’obbligo di giuramento esiste. Esiste nello Statuto per la parte che provvisoriamente sopravvive, sino alla formazione della nuova Costituzione. Esiste in tutta la legislazione vigente. Se esiste, se è legalmente obbligatorio, come dev’essere prestato?
Ecco lo scopo di questo progetto di legge.
Voi sapete che, dopo il referendum che segnò la fine della monarchia e l’alba della Repubblica, il decreto presidenziale del 19 giugno 1946 mantenne temporaneamente in vigore le vecchie formule, con la sola eliminazione di ogni accenno al cessato regime monarchico. Ora quel decreto, emanato di urgenza dal Presidente del Consiglio, nel momento in cui assumeva la rappresentanza della sovranità nazionale, prima dell’insediamento dell’Assemblea Costituente e della nomina del Capo dello Stato, configurava necessariamente un tipo monco, vago, ambiguo, mutilato di giuramento, perché sanciva l’obbligo generico di fedeltà allo Stato, senza specificazione di forma e di contenuto. Altro allora non si poteva fare. Ma è chiaro che una siffatta formulazione (che poteva essere necessaria e fu necessaria, in quel periodo di trapasso, per assolvere lo scopo indilazionabile di estromettere la crollata sovranità) oggi non può e non deve sussistere, perché anacronistica, antistorica, priva di valore morale e di efficacia obbligatoria.
Signori, ecco la necessità urgente.
Lo Stato non è più monarchico, è repubblicano e occorre giurare fedeltà alla Repubblica e al suo Capo.
Il progetto attuale ha il solo scopo di colmare una lacuna. Poiché l’obbligo di giurare esiste – e non può non esistere, perché non possiamo abrogarlo senza legiferare in materia, squisitamente statutaria, fino a che la Costituzione nuova non sia compiuta – bisogna aggiornare le vecchie formule, nel quadro della legislazione vigente. E noi le abbiamo adeguate alla nuova realtà senza innovare né nel contenuto, né nel numero delle formule e nemmeno quanto alle categorie che ne sono obbligate. Questo è tutto. Volete negare il passo alla realtà? Respingere questo disegno di legge, che ha un mero valore strumentale di governo? Perché? Perché abbiamo sostituito alla monarchia e al re la Repubblica e il suo Capo?
Ma insomma la Repubblica è stata o non è stata instaurata dal referendum? Ma insomma questa Assemblea Costituente ha solennemente conclamato la Repubblica? Ha nominato il suo Capo? La Repubblica, dunque, esiste ed esisterà e ve ne accorgerete, signori. (Applausi a sinistra e al centro).
E se la Repubblica esiste, è illogico, vano, ridicolo, vorrei dirvi, che si voglia impedire un giuramento valido per tutti coloro che devono servire questo Stato, che ormai ha una forma repubblicana, e per legge vigente, non possono, senza giurare, servire lo Stato.
Perché il giuramento, ridotto, com’è ora, alla sua agnostica indeterminazione non è giuramento. Giuramento di fedeltà allo Stato? Ma lo Stato s’identifica attraverso la forma e il contenuto, attraverso gl’istituti e le leggi, attraverso le rappresentanze, gli organi e le funzioni. È Stato la monarchia come la repubblica, quello dei Soviet, quello d’America, quello d’Inghilterra – e anche – quello tedesco di Hitler, d’infame memoria.
In attesa della Costituzione, per evitare che la formula generica si presti alle restrizioni mentali, c’è almeno un elemento che definisce il nostro Stato: la forma repubblicana. Si giuri, identificando il nostro Stato con questo elemento inconfondibile.
Non meno di questo e non più di questo si poteva oggi fare. E non meno e non più di questo noi chiediamo all’Assemblea con l’attuale disegno di legge.
Amputiamo, per evitare di trascendere nel vaniloquio, ciò che fuoriesce dal tema del dibattito. Del valore morale e giuridico, dell’obbligo, dell’estensione del giuramento, delle categorie tenute a giurare in rapporto alle loro funzioni, del numero delle formule o dell’unicità della formula, l’Assemblea discuterà liberamente e ampiamente quando si determinerà, in sede di Costituzione, la divisione dei poteri, la confluenza e gerarchia dei poteri, e in funzione dei poteri che avrà il Capo dello Stato, quali sono i funzionari che dovranno giurare fedeltà alla persona fisica che rappresenta lo Stato. «Non est hic locus», dico meglio, non è ancora il tempo di risolvere, in questa sede, questi problemi. Oggi dobbiamo soltanto sostituire le vecchie formule, per quanto attiene alla nuova forma istituzionale.
Io spero che non s’insisterà, dopo queste chiarificazioni, nel ripetere che non vale la pena di contendere sull’argomento, perché il giuramento non ha valore.
Prima di tutto respingo questa affermazione. Vorrei domandare ad uomini d’onore, ad un soldato, che ha giurato e che per esser fedele al giuramento offre la vita, se il giuramento lo vincola o non lo vincola…
Una voce. È quello che ci chiediamo da un pezzo!…
MOLÈ. Presidente della Commissione. Vorrei domandare a un magistrato – il quale nella coscienza del suo alto ufficio porta in giro la sua splendida miseria come un titolo di nobiltà – se il giuramento lo vincola o non lo vincola… Sì, ci sono gli uomini del doppio giuoco; ma quelli sono le anomalie, la patologia umana, come il tradimento di Napoleone il piccolo è la patologia della storia. E del resto, di fronte al colpo di stato c’è il correttivo della rivoluzione. Non ci sono giuramenti che tengano. Di fronte al Capo di Stato che può spergiurare, c’è il cittadino che si ribella e insorge. (Applausi a sinistra).
Io capovolgo l’obiezione. Il giuramento non ha valore? E allora, scusate, perché proprio voi avete ricordato che gli ufficiali monarchici hanno voluto essere sciolti da questo vincolo alla monarchia per rimanere a servire lo Stato? Dunque, ha valore. E se non ha valore, perché ve ne preoccupate? E se ha valore, perché non lo volete?
È vano nascondere sotto paraventi teorici lo scopo evidente della opposizione. Lo scopo è politico.
E allora lasciamo da parte le ipocrisie e gli equivoci. Portiamo la questione sul piano politico.
C’era un giuramento per la monarchia? È giusto che ci sia un giuramento per la Repubblica. C’era un giuramento per il re? Ci dev’essere per il Capo della Repubblica. Vedremo poi se dovremo limitarlo, vedremo, «dopo», le modalità. Ma il giuramento ci dev’essere. Se ci tenevano i seguaci della monarchia, non possono non tenerci quelli della Repubblica. E se quelli della monarchia ritengono che sia inutile giurare per la Repubblica, mentre per la monarchia ritenevano il giuramento valido, tanto più noi repubblicani esigeremo il giuramento.
Sul piano politico, signori. Bisogna giurare alla Repubblica e al suo Capo. Anche al suo Capo. Per estromettere dal giuramento il vincolo della fedeltà al Capo provvisorio dello Stato, si è finanche fatto ricorso al fantasma della dittatura. Prepara dunque la dittatura il nostro insigne maestro e amico Enrico De Nicola? (Ilarità). Ah, voi lo sapete, non può essere questo il pericolo. E allora in questo stato di vacatio statutaria giureremo fedeltà a lui. Poi stabiliremo se le sole Forze armate o tutti i funzionari devono essere vincolati al Capo dello Stato. Ma ricordiamo comunque che le idee camminano nelle scarpe degli uomini e gli istituti sono personificati in coloro che legittimamente hanno diritto di personificarli. Il Capo dello Stato personifica lo Stato. Il giuramento non si fa solo ad un istituto: si fa anche all’uomo che per volontà della maggioranza del Paese personifica questo istituto. Rinviamo, senza comprometterle, tutte queste quistioni teoriche e rimaniamo sul piano politico. Sarà, in definitiva, quello che sarà, ma intanto il giuramento ci deve essere. Non può farsene a meno: risponde alle necessità del momento.
Perché non ci dovrebbe essere? Forse perché si ritiene che nella vacatio statutaria tutto è provvisorio, ed è provvisoria, transitoria anche la Repubblica? Amico Lussu, io non so se la Repubblica si sia consolidata. Io penso che si sia consolidata. Comunque, la Repubblica esiste, ed esisterà.
Ça ira! (Commenti – Vive approvazioni a sinistra).
E se esiste uno Stato repubblicano, per il solo fatto che esiste, anche se una minoranza si ostina a volerlo disconoscere, tanto più se si ostina a non riconoscerlo, questo Stato ha il diritto di esigere, da coloro che ripetono dallo Stato la loro investitura o la loro autorità, l’obbedienza e la fedeltà. Ha il diritto e il dovere di esigerlo.
Si è parlato di crisi di coscienza. Che cosa sono le crisi di coscienza per i funzionari dello Stato? Sono queste crisi di coscienza che non ammettiamo e che vogliamo eliminare. Il privato ha il diritto di pensare quello che vuole; il cittadino, il libero professionista, l’operaio, il deputato può esprimere la sua opinione, può essere di qualunque partito. Il funzionario dello Stato, cioè colui che deve attuare la volontà sovrana dello Stato, deve essere fedele allo Stato. Non sono per lui ammissibili queste crisi di coscienza. Perché, sapete che cosa significano le crisi di coscienza? Significano non soltanto lo stato di perplessità, ma qualche volta la vocazione alla sedizione o al tradimento.
Signori, i funzionari, se restano al servizio dello Stato repubblicano, devono giurare fedeltà alla Repubblica. (Applausi a sinistra).
Se, persistendo nell’equivoco, la maggioranza repubblicana rinunciasse alla nuova formula, la Repubblica italiana, la cui generosità è già tanto dileggiata come esempio di debolezza, dimostrerebbe davvero di essere pavida, tollerata, imbelle, impotente, incapace di esistere, di difendere la sua esistenza, il suo diritto alla vita contro tutti i tentativi di sovvertimento e tutte le nostalgie degli impossibili ritorni.
Chiedo quindi che sia respinta la proposta di sospensiva. (Vivi applausi a sinistra e al centro).
PRESIDENTE. Onorevole Bencivenga, lei insiste nella sua proposta di sospensiva?
BENCIVENGA. Insisto.
PRESIDENTE. Metto ai voti la sospensiva proposta dall’onorevole Bencivenga.
(Non è approvata – Si grida: Viva la Repubblica! – Tutti i settori della Camera, ad eccezione dell’estrema destra, si levano in piedi – Vivissimi prolungati applausi alle sinistre, al centro e a destra).
Continuiamo la discussione del disegno di legge. Ha chiesto di parlare l’onorevole Pellizzari. Ne ha facoltà.
PELLIZZARI. L’onorevole Martino ha proposto una modifica all’articolo 4 che consiste nell’abolire il giuramento per i professori universitari. La Commissione ha accettato questo emendamento; desidero sapere dal Presidente del Consiglio se il Governo accetta questo emendamento.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Accetto l’emendamento e tutto il testo formulato dalla Commissione.
PELLIZZARI. Lo ringrazio e rinunzio alla parola.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Condorelli. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. Onorevoli colleghi, inaugurandosi, giorni addietro, l’anno accademico all’Università di Catania, parlai della crisi del diritto. Credo che stasera io abbia avuto la conferma di questo continuo e sempre accrescentesi prevalere della politica sul diritto, della collettività sull’individuo, che viene polverizzato e sacrificato, anche nel patrimonio più goloso.
Questa sera ho visto trascurati tutti gli argomenti, tutti i dettami enunciati dallo schieramento avversario, 64 anni addietro, proprio di questi tempi, colla voce austera di Giovanni Bovio. E la parola che non avete saputo raccogliere voi, la raccogliamo noi, perché gli eredi spirituali di quella tradizione siamo soltanto noi. Noi, che questa sera rivendichiamo le cagioni della libertà e del diritto. (Interruzioni – Commenti – Rumori). No, non è retorica, a meno che non fosse retorica anche quella di Giovanni Bovio, a meno che non fosse bolsa retorica quella di Felice Cavallotti.
Rievochiamole queste ragioni, tranquillamente, se è possibile raccoglierci in tranquillità quando si dibattono i supremi problemi dello spirito.
Da quando parlò Giovanni Bovio in quest’aula, le ragioni contro il giuramento politico diventarono luoghi comuni, e se quella volta non prevalsero, fu anche perché allora prevalse la politica sul diritto, la politica sulla ragione, e soprattutto perché esisteva uno Statuto il quale non consentiva che la legge particolare, la legge che lo attuava, fosse diversa. Ritengo anzi che se non ci fosse stato lo Statuto albertino, come non c’è oggi, le ragioni di Bovio, che furono condivise anche da uomini della destra, che furono condivise anche da Crispi (Rumori – Interruzioni) avrebbero prevalso.
Quali sono queste ragioni. Le ragioni sono evidenti. Una prima ragione è di carattere morale: laddove ci sono giuramenti obbligatori, lussureggia l’immoralità della riserva mentale, laddove ci sono giuramenti obbligatori, lussureggia l’immoralità della interpretazione farisaica, che a lungo andare abituano gli uomini a mentire a se stessi.
Questa è la ragione suprema, la sola ragione politica ammissibile in questo dibattito per far respingere la tesi da voi sostenuta.
Vi sono poi ragioni che sono alle basi della nostra coscienza etica, della nostra coscienza storica, della nostra coscienza giuridica. E poiché noi parliamo a Roma ed in Roma, maestra di diritto, non può il Parlamento italiano trascurare queste supreme ragioni.
Un giuramento obbligatorio è un giuramento coatto ed è perciò stesso che perde ogni valore etico e giuridico. Il giuramento obbligatorio è contraddittorio. (Interruzioni – Rumori).
Amerei che i colleghi che mi contradicono così disordinatamente, vociando, mi facessero il favore di espormi le loro dotte argomentazioni. Potrei imparare o potrei anche respingerle. Amerei che i colleghi della sinistra si iscrivessero per contradirmi.
Ma ho constatato che nessuno si è iscritto a parlare, il che prova che questo voto deve essere un atto di volontà, e non un atto di intelligenza.
Dunque, consentitemi, signori, che io dica le ragioni che secondo me si oppongono all’ammissione di questo giuramento.
La prima fondamentale è quella che un giuramento coatto è una contradictio in adiecto e non ha nessun valore morale e giuridico. È una proposizione così semplice, questa, che non ha bisogno di essere illustrata e aggiungo che, quando un giuramento coatto o obbligatorio si pone come condizione per l’esercizio di un diritto o, ancor peggio, per l’esercizio di un ufficio, ogni onest’uomo è in coscienza autorizzato a venir meno a quel giuramento, a giurare con tutte le riserve mentali, a non dare nessun peso al giuramento. È questa una dimostrazione affatto lapalissiana. Come si può subordinare l’esercizio di un mio diritto ad una condizione ingiusta? Questa condizione non può essere che una sopraffazione e non posso essere obbligato a fare gettito del mio diritto per osservare questa ingiusta condizione.
Prendete il caso di un uomo che abbia vinto un concorso ed abbia acquistato il diritto all’impiego. Quale norma può obbligarlo in coscienza a perdere quello che è la conquista del suo lavoro, della sua scienza, del suo studio, che è il pane per lui e per la sua famiglia, solo perché gli è stata posta la necessità di un giuramento che in coscienza non può fare? La cosa è moralmente molto più grave nel momento in cui questo giuramento coattivo diviene condizione per l’esercizio di un dovere. Io potrei rinunziare al dovere di adempiere al mandato che i miei elettori mi avessero dato, o, per mantenerci nell’ambito della legge che andiamo esaminando, ad una pubblica funzione, perché ad alcuno sia piaciuto mettere la regola d’un giuramento che la mia coscienza non mi consenta di prestare? Ma io ho un dovere da adempiere, e per adempiere a questo dovere posso non riconoscere alcun valore obbligatorio a quel giuramento, anzi debbo non riconoscerlo.
Abbiamo avuto degli esempi nobilissimi: l’adempimento del più alto dei doveri, l’adempimento del dovere militare verso la Patria, specialmente quando la Patria sia in guerra. Anche ai volontari era fatto l’obbligo del giuramento, ma non si è trovato volontario repubblicano che abbia rinunziato a servire la Patria in armi e in pericolo perché gli si poneva un giuramento. Quelli che, in simili circostanze, giurano, sapendo di spergiurare, non sono dei fedifraghi, sono degli eroi!
Queste sono le ragioni base che affermano e pongono in maniera indiscutibile la immoralità della legge che vi si vuole fare approvare.
Aggiungo che ve n’è qualche altra che attinge alla parte più squisita della coscienza, quella che si riferisce alla libertà di coscienza dei credenti e degli atei, perché il giuramento, come testé ha confermato l’illustre relatore, è inconfondibilmente un atto religioso in quanto non ha significato se non come invocazione della Divinità a testimone della sincerità delle nostre affermazioni.
Ebbene, ognuno si rende conto come un giuramento obbligatario è inconcepibile, appunto perché si tratta di un atto religioso; e gli atti religiosi non possono essere obbligatori al cospetto di una legge civile, ma possono esserlo soltanto al cospetto della legge religiosa. E allora viene sacrificata la coscienza del credente, perché sotto l’imperio di una legge umana gli si fa compiere un atto religioso, e la coscienza dell’ateo perché lo si costringe a mentire.
Sembrano queste delle quisquilie, come potrebbe dedursi dalla scarsa attenzione di alcuni o di molti colleghi al mio dire.
Ma non sono quisquilie, o per lo meno possono apparire tali soltanto alle coscienze in cui il pragmatismo politico ha soffocato ogni aspirazione ideale.
Ma io voglio un po’ concedere all’esigenza politica, e posso anche ammettere che possa essere politicamente utile prescrivere un giuramento perché, come ha accennato l’onorevole Lussu, può anche avvenire che in alcune coscienze semplici, istintive, non scaltrite in questi problemi, questo giuramento, pur moralmente invalido, possa costituire una seria garanzia etico-religiosa che rafforza la garanzia giuridica.
Questa, è da supporre, sia la ragione per cui molti legislatori hanno conservato l’istituto del giuramento.
E allora astraiamoci pure dalle esigenze supreme della morale e del diritto. Ma non ci possiamo sottrarre alle esigenze logiche che sono insopprimibili, anche e soprattutto nel campo politico, ed esaminiamo questa formula del giuramento così come è proposta dal disegno di legge.
Tutte le formule di giuramento proposte, che tra loro si differenziano nei particolari, sono essenzialmente costituite da tre elementi: il primo è la fedeltà alla Repubblica e al suo Capo; il secondo è l’osservanza leale alle leggi dello Stato; il terzo riguarda quelli che si chiamano i doveri della propria condizione, i doveri specifici del proprio stato, i doveri del proprio ufficio.
La inclusione del terzo elemento nella formula è certamente plausibile, perché rafforza l’obbligo giuridico di adempiere al proprio dovere.
Il giuramento può avere la sua ragion d’essere, ed ha anzi certamente la sua logica, anche nel secondo elemento della formula, cioè nella parte nella quale è contemplata la promessa solenne di osservare lealmente le leggi dello Stato. Giuramento non pleonastico questo, perché, come abbiamo imparato fin da Aristotile, ci sono due modi di osservare le leggi. Vi è un modo esteriore, formalistico, farisaico, e tale è quello che purtroppo assai spesso si tiene nei confronti della legge giuridica, cioè fare quel tanto che la legge prescrive, per non andare al di fuori dei suoi limiti e non incontrarne le sanzioni. L’altro modo è quello con cui il buon cittadino, il buon funzionario deve osservare la legge. La deve osservare per il rispetto che la legge impone, per l’interesse, per l’amore che egli da buon cittadino deve avere per la legge. Perciò, può essere opportuno questo giuramento di osservare lealmente le leggi dello Stato, benché il giuramento di osservare la legge sarebbe anche inutile, perché la legge ripete da altro, che non sia la volontà del singolo, la sua validità e la sua obbligatorietà.
Quello che io avviso assolutamente inconcepibile ed illogico è il primo elemento: il giuramento di fedeltà alla Repubblica ed al suo Capo.
Non pensate, o amici, che qui parli la mia fede morale; parlano i miei convincimenti di modesto studioso.
È stata testé accennata, proprio da questi banchi, la ragione per cui il giuramento di fedeltà è un residuo feudale. Si concepisce il giuramento di fedeltà ad un monarca, non si concepisce il giuramento di fedeltà ad un capo gerarchico, ad un magistrato, quale è il Presidente di una Repubblica. Con un Re, con un monarca, vi sono dei rapporti personali, tanto che il monarca si chiama sovrano, ed in questo rapporto di sottoposizione il cittadino si chiama suo suddito. Nessuno è suddito di un Presidente di Repubblica, e nessuno, fino a questo momento, ha chiamato mai un Presidente di Repubblica sovrano. Questo giuramento di fedeltà, mancando un rapporto personale, non ha significato.
Come nessuno ha mai giurato fedeltà ad un Presidente di Consiglio, ad un Ministro, ad un Primo Presidente di Cassazione, ad un Rettore di Università, così non si può giurare fedeltà ad un Capo di Repubblica. Credete; la formula che vi si propone non è che la traduzione pigra della formula del giuramento monarchico. Dove c’era scritto «Re» c’è scritto «Repubblica e suo Capo». Non ha nessunissimo significato il giuramento di fedeltà ad un capo democratico, ad un capo elettivo. Questi è puramente e semplicemente un magistrato, il più alto magistrato dello Stato, verso il quale si ha un rapporto di dipendenza gerarchica dal quale è escluso ogni rapportò personale, rapporto che non è per nulla paragonabile al rapporto di fedeltà del suddito verso il proprio Re.
Il giuramento di fedeltà al Capo della Repubblica non ha nessunissimo significato.
Viceversa dobbiamo esaminare con maggiore attenzione che significato possa avere il giuramento di fedeltà alla Repubblica. Qui potrei ripetere gli argomenti del Generale Bencivenga, ma non li ripeto per la semplice ragione che così bene li ha detti lui. Questo giuramento all’indeterminato non ha, veramente, nessun significato. Si è giurato fedeltà alle leggi, allo Statuto, al Re ed ai suoi legittimi successori, insomma ad entità certe; ma giurare fedeltà ad una Costituzione, della quale non sappiamo se possiamo accettarla noi stessi che la stiamo facendo, questo è semplicemente enorme, è proprio pretendere una tipica firma in bianco dalla coscienza dei cittadini. Si deve preventivamente giurare rispetto a questa Costituzione in fieri, qualunque cosa ci si scriva dentro. Ma chi mi potrà rinfacciare di avere contravvenuto al giuramento se non sapevo nemmeno quello che giuravo?
La domanda di rinvio di questa discussione si imponeva per ragioni palesi. Ma anche del negato rinvio la colpa non è tanto vostra, o colleghi, quanto della prevalenza, propria del nostro secolo, della politica sulla ragione, del pragmatismo su quelle che sono le esigenze della libertà e della coscienza.
Tuttavia domandiamoci che significato possa avere il giuramento ad una Repubblica anche quando sia concretamente conformata da una carta costituzionale.
Non ne ha, nessuno. E dico subito perché.
Che cosa è una Repubblica? Ma Repubblica, consentite, non è che un concetto tecnico col quale noi esprimiamo unitariamente un molteplice giuridico. Il molteplice giuridico è costituito da tutte le norme costituzionali che pongono in essere questa istituzione che si chiama Repubblica. Repubblica, adunque, altro non è che un ordinamento giuridico, cioè un insieme di norme considerate unitariamente. Non è che questo. Ora che cosa possa significare giurare fedeltà ad un sistema di norme, io francamente non lo capisco. Alle norme si può giurare osservanza, e questo è posto proprio dal secondo elemento del giuramento, che rende, perciò, assolutamente pleonastico il primo, nel quale, consentitemelo, si contiene anche uno sproposito concettuale e filosofico.
Signori, io credo di avere sufficientemente detto le ragioni che sono tutte quante attinenti alle esigenze della nostra coscienza etica e della nostra tradizione giuridica. Mi sono volutamente astenuto da considerazioni politiche che, secondo me, in questo problema squisito della nostra intimità, devono essere tenute a parte, se non si vuole proprio soffocare la coscienza dell’individuo nell’interesse della parte che ha il potere.
Ma io una sola suprema ragione politica voglio invocare, ed è la ragione dei nostri soldati.
Avete voi riflettuto che cosa significhi imporre ad un soldato un giuramento? Questi non ha nemmeno l’alternativa che ha ogni impiegato o funzionario, quella di rinunciare all’impiego o all’ufficio e di incontrare, sia pure con eroico sacrificio, la fame. Il soldato questa alternativa non ha. Ha solo l’alternativa fra giurare e andare in carcere. Che valore può avere questo giuramento?
Una voce a sinistra. Era così anche nella monarchia!
CONDORELLI. Le ragioni che ho detto le ho attinte in gran parte da uno che è il santo di tutti, ma che dovrebbe essere principalmente il vostro santo, le ho tolte da un nobile pensatore che può essere ascritto fra i maggiori filosofi della democrazia italiana.
Amici delle sinistre, siate fedeli alle vostre idee! (Applausi a destra).
PRESIDENTE. La. discussione generale è chiusa. Passiamo alla discussione degli articoli nel testo proposto dalla Commissione e accettato dal Governo.
Art. 1.
I dipendenti civili e militari dello Stato, i dipendenti degli Enti letali e le persone incaricate di pubbliche funzioni, che siano tenute al giuramento, lo presteranno o rinnoveranno secondo le formule stabilite dagli articoli seguenti.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Chiedo che sia soppressa la parola «rinnoveranno», in quanto, secondo l’ordinamento di diritto pubblico vigente e sostanzialmente ancora fascista, che il Governo attuale non si è dato alcuna premura di rimuovere, vi sono i giuramenti prescritti anche per l’esercizio delle libere professioni, a cominciare da quelle di avvocato, procuratore e notaio. Ora io non vedo nessuna ragione al mondo per cui un ordinamento che si dice democratico inviti, prima ancora che sia approvata la nuova Costituzione dello Stato, gli avvocati, i procuratori ed i notai – e certamente chi è più informato di me in materia potrebbe aggiungere anche altre professioni e attività – a prestare un giuramento provvisorio, dal momento che essi esplicano da un certo numero di anni una libera professione, della quale sono legalmente investiti.
Io posso comprendere che all’atto dell’assunzione dell’ufficio un avvocato, un procuratore, un notaio possano avere l’obbligo di prestare un giuramento in quelle forme che la nuova Costituzione imporrà, o non imporrà, a seconda delle tendenze che prevarranno, ma escludo che si possa dire ordinamento democratico quello per cui, in questo momento, gli esercenti le libere professioni sopraindicate siano chiamati a prestare un nuovo giuramento. Ed aggiungo, per quel che personalmente mi riguarda come avvocato e come procuratore, che se fossi chiamato ancora una volta a prestare un nuovo giuramento io mi ispirerei ai luminosi insegnamenti dei miei egregi amici e colleghi Molè e Lussu, i quali hanno creduto di far benissimo in passato ad esplicare il loro mandato politico nel senso repubblicano, dopo aver prestato un giuramento coatto alla monarchia. (Applausi a destra).
Presento, quindi, insieme agli onorevoli Lucifero, Condorelìi, Bellavista, Colonna, Benedettini, Bonino, Badini Confalonieri, Covelli, il seguente emendamento: sostituire alle parole: lo presteranno o rinnoveranno, le altre: lo presteranno all’atto dell’assunzione dell’ufficio.
PRESIDENTE. All’articolo 1 è stato proposto dagli onorevoli Riccio Stefano, Leone Giovanni, D’Amico Diego, Cotellessa, Numeroso, Rescigno, Titomanlio Vittoria, Notarianni, Lettieri, Bettiol, Castelli Avolio di sostituire il seguente articolo:
«Fino a quando non venga diversamente stabilito, in dipendenza della nuova Costituzione, i dipendenti civili e militari dello Stato, i dipendenti degli enti locali e le persone incaricate di pubbliche funzioni, che siano tenute al giuramento per legge anteriore al 28 ottobre 1922, lo presteranno o rinnoveranno secondo le formule stabilite negli articoli seguenti».
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Mole.
MOLÈ, Presidente della Commissione. Io credo che sia troppo ampia questa dizione e che non si possa accettare. Porterebbe alla necessità di rivedere per ogni categoria lo stato giuridico, con cui è connesso l’obbligo di giuramento.
Quanto all’obbligo del giuramento dei professionisti liberi (a parte il ricordo personale dell’onorevole Fabbri, il quale sa che abbiamo esercitato durante il regime fascista la professione di avvocato a nostro rischio e pericolo, con la sanzione dell’ammonizione per ragioni politiche e del procedimento di cancellazione dagli albi), io sono d’accordo con lui che il giuramento di fedeltà istituzionale contrasti con l’esercizio delle libere professioni.
FABBRI. Anche per i notai.
MOLÈ, Presidente della Commissione. Per i notai no; quella del notaio è una funzione pubblica.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Se ben ricordo, una legge che ha innovato riguardo al giuramento nel periodo fascista è stata quella del 1925, la quale ha introdotto il giuramento per i dipendenti degli enti locali, per i quali prima non esisteva.
Quindi, accettando la proposta Riccio, verrebbero esclusi da quest’obbligo gli addetti agli enti locali. Io, da un mio punto di vista non faccio eccezione; però, mi rimetto alla decisione della Commissione, che avrà più esattamente studiata la formula.
MOLÈ, Presidente della Commissione. I segretari comunali dipendono dallo Stato.
PRESIDENTE. La Commissione accetta l’emendamento Riccio?
MOLÈ, Presidente della Commissione. Non l’accetta.
PRESIDENTE. La Commissione accetta l’emendamento Fabbri?
MOLÈ, Presidente della Commissione. Ritengo che non sia necessario, perché gli avvocati e procuratori – a parte la natura delle loro funzioni – non giurano fedeltà allo Stato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Gabrieli. Ne ha facoltà.
GABRIELI. Desidero fare un’osservazione su quanto ha detto l’onorevole Molè.
Con la dizione dell’articolo 1 e dell’emendamento proposto dall’onorevole Riccio gli avvocati e i procuratori non sono obbligati al giuramento, in quanto né gli uni né gli altri appartengono alle categorie dei dipendenti civili e militari dello Stato e dei dipendenti degli enti locali, né esercitano pubbliche funzioni.
Quindi non ritengo opportuno l’emendamento proposto dall’onorevole Fabbri.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Riccio sull’emendamento proposto.
RICCIO. L’emendamento da me proposto in sostanza comprende anche l’altro, che è stato presentato, e risponde ad esigenze giuridiche e politiche:
- a) La prima è di mettere in evidenza la provvisorietà della legge, che non significa assolutamente provvisorietà della forma dello Stato, ma bensì soltanto necessario coordinamento fra la legislazione che ci accingiamo a fare, e quella definitiva e generale di cui alla Costituzione. La legislazione del ventennio è decaduta e non ci può guidare nella ricerca delle categorie obbligate al giuramento e, tanto meno, nella indicazione delle formule.
La Costituzione nuova non è ancora nata, ma, occorrendo provvisoriamente regolare i rapporti di vita, sorge la necessità di una legislazione provvisoria: quella in discussione. Trattandosi, però, di materia indubbiamente costituzionale, ad evitare il dubbio che la Costituente (come sarebbe di sua competenza) abbia voluto definitivamente regolare il giuramento, salvo ad incorporare la norma emanata nella Costituzione, è opportuno mantenere la prima parte dell’articolo del progetto presentato dal Governo, e, cioè: «Fino a quando non venga diversamente stabilito in dipendenza della nuova Costituzione». Nella stessa relazione del Governo si legge «Fino a quando non venga deliberata la nuova Costituzione, la disciplina della materia non può avere evidentemente che carattere provvisorio, in quanto che le formule di giuramento sono strettamente collegate alla struttura politico-amministrativa dello Stato, sia per quanto riguarda il contenuto di esse, sia per quel che concerne la loro differenziazione rispetto alle diverse categorie di persone destinatarie del vincolo».
È evidente quindi che, per esser coerenti con l’orientamento, che risponde in pieno ai motivi per cui nasce la legge, debba rimanere la formula proposta; e cioè l’articolo 1 deve mantenere la frase, che è stata eliminata dalla Commissione. Diversamente si verrebbe a mutare lo spirito informatore della legge nascente; il che non è opportuno, in quanto nella Commissione della Costituzione questo problema è stato studiato e dovrà trovare la soluzione definitiva nella Costituzione.
Decidere secondo l’emendamento della Commissione significherebbe stralciare una questione dalla emananda Costituzione e deciderla autonomamente, ma come un frammento.
- b) La prima affermazione ci porta logicamente ad un’altra osservazione. Giacché il giuramento in tempi fascisti fu strumento di servitù per un regime ed un uomo, è indispensabile, per stabilire le categorie di coloro che devono giurare e determinare il contenuto del giuramento, e specificamente se questo debba avere o meno riferimento alla forma istituzionale, risalire alla libera legislazione anteriore al 28 ottobre 1922. Ecco perché è stato indicato il secondo emendamento all’articolo 1 in rapporto ai soggetti e all’articolo 5 in relazione al contenuto dell’impegno sacro e solenne.
Una osservazione maggiormente chiarirà l’idea. Si è detto che i professori universitari non giurano e che la categoria è stata eliminata; ma, se si dice che devono giurare tutti i dipendenti civili e non civili dello Stato, risorgerà quell’obbligo, che era in una legge fascista. Onde la necessità della specifica e tassativa indicazione del tempo della legislazione richiamata. La data del 28 ottobre 1922 elimina ogni equivoca posizione. Né si dica che la questione dei professori universitari ha trovato già risoluzione in un decreto precedente che aboliva quell’obbligo. Quando si pensi che con la legge da approvare si regola tutta la materia del giuramento sul piano della costituzione provvisoria dello Stato, si comprenderà subito che questa norma, e soltanto essa, potrà e dovrà essere invocata ed interpretata, in sé, senza riferimenti, eccetto quelli espressamente fatti a leggi precedenti.
Sarà fatto il richiamo? Si risolverà questa questione; ma rimarrà quella generale dello spirito e dell’orientamento della legge. Prima dell’approvazione della nuova Costituzione, noi non possiamo sul terreno democratico che risalire ai tempi prefascisti ed alla libera tradizione italiana.
- c) La fedeltà alla Repubblica impone la fedeltà a tutti i suoi organi, tra cui il Capo dello Stato. Il richiamo è, quindi, inutile; ma non è inutile soltanto, è anche giuridicamente errato, in quanto in una Repubblica democratica non vi sono vincoli personali tra i cittadini, sia pure investiti di particolari mansioni e funzioni, ed il Capo dello Stato. Anche il Capo è legato allo Stato per mezzo della Costituzione: comunque, ogni rapporto con lui si deve stringere per mezzo della Costituzione e nel suo ambito. Parlare di fedeltà, oltre che alla Repubblica, «al suo Capo» potrebbe interpretarsi come un rapporto personale e diretto, che è al di fuori di ogni concezione di uno Stato veramente democratico. Potrebbe essere quella usata una endiadi, che vuole esprimere una sola idea; ma, essendo equivoca espressione, è il caso di chiarirla. In ogni ipotesi non è opportuno mai parlare di «Capo». È una dizione democraticamente sospetta e politicamente per niente attraente. Considerazioni giuridiche e politiche consigliano, concludendo, l’accoglimento dell’emendamento, l’abolizione in tutte le formule delle parole: «e al suo Capo». Ho fiducia che l’Assemblea, nella sua alta squisitezza democratica e giuridica, vorrà accogliere la proposta. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Persico. Ne ha facoltà.
PERSICO. A me sembra che la soluzione migliore sia quella di tornare al disegno di legge presentato dal Governo. In questo modo, noi obbediamo all’esigenza della provvisorietà di questo giuramento e diventa superfluo l’articolo 8, perché resta fermo il capoverso dell’articolo 1.
Pertanto, propongo di tornare puramente e semplicemente al testo dell’articolo 1 proposto dal Governo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Vorrei fare appello alla Commissione, perché accetti l’emendamento Riccio, che mi pare soddisfi ad una situazione anche morale.
Per quale ragione noi in questo momento vorremmo estendere il giuramento attraverso il mantenimento di disposizioni fatte, con altro spirito, dal regime fascista? Accontentiamoci di continuare la tradizione, quale era nelle nostre leggi fino al 28 ottobre 1922. Mi pare che, con ciò, siamo fuori del pericolo di interpretarle diversamente. Quindi, se con ciò cade il giuramento degli enti locali, questo non mi pare un gran male: siamo nel campo non diretto dell’influenza dello Stato e limitare questa norma del giuramento a quel tanto che è necessario, mi pare cosa ovvia, ragionevole e prudente.
Avete visto che vi sono, fra i repubblicani e. i monarchici, differenti tesi, circa la opportunità di fare o di non fare il giuramento.
Ora, se proprio si vuol fare la questione, si potrà farla in sede di Costituzione e non in sede di una disposizione provvisoria.
Credo che la Commissione farebbe bene (però m’inchino se mantiene parere contrario) ad accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Riccio.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della Commissione.
MOLÈ, Presidente della Commissione. La Commissione osserva che con l’emendamento Riccio si viene a spostare quello che è il tema, l’argomento, la ragione di questo progetto di legge, che consiste nel sostituire alle vecchie formule le nuove, per le categorie che la legge contempla, senza altre innovazioni in materia.
Abbiamo fatto un’eccezione per i professori universitari, in quanto la tipica legge fascista, che impose il giuramento, senza modificare lo stato giuridico dei professori, ma al solo scopo di allontanare i professori che notoriamente erano antifascisti, era stata già abrogata.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Longhena. Ne ha facoltà.
LONGHENA, Io penso che non soltanto per i professori universitari, ma anche per gli insegnanti di scuole medie non vi dovrebbe essere l’obbligo del giuramento.
RESCIGNO. Chiedo di parlare sull’emendamento Riccio.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RESCIGNO. Penso che dell’emendamento Riccio debba per lo meno rimanere necessariamente la parte che si riferisce all’anteriorità al 28 ottobre 1922 dell’obbligo del giuramento, perché prima di quella data neppure i professori di scuole secondarie e i maestri elementari erano tenuti al giuramento.
Ora, con la dizione proposta dalla Commissione, non si saprebbe in virtù di quale disposizione debbano essere tenute al giuramento le persone ivi contemplate. Mi sembra quindi indispensabile aggiungere la specificazione di quella data, e per questa parte mi associo all’emendamento Riccio.
PRESIDENTE. Propongo una breve sospensione della seduta.
(Cosi rimane stabilito – La seduta, sospesa alle 19,35, è ripresa alle 19,50).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Molè. Ne ha facoltà.
MOLÈ, Presidente della Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si verifica una condizione per la quale è necessario rinviare a domani la discussione di questo progetto di legge. Fino a questo momento, si trattava soltanto della sostituzione delle formule di giuramento, lasciando immutate le categorie di coloro che sono tenuti a giurare. Poiché, dall’Assemblea, sono sorte molte voci a richiedere un riesame di queste categorie, riducendole e riportandole a quelle che erano prima dell’instaurazione del fascismo e il Governo accetta questa richiesta, è necessario da parte nostra un riesame. La Commissione si riunirà domattina e riporterà domani sera dinanzi all’Assemblea il progetto di legge o immutato o con le modifiche invocate che imporrebbero, insieme col nuovo contenuto, una nuova intestazione: «nuove formule di giuramento e revisione delle categorie tenute a giurare». (Approvazioni).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione di questo disegno di legge è rinviato a domani.
Interrogazioni, interpellanze e mozione d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Costa ha rivolto al Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’interno un’interrogazione intorno «ai gravi incidenti di Padova fra cittadini e truppe alleate e circa la azione che il Governo intende di svolgere per la normalizzazione della situazione».
L’interrogante domanda risposta d’urgenza.
Gli onorevoli Ravagnan, Pellegrini, Marchesi, Ghidetti, Rossi Maria, Bolognesi, hanno rivolto un’interpellanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’interno – chiedendone lo svolgimento d’urgenza – «per conoscere l’opinione sua e quella del Governo sui luttuosi fatti che hanno funestato la città di Padova e per conoscere altresì se e quali passi abbia il Governo intrapreso e si proponga di intraprendere presso il Governo militare alleato, affinché si proceda severamente contro i responsabili, e siano prese misure atte ad impedire il ripetersi di atti che giustamente feriscono l’opinione pubblica italiana».
Infine gli onorevoli Merlin Umberto, Saggin, Bettiol, Gui e Guariento hanno interrogato, chiedendo risposta urgente, il Ministro dell’interno, «per conoscere la consistenza dei gravi e dolorosi fatti di Padova, le eventuali responsabilità e l’azione che il Governo intende di svolgere presso le Autorità alleate, onde evitare il rinnovarsi di tali incresciosi incidenti, che hanno finora mietuto tante vittime tra le nostre popolazioni».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CORSI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nella città di Padova, in seguito al deplorevole ripetersi di gravi investimenti dovuti ad automezzi alleati, lamentati anche in altre città (questa volta l’investimento è avvenuto in una zona centrale della città dove esisteva il divieto di passaggio, ma per evitare l’investimento di due ciclisti che incrociavano nel senso consentito) si verificò una clamorosa protesta da parte della popolazione. Alcuni automezzi alleati furono danneggiati. Il conducente della macchina investitrice fu malmenato e tre cittadini restarono feriti, uno dei quali gravemente. Le nostre forze di polizia, prontamente intervenute, evitarono più gravi fatti e ristabilirono l’ordine, il che fu riconosciuto e lodato dalle autorità alleate. Ma, mentre la calma era ormai ritornata dovunque, ieri circa 200 militari alleati circolarono per le vie della città, percuotendo i cittadini e infrangendo le vetrine dei negozi. Il Comando alleato, subito informato dalle nostre autorità, intervenne con la propria polizia facendo rientrare i militari in caserma e deplorandone l’azione.
Seguì ieri, giorno 11, altra dimostrazione della popolazione controllata e repressa dalla polizia. Oggi, poi, abbandonato ogni proposito di sciopero generale per la responsabile azione pacificatrice di esponenti politici e sindacali di ogni partito e delle autorità locali, ha avuto luogo una corretta dimostrazione di protesta alla quale hanno partecipato molte migliaia di persone. In questo momento la calma è succeduta ai dolorosi incidenti.
Il Governo non può che esprimere tutto il suo più vivo rincrescimento per quanto è colà avvenuto.
Oltre i deplorevoli fatti, per altro di carattere episodico, non dobbiamo né vogliamo dimenticare che coi soldati alleati abbiamo combattuto insieme la guerra di liberazione. (Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
COSTA. Purtroppo, i fatti dei giorni 10 e 11, hanno un precedente, perché, nella scorsa estate, in seguito ad investimenti automobilistici alleati, vi furono alcuni morti e qualche reazione cittadina. Io, come sindaco della città, non mancai di fare un passo presso le autorità alleate. Fummo convocati, il prefetto, il questore o il sindaco presso il Comando della piazza e ottenemmo affidamento che sarebbe stato dato ordine perché i grossi mezzi automobilistici alleati non transitassero per il centro cittadino, essendoci possibilità di usare di larghe strade di circonvallazione. Il centro di Padova, città vecchia, è stretto. Quasi tutte le strade cittadine sono strette. Il transito per tali strade è facile a coloro che le conoscono, ma non per quelli che non le conoscono, specialmente se i conducenti sono avvinazzati.
Malgrado detto affidamento è accaduto che, aumentata la quantità delle truppe alleate a Padova, in seguito al trasferimento del Comando di Caserta, si sono verificati gli altri investimenti dei quali ha parlato l’onorevole Sottosegretario di Stato. Il giorno 10, automezzi alleati volevano transitare per una strada per la quale era vietato il passaggio. Hanno perfino travolto il vigile che era a regolare il transito ed a proibire il passaggio nel senso vietato. È avvenuto quello che avete sentito. Vi sono stato, naturalmente, delle reazioni, che a noi possono spiacere, come possono spiacere a tutti coloro i quali desiderano che non sorgano complicazioni con le truppe d’occupazione. È certo, però, che sulla entità della reazione hanno influito anche i precedenti. La reazione è stata di una certa violenza, ma la rappresaglia, poi, è stata addirittura gravissima, nel senso indicato dal Sottosegretario. Io ho una doppia preoccupazione per quello che è accaduto, come rappresentante politico e come capo dell’Amministrazione comunale. Le ultime parole della risposta del Sottosegretario mi hanno sufficientemente tranquillizzato. Ne prendo atto. Mi resta di augurare che realmente la situazione si sia normalizzata e di esprimere, nella solennità di questa Assemblea, un sentimento di dolore e di solidarietà con tutti i colpiti, nello stesso tempo che esprimo anche l’augurio che al più presto si arrivi ad essere lasciati soli a meditare sulle nostre sventure ed a rimarginare le nostre ferite. (Vivi e generali applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Ravagnan ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
RAVAGNAN. Vorrei ricordare al Governo che un mese fa presentai una interrogazione su fatti analoghi accaduti a Mestre, sebbene di proporzioni inferiori a quelli di Padova. Non ho avuto risposta, perché il Governo non ha ritenuto di poterla dare o, probabilmente, a causa del numero delle interrogazioni che precedevano la mia. Penso che la situazione diventi grave, perché questi incidenti, di Padova, ripetono in proporzioni più grandi, ciò che è avvenuto a Mestre.
Quel che ha affermato l’onorevole Costa è esattissimo. È evidente che la reazione della popolazione è proporzionata al ripetersi ed aggravarsi del fenomeno dell’assoluto disprezzo dei regolamenti stradali, e della persona umana, da parte delle truppe alleate. Noi abbiamo l’impressione che non siano emanati dalle autorità responsabili alleate provvedimenti sufficientemente energici per frenare gli eccessi ai quali si abbandonano certi militari alleati e soprattutto per impedire il sistema delle rappresaglie effettuate in risposta al risentimento manifestato dalla popolazione.
Ora noi pensiamo che la civile Inghilterra dovrebbe provvedere nelle forme legali e normali rivolgendosi alle nostre autorità per tenere eventualmente in freno i risentimenti o le legittime proteste della popolazione italiana. Inoltre è avvenuto che quando la popolazione di Padova si era pacificata, come ha ricordato il Sottosegretario di Stato, e come ha confermato il sindaco di Padova, militari alleati hanno reagito contro la popolazione inerme, bastonando, inviando numerosi feriti all’ospedale, saccheggiando e distruggendo i negozi lungo le strade per le quali la manifestazione passava.
Credo che sia necessario che ci rendiamo interpreti in questa Assemblea del risentimento delle nostre popolazioni, onde chiedere misure atte ad impedire che siano intaccati i rapporti normali tra la popolazione italiana e le truppe alleate.
Vi è un altro motivo il quale, secondo me e secondo i colleghi che hanno firmato questa interpellanza, dovrebbe indurre il Governo ad intervenire energicamente, e cioè che su questi incidenti vi sono purtroppo elementi determinati che tentano di speculare onde invelenire i dissidi, e portare questi episodi al di là della loro reale portata, ossia sul piano dell’odio generale della popolazione italiana verso le truppe alleate e contro quel principio per cui insieme ad esse abbiamo combattuto. Si cerca cioè di inscenare manifestazioni di tipo fascista, di portare atti ed episodi a conseguenze che si deve cercare di impedire. Bisogna evitare che i neo-fascisti cerchino di scendere in piazza, prendendo a pretesto questi incidenti ed acuendoli, per fare manifestazioni contro il Governo democratico della Repubblica italiana.
Perciò esorto il Governo a fare in modo che il Comando militare alleato dia soddisfazione alla popolazione italiana e prenda tutte le misure affinché incidenti del genere siano definitivamente evitati per l’avvenire. (Approvazioni).
PRESIDENTE. L’onorevole Merlin Umberto ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
MERLIN UMBERTO. È con un senso di profondo dolore che parlo in questo momento, esprimendo sentimenti perfettamente conformi a quelli dei colleghi che mi hanno preceduto.
Purtroppo quello che avviene in varie città d’Italia dimostra che gli alleati (od almeno qualcuno di essi) non rispettano in alcun modo le più elementari norme della circolazione, dando luogo così a continui e gravi incidenti di cui la popolazione civile è la vittima.
Quello poi che è accaduto a Padova è ancora più grave. Noi non ci scordiamo di quanto dobbiamo agli alleati per la nostra libertà, ma bisogna che gli alleati si comportino in modo da non farcelo dimenticare.
Nell’interesse comune, nell’interesse della civiltà e della pace, bisogna che i comandi alleati diano ordini severi ai loro subordinati di obbedire alle nostre leggi ed ai nostri regolamenti, se no gli incidenti deplorevoli si ripeteranno e si creerà uno stato d’animo assai pericoloso per tutti.
Noi siamo un popolo povero, sia pure vinto, colpito dalle sorti di una guerra orrenda che non abbiamo voluto; ma sia ben chiaro, e noi solennemente lo proclamiamo, che siamo un popolo che ha il coraggio e la dignità di alzare fiera e solenne la sua ferma protesta.
Bisogna impedire il ripetersi di questi incidenti. Bisogna che il Governo, come certamente avrà già fatto, faccia sentire alle autorità alleate che è comune interesse che questi incidenti non abbiano più a verificarsi e che gli alleati si comportino in Italia col rispetto dovuto alla nostra storia, alla nostra grandezza, alla nostra libertà. (Vivi e generali applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne fa facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Devo aggiungere a quanto qui è stato comunicato che l’ordine è stato ristabilito a Padova per la concordia delle forze civili organizzate e con la collaborazione della polizia italiana e della polizia militare alleata. Devo dire con soddisfazione che il comandante della polizia, colonnello Galli, valoroso partigiano, è stato in grado, per i suoi ottimi rapporti con gli alleati, di impedire che le legittime reazioni passassero un certo limite. Tuttavia, quello che è avvenuto nella prima fase con le aggressioni, nella seconda con la reazione, nella terza con la rappresaglia, rappresenta un episodio dolorosissimo di cui noi tutti sentiamo nel nostro animo commiserazione e dolore. Però, è nel nostro animo anche la preoccupazione di non permettere a noi stessi che questo risentimento induca a deduzioni generiche che possano far sorgere dubbi circa le nostre speranze, circa i nostri propositi, circa quello che insieme abbiamo fatto nella guerra passata.
La gloriosa e partigiana Padova ed i valorosi soldati della Gran Bretagna in questo momento devono pensare soprattutto alla guerra di liberazione che hanno fatto in comune e, salve le responsabilità individuali e collettive che devono venire accertate e trovare le debite e doverose sanzioni, per comune accordo, fra le autorità di occupazione e le autorità del Governo italiano, devono ricordare la guerra combattuta insieme per la libertà e la democrazia. (Applausi generali).
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata alla Presidenza la seguente mozione, firmata dagli onorevoli Spataro, Castelli Avolio, Cotellessa, Fabriani, Rivera, Rescigno, Lettieri, Proia, Delli Castelli Filomena, Notarianni, Terracini, Silone, Bassano e Lopardi:
«L’Assemblea Costituente invita il Governo a presentare un disegno di legge per la creazione di un Ente o Commissariato il quale, con completa autonomia, assommi in sé tutti i poteri necessari per promuovere e compiere al più presto la ricostruzione di quelle zone dell’Abruzzo, specialmente in provincia di Chieti, Pescara e nel versante aquilano del Sangro, che maggiormente sono state devastate dalla guerra.
«Si chiede che la presente mozione sia discussa insieme con quella presentata per la zona di Cassino».
Chiedo al Governo di esprimere su di essa il proprio parere.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Sono favorevole a discutere la mozione insieme con quella presentata per la zona di Cassino.
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata alla Presidenza una interpellanza d’urgenza al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, e al Ministro di grazia e giustizia, firmata dagli onorevoli Leone Giovanni, Carpano, Gasparotto, Pignatari, Pertini, Costantini, Vigna, Nasi, Carboni, Di Gloria, Treves, Castiglia, Rossi Paolo, Crispo, Cortese, Bettiol e Riccio, «per conoscere se non ritengano necessario ed urgente – soprattutto in conformità dell’orientamento già espresso dalla Commissione per la Costituzione sul tema dell’organizzazione del potere giudiziario – in primo luogo abrogare il decreto legislativo sulla repressione delle rapine aggravate per quanto concerne il complesso delle norme processuali, restituendo la cognizione dei reati in esso previsti alla competenza ordinaria, sia pure prescrivendo il rito del giudizio direttissimo, in modo da sopprimere quelle forme straordinarie di giurisdizione attualmente esistenti, incompatibili con i principî fondamentali della civiltà giuridica del Paese, e in particolare col principio del divieto di tribunali straordinari e delle garanzie della difesa; o, per lo meno, emendare tali norme processuali dell’imponente cumulo di enormità, sboccanti in un giudizio pronunciato da un organo ad esasperata composizione mista e senza alcuna forma d’impugnazione neppure straordinaria; riconducendo in sostanza tali processi, che sono i più gravi del momento attuale, nel quadro delle normalità della disciplina processuale».
GULLO, Ministro di grazia e giustizia. Accetto di discutere l’interpellanza, ma non d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Marinaro, chiedendone la discussione d’urgenza, ha presentato una interpellanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, «in merito al preannunciato progetto di legge sui Consigli di gestione e particolarmente sulla opportunità di emanare un provvedimento di Governo avente valore legislativo, mentre la Costituente sta fissando nel testo della Costituzione le basi ed i limiti della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende».
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Avverto che è in corso un progetto del Governo in materia e accetto di discutere questa interpellanza, ma senza urgenza.
PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Castelli Avolio ha presentato un’interpellanza d’urgenza al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno «per sapere se esso intenda adottare nuovi provvedimenti per porre fine, con rimedi di carattere amministrativo, alle procedure di epurazione».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Castelli Avolio. Ne ha facoltà.
CASTELLI AVOLIO. Desidero chiarire che si tratta di sostituire, con provvedimenti di carattere amministrativo l’attuale eccezionale procedura in materia di epurazione; cioè adottare un provvedimento amministrativo come la revisione di carriera per coloro che hanno avuto un indebito avanzamento o, in altre parole, far ridare il maltolto attraverso trattenute o altro.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Accetto di trattare l’interpellanza, ma senza fissarne la data.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Faralli ha presentato un’interrogazione urgente al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’alimentazione) «per sapere che cosa ci sia di esatto e di vero nella notizia pubblicata da un giornale di Roma, secondo la quale un forte quantitativo di latte in polvere sarebbe sottratto al normale consumo, facendolo apparire come scondizionato e quindi ceduto a lire 16 al chilogrammo all’industria privata, mentre dovrebbe essere impiegato per approvvigionare le popolazioni specie delle grandi città, fra le quali Genova, più di ogni altra deficitaria di tale indispensabile alimento».
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno. Riconosco l’urgenza e avverto che il Governo risponderà domani.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge.
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, dei lavori pubblici, del tesoro e delle finanze, per conoscere se intendano di dare una disciplina ai «comprensori di bonifica», soprattutto permettendo che si costituiscano nuovi comprensori, là dove si ritiene che essi siano necessari.
«Al di fuori dei comprensori oggi esistenti, le opere di miglioramento, di irrigazione e di bonifica agricola, sono così scarsamente sovvenute, che ben di rado risultano praticamente eseguibili, mentre entro il perimetro dei comprensori è possibile compiere, attraverso il contributo governativo, opere notevoli.
«Ne risulta una estrema povertà di iniziative e di finanziamento al di fuori dei comprensori, nei quali si spendono dal Governo le somme maggiori.
«Il differente trattamento fatto a territori che, pur trovandosi fuori dei comprensori oggi delimitati, hanno talora bisogni maggiori ed anche più urgenti di quelli privilegiati, spinge le popolazioni agricole neglette a chiedere che siano slargati i comprensori di bonifica oppure che siano concessi vantaggi equivalenti ad Enti o persone che intendano fare miglioramenti e bonifiche anche fuori degli attuali comprensori.
«Rivera».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quando sarà messo a disposizione del Corpo forestale di Udine la somma di 12 milioni stanziati per l’esecuzione del programma di sistemazioni idrauliche forestali per l’esercizio 1946-47, sia per impiegare la mano d’opera disoccupata e toglierla dalla depredazione dei boschi, sia per eseguire i lavori previsti prima che la caduta della neve renda irrisorio lo stanziamento stesso.
«Piemonte».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ritenga opportuno, allo scopo di meglio tutelare il patrimonio artistico delle storiche Pinete Ravennati, tanto compromesse dalla guerra, di sottoporle ad un rigido controllo nazionale, sotto la denominazione di Parco nazionale del Medio Adriatico, conservando all’ammirazione di tutti gli italiani questi monumenti forestali che non hanno minore pregio artistico delle gloriose Basiliche ravennati.
«Spallicci».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere se sia stata, o meno aperta un’inchiesta circa la responsabilità della pubblicazione, su un quotidiano, di una circolare segreta, diretta dal Capo della polizia italiana ai questori della Repubblica.
«Chiedono inoltre se non si ritenga opportuno perseguire gli eventuali responsabili della divulgazione della circolare, con i provvedimenti del caso, trattandosi di un atto che investe gravi problemi di politica interna, e gravissime questioni di politica estera.
«Da ultimo chiedono quali siano i risultati della inchiesta della polizia sull’attività di organizzazioni segrete con mire rivoluzionarie in Italia.
«Cremaschi, Sullo Fiorentino, Belotti».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se le conclusioni della Commissione ministeriale, incaricata di esaminare la rivendicazione dell’ammissione alle Facoltà scientifiche universitarie dei diplomati degli Istituti tecnici, e che ha recentemente espresso parere positivo circa l’idoneità all’ammissione dei diplomati di tale ordine e l’annuncio riferito dalla stampa, secondo cui entro il mese di gennaio verrà formulato un progetto di provvedimento destinato a regolare tale ammissione, significhino che effettivamente le richieste dei diplomati sono state accolte e che essi potranno in ogni caso accedere all’università a partire dal prossimo anno accademico, secondo le norme che verranno stabilite, o se invece possa ancora permanere il dubbio che si tratti anche in questo caso di una generica promessa destinata soltanto a procrastinare ulteriormente le giuste ed urgenti soluzioni del problema, e ciò in riferimento all’affermazione riportata nelle suddette notizie di stampa, che l’ammissione verrà concessa «nel quadro di una riforma generale delle Facoltà di ingegneria».
«Pajetta Giuliano, Alberganti, Mattei Teresa, Boldrini».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non ravvisi l’urgente inderogabile necessità di predisporre tempestivamente un complesso di provvedimenti atti a modificare per il 1947 l’attuale sistema degli ammassi cereali in quello del contingentamento fisso per comune, che, ove in tempo organizzato, sarebbe atto ad eliminare gran parte dei gravissimi ed ormai intollerabili inconvenienti odierni, fonte di spese gravissime e di crescente malcontento.
«Bubbio, Baracco, Stella».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non ritenga opportuno ed anzi necessario di mantenere in servizio, quanto meno in soprannumero e per il 1947, i funzionari di grado più nazionale, istituire in Italia una zona franca elevato, veramente idonei, che dovrebbero essere collocati in pensione per limiti di età, in quanto gli stessi potrebbero in questo delicato periodo di transizione e di assestamento dare un competentissimo ed efficacissimo contributo alla pubblica finanza.
«Bubbio».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno ed i Ministri dei lavori pubblici e dell’industria e commercio, per sapere quali siano state le ragioni che hanno impedito l’attuazione della derivazione elettrica del Basso Mera, in provincia di Sondrio, per la quale già era stato approvato un progetto presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, e per conoscere con precisione gli elementi in base ai quali la Edison abbia avocato in giudizio, presso il Tribunale superiore delle acque, l’ingegner Bernori Ferruccio, la Società Somaggia Tartano, nonché il Ministero dei lavori pubblici, per sentirsi condannare a riprendere tutte le pratiche dal principio, in concorrenza con la Edison, quando si pensi che il progetto era già stato accettato in concorrenza eccezionale, sulla base dell’articolo 10°, testo unico sulle acque, ed era già stato firmato il disciplinare di concessione, e pagate le relative tasse.
«Caprani».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, ed i Ministri dell’industria e commercio, del commercio con l’estero e della marina mercantile, per conoscere se è vero che voti e studi sono in atto per il riconoscimento della qualifica dì «portofranco» al porto di Genova e se il Governo ricorda e tiene presente che, fra le più vive aspirazioni ed attese del popolo napoletano, vi è quella di veder riconosciuta tale qualifica al porto di Napoli, che, per la sua particolare posizione geografica e per la mancanza di un adeguato retroterra di base al suo traffico, risulta naturalmente ed in modo addirittura unico designato per tale funzione.
«Per conoscere altresì se il Governo ha esaminato o ha intenzione di tempestivamente esaminare fino a che punto l’assegnazione al porto di Napoli della funzione di portofranco, completato da una adeguata zona in regime di franchigia doganale a carattere commerciale e industriale, contribuirebbe alla ripresa di Napoli e della provincia e se, ricordando le vecchie e recenti, continue promesse elargite a Napoli e al Mezzogiorno, il Governo stesso non ritenga, dovendosi, nell’interesse doganale a riva di mare, giusto e doveroso che tale vantaggio, anche a voler astrarre dalle considerazioni geografiche avanti esposte, venga senz’altro riservato a Napoli, che della guerra è stata protagonista generosa e vittima sacrificata e che trovasi, oggi, in condizioni di stasi e di disagio peggiori di ogni altra.
«Rodinò Mario».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti per reclamare provvedimenti di urgenza perché affluiscano nei luoghi di grande produzione di agrumi nella Riviera Jonica (Locri, Carbonia, Roccella, Soverato, ecc.) carri ferroviari a sufficienza, per evitare che la merce, così preziosa per gli scambi internazionali, deperisca sul posto, con grave danno pubblico e privato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Turco».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della guerra, per conoscere se ritenga opportuno modificare il grave provvedimento di dispensa dal servizio che si è preso per carabinieri e graduati che hanno contratto matrimonio senza la richiesta autorizzazione nel periodo supremamente eccezionale bellico ed anche post-bellico.
«Si intende che se vi sono posizioni personali e familiari di immoralità, indegnità, pericolosità che feriscono e compromettono l’uomo e l’abito, per il matrimonio contratto, in questo caso l’allontanamento dal Corpo si spiegherebbe. Nella maggioranza dei casi vi sono situazioni umane, affettive, talvolta nobili che giustificano, spiegano il matrimonio contratto in momenti tanto turbinosi.
«La dispensa dal servizio colpisce elementi talvolta tra i migliori per precedenti di servizio, amore al Corpo, dignità di vita.
«Si dovrebbe ancora concedere autorizzazione a contrarre matrimonio a coloro che non potettero a tempo inoltrare domanda per fatto dipendente da eventi bellici, e, sopraggiunta poi la disposizione restrittiva, si trovano in una posizione di non poterlo più fare per la nuova legge. Sono questi i casi nei quali il carabiniere si era impegnato con la donna, pensando di poter subito contrarre matrimonio, mentre il decreto legislativo luogotenenziale 20 marzo 1946, n. 155, richiede che il militare per avanzare istanza di contrarre matrimonio debba aver compiuto la terza ferma triennale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Notarianni».
«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della guerra, della marina militare, dell’aeronautica e del tesoro, per conoscere quali urgenti provvedimenti intendono adottare per annullare o, quanto meno, attenuare, gli iniqui effetti del Regio decreto 19 aprile 1923, n. 945, in forza del quale i salariati a matricola e permanenti, in servizio presso le Amministrazioni militari, vennero licenziati ed immediatamente riassunti in qualità di operai temporanei, ma continuando a prestare lo stesso servizio ai medesimi posti continuativamente per ben altri 23 anni, ledendo così il contratto di lavoro e privando i predetti operai del diritto acquisito della pensione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Ermini, Rapelli».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro del tesoro, per sapere se non ritengano equa, doverosa e urgente la modifica dell’articolo 13 del decreto-legge 25 ottobre 1946, n. 263, nel senso di rendere obbligatoria (e non facoltativa) l’estensione ai pensionati, già dipendenti dalle amministrazioni degli Enti locali, dei miglioramenti concessi ai pensionati statali, a termini degli articoli 10 e 13 del citato decreto.
«La modifica è richiesta e sollecitata dalle stesse autorità tutorie provinciali, costrette, in assenza di tassativo obbligo di legge, a rendere esecutive le delibere in senso negativo appoggiate a ragioni di bilancio; delibere che, in concreto, vengono a negare ai pensionati già dipendenti dagli Enti locali il diritto di vivere.
«Gli interroganti ravvisano, infine, la necessità inderogabile che lo Stato abbia a stanziare uno speciale contributo integrativo a detto titolo, a favore di quelle amministrazioni locali che documenteranno l’assoluta impossibilità di far fronte, coi propri mezzi, ai maggiori oneri relativi, fino a che le amministrazioni stesse non saranno poste in grado, in seguito alla riforma dei tributi locali, di provvedervi direttamente. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Belotti, Cremaschi».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quale definizione intenda dare alla incerta condizione giuridica dei pochissimi magistrati di nomina alleata, tuttora preposti ad uffici giudiziari e tenuti ancora in una situazione incerta e precaria, e ciò ad onta e delle disposizioni del Governo Badoglio, che le nomine fatte dagli Alleati ebbero a confermare, e del decreto legislativo luogotenenziale 31 agosto 1945, n. 571, che, all’articolo 2, dei predetti magistrati prevede la eventuale immissione in ruolo.
«Per conoscere inoltre perché esso Ministro non ha creduto finora di inquadrarli nei gradi iniziali della carriera o di comprenderli almeno fra coloro che, a termini dell’articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale 30 aprile 1946, n. 352, possono aspirare ad incarichi di funzioni di pretore, di giudice o di sostituto.
«La estensione di tale possibilità ad una categoria esigua di funzionari, che per un triennio hanno svolto una attività giudiziaria con lo stesso zelo, probità e senso di responsabilità dei magistrati di carriera, è una esigenza assoluta di giustizia, per obbedire alla quale si chiede che il Ministro interrogato voglia riaprire i termini per la presentazione da parte degli interessati delle domande di predetti incarichi e prorogare quello del 31 dicembre 1946, fissato alla propria facoltà di concessione degli incarichi stessi col citato decreto legislativo luogotenenziale 30 aprile 1946, n. 352. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rescigno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina militare, per sapere quali sono stati i criteri che hanno indotto a prendere due diverse decisioni in occasione di due esperimenti d’asta per il ricupero delle navi «Savoia» ed «Ottaviano Augusto», affondate nel porto di Ancona, gare che si sono svolte nello stesso giorno e vinte rispettivamente dalla cooperativa palombari «Dorica» e dalla ditta S.I.C.A.M. (emanazione del gruppo finanziario Scalera), risultando che, a seguito di un forte aumento avvenuto nei giorni immediatamente dopo la gara sul mercato dei materiali ferrosi, gli organi ministeriali (giustamente) non ritennero conveniente per il Tesoro accettare l’offerta della cooperativa palombari «Dorica», mentre la stessa considerazione, pur trattandosi di lavoro di dimensioni e caratteristiche simili, non venne fatta nell’aggiudicare il lavoro per il ricupero della nave «Ottaviano Augusto», per il quale il Ministero perfezionò la gara e stipulò il contratto, dando modo a questa Ditta di realizzare uno scandaloso utile. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ruggeri Luigi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e i Ministri dei lavori pubblici e dell’industria e commercio, per sapere se non sia il caso di rimuovere, con adeguati provvedimenti legislativi, gli ostacoli che particolarmente si oppongono allo sfruttamento idroelettrico delle valli, in conformità dei disposti della legge 5 novembre 1937, n. 2101, i quali sottintendendo la imperiosa necessità di utilizzare risorse ingenti, ancora inoperose, nell’interesse della economia nazionale, sanciscono la possibilità rimessa a chiunque, di chiedere la costruzione e l’esercizio di centrali elettriche. Se non sia il caso di invigilare sul fatto, che gli ostacoli di ordine burocratico vengono sempre frapposti su eccitazione della grossa speculazione finanziaria, tipo Edison, S.I.P., ecc., costituenti di fatto un centro monopolistico per eccellenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Caprani».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere le circostanze ed i motivi per cui il 26 ottobre 1946 venne perquisita la casa dell’ingegnere Marino, sindaco della città di Savigliano, il quale fu tratto in arresto e costretto per diverse ore nel palazzo comunale da parte di una squadra di polizia armata di mitra e proveniente da Torino; e se e quali provvedimenti siano stati presi a carico di coloro, che con calunniose denuncie hanno provocato la grave e ingiustificata manomissione dei diritti dell’interessato, la cui figura di sindaco e di cittadino è sempre stata riconosciuta degna di ogni ammirazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bubbio».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendo ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La sedata termina alle 20.20.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
- – Interrogazioni.
- – Svolgimento di una interpellanza dell’onorevole Bellavista al Ministro dell’agricoltura e delle foreste.
- – Seguito della discussione del disegno di legge:
Nuove formule di giuramento (N. 1) (Urgenza).