Come nasce la Costituzione

Come nasce la Costituzione
partner di progetto

GIOVEDÌ 25 LUGLIO 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XIII.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 25 LUGLIO 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SARAGAT

indi

DEL VICEPRESIDENTE GRANDI

E DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE:

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Annuncio di risposte scritte ad interrogazioni:

Presidente                                                                                                        

Verifica di poteri:

Presidente                                                                                                        

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Presidente                                                                                                        

Canevari                                                                                                          

Caroleo                                                                                                           

Gallico, Spano Nadia                                                                                     

Cortese                                                                                                            

Benedetti                                                                                                         

Molè                                                                                                                 

Martino Gaetano                                                                                           

Cevolotto                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri,

Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri                                            

Russo Perez                                                                                                     

Nobile                                                                                                               

Bertone                                                                                                            

Meda                                                                                                                 

Orlando                                                                                                           

Labriola                                                                                                          

Nitti                                                                                                                  

Lucifero                                                                                                           

Cianca                                                                                                              

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Chieffi, Segretario                                                                                             

La sedata comincia alle 16.

CHIEFFI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i Deputati Sardiello, Vanoni e Caso.

(Sono concessi).

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Ministri dell’interno, dell’agricoltura e delle foreste, dei trasporti, della pubblica istruzione, delle poste e telecomunicazioni, hanno trasmesso le risposte scritte alle interrogazioni dei Deputati: Scotti, Braschi, Bubbio, Cicerone, Terranova, Cremaschi, Sullo, Bovetti, De Michele.

Saranno inserite, a norma del Regolamento, nel resoconto stenografico della seduta odierna. (Vedi Allegato).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella sua riunione odierna, ha verificato non essere contestabili le elezioni dei seguenti Deputati per il Collegio unico nazionale, e concorrendo negli eletti le qualità richieste dalla legge elettorale, le ha dichiarate valide: Togliatti Palmiro, Longo Luigi, Scoccimarro Mauro, Secchia Pietro, Amendola Giorgio, Nobile Umberto, Massola Umberto, Pratolongo Giordano, Sereni Emilio, Li Causi Girolamo, Spano Velio, Di Vittorio Giuseppe, Negarville Celeste Carlo, Damiani Ugo, Giannini Guglielmo, Patrissi Emilio, Fresa Armando, Marina Mario, Tieri Vincenzo, Venditti Milziade, Rognoni Arturo, Corsini Tommaso, Patricolo Gennaro, Maffioli Catullo, Sforza Carlo, Facchinetti Cipriano, Azzi Arnaldo, Magrini Luciano, Perassi Tommaso, Martino Enrico, Natoli Lamantea Aurelio, De Mercurio Ugo, Sardiello Gaetano, Bruni Giraldo, Micheli Giuseppe, Piccioni Attilio, Pecorari Fausto, Restagno Pier Carlo, Pastore Giulio, Chatrian Luigi, Fuschini Giuseppe, De Unterrichter Maria, Federici Maria, Storchi Ferdinando, Mortati Costantino, Tosato Egidio, Nenni Pietro, Lombardo Matteo Ivan, Modigliani Emanuele Giuseppe, Lizzadri Oreste, Merlin Angelina, Pertini Alessandro, Morandi Rodolfo, Cacciatore Luigi, Vernocchi Olindo, Parri Ferruccio, La Malfa Ugo, Cianca Alberto, Lombardi. Riccardo, Calamandrei Piero, Schiavetti Fernando, Valiani Leo, Foa Vittorio, Codignola Tristano, Orlando Vittorio Emanuele, Croce Benedetto, Nitti Francesco, Bonomi Ivanoe, De Caro Raffaele, Ruini Meuccio, Paratore Giuseppe, Einaudi Luigi, Gasparotto Luigi, Porzio Giovanni, Cevolotto Mario, Benedetti Tullio, Bencivenga Roberto, Bergamini Alberto, Selvaggi Vincenzo, Fabbri Gustavo.

 

La Giunta stessa ha verificato non essere contestabili le elezioni dei seguenti Deputati subentrati in ciascuna circoscrizione a quelli eletti nel collegio unico nazionale, e le ha pertanto dichiarate valide:

per la circoscrizione di Torino (I): Flecchia Vittorio, Moranino Francesco, Rapelli Giuseppe, Villabruna Bruno;

per la circoscrizione di Cuneo (II): Platone Felice, Badini Confalonieri Vittorio;

per la circoscrizione di Genova (III): Rossi Paolo;

per la circoscrizione di Milano (IV): Cavallotti Alberto, Tumminelli Michele Maria, Cairo Arrigo, Treves Paolo;

per la circoscrizione di Verona (IX): Saggin Mario, Burato Arturo;

per la circoscrizione di Venezia (X): Ravagnan Riccardo;

per la circoscrizione di Udine (XI): Pellegrini Giacomo;

per la circoscrizione di Parma (XIV): Corassori Alfeo, Pignedoli Antonio;

per la circoscrizione di Firenze (XV): Saccenti Dino, Targetti Ferdinando, Cappugi Renato;

per la circoscrizione di Pisa (XVI): Amadei Leonetto;

per la circoscrizione di Siena (XVII): Gervasi Galliano;

per la circoscrizione di Roma (XX): Massini Cesare, Gallico Nadia, Mastrojanni Ottavio, Perugi Giulio, Camangi Ludovico, Bellusci Giuseppe, Matteotti Gianmatteo, Lucifero Roberto;

per la circoscrizione di Napoli (XXIII): Gatta Alessandro, Persico Giovanni, Cortese Guido, Fusco Giuseppe, Reale Eugenio, La Rocca Vincenzo, Puoti Renato, Mazza Crescenzo, Buonocore Giuseppe, Colonna di Paliano Carlo, Lombardi Giovanni;

per la circoscrizione di Salerno (XXIV): Sicignano Ludovico, Vinciguerra Ireneo;

per la circoscrizione di Bari (XXVI): Assennato Mario, Miccolis Leonardo, Rodi Cesario;

per la circoscrizione di Potenza (XXVII): Reale Vito;

per la circoscrizione di Catanzaro (XXVIII): Mazzei Vincenzo;

per la circoscrizione di Catania (XXIX): D’Agata Antonino;

per la circoscrizione di Palermo (XXX): Montalbano Giuseppe, D’Amico Michele, De Vita Francesco;

per la circoscrizione di Cagliari (XXXI): Laconi Renzo.

 

Do atto alla Giunta di queste comunicazioni, e, salvi i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidate queste elezioni.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente dei Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Come l’Assemblea ricorderà, è stata ieri approvata la chiusura della discussione generale. Ora si deve procedere allo svolgimento degli ordini del giorno, per il quale, a norma del Regolamento, ogni oratore dispone di venti minuti.

Si dia lettura dell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Canevari.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«L’Assemblea Costituente invita il Governo a promuovere una legge che rivendichi alle cooperative, alle società di mutuo soccorso e agli istituti similari, senza eccezioni di termini di prescrizione o trasferimento a terzi, la proprietà dei beni sottratti o alienati anche con la parvenza della legalità, durante il regime fascista, e il risarcimento dei danni comunque subiti dagli enti medesimi per le violenze fasciste; e perché siano perseguiti civilmente e penalmente i responsabili delle criminose distruzioni del patrimonio cooperativo.

Canevari, Mazzoni, Cosattini, Tonello, Piemonte».

L’onorevole Canevari ha facoltà di svolgere l’ordine del giorno.

CANEVARI. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo e mi limiterò a pochi punti che considero della maggiore importanza nel difficile momento che attraversiamo.

Ritengo che il compito principale di questo primo Governo della Repubblica sia quello di assicurare al Paese la maggiore tranquillità nel lavoro; e che a tal fine siano da indicare i seguenti provvedimenti:

1°) Una sollecita e coraggiosa politica dei consumi che sottragga la distribuzione dei generi di largo consumo popolare alla speculazione privata, ormai intollerabile; onde l’intervento in pieno e la valorizzazione del movimento cooperativo, sotto la vigilanza, il controllo e l’aiuto dei Comuni.

2°) Un’audace politica di lavori pubblici, dando il maggiore sviluppo ai lavori ferroviari, di ponti e strade, di porti, di bonifica, di montagna, di opere idrauliche e di difesa, di opere edilizie, di canali per la navigazione interna e per la irrigazione, ecc.

Specialmente alle opere intese ad aumentare la superficie irrigabile dovrebbe essere rivolta la prima e più attenta cura.

Attualmente, con circa 3000 metri cubi di acqua al secondo, vivifichiamo una superficie di circa due milioni di ettari di terreno; cioè un terzo della superficie di pianura, e il 9 per cento della superficie agraria. Potremmo raddoppiarla. Ma in un primo tempo potremmo aumentarla del 25 per cento. Altri 500 mila ettari di terreno potremmo sottoporre a irrigazioni entro un termine abbastanza breve, con un piano di relativa facile attuazione. Vi è interessata tutta l’Italia: il Nord, il Centro, il Sud, le Isole.

Oltre alla aumentata produzione, la irrigazione assicura il lavoro continuo e la vita al maggior numero di persone. Si calcola che ogni litro-secondo utilizzato, vuol dire una persona in più che può lavorare regolarmente e continuamente, e che può certamente vivere.

La sistemazione montana interessa tutta l’Italia e – mentre consente l’impiego immediato di numerose maestranze nelle zone di montagna più povere e più dedite alla emigrazione – può essere attuata sollecitamente, poiché presso i Corpi forestali numerosi progetti sono pronti.

Essa avrebbe un’importanza enorme nell’equilibrio idrico del Paese e aumenterebbe notevolmente le superfici bonificabili e irrigabili.

3°) Il problema del latifondo, da affrontarsi e risolversi gradualmente, ma tenacemente, ravvisando in ciò la possibilità di occupare larghe maestranze, di preparare le condizioni indispensabili per le successive trasformazioni agrarie e fondarie e di attuare una colonizzazione interna che assicuri a numerose famiglie di lavoratori della terra una vita tranquilla e feconda.

4°) Facilitare ai lavoratori diretti associati in Cooperative agricole la occupazione delle terre incolte o malcoltivate, specialmente di quelle suscettibili di miglioramenti agrari, e prorogare le occupazioni in corso, per un minimo di nove anni, in maniera da indurre i lavoratori interessati ad eseguirvi tutti i lavori di miglioria, con conseguente maggiore impiego di mano d’opera e con una maggiore produzione agricola.

La riforma agraria sarà certamente oggetto di esame e di dibattiti nella nostra Assemblea, ma intanto il Governo può, nell’interesse vivo e urgente del Paese, adottare i provvedimenti sopra accennati, quali mezzi efficaci per iniziare e sviluppare da una parte l’opera di ricostruzione e dall’altra per adeguare i prezzi di largo consumo popolare ai salari e agli stipendi.

Esempi potrò fornire all’onorevole Ministro dell’agricoltura, se richiesto, per dimostrare quali eloquenti risultati abbiano conseguito nei dintorni di Roma le Cooperative agricole, sui terreni tanto faticosamente ottenuti in temporanea concessione.

Provvedimenti lungamente attesi dai lavoratori della terra della Sicilia, alla quale io, figlio del Nord, mi sento così vivamente e fortemente legato, il Governo potrebbe immediatamente adottare, senza sacrifici per il bilancio dello Stato.

Onorevole Aldisio, la prego di insistere presso il suo collega onorevole Segni, Ministro per l’agricoltura, e presso il Consiglio dei Ministri, perché sia fatto quello che a lei forse è stato difficile di conseguire come Alto Commissario per la Sicilia: colpire a morte il gabellotto: questo intermediario inutile, nocivo, feudale, reazionario gabellotto, che è la causa principale della miseria materiale e morale dei contadini della Sicilia.

Un altro punto debbo rapidamente svolgere, ed ho finito.

Con l’ordine del giorno che ho avuto l’onore di presentarvi, mi sono limitato a chiedere un atto di giustizia riparatrice, al quale i cooperatori italiani hanno pieno diritto.

Il fascismo ha distrutto molti beni, mobili e immobili, che costituivano il risparmio collettivo di tanti lavoratori associati nelle loro cooperative, nelle mutue e in altri enti simili.

Case del popolo, sedi, spacci e magazzini, aziende agricole modello, che rappresentavano il frutto di tanti anni di lavoro associato ed erano elementi di prova di quanto si potesse conseguire, in forma civile, nella solidarietà fra gli uomini di buona volontà, per giungere a forme sempre più elevate di convivenza umana, furono incendiati, devastati, distrutti.

Altri beni immobili furono occupati violentemente dalle criminose bande fasciste, come bottino di guerra: mezzi d’opera furono asportati; cantieri di lavoro liquidati; bestiame da lavoro, da produzione e da allevamento, fatto oggetto delle più inique rapine, anche se mascherate dalla così detta legalità fascista.

In molti casi le Cooperative furono obbligate, come a Frascarolo, a convocarsi in Assemblea per fare cessione o donazione dei loro beni ai fascisti, al dopolavoro fascista, a nuovi enti creati dal fascismo, per il fascismo.

Potrei citare un elenco impressionante di casi simili, che interessano ogni parte d’Italia; mi limito ad alcuni di essi, senza soffermarmi su quanto è avvenuto nella mia Federazione, perché troppo vi sono direttamente interessato, limitandomi a ricordare che l’occupazione fascista di otto aziende agrarie cooperative venne fatta contemporaneamente alla marcia su Roma e tutto fu liquidato come fosse un bottino di guerra.

Nell provincia di Bologna i danni segnalati finora alla Lega Nazionale delle Cooperative ammontano a lire 1.485.000 (valuta, va da sé, d’allora); alla Cooperativa di Binasco lire 1.421.000; nella provincia di Mantova lire 7.958.159; a Cremona lire 977.750; a Pistoia lire 250.000; a Siena lire 312.000; a Ravenna, vari milioni, ecc. Ma come esempio tipico vale quello di Molinella. Sia permesso di ricordarlo brevemente.

L’organismo cooperativo di Molinella, alimentato attraverso il tempo dal genio creatore e dalla fede animatrice di Giuseppe Massarenti, a cui tutti siamo debitori di un atto di riparatrice giustizia, nel 1920 costituiva un vasto complesso di istituzioni fiorenti che assicuravano ed incrementavano la produzione e difendevano il salario del povero e il pane del popolo.

Una cooperativa agricola che gestiva cinque tenute, un’azienda macchine ricca di motori, aratrici, trebbiatrici, decanapulatrici, ecc., sette cooperative di consumo, una cooperativa di tessuti, una per prodotti ortofrutticoli, una cooperativa muratori ed un’altra di birocciai, cinque asili infantili (giacché la grande famiglia dei cooperatori molinellesi si preoccupava anche di contribuire all’educazione dei figli del popolo); insomma un capitale di 40 milioni di lire di quel tempo, messo insieme frusto a frusto, con ritenute sui salari, con ore gratuite di lavoro compiuto dopo l’orario normale consumato nelle terre altrui; tutto questo patrimonio è stato selvaggiamente saccheggiato e disperso. Ed ora si è arrivati a questo colmo: la Cooperativa agricola di Molinella deve prendere a nolo le proprie macchine che furono vendute all’asta come preda o trofeo della guerra contro la classe lavoratrice.

Con l’ordine del giorno presentato impegniamo il Governo ad emanare disposizioni di giustizia riparatrice.

Confido, onorevoli colleghi, nella vostra adesione. Confido, signori del Governo, nella dichiarazione favorevole che da voi attendono i lavoratori cooperatori italiani. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno dell’onorevole Caroleo. Se ne dia lettura.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«L’Assemblea Costituente, ritenuta la necessità che siano emanati provvedimenti d’urgenza a favore delle classi agricole, specialmente del Mezzogiorno, alle quali deve essere assicurata, come per i lavoratori della industria, la continuità di una prestazione d’opera, non soggetta alla mutevole volontà dei proprietari della terra, in funzione di datori di lavoro, raccomanda al Governo di dar vigore ad opportune norme rivolte ai seguenti scopi:

1°) prorogare, ad equo corrispettivo e per la durata che parrà conveniente (in ogni caso non inferiore ad un triennio), gli affitti a coltivatore diretto, estendendo tale qualifica anche ai conduttori diretti di azienda agricola nelle zone soggette a colture estensive;

2°) realizzare, attraverso la giusta moderazione dei canoni locatizi e una esatta determinazione dei costi di produzione, un sistema di calmieramento dei prezzi, con vincoli parziali dei prodotti agricoli, adeguati alle esigenze di consumo delle provincie produttrici od almeno alle esigenze delle categorie meno abbienti delle stesse provincie;

3°) garantire ai coltivatori il reale conseguimento di tutti i sussidi ad essi destinati dal Governo per il grano prodotto mercé l’impiego della loro opera;

4°) assicurare con eventuali norme interpretative l’assoluta irrevocabilità dei decreti prefettizi di assegnazione di terre incolte o insufficientemente coltivate, emessi o da emettere in base al decreto legislativo luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 279;

5°) impedire, a carico dei coltivatori diretti, l’applicazione, da parte degli uffici provinciali dell’alimentazione o di altri enti, di speciali contributi per insussistenti spese di distribuzione sui quantitativi di grano trattenuti per consumo familiare e per i bisogni aziendali».

PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgere quest’ordine del giorno.

CAROLEO. Onorevoli colleghi, debbo per poco infastidirvi allo scopo di prospettare due gravi problemi, che attualmente si presentano di urgente soluzione per il popolo calabrese. C’è un problema di lavoro e un problema di consumi. In riferimento al problema di lavoro, che interessa particolarmente tutta la classe agricola della provincia di Catanzaro, in quest’ordine del giorno io propongo che l’Assemblea rivolga raccomandazione al Governo di voler rendere stabile, tranquilla e continuativa la possibilità di una prestazione di opera dei lavoratori della terra.

Questa continuità è stata in certo qual modo pregiudicata e compromessa dal decreto del 5 aprile 1945, con cui si sbloccavano gli affitti dei fondi rustici e la proroga si concedeva unicamente nei confronti dei coltivatori diretti.

La proroga, che andrà a scadere fra qualche mese, dovrà essere rinnovata almeno per un triennio, in relazione a quelle che sono le esigenze colturali della nostra zona e andrà estesa anche ai conduttori diretti di aziende, perché noi in Calabria, con la questione del latifondo, non abbiamo di fronte coltivatori di poderi che per esigua quantità, mentre il coltivatore della terra che al sole dà e prodiga la sua fatica, nelle nostre zone malariche si identifica in qualche cosa che è tra il coltivatore diretto e il cosiddetto grosso coltivatore.

Le commissioni istituite dal decreto Gullo, e che dovevano avere indubbiamente, nelle aspettative del Governo, altra applicazione, hanno finito col restringere il concetto e la qualifica del coltivatore diretto, identificandolo addirittura soltanto nel contadino che zappa la terra.

Ora noi chiediamo che la proroga sia estesa anche a quest’altra categoria di lavoratori, che sono i benemeriti della produzione della Calabria e che hanno anche diritto alla garanzia della continuità del loro lavoro. Parecchi di essi sono stati messi sulla strada, dopo decenni di conduzione di terre a cui avevano dato non soltanto l’opera propria, ma anche quella dell’intera famiglia. E la ragione è stata una sola: quella, per i proprietari, di realizzare maggiori profitti.

Noi non chiediamo che la proroga sia data senza un equo aumento, perché quando si parla di giustizia sociale non si può pensare di attuarla attraverso espropriazioni o indebiti arricchimenti, ma è certo che l’equo corrispettivo non deve andare al di là dei limiti giusti.

A questo punto si innesta anche la questione del problema che ho definito dei consumatori, perché si collega strettamente sia al lavoro, sia al consumo. Ieri diceva l’onorevole Togliatti – e diceva bene – che non si è fatto nulla finora per allarmare la classe dei possidenti. Io dico di più: si è fatto nel 1945 qualche cosa di contrario all’allarme, perché per noi, che abbiamo potuto assistere da vicino alle conseguenze dello sblocco degli affitti delie terre, e quindi dello sblocco dei canoni locatizi, si è presentata precisamente la realtà di una posizione iniqua, che si determinava sia di fronte a categorie di possessori di capitali di altra natura, sia di fronte, principalmente, alla grossa massa dei consumatori. Tutti gli aumenti che derivarono strettamente dall’applicazione del decreto di sblocco agli affitti delle terre si scaricarono – onorevoli colleghi, è questa l’esatta parola – sui consumatori italiani, e principalmente su quei consumatori calabresi che sono niente altro che contadini, reduci senza lavoro, impiegati, pensionati che non riescono a superare il tormento alimentare della giornata.

Ora, io ho sentito ed ho seguito con molto interesse e con molta attenzione i diversi discorsi di professori di economia e di finanza, ma non ho trovato ad un certo momento la ragione sufficiente di quel, quasi direi giuoco di prestidigitazione, per cui i salari vengono subito inghiottiti da qualche cosa che non si vede, o che si vede e si intravvede, come la terza carta del giuoco del prestidigitatore.

Ebbene, noi in Calabria questo giuoco lo abbiamo seguito bene, e il denaro fresco che affluisce nelle casse dello Stato, i diversi milioni e miliardi che si sottoscrivono al debito pubblico provengono unicamente da grossi proprietari e da grossi produttori. Sono nidi di biglietti da mille che si possono facilmente rintracciare. Ora, questi nidi di biglietti da mille si sono nella Calabria formati attraverso aumenti iperbolici di prodotti agrari, come olio, fave, fagioli ecc.; ed attraverso iperbolico aumento di canoni locatizi.

Se si attende che si realizzi una discesa di prezzi nei prodotti alimentari attraverso una immissione sovrabbondante nel mercato di questi prodotti, che dovrebbe avvenire attraverso la trasformazione e il miglioramento della terra, non ci ritroveremo più.

Quello che ieri diceva un onorevole collega di altro settore è esattissimo ed è assai più vero per le nostre popolazioni calabresi: siamo ridotti al muro, i nostri reduci e disoccupati sono all’osso. A tutto questo bisogna pensare e la via è una sola: controllare i prezzi, ribassare i prezzi ed il controllo dei prezzi si attua principalmente attraverso il blocco dei fitti dei fondi rustici. Già nel 1945 i proprietari terrieri hanno avuto modo di elevare le loro rendite e si preparano a fare un altro aumento per il 31 agosto 1946. Il nuovo, blocco, come sempre, si scaricherà sulla massa dei consumatori; ma questa è una ingiustizia ed una iniquità, anche di fronte agli altri possessori di capitali di altra natura. I possessori di danaro dell’altra guerra sono rimasti col 5, con il 4, con il 3 per cento che davano i mutuatari privati e lo Stato ai sottoscrittori del debito pubblico. Altrettanto i proprietari di immobili urbani, che hanno avuto per di più il laccio dei Commissari degli alloggi. E, per i proprietari delle terre, perché vi deve essere una disparità di trattamento? Per dare impulso alla, produzione; sta bene, ma perché la produzione si aumenti e si migliori questo limite deve essere contenuto. Non bisogna andare al di là del rimborso di tutti i tributi, delle spese di manutenzione e di altra natura, ed è necessaria pure una rimunerazione di questo capitale. Arrivati ad un certo limite bisogna dire basta, perché l’eccedenza ricade sui consumatori, sui salariati, i quali faranno portare poi questo denaro fresco al Ministro del tesoro. Ma è la via più infame di afflusso di questo denaro alle casse dello Stato, perché è la via del patimento, è la via del lavoro, della fatica.

Quindi, se il Governo vuole, può ritrovare i nidi dei biglietti da mille. Così, quando si parla di prezzo politico del grano, io vorrei dire ai signori del Governo, che hanno tanta competenza: guardate che nell’analisi dei costi del grano bisogna andare principalmente al primo elemento che concorre in questi costi e che è il corrispettivo di quel mezzo di produzione che è la terra. È lì che dovete puntare, perché beccando su questo margine, che non è giustamente appreso da coloro che sono i proprietari delle terre, voi potrete anche risparmiare i 3 miliardi al mese che vi preparate ad addossare al popolo italiano per far entrare in vigore il nuovo prezzo del pane. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Signora Gallico Spano Nadia e da altri Deputati. Se ne dia lettura.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«L’Assemblea Costituente, interprete della giustificata attesa popolare, chiede al Governo di voler estendere l’assegnazione del premiò della Repubblica alle vedove di guerra ed alle mogli dei prigionieri, nella misura di lire 3.000, come manifestazione di solidarietà per le durissime condizioni di vita in cui versano queste donne con le loro famiglie e che le pongono fra le più colpite e misere categorie della Nazione.

«Gallico Spano Nadia, Montagnana Rita, Merlin Lina, Mattei Teresa, Noce Teresa, Rossi Maria Maddalena, Bianchi Bianca, Delli Castelli Filomena, Gotelli Angela».

PRESIDENTE. L’onorevole Signora Gallico Spano Nadia ha facoltà di svolgere quest’ordine del giorno.

GALLICO SPANO NADIA. Il programma del Governo comprende una prima misura immediata per venire incontro alle più urgenti necessità delle classi lavoratrici. Il premio della Repubblica, che non sostituisce l’adeguamento dei salari, è tuttavia manifesta volontà del Governo di aiutare le masse lavoratrici a superare l’attuale grave momento ed a permettere loro di aspettare con minore sofferenza nuovi più sostanziali provvedimenti. È in questo spirito che i lavoratori, i disoccupati, i reduci, i quali hanno saputo imporsi sacrifici e privazioni pur di raggiungere i grandi obiettivi che si proponevano, la proclamazione della Repubblica e la convocazione dell’Assemblea costituente, è in questo spirito che essi hanno accolto l’annuncio del Governo. E il loro sdegno, come lo sdegno di tutta la Nazione è oggi ampiamente giustificato di fronte all’atteggiamento degli industriali e degli agrari, di coloro cioè che della guerra hanno approfittato o che per lo meno non hanno sofferto delle tragiche conseguenze che la guerra ha invece imposto a tutto il popolo italiano. Costoro, infatti, vorrebbero che i sacrifici inevitabili di questo dopoguerra fossero sopportati esclusivamente dalle classi lavoratrici, dalle famiglie e dai bambini dei lavoratori. Costoro vorrebbero che per la maggioranza del popolo italiano la Repubblica avesse il volto del passato regime che favoriva, opprimendo i lavoratori, coloro che non sanno il significato della parola sacrificio e che non vogliono conoscerlo.

Il popolo italiano tutto sa bene che essi furono in gran parte i responsabili delle sciagure del nostro Paese, sa bene che essi seppero trarre da queste sciagure benefici e vantaggi, il popolo vuole tuttavia che essi si mettano su una nuova strada e imparino che i sacrifici del Paese per la ricostruzione e per la rinascita dell’Italia debbono essere sopportati da tutti e in primo luogo da coloro che non li hanno mai sofferti.

I lavoratori sanno che debbono sopportare ancora altri sacrifici e non si illudono che il premio della Repubblica significhi per essi la fine delle loro miserie, delle ansie, delle sofferenze, la possibilità di sottrarre i loro bambini alla mortalità così paurosamente aumentata in questi ultimi anni, o alla tubercolosi; essi sanno che non vorrà dire poter proteggere dal freddo del prossimo inverno le loro famiglie, né sfamarle oggi. I lavoratori sanno che il premio della Repubblica è solo un piccolo respiro e soltanto la possibilità di aspettare in condizioni un po’ meno paurose i nuovi provvedimenti che il Governo dovrà inevitabilmente prendere, se vuole essere effettivamente il primo Governo della Repubblica italiana, cioè di quel regime che deve essere il regime di tutti gli italiani e non di poche caste privilegiate.

Ecco perché il Governo non può sottrarsi all’impegno di emanare disposizioni impegnative affinché il premio della Repubblica sia effettivamente corrisposto, stroncando la resistenza della Confindustria e della Confida, resistenza che è oggi un insulto per tutto il popolo italiano.

Nell’attesa che, così agendo, il Governo dia ai lavoratori una prova che oggi, in Italia, i diritti del lavoro sono riconosciuti, noi proponiamo che il beneficio di tale premio sia esteso ad un’altra categoria di capi famiglia che troppo spesso viene dimenticata ed esclusa dai minori benefici, categoria che ha invece diritto a tutto il rispetto e a tutta la solidarietà della nazione: alle vedove di guerra.

La loro situazione è oggi veramente tragica e merita di essere brevemente esaminata, perché questo esame dimostra il loro diritto ad essere considerate come capi famiglia disoccupati.

La guerra ha portato nelle loro case il lutto; vi ha portato inoltre, quasi sempre, la miseria. Prive di sostegni, esse hanno dovuto a poco a poco vendere tutto ciò che avevano in casa, cercando in pari tempo una occupazione, perché dovevano sostituire presso i loro bambini l’assente senza ritorno. Il lavoro è per esse una necessità assoluta. La pensione non solo è insufficiente a condurre una vita modesta ma decorosa, ma serve appena per i primi due o tre giorni del mese. Per tutto il resto del tempo, quando non vi è più niente da sacrificare, neppure i ricordi più cari, restano la miseria, la fame, la disperazione.

Ma il lavoro non si trova facilmente in un paese dove vi sono due milioni di disoccupati, molti dei quali hanno delle capacità e delle qualifiche e possono quindi aver facilmente la precedenza su donne che l’estremo bisogno solo ha fatte uscir di casa in cerca di lavoro; non si trova facilmente lavoro in un paese distrutto, paralizzato, privo di materie prime, in un paese infine in cui giustamente i reduci chiedono di essere riammessi per primi nel ciclo produttivo.

Le vedove di guerra hanno quindi diritto di ottenere questo duplice riconoscimento: primo, di essere considerate capi famiglia: esse hanno dovuto assumere per colpa della guerra tutte le responsabilità del capo famiglia ed è giusto che godano anche gli scarsi benefici collegati a tale qualifica; secondo, conseguentemente, anche se non sono mai state occupate, debbono essere considerate disoccupate e godere dell’assistenza concessa a questa immensa categoria.

Si potrà opporre a questa giusta rivendicazione che la corresponsione del premio alle vedove di guerra rappresenterà un aggravio eccessivo per lo Stato. Si è tuttavia parlato di oltre 30 miliardi quale cifra presumibile che sarebbe raggiunta dalla corresponsione totale del premio della Repubblica. Oltre al fatto che la corresponsione alle vedove di guerra aumenterebbe di poco questo aggravio totale, sarebbe veramente immorale e vergognoso soffermarsi in questo caso ai dati puramente contabili e non tener conto dell’immenso sacrificio che queste donne hanno sopportato.

Considerazioni analoghe dovrei fare per le mogli dei prigionieri e pertanto non le ripeto.

Molte sono le donne che oggi vengono a chiedere la soluzione dei loro problemi, grande è l’attesa soprattutto per la nostra azione di rappresentanti, di difensori del popolo. Noi siamo stati inviati dal popolo per difendere i suoi interessi.

Chiedendo che venga concesso alle vedove di guerra ed alle mogli dei prigionieri il premio della Repubblica noi ci facciamo interpreti di uno di questi interessi, dei più giusti e dei più tristi. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno degli onorevoli Cortese, Fusco e altri. Se ne dia lettura.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri,

riafferma il diritto dell’Italia all’integrità dei suoi confini naturali consacrati dal sacrificio di intere generazioni e da tutta la storia liberale e democratica d’Italia;

esprime la legittima aspirazione del popolo italiano a non vedersi spogliato delle Colonie acquisite col consenso delle grandi potenze europee e arricchite dal lavoro e dal capitale italiano;

si leva contro l’ingiusta diffidenza che muove le potenze cobelligeranti ad imporre alle nostre Forze armate limitazioni umilianti, in dispregio del contributo di sacrificio e di sangue dato dall’Italia alla causa comune;

protesta contro la minaccia di sanzioni economiche che colpirebbero i nostri lavoratori in Italia e all’estero, abbassando il tenore di vita di tutti gli italiani ed ostacolandone l’opera di ricostruzione;

auspica che il riconoscimento dei diritti italiani sia fatto all’infuori di ogni spirito nazionalistico, ma con l’energia necessaria;

dichiara che i rapporti tra l’Assemblea Costituente e il Governo restano regolati dal decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, e afferma che il Governo deve limitare l’esercizio dei poteri conferitigli dall’articolo 3 ai casi che non incidano, in maniera diretta o indiretta, sulla materia costituzionale;

constata che la composizione dell’attuale Governo non è tale da garantire la efficace direzione della cosa pubblica in un momento così grave per il Paese e che il suo programma contraddittorio, oscillante tra un indirizzo pianificatore e inflazionistico e una tendenza di libertà economica e di difesa della lira, non fa sperare in quella opera coerente di ricostruzione che il Paese esige;

e passa all’ordine del giorno.

«Cortese, Fusco, Perrone Capano, Cifaldi, Martino Gaetano, Badini Confalonieri, Villabruna, Reale Vito».

PRESIDENTE. L’onorevole Cortese ha facoltà di svolgere quest’ordine del giorno.

CORTESE. Onorevoli colleghi, io mi dispenso dall’illustrare la prima parte del nostro ordine del giorno che esprime l’ansia ed il dolore di tutto il popolo italiano di fronte ai preannunci della pace che sono in così duro contrasto con l’ottimismo tante volte espresso dall’onorevole Presidente del Consiglio, Ministro degli esteri. Né qui farò l’esame critico della condotta da lui spiegata, o non spiegata, in difesa dei nostri diritti, limitandomi a rilevare che se è innegato che l’opera del Ministro degli esteri è difficile per ovvie ragioni, queste però non debbono valere come facile alibi per coprire tutte le eventuali deficienze e tutti gli errori della nostra politica estera. Noi qui, in quest’ora di estrema vigilia per le sorti del nostro Paese, leviamo innanzi all’equità dei popoli e alla giustizia della storia le nostre istanze di giustizia.

Quando, onorevoli colleghi, Ulianov il grande Lenin, ritornò nella sua patria percorsa dai primi fremiti della rivoluzione, egli portò non soltanto al suo popolo, ma a tutti i popoli del mondo travolti nel turbine della guerra, una grande promessa di umana giustizia che si espresse nella formula: «né annessioni, né riparazioni».

E nel congresso dei sovieti egli ripetè per due volte che laddove si parla di annessioni e di riparazioni, là non vi è pace democratica. Oggi l’Italia chiede alla grande nazione russa la pace di Lenin, chiede alle grandi nazioni anglo sassoni la pace annunciata da Roosevelt, quando proclamò che fine principale delle Nazioni Unite era quello di non permettere ingrandimenti territoriali.

L’onorevole Togliatti ha ricordato l’esempio della Francia della restaurazione. Ebbene, la Francia che aveva cercato l’egemonia dell’Europa insanguinandola per 20 anni, non perdette un pollice del suo territorio e si ritrovò intatta nei confini pre-napoleonici. Forse perché essa aveva Talleyrand, forse perché si riconobbe che anche la Francia vinta aveva un’utile funzione da svolgere nel riassetto dell’Europa. Ma quando Bismarck le tolse l’Alsazia e la Lorena, la Francia non riconobbe la mutilazione; innalzò a Parigi un monumento alle sue terre e alle sue città perdute, impresse nella pietra il ricordo, il dolore, la speranza, l’attesa che erano nel cuore dei francesi.

Briga e Tenda, il Moncenisio, Trieste Pola e Albona e tutte le città dell’Istria, non sono meno italiane di quanto l’Alsazia-Lorena è francese.

Oggi, onorevoli colleghi, si parla di réale politique. Ma non è politica realistica quella che non guarda all’avvenire, perché le memorie, le ingiustizie subite, le speranze, i risentimenti sono una realtà viva ed operante nella vita dei popoli, che non si ferma per il prepotere dei vincitori. Noi, difendendo le nostre istanze di giustizia ascendiamo dai nostri interessi nazionali, difendiamo un ideale di giustizia internazionale che è di tutti i popoli e cerchiamo di evitare che sorgano i germi di irrequietezza e di malcontento che minano la democrazia e all’interno e nei rapporti internazionali. Pur dissentendo dal programma del Governo, e pur non approvando la politica estera precedentemente svolta dal Ministro degli esteri, noi ci dichiariamo pienamente solidali con questo e con ogni altro Governo italiano che operi concordemente, con energia, con fermezza e con coerenza nella difesa di queste richieste che si levano dal cuore di tutti gli italiani. Ma, come liberale e come rappresentante del Gruppo parlamentare dell’Unione democratica Nazionale, devo dire, al termine dei lavori di questa Assemblea, fedele al compito di controllo e di critica, senza dei quali la vita democratica perde la sua essenza ed il suo ritmo, che noi non approviamo le comunicazioni del Governo per tre ragioni:

1°) Perché la genericità di quel programma denunzia che alle radici dell’attuale Governò si è trasferito quello stesso difetto che era alle origini del Governo esarchico, cioè la mancanza di un chiaro, preciso, rigoroso programma governativo accettato da tutte le forze contrastanti che compongono il Governo, senza riserve, in un impegno leale.

I liberali desiderano che questo difetto non si trasferisca anche a questo Governo. Tale mancanza di accordo è anche riprovata dalla discordia di indirizzi e propositi recentemente rivelatisi nella Confederazione generale del lavoro, dal riconoscimento in parte fatto ieri dall’onorevole Gronchi; dalle dichiarazioni dell’onorevole Alberganti, che ha espresso la ostilità delle forze che egli rappresenta verso un componente del Ministero che dirige uno dei dicasteri chiave; dalle stesse dichiarazioni dell’onorevole Togliatti, che non ci ha detto perché egli non è al Governo (Commenti), ma ci ha detto invece, in modo chiaro, tutto il suo dissenso verso la politica economica del Ministro del tesoro ed ha fatto le sue più ampie riserve per l’avvenire.

Ora, onorevoli colleghi, quando un Governo di coalizione è formato di forze ideologicamente opposte, se non vi è alla base un chiaro, preciso, rigoroso accordo, il quale faccia sì che esso diventi un armonioso strumento per il conseguimento di fini comuni, allora il Governo è soltanto un mezzo, attraverso un computo di voti, per la detenzione del potere da parte di più partiti, e non dà garanzie di poter agire come efficiente strumento per risolvere i problemi del Paese.

2°) Un’altra ragione di dissenso è quella della contraddittorietà. Mentre il Governo esprime il proposito di sempre più ampi interventi statali, di razionalizzare l’economia, di nazionalizzare, nello stesso tempo dichiara di volere difendere l’economia libera e l’iniziativa privata. È questo, dicevo, il secondo motivo del nostro dissenso: questa contraddittorietà; perché è preferibile stabilire in modo specifico quali sono gli interventi statali che ci si propone di operare, quali i limiti di libertà d’azione che si intende consentire all’iniziativa privata, anziché, con annunzi vari ed allarmanti, mantenere questa atmosfera pesante e nuvolosa sul campo economico, questa atmosfera di incertezza e di eterna vigilia di imprevedibili riforme di struttura; sicché è intimidita l’iniziativa privata, sono imboscati i capitali, che nel nascondimento cercano la difesa, è inerte lo spirito di intrapresa.

3°) V’è un ultimo motivo, che giustifica il nostro dissenso.

Nelle dichiarazioni del Governo si parla di avviamento a riforme costituzionali, di razionalizzare l’economia, di consigli di gestione, di nazionalizzazione o per lo meno di controllo di tutte le industrie connesse con la ricostruzione, cioè di tutte le industrie nazionali, di autonomie locali; cioè si è espresso il proposito di invadere, in certo senso, sia pure sulla soglia, sia pure incompletamente, la sfera della materia costituzionale.

Noi siamo, signori, su di un ponte di passaggio sull’altra riva. Dopo che l’Assemblea costituente avrà redatto la carta costituzionale, gli organi da essa creati potranno attuare quelle riforme che sono conseguenti ai principî inseriti nella carta costituzionale.

Ma ora occorre rispettare i limiti, i rapporti e i binari, altrimenti tutti i deragliamenti sono possibili.

Noi dichiariamo, fin da questo momento, che riconoscendo la validità dell’ordine costituzionale provvisorio e di fortuna, postosi dall’8 settembre 1943 al 2 giugno 1946, negato il quale si avrebbe il vuoto giuridico, in cui precipiterebbe perfino il titolo originario di legittimità di questa Assemblea, noi riconosciamo la validità del decreto 16 marzo 1946 e pertanto affermiamo che il Governo debba limitare l’esercizio dei poteri conferitigli dall’articolo 3 a tutti quei casi che direttamente o indirettamente incidano sulla materia costituzionale. La quale è demandata esclusivamente a questa Assemblea, che non dovrà nemmeno essa affrontarla in via frammentaria e tanto meno farla decidere con delega dei suoi poteri, sia pure parziale, al potere esecutivo, ma dovrà affrontarla e risolverla redigendo la carta costituzionale, alla quale noi liberali intendiamo collaborare come ad un documento storico che attesti che il popolo italiano, risalendo nell’ora più buia, ha saputo con leggi italiane porre la pietra fondamentale per la ricostruzione della Patria. (Applausi al centro).

Presidenza del Vicepresidente GRANDI

PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno dell’onorevole Benedetti. Se ne dia lettura.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«L’Assemblea Costituente Italiana, udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio e quelle degli oratori che hanno partecipato alla discussione,

invita il Presidente della Costituente a rendersi interprete dell’unanime sentimento dell’Assemblea, facendo pervenire alle Assemblee tutte delle Nazioni Unite ed associate l’appello del popolo italiano,

che domanda giustizia per le sue ragioni di vita,

che vuole non dimenticato il generoso concorso prestato durante due anni alla causa alleata ed alla guerra, contro il nemico comune, per mezzo delle forze regolari italiane e delle forze di resistenza militari e civili,

che chiede non sia tradita la causa della democrazia con la rinunzia ai grandi principî, in virtù dei quali il popolo italiano, spontaneamente, in condizioni particolarmente difficili, sposò la causa alleata, perché essa si identificava con quella della libertà e della fratellanza dei popoli».

PRESIDENTE. L’onorevole Benedetti ha facoltà di svolgere quest’ordine del giorno.

BENEDETTI. Onorevoli colleghi, non mi attarderò in vane e sterili recriminazioni. Troppo dovrei dire e la ristrettezza del tempo non me lo consentirebbe. La mia indipendenza e la mia obiettività, d’altronde, mi porterebbero a pronunziare parole che potrebbero riuscire sgradite ad avversari e ad amici, e sarebbero inopportune nelle attuali congiunture.

Allo svolgimento dell’attività del Governo noi assistiamo, non come taluno pretende, con l’animo del nemico in agguato, ma con italiana speranza e ferma volontà di non frapporre ostacoli al suo cammino, se questo cammino sia diretto verso la comune salvezza.

Verrà forse anche il giorno – Dio non voglia – e potrebbe essere assai presto, nel quale voi e noi, la vecchia Italia e la nuova, avvertiremo la necessità dell’unione sacra di tutti i cittadini, dell’unione sacra degli italiani per difendere con i fatti le ragioni di vita della Nazione. Ma sono eventualità eccezionali che deprechiamo per carità di patria. Oggi il nostro compito è più limitato e diverso: compito, di oppositori leali, che non sono in fregola di compromissioni maggioritarie. Il compito di governare è vostro, esclusivamente vostro. Il controllo è un dovere e un diritto nostro.

Portando i problemi attuali di governo davanti a questa grande Assemblea popolare l’onorevole De Gasperi ha certamente inteso riconoscerne il supremo indiscutibile diritto di sindacato, la piena sovranità in ogni campo, non soltanto in materia costituzionale, di trattati ed elettorale.

A questo proposito mi piace ricordare che, come è stato promesso, l’Assemblea deve affrontare il problema pregiudiziale e fondamentale della divisione dei due poteri, legislativo ed esecutivo. Rilevo inoltre che la tendenza a portare nel chiuso di commissioni, sia pure autorevoli, anche le questioni esplicitamente riservate dalla legge all’Assemblea, non è democratico, perché riduce la possibilità di controllo dell’opinione pubblica.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha espresso un programma di Governo ricolmo di buone intenzioni. Alcune ambiguità ci lasciano perplessi, qualche enunciazione non ci piace; perplessi per talune promesse demagogiche irrealizzabili che contiene e per le allusioni imprecise a soluzioni di gravi problemi come quello agrario, che sollevano vive inquietudini in larghe correnti di interessi e della pubblica opinione.

Esaminare il programma in dettaglio sarebbe un fuor d’opera, come forse è stato un fuor d’opera l’enunciarlo così vasto, complesso e irrealizzabile nel breve periodo di vita concesso al Governo.

Non abuserò pertanto dell’attenzione dell’Assemblea e mi limiterò ad esprimere il mio pensiero sulla politica estera. Sarò brevissimo, e ripeto, non mi attarderò in recriminazioni sul passato, sulla lealtà o slealtà degli alleati, sulle loro antiche complicità col regime dittatoriale, sulla perniciosa illusione di coloro che, accusando la generalità degli italiani, instaurarono povere fortune politiche in quel mancato reingresso dell’Italia che fu la tragica beffa della cobelligeranza. Né insisterò sulla vostra azione o cattiva azione diplomatica. Come avete potuto non prevedere la possibilità di accuse di subordinazione della vostra politica estera alla volontà di un gruppo di potenze? Come avete potuto illudervi sulla efficacia di assicurazioni che certamente vi furono date, ma che erano condizionate dagli sviluppi del giuoco fra i grandi? Come avete potuto non prevenire il sacrificio della Venezia Giulia e di Trieste, oggetto di cupidigie contrastanti e perciò forse superabili per la stessa virtù dei contrasti? Vi è mancato il metodo, se non l’animo, onorevole Presidente del Consiglio. Forse anche, salvo poche fortunate eccezioni, sono mancati gli strumenti che, per vero, non avete potuto né forgiare né scegliere, perché ve li hanno imposti i partiti o, meglio, i comitati.

Anche per ovviare a certa carenza diplomatica, per sostenere autorevolmente l’azione che sta svolgendo in questo momento il Ministro degli esteri, questa prima Camera eletta da oltre 23 milioni di cittadini italiani dovrebbe far pervenire per le vie più opportune ai Parlamenti, ai Governi, alle opinioni pubbliche dei Paesi che si dicono per antonomasia vincitori, l’appello unanime della Nazione italiana. Ho tradotto questo appello in un ordine del giorno.

Le decisioni anguste nella lettera, nello spirito, nella procedura, inique nella sostanza, ripugnanti ai principî di democrazia evocati durante la guerra e anche dopo di essa riaffermati, sono pericolose per tutte le nazioni, perché la pace, per essere durevole, dovrà essere un patto bilaterale, un trattato. Se sarà un Diktat, una sentenza, preparerà prossimi e pericolosi cambiamenti.

Sono anche io certo, amico Labriola, che l’Italia sarà un giorno in piedi.

Lo sarà anche prima di vent’anni, e non soltanto per opera di ben costruiti piani quinquennali, di un provvido e tenace sforzo economico, liberale o socialista, come l’onorevole Labriola preferisce, o altro. Sarà in piedi, per difendersi, cogliendo qualsiasi occasione, anche le più disperate, con una concordia, con una disciplina di ferro, che andrà, se occorre, da questi banchi a quelli opposti ed estremi, quando saremo tutti estremi, se ciò diverrà necessario per salvare l’Italia.

L’Italia non ridiventerà l’espressione geografica cara alle Sante Alleanze di tutti i tempi. L’Italia è il cuore dell’Europa. È una massa di quasi 46 milioni di anime. Non è soltanto un pontile di sbarco di merci o il terreno di atterraggio di future flotte aeree, non sarà il cieco e passivo strumento di altre guerre.

La famosa fatalità che porta a concludere le guerre europee nella valle del Po, ha pur sempre bisogno del nostro concorso. Questo Paese, anche inerme e sminuzzato, riuscirà a difendere la sua libertà e la sua neutralità, quando che sia, contro chicchessia.

Questo non è il nazionalismo del quale parlano, non sempre a proposito, coloro che non hanno occhi per quel che avviene al di là di certe frontiere. Qui non si invocano primati di letteraria memoria, né assurde restaurazioni imperiali. Si vuol difendere la più onesta, la più democratica potenza di pensiero e di lavoro di un popolo ricco d’ingegno e di miseria, che ha sempre ricevuto meno di quello che ha dato. Esso oggi dovrebbe essere mutilato, perdere i suoi sbocchi economici, le sue antiche e sudate colonie. Dovrebbe limitarsi ad esportare coolies a vile prezzo, merce umana, destinata a scendere, in regime da galeotti, in fondo a quelle miniere che disertano i proletari degli altri Paesi. Dovrebbe limitarsi ad inviare all’estero, in tutta perdita di corpi e di anime, il suo eccesso di popolazione, non per consacrare una nuova auspicata fratellanza dei popoli, ma soltanto per sanare le ferite di quei paesi che, oggi, ci vogliono umiliare e spogliare.

Questa Italia che si difende è l’Italia dei lavoratori e dei poveri. È la vostra, onorevoli colleghi dei partiti cosiddetti di massa.

Il collega Pacciardi ha sostenuto, con la autorità che gli deriva dalle esperienze vissute, che le possibilità di negoziare il trattato di pace non debbono essere sminuite da discussioni su questioni accessorie. Ha ragione. Ha torto soltanto quando parla di trattato di pace. Il trattato è già redatto, e se è conosciuto da noi a causa di indiscrezioni, non è stato ancora comunicato al Governo italiano. E il Presidente del Consiglio non è stato ancora chiamato a Parigi, non dico già per trattare, ma per essere udito.

Io temo, onorevole Presidente del Consiglio, che la nuova più energica azione diplomatica cui sembra vi accingiate, in ultima istanza, dinanzi ai ventuno, sia tardiva. Comunque, tentarla si deve, in ogni senso e in ogni direzione.

Le nostre speranze si rivolgono con gratitudine verso le Potenze che già hanno dimostrato di comprendere la nostra angoscia.

Se la nostra azione fallisse, ricordatevi che il popolo non vi perdonerebbe di firmare un trattato che non sarebbe un trattato, ma una sentenza di condanna. Le sentenze vengono notificate.

Se una tale firma dovesse essere da noi apposta, io mi auguro che ciò sarà fatto non in modi che impegnino il nostro popolo, bensì con cautele che saranno per sempre la prova della violenza subita.

Onorevoli colleghi, per concludere, lasciatemi dire che se non vogliamo tradire il mandato affidatoci, noi non ci dobbiamo lasciar dividere su questo terreno, in questa ora, nemmeno dalle nostre ideologie discordanti, dalle nostre passioni ed ancor meno da ambizioni politiche.

L’Italia democratica sarà salvata dalla resipiscenza delle democrazie straniere, che oggi debbono ascoltare il nostro grido di dolore ed il nostro appello; sarà sorretta dalla ferma disciplina degli italiani auspicanti una libera, pacifica e democratica comunione italiana. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno dell’onorevole Basile. Se ne dia lettura.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«L’Assemblea Costituente,

ritenuto che il potere legislativo non può essere sottratto alla sovranità dell’Assemblea elettiva, che nel regime parlamentare rappresenta la volontà del popolo,

chiede che ogni provvedimento legislativo sia sottoposto all’esame e alla ratifica dell’Assemblea Costituente».

Non essendo presente l’onorevole Basile, si intende che vi abbia rinunciato.

Si dia ora lettura degli ordini del giorno presentati dopo la chiusura e che perciò non possono essere svolti.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«L’Assemblea Costituente, libera e sovrana espressione di tutto il popolo italiano;

riafferma la inscindibile unità della Patria nella sua gente e nei suoi confini;

invita il Governo a perseverare tenacemente nella difesa del buon diritto dell’Italia a una pace giusta e onorevole, che possa avviare il Paese alla rinascita interna e alla cooperazione internazionale;

approva le dichiarazioni del Governo e passa all’ordine del giorno.

«Molè, Persico, Cevolotto, Gasparotto, Nasi, Preziosi, Pasqualino,Vassallo».

«La Camera confida che nell’opera di risanamento del bilancio e della ricostruzione economica e finanziaria saranno adottati provvedimenti concreti per ottenere:

  1. a) che tutti i cespiti della ricchezza nazionale siano chiamati a contributo per l’imposta straordinaria sul patrimonio;
  2. b) che il risparmio privato possa tornare alla sua normale destinazione e funzione di investimento nella libera economia, della cui espansione e del cui sviluppo esso è condizione;
  3. c) che sia ripristinata e rinvigorita la preminente funzione degli organi centrali e periferici di accertamento delle imposte normali, da ridursi ad aliquote ragionevoli.

«Bertone».

«L’Assemblea Costituente, preoccupata dell’intensifìcarsi delle violazioni della libertà e della legalità, invita il Governo ad un’azione energica, alla immediata riorganizzazione ed al potenziamento di tutte le forze destinate alla tutela dell’ordirie e passa all’ordine del giorno.

«Meda, Cappi, Uberti».

PRESIDENTE. A norma dell’articolo 80 del Regolamento, do la parola all’onorevole Molè che l’ha domandata per dare, come ex Ministro, chiarimenti su un suo atto di Governo, cui si è riferito durante la discussione l’onorevole Martino Gaetano.

MOLÈ. Ho dovuto, mio malgrado, chiedere la parola a termini del Regolamento alla fine della discussione generale, per spiegare e difendere dinanzi all’Assemblea costituente – il che risponde ad un dovere democratico – un mio atto di Governo, per il quale ho avuto censure e critiche assolutamente erronee. Si tratta di questo. Come Ministro della pubblica istruzione, ho annullato la nomina di 39 professori delle Università siciliane. L’onorevole Gaetano Martino, professore di fisiologia, ma non di diritto, e Rettore dell’università di Messina, e come tale, collaboratore… nelle nomine, mi ha accusato, con qualche spunto polemico di sapore arsenicale, di violazione di diritti quesiti, di offesa dell’autonomia, non so se politica o universitaria della Sicilia, e ha gridato all’atto di arbitrio, anzi allo scandalo.

Potrei essere anche d’accordo in questa definizione; ma bisogna vedere se l’arbitrio fu commesso prima o dopo, se lo scandalo è consistito nella revoca o invece nelle nomine fatte senza concorso in aperto disprezzo della legge vigente.

Il fatto è semplicissimo. Durante l’occupazione della Sicilia furono chiamati 39 professori a coprire cattedre di ruolo con una ordinanza del comando militare Alleato: e precisamente 17 all’Università di Messina, 17 all’Università di Palermo, 5 all’Università di Catania: alcune, per giunta, di nuova istituzione!

A giustificare codesta inflazione, che fu detta scherzosamente degli am-professori – a somiglianza della inflazione valutaria – si addusse la necessità di coprire alcuni insegnamenti deserti, perché alcuni professori erano incompatibili con la nuova situazione politica e altri si erano allontanati abusivamente dalla Sicilia.

Il motivo poteva anche esistere ed essere legittimo, sebbene non spieghi la istituzione di nuove cattedre. Ma il procedimento usuale, legale, corretto, era quello di affidare degli incarichi agli studiosi locali, senza ipotecare le cattedre, senza deludere le legittime aspettative, senza sbarrare la strada agli studiosi di tutta Italia, di cui molti erano combattenti o deportati in Germania, molti raminghi o nascosti nelle zone occupate o dispersi nel mondo per motivi politici o razziali dalla bufera della guerra e dalla persecuzione fascista.

Io ho letto in qualche giornale che con il mio provvedimento ho offeso la Sicilia e la sua autonomia, come se la Sicilia non facesse parte dell’Italia; come se l’ordinamento universitario non fosse unico in tutta la nazione, come se alle cattedre di Sicilia non avessero il diritto di poter aspirare tutti gli studiosi d’Italia, da Torino a Siracusa, come se gli studiosi della Sicilia non avessero trovato ospitalità premurosa nella Università di Torino in altri momenti gloriosi e drammatici della vita italiana. Se volete in Sicilia l’autonomia degli studi, nel senso angusto che solo professori siciliani debbano insegnare a studenti siciliani, dovete proporla, «de jure condendo». Ma se oggi vi è un unico ordinamento universitario, dovete osservarlo. E perciò i concorsi devono essere in maniera legale banditi, giudicati, esauriti; e non è lecito, come si è fatto, procedere a nomine di ruolo, senza concorso, in base a semplice giudizio locale, sia pure di Commissioni – non saprei come dire – irreggimentate in seguito ad un convegno dei tre Rettori delle Università a Palermo…

MARTINO GAETANO. La prego di chiarire la parola «irreggimentate», perché offende e lede la nostra personalità.

MOLÈ. Signor Rettore, ella non ha evidentemente l’abitudine dei dibattiti parlamentari: io le ho lasciato dire tutto ciò che ha voluto senza interromperla…

MARTINO GAETANO. Domando la parola per fatto personale.

MOLÈ. Non ho difficoltà a spiegare che con l’espressione «irreggimentate» volevo dire discrezionalmente scelte dai rettori tra i soli professori siciliani.

La irregolarità è dunque evidente e non so come si possa parlare di diritti quesiti violati per la revoca di un provvedimento che rappresenta la patente violazione delle leggi regolatrici dell’ordinamento universitario.

Vero è che le nomine mantennero efficacia anche dopo la restituzione del Sud, perché nel regime armistiziale, essendo non solo ridotta ma quasi annullata la sovranità dello Stato italiano, il Governo di Salerno dovette emanare una disposizione con cui si dava effetto legale ai provvedimenti del Comando alleato. Ma quando, il 31 agosto 1945, la materia dei pubblici uffici conferiti dalle autorità alleate fu regolata con una norma «ad hoc»; quando un Governo legittimo, non più sotto le pressioni del regime armistiziale, stabilì che queste nomine a pubblici uffici o enti pubblici dovessero essere ritenute come incarichi temporanei, revocabili, stabilendone il trattamento economico; quando una circolare del Presidente del Consiglio diede la interpretazione autentica a tale norma, che fu chiaro dovesse applicarsi anche ai professori universitari, le cui nomine fossero avvenute in dispregio delle leggi vigenti; io ho creduto allora non dico di valermi di un diritto, ma di compiere un mio preciso dovere, andando incontro ai voti espressi da tutte le università italiane, dalla Associazione dei professori universitari, da uomini insigni della cultura e dell’insegnamento. E ho annullato queste nomine di ruolo, lasciando a quelli che ne avevano beneficiato l’incarico annuale secondo l’ordinamento universitario, salvo a bandire più tardi i concorsi, ai quali potranno partecipare tutti i meritevoli e preparati: non meno di 120 liberi docenti o studiosi d’Italia, di tutta Italia, compresi quelli tornati dall’esilio, o restituiti dalla prigionia, o dispersi per il mondo e che hanno il diritto di subire il vaglio del pubblico concorso perché possano, se degni, ascendere alle cattedre.

Di questo si tratta. Ho compiuto atto di arbitrio o restaurato la legge? Il professor Martino propende pel primo corno del dilemma e mi ha dato un diploma di incompetenza.

Mi perdoni se io, che ho molto rispetto per la sua competenza in materia scientifica, preferisca in materia giuridica alla sua la mia opinione, che è, del resto, l’opinione dei giuristi ai quali mi volsi, i maggiori giuristi italiani, anche dell’isola generosa; ed ha avuto il suggello del Consiglio di Stato. Perché – trattandosi di una materia molto delicata e non volendo che rimanesse anche solo un’ombra di dubbio che le decisioni che stavo per prendere non fossero ispirate ad un senso di rigorosa giustizia – ho chiesto anche il parere del Consiglio di Stato. E il Consiglio di Stato mi ha confortato col suo parere autorevole, non soltanto per l’annullamento, ma anche per le modalità.

Onorevoli colleghi, l’argomento è esaurito. Io ho semplicemente servito, come era mio dovere, la legge, sanando un arbitrio. (Approvazioni).

Dopo di che, non voglio nemmeno ricordare un piccolo episodio infelice che è stato rievocato innanzi all’Assemblea. Si è voluto ricordare che un mio predecessore voleva attuare e non attuò le decisioni che io ho preso, perché dovette cedere a pressioni straniere. Se il fatto è vero, è doloroso. Comunque, io non ho ceduto. E voglio domandare ai siciliani, che sono tanto gelosi della loro autonomia di fronte all’Italia, se non ho fatto bene a rivendicare l’autonomia del Governo italiano in una materia così gelosa, che attiene all’osservanza della legge e all’esercizio della sovranità statale, che non potevano essere impunemente violate. (Applausi).

Presidenza del Presidente SARAGAT

CEVOLOTTO. A norma dell’articolo 80 chiedo di parlare come ex Ministro dell’aeronautica, per riferimenti fatti dall’onorevole Nobile a miei atti di Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

CEVOLOTTO. Anche io non avrei voluto prendere la parola; ma il discorso dell’onorevole Nobile, che ha voluto trattare di qualche questione del mio Ministero, mi obbliga a fornire chiarimenti. Nessuna discussione in proposito, da parte mia, ma semplici chiarimenti su fatti. Il generale Nobile ha criticato le famose promozioni di alcuni colonnelli e di alcuni generali dell’aviazione. Bisogna essere precisi su questo punto.

Nel 1945 avevamo ancora un organico il quale lasciava ampio campo alle promozioni, perché vi erano molti posti liberi, né io potevo modificarlo, perché allora non si era ancora ottenuta la legge dello sfollamento che permettesse di mandare a casa gli ufficiali in condizioni, non dico decorose, ma almeno di non patire la fame. Questi generali, questi colonnelli, che hanno tutti compiuto il loro dovere dopo l’8 settembre, che sono stati vagliati attraverso la discriminazione e l’epurazione e sono stati riconosciuti indenni, che si sono comportati bene anche il 2 giugno (e molte volte qualcuno di loro forse aveva un’idea differente dalla nostra), si sono messi disciplinatamente al servizio della Repubblica. Questi generali avevano da parecchi anni maturato il diritto alla promozione, che non era loro stata data. Avevano quindi ragione di chiedere allo Stato che rispettasse quel contratto da essi accettato quando avevano adito alla milizia aeronautica, quel contratto che, da parte sua, il generale Nobile – anch’egli promosso da me – ha chiesto che fosse rispettato. Ed io ho riconosciuto che doveva essere rispettato e l’ho promosso. (Si ride – Commenti).

E non ho cercato di sapere se era vero che quando il generale Nobile aveva chiesto all’onorevole. Bonomi di essere reintegrato nella milizia aeronautica attiva, aveva dichiarato che se fosse stato riammesso avrebbe domandato di essere posto in congedo, cosa che poi non ha fatto. (Commenti).

Ad ogni modo io ho ottenuto, insieme ai miei colleghi Ministri militari, pel 1946 la legge di sfollamento. In base a quella legge ho formato un organico pel 1946 ridotto, che manderà quindi a casa tutti i generali superflui.

Non sarà ancora l’organico definitivo, che verrà dopo la pace.

In conseguenza di questo, i generali e i colonnelli che sono stati promossi, dovranno, nei limiti dell’esuberanza rispetto a questo organico ridotto del 1946, essere mandati a casa. Ma saranno mandati in base alla legge di sfollamento, che dà loro delle condizioni sufficienti di vita, soprattutto con quel grado superiore che avevano il diritto di raggiungere e che consente loro una posizione moralmente migliore ed anche materialmente un poco più decorosa. Non credo che in questo vi sia o vi possa essere motivo di critica, perché bisogna anche rendersi conto che, se vogliamo realmente ricostituire una aviazione piccola, ma efficiente, non dobbiamo poi deprimerne il morale, con campagne contro ufficiali perfettamente rispettabili, che sono ingiuste e che non possono portare alcun beneficio. (Applausi).

BOLDRINI. E i sottufficiali perché non li avete promossi? (Rumori).

FEDELI. E i partigiani perché non li avete promossi? (Rumori – Interruzioni).

CEVOLOTTO. Anche per i sottufficiali sono in corso provvedimenti adeguati. La seconda critica che il generale Nobile ha portato è questa: che io avrei creato nuove direzioni generali ed avrei aumentato l’organico del Ministero. Non è vero.

Prima di tutto, io riconosco che non sono riuscito, ed in coscienza non l’ho potuto fare, a mandar via neanche un avventizio. Non mi sono sentito di accrescere il numero dei disoccupati, ma non ho aumentato gli organici. Anche qui il generale Nobile è caduto in un curioso equivoco. (Commenti).

Era successo che il Ministero di Bari, non so perché, aveva cambiato il nome alle «direzioni generali» e le aveva chiamate semplicemente «direzioni». Caduta, anche dal punto di vista giuridico, quella legge per la cessazione dello stato di guerra, io ho dato alle direzioni generali il loro vecchio nome. Questo non significa aumentarne il numero.

Il generale Nobile ha infine criticato le famose convenzioni per la navigazione aerea civile. Anche qui bisogna rendersi conto del valore di queste convenzioni. Si tratta di convenzioni di massima, le quali non possono avere effetto se non in quanto siano approvate dal Consiglio dei Ministri. Ed il Consiglio dei Ministri, per ora, non ha che approvato una legge la quale consente al Governo di partecipare a queste società miste, italiane e straniere. Si tratterà di vedere poi in che modo saranno costituite queste società, da quali enti, in quali forme: tutte cose forse prossime (ed è da augurarlo) ma di là da venire, sulle quali il Governo porterà il suo giudizio.

Però, non è esatto quello che ha detto il generale Nobile, cioè che in queste convenzioni si sarebbe pattuito di comperare in America determinati apparecchi o determinati strumenti. Non è vero. Le società sono perfettamente libere di comprare in Italia tutto il materiale che possono comprarvi, sono perfettamente libere di non comprare niente all’estero. Soltanto se le società ritenessero necessario comprare qualche cosa all’estero, in America – e ricordiamoci che vi sono strumenti ed apparecchi che in Italia non si producono e che anche in materia di costruzioni aeronautiche siamo rimasti indietro di almeno dieci anni – in questo caso le società americane si mettono a loro disposizione per facilitare tali acquisti. Questo e nient’altro.

Non è del pari esatto che si siano stabilite fin da ora delle maggioranze particolari qualificate per determinate deliberazioni. Èvero che ciò è stato chiesto, ma è vero che ho fatto delle riserve nell’adire alla richiesta dicendo che della questione si sarebbe dovuto ridiscutere. Però, nella trattazione per la convenzione con la B.A.C., il Presidente del Consiglio, onorevole De Gasperi, ha proposto e sostenuto che queste maggioranze qualificate dovessero essere riservate a quelle deliberazioni essenziali o più importanti nelle quali l’accordo fra la maggioranza e la minoranza è evidentemente necessario. Ed a questo criterio tutti hanno acceduto.

È vero che vi era, e vi è in corso, una trattativa per l’acquisto di una ventina di apparecchi Douglas, acquisto che viene fatto non all’estero, ma in Italia, attraverso l’A.R.A.R., perché si tratta di apparecchi rimasti in Italia nel «surplus» americano e che sono vivamente richiesti, specialmente dalle Compagnie private, le quali sul prezzo inferiore di questi apparecchi di risulta hanno fondato i loro piani finanziari, che dovrebbero modificare, se dovessero comperare apparecchi italiani nuovi molto più costosi.

Però, siccome sulla opportunità dell’acquisto di tali apparecchi – durante il mio incarico – vi era una disparità di vedute fra la Direzione dell’aviazione civile e la Direzione delle costruzioni (la prima era favorevole e la seconda contraria all’acquisto) e il Consiglio dell’aeronautica non ha espresso parere definitivo, io, malgrado le sollecitazioni con fissazione di termini da parte dell’A.R.A.R. e le sollecitazioni da parte degli Alleati per una pronta decisione, ho ritenuto doveroso e corretto di lasciare questa decisione al mio successore.

Credo di avere agito come dovevo agire.

Il generale Nobile ha criticato la mia azione anche in questo campo, dicendo: «Perché vi siete affrettato a trattare con gli americani e con gli inglesi per avere la loro partecipazione, sia pure in minoranza, per la ricostruzione dell’aviazione civile e non avete atteso la conclusione della pace?»

Io ricordo che una Commissione di studio, della quale è stato relatore il mio amico Pesenti, aveva dichiarato che noi non potevamo ricostruire utilmente la nostra aviazione civile, se non col concorso del capitale straniero, specialmente di quello americano.

Una voce. Dando ad esso la supremazia.

CEVOLOTTO. Concorso di minoranza, il 40 per cento; con personale italiano, sia quello di direzione che di amministrazione e di volo; e maggioranza agli italiani nel consiglio di amministrazione. Questa non è supremazia dello straniero.

Io ho creduto doveroso fare questo, perché per mezzo di tali trattative ho ritenuto, prima della pace, che, a modifica delle condizioni di armistizio, fosse consentito all’Italia libertà di azione nel campo della navigazione aerea civile interna. Ritengo che questo sia stato un successo ed un vantaggio.

Ho potuto così organizzare e creare tutto uno schema di lavoro, che, se verrà – come credo – continuato, porterà alla possibilità di attuare le linee aeree civili, almeno quelle interne, anche prima della pace.

Non avrei ottenuto questa libertà di manovra, se non avessi agito come ho agito. Questo è bene sia stato detto.

Comunque, se ciò io non avessi fatto, sono sicuro che il generale Nobile sarebbe venuto ora a domandarmi perché in questo campo non avevo fatto nulla. (Si ride).

Ho agito con la convinzione di creare un utile strumento per i traffici interni in Italia. Ho agito con la dovuta ponderazione, non ho pregiudicato né precipitato nulla.

Mi auguro e spero che il mio successore possa ora ottenere condizioni anche migliori.

Mi auguro soprattutto che quello che ho fatto porti rapidamente i suoi frutti. (Applausi a destra e al centro).

MARTINO GAETANO. Ho chiesto di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Non posso accordarle la facoltà di parlare. L’onorevole Molè ha parlato appunto per fatto personale, in seguito ad un accenno del suo discorso che lo riguardava. Non è ammissibile un nuovo fatto personale in dipendenza dell’altro. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. (Segni di attenzione). Onorevoli colleghi, ho seguito con molta attenzione ed interessamento il dibattito, sempre utile e spesso elevato, di questa Assemblea, senza fare distinzioni fra maggioranza e minoranza. E chiedo scusa se, in qualche momento, ho dovuto assentarmi per ragioni di servizio. La mia assenza non era certo diretta contro l’opposizione. So l’utilità del controllo dell’opposizione e so che un Governo ha il dovere di ascoltarla, poiché nell’Assemblea vi è parità di doveri e di diritti.

Prima di entrare nel merito di alcuni argomenti che hanno formato oggetto del dibattito, ad integrazione, o discussione, o a critica delle dichiarazioni del Governo, permettete che io faccia un’introduzione generica, rivolgendo la mia attenzione a taluni discorsi, per qualche rilievo particolare.

Ringrazio in modo speciale l’amico Lussu per aver proclamato qui che nessuno può invidiare il Governo, che viene citato a Parigi come un imputato. Questa affermazione risponde sufficientemente a chi vuol vedere nel compito che mi sono assunto una leggerezza ed un senso di irresponsabilità che credo finora di non aver dimostrato.

Il mio assenso più vivo va specialmente al discorso dell’amico Grandi, Segretario della Confederazione generale del lavoro. L’ho sentito con grande commozione, ricordando i meriti di quest’uomo che tutta la sua vita ha dedicato all’elevazione della classe operaia; e ricordando il coraggio che ha dimostrato in momenti così critici. Coraggio, quando ha dichiarato «che lo Stato democratico non deve essere ricattato»; coraggio quando ha detto che «le caratteristiche dell’azione sindacale sono la gradualità e il riformismo»; coraggio quando ha affermato l’universalità della Confederazione generale del lavoro, alla quale desidera che tutte le correnti aderiscano; coraggio quando ha rivendicato la libertà per tutti i servizi ausiliari che non trattino direttamente e sostanzialmente la questione sindacale, naturalmente riservata ai sindacati.

Ringrazio anche l’onorevole Lombardo per la sua realistica e profonda esposizione di politica economica estera con riguardo speciale alla ripresa industriale.

Gli onorevoli Pellizzari, Bianchi e Gronchi ci hanno richiamato all’importanza della scuola. È vero: non le avevamo dato particolare rilievo, non perché volessimo accantonare la questione, ma perché intendevamo riservarla ad un maggiore studio e a una più tranquilla deliberazione di questa Assemblea.

L’onorevole Persico ha fatto una critica molto oggettiva del sistema elettorale. Gli sono grato per taluni accenni che vorrebbero introdurre nel sistema proporzionale una maggiore libertà degli elettori, perché questi accenni corrispondono alla mia tendenza personale e, direi, alle conclusioni della mia esperienza di tutta una vita.

Gli onorevoli Pecoraro e Valiani hanno espresso qui la passione e l’angoscia dei Giuliani. Essi hanno riscosso dall’Assemblea un attestato di simpatia ed un applauso che ha manifestato l’unanimità della nostra volontà e l’unanimità della nostra solidarietà con i nostri fratelli giuliani.

L’amico Lombardi, uscito testé dal Ministero, ha fatto un’esposizione economica lucida e originale, ripetendo anche argomenti che egli aveva trattati e sostenuti in seno al Consiglio dei Ministri. Ma la libertà maggiore e la più facile logica che si possono mantenere da un banco dell’Assemblea anziché dal banco del Governo, hanno suscitato in me un certo senso d’invidia.

Gli onorevoli Angelini e De Martino hanno fatto una proposta originale circa la ricostruzione, l’uno per la ricostruzione edilizia, l’altro, che è un perito, industriale che ha presieduto la prima esposizione della ricostruzione a Salerno, circa l’organizzazione di Commissioni che dovrebbero essere organi del Comitato centrale della ricostruzione. Io credo che i colleghi dello stesso Comitato siano d’accordo che queste proposte meritino la nostra considerazione.

Infine ringrazio in modo particolare l’onorevole Pacciardi per il suo caldo contributo ad una politica estera dignitosa e costruttiva del nostro Paese.

A molti altri avrò occasione di accennare, durante la trattazione degli argomenti che formano l’oggetto delle mie conclusioni.

L’onorevole Nitti, un po’ all’acido corrosivo, mi ha fatto una critica per i metodi seguiti e per le risultanze ottenute nella combinazione ministeriale e fra l’altro ha detto che nessun paese in Europa ha tanti Ministri e Sottosegretari come l’Italia. Non ho avuto tempo di confrontare tutte le statistiche, ma alcune ne ho viste. Il Gabinetto di Sua Maestà britannica è composto di 20 Ministri, compreso il Primo Ministro; vi sono poi 15 Ministri fuori del Gabinetto; i Sottosegretari di Stato sono 42, oltre a 14 posti di rango equiparato. Sono dunque 35 Ministri e 56 fra Sottosegretari ed equiparati: in totale 91. (Applausi al centro).

Devo poi dire che anche i nostri amici francesi, se questo è un peccato, peccano nella stessa misura e anche di più. Essi sono venti al Ministero, oltre i Sottosegretari, e dell’attuale Governo, oltre i venti Ministri, fanno parte due Vicepresidenti senza portafoglio e due Ministri di Stato senza portafoglio. Se mai non è un’invenzione mia, né un peccato mio, è una epidemia. (Si ride).

Egli mi ha fatto accusa di avere inventato all’ultimo momento dei Ministeri, di averne aumentato il numero, introducendo quello della marina mercantile. Devo osservare anzitutto che il numero resta quello di prima, perché altri Ministeri sono caduti; ma quello della marina mercantile, come ho accennato nelle dichiarazioni, non è una invenzione dell’ultimo momento. È stato creato per tener conto del desiderio degli armatori e dei marittimi. Vi sono dei documenti, delle domande formali che del resto non è la prima volta che sono state presentate. L’amico Corsi, che si trovava a dirigere prima il Sottosegretariato della marina mercantile, mi può essere testimonio che egli stesso alcuni mesi fa, quando non si parlava né di crisi, né di nuovi Ministri, né di titolari di Ministeri, aveva dimostrato l’opportunità di fare del Sottosegretariato o un Ministero o, in ogni modo, un Alto Commissariato autonomo che corrispondesse all’importanza del momento.

Poi v’è stata la critica di aver pregato l’amico Micheli di dirigere la marina da guerra (Commenti)non so se sia stato l’onorevole Nitti od altri – come se si dovesse sempre giudicare dal punto di vista della competenza tecnica l’investitura di un Ministero. Credo che l’Assemblea difficilmente potrebbe adattarsi a questa soluzione.

In certi momenti non bisogna mettere il tecnico. Noi abbiamo una speciale situazione nel personale della marina, tutto rispettabile; con diverse correnti che corrispondono alla situazione politica che noi abbiamo superato. Mettere un vecchio, autorevole e saggio parlamentare di fronte agli ammiragli è opera politica di opportunità. Quindi non si tratta di una questione di giornali umoristici, ma di una questione molto seria (Commenti), e il punto di vista nostro è stato quello di sottoporre tutte le forze armate ad uomini politici di sicura fede, di abilità e saggezza e questo devo anche dirlo a proposito della facile dichiarazione che è venuta da tante parti: perché non riducete il numero dei Ministri? È un postulato di diversi partiti, e anche del mio; un postulato ideale, evidentemente; ma non è che noi siamo arrivati alla necessità di mantenerli o di aumentarli di uno, per la così detta dosatura, perché la dosatura andava benone anche con dodici. No! È che quando voi unite in un periodo, bene o male di avanzato sviluppo, dei Ministeri, sotto una sola persona, dovete avere le persone adatte per queste concentrazioni. E non è sempre facile.

La mia poca esperienza – che non sarà come quella dell’onorevole Nitti – mi dice però che prima di far cambiamenti bisogna andare adagio. Certo, noi abbiamo trovato razionale che i Ministeri delle forze armate siano riuniti in un solo dicastero. È una meta a cui questo od un altro Governo deve arrivare, perché si tratta di semplificazioni di servizi, si tratta di una contrazione che risulta dalle esigenze della guerra, o meglio della pace. Però bisogna scegliere il momento giusto. E ci siamo posta la questione se in un momento in cui bisogna mandar via moltissima gente, in cui c’è la smobilitazione, c’è una questione di depressione morale anche in qualche parte – accenno alla marina – sia opportuno significare, simboleggiare anche nelle persone, questa smobilitazione, questa concentrazione, al di là di quello che è assolutamente necessario. Sono considerazioni oggettive che ci hanno portato a non poter corrispondere a questo razionale, logico desiderio che molti partiti, che fanno parte anche dell’attuale Governo, avevano espresso.

L’onorevole Togliatti, nel suo sereno e ampio discorso, nella prima parte, ha rivolto a me un monito speciale, dicendomi che «il suo Governo – cioè il mio – sarà tanto più vitale e riuscirà a lavorare tanto meglio, quando più esso si presenterà e funzionerà non come un Governo del Partito democratico cristiano, con appendici più o meno considerevoli provenienti da altri gruppi politici, ma come un Governo di coalizione. Questa è una necessità non soltanto parlamentare, ma di politica generale».

Ora, mi domando se, specialmente prendendo in considerazione i due partiti di sinistra, si possa parlare di appendici. I dicasteri economicamente più importanti, senza parlare della giustizia e degli esteri, cioè quelli delle finanze, dei trasporti, dell’assistenza postbellica, del lavoro, dell’industria e commercio, dei lavori pubblici, sono controllati da rappresentanti molto degni di questi partiti. Quindi non è che si possa parlare di appendici. Si deve parlare di struttura sostanziale. Niente di riforme economiche, niente di riforme sociali e finanziarie, niente di riforme essenzialmente politiche, niente può venir fatto senza il concorso, la corresponsabilità di questi miei cari colleghi. Quindi, non mi pare che si possa sospettare il Ministero, che qui si presenta, come un Ministero democristiano o come un Ministero personale. Senza dire che il Ministero dei lavori pubblici è stato affidato alla esperienza e provata abilità dell’amico Romita, il quale vi troverà un campo d’azione importantissimo, perché è notorio che in questo momento il compilare un programma di lavori pubblici e saperlo attuare, è uno dei compiti principali, una delle ambizioni essenziali che può avere un Partito riformatore.

Riguardo poi al programma economico finanziario, mi si è detto che noi siamo entrati troppo in dettaglio; ci siamo sforzati di arrivare a chiarire tutti i settori su cui verteva una discussione, in modo da trovare una linea di corrispondenza per tutti i settori e per un periodo che corrispondesse press’a poco all’attività che poteva avere questo Ministero.

Evidentemente non diamo fondo all’universo, non tutte le riforme potranno essere compiute, ma avviate sì, iniziate sì, se avremo la concordia fra noi e se avremo una ferma volontà di attuarle.

Il programma economico e finanziario è naturalmente, nelle sue linee sostanziali, un programma difficile; cioè l’attuarlo è cosa difficile, perché, come ho accennato, non è un programma che possa venire da libri o da premesse ideologiche, ma è un programma che è imposto dalle circostanze, è il binario su cui camminare, e corrisponde a esigenze oggettive al di fuori di noi e al di sopra dei partiti.

In quest’opera io credo preziosa la collaborazione dell’onorevole Corbino. Io ho avuto l’impressione di essere davanti ad un uomo non solo di grande preparazione, non solo di somma integrità e rappresentante dei veri lavoratori – è venuto dalla gavetta e per forza propria è arrivato al sommo della cultura universitaria e perciò rappresenta un’esperienza in se stesso, di quello che può essere la vita del ceto medio, dell’uomo colto e del lavoratore – e credo che nella sua preparazione scientifica egli sia temprato da questo senso di esperienza ad una certa duttilità, anche quando si tratta di deviare da certe tesi nei momenti in cui è assolutamente necessario.

Egli è nel Comitato di ricostruzione – che deve essere potenziato, che ha già cominciato i suoi lavori e che rappresenta un collegio non soltanto entro il Ministero, ma che funziona col concorso di rappresentanti di altri enti e categorie – uno dei primi collaboratori, e la linea economica e finanziaria che ne uscirà dovrà tener conto di tutta la situazione così come man mano si evolve, purché si sia tutti d’accordo sopra la linea programmatica anti-inflazionistica.

Si è fatto cenno alla passata discussione sul cambio della moneta e si è accusato l’onorevole Corbino di averlo impedito. Devo dire la verità che Corbino è stato contrario, si è battuto per questa tesi, per ragioni teoriche e pratiche. Ma, oltre a questo, c’è stato un rapporto della Banca d’Italia che era tecnicamente contrario, ed in quel momento, quando abbiamo presa la decisione, che cioè non lo si poteva fare entro quel termine stabilito – prima delle elezioni ecc. – siamo arrivati a tale conclusione per la impossibilità della tempestiva esecuzione. Quindi non vorrei che si desse all’intervento suo un significato che lo faccia quasi apparire come lo spettro di Banco, che domani potesse allungare ancora la mano e strappare un’altra concessione in favore del mondo capitalista contro i desideri dei partiti riformatori.

Debbo dire che in questi giorni egli è stato poco assiduo a quest’Assemblea, perché sempre occupato nelle questioni salariali e sindacali, onde contenere le agitazioni operaie, ed ha dovuto svolgere un’opera per la quale sembrerebbe in teoria che egli non sia né adatto, né disposto.

Ma, rispondendo all’onorevole Togliatti, il quale mi dice che il Ministero deve essere di coalizione e non del partito democratico cristiano e non, soprattutto, un Ministero personale, io dico: d’accordo; però il pericolo non sta qui. Il pericolo è in quella irrequietudine in cui si trovano i partiti, perché le elezioni sono troppo vicine. Se noi avessimo due anni innanzi e potessimo fare davvero un patto nell’interesse del nostro Paese, una tregua politica per poter risanare la situazione finanziaria, credo che ci potremmo dire felici. Non l’abbiamo; però la dobbiamo sostituire con una specie di «tregua repubblicana».

Ricordatevi come siamo arrivati a superare tutte le difficoltà che si opponevano al referendum ed alla risoluzione della Questione istituzionale: ci siamo arrivati con grande impegno, facendo sacrifici da una parte e dall’altra e ci siamo arrivati – soprattutto – senza conflitti esterni, smentendo tutte le dicerie che c’erano in giro e che ci arrivavano anche sul banco come Ministri.

Questa unità, questa calma, questo spirito costruttivo del popolo italiano è senza dubbio merito delle masse, soprattutto; ma io credo che sia anche un merito dei capi di partito. E quando ci siamo l’un l’altro felicitati, in un Consiglio dei Ministri, per il risultato pacifico di queste elezioni, mi ricordo di aver detto: «si vede che quando i capi vogliono, l’unione, la pace e l’ordine sono possibili». (Applausi al centro).

Io non voglio negare né sminuire il merito del Ministro dell’interno il quale, senza dubbio, con grande zelo ha vigilato perché l’ordine fosse mantenuto e la libertà garantita; devo aggiungere però che il povero Ministro dell’interno e il Presidente con lui se avessero dovuto contare solo sopra le quattro «forze armate miste» che dovevano assistere ciascuna sezione per mantenere l’ordine, evidentemente avrebbero contato su forze assolutamente insufficienti. L’ordine è stato mantenuto dalla volontà dei partiti…

Una voce. Dal popolo italiano.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim degli affari esteri. Senza dubbio il popolo italiano ha in sé il merito di aver mantenuto la calma; però quando questo non avviene, è segno che qualche turbamento è introdotto dal di fuori.

Io dico: vogliamo, onorevole Togliatti, vogliamo fare un Ministero che veramente, per i sette od otto mesi, lavori con tutto lo zelo a risolvere i problemi di politica estera e di politica interna italiana?…

Una voce. Meno scioperi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Bisogna che manteniamo l’ordine e bisogna che diciamo onestamente ai nostri partiti: è il momento del sacrificio…

Voci a sinistra. Sacrifici da tutte le parti. Bisogna dare lavoro e pane.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Quindi, il mio appello è questo. Vi saranno in ottobre o in novembre le elezioni amministrative. Ma, vigendo la proporzionale, non cade il mondo se un voto di più o di meno va a questo o a quel partito. Non giustifica questo un accanimento tale che investa tutto il problema politico e quindi, in realtà, se abbiamo volontà e se il Governo è vigile ed assecondato dai partiti, noi potremo arrivare fino all’ineluttabile termine della campagna elettorale prossima, per la prossima Camera, con una certa tregua repubblicana. E la chiamo «tregua repubblicana», perché si tratta non di salvare un Ministero qualsiasi, ma di salvare la democrazia, e la Repubblica. (Applausi).

Io conto che l’amico Togliatti, il quale mi ha aiutato nel passato Ministero con la sua autorità ad ottenere questa concordia, possa oggi che è più libero…

Voci. Questo è il guaio! (Ilarità).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. …e non ha più impacci e incarichi di Ministero, dal suo posto di capo di partito, contribuire ancor di più a consolidare e a tenere compatti dietro i suoi Ministri, e attraverso i suoi Ministri anche un poco dietro di me, il suo partito che rappresenta forze così degne di considerazione.

Ed ora vengo al problema che è forse il principale, del quale non si è parlato molto, ma che era sottinteso in quasi tutti i discorsi: il problema dell’ordine pubblico.

Per essere preciso, dirò quello che in parte ho detto e che in parte intendo dire ai Prefetti, in modo che essi possano a questa dichiarazione pubblica richiamarsi in confronto di tutti. La dirò perché l’Assemblea, sentendola e approvandola, dia maggior forza alle parole del Governo.

Ai Prefetti dirò: 1°) fedeltà nella forma e nella sostanza al regime che il popolo si è dato, alla Repubblica Italiana (Vivi generali applausi): ogni debolezza a questo riguardo verrà repressa e punita; 2°) difesa della autorità, del prestigio, del decoro del nuovo Stato.

Un Prefetto repubblicano (fino a che le nuove leggi autonomistiche non abbiano modificato l’organismo pubblico) deve essere più forte, più dignitoso, più rispettato che mai, perché egli incarna la democrazia. Non deve avvenire, non deve più ripetersi (e aspetto i risultati di inchiesta per provvedere) quello che è avvenuto a Rovigo, dove un Prefetto è stato trascinato al balcone e costretto a parlare, dopo essere stato malmenato. Ciò non può corrispondere alla autorità del nuovo Stato, all’autorità repubblicana. (Vivi applausi al centro e a destra).

Quanto ho detto vale naturalmente per tutte le autorità dello Stato, ma in particolare per le forze adibite all’ordine. E qui bisogna dire anche a tutti gli organi dell’ordine che Repubblica non vuol dire rilassatezza, mancanza di disciplina, mancanza di stile. Repubblica vuol dire maggiore e più schietta coscienza di servire la causa del popolo e del proprio paese. (Vivi generali applausi).

Dichiaro da questo posto dell’Assemblea Costituente che se a tale coscienza non si corrisponderà, prenderemo tutti i provvedimenti per suscitarla e per ravvivarla. (Approvazioni).

Nelle vertenze sindacali e sociali, nei problemi del lavoro, di disoccupazione e della terra, i Prefetti – e con essi tutte le autorità – devono avere la massima comprensione delle legittime esigenze e fare il massimo sforzo per andar loro incontro, facendo da mediatori, ricordando che questo è Governo di popolo e per il popolo; ma dovranno nello stesso tempo reagire con la massima risolutezza contro atti di violenza e violazioni della legge. (Applausi al centro e a destra).

La violenza, tanto padronale che operaia, chiama la violenza; le armi chiamano le armi; le imposizioni con minaccia di morte reclamano una reazione più profonda e pericolosa, e noi qui in quest’aula, noi vecchi, noi anziani, abbiamo passato dei momenti simili e, perché non abbiamo avuto il coraggio di affrontare l’impopolarità ed impedire in certi momenti lo sfogo violento, abbiamo dovuto pagare con la perdita della libertà e con la dittatura per venti anni! (Applausi al centro).

Il Governo, per celebrare la nascita della Repubblica, ha fatto un grande atto di pacificazione. Esiste però una legge contro la rinascita del fascismo. Bisogna vigilare ed intervenire contro il troppo provocante atteggiamento di qualche amnistiato e stare soprattutto in guardia contro l’abuso di certa stampa che minaccia di indebolirci di fronte allo straniero. (Applausi al centro e a sinistra).

Ma, come dissi – per quanto l’onorevole Nitti, risalendo a Nietzsche, abbia parlato di Stato, di volontà, di potenza – lo Stato non può da solo riuscire in quest’opera di ordine pubblico: ci vogliono i partiti, i capi dei sindacati, le organizzazioni di categorie.

Se noi, che siamo responsabili di partiti, oltreché Ministri (ed in questa funzione la responsabilità è altrettanto grave ed ampia), faremo il nostro dovere appellandoci al senso innato di disciplina del popolo italiano, lo potremo condurre a salvamento.

Due cose contemporaneamente non si possono fare: non è lecito sedere al Consiglio dei Ministri, partecipare alla responsabilità della Amministrazione, avere i vantaggi dell’apparato statale, e contemporaneamente fare l’opposizione nei giornali e nella propaganda! (Applausi). Questo non è diretto in particolare contro nessuno, ma vale per tutti. Ciò disgrega la democrazia, annulla il metodo democratico e rende fatale la dittatura. Non sarà questo o quel Ministero in crisi; in tal caso, come dissi prima, sarà in crisi la democrazia, sarà in pericolo la Repubblica.

Quanto ai Prefetti, dirò ed inculcherò l’imparzialità più assoluta, una superiorità dignitosa sopra i partiti: la legge, lo spirito della legge: niente altro.

E non mi vengano a dire che io ho desiderato avere il Ministero dell’interno per fare le elezioni! Cosa vecchia! Le elezioni non si fanno più. Le fa il popolo le elezioni. Dopo l’introduzione della scheda di Stato, è impossibile pensare a certi pasticci che si facevano un tempo per guadagnare mandati attraverso il Prefetto o il Ministero dell’interno. (Applausi). Comunque, se qualche Prefetto o qualche autorità dello Stato si richiamasse a me per fare il contrario, sarà denunciato, e sarà severamente punito.

Siamo però in situazione molto triste. Io non voglio esagerare ma devo dire: siamo agli inizi di una brutta china. Bisogna opporsi con coraggio da principio. Quando l’altro giorno, a Mantova, si è arrivati, durante uno sciopero, a dover chiedere il permesso alla Camera del lavoro per entrare o uscire dalla città, siamo proprio in quella situazione che voi ricorderete, amico Mazzoni, del tempo passato, che ci ha portato alle squadre fasciste e agli stessi sistemi. (Applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra).

Un momento, so benissimo… (Interruzioni) lasciatemi spiegare, so benissimo che in generale le Camere del lavoro intervengono per ordinare, sedare ed arginare i movimenti. (Rumori).

Una voce a sinistra. E allora lo dica!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Però, amici comunisti ed amici socialisti, noi dobbiamo essere d’accordo che questo debba avvenire con la forza della legge e dell’ordine. (Rumori a sinistra).

Amici miei, vi sono armati in tutti i campi. Non abbiamo avuto il tempo né la possibilità, col vostro concorso, di poter disarmare, né a sinistra né a destra, ed io confesso che in questo momento il pericolo maggiore può venire da reazioni armate, che mi ricordano il fascismo, e quindi sono altamente preoccupato a non dare a questa gente nessun pretesto, nessuna ragione, soprattutto ai proprietari di campagne, di armarsi, perché non si sentono sicuri da eventuali violenze e coazioni. (Applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra). Mi pare che sull’ordine pubblico siamo d’accordo. (Commenti).

Una voce a sinistra. I fascisti sono armati!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non credo che il Governo abbia mai dato l’ordine di sparare sugli scioperanti. (Rumori a sinistra – Commenti). Però devo dire, amici dei sindacati, che noi abbiamo per primi interesse a controllare la piazza, perché disgraziatamente in certi luoghi, dove i Prefetti hanno avuto il coraggio di fare degli arresti, quando si sono esaminate le carte degli arrestati, si è visto che talvolta si aveva da fare, non con lavoratori autentici, ma con della vera teppa. (Applausi a destra e al centro – Rumori e interruzioni a sinistra).

Passiamo ad altro argomento, sul quale forse saremo più d’accordo, o almeno, non avremo bisogno di esprimere le nostre differenze in modo così deciso.

Devo, cioè, occuparmi di certe affermazioni fatte dall’onorevole Finocchiaro Aprile, dal punto di vista della politica estera, oltre che interna.

Egli ha detto – e non dubito che il testo stenografico possa non essere esatto –:

«Voi sapete che nei due trattati di pace, l’uno americano e l’altro britannico, era compresa, e non so se sia ancora compresa, la clausola della smilitarizzazione delle due maggiori isole mediterranee. Già erano venuti funzionari in Sicilia. Le due potenze si erano divisi i porti e gli aeroporti, avevano cominciato a comperare terreni e avevano mandati numerosi funzionari, soprattutto siculi-americani, che non avevano taciuto lo scopo della loro venuta in Sicilia.

«Io seppi che il Governo italiano, nella imminenza del trattato di pace, che avrebbe dovuto essere stipulato alla fine di settembre 1945, aveva dato disposizioni perché i capi degli uffici affrettassero i lavori di preparazione per le consegne.

«Lessi io il telegramma del Governo italiano».

FINOCCHIARO APRILE. Due telegrammi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Non c’è nessuna traccia di quello che lei ha affermato. È vero questo: che in uno degli abbozzi del trattato di pace si parlava di smilitarizzazione delle isole. Questo è esatto. Ma non c’è mai stata ombra di accettazione da parte nostra o possibilità da parte nostra, o comunque di adesione alla situazione da lei indicata, cioè, che le due isole fossero non soltanto smilitarizzate, ma rese indipendenti, eventualmente in confederazione, al di fuori dell’Italia. E mai il Governo, alla fine del settembre 1945 – vedo l’onorevole Parri, che me ne farà fede – mai il Governo ha pensato di fare qualcosa di simile, di dare ordine di preparare le consegne in Sicilia. Le informazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile sono veramente fantastiche.

E vorrei ricordare anche questo. Quando il Governo, il 4 ottobre 1945, prese la decisione di confinare Finocchiaro Aprile e i due suoi colleghi…

FINOCCHIARO APRILE. Il primo ottobre.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri… io ho la data del 4 ottobre; sono tre giorni di più… il Governo aveva agito sotto l’impressione di un memoriale, presentato da quei signori ai Ministri degli esteri a Londra, il primo settembre del 1945. Ricordate? Io ero andato allora, in quella bruttissima situazione, a cercare di salvare il salvabile e ottenere qualcosa di buono per l’Italia; in quel momento mi son visto arrivare un telegramma di quei signori:

«Il popolo siciliano agogna a che la grande Isola sia eretta a Stato sovrano, salvo la sua eventuale partecipazione ad una confederazione di Stati italiani o di altri Stati mediterranei». (Interruzioni).

Poiché, fino a prova contraria, non voglio credere a mala fede, penso che l’onorevole Finocchiaro Aprile ed i suoi amici siano stati vittime di qualche subalterno, che credeva di interpretare le disposizioni dei Governi alleati, mentre è notorio che il 9 agosto l’Ambasciatore inglese a Roma rendeva noto, attraverso l’Ansa, una lettera diretta il 14 giugno dal signor Malcolm, Capo della Cancelleria dell’Ambasciata.

Nella lettera, rispondendo alla richiesta del capo separatista perché Churchill e Eden si pronunziassero a favore del separatismo stesso, il diplomatico inglese richiamava l’attenzione di Finocchiaro Aprile sulla dichiarazione fatta alla Camera dei Comuni il 27 ottobre 1944 dal Sottosegretario di Stato per gli esteri in riferimento al movimento per l’indipendenza siciliana.

Questa dichiarazione suonava così:

«Sono a conoscenza che questo movimento esiste ed è presentemente attivo. È altresì giunto a mia conoscenza che si ritiene tale movimento trovi l’appoggio degli Alleati. Sono pertanto lieto di cogliere l’occasione per affermare che, per quanto riguarda il Governo di Sua Maestà il Re, tutte le voci a questo proposito sono del tutto destituite di fondamento»:

E va ricordato che a questa dichiarazione, di cui ho il testo, si è associata anche l’America. Credo che da quel momento gli uomini di buona fede potevano ritenere di essere stati vittime di una falsa informazione.

Quanto ai maltrattamenti della «sbirraglia italiana», come ha detto con una cattiva parola nell’aula della Costituente l’onorevole Finocchiaro Aprile, devo ricordare che se vi sono fatti che vanno condannati, essi saranno puniti: il Governo è pronto a farlo, e non chiede altro, se non che siano denunciati.

Ma devo affermare che in questo conflitto vi sono stati in un anno 30 carabinieri morti e 42 feriti, due agenti morti e sette feriti, e non conto i militari di truppa.

Inoltre da rivelazioni fatte in quest’ultimo periodo è risultato che si intendeva sequestrare ed eventualmente sopprimere molte autorità della Sicilia, e soprattutto l’onorevole Aldisio, segnalato come responsabile delle misure di difesa dell’italianità dell’isola. E colgo l’occasione per ripetere a lui tutta la mia simpatia e la riconoscenza della Nazione. (Vivissimi applausi al centro e a destra).

L’onorevole Finocchiaro Aprile ha accennato anche ad un argomento scottante, a cui anche qualche altro ha accennato, cioè l’intervento della Chiesa nella campagna elettorale. È un argomento che non è di mia competenza e potrei fare a meno di toccarlo. (Commenti). Però una parola va detta per spiegare, ed eventualmente per conciliare.

Prima di tutto, quando si parla di «donnaccole e suore» e si attribuisce a loro il successo del partito che ho ancora l’onore di presiedere (per poco, onorevole Nitti: deporrò questa carica prossimamente), si esagera veramente sul numero. Secondo le statistiche, le suore in Italia – di tutte le specie – raggiungono il numero di centomila. Come si vede, su 8 milioni e più, tale cifra non rappresenta davvero un contributo decisivo al successo della Democrazia cristiana.

Devo anche credere che «l’apparato della Chiesa» (come lo designa l’amico Togliatti in un articolo della Rinascita), non sia, almeno organizzativamente, così forte, così compatto, così uniforme, come l’apparato del Partito comunista. (Si ride – Applausi al centro e a destra).

Ad ogni modo, l’onorevole Togliatti sa, per averlo io spesso ripetuto, rispondendo alle sue rimostranze, che il mio partito non ha chiesto mai l’intervento ufficiale dei rappresentanti della Chiesa. (Si ride – Commenti). Dovete distinguere in ogni modo, se vogliamo arrivare ad un chiarimento con forze notevoli che agiscono in Italia, dovete distinguere bene tra due casi.

Altro è il diritto che reclama la Chiesa per un insegnamento e per misure disciplinari entro la Chiesa, che riguardano naturalmente i quadri della Chiesa e i suoi aderenti, i quali hanno anche il mezzo di ricorrere a superiori istanze, come chi viene escluso dal Partito democratico cristiano o dal Partito comunista; altro è se vi è abuso di potere per atto coattivo diretto di intervento nelle elezioni, come è previsto negli articoli 69 e 70 della legge. (Commenti – Interruzioni).

Ma non bisogna fare tutto un fascio dei due casi, che sono molto differenti. Nel primo caso, evidentemente, gli articoli sono inoperanti. Vediamo invece di comprendere la preoccupazione della Chiesa. Se sarà infondata, tanto meglio, ma esiste una grossa preoccupazione che la libertà religiosa vada perduta; e sapete perché? Perché disgraziatamente là dove, in alcuni Paesi d’Europa, c’è stato un rivolgimento in un certo senso, la gerarchia è stata o soppressa o imprigionata, o la sua libertà è molto ridotta, anche nelle sue funzioni più proprie. E allora voi dovete pensare che in Italia, ove è il Capo di questa Chiesa cattolica (Vivissimi applausi al centro e a destra), la preoccupazione possa essere viva, tanto più in quanto noi siamo chiamati a fare una Costituzione. Nella Costituzione non si parla soltanto di programma economico e sociale, si parla in prima linea di principîe non soltanto dei diritti della persona umana, ma di libertà, di scuola, di limiti, di rapporti fra Chiesa e Stato. Che in tale vigilia la Chiesa abbia sentito il dovere di dire la sua parola, non ve ne dovete meravigliare. Sapete cosa dobbiamo fare? Dobbiamo fare una buona Costituzione, dobbiamo garantire la libertà e i Patti lateranensi, e la Chiesa sarà felice di limitare il suo intervento al puro necessario. (Applausi al centro e a destra – Interruzioni all’estrema sinistra).

Devo poi aggiungere che non si può negare che nel clero vi sono molte vittime e quindi c’è anche un risentimento contro il Governo, che non è in grado di scoprire gli autori di queste uccisioni. Ne abbiamo una serie che io ho fatto annotare ed esaminare e che il collega che mi ha preceduto al Ministero dell’interno ha esaminato. Per nessuna di esse c’è un qualsiasi indizio che il delitto risalga a ragioni non politiche. Si tratta di gente che viene soppressa e poi, data l’omertà e il terrorismo di certe zone, non è possibile ottenere testimonianze di nessun genere; i morti sono morti e non è possibile scoprire i responsabili.

Questo stato di cose non riguarda soltanto il clero, ma riguarda anche altre categorie di persone; riguarda anche altri membri di tutti i partiti, intendiamoci bene. Non si tratta quindi solo del clero e questo fatto di uccisioni invendicate produce inquietudine, e un senso di dissoluzione. E bisogna che noi ci mettiamo d’accordo perché il delitto e l’uccisione scompaiano dalle nostre file e scompaiano dai metodi della vita politica italiana. (Applausi al centro e a destra).

Ora parlo di un argomento meno acceso: il grano.

«L’amico La Guardia» l’avete sentito; avete sentito il suo serio monito circa la scarsezza del grano nel mondo. Se non bastasse, proprio ieri ho ricevuto una lettera dal Governo inglese, che mi ricorda che il Governo italiano era presente alla conferenza dei cereali di Londra, tenutasi in aprile, e ultimamente anche alla Delegazione dell’alimentazione e dell’agricoltura a Washington, e che ha avuto occasione, attraverso i nostri osservatori – e questo è vero – di constatare che veramente le risorse sono molto limitate. Bisogna dirle queste cose, perché noi abbiamo dovuto assistere ad un certo franamento da parte dei prefetti e da parte degli interessati, quasi che fossimo ormai in carnevale, in tempi di abbondanza, e si potesse esagerare. Vi sono stati dei prefetti che hanno concesso 300 grammi; altri hanno concesso 280 grammi; altri vogliono migliorare l’abburattamento, altri vogliono il pane bianco.

Ora, signori, bisogna dir questo: noi, per quanti ammassi facciamo, non avremo abbastanza del nostro prodotto e dovremo cercare almeno 20 milioni di quintali all’estero; ma abbiamo difficoltà a comperarlo: difficoltà per la moneta e difficoltà per la ricerca del grano stesso. Ora, non dobbiamo, prima di tutto, dare la sensazione di leggerezza, e in secondo luogo non possiamo permetterci deviazioni come quelle che ho accennate. Ho richiamato con un telegramma i prefetti in questo senso: che in materia annonaria non possono agire autonomamente, neanche sotto le pressioni tumultuanti; devono dare la responsabilità ai Dicasteri dell’alimentazione e dell’agricoltura, che sono chiamati a decidere in materia.

E bisogna poi reagire anche contro una certa propaganda, che purtroppo non è di un solo settore, quella della facilità circa gli ammassi. Si dice: «Perché non avete aumentato la quota agli agricoltori, come era stato promesso prima?» Perché? Perché, data la situazione mondiale, date le statistiche che ci venivano fornite e le pressioni di coloro che devono poi intervenire per aiutarci, abbiamo dovuto tornare su quella nostra decisione e ripristinare la situazione dell’anno scorso. Bisogna pure che si persuadano anche gli agricoltori che noi non siamo padroni assoluti della nostra situazione economica e che siamo una parte del mondo, tributari di altri paesi che hanno maggiori risorse del nostro. Inoltre non possiamo dimenticare – e questo è stato già detto, mi pare, dall’onorevole Lombardo, o da altri – che in paesi non abituati al tesseramento, paesi della libertà più assoluta, si è introdotto il razionamento, e in modo molto più severo che da noi, mentre il mercato nero non è tollerato come da noi, o come non vorrei che venisse più tollerato. (Commenti).

Faccio quindi appello, oltre che agli agricoltori (gli ammassi relativamente non vanno male, perché quest’anno al 22 del mese corrente c’erano 13 milioni di quintali; nel 1943, con un raccolto di 66 milioni, anziché di 60, ne avevamo a questa data 11; ma vi sono ancora vaste zone in cui si trova resistenza, dovuta in gran parte anche alla campagna di stampa), ai giornalisti, perché sentano che si tratta non di un problema di Governo, di un problema sociale, che si pone ad ogni Governo; si tratta di compiere un atto di solidarietà, altrimenti non solo andiamo alla fame, ma è in giuoco l’inflazione. Vi sono agricoltori ingordi che credono di vendere sul mercato nero e di ingrossare il loro portafoglio. Pensino che se ci sarà la fame, ci saranno le agitazioni; se ci saranno le agitazioni, ci saranno aumenti salariali e se ci saranno aumenti continui di salari, si arriverà all’inflazione e le agognate ricchezze degli agricoltori si tradurranno in carta straccia. (Commenti).

Voi sapete che l’U.N.R.R.A. finisce – l’avrete sentito dal Direttore generale – e quindi è necessario di trovare un qualche cosa, un qualche espediente internazionale che sostituisca l’U.N.R.R.A., o che per lo meno in gran parte la supplisca. Quindi non possiamo in partenza consumare più di quello che possiamo calcolare come consumabile.

Qui, per esempio, vedo un telegramma in cui si parla che il bracciantato agricolo avventizio ha chiesto l’assegnazione di 150 chilogrammi pro capite in sostituzione della normale razione di pane che è di 80 chilogrammi. Il tentativo di componimento fino ad ora non ha raggiunto nessun risultato; ma bisogna che i prefetti, che i partiti dicano: noi non possiamo incominciare a largheggiare, altrimenti ci troveremo questo inverno di fronte ad una situazione difficilissima.

A questo riguardo vorrei proprio fare un appello alla stampa. Credo che se c’è un Governo che ha lasciato libertà di stampa – troppa dicono – è stato il Governo della democrazia. La libertà di stampa impone però dei sacrosanti doveri, che sono soprattutto quelli della solidarietà sociale. Io spero che gli organi di stampa si persuadano che questo è un dovere assoluto; e soprattutto che alla Radio nessuno mi venga a fare discorsi contro gli ammassi. Se un altro anno non si potranno fare, ne discuteremo, ma quest’anno si fanno, e non bisogna dare il cattivo esempio, per cui qualcuno trovi la scusa egoistica di non voler dare quello che deve dare.

Un altro argomento che è stato toccato – e che ci è stato fatto rimprovero di avere accennato troppo rapidamente – è quello della lotta contro le epidemie e le malattie. Vorrei osservare che l’Alto Commissario per l’igiene ha sviluppato una notevolissima attività e che i Ministeri precedenti hanno messo a disposizione molti fondi. Ultimamente sono stati messi a disposizione 2 miliardi contro la tubercolosi, senza parlare di tutta l’opera che si è dedicata a combattere la malaria.

Riguardo alla mortalità infantile, sono lieto di poter dire che i dati pubblicati in una rivista riguardano l’evoluzione fino al 1944; invece possiamo notare che dopo l’intervento dell’azione del Commissariato dell’igiene la mortalità infantile è diminuita sensibilmente, specie nelle città sopra i 100 mila abitanti. A Roma, per esempio, nel 1944 la percentuale era del 123,8 per mille e oggi è dell’85,7 per mille.

Riguardo alla tubercolosi, il fondo straordinario è di 2 miliardi. È verissimo che la mortalità è notevole e più che raddoppiata; ma in parte ciò è dovuto al ritorno dei reduci ed in parte alla denutrizione delle classi lavoratrici. Si è trovata una terribile situazione dei Consorzi antitubercolari, poiché erano in grande dissesto, non soltanto economico, ma anche per mancanza di attrezzatura. In conseguenza, si è dovuto provvedere a dare una migliore sistemazione ai sanatori. Per la sistemazione di reduci, si è attrezzato un sanatorio a Merano, che funziona tutt’ora. Si è dovuto, con lo stanziamento di fondi, sovvenzionare soprattutto i consorzi provinciali, i quali hanno avuto già 800 milioni per l’immediato ricovero in sanatori e case di cura di tubercolotici non assicurati. Si è assunta a carico dell’Alto Commissariato metà della retta di ricovero per i bambini predisposti, con una spesa di 200 milioni; si sono pagate tutte le rette arretrate per circa 250 milioni; si è avuto un notevole incremento di posti-letto per tubercolotici, potenziando l’attrezzatura esistente; è in corso la messa in efficienza di un grandioso villaggio sanatoriale a Sondalo, con un primo fondo assegnato di 250 milioni; è in corso lo sviluppo di un centro sanatoriale ad Arco per la provincia di Milano; un nuovo sanatorio a Pesaro.

Si sono impiegati molti aiuti che provengono anche dall’U.N.R.R.A. e dal Dono Svizzero e si è bloccato presso l’A.R.A.R. il materiale sanitario per utilizzarlo in questi sanatori. Si sono, quindi, ottenuti notevoli risultati. C’è stata anche una diminuzione dei casi di tubercolosi, ma una diminuzione troppo piccola per essere consolante: il flagello continua, i mezzi devono essere aumentati. Il Governo terrà d’occhio questo problema di assoluta necessità per l’igiene pubblica.

Ciò vale anche per la malaria. Avete letto sili giornali che in Sardegna si sta organizzando, con l’aiuto della Rockefeller, una lotta concentrata contro la malaria, che dovrebbe servire come esempio per estenderla ad altre provincie. C’è già una fortissima riduzione di nuovi casi di malaria: da 103 mila nel 1945 sono scesi a 49 mila nel 1946. Ciò è dovuto agli illustri funzionari che sono alla testa di queste imprese e, soprattutto, all’amico Bergami che presiede l’Alto Commissariato.

Ora vengo ad una questione politica che riguarda i poteri dell’Assemblea.

I poteri dell’Assemblea, come è noto, sono fissati nel decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98. Il 28 febbraio 1946 fu davvero una giornata terribile e troppo piena per il Consiglio dei Ministri: la seduta durò dalle 11,30 della mattina fino alle 22 di sera con una breve sospensione. Fu quel famoso Consiglio in cui si presero decisioni fondamentali circa il referendum e circa l’Assemblea. Era, allora, in discussione anche un secondo referendum, cioè se – seguendo l’esempio francese – si dovesse sottoporre a referendum, oltre la questione istituzionale, anche la questione dei poteri dell’Assemblea. Per il senso di un eccesso di complicazione, per la difficoltà tecnica, si finì con l’escludere questo secondo referendum, sostituendolo però con un impegno formale dei partiti rappresentati, degli uomini che rappresentavano i partiti al Governo; impegno che nel comunicato veniva fissato come segue:

«Dopo avere approvato le disposizioni concernenti il referendum sulla questione istituzionale e la determinazione dei poteri e della durata della Costituente, tutti i Ministri hanno preso impegno solenne di spiegare opera efficace affinché i loro partiti rispettino le disposizioni stesse nello svolgimento dell’azione politica durante la Costituente e nei confronti di questa».

La Consulta perse atto di tale impegno a grande maggioranza.

Circa le disposizioni che riguardano i poteri dell’Assemblea Costituente, nella relazione alla Consulta si rilevò anzitutto che in base al decreto fondamentale di Salerno (noi ci siamo preoccupati di mantenere l’unità giuridica con quel decreto-legge antecedente), il Governo doveva continuare ad esercitare il potere legislativo ordinario «finché (sono parole del decreto di Salerno) non sarà entrato in funzione il nuovo Parlamento». Però il progetto che sottoponevamo alla Consulta rendeva responsabile il Governo di fronte all’Assemblea e istituiva un ulteriore collegamento tra Assemblea e Governo «facultando quest’ultimo – facoltà che è prevedibile sarà largamente esercitata per i problemi di maggiore importanza, così come diceva la relazione – a sottoporre alla Assemblea qualunque argomento sul quale ne ritenga opportuna la deliberazione».

Ora io credo di poter fare, a nome del Governo, questa dichiarazione generale. Noi teniamo a che la continuità giuridica non venga intaccata. Ma, salvo la forma, in sostanza vogliamo tener conto della volontà e anche dei desideri dell’Assemblea. Quindi: 1°) faremo il più largo uso dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, sottoponendo prima della deliberazione, e comunque prima della promulgazione, all’Assemblea Costituente i disegni di legge, anche se non riguardino le materie avocate già alla competenza della Costituente; 2°) intendiamo che anche la Costituente possa intervenire di sua iniziativa per l’esame di qualche disegno di legge. (Interruzioni). La parola «qualche» significa questo o quel disegno di legge. È, evidentemente, compito dell’Assemblea deliberare la procedura, esaminando le proposte che l’apposita Giunta riterrà opportuno prospettarle. Si tratterà, a mio avviso, di creare un organismo il quale possa delibare, avere sott’occhio i disegni di legge e decidere se il Governo debba essere invitato a sottoporli all’Assemblea; oppure, data la poca loro importanza o gli impegni che l’Assemblea possa avere in un determinato momento, se debba il Governo provvedere direttamente.

Circa i modi con cui questo diritto dell’Assemblea potrà essere esercitato, invito il Presidente dell’Assemblea, e l’Assemblea stessa, a volere, secondo le procedure stabilite, determinarli. Il Governo li accetterà.

Si è fatto accenno ad una specie di Commissione di controllo. Preferirei che si trattasse di più Commissioni, ciascuna con una propria sfera di competenza tecnica, onde assicurare un esame critico più oggettivo ai disegni di legge, i quali, come si sa, concernono materie molto eterogenee. Comunque ripeto che il Governo è disposto a tener conto delle deliberazioni dell’Assemblea e degli organi ai quali essa vorrà deferire la funzione di collaborazione legislativa col Governo. Con ciò credo di essere venuto incontro alle proposte fatte e agli ordini del giorno che trattano di questa materia.

Ed ora un’ultima parola sulla politica estera.

Chi sa perché, dopo che un giornale ha dato il primo esempio, anche qualche membro della Costituente è venuto qui a proclamare che io non ho nessun diritto di riconoscermi come un Talleyrand redivivo. Io non ho mai avuto questa ambizione, non l’ho affatto, perché so che fra le grandi abilità di Talleyrand c’è stata anche quella di tradire il suo paese; io non voglio affatto imitarlo. Ma devo dire di più, che quello era il diplomatico abile dell’800 e che voler rifare il giuoco suo, sarebbe come presentarsi a Parigi o a Londra in parrucca. (Commenti).

E qui l’onorevole Nitti mi ha rimproverato di aver curato poco i contatti a Londra, di non aver saputo riprendere l’animo dell’Inghilterra, antica nostra amica, ed ha portato l’esempio di come lui, in altre occasioni, abbia avuto miglior abilità e fortuna.

Eh! lo so, onorevole Nitti. Voi avete avuto i vostri contatti cogl’inglesi dopo Vittorio Veneto, dopo che gli eserciti italiani avevano contribuito alla vittoria degli Alleati con grandi sacrifici. Voi stesso potevate rappresentare un’Italia che aveva dato un contributo essenziale dalla parte giusta della barricata. A me è toccato, andando à Londra, di trovare che più ancora che negli strati superiori, dirigenti, nella psicologia popolare, gli italiani erano ricordati soprattutto  per il pazzo tentativo di strozzare l’impero inglese impossessandosi del canale. E quella vigilia di Alessandria, quando si temeva l’arrivo dei tedeschi e degli italiani non si dimentica così facilmente, e non così facilmente si crede alle nostre parole.

Onorevole Nitti, non io, ma un mio autorevole collega ebbe recentemente occasionai di parlare con uno degli alti rappresentanti del Foreign Office; un autorevole collega che non ha peccati di fascismo sulla sua coscienza e nel suo passato. Quando egli si mostrò stupefatto della durezza con cui quell’illustre signore si opponeva alle insistenze dell’amico per una pace giusta, sapete cosa disse l’autorevole inglese? Disse: «Vede, a lei fa impressione questo mio linguaggio, ma lei deve ricordare che io ero a questo medesimo tavolo quando ho ricevuto la dichiarazione di guerra del vostro Governo fascista!».

Con questo non voglio scusare le mie eventuali insufficienze. Però molto lavoro è stato fatto, lavoro che è dovuto soprattutto all’Ambasciatore Carandini e ai suoi colleghi e collaboratori, nel campo della cultura, nel campo dei contatti, e la situazione in quel riguardo è modificata, notevolmente modificata. Però siamo ben lontani dalla reciproca comprensione.

Sapete come inglesi illustri, intelligenti e di buona volontà accolgono la nostra reazione nella questione di Trieste? L’accolgono con irritazione. Sono veramente persuasi di essersi battuti per un anno diplomaticamente per ottenere la soluzione in nostro favore e sono meravigliati che il popolo italiano non sia entusiasta ed abbia ancora tali reazioni. Io non ho davvero sulla coscienza, come neppure i miei colleghi che hanno trattato, di aver dissimulato la situazione. Ho sempre ripetuto a tutti, ai più alti ed ai più subordinati: badate che Trieste è un punto nevralgico; ed è una disgrazia per l’Italia che sia un punto nevralgico, non solo per la coscienza italiana, ma anche per le grandi potenze. È una disgrazia, ma è così. Non possiamo farne a meno. La nostra reazione sarà naturale, non potremo superarla!

Questo discorso l’ho fatto a tutti con grande franchezza e siccome nel primo periodo mi sono sempre comportato con molta moderazione, tanto che all’estero ne erano contenti, ed invece a casa non erano contenti di me, avevo diritto di credere che quando, viceversa, anch’io reagissi, facendomi interprete del sentimento del popolo italiano, venissi creduto, e che questa reazione venisse accolta come istantanea e ragionevole. Ma direi che la stessa irritazione c’è anche in America. Ed io comprendo che questa azione diplomatica si è svolta con sforzo e fatica tale da mettere in crisi la pace ripetutamente e dopo lo sforzo delle cancellerie e dei negoziatori; comprendo il senso di liberazione che può averli animati quando finalmente credettero di aver trovato un espediente qualsiasi per uscirne. Ma noi abbiamo la responsabilità, dinanzi alla Nazione, e più che alla Nazione, dinanzi alla cooperazione internazionale, dinanzi all’Europa e al mondo di dire: quell’espediente non va, quell’espediente non conduce ad una mèta, quell’espediente ci metterà in più grossi guai in un tempo prossimo.

CORSINI. Perché Trieste è italiana e deve rimanere italiana.

Una voce a sinistra. È la guerra!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Che Dio disperda il presagio. Non pensiamo alla guerra! Noi ne saremmo in ogni caso vittime.

Io prego la stampa di tener conto di questo stato d’animo degli inglesi e degli americani, come l’ho pregata altre volte di tener conto dello stato d’animo russo. Inglesi e americani hanno torto, quando denunziano en bloc come fascismo rinato ogni reazione nazionale in questa questione nazionale, come hanno torto i russi quando chiamavano neo-fascista ed anti-comunista ogni reazione che riguardo alla frontiera è totale e non fascista. Bisogna però che la stampa si padroneggi, che non pubblichi certi articoli, che, adoperando un gergo passato, una argomentazione di altri tempi, non sono più consoni colla situazione di un’Italia democratica e che deve inquadrarsi ed inserirsi nella nuova democrazia del mondo. (Applausi al centro). Riconosciamo che anche la Russia ha speciali vincoli con la Jugoslavia e che per essa la internazionalizzazione è un passo per venirci incontro; ma è insufficiente, non è durevole ed implica per noi la perdita del centro sud istriano, che dovremo perdere definitivamente per l’italianità. Aggiunte ad altre perdite di questa guerra, queste condizioni diventano difficilmente sopportabili. Si può dire che a Pola, dove 30 mila tra operai, artigiani e pescatori chiedono di emigrare verso l’Italia, essi siano fascisti? Si può dire che non rispondano veramente ad una situazione di fatto, quando rinunziano alla loro vita attuale, ed anche a parte anche dei loro possessi e chiedono al Governo di organizzare la loro partenza e di emigrare verso l’interno? Si può forse pensare che siamo artificiosamente noi intellettuali a creare, dal punto di vista nazionale, un postulato impossibile, o che si tratti di risucchi di fascismo? Sono operai, artigiani, pescatori, contadini, cittadini, ceti medi, gente che lavora, che abbandona il posto del lavoro, piuttosto che abbandonare il nesso con l’Italia.

Quando si fanno critiche alla mia politica estera o meglio alla politica estera mia e dei governi passati ed ai miei collaboratori, bisogna distinguere i tempi. Se volete avere un giudizio generale su quello che avremmo dovuto e potuto fare, dovete ricordare le date.

Noi siamo in armistizio. I rapporti internazionali ci fu lecito riprenderli lentamente: Carandini andò a Londra solo nel novembre del 1944, Tarchiani a Washington nel febbraio del 1945, Saragat a Parigi il 21 aprile del 1945. Appena alcuni mesi dopo avemmo l’autorizzazione ad usare gli indispensabili mezzi diplomatici, come il cifrario e la valigia. Il 19 settembre 1945 siamo già alla decisione di Londra.

Ora, a Londra – è questo a cui dobbiamo richiamarci – a Londra (forse un po’ anche per la maniera cauta degli italiani che hanno rappresentato gli interessi d’Italia), si è arrivati a questa decisione chiara: il problema economico di Trieste e di Fiume si deve assommare nella internazionalizzazione dell’amministrazione del porto, con collegamenti ferroviari, eventualmente in raccordo con Fiume; il problema, invece, nazionale nella ripartizione dei territori fra le due nazioni con una linea etnica. Per questa linea etnica si è mandata una commissione; c’è un rapporto dei quattro. E non dimenticherete che c’è un rapporto in cui è detto quali distretti sono italiani e quali città sono slave. Questo rapporto, firmato da tutti e quattro, attribuisce a noi assolutamente la parte sud-ovest dell’Istria, proprio quella che oggi non verrebbe all’Italia, e nemmeno sarebbe internazionalizzata, ma abbandonata alla Jugoslavia.

Allora vi ricorderete: venimmo qui alla Consulta con la sensazione di aver fatto dei sacrifici; avevamo tentato di aggrappami alla linea Wilson ed invece si era parlato di linea etnica e di proporzione. Però, quando si venne a delineare ed a tracciare questa linea, si vide che quella americana era relativamente vicina a quella Wilson e quella inglese era tollerabilmente lontana; le altre non potevano essere materia di discussione.

E allora, il 2 maggio, fummo sentiti altra volta e io venni via con la convinzione – non smentita nei colloqui privati – che Trieste era sicura e che purtroppo era in discussione Pola. Questa è l’informazione che io portai al Consiglio dei Ministri. Si sospesero allora le trattative. Perché? Forse con riguardo proprio alle elezioni che si stavano facendo in Italia, perché si temeva, ed erano in questo tutti d’accordo, che una decisione potesse influire sfavorevolmente sulle elezioni in senso antidemocratico.

Poi si ripresero le trattative, che furono fatte in assoluto segreto. Avreste voluto che il Presidente del Consiglio o il Ministro degli esteri fosse andato a Parigi a scodinzolare presso i redattori dei giornali americani od inglesi per scoprire che cosa si discutesse e che cosa si fosse deliberato, a rischio di avere notizie inesatte e cervellotiche?

La ragione dell’assoluto segreto è evidente: si era certi che non si sarebbe venuti a nessun risultato, se la pubblicità fosse intervenuta ad intorbidare le discussioni. Si facevano tutti gli sforzi per concludere, pur lasciando egualmente malcontente le due parti.

La soluzione, dunque, a nostro sfavore è del 2 luglio. Mi è stato detto che il Ministro degli esteri doveva fare una politica manovrata.

Primo: l’armistizio impone che nessun trattato spossa venir concluso senza il permesso della Commissione di controllo.

Una voce a sinistra. Questo non concerne le Nazioni Unite.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Secondo: la situazione è tale che se anche qualcuno avesse voluto fare un trattato segreto, prima di concluderlo sarebbe già stato svelato.

Terzo: eravamo talmente dipendenti per la benzina, per il carbone e per il grano, che se anche avessimo voluto farlo, non avremmo potuto.

Dico di più. Credo che, oltre questi impedimenti estrinseci, ci fosse un impedimento intrinseco. Dovevamo fare un accordo con la Russia? Che cosa potevamo offrire per avere Trieste? Le Colonie? Erano occupate dagli inglesi. Il Dodecanneso? Era reclamato dalla Grecia, e la Grecia era sostenuta dagli anglo-americani.

Potevamo offrire l’Alto Adige? Questo è qualche cosa che la Russia non vuole, perché non intende ingrossare troppo – credo – un secondo stato germanico; comunque la sua direttiva è chiara.

E allora che cosa si poteva fare? Barattare Trieste? C’è un Ministro italiano che potrebbe barattare Trieste? E in ogni caso con che cosa?

Si parla sempre di accordi con gli slavi. Ma l’amico Togliatti sa che io ho tentato in cento maniere di avvicinare gli slavi. C’era anche la buona occasione, perché era qui, come rappresentante della Jugoslavia, un mio ex collega della Camera austriaca, e, in tempi tristi, filo-italiano contro altri slavi. Impossibile!

Sono allora ricorso alla Russia chiedendone formalmente la mediazione. E quando ho capito che la Russia non voleva farlo, forse per correttezza verso gli Alleati, sono ricorso a tutti e tre gli Alleati insieme per vedere se ci fosse la possibilità di riuscire.

Gli slavi rispondevano sempre che sono stati imbrogliati una voltai dagli italiani – e si riferivano evidentemente ai trattati dell’altro dopo guerra – e che in questo giuoco non entravano più. Questo imbroglio si riferisce a quello che ieri veniva qui detto circa le correnti Bissolati, Sforza, ecc., ecc. Ricordate le difficoltà che vi sono state perfino nelle trattative per l’evacuazione dei partigiani e degli appartenenti all’esercito che hanno combattuto con Tito. Ricordatevi quale difficoltà ha dovuto superare la missione Palermi, per quanto essa sia stata l’unica che potè avvicinare i rappresentanti slavi. È poi avvenuto che qualche rappresentanza non ufficiale è stata bene accolta e io ne ho subito fatto tesoro. Ma voi potete credere che se ci fosse stata la possibilità, veramente sul serio, di accordarsi con questi nostri antagonisti, Togliatti che è un uomo di prim’ordine e che è un amico di Tito, non avrebbe avuto, almeno lui, l’occasione per dimostrare alla nazione… (Applausi al centro). L’onorevole Togliatti ha fatto ogni sforzo e si è trovato in questa occasione a dover lasciare dividere le proprie forze a Trieste stessa, ove una parte dei comunisti filoslavi lo accusano di essere troppo italiano o di essere filoitaliano.

Dico anche che senza dubbio è una disgrazia che i sentimenti cristiani di Bidault non abbiano potuto servirci di richiamo per averlo più generoso verso di noi. Ma almeno lì non abbiamo una organizzazione, non abbiamo dato nessuna speranza, non siamo ancora riusciti a questa che dovrebbe essere veramente una internazionale di giustizia auspicata tra i partiti di ispirazione cristiana. Ma il Comintern, l’organizzazione internazionale del comunismo, che è succeduta all’organizzazione internazionale del socialismo (Interruzioni all’estrema sinistra) era una forza politica. (Interruzioni – Commenti).

Non voglio dire niente che possa diminuire la vostra collaborazione. Dico anzi che, nonostante questo, non è stato possibile né a me né a voi di ottenere un risultato diverso. Dico questo perché in ciò vi è naturalmente implicita anche una giustificazione mia. (Interruzioni all’estrema sinistra).

In ogni caso io, per la storia e nell’interesse del nostro Paese, respingo l’accusa di aver fatto una politica contro la Russia. (Interruzioni all’estrema sinistra – Commenti). Assolutamente no!

Una. voce. E Il Popolo? (Commenti – Interruzioni).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Dobbiamo distinguere tra la politica fatta dal Governo e la campagna elettorale… (Commenti – Interruzioni) tanto è vero che la prova migliore è che la Russia stessa, nell’ultimo periodo, ha fatto una politica di benevolenza per l’Italia. Se il Ministro degli esteri si fosse mostrato indegno di questa benevolenza, certamente essa non l’avrebbe fatta.

Una voce a sinistra. L’ha fatta per il popolo! (Interruzioni – Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Voi vi appellate alla stampa…

Una voce a sinistra. Alla stampa democratica cristiana.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Va bene. Prima di tutto voi sapete bene, data la situazione della nostra stampa, che un Governo non può assumere la responsabilità di tutto quello che si pubblica. (Interruzioni a sinistra – Commenti).

Una voce a destra. Non abbiate riguardo!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Vi ricorderò che io per ben due volte, alla conferenza della stampa, ho fatto appello nell’interesse del Paese e dell’unità…

Una voce a sinistra. Lo faccia come capo partito!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri… per sospendere gli attacchi. Vi aggiungo… (Interruzioni a sinistra – Proteste a destra) che il Governo russo ne ha preso nota; allora prego anche voialtri di prendere nota. (Commenti).

Io deploro tutti gli attacchi contro gli Stati, domani chiamati a decidere sopra le nostre sorti, che per lo meno sono attacchi imprudenti. Però, se faccio appello alla responsabilità della stampa e dei partiti, bisogna che faccia appello anche ad un certo senso di comprensione di chi al di fuori interpreta questi nostri atteggiamenti. Talvolta avviene che qualche attacco diretto contro il Partito comunista venga interpretato come attacco al comunismo in genere o contro la Russia in particolare. (Interruzioni a sinistra).

Talvolta avviene che certe esagerazioni in una certa stampa, in senso favorevole, provochino la reazione in senso sfavorevole dall’altra parte. Avviene anche di avere l’impressione che se in Italia il Partito comunista non avocasse quasi a sé la rappresentanza, direi ufficiosa, psicologica, ideologica di tutto quello che avviene in Russia, sarebbe più facile avere il consenso per molte cose che in Russia… (Applausi al centro e a destra).

Accenno ora alla questione dell’Alto Adige; questione risollevata recentemente alla Camera dei Comuni. C’è un largo settore nell’opinione pubblica inglese che pensa ancora all’Alto Adige di Andrea Hofer, all’Alto Adige pittoresco del concorso forestieri, all’Alto Adige di montanari che non abbiano subita l’infezione di grandi movimenti in Europa. Questo è un sogno, è un anacronismo. Comunque, non una parola uscirà oggi da me per turbare quello che in Alto Adige si sta compiendo.

Posso annunciare che il progetto di autonomia si sta elaborando d’accordo con tutti i partiti, non solo di Trento, ma anche di Bolzano, compreso – le consultazioni sono state molto attive – quel partito che portava finora la bandiera separatista come pregiudiziale assoluta. Completeremo questi accordi, che, naturalmente, per la parte costituzionale devono essere sottoposti a quest’Assemblea; completeremo questi accordi con delle convenzioni di carattere economico e di comunicazioni con l’Austria.

Siamo disposti a venire incontro più che sia possibile, sia dal punto di vista delle esportazioni, come pure delle importazioni e delle comunicazioni; mi auguro che i desideri espressi anche pubblicamente, in discorsi fatti da uomini di Stato austriaci, possano venire accolti, che cioè noi possiamo fare del nostro Alto Adige un ponte di vera cooperazione fra i popoli, un ponte di vera internazionalità.

Debbo ricordare altresì, non senza commozione, una riunione tenutasi recentemente a San Dalmazzo di Tenda dall’amico Brusasca, che rappresentava l’interessamento del Governo, e dirvi che, comunque le sorti possano cadere, quei nostri valligiani sono italiani, si sentono italiani e tra i primi sono i partigiani, quelli che hanno combattuto col maquis, che sollevano la bandiera dell’italianità. (Applausi al centro e a destra).

Signori, se ci confortate del vostro appoggio, andremo a Parigi, vi faremo il massimo sforzo, chiameremo a concorso tutte le buone volontà, ci avvarremo di tutte le esperienze tecniche. E qui devo rivolgere un particolare ringraziamento ai diplomatici (sia ai politici che a quelli di carriera) che finora hanno lavorato su questo duro e angusto terreno, dovendo dichiarare che l’accusa «en bloc» di essere essi rappresentanti del fascismo non ha fondamento.

Ho trovato tanto zelo, tanto impegno patriottico nel difendere la linea del Governo (tesi la cui responsabilità naturalmente risale al Governo) in tutte le forze tecniche del Ministero, che sono convintissimo che anche da qui innanzi potremo utilizzarle nell’interesse della pace internazionale, con quello spirito nuovo della nuova democrazia europea mondiale, con lo spirito che rinnega ogni egoismo nazionalista, con quello spirito soprattutto che vuole aprire un varco all’avvenire della Repubblica italiana. (Prolungati applausi al centro – Grida di: Viva l’Italia!).

Ora devo dire qualche cosa a proposito degli ordini del giorno. Alcuni sono molto importanti e li vorrei riservare allo studio del Consiglio dei Ministri, perché contengono elementi che debbono essere tradotti in provvedimenti legislativi; altri sono di direttiva e riguardano soprattutto la difesa di nostri postulati nella politica estera.

Così io prego l’onorevole Russo Perez di associarsi all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Molè e dall’onorevole Persico, che mi pare sia il più breve e il più significativo. Lo stesso mi pare di dover chiedere all’onorevole Benedetti, almeno per la prima parte, per quello che riguarda il testo. Lo spirito è un po’ diverso, per dire la verità, soprattutto per il lato della fiducia. Anche quello dell’onorevole Bertone mi pare una raccomandazione che il Comitato della ricostruzione dovrà studiare e trasformare in provvedimenti.

Non mi pare che conti sulla mia approvazione l’onorevole Nobile: il suo ordine del giorno, se è una raccomandazione, merita considerazione come tanti altri; se intendesse avere un carattere di direttiva, non potrei – in questo momento – accettarlo.

Riguardo al premio della Repubblica, è questa una questione finanziaria che dobbiamo vedere, a parte le nobilissime intenzioni delle firmatarie, alle quali, naturalmente, mi associo. Dobbiamo, tuttavia, considerare l’effetto finanziario, prima di prendere una decisione…

Una voce a sinistra. La prenderà Corbino! (Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, degli affari esteri. Io devo dire che questa mania di fare di una persona il bersaglio continuo rende impossibile una collaborazione cordiale ed attiva al Governo. Mi pare che questa sia una tattica sbagliata. Mi pare che per voi, se Corbino non ci fosse, lo vorreste inventare per avere sempre un bersaglio. (Commenti).

In ogni modo, intendo accettare l’ordine del giorno Molè, naturalmente per tutto il Governo. Prego l’Assemblea di pronunciarsi sopra la direttiva politica con riguardo particolarmente a quella internazionale, esprimendosi sull’ordine del giorno Molè.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Russo Perez se intende mantenere il suo ordine del giorno.

RUSSO PEREZ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Canevari, ella mantiene il suo ordine del giorno?

CANEVARI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ella mantiene il suo ordine del giorno?

CAROLEO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, ella mantiene i suoi due ordini del giorno?

NOBILE. Li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Signora Gallico Spano Nadia, ella mantiene il suo ordine del giorno?

GALLICO SPANO NADIA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Cortese, ella mantiene il suo ordine del giorno?

CORTESE. Mantengo la seconda parte; per la prima parte, relativa alla politica estera, mi associo all’ordine del giorno Molè.

PRESIDENTE. Onorevole Benedetti, ella mantiene il suo ordine del giorno?

BENEDETTI. Mi dispiace di non poter aderire alla richiesta del Presidente del Consiglio; ma intendo mantenere il mio ordine del giorno perché è concepito con altro spirito.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone, ella mantiene il suo ordine del giorno?

BERTONE. Mi dichiaro soddisfatto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Meda, ella mantiene il suo ordine del giorno?

MEDA. Prendo atto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e trasformo l’ordine del giorno in raccomandazione.

PRESIDENTE. Secondo la consuetudine parlamentare, si deve cominciare dal votare quegli ordini del giorno che hanno la portata più generale e successivamente quelli che hanno una portata più particolare. Quindi l’ordine del giorno che deve essere votato per primo è quello dell’onorevole Molè, che è di carattere generalissimo e chiude la discussione sulle comunicazioni del Governo. Successivamente saranno votati gli altri ordini del giorno.

Comunico che gli onorevoli: Canevari, Cosattini, Stampacchia, Taviani, De Unterrichter Jervolino Maria, Balduzzi, Viale, Pecorari, Dugoni, Negarville, Moro, hanno proposto la seguente aggiunta all’ordine del giorno Molè:

«inserire prima dell’ultimo comma quanto segue:

«e invita il Presidente dell’Assemblea a rendersi interprete di tale unanime sentimento della Costituente presso le Assemblee delle Nazioni unite ed associate».

Tale aggiunta è accettata dall’onorevole Molè e dal Governo.

Avverto pure che i seguenti Deputati chiedono che l’ordine del giorno Molè, integrato con il comma proposto dall’onorevole Canevari ed altri, sia posto in votazione per divisione in due parli, la prima comprendente i primi commi fino alle parole: «Nazioni unite ed associate», la seconda comprendente l’ultimo comma; e che questa seconda parte dell’ordine del giorno stesso, dalle parole: «approva le dichiarazioni del Governo» sia votata per appello nominale: Foresi, Vigo, De Unterrichter Jervolino Maria, Angelucci, Delli Castelli Filomena, Cotellessa, Galati, Taviani, Balduzzi, Viale, Guidi Angela Maria, Carbonari, Uberti, Tosato, Fanfani, Caronia, Marconi.

BENEDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Ho frequentato la Camera dei deputati nei tempi passati ed ho sempre saputo che l’ordine del giorno avente diritto alla precedenza è quello puro e semplice, di fiducia, o di sfiducia. Questo non è un ordine del giorno che può avere la precedenza. Esso riassume altri ordini del giorno e riassumendoli ripropone il contenuto in forma diversa e mutilata. Non è pertanto un ordine del giorno puro e semplice di fiducia o di sfiducia. L’Assemblea è sovrana nello stabilire le procedure, ma se prevarrà il metodo che è stato proposto dal Presidente non si tuteleranno mai i diritti delle minoranze. (Commenti). Ed è soltanto per tutelare questi diritti che io chiedo una procedura sempre coerente e sempre conforme al Regolamento. Protesto perciò per la forma di procedura che viene oggi instaurata.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno Molè non solo è il più generale, ma è stato accettato dal Governo. Esso quindi deve avere la precedenza. Ricordo in proposito all’onorevole Benedetti che tutte le volte che la Camera fu chiamata a dare un voto si è riconosciuto al Governo il diritto di scegliere l’ordine del giorno sul quale doveva aver luogo la votazione.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Farò una dichiarazione di voto di un’estrema semplicità e sobrietà. Io mi riferisco alla divisione che è stata chiesta. Non contesto, né posso contestare il diritto di chi l’ha chiesta e il dovere di chi l’ha consentita. Ma dal mio punto di vista, che è del tulio individuale – io sono ancora l’ultimo che rimane dei rappresentanti del popolo i quali non si credevano vincolati da altro che dalla propria coscienza…

NITTI. Il penultimo! (Si ride).

ORLANDO. L’ultimo, e parlo quindi a nome del mio gruppo, che si riassume nella mia persona. (Si ride). Per me, dicevo, questa divisione dell’ordine del giorno Molè è considerata come inesistente. Per me, l’ordine del giorno resta nella sua integrità, considerato come inscindibile. Se sarò obbligato a votarlo in due parti, voterò affermativamente sulla prima e sulla seconda. (Vive approvazioni). La seconda parte riguarda questioni di politica interna. Data la gravità dell’argomento sarebbe da fare un altro ben lungo discorso. Non rabbrividite: ne sono ben lontano. (Ilarità). Perché, come politica interna, qui è in questione o tutto, o niente. Tutto, perché qui può farsi questione della natura stessa di questa forma di Governo, di cui usiamo. Che cosa è? Non per vantare priorità, ma soltanto per riaffermare la perfetta obiettività del mio pensiero, dirò che per il primo io allusi a questa maniera ampia, totale, di considerare il nostro stato di Governo e fu nelle parole che ebbi l’onore di pronunziare inaugurando questa Assemblea. Dissi allora: credo che ormai si tratti di una nuova forma di Governo che viene elaborandosi, di cui può dirsi che non è nero ancora e il bianco muore, poiché da un lato è la forma di Governo parlamentare che si dilegua, mentre viene sostituendosi questa nuova organizzazione che le masse popolari danno a sé stesse, personificandosi nei loro Capi, dai cui accordi si determina e la formazione e l’indirizzo del Governo. Ma è ancora come uno stato di nebulosa. Speriamo che diventi chiaro.

L’onorevole Togliatti diceva ieri: non c’è più Governo parlamentare. E aveva ragione. Bisogna vedere che cosa vi si sia sostituito.

Or tutto questo non può non renderci perplessi, poiché si tratta di sapere quale è il criterio misuratore di questo voto che daremmo di fiducia o sfiducia, a quali cause lo riferiremmo, a quali fini potrebbe tendere. Potrebbe questo nostro voto farsi dipendere dal numero dei Ministri? Dal numero dei Sottosegretari? Dai dissensi sulle riforme economiche o finanziarie? O, addirittura, dal modo di risolvere la questione sociale? Sotto questo aspetto ognuno dovrebbe fare, io penso, grandi sacrifici, quando darà il suo voto. Forse ne dovrò fare io meno di molti altri. Quando io sentivo le interruzioni, diciamo così, alquanto vivaci, di quella parte della Camera (Accenna all’estrema sinistra) verso quest’altra, dovrei reputare che quella voterebbe contro. Voterà probabilmente a favore, perché farà un sacrificio. Ebbene, facciamolo tutti questo sacrificio! (Applausi).

Di fronte alla questione internazionale da cui dipende forse la nostra esistenza, come Stato sovrano, autonomo ed indipendente, dobbiamo dare ancora al mondo lo spettacolo di una divisione dovuta a questioni le quali, per quanto in se stesse gravi, sono, in confronto a quella, di un’importanza affatto trascurabile? No, voterò a favore e sulla prima e sulla seconda parte. (Vivissimi applausi).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Parlo a nome degli amici del mio gruppo. L’ordine del giorno si compone di due parti: la prima si riferisce alla politica estera, la parte conclusiva si riferisce alla politica generale del Governo. Io dichiaro che noi voteremo favorevolmente alla prima parte, perché nel momento in cui il Ministro degli esteri si reca a Parigi a difendere gli interessi e i diritti dell’Italia, noi vogliamo che la sua posizione sia rafforzata dal voto unanime di questa Assemblea, che rappresenta il pensiero di tutto il popolo italiano. (Applausi).

LABRIOLA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LABRIOLA. Una rapidissima dichiarazione di voto. Ognuno comprenderà che io non darò il voto favorevole al Governo. Darò il voto favorevole alla prima parte dell’ordine del giorno Molè. Noi non siamo che una minutissima e sparuta opposizione in questa Assemblea, ma un dovere di lealtà politica ci obbliga a mantenerci fedeli alle direttive con le quali ci siamo presentati agli elettori. Io ho detto che considero il Governo attuale come la continuazione del Governo che ha emanato un decreto col quale i poteri dell’Assemblea Costituente sono poco più o poco meno ridotti al semplice fatto di preparare un nuovo Statuto albertino, da valere come Costituzione della Repubblica.

Trovo inammissibile che la prima Assemblea sovrana, eletta dal libero popolo italiano, debba essere privata della facoltà legislativa. Il Governo può non aver fiducia nell’Assemblea per l’esercizio della facoltà legislativa; l’Assemblea può non aver fiducia nel Governo per l’uso che esso potrà fare della medesima facoltà legislativa. La questione verrà un’altra volta dinanzi all’Assemblea. Io dirò apertamente la mia opinione: non si può assolutamente negare che l’Assemblea, la quale riassume in sé tutta la sovranità del popolo italiano, possa essere defraudata della qualità di Assemblea legislativa ordinaria, oltre che di Assemblea che prepara un nuovo Statuto di tutti gli italiani.

Vi è la seconda ragione per la quale io, pur accettando la prima parte dell’ordine del giorno Molè, voto contro la seconda parte. Questo Governo è per me, e l’ho detto – la lealtà è il primo di tutti i doveri – la continuazione dei Governi dell’esarchia, il cui maggior torto fu di esser costituito in potere sovrano nel Paese senza delega alcuna dello stesso Paese. (Commenti – Interruzioni).

Onorevoli colleghi, potrei farmi applaudire come si son fatti applaudire i miei predecessori dando un voto unico.

Voci. Basta! basta!

LABRIOLA. Non capisco perché si dica basta, quando la mia dichiarazione ha coperto finora pochissimi istanti. Per me nessuno dei grandi problemi dinanzi ai quali si trova il Paese, non quello delle frontiere, di una pace giusta, dell’eccessiva interpretazione fatta dalle potenze alleate nei confronti dell’armistizio, è stato non solo risolto, ma neanche affrontato dai Governi precedenti di cui questo non è che la continuazione. (Interruzioni).

Potrei avere rinunciato al mio voto, se il Governo avesse rinviato in avvenire la richiesta di un voto di fiducia; poiché il voto di fiducia è stato chiesto, per la seconda parte io non voto l’ordine del giorno accettato dal Governo. (Commenti).

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io devo dichiarare che non desidero in alcuna guisa diminuire il prestigio e la forza del nostro rappresentante che va a Parigi nelle condizioni più difficili e va non invitato, ma di sua iniziativa. Devo quindi dire che sia ben chiaro che il mio voto non riguarda che la politica interna e gli argomenti che ho svolto nel mio discorso. Io rimango fermo a quelle dichiarazioni. L’onorevole De Gasperi mi ha fatto oggi l’onore di riconoscere che una parte di quelle cose egli le ha già accettate e mi ha dato solenne impegno di accettare la maggiore, di essere non un capo partito, ma di essere veramente capo rinunziando ad essere segretario del suo partito. Quindi, la mia coscienza non mi rimorde. Io devo votare contro quella parte dell’ordine del giorno che implica la fiducia generale anche sulla politica interna. Avremo occasione, onorevoli colleghi – non è il momento adesso di far lunghi discorsi – non siamo alla fine, ma siamo ancora al principio dei nostri lavori – avremo occasione di discutere di questi argomenti. Dichiaro dunque che io voto contro tutto ciò che riguarda l’azione di politica interna e la stessa concezione economico-finanziaria del Governo, ma desidero che sia anche chiaro che la mia fiducia, per dir meglio il mio consenso, la mia adesione, la mia volontà di aiutare l’opera del Governo in tutta l’azione internazionale non può mancare. È un dovere, che riguarda la nostra coscienza. Quindi prego il Governo di considerare quello che dirò come un atto amichevole.

Io sarei ridicolo all’estero, se, dopo quello che ho detto e che tutti conoscono, votassi la fiducia al Governo su tutta la sua azione. Ciò diminuirebbe, non aiuterebbe il prestigio all’estero.

Rimango dunque fermo in questa precisa dichiarazione e spero che il Governo accetti la mia leale dichiarazione.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, l’ordine del giorno che dobbiamo votare non è uno, sono due; ed io sono dolente di dovermi trovare ancora una volta, da quando sono su questo banco, in contrasto col più caro dei miei maestri, l’onorevole Orlando.

Noni si tratta di dare una manifestazione per acclamazione o totalitaria. Si tratta di fare vedere all’Italia e all’estero che voi, che sostenete il Governo, e che noi che lo combattiamo, diamo una manifestazione responsabile. Le acclamazioni sono sempre irresponsabili.

La prima parte dell’ordine del giorno non è questione di politica estera, è la questione dell’Italia. Sulla questione dell’Italia non ci possono essere discussioni. Tutti voteremo la prima parte dell’ordine del giorno.

La seconda parte dell’ordine del giorno, o meglio l’altro ordine del giorno, si riferisce a tutto il complesso delle dichiarazioni del Governo, si riferisce soprattutto al carattere ed alla natura del Governo, ai suoi intendimenti, e ai metodi che esso suole ed intende adoperare.

Noi tutto questo non lo possiamo approvare.

La prima parte del voto è la solidarietà all’uomo che a Parigi non va a rappresentare il Governo, ma a rappresentare l’Italia; e l’Italia siamo anche noi.

La seconda riguarda il Governo e la sua politica: noi non possiamo che essere contrari.

CIANCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Con questo voto si conclude un dibattito, in cui ogni partito, ogni gruppo ha chiarito la propria posizione ed ha assunto la propria responsabilità.

Le riserve, le preoccupazioni, le critiche, che gli oratori del gruppo autonomista, nel cui nome ho l’onore di parlare, hanno enunciate sulla composizione del Governo e sulle insufficienze del suo programma, critiche e riserve cui coerentemente seguirà una seria e franca opposizione democratica, devono essere da noi confermate in questa sede.

Peraltro, dato il momento politico attuale, data la situazione delicatissima internazionale, che impone, come è stato detto, ad ogni formazione politica responsabile, il dovere di non ostacolare né indebolire il Governo nell’azione di difesa degli interessi legittimi del nostro Paese, noi ci rifiutiamo di votare contro il primo Governo della Repubblica, soprattutto in considerazione del fatto che in questo Governo sono espresse forze popolari, con le quali abbiamo lavorato e combattuto per l’avvento della libertà.

In conclusione noi voteremo con fermissima coscienza la prima parte dell’ordine del giorno, che porta il nome del collega Molè.

Per la seconda parte ci asterremo, ma la nostra astensione non esclude, anzi implica, la nostra piena leale collaborazione nell’eventualità che le libertà democratiche e repubblicane venissero comunque minacciate. (Commenti – Rumori).

PRESIDENTE. Pongo ai voti, per alzata e seduta, la prima parte dell’ordine del giorno Molè, di cui do nuovamente lettura:

«L’Assemblea Costituente, libera e sovrana espressione di tutto il popolo italiano;

riafferma la inscindibile unità della Patria nella sua gente e nei suoi confini;

invita il Governo a perseverare tenacemente nella difesa del buon diritto dell’Italia a una pace giusta e onorevole che possa avviare il Paese alla rinascita interna e alla cooperazione internazionale;

e invita il Presidente dell’Assemblea a rendersi interprete di tale unanime sentimento della Costituente presso le Assemblee delle Nazioni unite ed associate».

(È approvata all’unanimità – Vivissimi generali, prolungati applausi – Dall’Assemblea sorta in piedi si grida: Viva l’Italia!).

Procediamo ora alla votazione nominale sulla seconda parte dell’ordine del giorno Molè:

«approva le dichiarazioni del Governo e passa all’ordine del giorno».

Chi approva questa seconda parte dell’ordine del giorno Molè risponderà ; chi non l’approva risponderà no.

Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama. Esso è: Vilardi.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

CHIEFFI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Adonnino – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Basso – Battisti –     Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bernardi – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Braschi – Bruni – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Caldera – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni – Carignani – Carmagnola – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corassori – Corazzin – Corbi – Corsanego – Corsi – Cosattini – Costa – Cotellessa – Cremaschi.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dì Giovanni – Di Vittorio – D’Onofrio – Dossetti – Dugoni.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Falchi – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Fietta – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grandi – Grazia Verenin – Grilli – Grisolia – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi CingoIani Angela Maria – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacini – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lombardi Giovanni – Lombardo Matteo Ivan – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti – Lupis.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Mariani Enrico – Martinelli – Martino Enrico – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montemartini – Monterisi – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Motolese – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pasqualino Vassallo – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pellizzari – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Ponticelli – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segala – Segni – Sereni – Silipo – Simonini – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terracini – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Rispondono no:

Abozzi.

Badini Confalonieri – Bencivenga – Benedetti – Bergamini – Bonino – Bozzi – Buonocore.

Cannizzo – Capua – Caroleo – Cifaldi – Colitto – Colonna – Condorelli – Coppa Ezio – Cortese – Covelli – Crispo.

De Falco.

Fabbri – Finocchiaro Aprile – Fresa – Fusco.

Giannini – Grassi.

Labriola – La Gravinese Nicola – Lucifero.

Marinaro – Martino Gaetano – Mastrojanni – Miccolis – Morelli Renato.

Nitti.

Patricolo – Patrissi – Penna Ottavia – Perrone Capano – Perugi – Puoti.

Quintieri Quinto.

Reale Vito – Rodi – Rodinò Mario – Russo Perez.

Selvaggi.

Tieri Vincenzo – Trulli – Tumminelli.

Vallone – Villardi – Visocchi.

Si astengono:

Bordon.

Cianca – Codignola.

Foa.

Lussu.

Schiavetti.

Valiani.

Presidenza del Presidente SARAGAT

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione:

Presenti                449

Astenuti                   7

Votanti                 442

Hanno risposta   389

Hanno risposta no   53

(L’Assemblea approva la seconda parte dell’ordine del giorno Molè).

 

Rimangono gli ordini del giorno Russo Perez, Canevari, Caroleo, Gallico Spano Nadia, Cortese e Benedetti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno e, ad interim, per gli affari esteri. Dichiaro di accettare come raccomandazione gli ordini del giorno Russo Perez, Canevari, Caroleo, e Gallico Spano Nadia.

(Gli onorevoli Russo Perez, Canevari, Caroleo, Gallico Spano Nadia dichiarano di trasformare i loro ordini del giorno in raccomandazione).

CORTESE. Ritiro il mio ordine del giorno, tenuto conto che il mio gruppo ha avuto modo di prendere posizione sulla seconda parte dell’ordine del giorno votato.

BENEDETTI. Il mio ordine del giorno è stato oggetto di una specie di appropriazione indebita, mediante la quale è trasferito, mutilato, nell’ordine del giorno Molè-Persico già approvato dall’Assemblea, Non mi resta altro, quindi, che subire l’appropriazione indebita, e perciò lo ritiro. (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. Come la Camera ha udito, l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri, non solo ha dichiarato che il Governo intende fare il più largo uso della facoltà attribuitagli dall’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, ma ha chiesto alla Assemblea di stabilire i modi di esame per quei disegni di legge sui quali, a cagione della loro particolare importanza, essa stessa ritenga opportuno di deliberare.

Raccogliendo questo invito del Governo, convocherò al più presto la Giunta del Regolamento per determinare ì modi predetti, e sarà cura sottoporre all’Assemblea, alla prima seduta della prossima ripresa, le relative proposte, che, appena approvate dall’Assemblea medesima, entreranno in vigore.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo l’onorevole Alessandro Pertini rinunciato a far parte della Commissione per la Costituzione, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Giovanni Lombardi.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

CHIEFFI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sui provvedimenti che intende prendere perché, in ordine all’applicazione dell’amnistia, sia consentito a coloro che abbiano fatto parte delle forze di liberazione di beneficiare largamente di essa e all’uopo siano, in considerazione del loro passato, abrogati, nei loro confronti, i casi di esclusione dal beneficio del condono, di cui all’articolo 10 del decreto in esame.

«Bordon».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere – premesso che, con decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 238, fu stabilito che i trasferimenti dei professori universitari di ruolo, disposti durante il periodo fascista dal Ministro della pubblica istruzione senza il voto delle Facoltà interessate, fossero revocati, e che i professori così trasferiti venissero restituiti alla sede di origine, salvo che le Facoltà non credessero di chiedere con esplicito voto il trasferimento annullato – se non ritenga conforme a giustizia e coerente ai diritti di autonomia tradizionalmente riconosciuti nelle Facoltà universitarie, provvedere affinché tali disposizioni vengano estese anche ai casi dei professori i quali, vincitori di concorso per una determinata sede, vennero dal Governo fascista, arbitrariamente e spesso contro l’esplicito voto delle Facoltà, destinati a sede diversa da quella per la quale avevano vinto il concorso; non solo privando con ciò le Facoltà dell’esercizio del loro diritto di chiamata, ma danneggiando gli evidenti diritti dei professori di ruolo delle altre Università, ai quali veniva così prelusa la possibilità di un trasferimento spesso ambito come legittimo premio di una onesta attività di studio e di insegnamento.

«Pellizzari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, se non ritengano ormai tempo di riprendere in considerazione e finalmente emanare i due decreti-legge con i quali venivano autorizzati i bandi di un concorso speciale per maestri e di altro per le direzioni didattiche riservati a coloro, i quali per comprovate ragioni politiche o razziali non avevano potuto partecipare a quelli banditi in periodo fascista; e che già elaborati fin dal novembre 1945, vennero accantonati a causa delle obiezioni sollevate dal Tesoro su un dettaglio non essenziale, e precisamente sulla data di decorrenza dell’anzianità da attribuire agli eventuali vincitori dei concorsi.

«Marchesi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, per sapere se non intendano smobilitare al più presto e sopprimere la G.I. (Gioventù italiana) o E.N.A.G. (Ente nazionale assistenza gioventù) che, nel metodo e nella scarsa serietà d’organizzazione, troppo ricorda l’ex G.I.L. Gli interroganti sono d’avviso che l’assistenza potrebbe essere affidata ai patronati scolastici, e l’insegnamento della ginnastica potrebbe essere affidato (come vien fatto per le altre discipline) al Ministero della pubblica istruzione.

«Lozza, Platone, Mezzadra, Iotti Leonilde».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’assistenza post bellica, per conoscere se non intenda:

1°) aumentare le somme destinate al risarcimento dei danni provocati dai fascisti e dai tedeschi durante le azioni di guerriglia partigiana;

2°) accelerare i lavori di accertamento dei danni suddetti da parte delle commissioni prefettizie, affinché la ricostruzione degli immobili possa avvenire prima dell’inverno;

3°) iniziare detti lavori in alta montagna, perché tale zona è colpita nell’inverno prima della pianura.

«Mezzadra».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non si ravvisi la necessità di bandire al più presto i concorsi (tanto generali quanto speciali per reduci, partigiani, combattenti) a carattere di scuole elementari (concorsi provinciali) e di scuole medie, al fine di alleviare la disoccupazione magistrale e per dare alla scuola un corpo insegnante stabile e selezionato.

«Lozza, Platone, Iotti Leonilde».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se intende, in considerazione che gli aumenti salariali corrispondono a necessità insopprimibili ed agli aumentati costi di vita, concedere ai dipendenti dello Stato ed agli agenti ferroviari con famiglia numerosa esenzioni tributarie totali o parziali e non limitarle alle prime lire 100,000, in esecuzione dell’articolo della legge 14 giugno 1928, n. 1312, non più corrispondente alle esigenze di equità e di giustizia.

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della guerra, per sapere se, nello spirito di una vera giustizia sociale, il Ministero, in accordo col Ministero del tesoro, intenda affrontare e risolvere la situazione economica degli ufficiali e sottufficiali attualmente in servizio effettivo presso le forze armate, prima di tutto per una esigenza reale indilazionabile di vita materiale ed anche per tutelare la dignità della gloriosa divisa delle forze armate italiane.

«Geuna».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se e quando intenda accogliere il desiderio degli abruzzesi del circondario di Cittaducale, che il fascismo distaccò e trasferì di arbitrio ad altra regione, senza minimamente interpellare gli interessati, di ritornare in seno all’Abruzzo, così come ininterrottamente per secoli è stato. Questa volontà degli abruzzesi si è espressa in ogni occasione, ma la più sorda accoglienza si è fatta sino ad oggi a tutti i loro voti. Essendo questo un caso unico di trasferimento forzato di un territorio da una regione all’altra, al quale non si è adattata e non intende di adattarsi la popolazione interessata, l’interrogante domanda se non ritenga opportuno il Governo dare soddisfazione immediata alla volontà unanime di quella generosa popolazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici, delle finanze, del lavoro e previdenza sociale e dell’agricoltura e foreste, per sapere se e quando intendano venire incontro alla popolazione di Campotosto (Aquila), messa alla disperazione ed alla fame dalla perdita del territorio coltivato a causa della istituzione del lago artificiale, che ha sommerso la conca. Questa popolazione ha domandato che le venga concesso in fitto o in enfiteusi un sufficiente territorio coltivabile a Montemaggiore, presso Roma o altrove, in cambio delle terre coltivate a Campotosto, espropriate dalla Società Terni ed ancora in gran parte non pagate. Una commissione tecnica governativa ha dato parere favorevole per l’assegnazione di quelle terre demaniali ai naturali di Campotosto. L’interrogante chiede se non creda il Governo di accettare la indicazione dei propri tecnici e di assegnare il territorio prescelto ai cittadini del comune di Campotosto prima del periodo delle semine, sollecitando il lavoro d’ufficio che si deve svolgere per tale assegnazione. (L’interrogante chiede, la risposta scritta).

«Rivera».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sulla necessità di disporre con assoluta urgenza l’attuazione di un larghissimo programma di restaurazione forestale nella montagna friulana, al duplice scopo:

  1. a) di porre un tempestivo rimedio all’impressionante disordine delle pendici in causa dei tagli vandalici o distruttivi fatti dai nazi-fascisti e dalle orde cosacche e caucasiche ai loro ordini, nonché delle devastazioni conseguenti alla mancata polizia forestale degli ultimi anni;
  2. b) di offrire in tal modo la possibilità di un largo assorbimento della mano d’opera disponibile in una zona sovrapopolata e ormai ridotta dalle spogliazioni e dalla lunga disoccupazione in uno stato di estrema miseria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se gli consti che a Bergamo, in conseguenza della inopinata assoluzione dell’ex Ministro della giustizia fascista Pietro Pisenti, avvenuta perché i fatti rubricati non costituirebbero reato, tutti i partiti antifascisti, dal comunista al liberale, partigiani e combattenti compresi, avrebbero proceduto ad una vivacissima protesta e se gli constino i seguenti fatti specifici:

1°) che dei cinque magistrati proposti dal Pisenti a consiglieri di cassazione, quattro ricusarono di essere giudici al processo, mentre il quinto, tale consigliere Artina, attuale presidente della Corte d’assise speciale accettò e condusse il processo, dando tale un tono di deferenza al Pisenti, da stupire indistintamente tutti;

2°) che nel fascicolo di causa del prevenuto giudicabile, vennero a mancare i due noti bandi del febbraio-aprile 1944, in cui per i renitenti alla leva repubblichina veniva comminata la fucilazione sulle soglie di casa, documenti personalmente recapitati alla Corte d’assise speciale di Bergamo dall’avvocato Fumagalli;

3°) che l’accusatore Sigurandi, pur sapendo che Pisenti era uno dei firmatari di leggi di morte a patrioti e partigiani, anziché pronunciare una requisitoria, si limitò a tessere nei confronti del Pisenti uno sperticato elogio tra lo stupore dei presenti e la indignazione di madri e vedove dei caduti per la liberazione del suolo della Patria. In caso affermativo quali provvedimenti intendonsi adottare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caprani».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica), sui provvedimenti che si intendano prendere per combattere efficacemente la malaria nel Polesine e ciò in modo sistematico ed efficace. L’U.N.R.R.A. deve fornire materiale opportuno allo scopo. Si chiede di conoscere quale riparto sia stato fatto di tale materiale e quale assegnazione alla provincia di Rovigo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Merlin Umberto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sulla urgente necessità che sia ripristinato ad Este il tribunale che, soppresso nel 1922, mentre per il lavoro svolto, per la vasta circoscrizione territoriale e per l’interesse delle popolazioni, meritava di essere conservato anche in omaggio alla tradizione storica e culturale ed alla importanza della città di Este. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Merlin Umberto, Guariento».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere:

  1. a) se è vero che è in corso un provvedimento legislativo, relativo al ripristino della legge 26 dicembre 1909, n. 805, sull’insegnamento e gli insegnanti di educazione fisica, col conseguente inquadramento degli insegnanti stessi nel ruolo del Ministero della pubblica istruzione (gruppo A, ruolo b) a completa parità di condizioni con altri docenti;
  2. b) se è vero che egli intende demandare alla ricostituenda Commissione centrale lo studio della revisione delle leggi e dei regolamenti della educazione fisica nell’ambito della scuola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere:

  1. a) se intende emettere un provvedimento legislativo, tendente a definire la posizione giuridica degli insegnanti elementari non di ruolo, incaricati nei corsi governativi di avviamento;
  2. b) ed, in particolare, se intende disporre che l’attività da essi prestata sia equiparata a tutti gli effetti, ed anche per l’eventuale inquadramento nei ruoli per anzianità, al servizio espletato nelle scuole elementari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri degli affari esteri e dell’assistenza post bellica, per conoscere se e quali pratiche siano state espletate per accertare se – come sembra debba ritenersi – nella zona della Germania occupata dalle Armate russe, si trovino tuttora cittadini italiani già internati in campi di concentramento tedeschi, ed in caso affermativo quali pratiche si intendano espletare per ottenere la loro liberazione ed il rimpatrio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Canevari, Gullo Rocco, Stampacchia».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, per conoscere:

1°) quali provvedimenti abbia disposto nei confronti delle autorità che con il loro metodico disinteresse verso le esigenze alimentari irrinunciabili della popolazione di Vasto, hanno create le condizioni obbiettive per lo sciopero generale che, ad iniziativa di tutti i partiti rappresentati in quella Camera del lavoro (repubblicani, democratici cristiani, socialisti, comunisti) è scoppiato in quella città il giorno 5 luglio con strascico nei giorni successivi ed incresciosi incidenti;

2°) se, avendone avuto conoscenza, abbia riprovato l’iniziativa delle stesse autorità di procedere ad arresti a «rastrellamento», senza preventivi accertamenti di responsabilità, in offesa ai principî elementari dell’inviolabilità personale ed esclusivamente fra gli aderenti od i supposti aderenti di alcuni partiti;

3°) se, appurati i fatti, non ritenga di provocare sanzioni a carico del tenente dei carabinieri di Vasto, il quale, nell’esecuzione di tali immotivati arresti, non si è peritato di farsi coadiuvare da elementi civili – notoriamente fascisti faziosi e collaboratori col tedesco – da lui, per l’incombenza, forniti di armi pubblicamente e provocatoriamente esibite;

4°) se, a riportare tranquillità nella città ancora turbata, non consideri opportuna e saggia cosa sollecitare la scarcerazione degli arrestati a cui carico non siano ancora state appurate colpe specifiche o quanto meno la loro denuncia a piede libero, salvo alla Magistratura la emanazione di più severi provvedimenti cautelativi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Terracini, Corbi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle poste e telecomunicazioni, per sapere se non ritenga opportuno sospendere il progettato licenziamento di personale fuori ruolo assunto dopo il 30 giugno 1940, e ciò in considerazione:

  1. a) del nocumento che avrebbe l’Amministrazione privandosi di elementi impratichitisi e divenuti ormai provetti dopo oltre sei anni di esperienza;
  2. b) del riguardo dovuto a dipendenti che hanno prestato servizio durante la guerra, in condizioni sempre assai dure e spesso pericolose;
  3. c) del fatto che è stata nominata un’apposita commissione ministeriale per il problema del licenziamento del personale fuori ruolo;
  4. d) dell’affidamento dato alle organizzazioni sindacali, in ordine alla sistemazione di detto personale.

«Per sapere, inoltre, se non ritenga di dover procedere a una nuova assunzione di reduci disoccupati, mediante l’eliminazione, o riduzione, degli straordinari, cottimi, tantièmes, praticati largamente in tutti i principali uffici. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Rossi Paolo, Cartia, Gullo Rocco, Vigorelli, Musotto, Zappelli, Battisti, Canevari, Canepa».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Essendo esaurito l’ordine del giorno, l’Assemblea sarà convocata a domicilio.

La seduta termina alle 20.50.