ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(PRIMA SEZIONE)
12.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI SABATO 11 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Articoli sul potere esecutivo (Seguito della discussione)
Presidente – Tosato, Relatore – Mortati – La Rocca, Relatore – Fabbri – Nobile – Lussu – Zuccarini – Perassi – Cannizzo – Einaudi.
La seduta comincia alle 18.10.
Seguito della discussione degli articoli sul potere esecutivo.
PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 23:
«Il giudizio sulla responsabilità penale del Primo Ministro e dei Ministri per gli atti relativi all’esercizio delle loro funzioni, spetta alla Corte costituzionale su accusa di una delle Camere».
TOSATO, Relatore, propone che, invece di dire: «per gli atti relativi all’esercizio delle loro funzioni», si dica: «per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni», perché, se l’atto è compiuto da altri, non vi è responsabilità penale.
PRESIDENTE pone ai voti l’articolo così emendato.
(È approvato).
Fa notare che la denominazione di «Corte costituzionale», contenuta in questo articolo, potrà essere in seguito mutata, in relazione alla terminologia che sarà stabilita per questo nuovo istituto.
Osserva che con ciò ha termine l’articolazione sul potere esecutivo.
MORTATI rileva che ancora altri argomenti rimangono da trattare, come quello dei corpi ausiliari, delle norme organizzative di carattere costituzionale, dello stato d’assedio, ecc. A proposito dello stato d’assedio osserva che potrebbe essere presa in esame la relazione che sull’argomento è stata presentata dall’onorevole La Rocca.
LA ROCCA, Relatore, ricorda come il Comitato incaricato dell’articolazione di tale istituto sia stato concorde nel ritenere che non se ne dovesse parlare nella Costituzione, seguendo l’esempio di tutte le altre Costituzioni, ad eccezione di quella di Weimar.
Personalmente però, dal momento che il silenzio non distrugge la pratica di questo potere di eccezionale gravità, che arriva a mettere in giuoco tutti i diritti e le libertà dei cittadini, e dal momento che esso non può essere eliminato, poiché da tutti i pubblicisti e trattatisti è riconosciuto un «diritto di necessità», ritiene che sia opportuno regolarlo nella Costituzione, ponendo dei limiti e delle cautele alla sua attuazione.
Afferma che l’ideale sarebbe che tale provvedimento potesse essere emanato dalle due Camere o meglio ancora dalla prima; ma non vede come ciò sia possibile in speciali situazioni politiche, le quali richiedano un intervento energico ed urgente. Perciò, poiché sembrava che dovesse essere istituito un Consiglio della Repubblica, egli aveva proposto che il Capo dello Stato potesse proclamare lo stato d’assedio, sentito il parere di tale Consiglio, e motivando la necessità del provvedimento. Dal momento però che il Consiglio della Repubblica non è stato più istituito, sempre allo scopo di impedire che il Capo dello Stato sia solo a prendere una decisione di così gravi conseguenze, propone che egli, per proclamare lo stato d’assedio, debba sentire il parere dei Presidenti delle due Camere, fermo restando l’obbligo della motivazione circa la necessità del provvedimento.
TOSATO, Relatore, osserva che la motivazione della necessità non dà alcuna garanzia.
LA ROCCA, Relatore, risponde che certamente la garanzia maggiore risiede nell’obbligo di sentire il parere di uomini politici responsabili, i quali siano in grado di valutare se la situazione comporti la necessità o meno dell’adozione di una misura così eccezionale per la salvaguardia delle istituzioni democratiche.
NOBILE presenta la seguente proposta:
«Il Presidente della Repubblica, su proposta del Primo Ministro, può decretare in casi eccezionali lo stato d’assedio. Il decreto relativo, anche dopo la sua applicazione, dovrà essere presentato alle due Camere per la ratifica».
FABBRI, poiché non vede in tale proposta alcun principio atto a delimitare la portata del provvedimento, né per l’estensione di territorio, né riguardo al periodo di durata, né in ordine alle garanzie costituzionali che vengono sospese, non ritiene che si possa senz’altro ammettere l’ipotesi che il Governo possa ricorrere a tale eccezionale misura, rilasciandogli una cambiale in bianco da scontare quando e come vuole: ciò è assolutamente contrario al punto di vista democratico liberale.
Pone perciò l’alternativa, o di elaborare una regolamentazione molto precisa che tenga conto dei criteri su espressi, o di non parlarne affatto nella Costituzione, lasciando al Governo tutta la responsabilità del provvedimento e permettendo così a coloro che ne siano vittime di avere almeno la soddisfazione di dolersi per aver subito una illegalità.
TOSATO, Relatore, non è favorevole ad introdurre nella Costituzione una disposizione che preveda esplicitamente il potere di proclamare lo stato d’assedio, neppure limitandola e cautelandola con quelle garanzie di cui ha parlato l’onorevole Fabbri o con altre maggiori, perché la dichiarazione di stato d’assedio fa parte di quelle disposizioni di necessità che non sono regolabili. A guisa di quanto fu stabilito per la decretazione d’urgenza, ritiene opportuno non trattare questo argomento nella Costituzione, anche perché ciò dimostrerebbe che vi è la preoccupazione di prevedere certe eventualità e di organizzare certe situazioni di poteri più o meno dittatoriali, che sono in contradizione con la logica stessa della Costituzione.
Ritiene che in caso di urgente necessità si possa procedere nei riguardi dello stato d’assedio con la stessa logica con la quale si deve procedere in merito ai decreti di urgenza: il Governo che vi ricorre avrà contro di sé la legge e si assumerà tutte le responsabilità con le relative conseguenze.
NOBILE non è rimasto convinto dalle argomentazioni dell’onorevole Tosato, le quali implicitamente affermano che la proclamazione dello Stato d’assedio è fatta contro la Costituzione. Se di esso è riconosciuta la necessità ed in pratica si è avverata, ritiene che se ne debba parlare nella Costituzione, circondando però questo fatto di quelle garanzie che l’onorevole La Rocca concreta nel parere di alcune alte cariche dello Stato, ed egli nella ratifica da parte del Parlamento subito dopo la proclamazione. Ritiene che le due proposte non si escludano, ma si possano convenientemente integrare.
LUSSU si pronuncia nettamente contro lo stato d’assedio e dichiara che, se pure nella nostra Costituzione, a guisa di tante altre, non se ne parlasse, il silenzio dovrebbe avere il preciso significato che lo stato d’assedio non può essere mai applicato. È contrario a mettere il potere in mano alle autorità militari: preferirebbe che una situazione di emergenza fosse affrontata dal Governo con le forze dell’esercito e della polizia, anziché arrivare alla sospensione delle libertà costituzionali ed al passaggio del potere alle autorità militari. Ritiene che lo stato d’assedio non dovrebbe essere mai applicato, perché è convinto che l’autorità politica ha in sé la piena capacità di far fronte a qualunque situazione anche grave; preferisce che la responsabilità resti totalmente in mano al potere politico e crede che le giuste preoccupazioni dell’onorevole La Rocca possano trovare soddisfazione in una soluzione politica anziché militare. Anche in tempo di guerra la massima e sovrana responsabilità è del potere politico – che egli vorrebbe intervenisse anche nella suprema direzione della condotta delle operazioni militari; altrettanto dovrebbe avvenire in occasione di situazioni interne anche gravi. È contrario a che lo stato d’assedio sia contemplato nella Carta costituzionale.
PRESIDENTE ritiene che, purtroppo, in un periodo di assestamento come quello che sta attraversando l’Italia, vi saranno situazioni difficili da fronteggiare, le quali richiederanno forse misure di carattere eccezionale. Non crede che dello stato d’assedio si possa tacere nella Carta costituzionale: il Governo lo proclamerà ed il Parlamento, o condividerà la responsabilità del Governo approvandolo, o porrà il Governo in stato d’accusa per aver fatto ricorso ad una misura anticostituzionale. Qualora perciò non si ritenesse di abolire del tutto tale istituto – ed il divieto dovrebbe essere molto esplicito, perché è freno molto maggiore il proibire che il tacere; ed egli lo voterà – proporrebbe di adottare la formulazione seguente che tiene conto delle proposte presentate dagli onorevoli La Rocca e Nobile:
«Il Presidente della Repubblica, su proposta del Primo Ministro e consultati i Presidenti delle due Camere, può, in caso eccezionale, decretare lo stato d’assedio. Il decreto relativo dovrà essere presentato per la ratifica alle Camere immediatamente convocate».
ZUCCARINI non crede si possa parlare di stato d’assedio nella Costituzione, la quale sancisce un insieme di libertà che non ammettono eccezioni; il parlarne, anche per negarlo, potrebbe significare che se ne ammette la possibilità. Il Governo che vi vuole ricorrere sappia che dovrà rispondere di un atto illegale, come quello della violazione delle libertà, per il quale può anche essere posto in stato d’accusa davanti all’Assemblea. Altrimenti ritiene che occorrerebbe circondare l’istituto dello stato d’assedio di tali garanzie e richiedere una speciale regolamentazione, la quale forse riuscirebbe incompleta per la difficoltà di prevedere tutti i casi.
NOBILE accetta le modificazioni introdotte dal Presidente nella sua proposta. Osserva che con il nuovo ordinamento regionale, e con le speciali autonomie accordate o da accordarsi a determinate Regioni, sarà sempre più facile il caso che il Governo debba intervenire con la forza per reprimere dei moti. Non vorrebbe che si togliesse di mano al Governo una tale arma, perché ne sarebbe diminuita la sua autorità.
PRESIDENTE ricorda che nel progetto approvato dalla Sottocommissione si prevede il caso di scioglimento delle Assemblee regionali e delle Deputazioni regionali; ma si tratta di un’azione legale, circondata di forme legali.
ZUCCARINI osserva che l’ipotesi avanzata dall’onorevole Nobile è prevista nel progetto per le autonomie regionali, e che il giorno in cui una Regione violasse la Costituzione si porrebbe con ciò stesso fuori della Costituzione.
LA ROCCA, Relatore, comprende le preoccupazioni di coloro che non vorrebbero si parlasse di stato d’assedio nella Carta costituzionale: e difatti l’unica Costituzione che ne parla – quella di Weimar – con l’applicazione di questo articolo ha spianata la via alla dittatura. Ma osserva che il silenzio non esclude la possibilità che il potere esecutivo, in determinati casi ed a suo arbitrio, vi ricorra: è chiaro che non si possono prevedere tutte le ipotesi (ed entrare in una casistica sarebbe anche pericoloso), ma ritiene che un minimo di cautele dovrebbe essere stabilito; onde la sua proposta di non lasciare ad un uomo solo la valutazione della necessità di ricorrervi. Che il silenzio della Costituzione ponga il Governo di fronte alle sue responsabilità non ha, a suo giudizio, gran peso, perché è sempre il Paese che paga, e ad altissimo prezzo, le conseguenze dall’atto. È quindi di opinione o di vietarlo espressamente, o di circondarlo delle maggiori cautele. La pratica ha dimostrato che in Italia, dal 1870 in poi, il Governo vi ha fatto ricorso.
ZUCCARINI vorrebbe si citasse un solo caso in cui lo stato d’assedio sia servito per difendere le libertà dei cittadini.
LA ROCCA, Relatore, osserva che nell’unico caso in cui avrebbe potuto servire a questo, non fu adoperato; ma si augura che gli esponenti del potere di domani, il quale poggia su basi democratiche, ne faranno uso a sostegno della libertà e degli interessi della maggioranza del popolo italiano.
PRESIDENTE, poiché teme che anche in futuro, se si ricorrerà allo stato d’assedio, non sarà per la difesa della democrazia, ma proprio per imporre il volere di una minoranza alla maggioranza del popolo italiano, ribadisce la sua opinione di proibirlo espressamente nella Costituzione, o di stabilire per la sua proclamazione la corresponsabilità di almeno quattro persone (Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidenti delle due Camere), che a vicenda si richiameranno ad un maggior senso di responsabilità.
MORTATI ritiene che possano verificarsi stati di necessità, all’infuori delle ipotesi regolate, che rendano vane tutte le cautele ed i limiti che si vogliano introdurre. D’altra parte ricorda che, quando si discusse del decreto-legge, fu stabilito di non parlarne nella convinzione che ciò portasse alla esclusione del diritto di ricorrervi; ma fa presente la diversa misura del danno che può derivare al Paese dal divieto di un decreto-legge e dal divieto dello stato d’assedio. Di qui la duplice preoccupazione, o che si possa ricorrere troppo facilmente alla dichiarazione di stato d’assedio, perché nella prassi italiana esso rientra nei poteri ordinari del Governo, o che possa verificarsi un danno più grave, se si mettesse il Governo nell’impossibilità di procedere con mezzi eccezionali in casi eccezionali. Ciò l’induce a considerare la opportunità di disciplinare questo istituto, anche con efficacia limitata, sia per quanto riguarda la forma (richiesta del parere dei Presidenti delle due Camere) sia nei riguardi del contenuto (stabilendo quali garanzie costituzionali restino sospese in questo periodo).
FABBRI, in linea subordinata, potrebbe accedere alle limitazioni proposte, ma in linea principale si dichiara favorevole alla proibizione dello stato d’assedio e propone la seguente formula da introdurre nella Costituzione:
«È vietata la dichiarazione dello stato d’assedio ed è altresì vietata ogni altra misura di sospensione totale o parziale delle garanzie regolate dalla presente Costituzione».
MORTATI è contrario a questa proposta, le cui conseguenze sarebbero gravissime, togliendo essa ogni possibilità di ricorrere allo stato d’assedio anche ove se ne presentasse un’assoluta necessità. È del parere che, o nella Costituzione non se ne debba dir nulla, affidandosi allo svolgimento futuro della prassi, o che si debba autorizzarlo in quei limiti e con quelle garanzie che, pur avendo un valore relativo, costituiranno sempre una remora ad un eventuale abuso.
PERASSI osserva che dalla discussione sono risultate due formule e due soluzioni nettamente opposte del problema: o prevedere espressamente la proibizione dello stato d’assedio, o disciplinare questo istituto nella Costituzione. Ritiene praticamente inammissibile la formula del divieto, perché o esso resterebbe lettera morta, o le sue conseguenze sarebbero anche più gravi dell’applicazione! Crede perciò più conveniente che dello stato d’assedio si parli nella Costituzione per disciplinarlo.
Dopo aver rilevato che anche nella Costituzione cecoslovacca se ne parla in senso generico, osserva che nella Costituzione di Weimar, già da altri ricordata, sono posti dei limiti che si concretano da un lato nel determinare quali sono i diritti costituzionali che in ogni caso potrebbero essere sospesi durante lo stato d’assedio, dall’altro nelle condizioni che devono verificarsi per potere emettere il decreto che lo proclama.
Ritiene sarebbe più essenziale precisare gli articoli della Costituzione ai quali si possa temporaneamente derogare; e per quanto riguarda le altre condizioni, escludendo che tale misura possa esser presa da una sola persona, si potrebbe richiedere il parere del Presidente del Consiglio, o una deliberazione del Consiglio dei Ministri, o il parere dei Presidenti delle due Camere od anche prevedere che l’atto proclamante lo stato d’assedio debba essere sottoposto al parere del Parlamento.
EINAUDI desidererebbe sapere quali sono i poteri che il Governo non può usare senza la dichiarazione dello stato d’assedio.
PERASSI risponde, riferendosi alla Costituzione germanica, che le libertà il cui esercizio può essere sospeso temporaneamente sono: l’inviolabilità del domicilio, l’inviolabilità del segreto epistolare, la libertà di stampa, la libertà d’opinione, la libertà d’associazione, ecc.; e che si tratta insomma di tutti i diritti personali.
PRESIDENTE pone per prima in votazione la proposta più drastica: che nella Costituzione non si parli dello stato d’assedio.
(Non è approvata).
Mette ai voti la prima parte della proposta dell’onorevole Fabbri, secondo la quale dalla Costituzione «è vietata la dichiarazione dello stato d’assedio».
MORTATI voterà contro, perché, non potendosi di fatto impedire una eventuale dichiarazione dello stato d’assedio, la proibizione avrà il solo effetto di screditare la Costituzione.
TOSATO, Relatore, si associa alla dichiarazione di voto dell’onorevole Mortati.
NOBILE voterà contro, perché ritiene necessaria tale misura eccezionale in caso di movimenti indipendentistici o separatisti in qualche Regione.
CANNIZZO voterà a favore, anche per le considerazioni fatte dall’onorevole Nobile, poiché, in taluni casi, lo stato d’assedio potrebbe essere invocato a pretesto per sopprimere le garanzie accordate alle Regioni; ma soprattutto perché esso è l’arma più pericolosa per soffocare le libertà dei cittadini.
LUSSU voterà a favore proprio in seguito a quanto ha detto l’onorevole Nobile, perché crede che per sedare movimenti separatisti siano sufficienti ordinari ma energici provvedimenti da parte degli organi del potere esecutivo.
PRESIDENTE voterà a favore; ed in linea subordinata voterà la proposta che si parli nella Costituzione dello stato d’assedio per disciplinarlo.
(È approvata).
FABBRI avverte che, a suo parere, ciò che si è approvato significa principalmente che è vietato il passaggio all’autorità militare dei poteri spettanti all’esecutivo; ma poiché si deve impedire che la sospensione totale o parziale delle garanzie costituzionali possa essere dichiarata arbitrariamente dal potere esecutivo anche all’infuori dello stato d’assedio, ha chiarito questo concetto nella seconda parte della sua proposta.
MORTATI ritiene che la votazione avvenuta sia inficiata da un equivoco, perché il passaggio dei poteri dall’autorità civile all’autorità militare non costituisce l’essenza dello stato d’assedio, ma solo uno dei modi con cui lo stato d’assedio viene realizzato, e la sua esclusione potrebbe costituire uno dei limiti da prendere in considerazione. Sarebbe stato più logico stabilire ciò che si voleva proibire, perché lo stato d’assedio implica dei poteri straordinari (che non sono stati toccati né delimitati quando si è deciso di proibirlo) di ben più vasta portata.
PRESIDENTE osserva che dalla risposta data all’onorevole Einaudi circa le libertà che venivano lese da questa eccezionale misura, è rimasto chiarito per tutti di che cosa si trattasse quando si parlava di stato di assedio.
NOBILE chiede che sia votato il seguente emendamento aggiuntivo alla formula approvata: «Salvo in caso di movimenti indipendentisti o separatisti».
FABBRI voterà contro, perché tale motivazione si presterebbe inevitabilmente ad essere deformata dall’autorità che adotta il provvedimento.
PRESIDENTE pone ai voti questo emendamento aggiuntivo dell’onorevole Nobile.
(Non è approvato).
MORTATI propone il seguente emendamento aggiuntivo: «Salvo in caso di movimenti insurrezionali diretti a stabilire la dittatura».
PRESIDENTE pone ai voti questo emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mortati.
(Non è approvato).
Pone quindi in votazione la seconda parte della formula proposta dall’onorevole Fabbri: «ed è altresì vietata ogni altra misura di sospensione totale o parziale delle garanzie regolate dalla presente Costituzione».
(È approvata).
Avverte che si deciderà in seguito sulla collocazione di questo articolo, il quale resta così formulato:
«È vietata la dichiarazione dello stato d’assedio ed è altresì vietata ogni altra misura di sospensione totale o parziale delle garanzie regolate dalla presente Costituzione».
Ricorda che l’esame dell’articolo 14 fu rinviato ed apre su di questo la discussione:
«Il Presidente della Repubblica può convocare le Camere, e, sentito il parere dei loro Presidenti, può scioglierle».
MORTATI rileva che questo articolo si può intendere in due sensi; perché può riferirsi sia ai casi contemplati da altri articoli (scioglimento delle due Camere in caso di conflitto tra loro o in caso di voto di sfiducia), sia ad un potere limitato di scioglimento. Vorrebbe che ciò fosse chiarito.
TOSATO, Relatore, osserva che appunto l’articolo 38 del testo del Comitato di redazione prevede lo scioglimento in caso di dissenso tra le due Camere, poiché il secondo comma è così formulato:
«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta o modifica, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire un referendum popolare sul disegno non approvato o di sciogliere le due Camere».
FABBRI dichiara la sua perplessità nel dover parlare di un argomento così grave, tanto più che vede che si dà come approvato dalla Sottocommissione il testo formulato dal Comitato di redazione letto dall’onorevole Tosato, nel quale è prospettata l’ipotesi dello scioglimento delle Camere in caso di conflitto tra di esse.
Si spiega ad ogni modo una tale misura in una Costituzione a regime monarchico-parlamentare, in quanto il monarca, pur concorrendo alla formazione delle leggi, è qualcosa di diverso dal Parlamento, e quando trova disarmonia tra l’espressione del Paese e quella delle Camere ricorre allo scioglimento; non se la spiega invece in un regime repubblicano parlamentare, in cui il Capo dello Stato ed il Governo sono una diretta emanazione delle due Camere elettive, non solo, ma in cui il Senato, avendo una durata eguale alla prima Camera, dovrebbe logicamente essere egualmente sciolto, permettendo così al Governo, almeno per un certo tempo, di rendersi arbitro della situazione senza il controllo di nessuna delle Camere.
Ricorda la Costituzione repubblicana francese in vigore fino a poco tempo fa, nella quale lo scioglimento da parte del Capo dello Stato era previsto limitatamente alla Camera dei Deputati, su parere del Senato che non poteva essere sciolto.
PERASSI osserva che, pur non essendo sciolto, il Senato non poteva funzionare.
FABBRI riconosce giusta l’osservazione dell’onorevole Perassi, ma chiarisce il suo pensiero rilevando che nei periodi precedenti le elezioni il Senato, pur non potendo funzionare, esercitava un controllo e, per l’autorità dei suoi membri, una grande influenza sul Governo.
Si dichiara quindi contrario alla proposta contenuta nell’articolo, perché i Presidenti delle due Camere non impersonano affatto il Parlamento e non possono dare pareri in suo nome; come è contrario a che un semplice rigetto di un disegno di legge possa condurre allo scioglimento delle due Camere.
NOBILE ritiene che ci si debba preoccupare della stabilità del Governo, ma anche di quella del Parlamento, perché i frequenti mutamenti non giovano al Paese. Vorrebbe perciò che si indicasse in quali casi il Parlamento potrà essere sciolto, limitando la generica facoltà di scioglimento da parte del Presidente della Repubblica.
EINAUDI ricorda la pessima prova data dall’intervento del Senato nello scioglimento della Camera in Francia, secondo la Costituzione in vigore fino a poco tempo fa, poiché la difformità di pareri tra il Presidente della Repubblica ed il Senato circa lo scioglimento della Prima Camera è stata una delle cause di decadenza del parlamentarismo francese. Escluderebbe perciò in ogni caso la facoltà del Senato di impedire lo scioglimento del Parlamento.
Rileva poi che là dove, come in America, il Capo dello Stato impersona il potere esecutivo e le Camere quello legislativo, si può giungere ad un conflitto tra Presidente e Congresso, conflitto che è causa di impotenza politica.
Nel nostro caso, pensa si debba pur ammettere che un Primo Ministro, designato dal Presidente della Repubblica ed accettato in un primo tempo dalle Camere, si venga a trovare in tempo successivo in contrasto col Parlamento; e ritiene che l’unico rimedio consista appunto nelle nuove elezioni, le quali saranno indicative della volontà popolare nei riguardi del conflitto che è sorto.
NOBILE ricorda che nella Costituzione francese è contemplato un sistema per dirimere i conflitti tra Governo e Parlamento, perché con l’articolo 51 si riconosce implicitamente che la decisione dello scioglimento spetta alla Camera: questo infatti stabilisce che se, nel corso di un periodo di 18 mesi, sopravvengano due crisi ministeriali, il Consiglio dei Ministri, dietro parere dell’Assemblea, potrà decidere lo scioglimento dell’Assemblea stessa.
TOSATO, EINAUDI e MORTATI osservano che una simile disposizione è grave e pericolosa.
PRESIDENTE fa presente che dal verbale della seduta pomeridiana del 21 dicembre 1946 risulta che l’intero testo dell’articolo 38 sul potere legislativo, al quale si riferiva la norma letta poc’anzi dall’onorevole Tosato, è stato soppresso. Ritiene che il problema potrà eventualmente essere riproposto e riesaminato in altra sede, ma che comunque ora si debba prendere atto di questa situazione di fatto.
La seduta termina alle 20.15.
Erano presenti: Cannizzo, Einaudi, Fabbri, Fuschini, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Terracini, Tosato, Zuccarini.
Assenti: Bordon, Codacci Pisanelli, De Michele, Finocchiaro Aprile, Grieco, Lami Starnuti, Piccioni, Rossi Paolo, Vanoni.