ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(SECONDA SEZIONE)
15.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 10 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI
INDICE
Potere giudiziario (Seguito della discussione)
Leone Giovanni, Relatore – Calamandrei, Relatore – Targetti – Cappi – Ambrosini – Mannironi – Presidente – Bozzi – Laconi – Uberti – Di Giovanni – Farini.
La seduta comincia alle 16.15.
Seguito della discussione sul potere giudiziario.
LEONE GIOVANNI, Relatore, d’accordo con l’onorevole Calamandrei, propone di inserire dopo il secondo comma dell’articolo 4, già approvato dalla Sezione, la seguente disposizione:
«I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di gradi».
Spiega che lo spirito di tale proposta è che non si parli, ad esempio, di un giudice con grado X, bensì di un magistrato con funzioni di pretore, di consigliere di Corte d’appello, ecc., che si stabilisca cioè soltanto la gerarchia delle funzioni. Rileva che una disposizione del genere può anche costituire la base per la risoluzione del problema economico, da tempo richiesta dai magistrati, com’è spiegato anche nella sua relazione scritta.
CALAMANDREI, Relatore, premesso che la questione dei gradi gerarchici è duplice, osserva che ora non si discute dei gradi gerarchici stabiliti dall’ordinamento fascista, bensì dell’abolizione dei gradi nella Magistratura; si tratta cioè di stabilire che la funzione di magistrato è eguale, tanto che si tratti di un pretore, quanto che si tratti del Presidente della Corte di cassazione, e che vi è diversità di ufficio e di stipendio in rapporto all’anzianità.
TARGETTI osserva che tale principio, per il quale un pretore anziano può avere lo stesso stipendio di un consigliere di Cassazione, merita di essere esaminato attentamente.
LEONE GIOVANNI, Relatore, ribadisce il concetto esposto, che sia opportuno inserire nella Costituzione il principio che nell’ambito del potere giudiziario l’attuale gerarchia amministrativa non ha alcun fondamento – dal momento che il grado superiore non ha alcun potere su quello inferiore – ma esiste soltanto una diversità di funzioni.
Rileva che da tale principio possono derivare applicazioni pratiche diverse. Infatti l’onorevole Calamandrei ne trae argomento per sostenere che lo stipendio non deve essere più in relazione al grado gerarchico, ma prevalentemente in funzione di altri elementi, come l’anzianità, le condizioni familiari, ecc.; mentre l’oratore trae dal principio – oltre quella segnalata dall’onorevole Calamandrei – la conseguenza che, non essendovi più una equiparazione dei gradi dei magistrati a quelli degli altri funzionari statali, sarà possibile allo Stato stabilire per i magistrati retribuzioni più adeguate all’elevatezza della loro funzione, senza essere obbligato a fare il medesimo trattamento economico alle categorie di funzionari statali aventi lo stesso grado.
CAPPI dichiara di ritenere implicito il principio esposto dall’onorevole Leone, le cui conseguenze possono essere rinviate alla legge sull’ordinamento giudiziario.
AMBROSINI e MANNIRONI si associano alle considerazioni fatte dall’onorevole Cappi.
PRESIDENTE pone ai voti l’inserzione, dopo il secondo comma dell’articolo 4, della norma:
«I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di gradi».
(È approvata).
Apre ora la discussione sul seguente articolo, riguardante le funzioni e il modo di formazione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, della cui redazione era stato dato incarico all’onorevole Bozzi:
«Al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti (e agli organi regionali previsti dall’articolo …) spetta l’esercizio della funzione giurisdizionale nelle materie e nei limiti stabiliti dalla legge.
«I Presidenti e i Consiglieri del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e il Procuratore generale di questa, sono nominati dal Presidente della Repubblica fra appartenenti a categorie determinate dalla legge, su designazione delle Presidenze dei due rami del Parlamento, sentite, rispettivamente, l’adunanza generale del Consiglio di Stato e le Sezioni riunite della Corte dei conti».
BOZZI, circa il primo comma dell’articolo da lui formulato, osserva di aver considerato tra parentesi – per non pregiudicare la questione – gli organi regionali di controllo, che, secondo un articolo già approvato in sede di coordinamento, saranno stabiliti dalla legge.
Spiega poi di aver ritenuto più opportuno stabilire, nel secondo comma, che la nomina abbia luogo «su designazione delle Presidenze dei due rami del Parlamento», anziché su designazione delle Assemblee plenarie, che ritiene poco indicate a fare una nomina di questo genere; osserva che, in pratica, nel regolamento interno di queste si delegherà tale compito ad una Commissione o alla Presidenza.
Esprime infine il desiderio che la votazione abbia luogo congiuntamente sui due commi, in quanto è il secondo che dà l’impronta all’intero articolo.
LACONI, appunto perché la questione può essere disciplinata dal regolamento interno delle Camere, prega l’onorevole Bozzi di limitare la sua proposta alla «designazione da parte dei due rami del Parlamento».
BOZZI accetta l’invito dell’onorevole Laconi.
CALAMANDREI, Relatore, considerando dal punto di vista della omogeneità i vari articoli della Costituzione, rileva una disparità fra il trattamento fatto alla Magistratura ordinaria e quello che ora si vuol fare al Consiglio di Stato e alla Corte di conti; infatti, mentre per la Magistratura ordinaria si è stabilito di rimandare il modo di nomina dei capi degli uffici direttivi e dei capi supremi alla legge sull’ordinamento giudiziario, per il Consiglio di Stato e per la Corte dei conti si riterrebbe opportuno inserire le analoghe disposizioni nella Costituzione.
BOZZI osserva che la sua proposta mira a rendere anche questi organi veramente democratici, in quanto sottrae la nomina dei Presidenti e dei Consiglieri al potere esecutivo, per trasferirla al popolo attraverso i suoi rappresentanti.
MANNIRONI concorda con l’onorevole Calamandrei nel ritenere che si debba seguire il medesimo criterio adottato per i capi della Magistratura, la cui nomina è stata rimessa alla legge sull’ordinamento giudiziario.
BOZZI rileva che vi è una sostanziale differenza tra la Magistratura ordinaria e il Consiglio di Stato, perché, mentre i magistrati ordinari seguono la loro carriera e sono promossi per concorso, alla carica di consigliere di Stato – oltre che per concorso dai gradi inferiori – si può pervenire anche per chiamata diretta. Aggiunge che, a suo avviso, la forza del Consiglio di Stato sta appunto nella confluenza dei due sistemi, che rende possibile tanto l’afflusso di tecnici, di giuristi, di specializzati, quanto l’ingresso di coloro che al senso giuridico accompagnano l’esperienza amministrativa.
LEONE GIOVANNI, Relatore, per quanto la disposizione proposta dall’onorevole Bozzi possa costituire una disarmonia nel sistema costituzionale, dichiara di preferirla, perché ritiene opportuno che i capi del Consiglio di Stato – che è un organo giurisdizionale con la esclusiva funzione di controllo del potere esecutivo – non siano nominati dal Consiglio dei Ministri, il quale è appunto l’organo la cui attività deve essere controllata.
Rileva come tale ragione politica – che giustifica l’inserzione di questa norma nella Costituzione – non sia sentita nella stessa misura per capi della Magistratura ordinaria, la cui nomina ben può essere disciplinata dalla legge sull’ordinamento giudiziario, in quanto, mentre questi ultimi sono, per tradizione, scelti fra i magistrati, i consiglieri di Stato sono reclutati anche fuori della loro amministrazione, e quindi non è escluso che la scelta cada su elementi vincolati al potere esecutivo.
Limiterebbe però la portata della disposizione ai soli Presidenti, riservando la nomina dei consiglieri di Stato, i quali, malgrado la loro alta funzione, possono essere personalità non sempre molto note, alla legge che disciplinerà le funzioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
LACONI ritiene la funzione del Consiglio di Stato così alta e importante, così diversa da quella della Magistratura ordinaria, da rendere inconcepibile la sottrazione della scelta dei suoi più alti funzionari alla competenza del Parlamento, dell’organo cioè investito dal popolo.
UBERTI manifesta il timore che, modificando il sistema di formazione del Consiglio di Stato, che ha dato indubbie prove della sua funzionalità non solo prima, ma anche durante il fascismo, si vengano a mutare le sue caratteristiche essenziali. Teme infatti che la nomina da parte del Parlamento dei consiglieri di Stato – i quali devono offrire determinate garanzie di competenza e di cultura – porti necessariamente quest’organo ad assumere un carattere di politicità che ridonderebbe necessariamente a suo svantaggio.
Ritiene invece opportuna la nomina da parte del Parlamento per i Presidenti, la cui carica può rivestire un carattere politico.
CALAMANDREI, Relatore, concorda con l’onorevole Uberti nel ritenere che si debba conservare al Consiglio di Stato quel carattere di tecnicità, che dà la possibilità ai Governi di vario orientamento politico, i quali si susseguono, di trovare in esso dei fidati collaboratori, ed evitare che, attraverso la nomina da parte dell’organo legislativo, i consiglieri di Stato siano l’espressione della politica prevalente in un certo periodo. A tale proposito fa presente la situazione poco simpatica in cui si verrebbe a trovare una nuova Camera di fronte ad un Consiglio di Stato, espressione di una politica ad essa contraria, per il fatto di essere stato eletto nella sua maggioranza durante la legislatura precedente, quando altri erano i partiti dominanti. Osserva che sarebbe possibile evitare questo inconveniente solo con l’adozione del sistema seguito negli Stati Uniti, dove all’insediamento del nuovo Presidente segue la sostituzione di tutte le personalità più in vista con altre di gradimento del nuovo Capo dello Stato.
BOZZI ritiene che le osservazioni degli onorevoli Uberti e Calamandrei – che anche egli non ha mancato di considerare – siano più apparenti che sostanziali. Anche demandando la nomina al Consiglio dei Ministri, non mancheranno preoccupazioni di carattere politico in quanto anche i Ministri, che rappresentano correnti politiche, non mancheranno di proporre uomini del partito ai quali essi stessi appartengono.
Del resto, a parte le garanzie costituite sia dal principio che i magistrati non possono appartenere a partiti politici, sia dall’altro che devono essere scelti fra categorie determinate dalla legge, praticamente l’originaria designazione degli eleggibili verrà fatta alle Camere dagli organi competenti, i quali non mancheranno di tener conto delle doti tecniche e giuridiche dei candidati.
AMBROSINI richiama il sistema degli Stati Uniti, dove i giudici della Corte Suprema sono nominati dal Presidente come Capo dell’esecutivo; nomina che deve essere ratificata dal Senato.
È del parere che – stabilito il presupposto che le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato amministrano la giustizia e devono quindi essere composte di tecnici del diritto – affidarne la nomina o la semplice designazione dei componenti al Parlamento significhi in certo senso snaturare il carattere stesso dell’organo. Crede che, se mai, un’eccezione potrebbe farsi per il Presidente del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, a condizione però che, come accennava l’onorevole Bozzi, non sia il Parlamento a prendere l’iniziativa, che, in tal caso, non potrebbe essere che politica.
Conclude facendo la proposta, se non si ritenesse opportuno rimandare ogni decisione in proposito alle leggi particolari – così come egli suggerisce – ma si preferisse affrontare ora il problema, di imprendere in esame l’argomento relativo alla nomina dei Capi della Magistratura ordinaria.
LACONI rileva anzitutto che, non accettando la proposta di dare alle Camere il potere di designare gli alti funzionari del Consiglio di Stato, si sottrarrà al Parlamento una parte probabilmente fondamentale del suo sindacato sul Governo, proprio quando – con l’attuazione in Italia di grandi riforme sociali ed economiche – la sfera di discrezionalità del Governo e l’intervento di esso nella vita e nei rapporti privati andranno sempre più aumentando. D’altra parte rileva che, se è vero che il controllo per accertare se l’operato del Governo rientri nell’ambito normale della legge è essenzialmente tecnico, è altrettanto vero che il controllo sul settore attribuito alla sfera di discrezionalità del Governo è necessariamente politico e non può essere eseguito da un organo tecnico, sottratto alla designazione popolare.
Appunto per questo, si dichiara favorevole ad una soluzione di compromesso, alla creazione cioè di un organo che contemperi le esigenze tecniche con quelle politiche.
Conclude affermando che la designazione dei magistrati del Consiglio di Stato da parte del Parlamento dà affidamento che essa corrisponderà alla volontà del Paese e che quest’organo avrà un’autorità ben maggiore di quella che avrebbe se fosse soltanto di carattere tecnico e nominato dal Governo.
DI GIOVANNI è del parere che la Sezione non debba seguire l’onorevole Laconi nelle sue considerazioni, ma si debba limitare a decidere sulla conservazione o meno delle funzioni giurisdizionali delle Sezioni del Consiglio di Stato. Dichiara di essere favorevole alla conservazione di queste funzioni nelle materie assegnate alla competenza delle Sezioni giurisdizionali stesse.
Quanto poi alla valutazione dei criteri di nomina del Presidente e dei Consiglieri, pensa che si possa puramente e semplicemente far rinvio alla legge. Propone al riguardo la seguente formula:
«La composizione delle Sezioni e la nomina dei componenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti saranno regolate dalla legge».
CALAMANDREI, Relatore, rileva che le argomentazioni dell’onorevole Laconi avrebbero dovuto condurlo all’affermazione che anche i magistrati ordinari – ai quali spetta di applicare il diritto – devono essere nominati dal Parlamento, e cioè dal popolo da cui deriva la sovranità. Non vede quindi perché per i magistrati ordinari non si richieda questo sistema di nomina, mentre lo si esige per i consiglieri di Stato, i quali sono anch’essi magistrati e, come tali, nominati a vita e inamovibili, e reclamano la medesima indipendenza e le stesse garanzie accordate ai magistrati ordinari.
Riallacciandosi ad un concetto già esposto, rileva che appunto affinché la democrazia – che è un continuo succedersi di maggioranze che diventano minoranze e di minoranze che diventano maggioranze – continui a sussistere, è necessario che il controllo sulla legalità degli atti amministrativi sia affidato ad un corpo di persone scelte non perché appartenenti ad un partito, ma perché in possesso di una determinata preparazione professionale.
LACONI replica all’onorevole Calamandrei di non essere favorevole alla nomina dei consiglieri di Stato a vita, in quanto ciò espone al pericolo che, in un determinato momento, ve ne possano essere alcuni che non rispecchino più il punto di vista dominante nel Paese.
TARGETTI propone la seguente formula:
«I consiglieri di Stato e della Corte dei conti sono nominati in seguito a concorso, secondo legge.
«I Presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e il Procuratore generale di questa, saranno nominati dal Parlamento su una terna formata dall’adunanza generale del Consiglio di Stato e dalle Sezioni riunite della Corte dei conti».
AMBROSINI all’onorevole Laconi, il quale ammetterebbe la conservazione delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti a condizione che i consiglieri fossero nominati dal Parlamento, osserva che, nel caso in cui, non approvandosi il mantenimento di tali Sezioni giurisdizionali, le loro attuali competenze fossero devolute alla Magistratura ordinaria, tutte le considerazioni da lui fatte dovrebbero essere ripetute nei riguardi della Magistratura ordinaria; il che non è ammissibile.
Rileva altresì che, procedendo con gli stessi criteri dei magistrati ordinari nell’interpretazione della legge, anche i Consiglieri delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono magistrati, e come tali debbono essere considerati dei tecnici ed esser posti in una posizione che non sia subordinata o influenzata da correnti politiche, cosa questa che si verificherebbe se la loro nomina avesse luogo in seno all’organo politico.
È perciò favorevole alla proposta fatta dall’onorevole Targetti, la quale stabilisce che i consiglieri delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti siano nominati in seguito a pubblico concorso.
MANNIRONI, concordando con quanto hanno osservato gli onorevoli Calamandrei ed Ambrosini, dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Targetti, con la riserva di risollevare la questione in sede opportuna, al fine di richiedere che il medesimo criterio sia adottato anche per la Magistratura ordinaria.
PRESIDENTE riassume la discussione e ricorda le proposte formulate dagli onorevoli Bozzi, Di Giovanni e Targetti.
Pone ai voti la prima parte della proposta fatta dall’onorevole Bozzi:
«Al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti spetta l’esercizio della funzione giurisdizionale nelle materie e nei limiti stabiliti dalla legge».
(È approvata).
BOZZI, per quanto riguarda la seconda parte, dichiara che, se non sarà accolta la sua proposta, voterà in linea subordinata quella dell’onorevole Di Giovanni, che rinvia la soluzione del problema alla legge.
TARGETTI dichiara di ritirare la sua proposta.
PRESIDENTE mette anzitutto ai voti la seconda parte della proposta Bozzi:
«I Presidenti e i consiglieri del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e il Procuratore generale di questa, sono nominati dal Presidente della Repubblica fra appartenenti a categorie determinate dalla legge, su designazione dei due rami del Parlamento, sentite, rispettivamente, l’adunanza generale del Consiglio di Stato e le Sezioni riunite della Corte dei conti».
(Non è approvata).
Mette quindi in votazione la proposta fatta dall’onorevole Di Giovanni:
«La composizione delle Sezioni e la nomina dei componenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti saranno regolate dalla legge».
(È approvata).
AMBROSINI dà notizia di aver ricevuta una memoria: «L’Avvocatura dello Stato nell’ordinamento costituzionale», con la quale si fa presente l’opportunità che quest’organo ausiliario della giustizia, il quale ha sempre funzionato benissimo, sia messo in condizione di assolvere al suo compito sulla base della legalità, senza essere sottoposto a pressioni nell’esplicazione del suo giudizio tecnico. È del parere che, coerentemente con le deliberazioni prese per garantire l’assoluta indipendenza degli organi giurisdizionali, sia opportuno inserire nella Costituzione una semplice proposizione con la quale si stabilisca il principio che anche l’Avvocatura dello Stato è circondata dalle medesime garanzie che spettano ai Magistrati.
BOZZI crede che un principio del genere sia già affermato in una legge esistente.
AMBROSINI concorda con l’onorevole Bozzi, ma prospetta l’opportunità di inserire tale dichiarazione nella Costituzione.
BOZZI condivide il punto di vista dell’onorevole Ambrosini e non sarebbe alieno dall’introdurre nella Costituzione una norma con la quale si affermasse pure che il patrocinio degli interessi dello Stato e delle Regioni è affidato all’Avvocatura dello Stato.
TARGETTI ritiene che una norma concernente l’Avvocatura dello Stato non possa trovar posto nella parte che riguarda il potere giudiziario.
PRESIDENTE concorda con l’onorevole Targetti. Pensa che tale disposizione potrà essere collocata in altra sede; ad ogni modo, invita fin d’ora gli onorevoli Ambrosini e Bozzi a predisporne la formulazione.
(Così rimane stabilito).
Apre ora la discussione sull’articolo 26 del progetto Calamandrei:
«Natura costituzionale delle leggi giudiziarie. – Le leggi che regolano l’ordinamento degli uffici giudiziari e lo stato giuridico dei magistrati e degli altri addetti all’ordine giudiziario non possono essere modificate che nelle forme e con le garanzie stabilite per modificare la presente Costituzione»;
e sul corrispondente articolo 13 del progetto Leone:
«La legge di ordinamento giudiziario è norma costituzionale».
TARGETTI ritiene eccessivo stabilire che, per modificare anche un solo punto delle leggi giudiziarie, si esiga la procedura stabilita per la modifica della Costituzione.
AMBROSINI è anch’egli del parere che sia inutile e dannoso introdurre nella Costituzione una dichiarazione generica, per la quale tutti i problemi che si riferiscono all’ordinamento giudiziario assumerebbero il carattere costituzionale e richiederebbero quindi, per la loro eventuale modificazione, la messa in moto di questa procedura speciale.
UBERTI rileva che altro è Costituzione, altro è legge di carattere costituzionale, per modificare la quale non è necessario che sia messo in moto tutto il meccanismo richiesto per la modifica della Costituzione, ma è sufficiente l’approvazione da parte di una maggioranza qualificata.
FARINI aderisce alle considerazioni dell’onorevole Ambrosini.
BOZZI non è d’accordo. Dal momento che si è entrati nell’ordine di idee di delineare un triplice ordine di norme – leggi ordinarie, norme sottoposte a procedimento di revisione costituzionale, leggi da approvarsi a maggioranza qualificata (per le quali, data la loro importanza, si richiede un maggior apporto di volontà) – si potrebbe seguire la via intermedia, stabilendo che le norme sull’ordinamento giudiziario devono essere deliberate con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere.
AMBROSINI ricorda di aver già manifestato il suo parere contrario a questo terzo tipo di legge. Ritiene poi che, nel caso in esame, non si debba accedere alla proposta intermedia che è stata presentata, essendo, a suo avviso, sufficiente la legislazione ordinaria, ad eccezione dei casi di modifica dei principî generali che potranno essere regolati con legge costituzionale. Prospetta quindi l’opportunità di sopprimere l’articolo.
BOZZI rileva che, oltre ai principî riguardanti il potere giudiziario e i giudici, fissati nella Costituzione, i quali possono essere modificati col meccanismo e con la procedura stabilita per tutte le norme costituzionali, vi è una legge sull’ordinamento giudiziario, la quale è complementare della Costituzione. Si domanda se tale legge debba considerarsi alla stregua della legge ordinaria, o di una legge costituzionale – come propone l’onorevole Calamandrei – o – come egli sostiene – di una legge speciale, per la cui modifica è necessaria una maggioranza qualificata.
Propone, insieme all’onorevole Uberti, la seguente formulazione da sostituire all’articolo 26 del progetto Calamandrei:
«Le norme sull’ordinamento giudiziario debbono essere deliberate con legge approvata con maggioranza assoluta dai componenti delle due Camere».
AMBROSINI insiste sull’opportunità di non complicare eccessivamente la legislazione.
PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento Bozzi-Uberti.
(È approvato).
Apre ora la discussione sull’articolo 14 del progetto Calamandrei:
«Soggezione della pubblica amministrazione alla giurisdizione ordinaria». – Il cittadino potrà ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria non soltanto per chiedere la reintegrazione del proprio diritto soggettivo violato da un atto della pubblica Amministrazione, ma anche per chiedere l’annullamento o la modificazione, per i motivi di legittimità o di merito stabiliti dalla legge, dell’atto amministrativo lesivo del suo interesse.
«L’autorità giudiziaria potrà, secondo i casi, annullare, revocare o modificare l’atto amministrativo impugnato, a meno che la pubblica Amministrazione non dimostri in giudizio l’esistenza di una ragione di carattere politico, che faccia apparire al giudice preferibile alla reintegrazione specifica del diritto la condanna della stessa Amministrazione al risarcimento dei danni».
BOZZI è del parere che quest’articolo non debba esser preso in considerazione, perché non concerne materia costituzionale.
TARGETTI concorda con l’onorevole Bozzi.
MANNIRONI osserva che in tal caso l’articolo in esame è da considerare non approvato.
BOZZI risponde che, non essendo stata respinta nel merito, la disposizione potrà essere ripresa in esame in sede di legge ordinaria.
PRESIDENTE concorda con l’onorevole Bozzi.
(Così rimane stabilito).
Mette in discussione l’articolo 25 del progetto Calamandrei:
«Polizia giudiziaria. – La polizia giudiziaria, che ha per compito la prevenzione, l’accertamento e la repressione dei reati, è posta alla dipendenza esclusiva e diretta dell’autorità giudiziaria»;
e il corrispondente articolo 10 del progetto Leone:
«La polizia è sotto la direzione del pubblico ministero».
TARGETTI si dichiara contrario alla disposizione, che ritiene collegata a quella sul Pubblico Ministero. Osserva in proposito che, se si ammette che il Pubblico Ministero rappresenta il potere esecutivo, la polizia dovrà essere necessariamente alle sue dipendenze; ma, se si scioglie il vincolo che lega il Pubblico Ministero al potere esecutivo e si dà al magistrato la facoltà di disporre della polizia, si finirà per togliere la disponibilità di essa a chi non può esserne privato.
MANNIRONI fa presente il desiderio manifestato dai magistrati, che cioè una sezione speciale della polizia sia posta alle dirette dipendenze della Magistratura ai fini inquirenti.
PRESIDENTE ricorda l’illustrazione che della norma ha fatto l’onorevole Leone; ma rileva che anche una disposizione di tale importanza può essere stabilita in una legge ordinaria.
BOZZI dissente dall’opinione del Presidente, perché ritiene che tale problema, profondamente sentito, difficilmente potrà esser risolto con una legge ordinaria. Di qui la necessità che la Costituzione – oltre a creare l’indipendenza del Pubblico Ministero e del giudice istruttore penale – stabilisca che la polizia giudiziaria, e questa soltanto, sia posta alle loro dipendenze, al fine di dare a questi magistrati la possibilità di compiere con la necessaria sollecitudine le opportune indagini. Aggiunge che in tal modo i poteri coercitivi del Pubblico Ministero e del giudice istruttore avranno lo strumento necessario affinché questa coercizione si attui con rapidità.
MANNIRONI prospetta la necessità di inserire il principio nella Costituzione, al fine di costringere il legislatore ordinario a provvedere in proposito.
TARGETTI rileva che il concetto stabilito nella formula dell’onorevole Leone era in relazione con l’altra che aveva posto il Pubblico Ministero alle dipendenze del Ministro della giustizia.
BOZZI non lo crede, tanto vero che anche l’onorevole Calamandrei, che configurava diversamente il Pubblico Ministero, ha fissato nel suo progetto un’analoga disposizione.
TARGETTI ad ogni modo ritiene che sia più opportuno parlare genericamente di «Autorità giudiziaria».
LACONI osserva che la locuzione: «alla dipendenza» può dar l’impressione che la polizia dipenda, sotto ogni aspetto, dalla Autorità giudiziaria.
BOZZI concorda con l’onorevole Laconi; ritiene quindi preferibile la dizione proposta dall’onorevole Leone: «sotto la direzione».
Propone, d’accordo con gli onorevoli Mannironi e Uberti, la seguente formula:
«La polizia giudiziaria è sotto la direzione dell’Autorità giudiziaria».
UBERTI fa presente l’opportunità – anche al fine di non moltiplicare i comandi – che la polizia sia alle dipendenze del questore; ma riconosce la necessità di stabilire che la polizia giudiziaria, quando riceve un ordine dal giudice istruttore, deve eseguirlo; poiché, se non si ammette che la polizia possa ricevere ordini dall’Autorità giudiziaria, questa sarà privata di ogni possibilità di agire.
CAPPI ritiene che la divergenza possa esser composta con una diversa formulazione della disposizione, dando cioè al magistrato la possibilità pratica di ordinare determinate indagini al commissario di pubblica sicurezza.
TARGETTI insiste nel ritenere la disposizione collegata a quelle riguardanti il Pubblico Ministero.
CAPPI propone la seguente formula:
«L’Autorità giudiziaria può disporre direttamente dell’opera della polizia giudiziaria».
BOZZI ritira la sua proposta e si associa a quella dell’onorevole Cappi.
PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dall’onorevole Cappi.
(È approvata).
Comunica che, a proposito dell’articolo 11 («Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procederà alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti»), l’onorevole Leone ha presentato una proposta di rettifica del seguente tenore:
«Le giurisdizioni speciali che entro cinque anni dalla data della presente Costituzione non saranno conservate con legge votata a norma dell’articolo 6, resteranno soppresse.
«Entro il medesimo termine si provvederà con legge alla soppressione dei Tribunali militari e delle altre giurisdizioni speciali penali esistenti.
«Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvederà con legge alla soppressione del Tribunale supremo militare e al conseguente trasferimento della competenza del medesimo alla Corte suprema di cassazione».
LACONI ritiene eccessivo il termine di cinque anni dopo l’emanazione della Costituzione previsto per l’abolizione dei Tribunali militari.
CAPPI osserva che i Tribunali militari dovranno restare in carica solo per i giudizi in corso.
PRESIDENTE non crede che si possa affermare esplicitamente un tale concetto, perché si correrebbe il rischio di veder protrarre nel tempo e quasi indefinitamente le cause pendenti. Ritiene invece che si debba stabilire che non possono essere più iniziati procedimenti penali dinanzi ai Tribunali militari a decorrere da una determinala data e che i Tribunali stessi sono soppressi a decorrere da quell’altra data che dovrà essere stabilita.
CAPPI adotterebbe la formula:
«I Tribunali militari restano in attività solo per l’esaurimento delle cause in corso e in ogni caso…».
BOZZI osserva che, prima di sopprimere i Tribunali militari definitivamente, è necessario che siano istituite le sezioni specializzate presso i Tribunali ordinari.
MANNIRONI propone che tale materia sia riservata alle norme transitorie.
AMBROSINI concorda, ed aggiunge che bisogna trovare una formula più adeguata.
PRESIDENTE invita l’onorevole Bozzi a presentare una nuova formulazione dell’articolo in parola.
La seduta termina alle 18.45.
Erano presenti: Ambrosini, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.
Assenti: Bocconi, Bulloni, Porzio.