Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(SECONDA SEZIONE)

14.

RESOCONTO SOMMARIO

DELTA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Potere giudiziario (Seguito della discussione)

Presidente – Farini – Calamandrei, Relatore – Castiglia, Relatore – liberti – Leone Giovanni, Relatore – Ambrosini – Mannironi – Cappi – Lagoni – Targetti – Di Giovanni – Ravagnan.

La seduta comincia alle 9.25.

Seguito delia discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 8 del progetto dell’onorevole Calamandrei:

«Pubblicità e legalità dell’azione penale. – L’azione penale è pubblica, e il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità della legge, senza poterne sospendere e ritardare l’esercizio per ragioni di convenienza».

FARINI chiede che venga innanzi tutto definita la figura del Pubblico Ministero e chiarito se debba dipendere dal Ministro della giustizia o dal Consiglio Superiore della Magistratura. È sua opinione che debba dipendere dal Ministro della giustizia.

CALAMANDREI, Relatore, considera il Pubblico Ministero come un magistrato, che deve agire secondo il principio della legalità. Se sono in suo possesso elementi che possano condurre all’accertamento di un reato, deve procedere senza astenersene per qualsiasi ragione.

Pertanto il Pubblico Ministero non è funzionario amministrativo, ma, come ha già detto, un magistrato, e deve godere dei requisiti dell’indipendenza e della inamovibilità, vecchia aspirazione dei magistrali a garanzia di libertà e di legalità.

CASTIGLIA, Relatore, richiama l’attenzione sull’articolo 9 dell’onorevole Leone, che si ispira ai criteri espressi dall’onorevole Calamandrei:

«Il Pubblico Ministero veglia all’osservanza delle leggi; promuove l’azione penale e, nei casi previsti dalla legge, l’azione civile, e provvede all’esecuzione delle sentenze penali. In tutti i casi in cui ha il diritto di promuovere l’azione o di partecipare al processo può impugnare i provvedimenti del giudice».

UBERTI pensa che il supporre che un Pubblico Ministero possa non esercitare una azione penale per ragioni di opportunità e di convenienza sia in contrasto con i principi della democrazia. Non trova giustificato il timore manifestato dall’onorevole Calamandrei che ciò sarebbe possibile qualora il Pubblico Ministero fosse alle dipendenze del potere esecutivo; un delitto; deve essere sempre perseguito prescindendo da qualsiasi ragione di convenienza.

LEONE GIOVANNI, Relatore, afferma che la sua tesi, che cioè la funzione del Pubblico Ministero rientri nell’ambito del potere esecutivo e l’affermazione del principio fissato nell’articolo 8 del progetto dell’onorevole Calamandrei sono perfettamente conciliabili; invita quindi i colleghi ad approvare il principio della obbligatorietà dell’azione penale.

Coerentemente alla concezione del Pubblico Ministero quale organo del potere esecutivo, egli ha proposto che gli vengano sottratte tutte quelle funzioni che sono tipicamente giurisdizionali. Non nasconde di essere profondamente turbato dalle difficoltà che sorgerebbero dall’accettazione della sua proposta. Facendo del Pubblico Ministero un organo spiccatamente dipendente dal potere esecutivo, occorrerà predisporre nella Carta costituzionale gli strumenti atti ad impedire il paventato pericolo, che il principio della legalità possa essere violato.

Lo strumento attuale per impedire tale pericolo sta nella struttura del Pubblico Ministero come organo misto, nel senso che è roganizzato e disciplinato come un magistrato. Esso, anzi, col decreto Togliatti, ha già realizzato la garanzia della inamovibilità. Lo strumento più idoneo per garantire la legalità dell’azione penale è l’avere sganciato il Pubblico Ministero, dal punto di vista gerarchico, dal potere esecutivo; ma se si volesse agganciarlo al potere esecutivo, vi sarebbero due strade da lui già indicate: Cuna è quella di vedere se la Costituzione in altre sue parti offra al cittadino possibilità concrete e precise per impedire l’arbitrio del funzionario; la seconda, largamente innovativa della tradizione, è quella di rendere possibile, in caso di negligenza del Pubblico Ministero, al giudice di iniziare ex officio il processo penale. Seguendo questa seconda via, si darebbe al Pubblico Ministero un carattere del tutto nuovo, ma che sarebbe, a suo avviso, il più idoneo strumento per garantire quell’osservanza del principio della pubblicità e della legalità di cui all’articolo 8 dell’onorevole Calamandrei.

Concludendo, propone di votare anzitutto l’articolo 8 Calamandrei e subito dopo occuparsi del problema del Pubblico Ministero.

FARINI concorda con l’onorevole Leone circa il riconoscimento della, dipendenza del pubblico ministero dal Ministro della giustizia, e chiede che siano designati esattamente i limiti della sua attività e stabiliti con precisione i mezzi che gli rendano impossibile violare il principio della legalità.

AMBROSINI, richiamandosi a quanto ha detto in una delle passate sedute, preferirebbe che nella Costituzione non si facesse alcuna affermazione sulla dipendenza del Pubblico Ministero, e si riservasse la definizione della sua figura alla legge sull’ordinamento giudiziario.

Dell’articolo 8, proposto dall’onorevole Calamandrei, approva la prima parte: «La azione penale è pubblica e il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità della leggo»: perché, stabilito come principio fondamentale quello della legalità, ritiene superflua l’affermazione contenuta nella seconda parte, che parrebbe quasi diminuire la struttura del sistema.

Quando, nella seduta precedente, fu discusso se nella Costituzione potessero inserirsi delle proclamazioni di principi generali, difese l’articolo proposto dall’onorevole Calamandrei, nel quale si affermava un principio di indole generale, cioè l’indipendenza e l’autonomia del potere giudiziario; ma diverso è il caso per l’ultima parte dell’articolo 8.

CALAMANDREI, Relatore, dichiara di essere d’accordo.

PRESIDENTE fa rilevare che, escludendo dalla formulazione dell’articolo 8 l’ultima parte, è opportuno far risultare dal verbale che il principio è accettato dalla Commissione e che deve considerarsi tenuto presente nelle formulazioni successive.

AMBROSINI sarebbe anche disposto a votare la seconda parte, riservandone la eliminazione al Comitato di redazione. In tal modo resterebbe ben chiaro che questo è il pensiero lassativo della Sottocommissione.

MANNIRONI ritiene che la seconda parte dell’articolo potrebbe essere conservata, in quanto non turba l’euritmia del progetto e non nuoce alla chiarezza.

CASTIGLIA, Relatore, approva l’articolo come è stato proposto. Aggiunge che non condivide il pensiero dell’onorevole Ambrosini che non si debba parlare, nella Costituzione, della dipendenza del Pubblico Ministero.

AMBROSINI propone il seguente emendamento:

«L’azione, penale è pubblica e il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità della legge, senza poterne por qualsiasi ragione sospendere o ritardare l’esercizio».

LEONE GIOVANNI, Relatore, preferirebbe dire: «Senza potere in nessun caso sospenderne o ritardarne l’esercizio».

MANNIRONI chiede se, dicendo che la azione penale è pubblica, si intenda escludere la possibilità della querela.

CALAMANDREI, Relatore, risponde che la querela è un atto privato che rimuove un ostacolo, senza il quale l’azione pubblica non può essere esercitata; una volta presentata la querela, anche se si tratta di querela di parte, l’azione è pubblica.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo 8 così modificato:

«L’azione penale è pubblica, e il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità della legge, senza potere in nessun caso sospenderne o ritardarne l’esercizio».

(È approvato).

Invita quindi l’onorevole Leone a chiarire il suo pensiero sulla figura del Pubblico Ministero, in relazione agli articoli 10 e il del suo progetto.

LEONE GIOVANNI, Relatore, precisa che il sistema da lui proposto risulta dal coordinamento dell’articolo 5-bis o degli articoli 10 e 11.

Chiarisco che egli non ha detto esplicitamente che il Pubblico Ministero dipende dal Ministro della giustizia, ma questo si ricava dall’insieme del sistema. Infatti, l’inamovibilità è riservata al giudice e non si estende al Pubblico Ministero: sono consolidati i rapporti di dipendenza della polizia giudiziaria dal Pubblico Ministero; gli è sottratta la funzione di istruire, in via sommaria, il processo.

In tal modo il Pubblico Ministero assume nettamente la figura di un organo del potere esecutivo.

CALAMANDREI, Relatore, vorrebbe che del Pubblico Ministero si parlasse, secondo il suggerimento dell’onorevole Laconi, con senso realistico, non lasciandosi illudere dalle formule. Si chiede che cosa significhi la dipendenza del Pubblico Ministero dal Ministro della giustizia, quando si è stabilito il principio che il Pubblico Ministero, nella sua funzione preminente di accusa nel processo penale, è tenuto ad osservare il principio di legalità.

Se il Ministro della giustizia ha un potere gerarchico sul Pubblico Ministero, ha anche il potere di ordinargli come deve procedere ed il Pubblico Ministero si deve uniformare all’ordine ricevuto. Or questo può essere ordine di non procedere, mentre egli, per legge, è tenuto a procedere. E allora gli si presenta

il dilemma: o non procede perché il Ministro così gli ordina, e viola la legge; o si attiene al principio di legalità, non uniformandosi all’ordine del Ministro, e allora infrange il rapporto gerarchico di dipendenza dal Ministro.

Quindi, non si può volere affermar da una parte il principio di legalità c dall’altra considerare il Pubblico Ministero dipendente dal Ministro: o Luna o l’altra cosa è proposta inutilmente.

Vorrebbe quindi che l’onorevole Leone spiegasse chiaramente che cosa intenda quando parla di dipendenza del Pubblico Ministero dal Ministro. Se il Pubblico Ministero vuol procedere, perché così glielo impone la legge, mentre il Ministro vorrebbe che non procedesse, potrà il Ministro revocarlo, rimuoverlo, considerando come una insubordinazione quello che è l’adempimento di un preciso dovere legale?

CAPPI trova che il dilemma proposto dall’onorevole Calamandrei è suggestivo: o legalità o dipendenza gerarchica; ma è possibile trovare una terza via d’uscita. Se al Ministro della giustizia si assegnasse il potere non di ordinare al Pubblico Ministero, bensì di vigilare, di consigliare, di far presente l’opportunità di procedere o di non procedere, senza che questo implicasse un comando, anche l’inconveniente rilevato dall’onorevole Calamandrei non si verificherebbe.

AMBROSINI riafferma il suo punto di vista, che non è necessario, e forse nemmeno opportuno, che questa materia sia affrontata dalla Costituzione; ma, se si dovesse decidere in merito, sarebbe per la soluzione di non far dipendere il Pubblico Ministero, in qualsiasi forma, dal Ministro della giustizia.

Poiché si è di fronte alla necessità di una soluzione netta, non ritiene che si possano prendere in considerazione, e nemmeno prospettare, le tre ipotesi. II principio della legalità deve essere alla base di tutto l’ordinamento, onde occorre escludere la dipendenza dal Ministro e porre esplicitamente il Pubblico Ministero sullo stesso piano di garanzie e di cautele che competono agli altri magistrati.

MANNIRONI concorda con quanto ha detto l’onorevole Ambrosini.

PRESIDENTE, dato il pensiero, che già si conosce, dell’onorevole Targetti e quello dell’onorevole Ambrosini a cui si è associato l’onorevole Mannironi, ritiene opportuno votare sulla questione pregiudiziale, se sia opportuno o meno di parlare del Pubblico Ministero nella Costituzione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, desidera rispondere all’interrogativo postogli dall’onorevole Calamandrei. Non avrebbe alcuna difficoltà a ritenere che sia perfino inutile esaminare il problema nella torma drastica da lui stesso proposta, per stabilire in questa sede da chi dipenda il Pubblico Ministero, ma osserva che nemmeno in questa sede è possibile sottrarsi all’esame di alcuni aspetti di questo istituto. Innanzitutto occorre parlare chiaramente dell’inamovibilità, anche perché è una recente conquista del Pubblico Ministero in base al decreto Togliatti. Bisogna quindi stabilire se l’inamovibilità rosta o vien limitata soltanto per i giudici.

Un altro punto che si può stabilire nella Costituzione, e su cui è da ritenere che tutti siano d’accordo, è quello di ricondurre decisamente la polizia giudiziaria alle dipendenze del Pubblico Ministero. Questa dipendenza già esiste, ma non funziona; quindi è opportuno ricordarla nella Costituzione in modo che il futuro legislatore se ne valga per stabilire delle norme più attuabili ed energiche che evitino il ripetersi di inconvenienti segnalali da varie parti. Purtroppo si è stati sempre in pieno regime di arbitrio assoluto. Anche dove la polizia ha il dovere di sottoporre alcuni provvedimenti alla preventiva deliberazione del Procuratore della Repubblica, l’inconveniente spesso si verifica e non esistono sanzioni adeguate.

Occorre dunque porre direttamente alle dipendenze del Pubblico Ministero la polizia giudiziaria, affinché fin dal primo momento sia soddisfatta, da una parte l’esigenza della legalità e della onestà dell’indagine giudiziaria, e dall’altra, l’esigenza della tecnicità dell’indagine stessa. È frequentissimo il caso di procedimenti basati su una falsariga errata per i quali la polizia arriva a conclusioni tali da paralizzare o da compromettere il giusto svolgimento delle indagini e dell’acquisizione delle prove, sicché, per mancanza dell’immediato intervento del Pubblico Ministero, si hanno i segni evidenti del disfacimento del processo.

Dichiara quindi, per quanto riguarda la pregiudiziale, di essere d’accordo sull’opportunità di lasciare la materia alla elaborazione del futuro legislatore; però, a proposito deh problema della inamovibilità c della dipendenza della polizia giudiziaria, ritiene che non sia possibile sottrarsi dal prendere posizione.

A proposito poi del dilemma posto dall’onorevole Calamandrei, e che egli aveva già enuncialo, riconosce che stabilire nello stesso momento la dipendenza del Pubblico Ministero dal potere esecutivo e la pubblicità dell’azione penale, significa rendere possibile un contrasto in concreto; ma è del parere che il Pubblico Ministero, pur essendo organo del potere esecutivo, possa, e debba assumere un atteggiamento di obiettività e di serenità. Tutta l’amministrazione in questo momento tende a porsi nel quadro della giustizia, per cui lo stesso Consiglio di Stato, che è un organo del potere esecutivo, è contemporaneamente organo di giustizia, che spesso si pone contro lo stesso Governo; ed analoga considerazione può farsi nei riguardi della Corte dei conti.

Tuttavia non si nasconde il pericolo che il Ministro della giustizia imponga al Pubblico Ministero un corto atteggiamento e, se il Ministro non prenderà provvedimeli li immediati contro il funzionario recalcitrante, potrà sempre danneggiarlo in un successivo momento. Per questa eventualità, c considerando che il Pubblico Ministero potrebbe subire sia pure indirettamente l’influenza del Ministro, non iniziando l’azione penale, occorrerà trovare un correttivo, stabilendo che il giudice può procedere ex officio.

MANNIRONI affama che, nel silenzio della Costituzione, dovrebbe rimanere implicito il concetto che il Pubblico Ministero è un magistrato dell’ordine giudiziario e gode di tutte le prerogative dei giudici ordinari.

LEONE GIOVANNI, Relatore, risponde che tale concetto è implicito, quando si afferma che il Pubblico Ministero è inamovibile e che il Consiglio Superiore della Magistratura governa l’ordine giudiziario.

UBERTI, dato che la Costituzione deve avere un significato politico e deve reagire contro tutte le illegalità, ritiene che il Pubblico Ministero debba essere indipendente dal potere esecutivo, rimanendo organo esclusivo del potere giudiziario, appunto per ribadire l’esigenza di legalità già affermata nell’articolo 8.

A proposito dei rapporti tra Pubblico Ministero e polizia giudiziaria e della dipendenza di quest’ultima dal primo, osserva che tale stato di cose presenta tanti inconvenienti che non possono essere tollerati in uno stato di diritto; ritiene quindi fondato il dilemma posto dall’onorevole Calamandrei e si dichiara favorevole alla piena autonomia del Pubblico Ministero da affermarsi nella Costituzione.

CASTIGLIA, Relatore, è del parere che la materia debba essere regolata dalla Costituzione, e non rinviala alla legge sull’ordinamento giudiziario, sia per quanto riguarda il Pubblico Ministero, che nei riflessi degli organi del potere giudiziario.

Richiama a questo punto l’articolo 3 del progetto Patricolo:

«Sono organi del potere giudiziario:

  1. a) la Magistratura sia inquirente che giudicante;
  2. b) la Polizia giudiziaria;
  3. c) l’Amministrazione degli Istituti di prevenzione e di pena».

Questo, in via pregiudiziale, gli sembra da decidere; salvo poi a deliberare se il Pubblico Ministero debba essere posto alle dipendenze del potere esecutivo o rimanere nell’ambito del potere giudiziario.

AMBROSINI rileva che, una volta stabilito che il Pubblico Ministero è un magistrato, ne consegue che gli spettano tutte le garanzie proprie dei magistrati; salvo che, con altra disposizione, si deroghi espressamente al principio generale.

Non vede quindi la necessità di tornare sull’argomento nel testo costituzionale, come pure non ritiene opportuno che nella Costituzione si specifichino le funzioni del Pubblico Ministero, sia riguardo alla istruzione sommaria, sia riguardo alla direzione della polizia giudiziaria. È questa una materia che va disciplinata in una legge organica fondamentale, non nella Costituzione.

Quanto alle garanzie di sostanza, rammenta che, nel Comitato di revisione, il problema è stato affrontato e risolto in due articoli diversi. Nel terzo comma dell’articolo 2 si stabilisce come e quando la polizia può prendere misure provvisorie di sicurezza che, se non convalidate dall’Autorità giudiziaria, restano prive di ogni effetto. Per quanto poi riguarda la responsabilità dei funzionari e degli agenti, il Comitato ha approvato la disposizione dell’articolo il, che costituisce una innovazione fondamentale e una delle migliori affermazioni della nuova Costituzione: i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti dei cittadini.

CASTIGLIA, Relatore, per queste ragioni ritiene che si debba parlare del Pubblico Ministero nella Costituzione. Dichiara poi che il suo gruppo è contrario a che il Pubblico Ministero sia considerato quale organo del potere esecutivo.

AMBROSINI propone di dire espressamente che è un magistrato e che quindi gode delle garanzie di cui godono gli altri magistrati.

LAGONI crede sia un errore voler considerare il Pubblico Ministero come un organo del potere esecutivo, secondo sostiene l’onorevole Leone, o un magistrato ordinario, secondo un’altra tendenza; si tratta invece di un organo che ha un doppio carattere. È organo del potere esecutivo, in quanto promotore dell’azione penale, e conferisce alla pubblica accusa tutti i crismi della legalità; né possono esservi preoccupazioni. sulla legalità della sua azione, in quanto si tratta di un magistrato, Che gode in pieno delle garanzie della Magistratura e, in primo luogo, della inamovibilità.

Occorre quindi studiare come conciliare i due caratteri; mantenere la figura del magistrato, con le garanzie relative, e porlo sotto l’alta, direzione del Ministro, dandogli la figura di rappresentante del potere esecutivo.

In merito alla pregiudiziale, il suo parere è che se ne possa tacere, se si vuol considerarlo o come magistrato o come rappresentante del potere esecutivo, ma che se ne debba parlare se gli si riconosce un duplice aspetto.

AMBROSINI ritiene pericolosa una definizione, non solo per l’istituto del Pubblico Ministero, ma anche per altri istituti di diritto pubblico che presentano problemi complessi. È del parere che sia preferibile lasciare che la situazione venga definita dalla dottrina, limitandosi a definire solo le funzioni del Pubblico Ministero.

CASTIGLIA, Relatore, insiste perché venga preso in considerazione l’articolo 3 del progetto Patricolo.

MANNIRONI propone che la Commissione affermi il principio che il Pubblico Ministero è un organo del potere giudiziario e ne inserisca la menzione con un inciso, nell’articolo 8 già approvato.

CALAMANDREI, Relatore, per la tesi dell’appartenenza del Pubblico Ministero alla Magistratura e quindi alla sua equiparazione ai magistrati giudicanti, ritiene sufficiente l’articolo 4 votato nella seduta precedente, il quale parla dei magistrati delle varie categorie e non dei giudici; e ancor più l’articolo 23, il quale stabilisce che l’inamovibilità è concessa anche al Pubblico Ministero.

LEONE GIOVANNI, Relatore, osserva che se prevalesse la sua tesi, l’inamovibilità sarebbe approvata soltanto per il giudice e non per il Pubblico Ministero.

AMBROSINI prega l’onorevole Leone di non insistere sulla proposta di considerare il Pubblico Ministero come organo del potere esecutivo.

Conviene che quella del pubblico ministero è una figura complessa e ritiene sufficiente per ora ribadire il concetto che il pubblico ministero è un magistrato.

LEONE GIOVANNI, Relatore, insiste nella sua proposta, che rappresenta uno degli elementi principali del suo sistema.

CAPPI, pur essendo del parere che nella Costituzione non se ne debba parlare, poiché la maggioranza sembra di parere opposto, propone il seguente articolo:

«Il Pubblico Ministero fruisce di tutte le garanzie dei magistrati.

«Il Ministro della giustizia ha la vigilanza sull’ufficio del Pubblico Ministero e può eccitarne l’azione».

PRESIDENTE osserva come l’onorevole Leone abbia esposto tutte le preoccupazioni del penalista, ma, per suo conto, non ritiene opportuno mettere troppi particolari nella Costituzione: nella Costituzione devono essere fissati solo dei principi generali.

LEONE GIOVANNI, Relatore, crede che dicendo che il pubblico Ministero fa parte della Magistratura, il problema sarebbe risolto.

PRESIDENTE risponde che sarebbe risolto solo in parte, perché un Codice di procedura penale potrà sempre dare delle norme per le quali il Pubblico Ministero sia agganciato in qualche modo al potere esecutivo. Ricorda che molli artifici sono stati adoperati per valersi del Pubblico Ministero secondo il capriccio dei Ministri.

Mette in votazione la pregiudiziale che nella Costituzione non si debba far menzione delle attribuzioni del Pubblico Ministero e dei suoi rapporti con il Ministro della giustizia.

(Non è approvata).

LEONE GIOVANNI, Relatore, presenta la seguente proposta:

«Il Pubblico Ministero dipendo dal Ministro della giustizia. La polizia è sotto la direzione del Pubblico Ministero».

Dichiara che a questa proposta collega anche quella successiva di togliere l’inamovibilità al Pubblico Ministero.

AMBROSINI fa rilevare la difficoltà di prendere delle decisioni sulla questione dell’attribuzione del Pubblico Ministero, che involge tutto il sistema della procedura penale. L’istruzione dei processi sommari può dar luogo ad inconvenienti; ma lo Stato ha adottato quel sistema proprio per esigenze di giustizia.

Prega l’onorevole Castiglia di non insistere sull’articolo 3 del progetto Patricolo, perché sarebbe costretto a votare contro proposizioni alle quali è favorevole, perché ritiene che nella Costituzione non si possa scendere a certi particolari.

CASTIGLIA, Relatore, non trova che la formulazione dell’articolo 3 del progetto Patricolo contenga un eccesso di particolari; e ciò a prescindere dalla questione di merito.

MANNIRONI dichiara che col suo voto sulla pregiudiziale ha inteso ammettere che nella Costituzione si debba fare qualche accenno alla figura del Pubblico Ministero; ma non ritiene necessario specificare in un articolo apposito tutte le attribuzioni di questo, perché si tratta di materia che deve essere demandata ai codici o alla legge sull’ordinamento giudiziario. Ritiene sufficiente affermare in una frase sintetica il principio che il Pubblico Ministero appartiene alla Magistratura ordinaria e non dipende dal potere esecutivo. A sancire questa affermazione potrebbe bastare anche un inciso in un altro articolo.

AMBROSINI fa rilevare che nell’articolo 23 del progetto Calamandrei si dice:

«I magistrati di qualunque grado, sia giudicanti che del pubblico ministero, sono inamovibili dal giorno della loro nomina».

Quindi vi è già la definizione del Pubblico Ministero come magistrato.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte della proposta dell’onorevole Leone:

«Il Pubblico Ministero dipende dal Ministro della giustizia».

(Non è approvata).

Mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Cappi, così definitivamente redatto:

«Il Pubblico Ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati ed è sottoposto alla vigilanza del Ministro della giustizia».

AMBROSINI propone che si voti per divisione.

LAGONI, affinché non sorgano equivoci, propone che l’ordine del giorno sia votato nella sua completezza.

PRESIDENTE osserva che racchiude due concetti del tutto distinti.

AMBROSINI dichiara che darà voto favorevole solo alla prima parte.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’ordine del giorno Cappi:

«Il Pubblico Ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati».

(È approvata).

Mette ai voti la seconda parte: «è sottoposto alla vigilanza del Ministro della giustizia».

CASTIGLIA, Relatore, voterà contro, perché questa seconda parte è in contradizione con la prima.

PRESIDENTE, dichiara pure di votare contro, perché questa seconda parte si ricollega a quanto già è stato detto nell’articolo 8 e cioè che l’azione penale è pubblica e che il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità della legge, senza potere, in nessun caso, sospenderne o ritardarne l’esercizio.

LEONE GIOVANI, Relatore, dichiara di astenersi dal voto.

(Con 4 voti favorevoli, 6 contrari e 1 astensione, non è approvata).

PRESIDENTE fa presente che si deve decidere in quale articolo va inserita la prima parte della proposta Cappi approvata.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che sia inserita nell’articolo 4, dove si parla della Magistratura.

PRESIDENTE è d’accordo per l’inserzione nell’articolo 4.

AMBROSINI ritiene che per la logica e la sistematica, vada bene raffermatone che la Magistratura è un ordine autonomo; ma tale affermazione va fatta con una proposizione lapidaria, evitando che sia diminuita con delle specificazioni. Preferirebbe quindi integrare con questa norma l’articolo 23, dove si parla dei giudici e del Pubblico Ministero.

CASTIGLIA, Relatore, preferirebbe l’inserzione nell’articolo 4.

PRESIDENTE, riconoscendo l’opportunità di non aggiungere parole che diminuirebbero l’affermazione solenne del principio, prega l’onorevole Gas figlia di non insistere.

CASTIGLIA, Relatore, consente.

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 23:

«Inamovibilità. – I magistrati di qualunque grado, sia giudicanti che del Pubblico Ministero, sono inamovibili dal giorno della loro nomina. Essi non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, retrocessi, trasferiti ad altra sede od anche semplicemente destinati ad altre funzioni se non col loro consenso, ovvero per deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura o della competente Corte disciplinare per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dalle leggi».

CALAMANDREI, Relatore, chiarisce che quest’articolo rappresenta una innovazione rispetto all’articolo 69 dello Statuto, il quale concedeva l’inamovibilità ai giudici, solo dopo tre anni dalla loro nomina, mentre qui la si concede dal giorno della loro nomina.

Ponendo però in relazione questo articolo con l’articolo 20, in cui si dispone che la nomina sia fatta dal Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da un periodo di tirocinio, risulta che il periodo durante il quale i magistrati esercitano le loro funzioni, ma non hanno ancora l’inamovibilità, è quello del tirocinio, che può durare anche più di tre anni.

Qualora però la Commissione lasciasse cadere l’articolo 20, perché ritenuto superfluo, occorrerebbe stabilire in questa sede che alla nomina si procede dopo un determinato periodo di tirocinio.

CAPPI non crede che nella Costituzione si possa parlare del periodo di tirocinio dei magistrati. Aggiunge che ritiene superflua la seconda parte dell’articolo 23, perché già compresa nell’articolo votato nella precedente seduta, in cui si parla del trasferimento e delle promozioni come di materia di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che si dica» «diventano inamovibili dopo il periodo di tirocinio».

CALAMANDREI, Relatore, spiega che attualmente i magistrati, una volta superato il concorso, vengono nominati, con decreto ministeriale, uditori. È questa già una nomina, perché gli uditori esercitano funzioni di magistrati. Successivamente, quando hanno espletato il loro tirocinio, vengono nominati giudici aggiunti e da questo momento debbono passare tre anni prima che godano della inamovibilità. Dicendo che godono dell’inamovibilità dal giorno della loro, nomina, senza specificare con quale provvedimento la nomina viene fatta, e senza dire che deve esservi un periodo in cui l’inamovibilità non è concessa, si varierebbe una norma dello Statuto precedente senza sostituirla con una nuova, egualmente completa. Ritiene che questa sia materia di Costituzione, c aggiunge che la norma è suggerita da ‘tutte le proposte fatte dai magistrati. «Inamovibilità» è una parola elastica, che si è andata riempiendo di significati che non aveva un tempo, e questa pienezza della formula deve essere riprodotta nella Costituzione, perché rappresenta un miglioramento in confronto dello Statuto precedente.

CAPPI insiste nel rilevare che la seconda parto è compresa nell’articolo già votato, dove è detto che la competenza in materia spetta al Consiglio Superiore della Magistratura.

CALAMANDREI, Relatore, risponde che, senza questa disposizione, sembrerebbe clic il Consiglio della Magistratura potesse agire arbitrariamente, mentre deve uniformarsi a quanto sarà stabilito dalla legge.

LEONE GIOVANNI, Relatore, non ha nulla da osservare quanto alla inamovibilità. La seconda casistica potrebbe rientrare in forma più sintetica nella formula usata nel suo articolo 5-bis: «salvo i casi espressa– mente previsti nella legge sull’ordinamento giudiziario».

PRESIDENTE rileva che l’onorevole Leone accetta la formulazione dell’articolo 23 fino alle parole «loro consenso»; aggiungerebbe poi «salvo i casi espressamente previsti nella legge sull’ordinamento giudiziario».

CASTIGLIA, Relatore, per la prima parte dell’articolo 23 propone la seguente dizione:

«I magistrati di qualunque grado, sia giudicanti che del Pubblico Ministero, diventano inamovibili immediatamente dopo il periodo di tirocinio fissato dalla legge».

Si intende qui alludere alla legge sull’ordinamento giudiziario.

AMBROSINI, al posto delle parole «inamovibili immediatamente dopo il periodo di tirocinio» metterebbe le altre «inamovibili dopo il tirocinio».

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone di aggiungere alla fine dell’articolo le parole «sull’ordinamento giudiziario».

CAPPI toglierebbe le Corti disciplinari lasciando solo il Consiglio Superiore.

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo 23 che, secondo le proposte fatte, risulta così modificato:

«I magistrati di qualunque grado, sia giudicanti che del Pubblico Ministero, diventano inamovibili dopo il tirocinio. Essi non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, retrocessi, trasferiti ad altra sede o anche semplicemente destinati ad altre funzioni se non col loro consenso, ovvero per deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dalla legge sull’ordinamento giudiziario».

(È approvato).

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene opportuno trattare ora l’argomento della nomina dei capi delle Corti giudiziarie, data l’importanza che esso riveste.

CALAMANDREI, Relatore, riconosce il particolare significato della questione sollevata dall’onorevole Leone e su di esso richiama l’attenzione.

È qui in giuoco l’indipendenza dei giudici, non come corpo di fronte agli altri poteri dello Stato, ma come individui nei riguardi delle possibili ingerenze da parte di qualsiasi superiore. Indubbiamente il modo come sono scelti i capi degli uffici direttivi delle Corti può influire sull’indipendenza del magistrato; sarebbe perciò auspicabile introdurre una profonda rinnovazione, richiesta dalla stessa Magistratura, e cioè il principio della eleggibilità. I presidenti delle Corti di appello dovrebbero essere eletti, o quanto meno designati, dai magistrati del distretto e questo principio, so accolto, dovrebbe essere sancito nella Costituzione.

Pone quindi il problema delle funzioni del Procuratore Generale Commissario della giustizia, e si domanda a chi affidare l’azione disciplinare contro i magistrati, dato che l’articolo 19 del suo progetto, che considerava la figura del Commissario della giustizia, non è stato approvato. Pensa che tale competenza possa essere attribuita al Ministro della giustizia, il quale avrebbe solo il potere di iniziare l’azione disciplinare denunziando i magistrati –alle Corti disciplinari o al Consiglio Superiore della Magistratura.

CASTIGLIA, Relatore, obietta che il Ministro della giustizia, facendo parte del Consiglio Superiore della Magistratura, non può essere il promotore dell’azione disciplinare. A suo avviso una tale azione potrebbe essere svolta dal Procuratore Generale della Cassazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, è contrario al principio elettivo dei capi delle Corti, perché, se da una parte salvaguarda l’indipendenza della Magistratura, d’altro canto darebbe luogo a molti inconvenienti nell’ambito stesso della Magistratura. Sarebbe dell’avviso di far nominare i capi delle Corti periferiche dal Consiglio Superiore della Magistratura, demandando la nomina dei capi della Corte Suprema (Primo Presidente e Procuratore generale) al Capo dello Stato, su designazione o del Consiglio dei Ministri, o del potere legislativo (Assemblea Nazionale), su una terna di nomi compresi in determinate categorie, previste dalla legge sull’ordinamento giudiziario, per evitare il pericolo di nomine dall’esterno.

Per quanto riguarda il problema di un possibile intervento del Ministro della giustizia come organo di attivazione dei provvedimenti disciplinari, osserva che la materia è delicatissima. Non può il Ministro della giustizia esercitare tale azione, data la sua veste di Vicepresidente del Consiglio Superiore, in quanto sarebbe giudice e parte contemporaneamente; né d’altro canto si può affidare l’incarico al Pubblico Ministero, dopo che si è stabilito che questi è un organo del potere giudiziario. Si affaccia quindi la necessità di trovare un organo al di fuori del potere giudiziario, anche per evitare il pericolo che ad un’certo momento il Pubblico Ministero, per un senso di solidarietà verso tutto il corpo della Magistratura, non ritenga di dover procedere contro un suo collega.

A suo avviso, togliendo al Ministro la Vicepresidenza del Consiglio Superiore, gli si potrebbe affidare questa alta funzione di vigilanza e di promozione di tutte le misure atte a far funzionare la Magistratura.

Ma se non si trova un altro organo, si dia agli altri poteri dello Stato la possibilità di chiedere l’inizio di un procedimento penale a carico dei magistrati.

LACONI ritiene che l’onorevole Leone abbia segnalato solo un aspetto dell’incongruenza, la quale si manifesta non soltanto per il Ministro, ma per tutti gli organi dello Stato. Anche sull’operato dei singoli membri del Consiglio Superiore potrebbe manifestarsi la necessità di un’azione disciplinare, e la miglior garanzia sarebbe il distacco della Suprema Corte disciplinare dal Consiglio Superiore: mantenendo gli organi distinti, si renderebbe possibile un controllo vicendevole.

AMBROSINI ritiene doveroso insistere sulla questione pregiudiziale da lui già sollevata. La materia in discussione è di importanza indubbiamente fondamentale, ma non deve essere trattata nella Costituzione, bensì demandala alla sede più specifica, alla legge cioè sull’ordinamento giudiziario.

MANNIRONI crede che occorrerebbe far cenno nella Costituzione della eleggibilità dei capi e rimandare il resto alla legge sull’ordinamento giudiziario.

AMBROSINI spiega che la sua pregiudiziale vale per tutti i problemi venuti in discussione. Ripete che tutta questa materia, che è d’importanza fondamentale e che interferisce sulla struttura e sul funzionamento dell’ordine giudiziario, dovrebbe essere rimandata alla legge sull’ordinamento giudiziario.

Ha notato spesso una diffidenza pregiudiziale verso il legislatore ordinario, come se esso potesse commettere continuamente degli arbitri; ma questa diffidenza gli sembra del tutto ingiustificata.

PRESIDENTE avverte che si passerà alla votazione sulla questione pregiudiziale sollevala dall’onorevole Ambrosini, che non si debba cioè discutere della eleggibilità dei capi della Magistratura Superiore, né del procedimento disciplinare, ma che il tutto debba essere deferito alla legge sull’ordinamento giudiziario.

MANNIRONI propone che la pregiudiziale sia votata per divisione.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte della pregiudiziale, che non si debba cioè parlare della eleggibilità dei capi della Magistratura Superiore.

CALAMANDREI, Relatore, dichiara di votare contro, perché ritiene che la questione della eleggibilità sia un problema di grande importanza.

(È approvata).

PRESIDENTE mette ai voti la seconda parte, cioè che non si debba parlare del procedimento disciplinare.

(È approvata).

TARGETTI dichiara che, se fosse stato presente, avrebbe votato contro l’articolo 23, perché avrebbe dovuto fare delle riserve sulla posizione e figura del Pubblico Ministero.

DI GIOVANNI esprime lo stesso avviso.

PRESIDENTE mette in discussione l’articolo 20 del progetto Calamandrei:

«Nomina dei magistrati. – La nomina dei magistrati è fatta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da un periodo di tirocinio. I requisiti per essere ammessi al concorso sono determinati dalla legge sull’ordinamento giudiziario; possono esservi ammesse anche le donne.

«Qualora per certi uffici della Magistratura sia necessaria una preparazione approfondita su determinate materie, possono essere banditi concorsi per l’ammissione a questi uffici tra candidati forniti di speciali titoli scientifici o professionali, o provenienti da altri uffici pubblici.

«L’apertura dei concorsi, la nomina delle Commissioni giudicatrici, la proclamazione dei vincitori, e tutti i provvedimenti relativi all’ammissione di essi al tirocinio ed alle ulteriori prove che essi devono superare secondo la legge per essere nominati giudici, sono del pari di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura.

«Lo stesso Consiglio Superiore potrà, in considerazione di meriti insigni, proporre in via eccezionale la nomina senza concorso al grado di consiglieri di Cassazione di avvocati esercenti almeno da venti anni o di professori ordinari di materie giuridiche nelle università.

«I magistrati sono nominati a vita, salvi i limiti di età stabiliti dalla legge.

«Nei casi stabiliti dalla legge, privati cittadini potranno essere chiamati ad assumere temporaneamente attività giudiziarie, per integrare, come assessori esperti, la funzione dei magistrati.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura potrà, con le modalità fissate dalla legge sull’ordinamento giudiziario, disporre la nomina di magistrati onorari per tutte quelle funzioni giudiziarie che la legge attribuisce alla competenza dei giudici singoli».

DI GIOVANNI ritiene che il primo comma tratti materia di pertinenza della legge sull’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE fa rilevare che nell’articolo si contengono tre proposte di notevole importanza: l’ammissione delle donne nella Magistratura; l’ammissione di giuristi che, abbiano meriti insigni e la nomina di magistrati onorari.

AMBROSINI ritiene che l’unico punto che potrebbe discutersi; e che è bene considerare nella Costituzione, sia quello della ammissione delle donne nella, carriera giudiziaria. Per tutto il resto risorgerebbe la sua pregiudiziale, di rinviare alla legge sull’ordinamento giudiziario.

LEONE GIOVANNI, Relatore, non è d’accordo con l’onorevole Ambrosini. Non solo il problema dell’ammissione delle donne, ma anche quello relativo al modo con cui si entra nella Magistratura dovrebbe essere risolto in questa sede. Su questo punto si è molto discusso da parte delle associazioni di magistrati e da parte di uomini politici. Uno dei problemi fondamentali posti da alcune tendenze politiche è appunto quella della elettività dei giudici, ed anche su questo occorre che la Costituzione stabilisca le direttive.

PRESIDENTE legge, a questo proposito, l’articolo 2 proposto dall’onorevole Leone: «L’ammissione alle funzioni giudiziarie si consegue mediante concorso»,

LEONE GIOVANNI, Relatore, è contrario al sistema seguito in altre Costituzioni, che hanno dedicato pochi articoli al potere giudiziario. Nel Paese vi è grande aspettativa: esso vuol sapere se le donne possono essere ammesse o no nella Magistratura, vuol sapere come si eleggono i capi delle Corti, e questa è materia tipicamente costituzionale.

Il potere giudiziario deve essere, per il suo prestigio e per la sua funzione, riguardato con la massima larghezza nella Costituzione. Del resto, i problemi concernenti la Regione e gli altri poteri dello Stato sono stati trattati dettagliatamente e altrettanto pensa che si debba fare per le questioni in discussione.

AMBROSINI riconosce che i due punti che possono sollevare discussioni e contrasti, nonché aspettative, sono quello della ammissione delle donne e quello dell’eventuale elettività dei Capi dell’ordine giudiziario.

Su questo secondo punto la Commissione ha già espresso il suo volo, ma, in considerazione delle osservazioni che sono state riproposte e anche per l’assenza di parecchi colleghi durante la discussione, sarebbe favorevole a che la questione fosse ripresa in esame.

TARGETTI osserva che, o si rispetta il principio dell’intangibilità delle decisioni prese o, se si ammette che si possa tornare sopra questa questione, a maggior ragione si dovrebbe ritornare sopra quella del Pubblico Ministero.

DI GIOVANNI è del parere che non si possa trattare dei concorsi per l’ammissione nella Magistratura, senza ritornare sulla deliberazione già presa, perché avere esaminato e deciso su questo punto e taciuto sull’altro potrebbe prestarsi ad interpretazioni erronee.

TARGETTI è dell’opinione di limitare la discussione alla questione della ammissione delle donne nella Magistratura.

AMBROSINI propone che l’argomento della elettività o meno dei Capi dell’ordine giudiziario, sul quale aveva proposto la pregiudiziale, venga ripreso in esame insieme a quello dell’ammissione delle donne nell’ordinamento giudiziario.

CALAMANDREI, Relatore, è favorevole che le donne possano essere ammesse negli uffici giurisdizionali, perché esse hanno dato ottima prova in tanti altri uffici in cui occorrono doti di raziocinio, di equilibrio e di spirito logico pari a quelle che occorrono nella giurisdizione.

Si è obiettato che le facoltà psicologiche della donna sono soggette a periodiche variazioni che potrebbero portare ad una discontinuità dei giudizi; ma egli ritiene che in certi giudizi, come quelli di separazione coniugale, l’intervento della donna sia utilissimo per raggiungere un maggior equilibrio di giudizio. È quindi favorevole all’ammissione delle donne con qualche limitazione, per certe materie della giurisdizione penale.

Le chiamerebbe, però, a far parte della giuria nei giudizi di Assise c del Tribunale per i minorenni e in tutte le questioni di giurisdizione volontaria e in quelle familiari.

AMBROSINI è d’accordo con l’onorevole Calamandrei e lo invita di precisare i suoi concetti in una formula concreta.

CAPPI crede che le donne dovrebbero poter essere inserite e utilizzate in determinati giudizi, senza che avessero la possibilità di accedere alla carriera giudiziaria e diventare magistrali.

DI GIOVANNI pensa che le donne, anche per le condizioni della vita pubblica e sociale odierna, abbiano raggiunto un tale grado di maturità che precludere loro l’ingresso nella carriera giudiziaria significherebbe far loro un torto. Esse ormai partecipano a tutti gli uffici, fanno parte dell’Assemblea Costituente e non possono essere escluse dagli uffici giudiziari. Trova quindi opportuno affermare il principio, salvo poi a stabilire le modalità di dettaglio della partecipazione delle donne alla carriera giudiziaria nella legge sull’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE richiama l’attenzione dei colleghi sull’articolo 3 del progetto Leone, nel quale si stabilisce che per i concorsi o, comunque, per le ammissioni in genere, non si richiedono che capacità tecniche e morali, allo scopo di escludere qualsiasi incapacità razziale o di altro genere.

CALAMANDREI, Relatore, propone di ridurre l’articolo 20 a soli tre commi: uno sulla nomina, che di regola avviene per concorso; l’altro sulla ammissione delle donne; il terzo sull’ammissibilità di giuristi insigni.

UBERTI non è favorevole all’ammissione delle donne, La donna deve conquistare gradualmente la sua posizione. Si è accennato a porre dei limiti, ma non gli sembra ammissibile, nell’attuale carenza di magistrati, che la donna possa, ricoprire qualsiasi carica nell’ordine giudiziario. Anche in un giudizio di carattere matrimoniale avrebbe dei dubbi sulla completezza della, sua decisione.

TARGETTI dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Calamandrei e vorrebbe che non ci fosse nessuna limitazione di funzioni. Non è cosa semplice portare ragioni contro l’ammissione della donna nella Magistratura e nella discussione che è stata fatta non gli sembra che sia stato portato alcun argomento persuasivo.

Il fatto che nessuna ragione fisiologica, nessuna presunta incapacità abbia impedito alla donna di essere nominata membro della Costituente e, in altri Paesi, di far parte del Governo o della Diplomazia, dimostra che non si può seriamente sostenere la sua incapacità a. far parte della Magistratura.

Piuttosto pensa che qualche preoccupazione possa nutrirsi circa la. serenità del suo giudizio nei giudizi su delitti passionali ed anche in quelli di separazione ai quali l’onorevole Calamandrei vorrebbe di preferenza farla partecipare; perché in moltissimi casi, senza una ragione logica, si son viste le donne infatuarsi a favore dell’uomo contro una donna. Ma la perfezione del giudice non si trova sempre nemmeno nell’uomo giudice.

Se v’è in molti, una qualche diffidenza, una certa contrarietà a vedere la donna con la toga, ritiene che ciò dipenda più che altro da pregiudizi, da misoneismo superstite.

La stessa contrarietà si era manifestata all’inizio del movimento per l’emancipazione della donna, per la richiesta del voto; ma poiché questo pregiudizio è stato vinto e nessuno ormai mette in discussione la parità assoluta dei diritti della donna è dell’uomo, non si può oggi affermare che la donna non deve essere ammessa nella Magistratura. Se si vedono donne coprire degnamente cattedre universitarie, anche in facoltà di medicina e matematica, si chiede come si possa sostenere che essa ha un incapacità costituzionale a diventare giudice o consigliere di Cassazione.

Ripete quindi di essere favorevole alla proposta Calamandrei senza alcuna indicazione di specifiche né generiche limitazioni.

CAPPI fa considerare che nella coscienza pubblica oggi non v’è la convinzione che le donne possano essere ammesse all’esercizio delle funzioni di giudice. Si è detto che le donne oggi sono eleggibili ed elettrici, ed è questa una conseguenza delle sofferenze, delle dure prove che esse hanno sopportato durante la guerra; ma cosa ben diversa è la funzione giudiziaria.

La ragione della diffidenza diffusa nella maggioranza di fronte ad una donna giudicante sta nella prevalenza che nelle donne ha il sentimento sul raziocinio, mentre nella risoluzione delle controversie deve prevalere il raziocinio sul sentimento. Perciò si dichiara contrario all’ammissione delle donne nella Magistratura.

MANNIRONI dichiara che, per ragioni di principio, è del parere che i diritti delle donne debbano essere in tutto pari a quelli dell’uomo: però fa qualche riserva. A suo avviso; nella sua costituzione psichica la donna non ha le attitudini per far bene il magistrato, come dimostra l’esperienza pratica in un campo affine, cioè nella professione dell’avvocato. Tutti avranno notato quale scarsa tendenza e adattabilità abbia la donna per questa professione perché le manca, proprio per costituzione, quel potere di sintesi e di equilibrio assoluto che è necessario per sottrarsi agli stati emotivi.

Pensa che si possa consentire alle donne di partecipare a limitate e determinate forme di giudizio nelle sezioni specializzate, ma ritiene non si possa generalizzare fino al punto da consentire loro il libero accesso alla Magistratura. Né potrebbe essere un limite sufficiente l’esame di concorso, anche se severo, perché le donne studiano e possono prepararsi al pari dell’uomo. Ma la garanzia necessaria non è offerta soltanto dalla semplice conoscenza delle materie giuridiche che formano oggetto dell’esame. Il buon giudice non è quello che soltanto conosca bene il diritto; gli occorrono altri requisii che potrebbero chiamarsi naturali (temperamento, forza d’animo, fermezza di carattere, capaci là di sintesi, ecc.) e la cui deficienza non si colma col semplice studio. Rileva infine che neppure le stesse donne rivendicano per sé il diritto ad essere ammesse nella Magistratura. Il problema quindi non è attuale.

CALAMANDREI, Relatore, fa osservare che v’è il periodo di tirocinio.

MANNIRONI non crede che in quel periodo di tre anni si possa valutare a pieno la capacità di una donna.

Concludendo, propone il seguente emendamento:

«Alle sezioni speciali della Magistratura ordinaria possono essere chiamate a partecipare anche le donne nei casi stabiliti dalla legge».

FARINI dichiara di concordare con l’onorevole Targetti, e si meraviglia della resistenza, specialmente da parte degli appartenenti alla democrazia cristiana, alla ammissione delle donne nella Magistratura.

Se si vuol dare al Paese una Costituzione veramente democratica, occorre fornire alla Magistratura la base più larga possibile e non si deve impedire a più della metà della popolazione italiana di partecipare a questa funzione.

La donna ha già acquisito dei diritti in tutti i campi e ha dimostrato durante la guerra e nel dopo guerra capacità politiche e morali tali da poter assumere qualsiasi funzione nello Stato. Nessun dubbio che possa essere anche ottimo magistrato.

CALAMANDREI, Relatore, chiede che sia messa in votazione la sua proposta senza limitazioni. Le limitazioni potrebbero essere stabilite in seguito dalla legge sull’ordinamento giudiziario. Propone quindi la seguente formulazione:

«La nomina dei magistrati è fatta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da un periodo di tirocinio. I requisiti per essere ammessi al concorso sono determinati dalla legge sull’ordinamento giudiziario: possono esservi ammesse anche le donne».

LACONI preferirebbe una formula che sancisse il principio del libero accesso delle donne alla Magistratura. È vero che le donne possono, per temperamento o per tradizione, essere meno tagliate degli uomini a ricoprire l’ufficio di giudice, ma questo influirà sulla libera scelta individuale, come influisce per gli uomini. Invece, come affermazione di diritto, tutti i cittadini, e quindi anche le donne, devono avere la possibilità di accedere a qualsiasi carriera.

CAPPI domanda se il principio deve valere anche per l’esercito.

LACONI risponde affermativamente e ricorda che le donne hanno fatto parte in guerra di formazioni partigiane.

AMBROSINI propone l’aggiunta: «nei casi stabiliti dalla legge».

LACONI teme che con tale aggiunta sia possibile introdurre una disposizione illogica per cui alla donna sarebbe consentito l’accesso a determinati gradi della Magistratura e non ad altri.

Si può sostenere, con l’onorevole Mannironi, che le donne non possano accedere alla Magistratura; ma, ammesso che possano accedervi, sarebbe assurdo limitare questo accesso a determinati gradi.

TARGETTI spiega che, in vista della ipotesi che, dopo l’affermazione del principio generale, il potere legislativo limiti il diritto delle donne, l’onorevole Laconi vorrebbe fosse trovata una formula per la quale la limitazione sarebbe possibile solo con la riforma della Costituzione.

CALAMANDREI, Relatore, propone la formula: «possono esservi ammesse, con parità di diritti, anche le donne».

PRESIDENTE rammenta che nella parte generale della Costituzione è già riconosciuta la parità dei diritti.

UBERTI, anche per rispondere ad una osservazione dell’onorevole Farini, si richiama alla necessità di attenersi alla realtà delle cose.

Evidentemente fra i due sessi esistono differenze che si esprimono in varie forme o non è possibile improvvisare una capacità, un’attitudine. È dunque bene cominciare gradualmente attraverso particolari limitazioni, per regolarsi in fu turo secondo l’esperienza acquisita.

AMBROSINI ritiene che l’accettazione della sua aggiunta faciliterebbe l’ammissione del principio e sarebbe reso così un grande servizio alla causa femminile. Ma, senza quella aggiunta, teme che il principio possa non essere ammesso.

CALAMANDREI, Relatore, propone il seguente emendamento:

«Possono esservi ammesse anche le donne, nei limiti e per le materie stabilite dall’ordinamento giudiziario».

TARGETTI chiede che si voti prima la norma generale; quella che afferma il diritto senza limitazioni.

PRESIDENTE mette ai voti il principio generale, cioè: «Possono, esservi ammesse anche le donne».

(È approvato).

CAPPI, anche a nome dei colleghi Mannironi, Uberti, Castiglia, Leone e Ambrosini, dichiara, e chiede che sia inserito a verbale, che sarebbero stati disposti a votare favorevolmente, se si fosse aggiunta la seconda parte dell’emendamento: «nei limiti e per le materie stabilite dalla legge sull’ordinamento giudiziario».

PRESIDENTE pone in votazione il primo comma dell’articolo 20 senza l’aggiunta proposta dall’onorevole Calamandrei, essendo stato approvato il principio generale.

(È approvato).

Mette in discussione il seguente comma:

«Lo stesso Consiglio Superiore potrà, in considerazione di meriti insigni, proporre in via eccezionale la nomina senza concorso al grado di consiglieri di Cassazione di avvocati esercenti da almeno 20 anni e di professori ordinari di materie giuridiche nelle Università».

MANNIRONI ritiene troppo elevato il limite di 20 anni.

RAVAGNAN non porrebbe alcuna limitazione; è sufficiente il riconoscimento dei meriti insigni.

CALAMANDREI, Relatore, ricorda che, per un articolo della legge Casati, possono essere nominati professori, senza concorso, persone di chiara fama. Questa disposizione ha reso possibile, specialmente nel periodo fascista, non pochi abusi.

AMBROSINI prospetta i pericoli di una formulazione troppo ampia e ritiene che occorra fermarsi al testo del relatore, magari riducendo il limite di 20 anni a 15.

PRESIDENTE, non facendosi altre osservazioni, pone ai voti il secondo comma con la riduzione del limite da 20 a 15 anni.

(È approvato).

Avverte che si dovrebbe mettere in discussione l’articolo riguardante i giudici popolari.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone la sospensiva, in quanto alla riapertura della Assemblea Costituente si dovrà discutere la legge sulle Corti d’assise. È chiaro quindi che l’orientamento che scaturirà da tale discussione dovrà poi informare anche il testo costituzionale per questo particolare argomento.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 12.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Conti, Di Giovanni, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Assenti: Bozzi, Bulloni, Porzio.