Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

ADUNANZA PLENARIA

8.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RUINI

INDICE

Sulle direttive di massima per la redazione del progetto di Costituzione

Presidente – Caristia – La Pira – Lussu – Calamandrei – Togliatti – Colitto – Mortati – Dossetti – Cappi – Grassi – Targetti – Ghidini – Perassi – Terracini – Fabbri – Conti – Cevolotto.

La seduta comincia alle 17.15.

Sulle direttive di massima per la redazione del progetto di Costituzione.

PRESIDENTE avverte che è stato predisposto il seguente schema sommario della Costituzione, che potrà servire come guida alla discussione.

PREAMBOLO

Parte I

Disposizioni generali.

Parte II

DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

Titolo I. – Rapporti civili:

  1. a) eguaglianza;
  2. b) inviolabilità della persona, del domicilio, della corrispondenza;
  3. c) libertà di circolazione, residenza, emigrazione, ecc.;
  4. d) libertà di riunione e di associazione;
  5. e) libertà di opinione e di stampa.

Titolo II. – Rapporti etico-sociali:

  1. a) diritti e doveri della famiglia;
  2. b) diritti e doveri di istruzione;
  3. c) libertà di credenza e di culto; rapporti con la Chiesa cattolica.

Titolo III. – Rapporti politici:

1°):

  1. a) diritto di voto;
  2. b) di referendum;
  3. c) di iniziativa legislativa;
  4. d) di petizione.

2°) Diritto di accesso a funzioni ed uffici pubblici.

Titolo IV. – Rapporti economici:

1°) Lavoro:

  1. a) diritti e doveri del lavoro;
  2. b) diritti ad una retribuzione adeguata;
  3. c) diritti particolari alle donne lavoratrici;
  4. d) diritto al riposo ed alle ferie;
  5. e) diritto all’assistenza ed alla previdenza;
  6. f) diritto di partecipare alla gestione;
  7. g) diritto di organizzazione sindacale;
  8. h) diritto di sciopero.

2°) Proprietà ed imprese:

  1. a) coesistenza di attività economiche pubbliche o private; loro coordinamento a fini sociali;
  2. b) proprietà privata; finalità e disciplina;
  3. c) imprese cooperative;
  4. d) imprese pubbliche;
  5. e) proprietà fondiaria;
  6. f) risparmio e credito.

Parte III

ORGANIZZAZIONE COSTITUZIONALE DELLA REPUBBLICA

Titolo I. – Struttura della Repubblica ed autonomie locali:

Cap. 1. – La Regione.

Cap. 2. – Il Comune.

Titolo IL – Parlamento:

Cap. 1. – Prima Camera;

Cap. 2. – Seconda Camera;

Cap. 3. – Disposizioni comuni alle due Camere;

Cap. 4. – Formazione delle leggi.

Titolo III. – Il Capo dello Stato (Presidente della Repubblica).

Titolo IV. – II Governo.

Titolo V. – La Giurisdizione.

Titolo VI. – Alta Corte di garanzia costituzionale.

Titolo VII. – Revisione della Costituzione.

Parte IV

DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

Avverte anche che l’onorevole Calamandrei ha proposto che le materie della nuova Costituzione siano distribuite secondo il seguente schema:

Preambolo.

Capo 1o. – Definizione della forma dello Stato – Emblemi nazionali – Relazioni internazionali.

Capo 2°. – I diritti individuali:

Sezione 1a. – Diritti civili e politici;

Sezione 2a. – Diritti sociali.

Capo 3°. – Poteri ed organi centrali:

Sezione 1a. – Il Capo dello Stato;

Sezione 2a. – Potere e organi legislativi;

Sezione 3a. – Potere ed organi esecutivi.

Capo 4°. – Poteri e organi locali:

Sezione 1a. – L’autonomia regionale.

Sezione 2a. – I Comuni.

Capo 5°. – Potere e organi giudiziari.

Capo 6°. – Garanzie dei diritti – La Suprema Corte Costituzionale.

Capo 7°. – Modificazioni della Costituzione.

Disposizioni complementari e transitorie.

Questo schema sostanzialmente coincide con quello all’ufficio di Presidenza. Se nessuno farà osservazioni al riguardo, s’intenderà in via di massima approvato.

Comunica poi che l’onorevole Calamandrei ha presentato il seguente ordine del giorno:

«La Commissione per la Costituzione;

a conferma e integrazione dell’ordine del giorno approvato nella seduta del 25 ottobre;

mentre si dichiara convinta che nel testo della Costituzione, come suprema legge della Repubblica, debbano trovare posto non proclamazioni di idealità etico-politica, ma soltanto norme giuridiche aventi efficacia pratica, che siano fondamento immediato di poteri e di organi, a garanzia di diritti concretamente sanzionati;

riconosce opportuno che, come speciale categoria dei diritti, trovi posto tra gli articoli della Costituzione la enunciazione di quelle essenziali esigenze individuali e collettive, nel campo economico e sociale che, anche se non raggiungono oggi la maturità di diritti perfetti e attuali, si prestano, per la loro concretezza, a diventare veri diritti sanzionati con leggi, impegnando in tal senso il legislatore futuro;

ritiene invece che, per ogni altra enunciazione generale di finalità etico-politiche di cui si ritenga opportuno far cenno nella Costituzione, esigenze di chiarezza e di tecnica impongano di non confonderle con le vere norme giuridiche e di riservarle ad un sobrio e sintetico preambolo».

CARISTIA chiede venia se il suo discorso non sarà brevissimo, come vorrebbe, per due motivi: in primo luogo perché la sua condizione di studioso gli impone un maggior senso di responsabilità; in secondo luogo perché si è trovato più volte, con sua grande amarezza, in un dissenso vivo e reciso con alcuni colleghi della prima Sottocommissione, per i quali ha grandissima stima. Afferma che in verità siamo tutti, più o meno dominati, in questo momento, da due forti preoccupazioni: quella di assicurare al cittadino un’ampia sfera di libertà custodita da garanzie, che valgano, in ogni caso, a difenderla contro ogni attacco legale o extralegale; l’altra di determinare i principî essenziali e fondamentali, che dovranno operare una trasformazione dei rapporti economici, imposta dalle esigenze di una più alta giustizia sociale. E siamo ancora tutti, o quasi tutti, sotto l’influsso delle Costituzioni pubblicate dopo la prima guerra mondiale, specialmente di una, che fu il frutto dello sforzo comune dei più autentici rappresentanti della pubblicistica tedesca; la più dotta, la più completa, la più aderente al clima ultrademocratico creato dalla sconfitta, ma che ebbe, ahimè!, brevissima vita: la Costituzione di Weimar.

La prima delle nostre preoccupazioni è più degna di nota, non perché eccella in ordine d’importanza, ma perché più e meglio può venir sodisfatta dalla formulazione di vere e proprie norme giuridiche. Si tratta in realtà delle classiche libertà che lo Statuto albertino, al pari delle altre Carte del tempo, ha opportunamente riconosciuto e garantito; e si tratta di norme giuridiche, perché accompagnate da apposita tutela. Si è detto, più di una volta e con tono alquanto dispregiativo, che siffatte libertà rappresentano il soddisfacimento di aspirazioni affacciate dalla borghesia del tempo; e ciò potrà esser vero in un certo senso, ma è anche vero che di esse ha goduto tutto il popolo e di esse si sono giovate anche quelle classi, che, nelle rigide teorizzazioni di certi maestri, sarebbero rimaste estranee o insoddisfatte. Comunque una cosa è certa: che senza l’attuazione o l’effettivo riconoscimento di siffatte libertà riesce impossibile l’esistenza di ordinamenti politici liberi e democratici. E appunto per questo siamo estremamente preoccupati di erigere salde barriere contro ogni velleità di ritorno a esperimenti fascisti o totalitari; ed a questo criterio sono ispirati gli articoli, che sulla materia ha votato la prima Sottocommissione.

La libertà è, difatti, nel consorzio civile, il sommo bene, quello per cui la vita dei singoli e delle comunità si rende degna d’essere vissuta. Ma sarebbe grossa ingenuità credere che la libertà sia convenientemente tutelata e posta al riparo da ogni tentativo di vanificarla o di sopprimerla, quando abbia ricevuto una sapiente codificazione nell’ordinamento giuridico. Il diritto, quello positivo, non ha valore in sé, ma in quanto si traduce in atto; e sarebbe facile addurre molti esempi, in cui la libertà sapientemente codificata si è presto dileguata, come la nebbia, al vento della reazione. Perché la libertà ha la sua massima tutela non nelle formulazioni, più o meno rigide della Costituzione, che pur si rendono necessarie, ma nella pubblica opinione, nella coscienza politica del popolo, che ne gode; e tanto più sarà forte e durevole, quanto più il popolo sarà convinto ch’essa rappresenta il massimo bene, quello che non può venir sacrificato a nessun altro. Non per nulla e non a caso essa si è venuta affermando e attuando felicemente in quei Paesi, che sono e furono retti da una Costituzione dalle linee molto modeste, che potremmo dire scheletriche, mentre ha vissuto una vita grama e fortunosa in certi altri che hanno goduto del possesso vistoso di costituzioni ricche di norme minute e sapientemente congegnate.

L’altra preoccupazione è d’indole sociale o economica; ed è naturale che non possiamo accontentarci della vecchia Carta largita da re Carlo Alberto, quantunque essa, sia detto a onor del vero, sia valsa per oltre mezzo secolo a instaurare un regime di libertà; e avrebbe certo continuato a svolgersi in senso democratico, se la violenza, vilmente tollerata, dell’esperimento fascista non avesse interrotto questo svolgimento. L’ambiente è mutato, e con l’ambiente è mutato il clima storico in cui si affacciano nuove aspirazioni, nuove situazioni, nuovi propositi di rinnovamento presso che radicale. Già gli eventi, che caratterizzarono il corso, le fasi e il termine nella penultima guerra, avevano notevolmente contribuito ad avviare e, in parte, ad attuare questi propositi di rinnovamento, che il conflitto recentissimo sembra abbia, in gran parte, maturato.

Un nuovo ideale di giustizia guida le nostre menti, una nuova o rinnovata concezione dei compiti dello Stato si è diffusa e si va diffondendo, una fede operosa nell’assetto economico-sociale di domani nutre la vita e le opere dell’odierna classe politica. Forse noi siamo vittima della stessa illusione, di cui l’umanità si è spesso cibata nei periodi di crisi più profonda – basti ricordare quella dell’illuminismo francese – forse il nostro profondo desiderio di una società più giusta, moralmente e materialmente migliore c’induce ad accelerare eccessivamente il corso della storia: ma è indubbio che un nuovo ideale di giustizia, che non ha lo stesso contenuto, ma che, per ventura coincide in massima parte, ci guida, c’incalza, ci sospinge direi con una certa impazienza ed ansietà.

Questo ideale ha un largo riflesso e vorrebbe trovare uno sbocco nella nuova Costituzione, come poté trovarlo, non dirò sino a qual punto e con quale efficacia, nelle Costituzioni che seguirono la penultima guerra mondiale.

Si tratta, dunque, di costringere tra le anguste maglie della norma giuridica disegni, aspirazioni, propositi, o paradigmi di un ordine futuro; atteggiamenti dello spirito di varia origine e di diverso colorito, che premono, ordinatamente o disordinatamente, per aprirsi un varco e riuscire a penetrare nel sacrario della legge costituzionale. Dice legge, e di proposito; giacché anche la Costituzione è una legge nel significato più alto dell’espressione, anzi la legge delle leggi. E appunto per questo, non potrà essere un massimario, una raccolta di dichiarazioni programmatiche, un prontuario di definizioni o delucidazioni, che, oltre a riuscire ingombranti, superano i modesti limiti della sfera giuridica. Essa dovrà avere un contenuto strettamente o prevalentemente imperativo. Non potranno esser evitati o eliminati, sia pure in termini sobri e contenuti, dichiarazioni o massime aventi una portata, più che giuridica, di natura etico-politica; ma ciò dovrà accadere in proporzione e in misura che il contenuto normativo abbia sempre una forte preponderanza. E ciò per due motivi: uno intrinseco e l’altro di opportunità.

Per il primo si ha il dovere di apprestare una Costituzione che sia veramente legge, nel senso in cui questo termine è inteso dalla comune giurisprudenza, e che abbia, quindi, carattere prevalentemente normativo. Quelli che, al pari dell’oratore, hanno, a cagione del loro ufficio, maggiori contatti coi documenti legislativi d’oggi e di ieri, capiranno e consentiranno più agevolmente che nel campo del diritto hanno pratica attuazione quelle norme, che, in un modo o nell’altro, vengano accompagnate da sanzione. Per il secondo motivo sarà lecito osservare che ogni Costituzione, specie quelle a tipo democratico o repubblicano, oltre al contenuto prevalentemente normativo, ha un senso e un valore didascalico o pedagogico. Dovrà, quindi, evitare l’enunciazione di formule vaghe e indeterminate, dubbie o equivoche, atte a generare nella mente di chi legge confusioni o incomprensioni, che potranno eliminarsi del tutto solo quando le norme della Costituzione saranno redatte in forma semplice, nitida e precisa, solo quando sarà evitata ogni superfluità e ridondanza. A noi incombe soprattutto e innanzi tutto l’obbligo di non deludere le aspettative, di non promettere – anche quando ciò possa farsi in seno alla nuova Costituzione – ciò che non si potrà mantenere in un prossimo futuro. Il popolo italiano ha ragione di essere stanco di promesse che non vennero o non potrebbero esser mantenute. La Costituzione non è il vangelo di un nuovo mondo. Essa codifica modestamente le aspirazioni del presente.

Solo la sapienza lungimirante del Capo sapeva preparare – ed è ormai a tutti noto con quanto successo – piani che avrebbero trovato la loro attuazione nello spazio di uno o mezzo secolo. La Costituzione provvede all’immediato domani, quantunque debba svolgersi in armonia con le nuove tendenze e co’ nuovi bisogni che vengono manifestandosi in seno alla collettività.

Le Costituzioni nascono, vivono e invecchiano come tutte le altre forme del diritto; ma muoiono e deperiscono facilmente, allorché nascono con una membratura precoce o eccessivamente sviluppata. La qual cosa potrebbe accadere anche della nostra, se si perdesse interamente di vista il nostro modesto obiettivo e si volessero forzare gli eventi, introducendovi ciò che sa d’inopportuno o pericoloso per la stessa esistenza della Repubblica.

Decisamente, le Costituzioni d’oggi, come quelle che, più di vent’anni fa, uscirono dall’immediato dopoguerra, tendono, con pari fervore, all’instaurazione di una nuova democrazia; e tutte sono, del pari, assillate da motivi economici. La nuova democrazia dovrebbe integrare o perfezionare quelle che, nel corso dei secoli, l’hanno preceduta. Ma in questo conato, tendente soprattutto a spostare il principio di eguaglianza, dal piano giuridico a quello sociale o economico, la nuova democrazia incontra ostacoli spesso insormontabili, quando essa non intenda negare i presupposti della sua stessa esistenza. Ed essa è costretta a muoversi, come il nocchiero dei mito, tra due scogli formidabili; e solca le acque, incalzata, senza tregua, dallo stesso pericolo di affondare o di approdare, molto lontana dalla rotta, e dove non avrebbe mai voluto approdare.

Da un lato essa è premuta dal bisogno di aumentare notevolmente e forse smisuratamente le funzioni dello Stato nell’intento di tutelare, quanto più è possibile, la personalità del cittadino per assicurargli un esistenza degna dell’uomo civile; e va incontro al pericolo di vedere eccessivamente ristretta la sfera della libertà individuale, quanto più si allarga il potere o l’intervento dello Stato. Dall’altro essa è premuta dal bisogno, iniziale e fondamentale in ogni forma di libero governo, di proclamare e tutelare, sempre in forma più ampia, quei diritti pubblici soggettivi ormai da gran tempo radicati nella coscienza del mondo moderno; e va incontro al pericolo di sacrificare, in tutto o in parte, quando non riesca a trovare un saggio temperamento, quelle riforme stesse che abbiano raggiunto un congruo grado di maturità.

Anche noi siamo, purtroppo, costretti a navigare per le stesse acque e nella stessa nave. E nessuno, purtroppo, può scendere se non quando abbia compiuto l’intero viaggio. E lottiamo, alla meglio, o alla men peggio, contro gli stessi pericoli. Ma la nuova democrazia non deve coltivare essa stessa i germi della dissoluzione, e non può essa stessa prepararsi, consapevole o inconsapevole, a un lento suicidio per spianare la via all’avvento di una nuova dittatura. Essa non può coprire quelli che sono i tratti fondamentali del suo volto di una maschera, che a lungo andare, finirebbe per cancellarli. Democrazia significa, oggi come ieri, governo del popolo, e governo del popolo significa, in un mondo civile, rispetto delle minoranze e controllo sull’attività di governo.

L’avvenire dirà se riusciremo a trovare quel saggio temperamento; ma la democrazia d’oggi, come quella di ieri, troverà guida ai suoi passi, in due grandi principî, l’uno d’indole morale, l’altro di natura giuridica: in osservanza del primo è necessario non formulare promesse, che difficilmente si possono mantenere, e formulare solo quelle che sicuramente e immediatamente si potranno mantenere; in osservanza del secondo occorre, senza posa, insistere sul principio dalla supremazia della legge; perché nulla, in un paese civile, è più necessario dell’obbedienza alle leggi, e nulla squalifica o esautora chi ha l’esercizio del potere tanto quanto l’esistenza di leggi, che, pur essendo opportune e sapientemente congegnate, vengano di continuo violate o inosservate.

Noi abbiamo addossato o tendiamo ad addossare allo Stato troppi compiti, con la certezza che la nuova Repubblica, costretta a lottare contro nemici aperti o segreti e contro difficoltà senza precedenti, non potrà assolvere o assolverà malamente e in guisa da porre a repentaglio la sua stessa esistenza.

Dovremo costruire o ricostruire lo Stato, stremato ed avvilito, dalla sconfitta e dalla dittatura, sopra un piano modesto, in cui tutte le forze sane del Paese, quelle che apprezzano la libertà e avvertono un bisogno di rinnovamento, possano operare con una certa concordia. Il Paese ha bisogno di tregua. E tregua significa, al caso nostro, raccoglimento. Troppe energie vanno disperse e minacciano od ostacolano lo sforzo, che il Governo, espressione della volontà popolare, dovrà compiere. La Costituzione dovrà essere un punto di concentramento che giovi, non ad esasperare, ma a placare le opposte tendenze. Ed essa assolverà tanto meglio questo compito, quanto più sarà semplice, breve e normativa; quanto più saprà tenersi lontana da formule vaghe, da dichiarazioni programmatiche, da promesse solenni; quanto più saprà evitare la dichiarazione di diritti senza garanzie, quanto più saprà resistere al disegno di piani grandiosi ed inattuabili e si deciderà ad aspettare che la legislazione di domani si svolga, seguendo i nuovi bisogni e gradatamente, innovatrice. Perché il Paese attende uno statuto, che seguendo lo spirito dei tempi, faccia almeno la buona prova e viva, almeno, se non di più, i lunghi anni che ha vissuto quello di re Carlo Alberto.

Concludendo, afferma che esistono due tipi di Costituzioni: uno come quello di Weimar che piace a molti e che all’oratore non piace; un altro, semplice e scheletrico, come la recente Costituzione della Repubblica francese. Dichiara che, nella discussione e negli emendamenti, avrà sempre di mira il principio che la Costituzione sia semplice, scheletrica e breve.

LA PIRA osserva che la Costituzione deve essere un libro e quindi deve essere costituita da capitoli organicamente collegati gli uni agli altri. Ora, effettivamente la prima Sottocommissione si è regolata proprio secondo questo principio: scrivere un certo libro, composto da determinati capitoli legati intorno ad un fine. Sono pertanto sorti tre problemi. Innanzi tutto, poiché si tratta di un libro si deve avere di mira esattamente il fine. Quale è questo fine che la Costituzione deve avere? Ci si è richiamati a Montesquieu, che dice: ogni seria Costituzione ha un oggetto che definisce. In base all’esperienza politica di questi venti anni si è visto che il tipo di Costituzione fascista, che non è stata mai scritta, ma che in ogni modo era elaborata implicitamente in tutte le disposizioni legislative, era questo: c’era un fine che era lo Stato, e quindi, si diceva: gli uomini per lo Stato. Noi abbiamo detto: questo fine è sbagliato, contraddice a tutte le tradizioni costituzionali europee, perché il fine della Costituzione deve essere la persona umana, l’uomo. Ed allora, primo punto fondamentale è quello di agganciarsi a questa esperienza politica per contraddirla ed affermare solennemente in un articolo – che ha rilievo appunto perché si riferisce a questa esperienza politica e giuridica fatta durante il ventennio – che esistono dei diritti imprescrittibili e naturali della persona umana. Il fine di questa dichiarazione è quello di dire che lo Stato deve riconoscere e tutelare questi diritti imprescrittibili della persona umana; non l’uomo per lo Stato, ma lo Stato per l’uomo. Si afferma pertanto, nel primo articolo, che i diritti che lo Stato riconosce non sono diritti riflessi, cioè concessioni dello Stato, ma sono diritti originari, quindi veri ed intrinseci diritti subiettivi.

Definito il fine, cioè il riconoscimento e la tutela dei diritti della persona umana da parte dello Stato, si pone la domanda: quali sono questi diritti della persona? Per questo verso si hanno due prospettive storiche, o meglio una prospettiva con due volti che si integrano. Una risposta alla domanda la forniscono innanzi tutto il tipo di Costituzioni che deriva dall’89 e quelle americane del tipo democrazia liberale, in cui vengono riconosciute le libertà civili e politiche della persona umana, ma non vengono riconosciuti i cosiddetti diritti sociali delle comunità che precedono lo Stato o delle quali lo Stato fa parte: le comunità interne per un verso, le comunità internazionali per l’altro verso. Si è quindi detto che non basta affermare le libertà civili e politiche, così come sono state affermate dalle Costituzioni di tipo democratico liberale, ma bisogna aggiungere questi altri diritti sociali, sia in ordine al lavoro, con tutti i diritti che vi si connettono, sia in ordine agli altri ordinamenti giuridici interni ed internazionali con i quali lo Stato viene a contatto. Si è, cioè, ravvisata la necessità di procedere alla specificazione di tutti questi diritti, oltre quelli stabiliti dalla rivoluzione del 1789, riconoscendosi che siamo in presenza di una concezione mutata rispetto a quella del 1789, perché abbiamo un concetto politico di democrazia e quindi si profila una visione organica della società che deve avere il suo riscontro nella Costituzione attuale (problema dei partiti, organizzazioni sindacali, ecc.).

Vi è poi il terzo punto: come organizzare questo quadro dei diritti. In conclusione, pur consentendo in parte alle cose interessantissime che ha dette l’onorevole Caristia, ed anche in parte alle critiche che sono state mosse al lavoro della prima Sottocommissione per qualche sovrabbondanza nel progetto, contesta che nella struttura teorica la prima Sottocommissione sia stata abbondante, perché ha seguito un criterio severamente architettonico. Pertanto, se c’è da sfrondare qualcosa lo si faccia, ma organicamente, tenendo conto che ogni articolo è la pietra di un edificio rispetto ad una concezione organica della società, dello Stato, del diritto, dell’ordinamento giuridico.

LUSSU avrebbe desiderato che l’onorevole Calamandrei avesse illustrato il suo ordine del giorno, che dichiara subito di approvare nella sua sostanza.

Non crede che il progetto presentato sia il più rispondente alla stringatezza, alla semplicità ed alla chiarezza che devono essere le caratteristiche di una Costituzione. Se non si fossero avute le rivoluzioni americana, francese e russa, molti dei principî consacrati nel testo in esame potrebbero trovarvi posto; ma ribadire oggi questi principî sembra non rispondente alle esigenze di un testo costituzionale che non deve consistere in una serie di principî teorici, sia pure solenni, ma nella consacrazione di norme legislative. La Costituzione è una legge, anzi è la legge delle leggi, e quindi ogni suo articolo deve contenere un precetto giuridico.

Molti principî affermati in questi articoli dovrebbero, pertanto, trovare la sede opportuna in un preambolo sobrio e solenne. Si tratta, in effetti, di principîi magnifici, ma che appesantiscono la Costituzione e non legano in nessuna forma il legislatore ed i poteri pubblici ad una data azione.

Quando legge, ad esempio, nell’articolo 3 che chiunque sia inabile al lavoro ha diritto ad ottenere la necessaria assistenza, pensa che tale affermazione non serve a nulla, se non ha come sostegno una legge speciale che crei istituti adatti a far sì che chiunque è inabile al lavoro non muoia di fame.

Cita, in proposito, la Costituzione russa, la quale nell’articolo 1 dice: «L’Unione delle Repubbliche socialiste è lo Stato socialista degli operai e dei contadini». Si tratta di una precisa affermazione che ha un contenuto reale, storico e politico e che è la base dell’organizzazione della Repubblica sovietica e nessuno può dire che sia pleonastica.

Anche la Costituzione spagnuola dice nell’articolo 1: «La Spagna è una Repubblica democratica di lavoratori di ogni classe, organizzata in regime di libertà e di giustizia»; ma l’affermazione getta solo polvere negli occhi e non dà alcuna garanzia giuridica.

Ora, alla Repubblica italiana bisogna dare una Costituzione formulata in modo che ad ogni articolo corrisponda un’adeguata garanzia ed una possibilità di esecuzione della garanzia stessa; altrimenti si corre il rischio di creare una specie di vangelo etico, politico e religioso, il quale può avere importanza per gli studiosi e per i mistici, ma non certamente per la società politica che vogliamo guidare.

CALAMANDREI sperava di non dover interloquire, perché riteneva che il suo ordine del giorno fosse la prosecuzione di quella discussione che sullo stesso argomento ebbe luogo in ottobre, in questa stessa aula. Allora, come si ricorderà, osservò che nella Costituzione si devono includere unicamente norme giuridiche, cioè, regole di condotta che dicano quali sono i diritti sodisfattibili oggi e quali sono le conseguenze delle violazioni di norme che vengono violate oggi. Di fronte a queste osservazioni vi fu chi disse – e soprattutto l’onorevole Togliatti – che siccome la nostra è la Costituzione non di una rivoluzione già fatta, ma di una rivoluzione pacifica e legale da fare in venti anni, era opportuno che comprendesse anche norme le quali, pur non consacrando diritti immediatamente attuabili, costituissero una specie di orientamento – e quindi sotto questo punto di vista avessero anche un carattere di impegno giuridico e politico – per il legislatore futuro. Si tratta dei così detti diritti sociali che in tante Costituzioni create dopo la prima guerra mondiale sono ormai stati accolti fra le apparenti norme giuridiche, anche se di norme giuridiche non hanno la sostanza.

Ora, il suo ordine del giorno vorrebbe appunto – venendo incontro alle osservazioni dei colleghi e specialmente a quelle dell’onorevole Togliatti – consacrare nella Costituzione questi diritti sociali, stabilendo però un’ulteriore distinzione fra quelli che, pur non essendo ancora diritti, hanno la sostanza che li rende suscettibili di diventare domani dei veri e propri diritti e altri che siano invece semplicemente dei credi religiosi, filosofici, delle finalità etiche, che possono avere anche nella vita sociale più importanza delle formulazioni giuridiche, ma che non trovano in una Costituzione, cioè in una legge, la sede meglio adatta per la loro formulazione. Chi proclama che l’anima è immortale, può trovare in tale affermazione la soluzione di tutta la sua vita intima, ma non può tradurla in articoli di legge; così se dal punto di vista filosofico si dice che il fine della vita umana è la felicità, o che la sostanza della vita umana è l’angoscia, o che il diritto nasce prima dello Stato, o lo Stato nasce prima del diritto, si fanno enunciazioni che non si possono tradurre in articoli di legge.

Ed allora, siccome può darsi che la maggioranza della Commissione ritenga che alcune di queste finalità etico-politiche siano menzionate nella Costituzione, propone che invece di formularle in articoli di legge, si includano in una parte introduttiva, la quale sia redatta in forma tale da far capire ai lettori che non si tratta di articoli di legge, ma premesse di altro ordine. Si intende che bisognerà stabilire le norme da formulare come articoli ed i principî da mettere nel preambolo.

TOGLIATTI pensa che si stia ripetendo una discussione già fatta in sede di adunanza plenaria, e che alcune volte si è ripetuta in sede di prima Sottocommissione. A suo avviso la Commissione dovrebbe attenersi all’ordine del giorno già approvato e non riaprire una discussione per arrivare a nuove conclusioni, dato che ad una determinata conclusione già si arrivò una volta, realizzando la quasi unanimità dei presenti.

Se si vuole riaprire la discussione non ha che da ripetere quanto già disse. Noi siamo effettivamente in periodo transitorio, e non scriviamo una Costituzione dopo venti anni di lavoro costruttivo, come avvenne nella Costituzione a cui si riferiva uno dei precedenti oratori, la quale registrava conquiste realizzate e consolidate attraverso un’opera costruttiva. Noi scriviamo una Costituzione la quale deve esprimere, registrare e consolidare la conquista democratica che abbiamo realizzato attraverso l’abbattimento del regime fascista, ma che in pari tempo deve attuare una trasformazione profonda di carattere economico, sociale e politico, secondo le aspirazioni della grande maggioranza della popolazione italiana. Per questo, nella Costituzione non deve essere consacrato soltanto quello che succede oggi, ma anche norme che illuminano la strada del legislatore. Si potrebbe fare questo nel proemio; ma che valore ha un proemio? Lo Statuto Albertino ebbe anche un proemio, ma oggi lo si ignora. Scritte nel proemio, le norme perdono il loro valore.

Non esclude che si possa ammettere, nella formulazione di determinati articoli, qualcosa che non è la norma giuridica stretta che reclama l’onorevole Calamandrei, ma che può essere – come egli dice – la proclamazione di una idealità oppure l’enunciazione di finalità etico-politiche. Questo sarà anche un orientamento, tanto più efficace in quanto sarà formulato in articoli e non confinato in un proemio. Ad ogni modo, non si sente di approvare l’ordine del giorno che modifica la posizione già assunta. Sarebbe, pertanto, del parere di esaminare volta per volta, a proposito di ciascun articolo, se sia il caso di sfrondarlo, oppure se si vuole mantenere una formulazione generale la quale orienti il legislatore.

COLITTO si associa all’onorevole Togliatti. Ricorda che anche un’altra volta la Commissione si è occupata della stessa cosa, e che allora egli ebbe a presentare un ordine del giorno, con il quale chiedeva appunto che le enunciazioni di carattere programmatico fossero poste non già nella Costituzione, propriamente detta, la quale è una legge che deve, come tale, contenere disposizioni di carattere normativo, ma nel preambolo. La Commissione non credette di seguire il suo avviso. Oggi si ritorna sull’argomento. Egli pensa che, se si distingue tra norme di legge ed affermazioni di natura etico-politica o affermazioni esprimenti – come si dice nell’ordine del giorno Calamandrei – esigenze individuali-collettive, non bisogna fare eccezioni. La sua attenzione è attratta dal secondo capoverso dell’ordine del giorno stesso, quello, cioè, in cui si afferma che la Costituzione dovrebbe riconoscere l’opportunità di inserire, nel testo dei suoi articoli, anche l’enunciazione di esigenze individuali e collettive nel campo economico-sociale, le quali, quand’anche non raggiungano oggi una maturità di diritti perfetti ed attuali, si prestano pur tuttavia a diventare diritti sanzionati dalla legge. Ora, a lui sembra, che non si possa far distinzione tra enunciazioni ed enunciazioni. Ove si sia di accordo nell’inserire nel testo della Costituzione soltanto disposizioni che rivestano carattere normativo, tutte le altre che, invece, non lo rivestono non possono essere poste che nel preambolo.

MORTATI potrebbe rinunziare alla parola, dato che condivide pienamente il punto di vista esposto dall’onorevole Togliatti. Ritiene tuttavia opportuno procedere a qualche precisazione in ordine alla proposta dell’onorevole Calamandrei. Deve esprimere il suo netto dissenso da questa, in primo luogo per il concetto di Costituzione da essa presupposto; in secondo luogo per la differenza di regolamentazione che vorrebbe attuare fra i principî economico-sociali e gli altri. Per quanto riguarda la Costituzione, sembra che se ne travisi l’essenza, allorché la si configura quale un insieme di norme direttamente azionabili di fronte al magistrato.

CALAMANDREI osserva che non ha detto questo.

MORTATI. La Costituzione, sia per la natura degli organi cui si dirige, sia per la relativa genericità e la elasticità delle sue statuizioni, derivanti dalla funzione che essa ha di presiedere alla vita dello Stato per lunghi periodi di tempo, è destinata a contenere piuttosto principî direttivi che non norme direttamente ed immediatamente azionabili. In ogni caso, per potere distinguere, come vorrebbe l’onorevole Calamandrei, le norme dai principî, bisognerebbe possedere un criterio distintivo, che invece manca. In realtà quelli che si chiamano principî sono anche essi normativi, se non altro perché vincolano quanti debbono applicare le leggi, sia nell’attività interpretativa, che in quella di completamento delle lacune. Inoltre, in quanto sia ammesso un controllo di costituzionalità sostanziale delle leggi, possono avere per effetto di invalidare quelle fra esse che contrastino con i principî. Così, per esempio, l’affermazione, che sia fatta nella Costituzione, di un diritto al lavoro, non riveste solo carattere teorico, ma assume anche l’efficacia pratica, se non di suscitare la pretesa alla emanazione di leggi che lo realizzino concretamente, per lo meno di abilitare all’azione diretta ad impedire l’attuazione di leggi che siano in netto contrasto con esso.

Il collocamento nel preambolo dei principî, proposto dall’onorevole Calamandrei, se fatto con l’espressa intenzione di escludere pratica efficacia normativa ai medesimi, potrebbe riuscire dannoso, perché porterebbe ad irrigidire la concezione dominante al momento della compilazione della Costituzione, ponendosi come ostacolo all’evolversi di future correnti interpretative, che potrebbero, in aderenza con lo svolgersi della coscienza sociale, ampliare, anche all’infuori di espliciti interventi del legislatore, l’efficacia presupposta dal costituente.

D’altra parte è da considerare che il semplice fatto di spostare nel preambolo la collocazione di dati principî, di per sé ed ove si rinunzi ad espressa dichiarazione dell’intenzione, non farebbe raggiungere il risultato desiderato dal proponente, poiché essi, per il fatto stesso di emanare da un potere statale – il quale per sua natura non fa mai dichiarazioni teoriche – verrebbero ad assumere necessariamente un valore normativo.

È però da osservare come sia estraneo all’indole propria del preambolo di contenere enunciazioni su materie particolari, mentre appare più proprio inserire in esso le dichiarazioni generalissime, espressive del tipo specifico di ordinamento posto in essere con la Costituzione. Così, seguendo la proposta dell’onorevole Calamandrei di indicare nel preambolo la forma dello Stato, si potrebbero inserire nel medesimo i due primi articoli formulati dalla prima Sottocommissione, i quali contengono l’enunciazione dei fini essenziali posti a base della Costituzione, e che perciò appaiono atti a definire la forma statale, intesa nel senso comprensivo di concezione politica fondamentale.

In ogni caso, comunque si risolva questo problema generale, sembra sia da rigettare a priori la proposta di porre in una posizione speciale i principî sociali. Essi non costituiscono se non lo svolgimento e l’integrazione del generale diritto di libertà, e non potrebbero perciò venire separati dalle enunciazioni esplicative di quest’ultimo, con le quali formano un’unità sistematica.

DOSSETTI concorda con l’onorevole Togliatti, nel senso che all’ordine del giorno dell’onorevole Calamandrei sia sostituito il principio direttivo già approvato dalla Commissione plenaria. Osserva, in proposito, che si sta discutendo di un principio direttivo e non, come si dovrebbe, dell’applicazione di esso. Sappiamo benissimo che il tornare a dire che la Costituzione deve essere possibilmente breve, possibilmente chiara, possibilmente concreta e che possibilmente deve contenere norme di valore giuridico, non è che un pleonasmo; ciò che in realtà ci interessa è invece l’applicazione che ciascuno intende fare, con perfetta buona fede, di questo principio. Questa questione è stata affrontata, quando sono stati discussi i singoli articoli. Vano quindi è ora il discutere ulteriormente; si pongano piuttosto i singoli articoli in discussione e allora ciascuno potrà esporre le proprie idee. Accade, infatti, anche che, molte volte, quando non si vuol prendere posizione diretta di fronte ad un articolo e negarne sostanzialmente il contenuto, ma per ragioni di convenienza non si vuole apertamente confessarlo, si finisce col dire che l’articolo ha una portata non pertinente ad una Carta costituzionale. Ecco quindi perché questa discussione è inutile: perché, quand’anche sia stabilito il principio, esso sarebbe pur sempre soggetto a forti contestazioni nell’applicazione pratica.

CAPPI dalle parole pronunciate nella precedente seduta dall’onorevole Calamandrei, ha avuto l’impressione che si trattasse soltanto di una questione di topografia o di euritmia giuridica. Se così fosse, sarebbe da accettarsi senz’altro la proposta dell’onorevole Togliatti; ma si accorge invece che, nell’ordine del giorno presentato oggi, la sostanza della tesi dell’onorevole Calamandrei sta nelle ultime parole, con le quali non solo vuol relegare certe norme, che ha chiamato etico-politiche, nel preambolo, ma implicitamente dichiara di ritenere certi articoli formulati dalle Sottocommissioni immeritevoli di essere inseriti nella Costituzione. Il carattere quindi del proprio dissenso è il medesimo di quello degli oratori che già hanno così bene interloquito al riguardo: gli onorevoli La Pira, Mortati e Dossetti. Che si possa anche un poco sfrondare, non intende escludere: ma il taglio chirurgico proposto dall’onorevole Calamandrei è, per la verità, un po’ troppo forte. Pensa che il suo criterio discretivo tra norme azionabili e norme non azionabili non sia assolutamente da accogliersi, poiché certi princìpi direttivi possono avere una grande importanza di orientamento per il legislatore e per l’interpretazione delle leggi che il potere legislativo promulgherà.

Questi principî direttivi, se non hanno un contenuto e un effetto positivo, se non sono, cioè, azionabili nel senso che possano dar diritto ad una prestazione da parte dello Stato, possono però avere un valore negativo, di limite alla potestà del potere legislativo e di quello esecutivo. Così, ad esempio, in un articolo si dice: «La Repubblica garantisce a tutti i cittadini il libero esercizio della propria attività professionale». Non crede l’onorevole Calamandrei che questa norma abbia un contenuto giuridico positivo e concreto di fronte ad un legislatore che domani stabilisse dei vincoli, dei principî ristretti di corporativismo medioevale? Non è una norma importante questa? Non darà essa diritto al cittadino, che si sentisse leso da una legge restrittiva della libertà professionale, di impugnarla?

Crede che, in via pratica, convenga passare all’esame degli articoli e decidere se vadano compresi nel preambolo o nel testo. In secondo luogo ritiene che, sia pure sfrondando il troppo e il vano, convenga inserire questi principî direttivi, siano essi di carattere economico-sociale o etico-politico, nel preambolo o nel testo.

GRASSI ritiene che sia inutile porre in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Calamandrei, in quanto che, se con esso si voglia mantenere il criterio, già approvato, di dare alla Costituzione una linea sobria, la Commissione è d’accordo. Aggiunge che l’ordine del giorno gli sembra un po’ pericoloso, perché (e non occorre dirlo all’onorevole Calamandrei, insigne giurista) non siamo nel campo del diritto privato, ma in quello del diritto pubblico, per creare uno status rei publicae. Ne si può dire che fra le norme costituzionali non possano trovar posto anche enunciazioni di principî: tutte le Costituzioni li hanno sempre ammessi.

Per quanto riguarda la questione se queste direttive debbano essere inserite negli articoli o nel preambolo, crede che si possa accettare la proposta dell’onorevole Togliatti, di decidere caso per caso nell’esame degli articoli.

Ha notato che molte volte si è tenuto a specificare nelle norme positive il loro fine. Ciò gli sembra assurdo, in quanto saranno gli studiosi di domani e il legislatore futuro a determinare tali fini.

TARGETTI prega l’onorevole Calamandrei di non insistere nel suo ordine del giorno per una ragione pratica. È convintissimo che nel progetto di Costituzione vi sia una pletora di affermazioni etico-politiche; ma è parimenti convinto dell’impossibilità di stabilire in un ordine del giorno un criterio discretivo che si possa applicare per eliminare dal progetto soltanto il superfluo che vi possa essere.

D’altra parte, non bisogna dimenticare che un ordine del giorno come quello dell’amico Calamandrei avrebbe trovato una sua logica impostazione prima che le Sottocommissioni iniziassero il loro lavoro. Dare ora delle direttive a chi direttive ha già seguito, non sembra la cosa più opportuna, logica e pratica, quando poi ciascuno, nell’esame dei singoli articoli, ha la possibilità, anzi, il dovere di ispirarsi a quei concetti che lo guidano in questa materia. L’approvazione dell’ordine del giorno potrebbe trovare dissenzienti anche alcuni di coloro che, di fronte a determinati articoli, sarebbero del parere di attenuare qualche affermazione etico-politica; e, nello stesso tempo, si dovrebbe procedere ad una revisione di tutti gli articoli che contengono affermazioni che si ritengono eccessive o deficienti.

D’altra parte, il ritiro dell’ordine del giorno lascerebbe impregiudicata la questione sollevata dall’onorevole Calamandrei.

GHIDINI rileva che la terza Sottocommissione si è attenuta ai criteri generali enunciati dall’onorevole Calamandrei.

Per quanto riguarda, ad esempio, il diritto al lavoro, non ostante che l’onorevole Colitto sostenesse che si tratta di un diritto che non è azionabile vigorosamente, la terza Sottocommissione ha ritenuto che questa distinzione non regge in materia di diritto pubblico, secondo le considerazioni esposte dall’onorevole Grassi.

La terza Sottocommissione, d’altra parte, si è preoccupata di spogliare più che fosse possibile gli articoli di enunciazioni di carattere filosofico, politico, morale, sociale, anche perché esse possono, in una legislazione futura, costituire una menomazione della libertà del legislatore, cioè una menomazione della libertà della volontà popolare, il che è contrario allo spirito democratico che è alla base della Repubblica italiana.

PERASSI osserva che l’ordine del giorno dell’onorevole Calamandrei contiene due concetti: uno, è quello di prevedere un preambolo, l’altro concerne quale deve essere il contenuto della Costituzione.

Dichiara di essere favorevole alla proposta che la Costituzione sia preceduta da un preambolo. Per quanto riguarda invece la determinazione di ciò che si deve inserire nella parte articolata, ha l’impressione che l’onorevole Calamandrei sia andato perfino al di là delle idee che sono espresse nel testo del suo ordine del giorno. In particolare ritiene – come ha detto l’onorevole Grassi, e come ha osservato l’onorevole Mortati, richiamandosi al concetto di Costituzione – che nella Costituzione non possano trovar posto soltanto norme giuridiche del tipo di quelle accennate, ma anche principî e direttive.

A conferma di questa tesi richiama quanto è stato fatto nella seconda Sottocommissione per quanto riguarda la distribuzione della competenza legislativa fra lo Stato e la Regione, nel senso che la legge dello Stato, rispetto ad una certa materia, si limita a fissare dei principî, delle direttive a cui le leggi della Regione devono conformarsi, e che costituiscono quindi orientamento e limite. Nello stesso modo la Costituzione può contenere principî e direttive che funzionano come limite e come orientamento alle leggi dello Stato.

CALAMANDREI dichiara di ritirare il suo ordine del giorno.

PRESIDENTE ricorda l’ordine del giorno Bozzi, approvato nella adunanza del 25 ottobre:

«1°) La Costituzione dovrà essere più che possibile semplice e chiara, tale che tutto il popolo la possa comprendere».

«2°) Il testo della Costituzione dovrà contenere nei suoi articoli disposizioni concrete di carattere normativo e istituzionale, anche nel campo economico e sociale».

«3°) La Costituzione dovrà limitarsi a norme essenziali di rilevanza costituzionale e di supremazia sopra tutte le altre norme, lasciando lo sviluppo delle disposizioni conseguenti a leggi che non richiedano, per le eventuali modificazioni, il ricorso al processo di revisione costituzionale».

TERRACINI presenta il seguente ordine del giorno:

«La Commissione per la Costituzione, riconfermando le direttive enunciate nell’ordine del giorno 25 ottobre, delibera di passare all’esame degli articoli, riservandosi di decidere nel suo corso quali siano le affermazioni di principio che devono trovar posto nel preambolo della Costituzione».

LUSSU dichiara di far proprio l’ordine del giorno Calamandrei, sintetizzandolo come segue: «La Commissione per la Costituzione, richiamato il suo ordine del giorno del 25 ottobre, delibera che nel testo della Costituzione trovino posto le formulazioni di articoli, che hanno carattere di norme giuridiche o stabiliscano anche nel campo economico e sociale diritti che devono essere attuati a cura del legislatore; rinvia ad un sobrio e sintetico preambolo le dichiarazioni di principî e di finalità generali d’ordine politico, economico e sociale che la Repubblica si propone».

Esprime il suo dissenso dalle affermazioni conclusive che imporrebbero una Costituzione in cui il preambolo non sia inteso come il faro che illumina il legislatore, ma come una parte secondaria, riservando ai singoli articoli affermazioni di principio, che non trovano poi riscontro nella possibilità di applicazione della norma.

È convinto che molti colleghi siano sostanzialmente dello stesso parere e chiede che l’ordine del giorno sia posto in votazione.

FABBRI è favorevole all’ordine del giorno Calamandrei fatto proprio dal collega Lussu, perché ritiene essenziale rispettare il principio della certezza del diritto, che sarebbe compromesso da norme tendenziali. Ricorda il caos determinato in Italia dalla Carta del lavoro fascista, che stabiliva principî bellissimi, ma a proposito della quale si è discusso 12 o 13 anni per stabilire se le norme in essa dettate avessero valore di legge o di semplice tendenza. La Carta del lavoro è stata riconosciuta come testo di legge soltanto il giorno in cui crollava il regime che l’aveva fatta.

CONTI osserva che i due ordini del giorno Lussu e Terracini non sono fra di loro contradittori, in quanto tendono a stabilire il modo di distribuire la materia nel testo della Costituzione con un criterio di praticità. L’ordine del giorno Lussu invita a questa praticità e l’ordine del giorno Terracini ne determina l’attuazione.

Dichiara pertanto che voterà l’ordine del giorno Lussu.

CEVOLOTTO dichiara di associarsi alle osservazioni dell’onorevole Conti.

PRESIDENTE pone ai voti l’ordine del giorno Lussu.

(Non è approvato).

 

Pone ai voti l’ordine del giorno Terracini.

(È approvato).

La seduta termina alle 19.

Erano presenti: Amadei, Ambrosini, Basso, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Caristia, Cevolotto, Colitto, Conti, De Michele, De Vita, Di Giovanni, Di Vittorio, Dominedò, Dossetti, Fabbri, Fanfani, Federici Maria, Fuschini, Ghidini, Giua, Grassi, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Pira, La Rocca, Leone Giovanni, Lombardo, Lussu, Mannironi, Marchesi, Marinaro, Moro, Mortati, Nobile, Noce Teresa, Paratore, Perassi, Pesenti, Rapelli, Ravagnan, Rossi, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Tosato, Tupini, Uberti, Vanoni e Zuccarini.

Erano assenti: Bordon, Canevari, Castiglia, Codacci Pisanelli, Corsanego, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Merlin Angelina, Merlin Umberto, Molè, Patricolo, Piccioni, Porzio e Togni.