Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCXXXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Verifica di poteri:

Presidente

Mozioni (Seguito della discussione):

Valiani

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Verifica di poteri.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella seduta odierna, ha verificato non essere contestabile l’elezione del deputato Giuseppe Sapienza per la circoscrizione di Catania (XXIX); e, concorrendo in esso i requisiti previsti dalla legge, ha dichiarato valida la elezione.

Do atto alla Giunta di questa comunicazione e, salvo i casi di incompatibilità preesistenti e non conosciuti sino a questo momento, dichiaro convalidata questa elezione.

Seguito della discussione di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione di mozioni.

È iscritto a parlare l’onorevole Valiani. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi! Io desideravo occuparmi anzitutto della politica estera del Governo, ma vedo che il Ministro degli esteri è assente, perciò mi riservo di parlarne alla fine del mio intervento, anche se sarebbe invece logico cominciare con questa che, fra tutte le attività del Governo, mi sembra la più criticabile, quella che meno possiamo approvare.

E vengo senz’altro alla politica economica generale del Governo e non di questo Governo soltanto, ma anche dei precedenti Governi formati dall’attuale Presidente del Consiglio.

La politica economica di questi Governi era e rimane caratterizzata da un concetto molto semplice, elementare, starei per dire comodo, che però, a lungo andare, porta grave pregiudizio alla vita economica della Nazione stessa e alla ricostruzione dello Stato. Quale concetto è prevalso nella politica economica dei Governi succedutisi dopo la liberazione e in particolare dei Governi presieduti dall’onorevole De Gasperi? Il concetto di far debiti. È il metodo che consiste nel risolvere la situazione o meglio nel credere di risolvere la situazione mediante debiti, in particolare debiti all’estero, senza prendere in considerazione le condizioni talvolta assai onerose, talvolta meno, di questi debiti medesimi, senza considerare se questi debiti stessi vadano a buon fine, servano a qualche cosa, a risanare la situazione o servano semplicemente a prolungare la malattia. Se una azienda privata fosse retta come è retta da due anni a questa parte la politica economica del Governo, a mezzo di debiti, che vanno ad aggiungersi ad altri debiti, questa azienda sarebbe già insolvente.

Non vorrei escludere che inconsapevolmente, inconfessata, al fondo del pensiero dell’onorevole De Gasperi ci sia questa speranza, che risolveremo la situazione che sta diventando sempre più grave con la forza del debitore insolvente. Ma i Paesi assai raramente si sono salvati, le economie nazionali assai raramente si sono risanate con la forza del debitore insolvente. Qualche volta ciò può essere capitato, ma non mi pare che oggi questo possa essere un metodo utile, atto a rialzare il prestigio, la potenza e la forza dell’economia italiana nel mondo e a migliorare la situazione delle classi lavoratrici italiane.

Prendete gli aiuti che abbiamo ricevuto dall’U.N.R.R.A., aiuti che sommano a centinaia di miliardi in pochi anni. Se questi aiuti fossero stati impiegati secondo un criterio economicamente razionale, secondo l’ovvio criterio che il denaro impiegato in qualsiasi posto deve dare dei frutti, la nostra situazione potrebbe essere diversa da quella che è.

Invece, il profitto stesso che queste immense quantità di merci arrivate e ripartite per centinaia di miliardi hanno dato, è di poche decine di miliardi, su cui il Tesoro, se non erro, ha potuto mettere le mani (e del resto, anche questo, solo violando una qualche clausola dell’accordo intercorso tra la delegazione italiana dell’U.N.R R.A. e la delegazione americana).

Ha potuto mettere le mani su 30 o 33 miliardi, che poi sono stati utilizzati, come se fossimo già nella situazione del debitore che nell’insolvenza, fa cassa comune di tutto. Poi, si chiede la sanatoria, s’intende; ma non basta chiedere la sanatoria, non basta all’ultimo momento racimolare quelle poche decine di miliardi che possono essere rimaste come profitto dell’U.N.R..R.A. Se lo Stato italiano avesse amministrato con senso commerciale i beni dell’U.N.R.R.A., i profitti – anche ammettendo che dovessero essere destinati a scopi assistenziali – potrebbero assommare a centinaia di miliardi. Pensate soltanto a questo semplice elemento: che i beni dell’U.N R.R.A. venivano conteggiati al cambio di cento lire per un dollaro; solo verso la fine il dollaro era calcolato a 225, mentre il cambio reale del dollaro già inizialmente era di 250-300 lire, e salì successivamente fino a 5, 6, 800 lire.

Pensate a questa differenza per ogni dollaro di beni: dove è andata a finire questa differenza? Chi ne ha profittato? Un po’ tutti e soprattutto gli industriali che hanno ricevuto assegnazioni di materie prime che hanno pagato al cambio di cento vendendo, almeno in parte, i loro prodotti ad un cambio di 5 o 600 lire.

In sostanza, di tutti questi enormi aiuti che abbiamo avuto, nulla è stato utilizzato per il risanamento della economia nazionale, ossia per costituire una riserva per la stabilizzazione della lira. Sono stati utilissimi, certamente, questi aiuti, perché i beni che si consumano sono sempre utili, quando la popolazione ha fame. Comunque essi siano ripartiti, a qualunque cosa essi servano, vanno sempre a fin di bene dal punto di vista fisiologico e, se volete, dal punto di vista morale. Ma da quello di un’economia pubblica razionale, la cosa è diversa.

Io credo che, se l’onorevole Einaudi in questi anni, invece di essere il governatore della Banca d’Italia, fosse stato ancora scrittore di cose sociali ed economiche, avrebbe certamente scritto severi articoli contro questo andazzo governativo.

Che gli aiuti che noi riceveremo ancora dall’estero siano di nuovo sprecati è un pericolo contro il quale dobbiamo stare in guardia. Fino a quando infatti voi curate l’azienda dello Stato solo con prestiti, voi non fate che prolungarne la malattia. Io debbo, eccezionalmente, sotto questo aspetto, essere ancor più radicale di quanto non sia già stato l’onorevole Nenni, il quale ha voluto rendere responsabile della situazione disastrosa in cui ci troviamo non il Governo, ma il fascismo e la guerra da esso follemente condotta. Ebbene, io non sono di questo parere; io sono invece del parere di cui era lo stesso onorevole Einaudi dopo l’altra guerra, quando pure c’erano state distruzioni e l’Italia era stata pure invasa, anche se in misura di gran lunga minore che l’attuale. In quell’epoca l’onorevole Einaudi, sulla sua rivista, non rendeva responsabili solo gli uomini che avevano voluto la guerra e che, come egli ben dimostrava, l’avevano mal condotta economicamente, ma anche e soprattutto coloro che da qualche anno si andavano avvicendando al Governo dello Stato e non avviavano il Paese al risanamento, scaricando tutte le responsabilità sulle distruzioni prodotte dalla guerra, sulle brame imperialistiche dei nostri alleati e via dicendo.

Io credo che nel 1945 vi fossero numerosi elementi favorevoli ad un risanamento della situazione italiana. Questi elementi erano: la circolazione relativamente contenuta e che sarebbe stato più facile contenere ulteriormente se si fosse fatto allora, come voleva il Ministro Soleri, il cambio della moneta.

Il livello dei prezzi non era esagerato, specie nell’Alta Italia; noi ricordiamo ancora che, nei mesi seguenti alla liberazione, a Milano, nei ristoranti – Merzagora deve ricordarlo: era anche, in parte, merito suo – si mangiava spendendo per un pasto 100 lire, mentre oggi, per lo stesso pasto, si spendono nei ristoranti di Milano o di Roma mille lire: da uno a dieci, in due anni.

Vi era in quell’epoca una indubbia tendenza al ribasso delle materie prime sui mercati mondiali; eravamo in una situazione particolarmente felice per quanto riguardava le esportazioni. Non appena avevamo prodotto qualche cosa, eravamo in grado di venderlo su qualsiasi mercato. Abbiamo esportato prodotti industriali finiti su mercati americani e britannici, dove mai ci saremmo sognati di poter ancora esportare tali prodotti.

Bisogna dire che l’intuizione geniale dell’onorevole Corbino, che cioè si potesse in quella congiuntura operare un riassestamento con i metodi del liberismo o, se volete, del liberalismo, aveva le sue buone ragioni. In quella situazione un risanamento condotto con criteri liberali era effettivamente possibile. Purtroppo, l’azione dell’onorevole Corbino fu paralizzata da alcune debolezze sue e da altre che erano nella situazione del Governo. Errore suo fu di non aver attuato il cambio della moneta, che non aveva nulla di antiliberale, non aveva, in fondo, nulla di socialista, tanto è vero che l’onorevole Einaudi ha potuto qualche mese fa dimostrare in quest’Aula – la dimostrazione è corretta – che il cambio della moneta avrebbe colpito più i piccoli ed i medi produttori, che i grandissimi produttori. Però, proprio per quello si sarebbe dovuto attuarlo, perché l’esuberante capacità di acquisto che preme sui prezzi e determina in ultima analisi l’inflazione in Italia, è proprio quella dei piccoli e medi ceti. Io mi sento infinitamente più vicino a questi ceti che non al ceto dei grandi industriali; ma le nostre simpatie e preferenze politiche non devono entrare in conto nella determinazione della politica economica di uno Stato che deve ricostruire la vita della Nazione.

Col cambio della moneta si sarebbe tolta di mezzo una parte di quella esuberante e nervosa capacità di acquisto, concentrata nelle mani di ceti che, proprio per aver fatto rapidi guadagni, non avevano la stessa tendenza a contribuire alla formazione del risparmio che avevano avuta altri ceti in Italia, in altri tempi.

Proprio quando si legge il memoriale del Presidente della Confindustria all’onorevole De Gasperi, in cui si lamenta questo eccesso di capacità di acquisto accumulato in certi ceti, che non sono tradizionalmente risparmiatori e che premono sui prezzi – considerazione giusta – io vengo alla conclusione che solo il cambio della moneta avrebbe potuto ovviare a questo inconveniente dell’economia nazionale. E quindi la politica liberale dell’onorevole Corbino fu dall’inizio viziata, non già per ragioni estrinseche, non già perché il liberalismo sia impossibile nel mondo attuale – può anche esserlo in generale, ma nella congiuntura particolare dell’Italia era possibile – fu viziata, invece, da errori intrinsechi alla sua stessa concezione: i mezzi di cui si serviva per raggiungere il fine non erano congrui al fine stesso.

Altro errore suo fu quello di aver voluto fissare al principio del 1946 il cambio del dollaro a 225, quando la proporzione reale fra costi di produzione americani e italiani determinava già un cambio del dollaro di circa 400. Da ciò si dovette passare ad una politica del commercio estero che consisteva in palliativi, necessariamente, dato il punto di partenza falso. Quindi, assegnazione del 50 per cento di valuta agli esportatori; e gli esportatori che fanno di tutto per non dare allo Stato, per non dare alla Banca d’Italia gran parte del 50 per cento che dovrebbero dare; alterazione di fatture; valute imboscate all’estero; fenomeni che hanno assunto un’importanza grandissima, terrificante nei mesi della crisi avutasi un anno fa, e che sono state fra le cause delle dimissioni dell’onorevole Corbino stesso.

Poi, errori non imputabili a Corbino, contro i quali anzi egli come Ministro del tesoro combatté e protestò; errori imputabili all’eccesso di vincolismo (caro allora agli amici democristiani) nella produzione interna, nella distribuzione interna dei prodotti; errori della sinistra che volle mantenere rigidamente il blocco dei licenziamenti, contro il quale io mi ero permesso di protestare ancora nel Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia nell’estate 1945; poi ancora l’erronea campagna per l’aumento dei salari nell’estate del 1946.

Tutti questi fatti, evidentemente, si chiamano errori soltanto tenuto conto del punto di partenza, cioè che Corbino, e quindi il Governo con Corbino, voleva attuare una politica liberale; perché se si fosse voluta attuare una politica corporativa, tutti questi elementi e tutti questi fatti potevano anche non essere errori e potevano trovare giustificazione.

Ecco dunque la contradizione fra il fine che Corbino voleva raggiungere (giustificato dalla situazione), ed i mezzi di cui si servì, o di cui era obbligato a servirsi. Questa contradizione fece sì che non abbiamo profittato della congiuntura favorevole del 1945-46 per dare mano al risanamento dell’economia, e ha fatto sì che ci troviamo oggi in una situazione che sarebbe logica se l’8 settembre fosse di ieri. Ma sono passati quattro anni e non possiamo più dare la responsabilità di tutto agli avvenimenti svoltisi fino all’8 settembre del 1943 oppure fino all’aprile del 1945.

Al punto a cui siamo è in giuoco la precisa responsabilità dei Governi che si sono succeduti. E se io cito queste responsabilità non è per fare di questo o di quel capo di Governo il capro espiatorio; la responsabilità risale a tutta la classe politica italiana, la quale si è trovata impreparata dinanzi ai problemi della ricostruzione economica. Fino a quando non ci renderemo conto esatto delle nostre responsabilità e tenteremo ancora di scaricarle sul fascismo, che ha le sue gravi e tragiche responsabilità ma che ha pagato, che noi abbiamo fatto pagare (e abbiamo fatto bene), finché – dicevo – non ci renderemo conto delle nostre responsabilità, noi non romperemo neppure con la politica di faciloneria, cioè con la politica di sempre contrarre debiti. Debiti all’estero, dico, e non tanto debiti all’interno, perché la politica del Governo è stata già giudicata dal pubblico in Italia, sicché gli sono ormai preclusi i prestiti interni. Fino a quando persisteremo in questa politica di debiti, noi dovremo sempre palleggiare le responsabilità e non saremo mai in grado di rimediare ai nostri errori, ed il Governo non vi rimedierà mai, ed ogni tre o sei mesi rifaremo una discussione del genere di quella di oggi, coi risultati che rischia di dare questa discussione stessa, cioè con risultati poco brillanti.

L’onorevole De Gasperi ha vivissimo il senso dello Stato. Penso sia questa la ragione per cui egli è ancora e sarà per un pezzo – a quanto sembra – Presidente del Consiglio. Evidentemente, senza il senso dello Stato, nulla si può creare; però bisogna che questo senso dello Stato sia accompagnato da volontà riformatrice tempestiva.

Se accanto al senso dello Stato c’è soltanto la politica dei rinvii, la politica che consiste nel rimandare tutto alle elezioni dell’anno successivo, la politica degli espedienti e dei debiti, lo Stato fallirà. Devo dare atto all’onorevole De Gasperi che il prestigio dello Stato è aumentato. Questo è uno dei pochi fatti positivi; ma, insomma, se accanto al senso dello Stato non c’è il senso delle riforme, ci si ritrova nella situazione che all’onorevole De Gasperi ed a me, che siamo nati nelle Venezie irredente, è familiare; la situazione dell’Austria che faceva sempre debiti ed era convinta che un felice matrimonio l’avrebbe salvata alla fin fine.

Onorevole De Gasperi, io non voglio negare che la vecchia Austria abbia resistito per sette secoli; però poi crollò e andò in frantumi. La nuova Austria, la piccola repubblica austriaca, nell’altro dopoguerra, non volle più seguire quella via e preferì una stabilizzazione difficilissima della corona cambiata in scellino. Noi parliamo della distruzione e delle mutilazioni del nostro Paese, ma pensate a quello che fu ridotto quel Paese dopo il 1918, quando perse tutti i mercati, tutte le sue fonti di materie prime ed aveva debiti ben diversi dai nostri, e pure attuò la stabilizzazione della moneta. Non lasciò andare la moneta alla inflazione completa…

CHIARAMELLO. Ma se hanno fatto la stessa fine il marco e la corona!…

VALIANI. No, la corona austriaca è scesa a circa 2500 rispetto alla corona dell’anteguerra. A noi che abbiamo la lira, rispetto al 1914, come capacità di acquisto, forse da uno a 400, ciò può sembrare ancora una cosa paurosa; ma se continuiamo su questa strada e se lasciate galoppare l’inflazione, avremo non il rapporto da uno a 2500, ma da uno ad un miliardo. Non è ancora la catastrofe un’inflazione che si arresta e che dà luogo alla stabilizzazione, quando la moneta ha ancora un minimo di capacità di acquisto. Minimo, ma la nostra moneta l’ha ancora. Uno che riceve uno stipendio al primo del mese, con quello stipendio può ancora vivere fino al 15 o al 20 del mese. In una inflazione, invece, come quella tedesca e come più recentemente in Ungheria, la mattina alle otto i funzionari prendono gli stipendi ai Ministeri, vanno al mercato, tornano alle nove con la spesa per la colazione, e per la cena devono prendere un nuovo stipendio, perché intanto i prezzi sono triplicati.

Questa digressione serve soltanto a spiegare come le questioni vanno risolte e che le prime questioni strutturali da affrontare sono quella monetaria e quella fiscale. Da 3-4 anni noi parliamo di riforme di struttura, ma, disgraziatamente, il nostro Paese non si è data alcuna riforma strutturale. Questa è responsabilità precipua dell’onorevole De Gasperi. L’onorevole De Gasperi ha rappresentato la precisa volontà di rimandare ogni questione di uno, due, tre anni. Io ricordo ancora il primo discorso dell’onorevole De Gasperi, al quale ho avuto il piacere di assistere in occasione dell’incontro dei Comitati di liberazione nazionale centrali di Roma e di Milano nel maggio del 1945, discorso forte, tanto è vero che – dopo averlo ascoltato – dissi all’onorevole Foa che quell’uomo ci avrebbe governato per cinque anni, perché era il più forte in quel consesso. Però il discorso era la teorizzazione, mascherata bensì secondo lo spirito del momento che richiedeva promesse di epurazione e via dicendo, ma pure la teorizzazione della politica del rinvio delle riforme strutturali. Ora, non credo che tutte le riforme strutturali siano subito possibili: quelle di carattere intrinsecamente sociale, come le riforme agricole e industriali, evidentemente richiedono parecchio tempo; ma una riforma strutturale urgentissima è quella monetaria, come pure quella fiscale e quella amministrativa.

Tali questioni non sono state affrontate; il Governo le rimanda ancora, ed ecco perché si trova in crisi; e questa crisi vuole scaricare sul passato fascista. L’unica questione recentemente affrontata – e affrontata grazie ad una collaborazione fra Governo e opposizione, che dimostra come questa collaborazione sia più importante dei Governi tripartiti o quadripartiti, di colore, di centro e via dicendo – è quella dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Se lo Stato vive oggi, se il Ministro Pella ci potrà dare oggi delle cifre di bilancio meno paurose di quelle di qualche mese fa, è grazie all’introduzione di questa imposta che sta dando i suoi primi frutti. Io credo che il Ministro Pella, al pari dell’onorevole La Malfa, oppositore, col quale ha collaborato, ha diritto alla riconoscenza della Costituente e dei cittadini per aver accettato i gravi inasprimenti da noi proposti con questa imposta; per averli accettati ed averli saputi tradurre in disposizioni pratiche e per aver saputo resistere all’ondata che contro di lui in questo momento si scatena, da parte dei grossi miliardari da un lato e dei piccoli milionari dall’altro.

Io chiedo al ministro Pella di resistere agli uni ed agli altri. Se però l’imposta patrimoniale è avviamento alla soluzione di un problema strutturale e fiscale, in altri campi siamo in alto mare; e l’onorevole De Gasperi ci ha promesso soltanto che avrebbe fatto sfilare i Ministri tecnici con statistiche e documentazioni. Il professor Ronchi ha già aperto la controffensiva.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non c’era nessuno che ascoltava.

VALIANI. C’ero io, e risponderò dettagliatamente. Onorevole De Gasperi, mi permetto di dire che non approvo il suo metodo. Non credo che si tratti di portare qui statistiche e documentazioni: questo va bene nelle Università e negli uffici studi. Voi siete degli amministratori e dovete portare nell’Assemblea dei provvedimenti e non delle statistiche. Il guaio è che i provvedimenti li prendete indipendentemente dalla Costituente e dalla Commissione di finanza e tesoro alla quale presentate soltanto quei provvedimenti in cui si tratta di erogare di straforo qualche milione. 1 grossi provvedimenti li prendete in ritardo o mai; e li prendete all’infuori della Costituente e della sua Commissione finanziaria.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non c’entra con l’alimentazione. Tutta la campagna è stata fatta sui prezzi dell’alimentazione, ed era giusto che si riferisse la situazione prima di dire quali provvedimenti si sono presi. Questo è interessante per l’Assemblea.

VALIANI. Io ho ascoltato con piacere il discorso del professor Ronchi. Quello che io lamento non è già che lui esponga la situazione, ma che non parli di provvedimenti in atto. Le statistiche possono servire quando vi sono dei provvedimenti per illustrarli. Ma ci si è limitati a fare apologia del Governo.

La differenza fra amministrazione e apologia è questa: che nel primo caso qui si portano dei provvedimenti e nel secondo si fa la requisitoria contro le richieste dell’opposizione. L’opposizione ha il diritto di chiedere delle cose gradite al popolo; questo è il diritto di tutte le opposizioni. Il dovere del Governo, che discende dal privilegio di avere in mano le leve di comando dello Stato, è di portare qui dei provvedimenti.

Onorevole De Gasperi, Churchill, quando è Presidente del Consiglio, parla diversamente di quando è capo dell’opposizione. (Commenti al centro).

Problema non risolto, grave, e da risolvere invece di urgenza, è quello dei rapporti tra Banca d’Italia, Tesoro, e politica economica generale. Si impone una chiarificazione tra Banca d’Italia, Tesoro e politica economica generale dello Stato.

L’onorevole Einaudi ha la tendenza, naturale del resto, essendo governatore della Banca d’Italia (anche se attualmente non in carica), a vedere le cose troppo dal punto di vista della Banca d’Italia. E questo va bene. Ma io domando: chi vede le cose dal punto di vista del Tesoro, dal punto di vista della politica economica generale dello Stato? Chi rappresenta l’altra parte, che deve contribuire a creare la situazione di equilibrio, che ci deve essere. Non deve prevalere la Banca d’Italia sul resto.

Si tratta della deflazione che si è voluto provocare recentemente. Ne parlerò più in dettaglio. Queste cose, che tanto da fare danno al Governo e tanti argomenti all’opposizione, sono dovute, fondamentalmente, ad un prevalere del punto di vista della Banca d’Italia, la quale ha voluto premunirsi ed ha spinto tutte le banche a premunirsi.

La liquidità delle banche è cosa fondamentale; tanto più che le grandi banche oggi in Italia sono più o meno di proprietà pubblica.

Questa è una cosa; altra cosa è l’esigenza generale della politica economica del Paese, ammesso che lo Stato abbia – cosa che non sono sicuro di poter credere – una sua politica economica oggi in Italia.

L’onorevole De Gasperi dovrebbe essere il supremo moderatore di queste posizioni, oppure avere accanto all’onorevole Einaudi, Vicepresidente del Consiglio in funzione della Banca d’Italia, un altro Vicepresidente del Consiglio che rappresenti i prevalenti interessi dell’economia nazionale. L’onorevole De Gasperi, che dovrebbe essere il supremo moderatore di questa situazione, interviene invece nella polemica – scusi se glielo dico – con paurosi sbandamenti.

Nell’aprile egli grida all’inflazione galoppante dovuta alle dattilografe che giocano in Borsa (io dovrò più tardi difendere le Borse pur non amandole). In agosto l’onorevole De Gasperi scrive un articolo sulla crisi deflazionistica che si avvicinerebbe. Se io fossi un piccolo banchiere, leggendo l’articolo del Presidente del Consiglio che annunzia la crisi deflazionistica, comincerei col restringere i fidi per non espormi al fallimento dei miei clienti. Anche le grandi e le grandissime banche hanno agito in questo modo.

Non voglio dare troppa importanza ad un articolo, anche se scritto dal Presidente del Consiglio. È un articolo pubblicato sul giornale popolare di Trento e riportato da tutti i grandi giornali d’Italia.

Onorevole De Gasperi, bisogna stare attenti quando si scrivono queste cose, perché, in una situazione critica come la nostra, occorre agire con prudenza.

A prescindere dall’articolo, onorevole De Gasperi, si ha la sensazione generale che si voglia attuare una politica deflazionistica. Disgraziatamente però la politica deflazionistica non si può attuare perché siamo ancora in piena inflazione e perché, come notò l’inglese Keynes in polemica con Mussolini all’epoca dei provvedimenti De Stefani: «fortunatamente neppure un dittatore può comandare all’andamento della economia». L’onorevole De Gasperi non è neppure un dittatore, e nemmeno l’onorevole Einaudi è un dittatore…

Una voce al centro. Per fortuna!

VALIANI. Per fortuna. Tanto meno possono comandare all’andamento della moneta, del mercato e della congiuntura. Perciò questa politica deflazionistica è spiegabile solo in rapporto alla situazione delle banche e, a questo riguardo, tutte le considerazioni dell’onorevole Einaudi reggono. Le banche erano arrivate ad un limite non dico pericoloso, ma che in qualche caso poteva essere preoccupante. Esse si premunivano. Ma lo Stato? Non c’è mica soltanto la Banca d’Italia o soltanto le banche nell’economia italiana: c’è lo Stato, che è proprietario di gran parte dell’economia italiana, attraverso l’I.R.I. e in altre forme, e comunque è responsabile esso, e non la Banca d’Italia, della moneta.

Consultiamo tutti gli indici e tutte le previsioni di coloro che studiano codeste questioni, e mi riferisco ad alcune interessantissime analisi pubblicate, per esempio, dalla Rivista di politica economica edita da uomini che hanno parte nella produzione, da uomini che l’onorevole De Gasperi ascolta, dai capi della Confindustria. Questa rivista, nei mesi di maggio, giugno e luglio dava gli elementi da cui si poteva desumere che non andavamo verso una deflazione e che la tendenza dei prezzi sul mercato sarebbe stata orientata verso l’ascesa.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Si vede che non li ho ascoltati.

VALIANI. Non basta dir questo. Si vede che lei non è intervenuto come autorità dello Stato ad equilibrare la politica deflazionistica che le banche, per certi loro fini, dovevano fare, ma che doveva pur trovare la contropartita. Questa è la situazione. Il fatto che lei scriva un articolo e che si documenti o meno non ha importanza. Se il Presidente del Consiglio non legge e non scrive sui giornali non importa: Mussolini introdusse questa abitudine di leggere sempre tutti i giornali e di scrivere spesso su tutti i giornali. Questo era naturale: egli era un grande giornalista.

Ma la deflazione così attuata, senza volerla in fondo attuare, perché le banche non la volevano, ma volevano soltanto salvare la loro liquidità, facendo gli interessi dei depositanti, e senza la contropartita di una politica economica dello Stato che correggesse questa tendenza e che intervenisse, ha provocato gli ovvii risultati che ha provocato.

Si è voluto fare una politica deflazionistica o per lo meno di contenimento dei prezzi; una politica di resistenza all’inflazione. Risultato: il credito al mercato nero costa l’8 per cento al mese. 10 miliardi saranno regalati alle aziende che ci ricattano perché dicono che altrimenti non possono pagare i salari. L’onorevole Einaudi nel discorso del 18 giugno ha detto che non crede sia conveniente seguitare su questa linea, cioè sulla linea dell’erogazione di miliardi alle industrie senza una contropartita. Se i crediti devono esser dati bisogna che siano dati dalle banche che devono avere la responsabilità di concederli a coloro che si ritengono meritevoli. Lo Stato potrà esercitare un controllo impedendo che i crediti siano dati in modo da provocare un’inflazione creditizia. Questo è il discorso del 18 giugno del Vicepresidente del Consiglio e Ministro del bilancio.

Ieri non so cosa sia stato deciso al Consiglio dei Ministri. Spero che ci direte, almeno questa volta, i provvedimenti che volete adottare e non farete i soliti discorsi apologetici in difesa del Governo. Certo, dei provvedimenti urgenti sono indispensabili. Quando ci si trova nella necessità, quando si è con l’acqua alla gola, si fa quel che si può.

Ma è tutta una politica di alcuni mesi e di qualche anno di cui paghiamo il fio.

Insomma, con le premesse dell’onorevole Einaudi solo le banche dovrebbero dare i soldi all’industria e lo Stato controllare e contenere l’espansione creditizia. Avviene il contrario: lo Stato dà i soldi a chi li esige, le banche controllano e contengono l’espansione creditizia e non dànno soldi all’industria.

UBERTI. Non ne hanno, questa è la realtà. Il risparmio è insufficiente agli investimenti.

VALIANI. Se i risparmi sono insufficienti, questo dimostra che qualcosa non va nella politica economica dello Stato.

D’accordo con lei che i risparmi non sono sufficienti, ma questo significa che noi facciamo una politica deflazionistica in un momento di inflazione vera e propria, perché l’inflazione consiste proprio in questo: che non si forma in misura sufficiente il risparmio, e su queste basi è inutile fare discorsi per l’aumento della produzione. Governo e capi dell’opposizione parlano di aumentare la produzione, come del solo rimedio. Ma se aumentando la produzione non si forma parallelamente il risparmio, abbiamo l’inflazione.

Perché c’è l’inflazione anche in Inghilterra e in America? Perché c’è un’espansione di produzione non accompagnata da corrispondente formazione di nuovo risparmio.

Questo è l’a, b, c dell’economia, che abbiamo imparato dall’onorevole Einaudi e a queste idee resteremo fedeli.

Ora è evidente che una manovra di contenimento dell’inflazione (non parliamo neppure di manovra deflazionistica), in una situazione come l’attuale, può essere fatta soltanto se accompagnata da cautele ed altri provvedimenti, non più da parte della Banca d’Italia, non più dal Ministro del bilancio, ma dal Gabinetto nel suo insieme. Per esempio, le banche non hanno più soldi per finanziare le industrie; bisognerebbe rianimare le Borse. Metodo normale, classico. Ecco perché dico che le voglio difendere. È il metodo classico di afflusso del risparmio che è sparso un po’ dovunque in tutto il Paese. Non è finito il risparmio in Italia, altrimenti saremmo già morti e dovremmo chiudere il dibattito. Bisogna fare qualche cosa per rianimare le Borse; invece contemporaneamente alla deflazione del credito, si battaglia contro le Borse. Quando le banche stringono i freni perché non hanno più soldi, perché ogni conto corrente che aprono è inflazione creditizia, dovete rianimare le Borse o trovare altri mezzi. Ma non agite da una sola parte, non trascurate completamente l’altra!

Io non concordo con tutte le critiche che l’onorevole Nenni e l’onorevole Saragat hanno fatto all’onorevole Einaudi rimproverandogli di avere svolto una manovra quantitativa del credito, invece di una manovra qualitativa di esso.

Onorevoli colleghi, giova ridurre queste cose alle loro significazioni tecniche effettive. Non è che la manovra qualitativa sia qualcosa di necessariamente superiore alla manovra quantitativa. La manovra quantitativa del credito significa semplicemente che giudice in ultima analisi è il mercato; la manovra qualitativa significa che in ultima analisi il giudice è il Governo. Ora dunque, nella situazione in cui si è trovato l’onorevole Einaudi, cioè di non avere avuto strutture di Governo efficienti e di non aver avuto strumenti efficienti e di avere quindi solo il mercato relativamente efficiente giudice, evidentemente la manovra quantitativa andava fatta. Io credo che nessuno in pratica può rimproverargli di avere fatto una manovra quantitativa prima di una manovra qualitativa. La manovra qualitativa presuppone, se è una manovra restrittiva, il blocco dei salari, il blocco dei prezzi, lo sblocco dei licenziamenti, presuppone delle strutture pianificatrici preesistenti.

Del resto le condizioni di erogazione alle industrie meccaniche di 55 miliardi, il cui annunzio ha provocato tutta questa crisi psicologica e l’assalto contro l’onorevole Einaudi, sono una manovra qualitativa. Quindi io scarico completamente l’onorevole Einaudi da questa accusa, di aver fatto solo una manovra quantitativa. Evidentemente è basilare per noi la manovra quantitativa, in quanto il mercato esiste, mentre la pianificazione è ancora da venire. E le aspre accuse che si fanno all’onorevole Einaudi su molti giornali di destra mi ricordano veramente la situazione delineata in un articolo de La riforma sociale del 1925, articolo che riguardava «i disfattisti della lira». Mi ricordavo solo del titolo, ma mi pareva che calzasse. Avendolo riletto, posso dire che quello scritto calza al cento per cento: come oggi, vi era allora una parte del grande capitalismo che sferrava l’offensiva contro la politica di resistenza all’inflazione che si ebbe nel 1922-24. Fortunatamente l’Italia allora aveva ben altre risorse. Comunque, in quell’epoca il professor Prato, l’onorevole Einaudi ed altri economisti italiani degni del loro nome, difesero con le unghie e con i denti quell’ultima possibilità che si era delineata di resistere all’inflazione, e si era delineata anche in seno ad un Governo che essi combattevano: il Governo fascista. Purtroppo nel 1925 furono vinti insieme a quelli che questa politica rappresentavano e quando poi si stabilizzò la lira, la si stabilizzò male, a quota 90.

Questa situazione oggi si ripresenta e quando si leggono certi attacchi della destra economica, nei grandi giornali, contro l’onorevole Einaudi, viene fatto di rimpiangere che non sia vivo il professor Prato, il quale potrebbe rispondere ancora per smascherare questa congiura in atto contro la salute economica del Paese e contro le sorti della lira.

Però, diciamo francamente che le congiure non nascono solo per malvagità; le congiure economiche e politiche nascono quando c’è una situazione malata cui il chirurgo non ha posto rimedio. Anche contro l’onorevole De Stefani si potevano muovere critiche giustificate perché faceva una politica esageratamente deflazionistica, bruciando biglietti di banca in forni crematori.

Anche oggi, se la destra economica può sferrare un’offensiva così efficace contro l’onorevole Einaudi, è segno che vi sono errori nella politica dell’onorevole Einaudi che rendono possibile ciò; perché, se la politica economica fosse giusta non si potrebbe sferrare un’offensiva aperta contro provvedimenti che si ripercuotono beneficamente sulla economia nazionale.

L’onorevole Einaudi ha avuto ragione di fare una manovra quantitativa del credito, ma l’ha fatta troppo ristretta, troppo brusca e, soprattutto, questa manovra non è stata accompagnata da una politica economica del Governo che la completasse.

Se il mercato è giudice, come in una manovra quantitativa, dovrebbe avere la potestà di far fallire chi deve fallire. Ma chi può fallire in Italia oggi? Per fallire, oggi, che non siamo più ai tempi della stabilità, bisogna aver messo in giro dei titoli esecutivi. Oggi anche una azienda dissestata, se non ha in giro assegni post-datati o cambiali protestate, non fallisce. Ora, chi ha in giro assegni post-datati e cambiali protestate? Forse che l’Ansaldo o la Breda, certamente industrie dissestate, ne hanno in giro? No. Solo le piccole industrie, le aziende il più delle volte sane, ma che hanno logicamente delle cambiali in giro perché, senza cambiali, naturalmente non lavorano, e i cui clienti, per effetto di una manovra del credito troppo brusca, si trovano in difficoltà.

Quindi, in questa situazione, per quanto si facciano manovre quantitative, il mercato non riesce a giudicare e ad operare come dovrebbe. Accade allora che le grandi aziende dissestate possono correre all’arrembaggio e prendere il denaro dello Stato, mentre le aziende minori rischiano di fallire e se non falliranno gli è che, in fondo, l’inflazione purtroppo esistente le salva.

Ecco dunque, che, se c’è la congiura contro la politica dell’onorevole Einaudi, essa è dovuta al fatto che tale politica ha un carattere unilaterale, anche se è giusta in sé. Prendete soltanto un caso, quello dei cantieri dell’I.R.I. Si è tanto parlato del Piano Marshall – io mi sono ripromesso di parlarne alla fine del mio discorso, sperando che nel frattempo giunga l’onorevole Ministro degli esteri – parliamo dunque, un poco, del Piano Marshall. Uno degli elementi del Piano Marshall riguarda i trasporti marittimi e ci si domanda, a proposito di questo settore, come l’America potrà far fronte alle richieste di trasporti marittimi. Domanda alla quale rispondono gli economisti americani constatando che l’America non è in grado di far fronte completamente a tale richiesta e che l’industria europea dei cantieri dovrà intervenire lavorando in pieno.

Ecco dunque che vi sarebbero tutte le prospettive di risanare, per esempio, l’industria dei cantieri che appartengono allo Stato italiano; questa industria rimane invece dissestata perché le erogazioni di denaro dello Stato sono impiegate, come quelle precedenti, per salari insufficientemente produttivi: il solito circolo vizioso, per cui questa industria non vede alcun principio di reale risanamento.

Il Piano Marshall, su cui noi basiamo tutta la nostra politica non solo economica, ma anche estera, richiede che i cantieri lavorino, ma, onorevoli colleghi, non dimentichiamo che la manovra del credito – prescindendo adesso, per un momento, se debba essere prima quantitativa, come sulle orme dell’onorevole Einaudi io penso, e poi qualitativa – la manovra del credito, dunque, coincide con la patrimoniale.

Io credo che l’onorevole Einaudi abbia dato prova di altissima devozione al Parlamento, accettando un’imposta che egli riteneva troppo drastica. Ma, dopo un lungo periodo di tempo trascorso senza che alcun provvedimento strutturale fosse stato preso, bisognava pure prenderne uno duro, intransigente: e di fatto lo abbiamo preso. Voi però non potete, mentre viene preso un provvedimento così violento, prenderne insieme un altro altrettanto violento, senza, almeno, mitigarlo.

La manovra restrittiva del credito coincide con la patrimoniale, e coincide ancora con lo stato in cui sono tenute le Borse, perché alla patrimoniale non ha fatto seguito – come era pensabile avrebbe fatto seguito – un provvedimento sulle rivalutazioni. In mancanza di questo provvedimento, le Borse sono paralizzate, mentre qualsiasi provvedimento fosse preso la Borsa lo sconterebbe e poi ci passerebbe sopra, e riprenderebbe la sua tendenza naturale. Oggi è in attesa di qualche cosa. Ma nessuno prende questo provvedimento. Io mi domando se non lo si prende, perché si ha paura di essere criticati; evidentemente, in relazione alle Borse, dei Ministri sono stati ingiustamente criticati e non sono stati sufficientemente difesi. Ma questa non è una ragione perché ai provvedimenti si rinunci.

Se voi non prendete dei provvedimenti lenitivi, se voi prendete solo quelli restrittivi – o se, per lenitivo, intendete quello di erogare miliardi a fondo perduto – allora, non illudetevi che la distensione possa venire. Non illudetevi – in questo ha ragione l’onorevole Saragat – sulla liquidazione delle giacenze. Perché, dove si dovrebbero liquidare le giacenze a prezzi che fossero di sollievo, per il loro ribasso, per l’economia nazionale? Al dettaglio, evidentemente. Che importa se qualche prezzo all’ingrosso diminuisce, che importa se il professore Ronchi è in grado di dimostrarci che le punte massime dei prezzi all’ingrosso si sono raggiunte in maggio? Ma le punte massime dei prezzi al dettaglio si raggiungono quotidianamente. Andate in un qualsiasi ristorante a Roma e altrove, in un negozio di scarpe, ecc. e lo vedrete.

C’è una vischiosità dei prezzi evidente, per cui l’arresto dell’ascesa degli stessi all’ingrosso, non si riesce a tradurre in diminuzione dei prezzi al dettaglio. Questa vischiosità è data in parte dalla situazione internazionale, dal Piano Marshall stesso, che solo col suo annuncio ha già determinato un aumento dei prezzi su scala mondiale, in particolare di quei prodotti, di quelle materie prime che devono essere fornite dall’America all’Europa. Ci sono qui delle statistiche americane molto ben fatte sugli aumenti dei prezzi già determinati dal solo annuncio del Piano Marshall.

Però di questo parleremo dopo: qui voglio dire che esiste una situazione internazionale che rende vischiosi i prezzi. E poi, anche quando qualche materia prima sul mercato internazionale cede di prezzo, il rame, per esempio, o la gomma, forse che interviene un conseguente cedimento nel prezzo dei prodotti finiti di questi articoli: scarpe di gomma, per esempio, o rubinetti di rame nei negozi in Italia? Non c’è, evidentemente. E non c’è, perché c’è tutto un sistema di imboscamenti e viceversa di assegnazioni che interviene, di priorità; tutto questo falsa l’offerta e la domanda, le quali sole col loro gioco possono far diminuire i prezzi. Neanche una dittatura politica fa diminuire i prezzi, se non è aiutata dall’offerta e dalla domanda.

Dovrò parlare di questo più dettagliatamente, analizzando il discorso del professore Ronchi. Non dimenticate neppure il continuo aumento del costo della mano d’opera e dei contributi assistenziali, da cui poi, non trae nessun beneficio la classe operaia. Si dice in certe statistiche, che forse qualche Ministro farà osservare – quindi io lo prevengo – che, per esempio, il costo di un operaio chimico nel 1946 fu di 178 e nel 1947 di 500; si tratta di migliaia di lire annue. E quell’operaio vive tuttavia in condizioni di miseria e di fame; se non di fame, certamente di miseria.

Si dice che la gente fallirà in seguito ad una manovra qualitativa del credito troppo ristretta, troppo brusca, troppo violenta. Ma anche quando fallirà, non svenderà sotto costo al dettaglio; ci sarà qualche incettatore che comprerà i prodotti dal grossista fallito; qualcuno che – beato lui! – ha tesoreggiato, e poi al minuto rivenderà secondo quanto l’offerta e la domanda gli consiglieranno di fare: cioè in ascesa di prezzi, mai in discesa. Quindi i fallimenti di quelle piccole e medie aziende commerciali e industriali saranno stati inutili. In una situazione in cui tutti guadagnano del danaro, ma perdono in scorte, come volete che i prezzi possano diminuire, anche se provocate restrizioni del credito, fallimenti, ecc.; anche se ci mettiamo tutti a predicare che i prezzi devono diminuire?

Onorevole De Gasperi, questo prova che il Governo può non essere reso responsabile della mancata diminuzione dei prezzi; ma prova anche che il Governo non può dire: io faccio un Governo di colore senza i socialcomunisti perché questo mi fa diminuire i prezzi. Ha torto l’opposizione di estrema quando vi rimprovera l’aumento dei prezzi, ma avete torto voi quando volete rimediare all’aumento dei prezzi con manovre esclusivamente politiche, come quella di un Governo che ha voluto salvare la lira (così dice) facendosi di parte e poggiandosi sulla destra.

È con una politica economica, che si deve risanare la situazione.

Prendiamo il provvedimento dei 55 miliardi. Va bene, non è venuto davanti alla nostra Commissione delle finanze e tesoro, non abbiamo potuto decidere se mandarlo alla Costituente o no. Nulla d’importante viene alle Commissioni. Quali sono i provvedimenti che vengono alle Commissioni? Quelli con cui si tratta di rivedere i prezzi dei lavori pubblici per erogare qualche decina di milioni di più perché gli appaltatori dicono che se non ricevono aumenti, non possono effettuare i lavori presi in appalto. Quelli sono i provvedimenti che ci mandate; o quando, come l’altro giorno, date alla spicciolata un miliardo di lire all’I.R.I. o quando sanate la storia contabile (non quella economica) dei 38 miliardi dati alle industrie nel 1944-46. Certo vi deve essere una sanatoria contabile, ma la storia contabile conta meno del provvedimento che prendete dei 55 miliardi.

Noi dovremmo discutere questo provvedimento, e non le buone o cattive intenzioni del Governo di fare diminuire i prezzi.

Questo provvedimento certamente è una manovra qualitativa, una manovra qualitativa che è fondata. Sono ben prese anche le cautele contro coloro che già si lanciano all’arrembaggio e prendono questo provvedimento per una vacca da mungere. A questo proposito l’onorevole Einaudi ha difeso benissimo gli interessi dello Stato. Vorrei anzi dire che li ha difesi troppo bene: infatti l’articolo 5 di quel provvedimento che prende le misure restrittive (ed è bene che le prenda) è troppo restrittivo. Quando voi domandate agli industriali che vi cedano la valuta che ricavano dall’esportazione, voi comprate a termine delle valute. Ma a quale corso? Qui la legge non è chiara, perché di corsi ce ne potrebbero essere tre. Il decreto è a questo proposito sibillino. Ci potrebbe essere il corso medio ufficiale (ma speriamo di no); c’è il cambio di esportazione di oggi (ed è probabile che pensiate a questo) o il cambio d’esportazione della giornata in cui gli esportatori incasseranno (ed è probabile che pensiate anche a questo). Ma ci potrebbe essere un terzo corso, e gli industriali non sono del tutto privi di senso pratico e, quindi, di giustificazione, quando vi dicono che il terzo corso è il vero, è cioè quello che risulta dal rapporto dei costi di produzione dei Paesi a cui dobbiamo esportare o con cui ci troviamo in concorrenza; mentre il cambio del dollaro a 650 è artificiale, risulta dal fatto che il Ministro del commercio estero concede o meno delle licenze.

Perché gli industriali dovrebbero cedere la valuta, al corso fittizio che il Ministro Merzagora e i suoi successori determineranno in base ad un rilascio di licenze di esportazione? Quindi mentre avevate la giusta esigenza di difendervi contro i rapaci sfruttatori dello Stato, anche qui siete stati troppo ristretti. In questo modo non smonterete la campagna dei grandi industriali, campagna che non cesserà perché, per la nostra debolezza, questi signori sono in posizioni di potenza.

L’altra debolezza del provvedimento, che bisogna vedere nei dettagli, l’altro freno eccessivo riguarda la cessione di azioni, partecipazioni e via dicendo. Voi non potete rivolgervi all’industria finché non avrete risolta la questione della rivalutazione. Perché oggi il conguaglio monetario è di 5 e non di 25 supponendo che la circolazione monetaria sia aumentata di 25? Finché voi non adottate un provvedimento definitivo che abbia le sue ripercussioni sull’aumento di capitali e sull’andamento delle borse, la gente logicamente diffida, e più è ricca, più diffida.

Voi dovete quindi risolvere la questione delle rivalutazioni da un lato e la questione del 4 per cento dell’imposta di negoziazione. Allora potrete esigere azioni, partecipazioni, in cambio dei 55 miliardi. Prima di fare ciò, non fronteggerete la speculazione politica condotta contro di voi da quella destra economica sulla quale avete voluto poggiare il vostro governo. Questa è la situazione reale. Ed allora ecco i voti che bisogna fare:

1°) Non si faccia come fa il Primo Ministro britannico Attlee, il quale, in una situazione di crisi diversa dalla nostra, ma forse non meno grave, accusa soprattutto la mala sorte. Tenete in conto quello che gli rimprovera, quando egli fa discorsi paragonabili a quelli di De Gasperi, l’Economist, il quale dice che c’è stato l’inverno duro, che c’è stato l’aumento dei prezzi americani, ci sono state tutte le cose che sappiamo: conflitti diplomatici, urto fra Russia e America, ma ci sono stati anche gli errori del Governo. E come l’Economist, che rappresenta un po’ l’opinione media in Inghilterra – favorevole anche alle socializzazioni – rimprovera ad Attlee di dilungarsi solo sui mali e sui guai e di non parlare delle misure da prendere contro i propri errori, di parlare dei mali della natura e della politica di potenza dell’America e della Russia, ma di non parlare dei rimedi da prendere contro le proprie deficienze e le lacune del suo Governo, così dobbiamo parlare noi al Governo italiano.

Il Paese chiede a voi, onorevole De Gasperi, di parlarci o di far parlare i Ministri sui provvedimenti da prendere per rimediare ai vostri errori o a quelli dei Governi che vi hanno preceduto. Questa è la prima condizione del risanamento. Finché non si rompe il circolo vizioso psicologico per cui la colpa è sempre dell’inondazione, della mancanza di elettricità, degli scioperi di minatori americani, e non è mai nostra, non si concluderà nulla di durevole. Si deve parlare delle deficienze nostre; e se a queste non poniamo rimedio, non c’è salvezza.

2°) Fino a quando non si riesce a stimolare l’accumulazione del risparmio – credo di aver sodisfatto l’onorevole Uberti – non bisogna forzare produzioni indiscriminate. Non basta produrre di più: questo occorre, ma non basta. Perché produrre di più in condizioni fallimentari ed antieconomiche, aggrava la crisi invece di risanarla. Sì, la produzione è elemento fondamentale, ma al fianco di essa bisogna vedere la formazione e l’afflusso produttivo del risparmio. Non basta naturalmente che il risparmio si formi: bisogna che questo risparmio affluisca effettivamente all’attività produttiva: e c’è un «iatus» che l’onorevole Einaudi mi sembra non sempre abbia colmato, anche dal punto di vista tecnico. Altri, come gli inglesi, gli svedesi e i norvegesi si sono sforzati di colmarlo.

Bisogna pensare che l’aumento di produzione può essere una parola d’ordine soltanto nella misura in cui ci sono provvedimenti atti a stimolare l’accumulazione di risparmio.

3°) Controllo dei cambi. La questione mi pare arcimatura. Spero che il Ministro Merzagora ci dirà cose definitive, perché mettere il dollaro a 350 e dare ai lanieri il 70 per cento sono tutti palliativi, che non sanano la malattia. Come sono fuggiti decine di milioni di franchi svizzeri e di dollari, ne fuggiranno ancora degli altri.

MERZAGORA, Ministro del commercio estero. Sono centinaia di milioni di dollari.

VALIANI. Io pensavo che fossero da 80 a 90 milioni di dollari, oltre ai franchi svizzeri, Però ammetto senz’altro che abbiano ragione gli onorevoli Dugoni e Merzagora, cioè che siano fuggiti centinaia di milioni di dollari. Tanto peggio! Si tratta adesso di farli rientrare: finché non li fate rientrare, l’emorragia non cesserà. La fuga non cesserà, qualsiasi provvedimento voi prendiate, se voi non determinate un cambiamento di rotta tecnico e psicologico per cui i dollari ed i franchi oro già fuggiti comincino a rientrare. Bisogna che il congegno tecnico e l’atmosfera psicologica sia tale che qualcuno cominci a far rientrare i suoi dollari, indipendentemente dalla minaccia dei carabinieri. Allora, forse, arresterete le ulteriori fughe. Ora, come si fanno rientrare i dollari? Del franco valuta, per esempio, se ne parla molto. Non si allarmi il Ministro Merzagora. Ho letto articoli su giornali che dicono di difendere la sua politica: sul Popolo e sull’Italia Nuova. Io non vorrei dire che siano cose non sensate; non sempre mi paiono però tecnicamente efficienti; e chiedo delucidazioni al Ministro.

Vogliamo esaminare la questione del franco valuta, così tipica del modo di governare in Italia, dopo la liberazione. Per un anno e mezzo è stata condotta un’eroica quanto vana lotta contro i mulini a vento del franco-valuta. Si era detto: è un pericolo, perché gli speculatori fanno rientrare in Italia i dollari e i franchi svizzeri, accumulati illecitamente. Quindi, eroica lotta contro questo terribile nemico.

Risultato: il franco-valuta è ufficialmente ammesso soltanto se è di fondi costituiti prima del marzo 1946; ma basta andare in galleria, aspettare qualcuno, il quale domanderà se vogliamo dollari. Gli si dirà: voglio del franco-valuta. Quello ci conduce presso una banca privata o un istituto religioso, si conclude del franco-valuta con tutti i crismi legali.

Dunque, eroica e inutile lotta. Ma il franco-valuta, con le sue evasioni, rappresenta ancora il pericolo minore; perché con esso i dollari, che escono da qui, tornano in forma di merci, il che è sempre un vantaggio, rispetto ai dollari che restano nascosti in Italia e non contribuiscono alla riserva della circolazione cartacea, o che restano in Italia. Quindi, questa lotta è una lotta contro i mulini a vento.

Si combatta pure contro una depravazione del costume e contro un modo di frodare il fisco. Ma si tratta di una depravazione che, paragonata ad altri modi, porta dei benefici, perché almeno tornano i dollari in forma di merci quando il Ministero autorizza delle importazioni in franco-valuta.

Se il Ministro Merzagora dirà che attenua le restrizioni poste al franco-valuta, io dirò che è uomo di buon senso; però questo è ancora insufficiente. Non si illuda di poter sanare la situazione soltanto con l’abolire la inutile lotta finora condotta contro i mulini a vento. È insufficiente tutto ciò, anche se mette la clausola che il 35 per cento dei viveri importati col franco-valuta deve passare allo Stato. Perché, o c’è statalismo completo, e quindi monopolio del commercio estero, oppure bisogna tener conto degli interessi dell’esportatore e dell’importatore. I prezzi dei viveri sono in aumento sui mercati mondiali, dappertutto; volete che l’importatore di viveri ceda allo Stato il 35 per cento della sua importazione? Può farlo. Ma a quale prezzo?

Se fissate un prezzo che non dà sufficiente guadagno all’importatore, questi presenterà le sue importazioni in modo tale, che il guadagno ci sia.

Quando lasciate la libertà all’individuo, dovete lasciargli una libertà che si confaccia alla natura psicologica dell’individuo; il quale non fa delle operazioni per aiutare il Governo o il Paese, ma per dare un guadagno alla sua azienda; e non può fare diversamente.

Se perciò voi volete col commercio estero aiutare a risolvere la situazione dei prezzi in Italia, dovete prendere altri provvedimenti oltre a quello di autorizzare il franco-valuta. Questa autorizzazione va bene in quanto liquida una situazione ridicola, ma non è un vero rimedio. Quali sono i veri rimedi? Sono due: l’uno abbinato all’altro.

Il primo è di mettere il cambio ufficiale del dollaro e delle altre valute al livello del loro corso sul mercato libero. (Io non parlo del cambio di esportazione che create voi con le licenze). Ebbene quando avrete adottato questo provvedimento e lo avrete fatto in forma tecnicamente adeguata, voi vi sarete messi in grado, in diritto, direi, di esigere le valute stesse. Non avrete più bisogno di dare il 30, 50, 70 per cento di valuta agli esportatori, ma potrete chiedere loro il 100 per cento della valuta, se la pagate al suo prezzo effettivo sul mercato corrente e tenuto conto del confronto dei costi e dei prezzi delle esportazioni dei vari Paesi.

Naturalmente sarà un’operazione difficile, perché c’è gente che tiene all’estero della valuta, non soltanto perché ci guadagna ma anche per una paura politica, per la paura di una guerra. Dovete trovare il sistema di fare in modo che le valute che comperate possano non rientrare totalmente in Italia. Lasciate all’estero un fondo che garantisca quelli che vi vendono delle valute all’estero. Vi sono esempi di banche private che fanno questo, banche dell’Europa centrale che in una situazione di instabilità monetaria e di instabilità politica acquistano all’estero valuta e solo in parte la fanno rientrare, perché se la facessero rientrare tutta, nessuno gliela venderebbe. È un problema che bisogna vedere con puri criteri tecnici, indipendentemente dalle speculazioni dei giornali di estrema sul corso del dollaro e via dicendo. Poi, destinate la parte delle valute così acquistate all’importazione di generi alimentari, è lo Stato che deve importarli se vuole ridurre i prezzi. Deve importare e deve fare quello che Schacht e Darré chiamavano «aufkaufen und manoevrieren». Non c’è una parola italiana equivalente che possa tradurre bene la frase tedesca: comperare in blocco e manovrare con quello che si è comperato. Lo Stato deve manovrare con le sue forze economiche. Questa è l’unica azione efficace sebbene adottata dai nostri nemici, per deprimere i prezzi. Carabinieri, guardie del popolo od altro in materia servono a nulla. È lo Stato che deve manovrare economicamente. Lo Stato vende le merci quando vuole deprimere i prezzi, perché se volete portare – come penso che il Ministro Merzagora voglia fare, anche se non oserà, perché si governa ancora così, farlo adesso – il cambio di esportazione e di importazione al suo livello reale, a 700, 800 o 900 per dollaro, dovete accompagnare questa operazione con manovre statali di tale natura. Studiatele! Ma una cosa se si inizia va accompagnata e seguita fino in fondo. Il Governatore della Banca d’Italia la inizi e la porti fino in fondo, arrivando fino al procuratore di un’agenzia qualsiasi di una banca in una via periferica di Milano, di Torino e di Genova, che ha da fare con coloro che producono e commerciano. Voi dovete vedere le cose dal punto di vista del Governatore della Banca d’Italia, ma anche dal punto di vista del procuratore di quella piccola agenzia di Banca di una via periferica milanese, torinese o genovese.

Evidentemente questo crea grossi problemi: tra cui una stanza di compensazione nazionale. Cosa faranno gli importatori che dovranno comperare dallo Stato le divise ad un cambio superiore di parecchio, del doppio forse, di quello che oggi pagano allo Stato. È la stanza di compensazione nazionale che dovete creare. Anche per questo vi occorre avere un minimo di riserve all’estero.

Quarto rimedio che dovete prendere in considerazione: la direzione del credito, quantitativa o qualitativa, sia bensì connessa con l’importazione e l’esportazione, come dicevo un momento fa, ma sia connessa, anche, come si fa oggi in Norvegia, con ordinazioni statali a certe industrie che sono obbligate a dar loro esecuzione. Non è il piccolo contadino, ma la grande industria che si può controllare. Queste ordinazioni statali si vigili che siano eseguite rapidamente, e naturalmente, lo Stato deve pagare dei prezzi remunerativi.

Tutto questo va visto indipendentemente dalle questioni elettorali. Se gli autisti di Roma vi chiedono della benzina perché si avvicina il 12 ottobre, e voi date un po’ di benzina in più perché questo fa bene alle elezioni, il vostro operato non è invece scevro da con siderazioni elettorali, e così non affrontate la situazione reale.

Si dirà che tutto ciò significa che il torchio non smetterà di lavorare. Onorevoli colleghi, forse che il torchio ha smesso di lavorare? No, non ha smesso di lavorare. La questione è soltanto questa: 1°) entro quali limiti può lavorare il torchio, e su questo punto l’onorevole Einaudi ci dà tutte le garanzie, e nessuno più di lui potrebbe dare garanzie più sicure; 2°) in cambio di che cosa lavora il torchio? Se lavora per sussidi che vanno subito in salari, in una situazione in cui la domanda ha ancora tendenza a sempre superare l’offerta, ogni emissione genera un aumento corrispondente dei prezzi. Fate invece lavorare il torchio soltanto contro qualche cosa la cui ripercussione sui prezzi sia molto più lunga. Questo è possibile. Se non fosse possibile, la teoria quantitativa della moneta sarebbe vera e sarebbe falsa quella della domanda e dell’offerta. C’è la possibilità: comperate valuta dagli esportatori ad un prezzo che ve la possono vendere e non li obbligate ad imbrogliarvi; comperate merci facendo ordinazioni statali alle industrie; insomma, dirigete l’inflazione. Nessuno può chiedervi, e vi illudete, se lo credete, di poter fare la deflazione, o anche semplicemente fermare sic et simpliciter l’inflazione, ma dovete dirigerla, per contenerla. Da tre anni non ci si vuol risolvere a dirigerla, perché non si vuole affrontare nessun provvedimento strutturale, e si adottano sempre i soliti espedienti.

Poi, verrà la questione del prestito di stabilizzazione estero, ma più in là. Più in là verrà pure la questione che pone il Presidente della Confindustria (lui la pone con uno scopo politico che mi trova suo oppositore): cioè trasferire la capacità di acquisto da un settore ad un altro che possa risparmiare. Verrà la questione del cambio della moneta; si rimporrà, onorevole Einaudi. Si tratta soltanto di vedere se darete la nuova moneta contro la vecchia moneta, sia pure in parte svalutata, oppure darete dei pezzi di carta.

Chiarite i rapporti tra il Tesoro e la Banca d’Italia. Chiariteli in modo che, se non nel 1948, almeno nel 1949 possiate chiedere un nuovo prestito all’interno, che oggi non potete lanciare.

Che cosa importa la votazione qui? Ve la dà il Paese, al quale non potete chiedere, in una situazione del genere, un prestito interno. Ecco la votazione.

Conclusione su questo punto: ci vuole l’onorevole Einaudi; non dico che ci voglia sempre nel Governo perché tanto, nel Governo, porta gli stessi criteri della Banca d’Italia, ma ci vuole l’onorevole Einaudi alla Banca d’Italia. Che poi sia anche Ministro del bilancio e Vicepresidente, questo, in fondo, è una questione di divisione del lavoro. Io voterò a suo favore se rimane, pur votando contro il Governo.

Una voce al centro. Ma come fa?

VALIANI. Però l’onorevole Einaudi non basta da solo: accanto a lui ci vogliono uomini che non si limitino ad assecondarlo e magari a tenere per sé le loro violente obiezioni, ma che facciano essi quella manovra più larga monetaria e di commercio estero. Che abbiano il coraggio di farla, perché il Ministro Merzagora ne ha la capacità, ma non basta la capacità…

Qualche volta si sono presi questi uomini dal mondo della industria o della finanza. Niente di male. Mussolini ha trovato Beneduce ed altri, che evidentemente sapevano il fatto loro. Trovateli dove volete, nel mondo della politica o fuori d’esso, non importa, però fate in modo che abbiano diritto di agire, essi, senza aspettare che il Presidente del Consiglio abbia terminato di riflettere sulla utilità delle dilazioni. Perché se il Presidente del Consiglio non viene scosso, continua a dilazionare. Crea una partecipazione di sinistra, poi una di destra: ha il genio delle combinazioni.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non sono combinazioni geniali, sono necessità. Se potessi farne a meno, ne farei.

VALIANI. Ho già detto che riconosco in lei un vivissimo senso dello Stato che è superiore agli interessi particolari, ma quando scende da questa sua forza morale e scende sul terreno dei provvedimenti effettivi, allora si ritrova nelle combinazioni.

C’è da mettere in crisi tutta la politica finora seguita dei debiti, dei rimedi, degli espedienti e farne un’altra. Non dire che l’abbiamo messa in crisi in giugno; in giugno avete continuato la politica precedente; siete andati avanti come prima, aggravandola con qualche intemperanza dell’onorevole Scelba e dell’onorevole Gonella. Contro di voi sono all’opposizione dal 1945.

Vengo al professore Ronchi. Il professore Ronchi ha detto molte cose giuste. Ci ha detto che nel campo del grano manovriamo. Professore Ronchi, finora avrete manovrato, ma finora i risultati sono negativi. I risultati finora si vedono dalle bancherelle di pane bianco che sono in via della Croce, in via del Babuino, di fronte al vostro Ministero, da per tutto. E i prezzi aumentano sempre.

Voi dite che questo prova che la politica che voi seguite è dura, e quindi costringe i prezzi del mercato nero all’aumento per l’accresciuto rischio.

Onorevoli colleghi, è diventato più pericoloso vendere il pane bianco a Roma? Lo si vende con la stessa facilità. Se, uscendo, vogliamo andare a colazione insieme, io vi posso portare dove si vende il pane bianco; non parliamo poi dei ristoranti.

Non è vero, quindi, quello che dite, che l’ascesa dei prezzi sul mercato nero prova soltanto che voi fate delle restrizioni…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ha detto perché il raccolto è stato scarso: questa è la ragione fondamentale! (Commenti).

VALIANI. Io ho preso appunti del suo discorso, anche perché ho altissima stima del professore Ronchi, un tecnico che ha collaborato con noi durante la guerra partigiana e che ci ha dato il massimo ausilio alla vigilia della liberazione e dopo. Però questo fatto non toglie nulla alla critica. Si è anche parlato dello scarso raccolto e ne parlerò anche io, nei riguardi della politica estera. Ma il professore Ronchi ha anche affermato che i prezzi vanno su anche dove e nei settori nei quali non c’è stato uno scarso raccolto.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Precisamente perché la deficienza del grano porta come conseguenza un aggravio sugli altri prodotti.

VALIANI. I prezzi delle uova, per esempio, dei prodotti ortofrutticoli, delle galline, della carne, ecc. Perciò avete anche detto che i prezzi vanno su perché è più rischioso venderli al mercato nero. Sullo scarso raccolto del grano avete ragione, ma sulla questione del rischio, no. Né io vi proporrò di mandare in giro poliziotti. Mandateli pure in giro, se li avete, e, se non li avete, forse la colpa è dell’onorevole Scelba che li adopera per lacerare manifestini.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ci sono state 200 contravvenzioni, a Roma soltanto!

VALIANI. Del resto, noi abbiamo aumentato l’organico della Guardia di finanza: speriamo che avrà risultati benefici!

Fate pure; però la situazione non si risolve con questi mezzi.

Questione del contingente. Anche qui, quali sono i prezzi? se volete che si produca più grano, occorre stabilire un prezzo equo per gli agricoltori.

Il piano francese fatto da Fanguy Prigeant, un socialista, batte in sostanza la stessa strada della battaglia del grano. In Francia quest’anno sono stati seminati a grano 3,3 milioni di ettari; l’anno prossimo si vuole che siano seminati 5,3 milioni di ettari. È un’impresa molto ambiziosa, una vera e propria battaglia del grano, speriamo senza il bluff che l’accompagnava da noi. Comunque, anche da noi c’era qualche cosa da imparare in proposito. Ma a ciò si richiedono sementi, concimi, trattori. Di queste cose, della manovra del Governo per assicurare queste cose, parlateci e mettetele maggiormente in rilievo in confronto ai guai dei mercati mondiali, che tutti conosciamo.

Non sappiamo cosa faccia il Governo, sappiamo solo cosa dice: seminate più grano. Noi supponiamo che faccia moltissime cose. Certo le farà. Ma chiediamo che ci spieghi quali sono i provvedimenti che intende adottare. Il Governo francese dà atto di questo; io penso tuttavia che la politica alimentare generale di Ramadier sia stata finora sbagliata come la nostra, anche se è vincolista in confronto alla nostra, definita liberista. È sbagliata perché fa conto sulla polizia, e il contadino sconfigge tutte le polizie. La polizia fa del bene in determinati settori, ma non contro i piccoli produttori indipendenti, per le ragioni ovvie che potete trovare in tutti i testi, da Adamo Smith a Carlo Marx. Questa è la realtà di tutti i Paesi, in tutti i regimi politici: in Inghilterra, in Francia, in Russia, dappertutto. La polizia, per queste cose, non va bene. All’agricoltore non si deve mai imporre, come fu imposto all’inizio dei Governi di guerra, i prezzi con la polizia; questa impostazione di agire con la polizia sui prezzi agricoli ha viziato la situazione sotto ogni aspetto e in ogni suo settore, portandoci sull’orlo del fallimento.

Calcolate, domandate che cosa ci vuole perché il contadino produca più grano o più bestiame: questa è la questione. La questione dei contingenti è giusta solo se la vedete sotto tal punto di vista; in caso contrario, invece, si può star certi che i contingenti falliranno come è fallito il tesseramento, come fallirebbe quello differenziato.

Il professore Ronchi, che è un maestro in questa materia, dovrebbe pungolare il Presidente del Consiglio continuamente su queste questioni.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Le manderò il testo del discorso che ho tenuto ai tecnici agricoli.

VALIANI. Bene. Io purtroppo ho letto solo quello del Presidente del Consiglio, del quale sono dolente di dover dichiarare che non son rimasto soddisfatto, perché vi ho trovato una mentalità che non mi ha per nulla convinto. Si parla in esso di vincolismo e di liberismo e di strada di mezzo fra i due sistemi; ma quel discorso, a mio giudizio, ripete ancora quello che è stato l’errore fondamentale di tutti gli uomini di Governo che si sono succeduti da Mussolini in poi: l’errore di voler difendere a tutti i costi il proprio Governo. Ma lasciate da parte simili preoccupazioni: cosa vi importa se vi criticano? Voi non fate che interessarvi di quello che scrivono i giornali dell’opposizione: cosa scrive l’Unità? Cosa scrivono i giornali di destra? L’onorevole De Gasperi ha fatto dei progressi: si occupa solo dei giornali di Roma, mentre Mussolini si occupava di quelli di Parigi. Ma non vi occupate di queste cose.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio del Ministri. Io non ho fatto nessuna polemica con l’opposizione: che testo ha in mano lei?

VALIANI. Ma lei ha parlato di vincolismo e liberismo e di altre cose del genere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è vero nemmeno questo.

VALIANI. Queste cose io non le dico perché voglia determinare qualche voto di più contro di lei: non ne ho la forza, e comunque userei allora altri argomenti. Voglio soltanto richiamare la sua attenzione sul fatto che, nonostante vi sia un autentico tecnico al Commissariato per l’alimentazione, noi non siamo ancora sulla via del risanamento in questo settore. Come affrontate voi la situazione? Qui si dovrebbe parlare di sovvenzioni: ecco dunque perché io vi parlo di politica economica generale.

È stato chiesto al Ministro dell’agricoltura nella Commissione delle finanze e del tesoro: questi sei miliardi che oggi vi concediamo, come li spenderete? È stato risposto: noi manderemo in giro degli ispettori, che ripartiranno questa somma ad occhio e croce. Noi stiamo facendo tutto ad occhio e croce da parecchi anni; e lo faceva Mussolini prima di noi, anche se nella sua battaglia del grano qualche elemento non approssimativo c’era; bisogna riconoscerlo.

La mia conclusione è semplice: fate una politica alimentare economica; lasciate da parte le polemiche sul vincolismo e il liberismo; occupatevi di come vengono spesi i sei miliardi e di come saranno spesi i miliardi successivi, e venite a dircelo. Questa è la questione; il resto è accademia.

E veniamo alla politica estera.

La nostra politica estera è talmente illusoria, onorevoli colleghi, che abbiamo potuto persino vedere dei rallegramenti tra gli uomini responsabili di essa, per il fatto che la Russia ha ratificato il trattato di pace. È vero che poi ci si accorse e si disse che questo rappresenta una mutilazione dolorosissima per tutti noi; ma rimase la convinzione che questa ratifica significasse una distensione e un contributo alla pace. Non è stata né una distensione né un contributo alla pace, né da una parte né dall’altra.

Se la Russia non aveva ratificato in un determinato momento, non era già perché volesse nuocere alla pace, e se ha ratificato in un momento successivo, non è perché voglia giovare alla pace. Guardate, essa ha una sua politica estera; magari l’avessimo anche noi; non quella, s’intende, della Russia, ma una altrettanto efficace e coerente: anche i piccoli Paesi, e noi non siamo un piccolo Paese, devono avere una loro politica estera coerente. In ogni modo, la ratifica da parte della Russia è venuta in ritardo per permettere a questa di giocare sulla questione dell’O.N.U. Io lo avevo predetto al conte Sforza. Il ritardo dei Russi è dovuto a questo: che essi non potevano affrontare la questione dell’ammissione dei paesi ex nemici all’O.N.U. se non con l’arma del ritardo della ratifica, della loro ratifica, perché la nostra non contava, come non doveva contare. In agosto i russi non potevano, data l’imminenza delle elezioni ungheresi, sostenere, come avevano interesse a sostenere, l’ammissione dell’Ungheria nell’O.N.U. Si tratta di voti: un Paese nell’O.N.U. vota in un senso, un altro in un altro. Disgraziatamente è così, e l’unico rimedio sarebbe se un Paese prendesse l’iniziativa di dire: io voto secondo i miei interessi, e non per questo o quel blocco.

Cosa ci dice a proposito di questa lotta in corso, all’O.N.U., l’intransigenza russa? Domani nel pomeriggio ci sarà la decisione; è stata respinta una proposta di deferire la questione ai cinque «Grandi». Questo forse ci giova. Forse domani nel pomeriggio ci potrebbe anche essere la nostra ammissione, forse barattata con quella della Finlandia, forse con quella dell’Ungheria. Forse saremo respinti.

Quale è l’atteggiamento del Ministro degli esteri? Ecco quanto scrive il Momento Sera, giornale diffuso a Roma (se qualcuno ha letto questa mattina la smentita di Palazzo Chigi, mi interrompa):

«Il portavoce di Palazzo Chigi, interrogato a proposito del dibattito che si svolge oggi al Consiglio di sicurezza circa l’ammissione dell’Italia all’O.N.U, ha dichiarato che l’Italia ha seguito con molta attenzione le varie fasi, ecc.»: e questo si intende; ed ecco le parole testuali:

«Le parole del Ministro Bidault circa l’apporto essenziale e necessario dell’Italia alla organizzazione della pace nel mondo sono state giustamente apprezzate dal Governo italiano. L’Italia ha ora tutti i requisiti per essere ammessa: secondo quanto contempla lo statuto delle Nazioni unite, l’Italia ha ben dimostrato di avere un Governo democratico e amante della pace per aspirare alla ammissione. Ma si sono visti – udite! – in questi ultimi giorni, mercanteggiamenti poco simpatici e soprattutto contrari alle finalità ed ai principi stessi dell’O.N.U; la nostra ammissione verrebbe compromessa se insieme con noi non entrassero all’O.N.U. Paesi che, a torto o a ragione, sono considerati dalla maggioranza dell’Assemblea come diretti da Governi non sufficientemente democratici».

Il portavoce autorizzato del Ministero degli esteri in una situazione in cui, domani nel pomeriggio, occorre che la Russia receda dal suo veto, perché, altrimenti, noi non saremo ammessi, prende posizione per la tesi americana propagandistica in una questione che maschera il conflitto sostanziale fra Russia e America. Cosa credete che quelli prendano per buone le parole che dicono, cioè, le parole che l’America dice sui Paesi non democratici? Ma che credete che l’America non sappia che in Turchia non c’è democrazia? Credete che il Generale Marshall, il quale ha fatto un rapporto terribile sulla politica cinese (ed un altro rapporto ha fatto ora il generale Weydemasser) credete che non sappia quanto sia manchevole lì la democrazia, anche se il cinese è un popolo eroico che ha lottato contro gli oppressori giapponesi e nazisti? Volete che la Russia non sappia che non c’è democrazia in Albania? Certo che lo sa.

Ma gli americani questo lo fan credere, perché così giova alla propaganda americana. Se voi sposate le tesi della propaganda americana, è logico che la Russia vi consideri acquisiti all’altro blocco.

È questo il punto fondamentale. La questione dell’indipendenza. Questo è fondamentale! Non la democrazia! Scusate, lasciatelo dire a me che sono militante democratico.

La questione fondamentale è: chi evacuerà per primo i Paesi occupati, chi evacuerà per primo la Germania, e in quali condizioni? Questo è il sostrato delle liti all’O.N.U.; e allora, perché noi facciamo finta di credere (se poi non facessimo finta, allora saremmo veramente degli sciocchi!) alla propaganda anglo-americana che per sue ragioni polemizza contro i mercanteggiamenti dei russi? Senza mercanteggiamenti non si fa politica! Diversamente, è meglio che andiamo ad insegnare in un collegio di educande! È logico che un Paese faccia i mercanteggiamenti che gli convengono. L’America dice che non c’è democrazia in Ungheria. In sostanza con questo vuol dire solo che in Ungheria ci sono ancora truppe sovietiche. L’Ungheria ha sette secoli di storia parlamentare, l’Ungheria è un nobile Paese di tradizioni parlamentari; ma tuttavia mai, fuorché nel 1905, un’opposizione riuscì a vincere le elezioni in quel Paese. Ma dobbiamo perciò concludere che l’Ungheria non è degna di sedere nel consesso dei Paesi civili? Ogni Paese ha una situazione particolare.

Delle elezioni attuali in Ungheria l’onorevole De Gasperi non dovrebbe lamentarsi perché i due partiti della democrazia cristiana magiara (quello più grosso capeggiato dal Gonella ungherese e quello più sottile capeggiato dal Gronchi ungherese) hanno riportato insieme il 25 per cento dei voti mentre il partito comunista ne ha riportato il 22 percento. Ci saranno stati anche soprusi e trucchi elettorali, come descrive in dettaglio un giornalista liberale, il quale del resto dichiara di non essere mai stato in Ungheria. Può darsi benissimo. Ma non crediate che l’America, la quale non ha mai protestato contro l’ammissione dell’Ungheria alla Società delle Nazioni, quando in Ungheria c’era il voto ristretto e palese, non crediate che protesti per ragioni di democrazia: protesta solo perché non vede ancora evacuato il paese dalle truppe russe, protesta solo perché vi sono contingenti russi anche in Ungheria. Si tratta dunque di un conflitto strategico. Perché dite dunque che noi respingiamo i mercanteggiamenti e ci facciamo giudici degli altri?

Onorevole Sforza, lei stamane doveva fare smentire queste insinuazioni così delicate!

Io spero che domani ci sarà l’ammissione dell’Italia all’O.N.U. Può darsi che la Russia all’ultimo momento valuti giustamente il peso di 46 milioni di italiani; ma se saremo ammessi, sarà solo per questo, e non perché il principio democratico valga all’O.N.U.

Vi credeva Wilson, ma quando si è mai visto nella realtà che i rapporti fra le grandi Potenze sono regolati dal principio democratico?

Quando l’ideale degli onorevoli Einaudi e Sforza ed anche il mio, degli Stati Uniti d’Europa e del mondo intero, sarà realizzato, allora sì, avremo democrazia internazionale.

Per il momento parliamo delle cose che esistono, dei conflitti strategici fra le grandi potenze davanti alle quali dobbiamo dare l’impressione di essere assolutamente indipendenti. Se domani la Russia votasse la nostra ammissione all’O.N.U. sarebbe in parte per una certa pressione del blocco americano, in parte perché potrebbe aver valutato che la situazione in Europa è tale che non le convenga avere un altro paese ostile. Su questo gioca il voto. Non potevate credere che ci si ammetteva all’O.N.U. semplicemente perché avevamo firmato il Trattato di pace. Forse domani saremo ancora respinti all’O.N.U.

Vediamo un po’, chi dei nostri Ministri è andato a Mosca? Un ottimo ambasciatore. Io lo difenderò, non come ambasciatore, perché io non lo conosco come tale, ma come uomo politico.

NITTI. Come fautore dell’autonomia della Val d’Aosta ha aperto la via al disastro dell’Italia.

VALIANI. Quando c’è la questione dell’O.N.U. si mandino in giro due, tre uomini politici per persuadere Vishinsky e dimostrargli che noi non voteremo sempre con gli americani, se fossimo ammessi. La questione è tutta qui. Spieghiamoglielo perché alla Russia non importa sapere ciò che noi pensiamo della democrazia in Ungheria, però le preme moltissimo di sapere come voteremo, una volta ammessi nell’O.N.U., perché questo sarebbe un indice del grado di adesione del nostro Paese ad un blocco strategico contro un altro blocco strategico.

Molte cose io dovrei ricordare al Ministro degli esteri. Per esempio, abbiamo firmato il Trattato di Pace, ma come ci presentiamo alla Conferenza delle colonie? Per esempio, l’Inghilterra, che ha voluto la ratifica del nostro Trattalo di pace, sulla questione delle colonie si potrebbe mettere d’accordo con la Russia.

Si delinea forse un certo distacco dell’Inghilterra, su certe limitate questioni, dall’alleanza americana e si delinea qualche flirt con la Russia. Potrebbero forse mettersi d’accordo per le nostre colonie, mentre invece è interesse dell’Italia che la Russia ci sostenga nei confronti dell’Inghilterra per le colonie così come era evidente l’interesse nostro che l’America ci sostenesse nella questione di Trieste nei confronti della Russia.

Trattati di commercio. È vera l’informazione che ho, che tutti i nostri trattati di commercio sono andati a male, o se non sono andati a male, non rendono? Ci sono trattati di commercio che danno buoni risultati? Questo desidererei sapere. O è vero invece che tutti i trattati di commercio, nessuno eccettuato, non hanno dato buoni risultati? C’è un trattato violentemente attaccato dalla stampa, quello con la Jugoslavia. Vi è anche un altro trattato, pure attaccato dalla stampa, quello, ancora in elaborazione, con l’America. La stampa ha il diritto di attaccare. Ma bisogna rispondere, signor Ministro degli esteri.

Piano Marshall. Io approvo completamente il Ministro degli esteri quando aderisce al piano Marshall, però tenete conto di alcuni elementi. Primo, della natura stessa del piano Marshall che è tale per cui, appena si annuncia, fa aumentare i prezzi delle merci che ci saranno fornite. Esistono ormai le statistiche americane che fanno temere una situazione come quella per cui il prestito all’Inghilterra è diminuito di valore perché i prezzi sono andati su.

Non dimenticate che anche in America c’è una situazione di inflazione, anche se diversa dalla nostra.

Secondo: la tendenza determinata nella economia mondiale dal piano Marshall è tale che i prezzi delle nostre esportazioni hanno tendenza a diminuire. Questo abisso che c’è fra esportazioni americane ed europee non è facile a colmare. Questa non è una ragione per non aderire al piano Marshall, ma per aderirvi realisticamente e per seguire la situazione passo per passo. So che i nostri delegati hanno fatto a Parigi tutto il necessario, e spero che sentiremo anche la loro voce. Ma non basta; non tutto è loro compito: non è una delegazione riunita a Parigi o a New York che può decidere, ma sono i Governi direttamente.

Questi sono problemi fra Governo e Governo, malgrado il piano Marshall rappresenti l’unificazione tendenziale dell’economia europea. Sono i Governi sovrani e non le delegazioni che possono risolvere le grandi questioni.

Quindi, aderiamo al piano Marshall, seguiamolo fino in fondo; ma non creiamo illusioni e soprattutto seguiamo passo passo (questa è la questione fondamentale) il banco di prova del piano Marshall, fondamento dei prezzi. Da questo dipende la sorte del nostro Paese e di tutti i Governi che hanno aderito al piano Marshall. Di queste cose bisogna parlare, questa è la questione da porre; e se un Ministro degli esteri va a Parigi in occasione del piano Marshall, dica questo agli americani. Gli americani già lo sanno, lo apprendiamo dai loro giornali. Il Governo italiano non è in grado di illuminarci o non lo vuol fare. Ma una cosa è che lo sappiano gli economisti americani, e altra cosa è che il Governo americano ne tragga conclusioni politiche.

Non basta sapere che esiste la miseria; altra cosa è agire, avere la volontà e la capacità di agire. Si deve scuotere il Governo americano e dirgli che agisca su questa situazione, altrimenti con questo piano creiamo illusioni e deviamo il corso dell’economia europea. Questo devo dire al Ministro degli esteri. Invece, quando va a Parigi, egli parla di altre cose. Prendo atto della smentita dell’onorevole Sforza. Lo conosco: è un democratico sincero, un combattente della democrazia. È evidente che a Parigi non ha detto – sarebbe antidemocratico – quelle cose che la stampa gli ha attribuito.

Ad ogni modo ha fatto male a scivolare su questo terreno: è un terreno che si presta sempre ad equivoci. Questi sono temi che vanno bene nella nostra propaganda elettorale quando andiamo nel collegio elettorale, non a Parigi. Tanto è vero che, mentre il Ministro degli esteri ha smentito (io credo alla sua smentita), tutta la stampa internazionale ha pubblicato le sue pretese dichiarazioni e nessun giornale ha pubblicato la smentita. Sia il New York Times che il Figaro hanno pubblicato la sua dichiarazione ma non la smentita. Ieri uno dei grandissimi giornali di New York ha pubblicato tutto un articolo di fondo sul dibattito che si svolge in quest’Aula. Quel giornale sostiene l’onorevole De Gasperi. È un giornale che considera i comunisti pericolosi; vede con piacere un Governo senza i comunisti.

Ma ecco, l’analisi del giornale comincia così: «come il conte Sforza ha detto efficacemente a Parigi, quest’inverno, se non ci saranno gli aiuti di grano, ci sarà il comunismo in Italia». Questo, come è rappresentato dalla stampa americana, ha la sua importanza. Bisogna essere più cauti.

L’onorevole Nenni ha sollevato una polemica col conte Sforza, circa l’influenza americana sulla nostra politica interna.

Influenza diretta non c’è stata. Però, io devo leggervi quello che scrive su un grande giornale americano lo Shirer, che fu a Berlino capo della più grande agenzia di stampa americana e che ha scritto un libro di successo fantastico sulla politica tedesca tra il 1939 e il 1941. Egli previde l’aggressione tedesca in Russia.

Ecco cosa scrive lo Shirer: «Il dipartimento del Segretario di Stato Marshall potrebbe essere più franco nello spiegare e chiarire queste cose: perché il nostro popolo non deve sapere, perché non gli deve essere detto francamente che i responsabili della nostra politica hanno deciso che è nell’interesse degli Stati Uniti di contenere l’espansione russa (si riferisce ad uno dei capi del dipartimento di Stato) e la diffusione del comunismo nell’Europa occidentale e nel Mediterraneo; e che, per accompagnare coi fatti questa decisione, noi siamo obbligati a fornire armi alla Grecia e alla Turchia, e non già perché crediamo di salvare la democrazia in questi paesi antidemocratici? Che noi per lungo tempo siamo intervenuti negli affari interni dell’Italia e che, in primo luogo, il nostro intervento nel giugno scorso ha indotto De Gasperi a gettare i comunisti fuori del Governo ed a sostituirvi un Governo con democristiani e indipendenti di destra, la cui maggioranza nel Parlamento eletto democraticamente è esigua?»

Non so e non credo che lo Shirer sia bene informato sulle reali intenzioni del Governo. Ma è stato il primo a mettere in guardia contro la tendenza, che in America esiste, dell’intervento politico anticomunista in Europa. Nel febbraio predissi qui alla Costituente che proprio l’ascesa del generale Marshall, avvenuta nei giorni in cui l’onorevole De Gasperi era in America, avrebbe significato, se non cambiamento totale di rotta, tuttavia affiancamento alla politica di intervento anticomunista di una nuova politica costruttiva.

Penso che Marshall ripudierebbe le affermazioni spesso attribuitegli, ma non penso che queste affermazioni siano al cento per cento campate in aria; penso che bisogna far rispondere da altri giornali. Un uomo di Stato italiano può scrivere una lettera ad un grande giornale americano e dire: «Guardate, noi non facciamo dell’anticomunismo per far piacere all’Occidente».

Shirer è uomo democratico, che rappresenta il liberalismo americano; egli ha scritto molti articoli, di grande ripercussione, contro il governo Tsaldaris in Grecia, per un Governo di unione nazionale democratica, che oggi si è formato.

Perché un nostro uomo di Stato non scrive una lettera pubblica? Questa è la cosa da fare, se si vuole dimostrare alla Russia che non facciamo una politica unilaterale. Non bisogna lasciar correre che i giornali pubblichino una smentita in Italia ma non all’estero, mettendo in giro versioni del tutto diverse. Dico questo indipendentemente dalla partecipazione dei comunisti al Governo, sulla quale le mie opinioni non coincidono necessariamente con quelle di Togliatti.

È nostro interesse, è interesse nazionale, tutelare la nostra indipendenza e non crearci un nemico nella Russia. Un altro giornalista americano, anche egli molto noto, Alsop, più a destra di Shirer che è più a sinistra, che si trova ora in Europa, sta scrivendo degli articoli molto interessanti in cui si dicono molte cose esatte. Egli ha parlato con molti uomini politici italiani e conosce la nostra situazione. (A parte certe inesattezze: per esempio credeva che Secchia e Moscatelli avessero organizzato le Brigate internazionali in Ispagna, ignorando che Secchia e Moscatelli, al tempo della guerra di Spagna, erano in carcere e parteciparono invece poi alla nostra guerra partigiana). Alsop fa una buona analisi della situazione economica italiana, ma lega in ogni articolo codesta questione del grano e degli aiuti con la questione di avere il Governo senza i comunisti.

È una questione preoccupante perché questi grandi giornali formano l’opinione pubblica americana. Nel 1948 il Congresso dovrà decidere sul «piano Marshall» e ci saranno le nuove elezioni presidenziali in America. Se noi diamo in America, o lasciamo che si dia, l’impressione che ci possano essere interferenze da parte loro nella nostra politica interna, irrimediabilmente noi avremo delle reazioni russe. Noi sappiamo che come l’America, anche la Russia interviene nella sua zona d’influenza. È per questo che siamo contrari alle zone d’influenza. Però, il fatto che la Russia intervenga non è una buona ragione perché ci lasciamo mettere allo stesso livello della Rumenia. La Rumenia, badate, è un degno grande Paese nobile e civile: ma ha solo 17 milioni di abitanti; mentre noi ne abbiamo 46 milioni e possiamo fare una politica più autonoma di quella della Rumenia. Dico la Rumenia perché è un paese al quale vanno tutte le nostre simpatie in quanto rappresenta la nostra stessa cultura in quella parte d’Europa. È anche un Paese democratico, che ha realizzato una grande rivoluzione agraria ed ha eliminato le più gravi e stridenti ingiustizie sociali e la malfamata corruzione della vecchia classe dirigente.

TOGLIATTI. Se fosse stata in zona americana non l’avrebbe fatto!

Una voce al centro. Muoiono di fame, in Rumenia!

VALIANI. Questi giudizi non ci interessano. Ci interessa il fatto che noi non dobbiamo essere fieri del fatto che si esclude la Rumenia quando l’Italia è esclusa.

Dobbiamo essere indipendenti proprio perché esiste il pericolo di una guerra. Oggi siamo nella zona americana, onorevole De Gasperi, ma non possiamo sapere in quale zona saremmo se disgraziatamente ci fosse un conflitto armato. È interesse che in Italia ci sia un Governo deciso a tutelare solo gli interessi nazionali e l’indipendenza e che dica che noi non siamo nemici di nessuno, se non di chi ci invade. Questa è una questione che non è stata con abbastanza forza riaffermata all’estero dal nostro Governo. Il nostro Governo deve avere questo coraggio, e deve buttar via il complesso di inferiorità che abbiamo verso chi ci aiuta. Per chi ci aiuta dobbiamo avere gratitudine e riconoscenza, ma non complesso d’inferiorità. Essi sono in 130 milioni ma anche noi non siamo pochi: 46 milioni. C’è la bomba atomica, che vince le guerre, d’accordo, ma ci sono anche i «grossi battaglioni», come diceva Napoleone. La Russia ha 200 milioni di abitanti!

Non lasciate che la stampa del mondo intero e gli uomini politici di molti Paesi, se non di tutto il mondo, ci considerino come irrimediabilmente legati ad una determinata costellazione strategica.

Può darsi benissimo che dal punto di vista sentimentale e spirituale noi siamo più vicino agli occidentali che agli orientali. È una questione di preferenza individuale; è possibile che spontaneamente, se si potesse interrogare il popolo italiano su questo, esso andrebbe verso gli americani; forse anch’io farei lo stesso: forse li conosco di più, non conosco i russi. L’onorevole Sforza dice che i russi sono sospettosi, ma io non ne so niente. Può darsi che sia vero il contrario, e può darsi che abbia ragione Togliatti per cui in Romania c’è la riforma agraria grazie ai russi, e che ci sarebbe stata anche qui se fossimo stati occupati dai russi. Sono questioni che ci possono dividere o non, però la politica estera deve apparire univoca e chiara.

Tutto quello che è stato scritto sul conte Sforza a Parigi, sul nostro cambiamento di Governo, sulla nostra domanda di ammissione all’O.N.U., sui mercanteggiamenti che un portavoce autorizzato di Palazzo Chigi disprezza perché crede alla politica estera senza mercanteggiamenti, tutto quanto si scrive sui giornali americani e francesi su questo dibattito, prova che tutti pensano all’estero che invece ci sia l’intervento su di noi, che noi lo subiamo e che ci conformiamo ad esso. Fatelo smentire. Per i fatti non voglio fare critica all’onorevole De Gasperi e al conte Sforza, però ai fatti devono anche seguire le manifestazioni diplomatiche. I nostri rappresentanti all’estero e più ancora il Ministro degli affari esteri, devono tener questo linguaggio coraggioso e dire: «Signori, non è questione di comunismo; questa rientra fra le questioni interne. Il fatto che voi ci aiutiate, che noi aderiamo al vostro piano avviene perché economicamente è necessario che ciò si faccia».

Dobbiamo affermare un minimo di indipendenza, se no avviene quello che è avvenuto con gli accordi economici con l’Inghilterra, che il conte Sforza ci ha citato come una prova dell’urgenza di ratificare il Trattato di pace; se no, egli diceva, quegli accordi non entravano in vigore. Io gli ho risposto che, quando si discusse alla Camera dei comuni di quegli accordi, ci furono delle risate e il Ministro Bevin disse che a Roma si erano valutati quegli accordi ben diversamente da come li valutavano a Londra. Questo lo ricordo perfettamente ed i verbali ne dànno prova.

Quale la sorte di quegli accordi? Uno di essi, quello concernente i pagamenti fra i Paesi compresi nell’area della sterlina, ha lo scopo dichiarato di rendere la sterlina convertibile.

È la triste realtà. Ce la racconterà l’onorevole Einaudi: venti milioni di sterline congelate. L’accordo contiene una clausola in cui si dice che: se l’uno o l’altro dei Governi muterà la sua politica monetaria in modo da interferire con le disposizioni del presente accordo, i due Governi riesamineranno gli accordi stessi, al fine di introdurre gli emendamenti che si rendano necessari». Spero che ci sia anche il nostro riesame in corso; però il Belgio ed altri Paesi che avevano sterline, nelle sei settimane di libera convertibilità della sterlina, hanno fatto quello che ha fatto ogni uomo di affari privati, cioè non hanno lasciato che le sterline si congelassero tutte e ne hanno portato via una parte. Noi le abbiamo avute tutte congelate. Lo spirito col quale fu negoziato l’accordo ci ha svantaggiato nella questione delle sterline. Noi abbiamo combattuto a fianco degli inglesi. Se ci trovassimo in un’altra guerra, forse saremmo ancora alleati degli inglesi, non si sa. Abbiamo una massima ammirazione per la civiltà inglese, ma in questioni di affari cessa l’amicizia. Si tratta di vedere gli affari nei loro termini reali confacenti agli interessi di un determinato Paese.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Se gli inglesi hanno disdetto il loro accordo vuol dire che quando lo facemmo era favorevole a noi.

VALIANI. Non è esatto. Non è stato disdetto dagli inglesi. Gli inglesi hanno sospeso, non già per noi, ma per il mondo intero, che conta cento volte più sterline di noi, la convertibilità della sterlina; l’hanno sospesa perché ci sono stati troppi ritiri di sterline, perché qualche Paese è stato più accorto del nostro. Non dico che l’accordo fosse sbagliato, ma bisognava oltre a concluderlo seguirne l’effettiva esecuzione con una vigilanza continua e costante e non lasciarsi sorprendere dagli avvenimenti. Non crediamo di essere sempre alleati. Siamo stati alleati, anche se l’onorevole Nitti lo nega, durante i diciotto mesi di cobelligeranza; eravamo spiritualmente alleati anche prima. Io mi sono sentito alleato dal 1940. Questione discutibile fra di noi. Siamo stati alleati fino all’aprile 1945, fino all’insurrezione, anche nei mesi successivi se volete, quando ci venivano rifornimenti esclusivamente di carattere umanitario e quando gli Alleati avevano la responsabilità di governarci. Adesso l’abbiamo noi questa responsabilità. Io vorrei che fossimo loro alleati, perché l’alleanza significherebbe che abbiamo un peso tale da poter trattare da pari a pari, se no non è alleanza. Avere un peso da poterci alleare con l’Inghilterra, con l’America, con la Russia, come fa la Francia che gioca su questa situazione: queste sono le cose da imparare dal Ministro Bidault e non i suoi discorsi sulla democrazia!

Ecco la questione fondamentale della nostra politica estera. C’è una nostra dipendenza acutissima dall’America. Tutte le statistiche provano che questa dipendenza non potrebbe essere ovviata totalmente commerciando di più con l’Europa orientale. Questo è vero, ed evidentemente pesa. Gli scambi con l’America sono oggi più forti di quelli con l’Occidente europeo e di quelli che potrebbero essere con l’Oriente europeo anche se facessimo una politica estera più aperta verso quei Paesi. Però, veda, onorevole Sforza, di cambiamenti negli scambi ve ne sono, se non di anno in anno, ogni qualche anno. Ci sono stati periodi in cui la Russia esportava più grano dell’America. Possono tornare quei periodi. Dovete lasciare le porte aperte. Nell’altro dopoguerra l’Ungheria e la Romania avevano la crisi per esuberanza di grano che non sapevano come esportare. Questi periodi possono tornare fra quattro o cinque anni. Dipendiamo oggi dall’America. Teniamo realisticamente conto che è fenomeno transitorio, come sono transitori le varie potenze degli eserciti e i vari andamenti dello spirito dei popoli. Quello che deve essere tenuto fermo, in questi mutamenti che noi non possiamo indovinare, è l’esistenza di una politica estera nostra, che mira sì alla federazione europea, agli Stati uniti del mondo intero, ma mira soprattutto a mantenere in questa terribile tempesta l’autonomia totale della politica italiana, che sia tale non solo nei nostri cervelli e nella nostra volontà, ma anche nel giudizio che danno di noi all’estero dall’una o dall’altra parte. In questo senso e con questi presupposti potremo effettivamente cooperare con tutti i Paesi che aderiscono al Piano Marshall; fare la politica con l’America, ma senza mai rompere i ponti con l’altra parte e coltivando sempre la possibilità di avere rapporti, se non analoghi, di importanza considerevole con l’altra parte. Questo finora l’ho trovato nelle intenzioni del conte Sforza, ma non nella effettiva, quotidiana esecuzione della sua politica estera.

Poche parole sulla politica generale, cioè sull’argomento di questa crisi, sulla questione della sfiducia al Governo.

Io credo che non sia fondamentale la composizione del Governo, la partecipazione dei partiti di massa, dei partiti di destra, del Governo di colore, dei partiti di centro sinistra, dell’unione nazionale: queste sono, in fin dei conti, questioni secondarie, importanti soprattutto ai fini elettorali. Quello che è urgente, indispensabile, è un cambiamento completo del metodo di governare. Bisogna governare in modo da affrontare i problemi strutturali.

Non penso che il metodo di governo debba astrarsi dalle forze vive che operano nel Paese: non si può governare se non esiste un modus vivendi amichevole fra il Governo e la Confederazione generale italiana del lavoro.

L’errore di Ramadier, oltre ai meriti suoi in altri campi, fu quello di avere sottovalutato la resistenza alla sua politica economica pianificatrice da parte della Confederazione del lavoro.

Ora, più andiamo avanti verso la pianificazione – e noi in certo senso ci andiamo – più la pianificazione suppone forze controllate dallo Stato, perché non si pianifica con le forze degli altri. Ci sono lunghi studi teorici sull’argomento, e tutti gli studiosi sono giunti alla conclusione che si pianifica solo nella misura in cui si controlla, in qualsiasi modo, ma effettivamente, un determinato settore.

Il Piano Marshall ci spinge in questa direzione: c’è stato un interessante dibattito sui giornali americani sulla questione se il Piano Marshall significhi pianificazione dell’economia europea, oppure un piano, un programma qualunque. La conclusione cui sono giunti questi giornali, è che il Piano Marshall significa precisamente pianificazione dell’Europa. Anzi, un giornale ha riassunto il dibattito dicendo che il Piano Marshall obbligherà, se sarà attuato, l’economia europea ad una pianificazione del genere di quelle attuate dalla Germania e dalla Russia. Si prescinde dal colore politico; bisogna vedere i fini obiettivi.

Quindi, noi andiamo verso la pianificazione, o almeno vogliamo andare verso la pianificazione, se abbiamo aderito al Piano Marshall. Non possiamo farlo senza la collaborazione effettiva e fiduciosa della Confederazione del lavoro. Non c’è nulla da fare: le principali forze produttive sono rappresentate dalla classe lavoratrice.

Voi potete desiderare, l’onorevole Pastore può desiderare, che la Confederazione del lavoro sia diversa da quella che è; ma, come Governo, dovete fare i conti con essa quale ora esiste, altrimenti tutta la vostra politica economica di pianificazione alla quale dite di volervi avviare, nel rispetto del Piano Marshall, poggerà sul vuoto, sulla sabbia.

Codesta è questione che si pone in tutti i Paesi, sotto tutte le latitudini, in Polonia come in Inghilterra. E così anche in America, nella capitalistica e liberale America, dove il controllo dei prezzi fu fatto saltare e le speculazioni hanno avuto corso libero, in seguito ad un convegno del dicembre 1945 fra i rappresentanti dell’organizzazione operaia, quelli delle organizzazioni padronali e il Governo. Ivi il Governo ha continuato a sostenere il controllo dei prezzi. Un capo di una organizzazione operaia, John Lewis, che dirigeva il Sindacato dei minatori, ma poi conquistò tutta la federazione americana del lavoro, sostenne che bisognava abolire il controllo dei prezzi. Il resto del movimento operaio allora si ribellò; egli condusse la battaglia poiché aveva evidentemente scopi sindacali da perseguire: sperava in forti aumenti di salario e in altre provvidenze cui contava si potesse pervenire.

La sua politica ha rotto la solidarietà che era sempre esistita durante la presidenza di Roosevelt, che aveva anzi formato la base della vita sociale. Lewis sostenne dunque la sua tesi; una parte degli operai, una parte degli imprenditori stessi vennero gradualmente sul suo terreno. La politica del controllo dei prezzi saltò; la rottura si fece fra il Governo e gli imprenditori.

Voi vedete dunque che persino in America, persino nella capitalistica e liberale America, dove non c’è un partito operaio, ove forse non c’è neppure un deputato socialista, o ve ne sono appena due o tre, è accaduto questo. La forza dell’organizzazione operaia è dunque indispensabile; adesso vi sono parecchie correnti in America le quali consigliano a Truman di operare un certo controllo sui prezzi: ma subito soggiungono che vi debba assolutamente essere l’accordo con le organizzazioni operaie.

Se dunque il Governo non risolverà questo problema, sarà vano sperare che le cose possano risolversi spontaneamente. Io non so come il Governo potrà risolverlo; non spetta a me di dargli un consiglio: questa è l’arte del governare, e sta perciò al Governo stesso di trovare la via che dovrà seguire.

Onorevoli colleghi, questa è un’epoca di democrazia, di libertà sociale; ma è anche un’epoca di sviluppo nella vita economica delle forze organizzate e di influenza dei loro capi. Il principio democratico e il principio gerarchico oggi avanzano contemporaneamente, soprattutto nel campo economico. Bisogna trovare un equilibrio, un temperamento. Governare, costruire lo Stato, significa appunto ricercare costantemente questo equilibrio. Inutile, quindi, e pericoloso sarebbe fidare nei dieci, nei dodici, od anche nei settanta, negli ottanta, o, sia pure, nei trecento voti di maggioranza che aveva prima il tripartito. Questi voti sono stati tutti insufficienti, come lo sarebbero tutti quelli che potrebbe avere il Governo in seguito ad un qualsiasi rimpasto.

Non il rimpasto è alla base della questione; occorre una politica ferrea che venga dal centro e non rimandi l’esame e la soluzione delle questioni strutturali più spinose.

Onorevoli colleghi, io concludo come ho incominciato. L’onorevole De Gasperi ha vivissimo il senso dello Stato ed ha vivissima la devozione verso lo Stato: ma è ormai tempo che dal sentimento si passi all’azione efficace e coraggiosa. (Applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 12.40.