ASSEMBLEA COSTITUENTE
cxxx.
SEDUTA DI VENERDÌ 23 MAGGIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Congedi
Presidente
Progetto di Costituzione delia Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Clerici
Giacchero
Merlin Umberto, Relatore
Mastino Pietro
Mortati
Geuna
Colitto
Crispo
Bosco Lucarelli
Caroleo
Della Seta
Preti
Benvenuti
Azzi
Rodi
Bubbio
Meda Luigi
Castelli Edgardo
Scoca
Corbino
Schiavetti
Laconi
Cingolani
Morelli Renato
Piemonte
Buffoni
Bertini
Sui lavori dell’Assemblea:
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Bertini
Presidente
Zotta
Bozzi
Grassi
Togliatti
Mastrojanni
Targetti
Lussu
Martino Enrico
Rossi Paolo
Piccioni
Canepa
Rubilli
Lucifero
Micheli
Malagugini
La seduta comincia alle 15.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati: Gortani, Fanfani e Mentasti.
(Sono concessi).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Rammento che ieri fu stabilito di rinviare ad oggi l’esame degli emendamenti aggiuntivi dell’onorevole Clerici e altri e dell’onorevole Giacchero all’articolo 47, dei quali rileggo il testo:
«Aggiungere il seguente comma:
«La carriera di magistrato, di militare, di funzionario ed agente di polizia e di diplomatico comporta la rinuncia all’iscrizione ai partiti politici.
«Clerici, Pignedoli, Franceschini, Bovetti, Foresi, Codacci Pisanelli, Sullo, Mastino Gesumino, De Palma, Coppi, Benvenuti».
«Aggiungere il seguente comma:
«I cittadini ufficiali e sottufficiali dell’esercito in servizio permanente non possono essere iscritti a partiti politici né svolgere attività politica.
«Giacchero».
Desidererei sapere se la Commissione è in condizione di rispondere e di esprimere il suo avviso.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che i presentatori siano disposti a rinviare l’esame dei loro emendamenti.
CLERICI. Sono del parere che si possa rinviare il mio emendamento al momento in cui si tratteranno le norme relative alla Magistratura.
GIACCHERO. Non vedo come si possa rinviare il mio emendamento a quando si tratterà della Magistratura, poiché esso è strettamente connesso con l’articolo 47.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Io sarei d’avviso, poiché si tratta di una materia compresa anche nell’emendamento del collega Clerici, che sarebbe meglio se l’emendamento dell’onorevole Giacchero seguisse la stessa sorte e venisse rinviato, anche per poterne fare un esame più attento. Per i magistrati c’è già una disposizione nella Costituzione (art. 94) e l’Assemblea ne discuterà ampiamente. Per gli altri, ufficiali e sottufficiali dell’esercito, dato per sovrappiù che l’emendamento Giacchero tende ad impedire agli ufficiali di svolgere attività politica, mi pare si tratti di una materia delicata che riguarda il regolamento dell’esercito. Comunque, se il collega consente, è bene rimandare l’emendamento Giacchero alla stessa data, quando si discuterà l’emendamento Clerici.
GIACCHERO. Accetto che venga rimandato: vuol dire che si sceglierà il luogo adatto ove inserirlo.
PRESIDENTE. Sarà anche diligenza sua.
Se non vi sono opposizioni, si intende dunque rinviata la decisione degli emendamenti Clerici e Giacchero alla discussione sul titolo della Magistratura.
(Così rimane stabilito).
Passiamo ora all’articolo 50:
«Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con disciplina ed onore le funzioni che gli sono affidate.
«Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino».
MERLIN UMBERTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Desidero comunicare all’Assemblea che, in seguito all’approvazione dell’articolo 48, poiché in questo è già compresa quasi letteralmente una parte dell’articolo 50, il nuovo testo dell’articolo 50, primo comma, secondo le proposte della Commissione, è il seguente: «Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi», omettendo le altre parole.
PRESIDENTE. All’articolo 50 sono stati presentati degli emendamenti che ritengo restino validi, nonostante questa parziale modificazione enunciata dall’onorevole Merlin.
L’onorevole Mastino Pietro ha proposto di sostituire l’articolo 50 col seguente:
«Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne e farne osservare la Costituzione e le leggi, di adempiere, con disciplina ed onore, le funzioni che gli sono affidate, ed ha l’obbligo di difendere, contro ogni violazione, le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».
L’onorevole Mastino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
MASTINO PIETRO. L’emendamento da me proposto si riferisce alla seconda parte dell’articolo 50, a quella parte, cioè, che prevede e stabilisce il diritto del cittadino alla resistenza alla oppressione.
È innegabile l’audacia, nel campo del diritto costituzionale, di una affermazione del genere. Poiché, se è concepibile, sotto un punto di vista non solo dottrinario, il diritto alla resistenza e alla ribellione dell’individuo, è veramente audace fissare in una Costituzione, come diritto costituzionale, quello della resistenza e della ribellione collettiva.
Io non oppongo una assoluta eccezione a che un concetto del genere venga affermato nell’articolo 50, ma intendo, col mio emendamento, giungere, non alla soppressione del concetto, ma ad una formulazione più precisa e più rispondente alla natura d’una legge statutaria.
Ciascuno di noi intende il perché psicologico dell’articolo 50.
Concetti del genere sorsero sempre dopo periodi di rivoluzione, quando il popolo credette di potere trionfalmente affermare la propria vittoria.
Ad esempio, dopo la lotta di indipendenza americana, nello Statuto fu introdotto il diritto in discussione.
Anche nella Convenzione, nella Costituzione del 1793, fu affermato lo stesso concetto; anzi, ho l’impressione che la formula usata nel capoverso dell’articolo 50 ne sia la traduzione letterale.
È ben naturale che oggi, dopo che l’Italia è risorta dal travaglio, dai sacrifici e dalla barbarie del periodo fascista, un concetto del genere riappaia anche nella nostra Costituzione.
Alcuni giorni or sono, in proposito, ha parlato l’onorevole Condorelli, il quale, nel criticare la formulazione ed il contenuto del capoverso, mi è parso abbia voluto quasi negare la fondatezza d’un diritto di resistenza; non solo collettiva ma anche individuale. Giustamente l’onorevole Merlin fece rilevare come l’affermazione dell’onorevole Condorelli fosse in contrasto colle stesse norme codificate dal Codice penale; ricordo, fra l’altro, l’articolo 199 del passato Codice penale, che riconosceva il diritto di resistenza del privato cittadino quando fosse legittimata da un atto di violenza esercitato da chi fosse rivestito di pubblica autorità. Criterio, mi permetto di soggiungere, che venne riaffermato anche dal fascismo, perché se è vero che il codice Rocco non ripropose le disposizioni dell’articolo 199, di cui ho parlato, è vero anche che non le riprodusse in quanto con l’articolo 52 dello stesso codice allargò il criterio della resistenza, portandola dal campo della difesa personale o, in determinati casi, della proprietà privata, al campo della difesa di tutti i diritti. Quindi il concetto fu affermato anche sotto il fascismo.
L’importante però è che noi questo concetto vogliamo affermarlo come diritto di resistenza politica. E io dico che dobbiamo affermarlo, ma sotto un’altra forma, e precisamente in quella che mi pare chiaramente espressa nell’emendamento che ho presentato; cioè: «Ogni cittadino ha l’obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».
Non è tanto un diritto, quanto un dovere; non è tanto un diritto accordato nell’interesse dell’individuo, quanto un dovere imposto nell’interesse della collettività. Soprattutto questo, onorevoli colleghi, porta ad una conseguenza pratica molto chiara, della quale dobbiamo sommamente preoccuparci: evitare la possibilità che sotto il pretesto della violazione delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti dalla Costituzione si pretenda di sovvertire lo Stato, intendendo per Stato la Repubblica. Ecco perché credo che si debba sostituire la formula da me proposta. Con essa infatti i diritti dei cittadini indicati nella prima parte della Costituzione verrebbero completati coi doveri; diritti e doveri, tra i quali questo formulato nell’articolo 50 secondo la dizione da me proposta, si integrerebbero fra loro, presidiati dalla Corte costituzionale, quale supremo organo per il regolamento dei diritti e dei doveri fra i cittadini e lo Stato. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:
«Sostituirlo col seguente:
«È diritto e dovere dei cittadini, singoli o associati, la resistenza che si renda necessaria a reprimere la violazione dei diritti individuali e delle libertà democratiche da parte delle pubbliche autorità».
L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.
MORTATI. Il mio emendamento ha uno scopo di chiarificazione formale del testo della Commissione. Esso ha di mira, da un lato, di distinguere l’aspetto della resistenza individuale da quello della resistenza collettiva; e, dall’altro, di mettere in rilievo il carattere di necessità che questa resistenza deve avere, onde potere considerarsi legittima. Essendo chiare le ragioni dell’emendamento, credo inutile di dilungarmi nell’illustrarle.
PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Mortati: allora il suo emendamento è sostitutivo solo del secondo comma?
MORTATI. La mia proposta tendeva anche alla soppressione del primo comma del testo originario dell’articolo del progetto. Ma non insisto su questa parte.
PRESIDENTE. Sta bene.
Segue l’emendamento dell’onorevole Geuna, firmato anche dagli onorevoli Giacchero e Codacci Pisanelli, col quale si propone la soppressione del primo comma.
L’onorevole Geuna ha facoltà di svolgerlo.
GEUNA. Osservo che nella Costituzione già è contemplato l’impegno specifico per i cittadini che assolvono funzioni dello Stato, per il quale essi possono essere richiesti di un giuramento. Una volta che l’articolo 48 ha già affermato questa specifica situazione, mi pare inutile ripeterla qui. Sarebbe come dire che non è lecito rubare; poiché noi riteniamo di fare una Costituzione che implichi immediatamente il dovere di osservarla.
Per questa ragione fondamentale chiedo la soppressione del primo comma dell’articolo 50.
PRESIDENTE. L’onorevole Azzi ha già svolto il seguente emendamento:
«Dopo il primo comma aggiungere:
«Il Capo dello Stato, i membri del Governo, i presidenti delle Deputazioni regionali, i magistrati, le forze armate e quelle assimilate, prima di assumere le loro funzioni si impegnano con giuramento all’osservanza di questo dovere».
Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto:
«Sopprimere il secondo comma».
L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.
COLITTO. Non trovo difficoltà a dichiarare che sarei disposto a rinunziare al mio emendamento se, dalla parola cortese dell’onorevole Merlin, ricevessi chiarimenti ai dubbi, che sono sorti nel mio animo, allorquando per la prima volta ho letto la norma, di cui ci stiamo occupando.
Io ho chiesto la soppressione del secondo comma dell’articolo 50.
Questo secondo comma è così redatto: «Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino».
Presa nel suo insieme, questa norma vuol dire che, in caso di oppressione, il cittadino non soffra, non taccia, ma si ribelli, non creda, non obbedisca, ma reagisca.
La norma afferma che ne ha il «diritto», anzi, è un suo «dovere».
Evidentemente è il recente passato, che ha spinto la Commissione ad enunciare questa norma, a desiderare che essa fosse nella Costituzione, quasi una diga di fronte al pericolo di nuove oppressioni.
E l’onorevole Ruini non l’ha taciuto nella sua dotta relazione.
Si legge in essa: «Venne da alcuni espresso il dubbio se in una Costituzione, che presuppone si basi sulla legalità, possa trovare posto il diritto o piuttosto il fatto della rivolta.
«Ha anche qui influito il ricordo di recenti vicende ed è prevalsa la tesi che la resistenza all’oppressione è un diritto ed un dovere».
Presa nel suo insieme la norma apparisce, pertanto, come un incitamento ai cittadini, che sono pavidi di fronte alla oppressione ed alla tirannide, e costituisce altresì un monito severo ai pubblici poteri.
Io non credo che possa essere sopravalutata l’importanza della norma, perché è evidente che ove la tirannide trionfi, non sarà certo una breve norma costituzionale a salvare i cittadini ed il Paese.
Sarei portato, comunque, a mantenere la norma, appunto come un incitamento e come monito, se nel mio animo non fossero sorti alcuni dubbi.
Quali sono i pubblici poteri, di cui si parla in essa?
Non vi è dubbio che la norma si riferisce anzitutto al potere esecutivo. Ora certamente il cittadino ha sempre il diritto di opporsi al pubblico funzionario che, travalicando i limiti segnati dalla legge, conculchi il diritto del cittadino. Questo, come diceva dianzi l’onorevole Mastino, è già consacrato nella nostra legislazione, e a questo proposito, anche l’onorevole Merlin ricordava ieri l’articolo 199 del codice Zanardelli.
Giustamente l’onorevole Mastino diceva che quelle norme sono, in sostanza, rimaste in vigore anche durante il periodo fascista, essendosi, in loro vece, fatto ricorso all’articolo 52 del codice penale.
Il cittadino non può essere punito per il delitto di oltraggio, e per quello di resistenza a pubblico ufficiale, ove il pubblico ufficiale abbia superato i limiti delle sue attribuzioni, violando le norme di diritto, che dette attribuzioni gli assegnano.
Da questo punto di vista, niente di strano che nella Costituzione si consacri una norma generale, nella quale le disposizioni, che sono già nella legislazione penale, trovino il loro inquadramento, e niente di strano che nella Costituzione, a fianco di un diritto, si parli di un dovere. Il cittadino ha il diritto di opporsi. Può senza danno affermarsi altresì che il cittadino ha il dovere dì opporsi.
Ma «pubblici poteri» sono anche il potere giudiziario ed il potere legislativo.
Ora, in che cosa – ecco il mio dubbio – consiste il diritto di resistenza, allorché il pubblico potere è il potere giudiziario od allorché il pubblico potere è quello legislativo? Il cittadino, secondo la norma, di cui ci stiamo occupando, avrebbe non solo il diritto, ma addirittura il dovere di opporsi ad essi ove egli ritenesse di trovarsi di fronte ad una violazione di diritti garantiti dalla Costituzione? Che significa questo? All’interrogativo non ho saputo nella mia coscienza dare una risposta. Tutte le risposte che mi sono passate dinanzi la mente, mi sono sembrate affermazioni quanto mai aberranti. Perché? Ma perché contro la sentenza del magistrato io non vedo che i gravami, tassativamente indicati dalla legge, e contro la legge non so concepire resistenze di nessun genere. Per la legge non c’è, a mio modesto avviso, che l’obbedienza.
Io non sono d’accordo con quelli che affermano che legittima e doverosa è la resistenza, quando la legge è ingiusta. Lex iniusta, si dice, non est lex, e perciò non obbliga, perché nessuno può essere obbligato ad obbedire all’ingiusto comando. Io penso, invece, che qualunque sia il motivo, da cui un cittadino possa essere indotto a disobbedire alla legge, legittimamente emanata, quel cittadino deve essere sempre considerato un ribelle e trattato come tale. Ma cosa significa, ad ogni modo, che il cittadino ha il diritto di resistere alla legge? Può egli mai diventare il giudice del legislatore ed agire di conseguenza? Un altro dubbio. Che interpretazione bisogna dare della norma, quando la si considera in relazione a quei particolari diritti, pure consacrati nella Costituzione, e che l’onorevole Ruini nella sua relazione chiama diritti potenziali? Si pensi al diritto al lavoro riconosciuto dalla Repubblica a tutti i cittadini; all’impegno, assunto dalla Repubblica, di assicurare alla famiglia le condizioni economiche necessarie, non solo alla sua formazione, ma al suo sviluppo; al diritto riconosciuto agli inabili al lavoro, sprovvisti dei mezzi necessari alla vita, di avere il mantenimento e l’assistenza sociale. Ora, nell’ipotesi in cui la Repubblica non abbia la possibilità di mantenere questi impegni, non abbia, cioè, la possibilità, come diceva l’onorevole Nitti, di pagare tante cambiali firmate in bianco, il cittadino avrà il diritto e il dovere, come dice la norma, di insorgere contro i pubblici poteri? Potrà insorgere contro il Parlamento, perché non fa le leggi, o contro il Governo, perché non le attua? A tutti questi interrogativi non avendo saputo trovare risposta convincente, noi abbiamo affermato, occupandoci di questo articolo, che ci sembra che esso consacri il diritto alla ribellione. Ed ecco perché ne chiediamo la soppressione. La sua applicazione pratica, nella realtà della vita, che è quella che è, e non quella che dovrebbe essere, potrebbe dar luogo a tali inconvenienti, a così strane ed impensate applicazioni, che certamente ne deriverebbe danno per la compagine sociale, che la Costituzione mira, invece, in ogni momento a salvaguardare.
Un ultimo rilievo. È proprio esatto, e mi riattacco a quanto diceva ieri l’altro l’onorevole Condorelli, che si possa, da un punto di vista squisitamente giuridico, parlare di diritto di resistenza? Noi dobbiamo proporci, egregi colleghi, questa domanda, perché qui è l’Italia, che sta redigendo la Costituzione, e l’Italia è maestra di diritto! La più recente dottrina giuspubblicistica ha affermato che non esiste un diritto di resistenza, che si possa porre a fianco degli altri diritti di libertà.
Chi resiste all’aggressione tutela la sua libertà. E, quando poco fa l’onorevole Mastino diceva che durante il passato regime si è applicato l’articolo 52 del Codice penale in sostituzione dell’articolo 192 del Codice Zanardelli, riaffermava proprio il mio concetto: non c’è un vero e proprio diritto di resistenza, perché chi resiste all’aggressione non fa altro che tutelare la propria libertà. Il diritto di resistenza non è che l’estrinsecazione del diritto di libertà che è stato aggredito. E allora, perché dovremmo proprio noi parlare nella Costituzione del 1947 di un diritto di resistenza, che non esiste?
Quanto affermo è ben noto all’onorevole Ruini. Dalla sua relazione traspare in maniera evidentissima. Egli parla, infatti, in essa di «idea di resistenza all’oppressione, rivendicata da teorie e da Carte antichissime». Di un diritto di resistenza si è parlato adunque in passato; ma la dottrina giuspubblicistica afferma che non esattamente si parla di diritto di resistenza.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne ha parlato anche un procuratore generale della Corte di Cassazione in un libro, alcune diecine di anni fa.
COLITTO. Venti anni fa. Sta bene. Ma da allora si è percorsa parecchia strada. E perciò che io sarei molto lieto, se dai lavori dell’Assemblea Costituente risultasse con chiarezza che la Costituzione ha riconosciuto che quelle Carte antichissime consacrano teorie non esatte e che la nuova Carta consacra, invece, quella che è, in materia, una conquista precisa del pensiero giuridico italiano. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Anche gli onorevoli Bozzi e Crispo hanno proposto un emendamento per sopprimere il secondo comma.
In assenza dell’onorevole Bozzi, l’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.
CRISPO. Dichiaro di rinunziare all’emendamento e di aderire a quello dell’onorevole Mortati.
PRESIDENTE. L’onorevole Bosco Lucarelli ha proposto pure di sopprimere il secondo comma. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.
BOSCO LUCARELLI. Lo mantengo, ma rinunzio a svolgerlo.
PRESIDENTE. Rammento che sono già stati svolti i seguenti emendamenti:
«Sopprimere il secondo comma.
«Rodi».
«Sopprimere il secondo comma.
«Subordinatamente, rinviarne l’esame al momento della discussione del Titolo VI della II Parte.
«Sullo».
Segue l’emendamento dell’onorevole Caroleo:
«Sopprimere il secondo comma.
«Subordinatamente sostituirlo col seguente:
«Non è punibile la resistenza ai poteri pubblici, nei casi di violazione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione».
L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerlo.
CAROLEO. Onorevoli colleghi, penso che sia preminente dovere dell’Assemblea Costituente quello di creare lo Stato. E finora abbiamo per questo Stato creato una serie numerosa di doveri; ma mi pare che, quanto a diritti, ancora non ci sia nemmeno l’ombra. Che anzi, dirò così, quasi all’ingresso di quell’edificio che dovremo pure andare a costruire troviamo questo articolo 50, che sembrerebbe voler dire che allo Stato, di fronte ai cittadini e alla collettività dei cittadini, non compete nessun diritto.
Sembra questo un paradosso; ma io rilevo quella inconciliabilità che esattamente notava l’onorevole Condorelli tra il dovere di essere fedele alla Repubblica e il diritto di violarne le leggi affermato nel capoverso dello stesso articolo 50.
Io, per la verità, debbo dirlo sinceramente all’onorevole Merlin, ho ancora vivo il ricordo delle nobili parole da lui pronunziate a proposito dello sciopero dei funzionari pubblici, che non era ammissibile di fronte alle esigenze dello Stato, espressione viva dei bisogni e della volontà dei membri della società politica nazionale.
Ma qui come non intendere, come non avvertire che ci troviamo di fronte alla possibilità di uno sciopero di tutti i cittadini di fronte ai poteri pubblici dello Stato? Io questa idea di Stato, da modesto membro di questa altissima Assemblea, la vado difendendo giorno per giorno, con indipendenza di giudizio e senza prevenzione alcuna; ed è per questo che qualche volta mi accade di passare dall’uno all’altro settore della Camera.
Ma la difendo questa idea, perché penso che sia un’esigenza fondamentale e insopprimibile di qualsiasi concezione politica, di qualsiasi dottrina dello Stato, e penso che sia un’esigenza della teorica individualistica o atomista, come della totalitaria e ancora più della pluralista, perché, se anche si vuol dare allo Stato una funzione semplicemente strumentale di fronte all’individuo, di fronte alla comunità familiare, o professionale, o religiosa etc., bisognerà pure che questo Stato si provveda, come strumento perfetto, dei mezzi necessari alla realizzazione degli scopi dei vari enti pluralistici, che si pensa vivano nella società con diritti naturali originari di prius di fronte a un posterius rappresentato dallo Stato.
È un’esigenza di tutte le comunità, perché lo Stato significa ordine, lo Stato significa legge; e reagire allo Stato e alla legge non significa rispettare la Repubblica ed essere fedeli alle sue norme.
Io mi domando, onorevoli colleghi, che cosa sarebbe di questa stessa sovrana Assemblea, se l’ordine non fosse rispettato e se le norme regolamentari non fossero disciplinate nel loro esercizio dall’autorità del nostro egregio Presidente. Ora, io non nego che al cittadino debba riconoscersi il diritto nello Stato della difesa delle libertà garantite dalla Costituzione, nell’interesse proprio e in quello della collettività nazionale; ma la tutela del proprio diritto deve essere da ciascuno esercitata nell’ambito, nei confini delle norme che nella Costituzione stessa sono consacrate.
Non si parli della nobile lotta partigiana, non si parli della rivolta all’oppressione che in un determinato momento storico può verificarsi nell’ambito di una società politica: in quei casi noi siamo fuori – come bene ha rilevato l’onorevole Condorelli – dalla realtà del diritto. Possiamo essere nei confini di una realtà storica, ma al di fuori del diritto; siamo in un sistema di fatti che potranno anche soverchiare il diritto, ma contro i quali il diritto potrà anche resistere, come è avvenuto per la stessa rivoluzione fascista, la quale, sia pure a distanza di venti anni, ha trovato resistenza nel corpo sociale, negli organi costituzionali dello Stato.
Se noi ricorriamo a questi esempi, come potremmo noi ammettere – e naturalmente non sarebbe mai nelle nostre intenzioni affermare il contrario – che un’abissale differenza intercorre fra la nobile guerra partigiana e il colpo di Stato del 1922?
Ora, nell’emendamento che io subordinatamente propongo, forse si potrebbe vedere qualche cosa di superfluo, perché – come l’onorevole Mastino e l’onorevole Colitto poco fa spiegavano – già nella legge c’è per l’individuo la tutela dell’esercizio del proprio diritto, c’è un ampio potere di legittima difesa che proviene dal Codice Zanardelli, ed era anche affermato nel Codice fascista. Ma, comunque, nella formulazione da me proposta si richiama il cittadino nei limiti della legge, perché non lo si sottrae a quel potere giudiziario che è chiamato a valutarne la condotta, o alla futura Corte costituzionale, se detta funzione sarà deferita ad altro istituto. Quando si fa l’ipotesi di esercizio del proprio diritto o di difesa legittima del proprio diritto, si configurano nella legge particolari casi di non punibilità. Il fatto resta nella sua anormalità, perché fuori del diritto; però viene sottoposto al sindacato degli organi che costituzionalmente sono fissati nella legge; e se veramente il cittadino ha agito per difendere il proprio diritto, per far rispettare quella libertà che la Costituzione gli garantisce, allora verseremo in un caso di non punibilità; ma – ripeto – non si verificherebbe l’enormità di un cittadino, che si fa giudice delle leggi del proprio Paese, sibbene l’ipotesi di un cittadino che opera intenzionalmente nell’interesse proprio e dello Stato, nell’interesse individuale e nell’interesse collettivo, e dei suoi atti, quali che siano, risponde dinanzi agli organi costituiti dello Stato.
Ecco perché nell’emendamento da me presentato subordinatamente – se si deve mantenere il secondo comma dall’articolo 50 – propongo che la formulazione sia rettificata in questo senso: che non è punibile la resistenza ai poteri pubblici nei casi di violazione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione. Casi, ripeto, di non punibilità, ma non di sottrazione del cittadino ai controlli, che la Costituzione stabilisce nell’interesse dell’intera società nazionale. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Anche l’onorevole Della Seta ha proposto di sopprimere il secondo comma dell’articolo 50. Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
DELLA SETA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Veramente da opposti settori si è già rivelata tale una concordanza significativa…
UBERTI. No; da alcuni settori.
DELLA SETA. …sulla soppressione del secondo comma dell’articolo 50, che io rinuncerei volentieri a svolgere il mio emendamento. Mi siano permesse solo pochissime parole, quasi a titolo di un’anticipata dichiarazione di voto.
Non siamo noi, repubblicani storici – e questa volta sull’aggettivo «storico» bisogna proprio porre l’accento – che possiamo disconoscere il diritto e il dovere della resistenza ai poteri costituiti, quando questi si accingano a manomettere le pubbliche libertà. «Pensiero e azione» fu la divisa della «Giovine Italia»; e questo diritto e dovere della resistenza non è stato solo un pensiero, cioè un principio consacrato nelle pagine dei nostri scrittori politici, ma è stato anche azione, azione tenace, pugnace ed audace attraverso la quale, per una via seminata di galere, di esili e di patiboli, la Patria nostra da «terra dei morti» è assurta ad unità e a dignità di nazione.
E proprio per questo, proprio perché riconosciamo questo diritto e questo dovere della resistenza, proprio per questo – non sembri una dissonanza – noi riteniamo che una tale norma non possa essere sancita in una Carta costituzionale.
Noi comprendiamo, noi ci inchiniamo anzi di fronte al nobile sentimento che ha indotto i membri della Commissione ad inserire questa norma nella Carta costituzionale. Essa, dirò, è stata un atto di fierezza civile, quasi come una reazione alla mortificazione che tutti subimmo sotto il regime dittatoriale, quando ci dibattemmo nel tormento di resistere ai poteri costituiti, come avremmo voluto, dovuto e forse anche potuto se – tranne una minoranza eroica – minori fossero state le coscienze pavide e servili, minori le schiene curve sotto la verga del dittatore.
Ma la storia non ha mai registrato l’esempio di un uomo, di un partito o di un popolo, che, prima di ricorrere alla resistenza, si sia preoccupato se questa resistenza fosse o no conforme alla Carta costituzionale.
Victor Hugo ha lasciato scritto che talvolta per rientrare nel diritto bisogna uscire dalla legge. Voi con questo comma volete legalizzare la illegalità.
«Appello al Cielo» chiamarono i trattatisti medioevali questo diritto del popolo alla resistenza; e il Poeta-Soldato cantò: «Quando il popolo si desta, Dio si mette alla sua testa e la folgore gli dà». Voi volete costituzionalizzare la folgore!
Ora, sia detto col massimo rispetto, tutto questo è un voler convertire nel barocco quanto talvolta è il sublime nella storia; questo è per lo meno un peccare di ingenuità. Ora, noi non vorremmo che questa Costituzione, che, tra pregi incontestabili, ha anche alcune note che noi vorremmo non possedesse, cioè le note della contraddittorietà, della reticenza e quella di essere bifronte, noi non vorremmo che essa aggiungesse anche la nota dell’ingenuità.
E perciò, sia per accogliere gli ammaestramenti della storia, sia per non peccare di ingenuità, noi ci associamo agli altri colleghi che hanno chiesto la soppressione di questo secondo comma dell’articolo 50.
PRESIDENTE. Seguono altri due emendamenti per la soppressione del secondo comma.
Quello dell’onorevole Azzi è già stato svolto. Dovrebbe ora svolgere il proprio l’onorevole Terranova, ma, non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.
Segue l’emendamento degli onorevoli Carboni e Preti, così concepito:
«Al secondo comma, sopprimere le parole: all’oppressione».
L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.
PRETI. Noi avevamo presentato un semplicissimo emendamento. Ci sembrava che dire che la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino fosse in certo qual modo pleonastico. Credevamo che bastasse dire: la resistenza è un diritto e un dovere del cittadino. Ma poiché si sta parlando di rinviare l’esame di questo articolo 50 al titolo relativo alle garanzie costituzionali, noi non avremmo nessuna difficoltà ad accedere a questa proposta.
BENVENUTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENVENUTI. Propongo un emendamento, per il quale ho già raccolto le dieci firme occorrenti, e che perciò mi riservo di presentare tra poco. Accenno tuttavia che si tratta di dare all’Assemblea la possibilità di un più ampio esame di questa materia, differendola a quando si discuterà delle garanzie costituzionali. Si tratta dunque di spostare l’esame e la collocazione. Vorrei pregare il Presidente di permettermi di illustrare intanto i motivi dell’emendamento che sto per presentare.
PRESIDENTE. Va bene onorevole Benvenuti, illustri pure questi motivi.
BENVENUTI. Mi richiamo agli argomenti già accennati dagli onorevoli Caroleo e Sullo. La materia delle garanzie costituzionali sembra la sede opportuna per trattare questo argomento, in quanto il testo proposto non si riferisce soltanto al diritto di resistenza del cittadino di fronte ad arbitrî del potere esecutivo, ma anche al diritto della resistenza del cittadino ad atti del potere legislativo.
Ora, mentre il conflitto che si forma fra il cittadino e il potere esecutivo è sanabile attraverso il giudizio del Magistrato ordinario, il conflitto fra il cittadino e il potere legislativo non è sanabile se non attraverso quel sindacato giurisdizionale che non è ancora entrato nella nostra legislazione.
Quindi nella Carta costituzionale prima dovremmo esaminare il problema della risoluzione del conflitto fra il potere legislativo e il cittadino e discutere quindi l’introduzione nel nostro diritto pubblico dell’istituto del sindacato giurisdizionale, mediante l’eventuale creazione della Corte costituzionale, precisandone le funzioni e il modo di adirla. Poi potremo trarre le conseguenze in materia di diritto di resistenza all’esecuzione di leggi anticostituzionali. Altrimenti arrischieremmo di mettere il carro avanti ai buoi.
Nella sede delle garanzie costituzionali potrà dunque l’Assemblea rivedere e coordinare e formulare adeguatamente la norma relativa al diritto di resistenza.
PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Per quanto riguarda il primo comma dell’articolo 50 la Commissione prega l’Assemblea di votare il testo come da essa proposto. L’emendamento dell’onorevole Mastino è interessante, ma faccio osservare che per la prima parte è quasi identico al testo nostro; la seconda parte: «adempiere con disciplina e onore alle funzioni che gli sono affidate», è già assorbita dall’articolo 48 già votato. Per la terza parte noi riteniamo che sia un po’ eccessivo imporre al cittadino l’obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato. Essere fedele alla Repubblica, osservarne la Costituzione e le leggi, questo è giusto, ma più di tanto non si può pretendere. Pregheremmo perciò l’onorevole Mastino di rinunciare a questo suo emendamento accontentandosi della formula che la Commissione propone.
C’è l’onorevole Genua che domanda la soppressione del primo comma; non possiamo accettare: le ragioni sono evidenti: le ho dette già. Riteniamo che i concetti dell’onorevole Genua siano compresi nella formula proposta dalla Commissione, perché quando si domanda che il cittadino sia fedele alla Repubblica è compreso il concetto che sia fedele prima di tutto allo Stato. Naturalmente questa giovane Repubblica deve anche difendersi e non può ammettere agnosticismo sulla forma costituzionale che il popolo si è liberamente scelta.
Per tutti quanti gli altri emendamenti che riguardano il secondo comma dell’articolo 50, la Commissione propone all’Assemblea di accettare la proposta fatta oggi dall’onorevole Benvenuti, ma fatta già prima anche dall’onorevole Sullo, e cioè di rinviare la discussione di questo comma al Titolo VI quando si parlerà delle garanzie costituzionali, perché evidentemente la materia è connessa; e allora l’Assemblea potrà trattarla anche più compiutamente per esaminare se proprio nella Corte costituzionale non vi sia un rimedio ed una salvaguardia contro i pericoli un po’ esagerati che si sono indicati. Per cui la Commissione propone il rinvio a questa sede per poter trattare la materia più compiutamente e concretamente.
PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li mantengano, o no.
Onorevole Mastino, mantiene il suo emendamento?
MASTINO PIETRO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Mortati?
MORTATI. Non insisto ed accetto la sospensiva.
PRESIDENTE. Onorevole Geuna?
GEUNA. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Azzi?
AZZI. La Commissione non ha accennato alla mia proposta di emendamento che tendeva a spostare l’articolo 51 come secondo comma dell’articolo 50; perciò lo mantengo.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Il suo emendamento riguarda il giuramento?
AZZI. Tendeva a spostare l’articolo 51 come secondo comma dell’articolo 50, perché è lo stesso argomento; mi pare che la stessa formula adottata per i cittadini sia anche adottabile, con raggiunta del giuramento, per i poteri dello Stato.
MERLIN UMBERTO, Relatore. La Commissione, mi pare di averlo già detto, propone che l’articolo 51 sia rinviato e frazionato.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no! È stato assorbito.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Assorbito per quel che riguarda i pubblici funzionari, ma per il Capo dello Stato e per i magistrati ed altri organi costituzionali noi ripeteremo la norma quando verranno in discussione i singoli articoli. Quindi prego l’onorevole Azzi di non insistere.
PRESIDENTE. Onorevole Azzi, insiste?
AZZI. Accedo al criterio esposto dall’onorevole Relatore.
PRESIDENTE. Onorevole Colitto, ella mantiene il suo emendamento?
COLITTO. Aderisco alla proposta di rinvio.
PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli?
BOSCO LUCARELLI. Anch’io.
PRESIDENTE. Onorevole Rodi?
RODI. Anch’io sono per il rinvio.
PRESIDENTE. L’onorevole Sullo è assente; il suo emendamento s’intende decaduto.
Onorevole Caroleo, mantiene il suo emendamento?
CAROLEO. Aderisco alla proposta di sospensiva e, subordinatamente, mantengo il mio emendamento.
PRESIDENTE. Onorevole Della Seta?
DELLA SETA. Accetto la proposta di rinvio, mantenendo il mio emendamento.
PRESIDENTE. Onorevole Preti?
PRETI. Aderisco alla proposta di rinvio fatta dall’onorevole Benvenuti.
PRESIDENTE. La proposta di rinvio si riferisce al secondo comma dell’articolo 50.
Si deve votare, pertanto, soltanto sul primo comma:
«Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi».
L’onorevole Mastino ha proposto di aggiungere dopo la parola «osservarne» le altro «e farne osservare».
GEUNA. Ritengo che la mia proposta di soppressione del primo comma debba essere votata prima di quella dell’onorevole Mastino.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta soppressiva fatta dall’onorevole Geuna.
(Non è approvata).
Pongo ai voti il primo comma coll’aggiunta proposta dall’onorevole Mastino.
(Non è approvata).
Pongo ai voti il primo comma nel testo proposto della Commissione di cui ho già dato lettura.
(È approvato).
Pongo ai voti la proposta di rinvio del secondo comma dell’articolo 50, accettata dalla Commissione.
(È approvata).
Il testo dell’articolo 50 rimane, quindi, il seguente:
«Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e lo leggi».
L’onorevole Merlin, ieri, aveva preannunziato una dichiarazione della Commissione riguardo all’articolo 51. Lo invito a fare tale dichiarazione.
MERLIN UMBER.TO, Relatore. La proposta della Commissione è questa: in parte notevole l’articolo è già trasfuso nell’articolo 48, che l’Assemblea ha approvato.
Per quello che riguarda il Capo dello Stato, i membri del Governo, i magistrati, ecc., la Commissione si riserva, nelle singole collocazioni degli articoli successivi, di ripetere degli articoli specifici sul giuramento.
BUBBIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BUBBIO. Il Relatore non ha accennato al mio emendamento col quale si intendeva di includere anche i sindaci fra coloro che sono tenuti al giuramento a norma dell’articolo 51. Se la stessa premessa sarà fatta in quella sede, accetto di rinviare.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Accetto; se ne parlerà dopo.
PRESIDENTE. Se viene accettata la proposta dell’onorevole Merlin, l’articolo 51 praticamente scompare; saranno fatte proposte man mano che verremo all’indicazione dei singoli magistrati, funzionari, per i quali sia proposto il giuramento.
(Così rimane stabilito).
Possiamo quindi considerare concluso l’esame del quarto Titolo del progetto di Costituzione. Dovremmo ora passare all’esame della Parte seconda, relativa all’ordinamento della Repubblica.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Restano da esaminare i quattro articoli relativi alla materia tributaria. Fu stabilito, accogliendo una proposta dei presentatori, che ne avremmo trattato alla fine del Titolo quarto della Parte prima.
La Commissione non ha nessuna difficoltà che se ne parli, perché ha già esaminato la questione.
PRESIDENTE. Se nessuno ha obiezioni da fare, si può passare all’esame di questi articoli aggiuntivi riguardanti la materia tributaria, che erano stati rinviati per l’esame alla fine della votazione sulla prima parte del progetto di Costituzione.
Le proposte sono state presentate dagli onorevoli Meda Luigi, Persico, Schiavetti, Castelli e Scoca.
Gli onorevoli Meda Luigi, Malvestiti, Fanfani, Lazzati, Bianchini Laura, Balduzzi, Mastino Gesumino, Murgia, Turco, Ferrarese, hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo:
«I tributi diretti saranno applicati con criterio di progressività».
L’onorevole Meda ha facoltà di svolgerlo.
MEDA LUIGI. Mi sembra che la Commissione sia d’accordo nel formulare un articolo comprensivo dei concetti esposti nel mio emendamento e in quello dell’onorevole Castelli.
Quindi ritengo inutile svolgere il mio emendamento. Desidererei, invece, conoscere il pensiero della Commissione in ordine a questo nuovo articolo che risulta già formulato. Sarebbe opportuno che il Presidente lo comunicasse all’Assemblea.
PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:
«Nessun tributo può essere imposto e riscosso se non è stato consentito dal Parlamento».
Essendo l’onorevole Persico assente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
L’onorevole Schiavetti ha presentato il seguente emendamento che ha già svolto:
«La Repubblica assicura ai cittadini italiani residenti all’estero la possibilità dell’espressione organica della loro volontà e della rappresentanza dei loro interessi».
Gli onorevoli Castelli Edgardo, Vanoni, Marazza, Vicentini, Martinelli, Arcaini, Cavalli, Mannironi, Avanzini, Firrao, Cremaschi, Franceschini, Ferreri, Sampietro, Balduzzi, Bertola, hanno presentato il seguente emendamento:
«Tutti quanti partecipano alla vita economica, sociale o politica dello Stato sono tenuti al pagamento dei tributi in rapporto alla loro effettiva capacità contributiva, salvo le esenzioni e le prerogative previste dalle leggi».
L’onorevole Castelli ha facoltà di svolgerlo.
CASTELLI EDGARDO. Onorevoli colleghi, le tre formule dell’articolo aggiuntivo così come sono state presentate possono essere trasformate in una sola che viene a contemplare tutto l’insieme. La nuova formulazione che ho concordato anche con l’accordo degli onorevoli Scoca, Meda Luigi, Grieco e Laconi, è la seguente:
«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
«Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
PRESIDENTE. L’onorevole Scoca ha facoltà di svolgere il suo articolo aggiuntivo, che è del seguente tenore:
«Salve le esclusioni e le riduzioni d’imposta intese ad assicurare la disponibilità del minimo necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita, tutti debbono concorrere alle spese pubbliche in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività.
«Le disposizioni che costituiscono comunque eccezione al principio dell’uguaglianza tributaria possono essere stabilite solo per la attuazione di scopi d’interesse pubblico, con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere».
SCOCA. Onorevoli colleghi, avevo notato che in questo nostro progetto di Costituzione si è trattato di molte cose, e di alcune anche molto analiticamente, mentre viceversa vi era soltanto un accenno alla materia finanziaria, ed ho pensato che una Costituzione, specialmente se discende a certe analisi, non potesse ignorare la sostanza del fenomeno finanziario, il quale è un fenomeno generale, che tocca tutti in misura sempre più notevole. Già lo Statuto albertino conteneva delle disposizioni in proposito. Ricordo particolarmente quelle dell’articolo 25 e dell’articolo 30.
L’articolo 30 diceva: «Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal re». Questo concetto è riprodotto nell’articolo 18 che l’Assemblea ha approvato. Vi era poi l’articolo 25, il quale diceva: «Essi (cioè i cittadini) contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato». Questa norma enunciava il principio della generalità e dell’uniformità dell’imposta, e lo collegava con la regola della proporzionalità dell’imposta stessa. Trattasi di una regola conforme alle idee dominanti nel periodo in cui lo Statuto albertino fu emanato. Essa non ha impedito che la nostra legislazione si evolvesse in qualche misura nel senso della progressività; e, così, progressive sono le imposte sulle successioni e sulle donazioni e particolarmente l’imposta complementare sul reddito. Ma il nostro sistema tributario, nelle sue linee fondamentali, è ancora informato al concetto di proporzionalità, e di una proporzionalità zoppicante. Se pensiamo, infatti, che la massima parte del gettito della imposta diretta è dato ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni, sui fabbricati e sulla ricchezza mobile, che sono a base oggettiva o reale e ad aliquota costante, mentre comparativamente assai scarso è il gettito della complementare sul reddito globale, che è a base personale e ad aliquota progressiva, abbiamo la riprova più convincente che lo stesso sistema delle imposte dirette si impernia sulla proporzionalità.
Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria. Non è questo il momento più opportuno per attuarla, ma credo necessario che si inserisca nella nostra Costituzione, in luogo del principio enunciato dall’articolo 25 del vecchio Statuto, un principio informato a un criterio più democratico, più aderente alla coscienza della solidarietà sociale e più conforme alla evoluzione delle legislazioni più progredite.
La regola della progressività deve essere effettivamente operante; e perciò nella primitiva formulazione dell’articolo aggiuntivo da me proposto avevo detto che il concorso di tutti alle spese pubbliche deve avvenire in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività. Ciò significa che la progressione applicata ai tributi sul reddito globale o sul patrimonio dev’esser tale da correggere le iniquità derivanti dagli altri tributi, ed in particolare da quelli sui consumi. Intanto ho accettato la più sintetica nuova formulazione del capoverso dell’emendamento concordato: «Il sistema tributario si informa al criterio della progressività»; in quanto gli attribuisco la stessa portata e lo stesso contenuto.
Naturalmente, con questa enunciazione non vogliamo dire – né lo potremmo – che tutte indistintamente le imposte debbono essere progressive, perché ben sappiamo come ciò sarebbe impossibile o scientificamente errato; perché ben sappiamo che la progressione non si addice alle imposte dirette reali e può trovare solo inadeguata e indiretta applicazione nelle imposte sui consumi e nelle imposte indirette in generale.
Resta tuttavia fermo che il sistema tributario nel complesso deve essere informato al principio della progressività, nel modo concreto che ho chiarito. Io penso che l’Assemblea sia di accordo su ciò, perché le Assemblee politiche non si lasciano deviare dalle preoccupazioni scientifiche o pseudoscientifiche degli studiosi su questo argomento. Da un punto di vista scientifico (se di scientifico c’è qualcosa nella materia finanziaria, o nella scienza delle finanze) si può dimostrare, come è stato dimostrato, che, pur partendo da uno stesso principio, è possibile giungere sia alla regola della proporzionalità che a quella della progressività. Ma, lasciandosi guidare da un sano realismo, non si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa a principî di democrazia e di solidarietà sociale, debba dare la preferenza al principio della progressività. Le dispute dei dotti su questo tema mi hanno lasciato sempre perplesso; non così le osservazioni d’ordine pratico. Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con l’aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. È ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente sopporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo. Si può discutere sulla misura e sui limiti della progressione; non sul principio. Il mio articolo aggiuntivo originario accennava espressamente alla necessità che a tutti i cittadini venga assicurata la disponibilità del reddito minimo necessario alla esistenza; ed anche su questo credo che ci sia la concorde adesione di tutte le parti di questa Assemblea. Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere. Da ciò discende la necessità della esclusione dei redditi minimi dalla imposizione; minimi che lo Stato ha interesse a tenere sufficientemente elevati, per consentire il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, che contribuisce al miglioramento morale e fisico delle stesse ed in definitiva anche all’aumento della loro capacità produttiva. Da ciò discende pure che debbono essere tenuti in opportuna considerazione i carichi di famiglia del contribuente. Sono questi aspetti caratteristici di quella capacità contributiva, che la formulazione concordata dell’articolo aggiuntivo pone a base dalla imposizione.
Nell’articolo da me proposto avevo aggiunto un capoverso che riguarda la intangibilità del principio della generalità dell’imposta. Questo principio, già compreso nello Statuto albertino, deve essere meglio assicurato, e meglio garantito, perché non vi siano per l’avvenire quelle deviazioni che ci sono state per il passato. Se esaminiamo la nostra legislazione, vediamo che, accanto alle leggi normali di imposta, si sono inserite troppe eccezioni, troppe norme singolari, le quali creano differenze di trattamento tra classi di cittadini ed altre classi, e tra le varie località del territorio dello Stato, e rendono ardua la stessa conoscenza della materia.
Questa delle riduzioni e delle esenzioni è una grave menda della nostra legislazione, ed occorre che sia eliminata per l’avvenire. Come può essere impedita? Ho fatto una proposta del seguente tenore:
«Le disposizioni che costituiscono comunque eccezione al principio dell’uguaglianza tributaria possono essere stabilite solo per la attuazione di scopi d’interesse pubblico, con legge approvata a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere».
Con essa chiedo che venga espressamente stabilito che, quando si accorda una esenzione, il movente di questa eccezione alla regola dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi tributarie sia determinato unicamente da scopi di interesse pubblico, e che, ad evitare equivoci ed errori, ciò venga riconosciuto a mezzo di votazione qualificata delle Assemblee legislative.
Devo ritenere che il Comitato di coordinamento mantenga fermo il suo punto di vista a me espresso in via preventiva nell’adunanza di stamane, e cioè riconosca l’opportunità della norma, ma preferisca se ne discuta più in là. Domando al presidente della Commissione se è d’accordo di rinviare la discussione di questo argomento. Se non fosse d’accordo, chiederei di trattarlo ora. Lo prego di rispondermi.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sì, sì; siamo d’accordo.
SCOCA. Ne prendo atto. Penso di non dover più insistere nella illustrazione di questo articolo aggiuntivo che abbiamo proposto all’Assemblea, perché ritengo che esso consacri nella Carta costituzionale un principio il quale è già vivo nella coscienza di tutti i cittadini italiani. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È stato da alcuni manifestato il desiderio, durante le precedenti discussioni, che fosse inserito nella Costituzione un gruppo di norme di indole tributaria. La Commissione non si era ispirata a questo concetto e non lo crede necessario. Essa ha distribuito varie disposizioni che riguardano i tributi al luogo dove dovevano essere collocate nella Costituzione. È stato pure invocato il criterio dello Statuto albertino, e si è proposto di seguirne l’esempio; ma proprio lo Statuto albertino non riunisce insieme le norme per i tributi; le colloca nelle varie posizioni, dove è necessario ed opportuno.
Farò un confronto rapidissimo. Lo Statuto albertino comincia con l’articolo 5 ad occuparsi incidentalmente dei trattati che implicano un onere finanziario; ed implicitamente ne attribuisce l’approvazione alla legge, e cioè al Parlamento e non soltanto al re. Noi diciamo esplicitamente all’articolo 76 del nostro progetto che i trattati che hanno un onere finanziario devono essere approvati dalle due Camere.
Troviamo poi all’articolo 10 dello Statuto albertino la disposizione che le leggi di imposizione di tributi o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato saranno presentate prima alla Camera dei Deputati. Noi abbiamo dato invece parità di posizione alla Camera dei Deputati ed a quella dei Senatori, e non abbiamo quindi conservato la disposizione.
Vengono poi gli articoli 25 e 30 dello Statuto albertino. Il 30 stabilisce che nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal re. Qualcosa di simile, senza il re, vorrebbe ripetere nel nostro testo l’onorevole Persico, ma noi abbiamo già votato all’articolo 18 che non è consentito nessun contributo personale o reale, se non per legge. Dunque la disposizione vi è; e non occorre diluire e ripetere, quando non ve n’è bisogno. Del resto abbiamo all’articolo 77 del nostro progetto ribadito l’ovvio principio dell’approvazione legislativa in materia di bilanci; ed abbiamo aggiunto un criterio nuovo ed importante; che quando si approva per legge una spesa, si deve provvedere anche ad una congrua entrata.
Non è quindi che questa materia tributaria sia stata da noi dimenticata; è stata anzi distribuita razionalmente.
Resta la disposizione dell’articolo 25 dello Statuto albertino che impone ai «regnicoli di contribuire indistintamente in proporzione dei loro averi ai carichi dello Stato». La Commissione aveva, nel corso dei suoi lavori, esaminato la questione dei criteri direttivi dell’imposizione tributaria; al cui riguardo il Ministero della Costituente ha fatto tanti studi e tanti interrogatori; in complesso con conclusioni negative per l’inserzione di norme nella Costituzione. La nostra Commissione non ha creduto necessario di determinare nella Carta concetti che sono già acquisiti e molto ovvi. Ma ora sono state fatte varie proposte di norme: la Commissione non ha nessuna difficoltà a prenderle in considerazione.
V’è in primo luogo quella dell’onorevole Meda: «I tributi diretti saranno applicati con criterio di progressività». Noi abbiamo fatto osservare all’onorevole Meda – ed egli ha pienamente acceduto al nostro punto di vista – che non tutti i tributi diretti possono essere applicati con criterio di progressività. D’altra parte, se ai singoli tributi indiretti non si addice il metodo della progressività, si può e si deve tener presente complessivamente tale criterio, gravando la mano sui consumi non necessari e di lusso. La proposizione dell’onorevole Meda, non esatta se si riferisce alle sole imposte dirette (alle quali pur maggiormente si applica), diventa ammissibile se si riferisce all’insieme del sistema tributario.
L’emendamento presentato dall’onorevole Castelli e da altri colleghi è molto ampio e porta alla ribalta molte questioni che poi gli stessi proponenti hanno, insieme a noi, cercato di condensare in una dizione più sintetica, e più conforme al carattere che dobbiamo cercare di imprimere alla nostra Costituzione. L’onorevole Castelli ha cominciato con una frase che intende assoggettare ai tributi anche gli stranieri, pur non nominandoli; ma la partecipazione alla vita politica, economica e sociale del paese non sembra concetto chiaro e felice (sebbene, lo so, sia stata suggerita in sede di studi del Ministero della Costituente). Non è necessario entrare in elocuzioni vaghe: basta dire che «tutti devono concorrere». Quel «tutti» riguarda anche gli stranieri, come risulta dall’intero testo costituzionale che agli altri articoli distingue quando vuol riferirsi ai cittadini, od a «tutti» ove sono inclusi anche gli stranieri, che potranno essere assoggettati a tributi, in quanto ve ne siano le ragioni obbiettive, e lo consentano le norme internazionali.
Accettiamo il criterio della capacità contributiva che l’onorevole Castelli ha proposto. Lo Statuto albertino parla di averi, la Costituzione di Weimar parla di mezzi: la nostra accoglie la formula, tecnicamente preferibile, di «capacità contributiva».
Tale formula contiene già in germe l’idea delle limitazioni e delle esenzioni per il fatto che colui il quale dovrebbe contribuire non ha capacità contributiva, idea a cui ha dato risalto l’onorevole Scoca.
La proposta dell’onorevole Scoca è larga ed ingegnosa, e comincia appunto contemplando le esenzioni per lasciare ai cittadini un minimo necessario al soddisfacimento delle esigenze inderogabili della vita. Ma vi sono anche altre esenzioni (ad esempio quella pei primi anni nella costruzione di case) che possono essere suggerite da altri criteri, nell’interesse stesso di accumulare materia imponibile. D’altro lato l’espressione adottata dall’onorevole Scoca potrebbe far sorgere contestazioni e pretese. Sembra meglio restare al concetto generale dell’onorevole Villani della capacità contributiva, che implica le esenzioni per chi non ha capacità contributiva; ed in tali condizioni senza dubbio si trova chi non ha il minimo indispensabile per vivere.
L’onorevole Scoca, nella sua alta competenza, ha voluto richiamare il criterio della progressività; ma ha tenuto conto che non si può applicare, come abbiamo visto, a tutti i singoli tributi; ed è ricorso alla formula che l’onere complessivo dei tributi che gravano su ogni cittadino sia progressivo. Criterio esatto; ed in sostanza equivalente all’altro, su cui poi proponenti e Commissione si sono accordati, che il complesso del sistema tributario sia informato a progressività.
L’onorevole Scoca, in una seconda edizione del suo emendamento, si è giustamente preoccupato del fatto che troppo spesso vengono introdotti nelle leggi fiscali esoneri che si traducono in disuguaglianze e privilegi fra le categorie di contribuenti; ed ha chiesto che si provveda con una disposizione apposita, che prescriva una particolare procedura e cautela nell’adottare simili eccezioni. Gli do affidamento che apprezziamo il suo punto di vista, e che esamineremo il problema a suo luogo, nell’articolo che parla delle leggi finanziarie.
In complesso, la disposizione che ora vi leggerò, che è stata concordata dai tre proponenti sotto gli auspici della Commissione, è questa: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». È un’espressione sintetica, di stile costituzionale e non è inesatta né incompleta. La Commissione è tranquilla nell’accogliere questo emendamento che costituirà probabilmente un articolo del Titolo economico – probabilmente perché lo collocheremo dove apparirà opportuno nella revisione e nel coordinamento finale – in quanto è nella sua sostanza una disposizione democratica, e non crea difficoltà pratiche di applicazione e nessuna dubbiezza. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ritengo che, dopo aver udito lo svolgimento degli emendamenti e le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, non resti che esaminare ed approvare il testo, che dirò concordato, il quale è stato svolto dall’onorevole Scoca, e di cui do lettura, leggendo anche i nomi di coloro che vi hanno apposto la firma:
«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
«Scoca, Meda Luigi, Grieco, Castelli, Laconi, Cremaschi Carlo».
Non si tratta dunque che di passare alla votazione di questo testo, se gli onorevoli colleghi, che avevano presentato altre formulazioni, dichiarano di rinunciarvi.
Non essendo presente l’onorevole Persico, il suo emendamento si intende decaduto.
Gli onorevoli Castelli, Scoca e Meda hanno firmato la formulazione concordata; quindi resta da porre ih votazione questo unico testo.
CORBINO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Aderisco in genere, pur facendo una riserva, all’articolo aggiuntivo proposto dalla Commissione. La riserva concerne soprattutto il secondo comma, dove si afferma che tutti i tributi devono rispondere al criterio della progressività.
SCOCA. No, è inesatto.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, il sistema nel suo complesso.
PRESIDENTE. Il comma dice: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
CORBINO. Ora, è proprio su questo che io ho qualche riserva da fare, perché noi abbiamo un sistema tributario che è impostato – come tutti sappiamo – su due tipi di tributi: tributi reali e tributi personali. Se noi vogliamo introdurre nel sistema tributario il principio della progressività, dobbiamo arrivare alla soppressione di questo duplice sistema di tassazione, e ricorrere al sistema unico di tassazione che esiste in altri paesi. Non c’è niente in contrario, in teoria, ma in pratica si dovrebbe affrontare una riforma fiscale che non so fino a qual punto nel nostro Paese potremmo cominciare a studiare.
Se dovremo restare coi due tipi di tributi, evidentemente il concetto della progressività per i tributi reali non può essere accolto, perché si arriverebbe a questo assurdo: che una società con un milione di capitale, che guadagna per esempio cinquantamila lire l’anno, è tassata in un modo, mentre una società con cento milioni di capitale è tassata con un’aliquota progressivamente maggiore. Una discussione su questo argomento è sorta recentemente in sede di imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e molto opportunamente si è accettato di non estendere l’imposta alle persone giuridiche.
Noi possiamo votare l’articolo aggiuntivo proposto dalla Commissione, nell’intesa che quella formula del secondo comma si debba considerare o limitata solo ai tributi di carattere personale o come voto per una riforma generale del sistema fiscale che sostituisca al doppio metodo di imposizione il metodo unico della imposizione a titolo personale.
Per quanto concerne il secondo comma dell’emendamento Scoca, che la Commissione si riserva di ripresentare…
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …di esaminare.
CORBINO. …di esaminare in sede di imposizione dei tributi, desideravo fare rilevare che tutte le volte che si sono concesse agevolazioni fiscali, le concessioni hanno avuto sempre il presupposto dell’interesse pubblico, non quello dell’interesse privato. Nessun Governo ha mai esentato la forma A o la forma B di attività per un certo numero di anni dalla imposta per fare piacere ai contribuenti; ha creduto che fosse nell’interesse generale di concedere un’esenzione, che si trasforma in una diminuzione del costo e non soltanto del costo economico, ma anche di quello che si potrebbe chiamare costo fiscale, dato che il nostro sistema fiscale è organizzato in modo tale che il contribuente e l’agente delle imposte sono divenuti due nemici assolutamente irreconciliabili. Accade così che l’esenzione si concede non tanto perché essa costituisce un vantaggio positivo, quanto perché toglie il cittadino dalle grinfie dell’agente delle imposte.
Evidentemente, il giorno in cui noi riusciremo ad organizzare la finanza pubblica in modo che vi sia maggiore collaborazione fra contribuenti e agenti del fisco, probabilmente la richiesta di esenzioni fiscali si attenuerà e le ragioni dell’interesse pubblico – che stanno alla base delle concessioni già fatte – verranno a mancare.
Quindi aderisco al pensiero della Commissione di riesaminare la formula e rimandarne la discussione a tempo successivo.
PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione stessa.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Corbino non era forse presente quando è stata svolta la proposta Scoca e quando io ho risposto. Il criterio che abbiamo seguito è questo: era stata sollevata prima la distinzione fra tributi diretti e indiretti…
CORBINO. Io sono stato sempre presente.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non resta allora al collega Corbino che di applicare ai tributi personali e reali la stessa spiegazione che ho dato all’onorevole Meda che aveva sollevato la distinzione fra tributi diretti ed indiretti. Dissi all’onorevole Meda essere elementare – e la Commissione non poteva intendere diversamente – che non tutti i tributi possono essere progressivi; e ve ne sono, di diretti e di reali, che debbono essere necessariamente proporzionali; ma ciò non toglie che il sistema tributario debba essere, nel suo complesso, ispirato a criteri di progressività.
Quanto all’ultima proposta dell’onorevole Scoca che la Commissione si è riservata di esaminare in altro momento, si riferisce alla facilità con cui vengono introdotte delle distinzioni, delle esenzioni, e non si rispettano i principî di eguaglianza fra i contribuenti. Vedremo se occorrerà o no al riguardo un dato procedimento legislativo. Non ho nulla da mutare su quanto ho già dichiarato a nome della Commissione.
SCOCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCA. Onorevole Presidente, ho chiesto di parlare per replicare molto brevemente a quanto ha detto l’onorevole Corbino. Mi pare che egli abbia aderito alla votazione dell’articolo aggiuntivo, quale è stato formulato d’accordo con la Commissione. Ma ha delle preoccupazioni quanto ad una radicale riforma del nostro sistema tributario.
CORBINO. Non ho queste preoccupazioni.
SCOCA. L’onorevole Corbino ha detto che se dobbiamo attuare la progressività dobbiamo abolire le imposte speciali sui redditi per dirigerci verso l’imposta unica. Io direi che non è necessario far questo per applicare il principio della progressività, così come noi l’abbiamo inteso e come l’onorevole Presidente della Commissione lo ha illustrato. Basta capovolgere la situazione attuale del rapporto fra imposte reali e personali. Dicevo dianzi che oggi il nostro sistema tributario è imperniato principalmente sulle imposte dirette reali, ad aliquota proporzionale e che l’imposta complementare, che è l’unica imposta diretta di carattere progressivo, è comparativamente una ben minima cosa. Ma si può e, a mio avviso, si deve invertire questa situazione. Possiamo mantenere le imposte dirette reali (e si debbono mantenere; almeno come necessaria base di accertamento dell’imposta personale che colpisce il reddito complessivo del cittadino) purché si attui una riduzione notevolissima delle loro aliquote, e si determinino gli imponibili nella loro consistenza effettiva. Se ciò faremo, potremo potenziare l’imposta progressiva sul reddito e farla diventare la spina dorsale del nostro sistema tributario. Con l’alleggerire la pressione delle imposte proporzionali, che colpiscono separatamente le varie specie di redditi, avremo margine per colpire unitariamente e progressivamente il reddito globale. Per tal modo si potrà informare il nostro sistema fiscale al criterio della progressività senza far sparire le imposte reali e senza attuare la imposta unica, che sarebbe, almeno per ora, esperimento pericoloso.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione dell’articolo nel testo dell’emendamento firmato dagli onorevoli Meda Luigi, Scoca ed altri, accettato dalla Commissione.
Il primo comma dice:
«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».
(È approvato).
Il secondo comma dice:
«Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
(È approvato).
L’articolo, nel suo complesso, risulta così approvato:
«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
«Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Vi sarebbe ora da esaminare l’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Schiavetti, così concepito:
«La Repubblica assicura ai cittadini italiani residenti all’estero la possibilità dell’espressione organica della loro volontà e della rappresentanza dei loro interessi».
Onorevole Schiavetti, ella aveva chiesto che la decisione fosse rinviata a quando si fosse terminato l’esame del Titolo. Ha dunque facoltà di parlare.
SCHIAVETTI. Mantengo questo emendamento. Vorrei far notare all’Assemblea che io stesso, quando si è parlato del problema morale e politico costituito dalla presenza di sette od otto milioni di italiani all’estero, ossia di circa il sedici o diciassette per cento della popolazione italiana, ho riconosciuto la difficoltà che la concessione del diritto di voto avrebbe trovato nella sua attuazione.
Ed appunto per questo ho pensato che un doveroso omaggio ai nostri emigrati potrebbe essere reso sotto altre forme da questa Assemblea Costituente. L’Assemblea potrebbe limitarsi a stabilire, in linea di principio, quel che io ho affermato nel mio emendamento, cioè che «La Repubblica assicura ai cittadini italiani residenti all’estero la possibilità dell’espressione organica della loro volontà e della rappresentanza dei loro interessi». L’idea a cui si ispira questo emendamento è la stessa che è già stata affermata nel 1908 e nel 1911 nei Congressi degli italiani all’estero, i quali in quei Congressi domandarono che si costituissero dei corpi rappresentativi dell’emigrazione. Naturalmente spetterà al futuro legislatore di studiare la forma concreta da dare a questi organi; ma io credo che sarebbe doveroso, e più ancora opportuno, che l’Assemblea Costituente rendesse omaggio in questo modo al contributo che al nostro Paese ha dato la massa degli emigrati all’estero.
MERLIN UMBERTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MERLIN UMBERTO, Relatore. La Commissione ha esaminato l’articolo aggiuntivo del collega Schiavetti con il maggiore favore, riconoscendo tutta la nobiltà di questa proposta e la bontà delle intenzioni del proponente. A vero dire, quando ho risposto l’altro giorno, io avevo accomunato la proposta del collega Schiavetti con quella dell’onorevole Piemonte. Devo invece riconoscere che questa proposta è diversa, presenta particolarità diverse, per quanto essa si rivolga ugualmente, come la proposta dell’onorevole Piemonte, a nostri connazionali che vivono all’estero. Per quanto però la Commissione abbia esaminato la cosa con il maggior favore, si è trovata nella necessità di non poterla accettare. L’Assemblea comprende che non abbiamo accettato la proposta dell’onorevole Piemonte, non perché non ne riconoscessimo la bontà, ma soltanto perché è impossibile che uno Stato deliberi qualche cosa che debba ottenere osservanza in uno Stato estero. Noi vogliamo pregare l’onorevole Schiavetti di considerare la situazione in cui sarebbe posta la Repubblica italiana dopo l’approvazione di questo articolo. Egli dice: «La Repubblica assicura ai cittadini italiani residenti all’estero la possibilità della espressione organica della loro volontà e della rappresentanza dei loro interessi». Ma come facciamo noi ad assicurare qualche cosa che deve essere attuata in Francia, in Svizzera, in Belgio, in altri Stati? Noi non possiamo assicurare nulla; perché, se anche scrivessimo un articolo di questo genere nella nostra Costituzione, questo articolo rimarrebbe puramente come l’espressione di un voto senza possibilità di applicazione pratica. D’altra parte io prego l’onorevole Schiavetti di considerare questo: che queste nostre comunità nazionali, viventi all’estero, siano organizzate e trovino accoglienza e tutela presso i nostri Consolati, presso le nostre Ambasciate è doveroso, ed è quello che avviene anche oggi, è quello che i nostri rappresentanti ai l’estero fanno ogni giorno. Ma se dessimo a queste colonie una rappresentanza organica come egli domanda, e una rappresentanza dei loro interessi, questo potrebbe eventualmente sollevare dei sospetti e delle diffidenze. Questa sua proposta esige, secondo me, prima, delle trattative con gli Stati esteri; impone che prima si concludano queste trattative, che prima si ottenga che questi Stati riconoscano la vita di queste comunità ed ammettano la rappresentanza di questi interessi. Dopo, potremo scrivere nella nostra Carta e nelle nostre leggi il principio che l’onorevole Schiavetti ha con tanta eloquenza e con tanto senso di italianità esposto: perché io riconosco che quello che egli propone, se attuato, sarebbe molto utile ai nostri connazionali e molto utile anche al nostro Paese. Perciò la Commissione prega l’onorevole Schiavetti di non insistere, anche per non correre il pericolo, già corso dall’onorevole Piemonte, di vedere respinto il proprio emendamento.
Poiché dovremo decidere alla fine se la nostra Costituzione debba avere un preambolo, l’onorevole Schiavetti potrebbe proporre il concetto, modificato, in quella sede.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Mi duole di non essere completamente d’accordo su quanto ha affermato l’onorevole Merlin. Non ritengo che la proposta Schiavetti urti contro le difficoltà pratiche che egli ha esposto.
In sostanza, non è questione che interessi le relazioni fra l’Italia e gli altri Stati, che debba comportare un regolamento di rapporti internazionali; si tratta della organizzazione delle comunità italiane all’estero e dei loro rapporti coi consolati.
Non ritengo, quindi, che vi sia difficoltà sostanziale a dare un minimo di democraticità a questi rapporti ed a consentire la rappresentanza di interessi da parte dei cittadini italiani all’estero presso gli organi, che rappresentano lo Stato italiano nei Paesi dove essi vivono.
Ciò non significa, però, che si possa accettare, così com’è formulato, l’emendamento proposto dall’onorevole Schiavetti. La formula non è chiara, non esprime il suo e nostro pensiero in forma accettabile.
Propongo dunque, all’onorevole Schiavetti di accettare la sospensiva e di discutere l’argomento, non appena sarà stata concertata una formulazione migliore.
Penso che l’articolo non sia strettamente legato a questa parte del Progetto. Se ne potrebbe studiare il contenuto, lasciando in sospeso la questione del collocamento.
CINGOLANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CINGOLANI. Prego l’onorevole Schiavetti di accettare sia le parole pronunziate dall’onorevole Merlin, con piena comprensione dello spirito dell’emendamento, sia la proposta di sospensiva fatta dall’onorevole Laconi.
Io sono legato a questa questione, perché sono firmatario della deliberazione del Congresso degli italiani all’estero tenuto a Roma nel 1911. Ricordo ancora come quei rappresentanti delle colonie nostre di tutto il mondo e d’ogni parte politica fossero tutti compresi del limite del loro atteggiamento, di fronte alla delicata situazione dell’Italia nei confronti dei propri cittadini emigrati in altri Paesi, dei quali avevano accettato la sovranità.
Bisogna trovare un’espressione che risponda alla delicatezza della situazione, che oggi forse merita meditazione maggiore che nel 1911.
Anch’io, pertanto, rivolgo all’onorevole Schiavetti la preghiera di accettare la sospensiva, per riparlarne, con gli stessi sentimenti, in altra sede.
MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORELLI RENATO. Non v’è dubbio che l’affermazione di questo principio abbia una grande importanza nei confronti delle nostre comunità italiane all’estero, e che mai come in questo momento c’è bisogno di ravvivare le simpatie dei nostri connazionali e di rafforzarne la solidarietà.
Ne ho esperienza per le sollecitazioni che mi furono fatte a suo tempo quando avevo l’onore di reggere il Sottosegretariato degli italiani all’estero.
Tuttavia trovo nell’emendamento Schiavetti una parte, quella diretta ad assicurare la possibilità dell’esercizio del voto, che è già compresa giuridicamente nell’articolo 45, quando si dichiara che sono elettori tutti i cittadini italiani.
Evidentemente parlando di tutti i cittadini italiani, si comprendono anche i cittadini italiani residenti all’estero, cioè quegli italiani che pur stando all’estero hanno conservato la cittadinanza italiana.
Quindi resta l’altra questione che è quella della possibilità di esercitare il voto.
PRESIDENTE. È un altro problema, onorevole Morelli, che è stato risolto con la votazione dell’emendamento dell’onorevole Piemonte. Siamo su un altro campo. Non si tratta di una partecipazione alla vita politica, ma di un altro modo con cui gli italiani possono legarsi fra loro.
MORELLI RENATO. Resta la questione tecnica di rendere praticamente possibile l’esercizio del voto.
Questa questione deve essere risolta in sede di approvazione della legge elettorale.
PRESIDENTE. Non si tratta di assicurare agli italiani all’estero l’esercizio del voto. Questo esercizio è stato escluso dall’Assemblea in una votazione a scrutinio segreto.
MORELLI RENATO. Il Relatore dice di no.
PRESIDENTE. Glielo assicurò io. Si tratta di un’altra questione che l’onorevole Schiavetti, l’altro giorno, ha ampiamente spiegata.
PIEMONTE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIEMONTE. Prego l’amico Schiavetti di accedere alla proposta dell’onorevole Laconi, cioè di rinviare.
Gli italiani all’estero potranno farsi sentire presso il Consolato, presso l’Ambasciata. È questione di forma.
Bisognerà studiare meglio una forma che salvaguardi questi figli che stanno all’estero e che a noi stanno tanto a cuore.
BUFFONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BUFFONI. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Piemonte.
Io credo che il problema sia molto importante. Proprio in questi giorni è radunato a Parigi il Congresso della grande Organizzazione degli emigrati italiani «Italia Libera». Di questo problema certamente vi si parlerà.
Non si tratta solamente di assicurare agli italiani all’estero l’esercizio del diritto di voto, questione che è stata discussa l’altro giorno e che potrà essere eventualmente risollevata quando si esaminerà la nuova legge elettorale, ma si tratta di assicurare agli italiani all’estero una rappresentanza, il diritto di far sentire la loro voce presso Consolati ed Ambasciate che finora, purtroppo, hanno sempre trascurato gli interessi degli italiani all’estero.
In passato, il regime liberale non si è curato degli italiani all’estero, i quali erano completamente abbandonati a loro stessi. Durante il fascismo c’è stata sì cura degli italiani all’estero, ma da un punto di vista poliziesco o per scopi politici, per obbligare gli italiani all’estero ad aderire al regime e aiutare la propaganda del fascismo. Oggi noi dobbiamo purtroppo deplorare che i nostri Consolati e le nostre Ambasciate non danno ancora le cure necessarie e sufficienti alla nostra emigrazione. Bisogna che i nostri emigrati abbiano il modo di far sentire la loro voce. Penso che si possa costituire in Italia un Consiglio dell’emigrazione o un Consiglio degli italiani all’estero, in cui gli italiani all’estero siano rappresentati da loro delegati. Esso sarebbe certamente molto utile.
In questo senso penso che il problema dovrebbe essere esaminato ed in questo senso mi associo alle proposte degli onorevoli Laconi e Piemonte.
SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCHIAVETTI. Dinanzi a tanti e così autorevoli inviti è naturale che io accetti di rinviare il mio emendamento; ma, se il Presidente me lo consente, vorrei far rilevare che la dizione usata nel mio emendamento è esatta e opportuna. Io ho parlato di espressione organica della volontà e degli interessi delle comunità degli italiani all’estero, appunto perché non vedo tutelata questa espressione organica nella semplice concessione, anche se fosse realizzabile, del diritto di voto. Se infatti gli italiani all’estero potessero votare, il loro voto si perderebbe fra i milioni e milioni degli altri voti. Noi desideriamo invece che gli italiani all’estero possano nominare dei rappresentanti nella loro qualità di italiani all’estero. Questo significa espressione organica della loro volontà.
Rispetto all’obiezione fatta dall’onorevole Merlin, mi pare che essa non tenga conto del modo come noi abbiamo prospettato questo problema. Se si dovessero dare per buone queste obiezioni, la stessa riunione dei congressi del 1908 e del 1911 sarebbe stata tale da porre in pericolo i rapporti del nostro Paese con gli altri Stati stranieri; e d’altra parte non sarebbe nemmeno possibile una organizzazione di carattere nazionale come la Dante Alighieri, la quale ha riunito quel che di meglio esisteva, dal punto di vista culturale, fra gli italiani all’estero e ha tenuto regolarmente, per molti anni, i propri congressi nel Paese.
Per queste ragioni insisto sopra la formulazione e sopra la sostanza dell’emendamento, pur accettando la proposta di rinvio.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare una semplicissima dichiarazione, ed è questa:
Tutti sentiamo la grande importanza dei legami che ci avvincono agli italiani all’estero. Ma è un argomento nel quale bisogna andare cauti per non fare del male quando vogliamo fare del bene. Resti viva ed accesa in tutti noi la solidarietà verso i nostri fratelli d’oltre confine, ma cerchiamo di esprimerla nel modo più conforme ai loro interessi.
Colgo l’occasione per fare una dichiarazione interpretativa. Quando l’Assemblea ha respinto la proposta dell’onorevole Piemonte nel senso che il diritto di voto è esercitato anche dal cittadino all’estero, si è ispirata alle dichiarazioni dell’onorevole Merlin, il quale aveva messo in luce la difficoltà di assicurare l’esercizio di questo diritto. È noto come queste difficoltà siano gravi ed estese. Un uomo di governo svizzero mi ha detto testé che nel suo Paese non sono permesse votazioni di stranieri per il loro paese di origine. Così altrove.
L’Assemblea, a notevole maggioranza, ha creduto che la nostra Costituzione non possa assicurare l’esercizio del diritto di voto. Ma altro è del diritto di voto. L’articolo approvato dice: «Tutti i cittadini hanno diritto al voto». Gli italiani che si trovano all’estero, hanno, in quanto sono ancora cittadini italiani, diritto al voto: e possono esercitarlo ad esempio, venendo per le elezioni in patria.
La mia dichiarazione servirà ad esprimere quale è stata la volontà dell’Assemblea: se in seguito si avranno altri modi di assicurare l’esercizio di voto agli italiani all’estero, si potrà provvedere con legge ordinaria, senza bisogno di ricorrere a revisione costituzionale.
L’onorevole Schiavetti ha sollevato col suo emendamento una questione che non coincide con quella del diritto di voto; ma riguarda la rappresentanza e l’espressione degli interessi degli italiani all’estero. È un concetto giusto, ed una doverosa e santa esigenza. Ma l’onorevole Laconi ha ragione quando osserva che l’espressione data nell’emendamento a questo concetto non è chiara. E potrebbe essere dannosa pei nostri fratelli. Non bisogna dimenticare che la posizione degli italiani all’estero ha ereditato dal fascismo impressioni non favorevoli nei Paesi che li ospitano.
Bisogna distinguere fra due ordini di rapporti. La rappresentanza e l’organizzazione degli italiani all’estero non può riguardare i rapporti coi Paesi ove vivono. Si solleverebbero sospetti e difficoltà ben gravi. Noi stessi saremmo gelosi se un’organizzazione di cittadini stranieri volesse influire in qualche modo nel nostro Paese, sotto l’ala di un altro Stato.
Bisogna chiarire il concetto generale espresso dall’onorevole Schiavetti. Egli vuole certamente riferirsi ai rapporti dei nostri connazionali con l’Italia, in forma, ad esempio, di delegazioni, presso le Ambasciate ed i Consolati e di rappresentanze in un Consiglio di italiani all’estero presso il nostro Ministero degli affari esteri. Sono idee apprezzabilissime; io, personalmente, anche prima del fascismo, ho scritto e sostenuto che accanto ad ogni Ministero o gruppo di Ministeri o di amministrazioni vi dovrebbe essere un Consiglio di esperti e di rappresentanti degli interessi cui quel settore si riferisce; e ciò per far cadere le barriere fra la burocrazia e la vita. Nel Consiglio presso il Ministero degli esteri dovrebbero naturalmente essere rappresentati (o formare un Consiglio a sé) gli italiani all’estero. Vi è anche, ed è per alcuni aspetti più delicata, la rappresentanza presso i Consolati e le Ambasciate; è bene ed è opportuno che vi sia; bisogna però andar cauti nel fare e sovrattutto nel proclamare ciò che ad ogni modo è un nostro diritto; ma bisogna far sì che non si urtino le suscettibilità straniere. Dobbiamo difendere a viso alto i nostri emigranti; ma non crear loro difficoltà.
È necessario ed opportuno tradurre il pensiero dell’onorevole Schiavetti in un articolo della Costituzione? Non potrà essere preferibile concretare in un ordine del giorno votato dall’Assemblea le direttive da seguire, legislativamente e di fatti nel senso desiderato? Esamineremo questo punto, meditatamente, quando parleremo degli ordinamenti, e, ad esempio, degli organi ausiliari dello Stato. Bisogna per ora fermarsi, e l’Assemblea è concorde, nella più fervida manifestazione di solidarietà verso questi nostri fratelli. (Applausi).
PRESIDENTE. Se nessun altro chiede di parlare, possiamo concludere nel senso di porre in votazione la proposta di rinvio dell’esame e della relativa formulazione dell’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Schiavetti. Metto in votazione la proposta di rinvio.
(È approvata).
Suppongo che l’onorevole Schiavetti curerà l’elaborazione del nuovo testo da sottoporre, al momento opportuno, all’Assemblea. Abbiamo così ultimato l’esame degli articoli aggiuntivi proposti nel corso della discussione del quarto Titolo della Parte prima. Occorre ora decidere sulla prosecuzione dei nostri lavori.
BERTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTINI. Ho notizia che il Comitato dei diciotto si è riunito in questo momento…
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma se stiamo qui?!
BERTINI. Era una notizia che avevo semplicemente raccolto. Ad ogni modo chiedo soltanto, anche a nome di altri colleghi, di sospendere la seduta per un’ora per dar modo al Comitato di fare comunicazioni ed eventualmente anche proposte concrete sull’argomento della discussione che si dovrà fare nella settimana ventura.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Veramente il Comitato dei diciotto in questo momento non è fuori di qui, onorevole Bertini, perché parla dai banchi dell’Assemblea.
Io volevo ricordare che l’Assemblea aveva deliberato di discutere, come prima parte dell’ordinamento istituzionale dello Stato, il problema della regione. Esaminando gli emendamenti che sono stati presentati, noi troviamo per lo meno due emendamenti che hanno un valore per così dire pregiudiziale: uno dell’onorevole Nobili Tito Oro, che rinvia, o meglio non rinvia, ma lascia cadere completamente, il concetto dell’autonomia come era stato inteso nel progetto, limitandosi ad un ordinamento decentrato dell’amministrazione. È evidente che, accogliendo questo concetto, cadrebbe tutto il sistema.
Un secondo emendamento è quello degli onorevoli Bozzi e Grassi, che propongono di sostituire gli articoli da 107 a 125, cioè tutto il complesso degli articoli relativi alla regione con una semplice disposizione che rinvierebbe tutto. Evidentemente, questo ha un valore pregiudiziale, e la Commissione si crede in dovere di esaminarlo.
La Commissione quindi, aderendo all’accenno dell’onorevole Bertini, prega il nostro Presidente di sospendere la seduta per dar modo ai membri del Comitato di redazione ed ai rappresentanti dei partiti, di riunirsi per vedere che cosa si deve decidere per l’ordine futuro dei lavori.
Perché, se si accettasse l’idea del rinvio, evidentemente dovrebbe essere trattata qualche altra materia. Ritengo, quindi, necessaria almeno un’ora di sospensione.
PRESIDENTE. Se nessuno chiede la parola in proposito, resta inteso che la seduta è sospesa per un’ora.
In questo frattempo il Comitato di redazione, insieme coi rappresentanti dei Gruppi che intendono aderire all’invito loro rivolto dall’onorevole Ruini, si riunirà in separata sede, allo scopo di presentare all’Assemblea concrete proposte per il seguito dei nostri lavori.
(La seduta, sospesa alle ore 17,30, è ripresa alle 18,50).
Sui lavori dell’Assemblea.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Riferirò brevemente all’Assemblea intorno all’esame che ha fatto il comitato di coordinamento, insieme con i rappresentanti dei Gruppi, della questione per l’ordine di continuazione dei nostri lavori. L’Assemblea aveva accettato una proposta del suo Presidente di discutere per primo, fra le materie attinenti all’ordinamento istituzionale, il Titolo della Regione; e ciò perché logicamente sembrava che la Regione fosse il presupposto di soluzioni adottate negli altri Titoli dell’ordinamento istituzionale. Era anche sembrato che si dovesse procedere con una certa sollecitudine, per poter a tempo esaminare, come è obbligo dell’Assemblea, il coordinamento con la Costituzione dei particolari statuti che sono dati a determinate Regioni. La sollecitudine appariva pur necessaria per lasciar modo di predisporre mediante leggi tutta quella preparazione ed organizzazione amministrativa e finanziaria che dovrebbe conseguire alla deliberazione di istituire la Regione.
Sono stati ora presentati ordini del giorno ed emendamenti, che rimettono tutto in questione, ed hanno un carattere pregiudiziale.
V’è l’ordine del giorno dell’onorevole Tito Oro Nobili che rinvia sine die, cioè cancella, il tema dell’istituzione e dell’ordinamento della Regione, e propone che tutto si limiti ad un decentramento amministrativo degli organi dello Stato. V’è una proposta degli onorevoli Bozzi e Grassi di ridurre ad uno solo i 27 articoli costituenti il Titolo della Regione, così che, stabiliti nel modo più sommario alcuni punti, tutto sia rinviato alle leggi.
Di alcuni nuovi atteggiamenti del problema si sono preoccupati gruppi parlamentari che ne fanno oggetto di studio e di riesame, anche nei riguardi di altri gruppi. Il comitato di redazione non può decidere su due piedi; e forse potrebbe essere necessario riconvocare i Settantacinque.
Si sostiene da molte partì che sarebbe meglio non affrontare subito il Titolo delle Regioni. Si dice che si tratta di prender tempo per guadagnar tempo, perché, se si trovasse qualche linea di accordo, si potrebbe abbreviare notevolmente la discussione futura.
Debbo riferire che, nell’adunanza di poco fa, la proposta avanzata da esponenti di tutti i partiti che l’Assemblea non tratti per ora della regione, non ha trovato difficoltà.
Qualcuno ha osservato che sarebbe opportuno interrompere i nostri lavori durante il perdurare dell’attuale crisi ministeriale essendo l’istituzione della regione argomento tale su cui occorre che si pronunci il Governo. L’idea non è stata accolta, perché non sappiamo quando il Governo potrà essere costituito, e dovremmo forse aspettare troppo. Si è aggiunto che il metodo e la linea seguita finora dall’Assemblea è di procedere alla discussione dello schema di Costituzione, indipendentemente da ogni intervento di Governo. Non possiamo interrompere i nostri lavori. Ed allora quale dei temi, dei Titoli della seconda parte della Costituzione, che non sia la Regione, potrebbe essere subito affrontato dall’Assemblea?
Una tendenza, che però non ha avuto la maggioranza, desiderava che si discutesse subito del Parlamento, perché, per quanto sia subordinato, specialmente nella sua seconda Camera, il Senato, all’ordinamento regionale, questo del potere legislativo è strutturalmente il primo argomento; e non sarebbe che tornare all’ordine stesso del progetto preparato dalla Commissione. La composizione del Senato si potrebbe, a sua volta, rinviare. Questa proposta, come ho detto, non ha avuto fortuna, anche perché è stato osservato che, se si discute nell’ordine prestabilito il progetto, dopo il Parlamento viene il Capo dello Stato, e poi il Governo e poi la Magistratura. Si arriverebbe molto tardi alla Regione. Meglio dunque, si è detto, trattare ora un tema che non dia luogo ad una discussione così ampia e così lenta da non arrivare troppo tardi allo esame della Regione.
Si è richiamata l’attenzione su due Titoli: la Magistratura, e le Garanzie costituzionali.
Si è constatato che ciascuno dei due ha riferimenti ad altri titoli che stanno prima, e tra essi alla Regione. È impossibile trattare un tema che non abbia attinenze con altri; ed inconvenienti ce ne saranno sempre per l’ordine di discussione. Si tratta di scegliere quello che appare l’inconveniente minore. La Magistratura, è stato detto, si può presentare a sé, con sufficiente indipendenza; né vi è riferimento alla Regione; possiamo trattare subito della Magistratura. È stato controsservato che essa è un potere dello Stato che non può essere trattato se non quando si sono definiti gli altri poteri.
La proposta di procedere subito all’esame delle Garanzie costituzionali è stata avversata perché vi sono nessi con la Regione. È stata appoggiata, invece, dalla considerazione dei suoi sostenitori che le Garanzie costituzionali implicano in certo senso un problema pregiudiziale, che è quello della rigidità della Costituzione, che si riflette su tutto il complesso del testo costituzionale, e d’altra parte, avendo noi ora finito di stabilire i diritti e doveri dei cittadini, si presenta come un ponte il passaggio alle relative garanzie.
L’una e l’altra tesi, di esaminare subito la Magistratura o le Garanzie costituzionali, ha avuto egual numero di voti.
Ho esposto obiettivamente come sono andate le cose. Molti mi hanno attribuito – ed io stesso per primo mi ero dato – il titolo di notaio della Commissione. Ho riferito esattamente i risultati dell’esame del Comitato e degli esponenti dei Gruppi. Si possono riassumere così:
1°) nessuna opposizione a rinviare l’esame del tema della Regione, perché la gravità di alcune proposte e il riesame che si sta facendo di questo problema rendono opportuno il rinvio;
2°) scelta fra gli altri titoli dell’ordinamento istituzionale dello Stato, che non richiedendo un lunghissimo tempo, possono poi consentire di tornare relativamente presto alla Regione;
3°) due tesi sono state avanzate, ed hanno avuto uguale suffragio, gli stessi voti l’una e l’altra: Magistratura e Garanzie costituzionali.
Ho finito. Non debbo aggiungere altro. Il vivo mio desiderio, e la preghiera che vi faccio è che deliberando nel modo che crederete l’ordine di prosecuzione dei nostri lavori, cerchiate di intensificare l’opera nostra per il compimento della Costituzione. (Approvazioni).
BERTINI. Chiedo dì parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTINI. Il Presidente della Commissione non si è nascoste le difficoltà che accompagnano lo spostamento nell’ordine della Carta costituzionale e quindi ha avuto la cautela di presentare all’Assemblea le critiche ed i dissensi che sono sorti nella Commissione; e con tutta precisione ci ha anche detto che non possono mancare intrinseche connessioni fra i vari temi che si potessero comunque esaminare e considerare con precedenza dell’uno sull’altro o viceversa.
E quindi ecco che si propone la difficoltà della precedenza per quel che riflette il Titolo della Magistratura.
Ora io mi domando: questo tema è di per sé, a prima vista, estremamente delicato ed impegnativo, anzitutto per quanto dovrà dirsi sull’ordinamento della Magistratura. Voi sapete che nelle discussioni che hanno empito i consessi giudiziari e i consessi forensi in questi ultimi mesi si sono avute varie proposte, affacciate anche nell’ultima sospensione dei lavori della Magistratura, riguardo alla Magistratura quale terzo potere dello Stato.
Si può discutere su questa teoria, ed io stesso faccio le mie riserve sull’accettazione integrale di questo principio; ma esso ha la sua importanza, anche se si considerino solo le garanzie intrinseche di ordinamento, di istituzionalità per l’assise giudiziaria, in quello che forma il suo primo nucleo.
Se si passa poi ad altri punti di inevitabile connessione, io comincio, per esempio, ad avere sott’occhio una parte del Titolo precedente a quello della Magistratura: il Titolo quarto: «La pubblica amministrazione».
Dunque, la pubblica amministrazione viene considerata con determinate norme le quali, in buona parte, si riattaccano direttamente a quelle che riflettono l’Autorità giudiziaria e che potrebbero avere una influenza su quella che è la pubblica amministrazione.
Inoltre, della Magistratura come corpo istituzionale si parla anche in ordine a quelli che dovranno essere gli organi di controllo sopra i magistrati, per riguardo alla cosidetta carriera, perché riguardo all’inquadramento dei magistrati, noi affermiamo fin d’ora il concetto che essi non possono essere considerati come impiegati. L’errore compiuto dal fascismo è un errore che deve essere riparato! Vedete dunque, onorevoli colleghi, su che terreno di discussioni e teorie diverse andiamo ad imbarcarci.
Inoltre, il Consiglio Superiore della Magistratura – anche nella forma limitata che è stata adottata a tutela della Magistratura nella Carta costituzionale – presenta numerosi punti di discussione; ma poi vedete che questi problemi relativi all’ordinamento che è stato suggerito si ricollegano nettamente con quelli riguardanti i poteri fondamentali dello Stato.
Se il Consiglio Superiore della Magistratura deve essere presieduto dal Presidente della Repubblica e poi rappresentato e composto per metà da magistrati, e per l’altra metà da deputati, voi vedete quale alea di discussione si debba affrontare.
Non mi perdo in particolari, perché non è consigliabile, stante l’ora e stante il carattere formale delle mie osservazioni. Mi compenetro peraltro della difficoltà in cui ci troviamo tra il desiderio di sollecitare la nostra discussione e la necessità di trovare un componimento che ci dia il modo di continuare i nostri lavori.
Ma un’ultima osservazione desidero farvi e lascerò poi che altri colleghi esprimano con ponderazione maggiore della mia quello che può essere il sostegno della mia pregiudiziale.
Signori miei, quando si tratta della Magistratura, della sua importanza rispetto ai problemi politici della libertà, che concernono la salvaguardia dei cittadini in regime democratico, il Governo deve dire la sua parola.
Ma qui, per quello che riflette i poteri attivi dello Stato, voi avete l’obbligo di considerare che non abbiamo norme obiettive generali che possano vivere a sé, ma soltanto norme che si tratterà di mettere in pratica quando la Carta costituzionale sia approvata. Invece per gli organismi attivi dello Stato che rappresentano la continuità dei servizi pubblici, la continuità di tutela dei cittadini in quella che è la loro personalità, non si possono avere parentesi. Non si può credere di aver tutto fatto con lo stabilire una norma oggettiva, ma bisogna stabilire la intrinsecità dell’organismo, la fiducia che necessariamente l’organismo deve riscuotere, la solidarietà tra l’organismo di giustizia, il popolo e il regime democratico.
Disse bene l’onorevole Orlando, ed io raccolgo il suo concetto, che lo Stato è Stato, e noi abbiamo diviso la funzione del Governo dalla funzione dell’Assemblea che deve provvedere alla formazione della Carta costituzionale.
Ma bisognerà pure che un Governo che rappresenta la continuità del potere esecutivo in tutte le cose (continuità perennemente espressa), avendo la responsabilità di attuare la Carta, sia un organo in piena efficienza, consapevole di se stesso, che dia alla Carta il suo sangue, il suo alito, la sua vera efficacia; bisognerà che questo Governo, chiamato a risolvere problemi tanto spinosi, non si presenti davanti a noi soltanto per dirci che accetta una determinata forma costituzionale, un determinato limite di responsabilità in un senso o nell’altro.
L’Assemblea sarà padrona di discutere e di deliberare in quella che è la sua competenza. Ma qui si tratta di dare alla Nazione non una Carta morta, ma una Carta viva come è nella tradizione della Patria. (Applausi).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma lei che cosa propone?
BERTINI. Considerato che non ci sia nessuna difficoltà, ma che anzi rientri nello sviluppo logico della discussione parlare senz’altro in continuità di quello che è stata fatto finora, e quindi del titolo riferentesi all’ordinamento della Repubblica cominciando dal Parlamento, io chiedo che si prosegua nella discussione, secondo l’ordine che il progetto ci ha presentato. (Commenti).
PRESIDENTE. Prego i colleghi che prenderanno la parola su questa discussione di non entrare in merito a nessun problema della Costituzione. Si capisce che sfiorarne qualcuno sia una necessità, ma prego di non approfondire.
ZOTTA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZOTTA. Mi sembra più opportuno che l’esame si abbia ad iniziare dal Titolo della Magistratura, il quale concerne un argomento che non presenta novità in questo rifacimento costituzionale. Si presenta in forma autonoma, ha propri problemi, poche interferenze con gli altri poteri, ha in sé tutte le linee per una possibile trattazione senza necessità di rinvio e di collegamento con quello che segue e con quello che precede. Invece, se noi parliamo adesso delle garanzie costituzionali, noi veniamo a invertire un procedimento logico in quanto le garanzie costituzionali presuppongono già la conoscenza dell’oggetto che deve essere garantito: gli istituti della Costituzione. Come si può parlare di garanzia, che è già giuridicamente un fenomeno accessorio, quando noi ignoriamo ancora nella loro essenza e nella loro portata gli istituti giuridici che devono essere oggetto della garanzia stessa? Una questione fondamentale si presenta: come inquadrare la Corte costituzionale? È un superpotere o è l’apice del potere giudiziario? E la risposta noi potremo darla soltanto quanto avremo ben individuati i singoli poteri, quando avremo stabiliti i limiti di competenza degli stessi. Basta leggere l’articolo 126: si parla di giudizio sulla costituzionalità delle leggi. Noi ancora ignoriamo quale sia la funzione del Senato. Si parla di risoluzione di conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra le Regioni; quando noi ignoriamo ancora se la Regione debba e in che senso possa esistere. E allora, se questo è l’obbietto dell’attività della Corte costituzionale che deve esplicare questa garanzia, noi vediamo che l’oggetto è ancora evanescente e che deve ricevere quella condensazione in formule giuridiche soltanto quando abbiamo attentamente esaminato i singoli istituti. Sicché la Corte costituzionale si presenta come uno sviluppo, come un procedimento logico che appartiene all’ultima tappa di questo iter di studi e di fatiche. Costituzione rigida o Costituzione flessibile? È il risultato finale questo, cui noi possiamo dare una risposta soltanto quando abbiamo ben definito la funzione legislativa. Indubbiamente vi sono anche delle difficoltà inerenti alla trattazione del problema della Magistratura; ma sono quelle difficoltà cui accennava il Presidente Ruini quando poneva la questione pregiudiziale. È troppo difficile il problema, ogni volta che si debba anteporre qualcosa che logicamente viene in un momento successivo. A me sembra che la discussione sulla Magistratura possa essere compiuta senza compromettere in alcun modo gli altri istituti che ne sono il presupposto ed il coronamento.
BOZZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI. Desidero ripetere all’Assemblea l’opinione, che ho espressa in sede di Commissione qualche momento fa. Io sono in disaccordo con quanto ha detto l’onorevole Zotta.
Naturalmente, tutti gli argomenti del progetto presentano connessioni e interferenze fra di loro. E non ce ne può essere alcuno che presenti tale fisionomia, che possa essere trattato isolatamente, senza inconvenienti.
Si tratta di esaminare la ragione per la quale noi abbandoniamo per un momento l’esame del tema delle Regioni.
Vi sono delle trattative in corso; su questo punto siamo d’accordo. I gruppi hanno concordato nel senso che fosse opportuno rinviare la discussione, e rinviarla di non pochi giorni.
Noi, tuttavia, dobbiamo imprendere la trattazione d’un tema, che non ci porti via molto tempo. Ed è questa una considerazione pratica, che dobbiamo tenere presente.
Ora, la trattazione dell’argomento dell’amministrazione della giustizia impegnerà i lavori dell’Assemblea, senza esagerazione, per un tempo doppio di quello che occorrerà per il tema delle garanzie costituzionali: basti dire che gli oratori iscritti sul primo tema sono esattamente il doppio di quelli iscritti sul secondo.
Ma, a prescindere da queste considerazioni, che sono indiscutibilmente marginali, vi è una ragione, che ritengo sostanziale, che ci dovrebbe consigliare di preferire al tema dell’amministrazione della giustizia quello delle garanzie costituzionali.
A mio modo di vedere, il Titolo VI delle garanzie costituzionali presenta caratteri di autonomia, che lo rendono preferibile a quello della Magistratura.
La Magistratura è un potere fondamentale dello Stato; ed io non vedo come si possa stralciare l’esame di questo potere dal quadro generale, che rappresenta il sistema dei poteri dello Stato; vi sono raccordi inevitabili fra questo potere e gli altri.
Non solo; tutto il tema della Magistratura si impernia sulla questione dell’autogoverno, sulla composizione del Consiglio superiore della Magistratura; composizione che, secondo il progetto, è demandata, in parte, alla elezione da parte dell’Assemblea nazionale. Ora, noi non sappiamo come sarà costituita questa Assemblea: se vi sarà un Senato e come esso sarà costituito. Cosicché l’esame del Consiglio superiore della Magistratura, a formare il quale concorre un’Assemblea Nazionale, di cui non conosciamo la formazione, non potrà non essere affrettato e superficiale.
Non solo; il tema della Magistratura è strettamente collegato con quello delle Regioni.
Ricordo ai «regionalisti» il problema delle Cassazioni regionali; è un tema che appassiona. Ebbene, noi lo accantoneremo o lo tratteremo?
Viceversa, il tema delle garanzie costituzionali si presenta, sia pure con gli inconvenienti inevitabili, con maggiori caratteri di autonomia.
Si parla della risoluzione di conflitti tra Stato e Regioni; ma è chiaro che, se le Regioni non vi saranno, non vi saranno i conflitti.
Quindi, ritengo che, tenuto conto che il problema delle garanzie costituzionali si riconnette, logicamente e direttamente, col problema che dovrebbe essere pregiudiziale – se la Costituzione dovrà essere o no rigida – sia questo il momento di trattarlo, anche perché mi sembra esattissima l’osservazione fatta dall’onorevole Ruini, che questo tema viene bene dopo aver affermato i principî sulle libertà fondamentali; perché, appunto, la Corte costituzionale sta a garanzia di questi principî.
E non è esatto quanto ha detto l’onorevole Zotta, che la Corte costituzionale ha per oggetto del suo esame i poteri dello Stato, e questi non si conoscono ancora; perché oggetto precipuo della Corte costituzionale è l’esame delle leggi. E qualunque sarà l’organo, che dovrà formarle, certo delle leggi vi saranno.
Concludo affermando che, pur riconoscendo che inconvenienti ve ne sono – e non si può scegliere alcun altro tema che non ne presenti – preferirei che l’Assemblea si orientasse verso la continuazione dei lavori sul tema delle garanzie costituzionali.
GRASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI. Onorevoli colleghi, è inutile che io ricordi a me stesso e a voi che fu presa una decisione da parte dei rappresentanti dei gruppi e anche da questa Assemblea, di iniziare la discussione della Parte seconda sul tema delle Regioni.
Il motivo era evidente. Nessuno dei temi che verranno all’esame della Costituzione è senza riferimento alla questione della Regione.
Gli oratori che mi hanno preceduto, nello scegliere il tema della Magistratura o quello delle Garanzie costituzionali, hanno cercato di presentare all’esame dell’Assemblea un tema che tocca meno il problema basilare delle Regioni; ed è inutile che vi legga gli articoli, perché sono dinanzi a voi tutti. Nessun tema si riferisce alle Regioni o tocca argomenti costituzionali come quello del sistema camerale, unicamerale, o bicamerale dell’Assemblea. Ad ogni modo la verità è questa: che se perdiamo il filo direttivo, se perdiamo la linea strutturale e cominciamo a costruire un edificio da una parte, anziché dalle sue fondamenta, faremo una Costituzione che noi stessi non sapremo come vogliamo fare.
La Regione invece, pur essendo messa in una parte quasi ultima del disegno di Costituzione, è sempre basilare. Tanto è vero che abbiamo deciso di portarla nella prima fase della Costituzione, perché non è possibile cominciare una struttura dello Stato senza avere definito se vogliamo mantenere uno Stato unitario o uno Stato regionale, il quale si distacchi dall’una o dall’altra forma. Ad ogni modo dobbiamo discutere.
Se non si comincia dalla base, non è possibile fare tutta la struttura futura dello Stato; è possibile procedere alle strutture successive.
Abbiamo detto: cominciamo con la Magistratura, perché è autonoma, cominciamo dalle Garanzie costituzionali perché sono fondamentali.
La verità è che nessuna parte può essere cominciata se non prendiamo a base la Regione.
Per quale motivo vogliamo cambiare questo indirizzo che avevamo già stabilito?
Si dice: potrà essere interrotta la discussione generale sulle regioni, in quanto che un nuovo Governo presentatosi all’Assemblea ha bisogno di fare delle dichiarazioni sulle quali è doveroso da parte dell’Assemblea iniziare una discussione.
Non c’è nessuna difficoltà che questa Assemblea, che avrà iniziato il problema della regione, sospenda le sue discussioni.
D’altra parte, prendendo qualunque altro argomento, siamo sicuri di averlo esaurito prima che il Governo si presenti a fare le sue dichiarazioni? E allora, se sospensioni dovranno avvenire, perché non dobbiamo stabilire un indirizzo logico che rappresenti quello che veramente si deve seguire?
Si può dire anche che i partiti non sono d’accordo in quella che può essere la decisione sulla Regione.
Io penso che dopo il mese in cui si discute di questa questione, i partiti un orientamento devono averlo. Non è possibile che oggi si discuta del problema regionale, senza che partiti od uomini politici, o rappresentanti maggiori, non abbiano idee precise su questo argomento. Ad ogni modo, durante la discussione generale abbiamo visto che si possono avere dei punti di contatto, degli accordi su quelle che possono essere questioni generali, o particolari. Ma seguiamo la via maestra. Se usciamo fuori da questa via maestra, credo che staremo degnamente a quello che deve essere lo spirito costituente del Parlamento italiano. (Applausi).
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, devo dichiarare che sentendo l’intervento dell’onorevole Bertini, mi è parso che egli avesse ragione, cioè che noi potessimo tranquillamente continuare la nostra discussione articolo per articolo al punto in cui siamo arrivati, riservando gli articoli nei quali si tocca il tema della Regione a un ulteriore dibattito dopo che il tema della Regione fosse stato definito, almeno in linea di principio se non ancora in tutti i suoi particolari. Però, esaminato ancora una volta il testo costituzionale, mi è parso che questa proposta non possa essere accettata e quindi devo pregare i colleghi democristiani a riflettere ancora sulla questione, e soprattutto a riflettere se noi, seguendo quella strada, non ci troveremmo ad un certo punto in un vicolo cieco, cioè costretti a rinviare un tale numero di articoli che il nostro lavoro non sarebbe più un lavoro organico e forse non sarebbe nemmeno più possibile. Intanto dovremmo riservare subito l’articolo che si riferisce alla composizione della seconda Camera perché in esso vi è il richiamo immediato alla Regione; riservato questo articolo dovremo di conseguenza riservare tutta la parte che si riferisce ai poteri delle due Camere perché a seconda del modo come la seconda Camera sarà composta, i differenti gruppi si schiereranno sul problema dei suoi poteri. Noi saremo favorevoli oppure contrari alla parità delle due Camere a seconda del modo come saranno composte. Ma se saremo costretti a riservare tutta la parte che si riferisce ai poteri delle due Camere e quindi ai loro rapporti e alla composizione e ai poteri dell’Assemblea Nazionale, è evidente che riserviamo quasi tutto. Non voglio riferirmi al fatto che vi è già una decisione precedente di discutere dell’ordinamento regionale in sede pregiudiziale, anche perché questa decisione non fu conseguenza di un voto, ma di un semplice accordo, e comunque perché qualsiasi decisione può essere sempre modificata. Però mi pare, per i motivi cui sopra ho accennato, che se noi affrontassimo ora direttamente la questione delle regioni non ci sarebbe niente di male. Possiamo avere in merito un dibattito ampio, approfondito: i vari partiti si schiereranno; si preciseranno i diversi punti di vista. Io mi auguro che si arrivi in questo modo a un accordo su questo importante problema che riguarda la struttura del nuovo Stato democratico italiano, ed avremo così trovato la via maestra. Raggiunto questo risultato, non avremo più bisogno di riservare nulla e potremo approvare, l’una dopo l’altra, le parti successive. Vorrei quindi pregare i colleghi democristiani e il collega Bertini in primo luogo, a riflettere se la proposta che egli fa non ci mette in quello che comunemente si chiama un ginepraio, cioè a dover rinviare un articolo dopo l’altro tutti gli articoli principali e quindi non poter andare avanti in quanto ci si trovi ad ogni passo di fronte a una questione preliminare insoluta. Io approverei quindi la proposta dell’onorevole Grassi di iniziare senz’altro il dibattito sulla questione della Regione.
MASTROJANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MASTROJANNI. Condivido appieno le ragioni ampiamente rappresentate dall’onorevole Bertini, perché non si inverta l’ordine della discussione e non si anticipi quella sulla Magistratura. A tal uopo devo ricordare che il Governo, e per esso il Ministero della difesa, ha recentemente nominata una Commissione composta di alti magistrati, di avvocati e di esponenti delle forze armate perché studino e predispongano una relazione che serva ad illuminare questa Assemblea Costituente in ordine alla conservazione o meno della giurisdizione penale militare. L’argomento relativo alla unicità di giurisdizione in materia penale è argomento di grande e seria importanza, e richiederà logicamente una discussione ampia per i riflessi che essa porta in tutti i campi del diritto. Ritengo che sia opportuno soprassedere sulla discussione in ordine all’argomento della Magistratura oltre che per le ragioni espresse dall’onorevole Bertini, anche per poter avere il materiale che la Commissione, nominata dal Ministero della difesa, sta approntando, e che consentirà all’Assemblea Costituente di esprimersi, con cognizione di causa, in questo argomento della unicità della giurisdizione penale. Per queste ragioni, condivido l’opinione espressa dall’onorevole Bertini e chiedo che la discussione sul capitolo relativo alla Magistratura sia messa all’ordine del giorno secondo l’ordine predisposto nella Costituzione.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Per non passare alla discussione delle Regioni, come l’Assemblea aveva a suo tempo deciso, è evidente che bisogna sostituirvi qualche altro Titolo, ed è una difficoltà grave per noi, insuperabile, quella di una sostituzione. È questa la ragione per cui ci associamo anche noi alla proposta formulata dall’onorevole Grassi di passare senza altro alla discussione del Titolo delle Regioni; perché sostituire al Titolo delle Regioni la discussione sulla Magistratura (Rumori) ci sembra una sostituzione molto criticabile. Sfioro gli argomenti, come ha detto l’egregio Presidente, e quindi mi limito ad osservare che, passando senz’altro alla discussione della Magistratura, a parte i legami che legano l’ordinamento giudiziario con le altre parti dell’ordinamento dello Stato, ed a questo proposito basta pensare al modo di elezione del Consiglio superiore, si rischia di dare a questa nostra deliberazione una interpretazione che, in un senso o nell’altro, è da evitare. Infatti può essere interpretata, questa nostra immediata discussione della Magistratura, come una sopravalutazione, o per meglio dire come una qualificazione dell’ordinamento giudiziario (Rumori) su cui forse non siamo tutti d’accordo; può essere interpretata come un implicito riconoscimento del carattere che al potere giudiziario, da alcuni ma non certamente da tutti, si vuol dare, cioè di un potere assolutamente autonomo. D’altra parte questa nostra decisione potrebbe essere infine interpretata in un senso opposto, ma egualmente deplorevole, vale a dire, che non sapendo in questo momento che cosa discutere, tanto per occupare il nostro tempo, siamo passati a discutere sulla Magistratura. Anche questa interpretazione come le altre, anzi, con maggior ragione, va evitata. Se, invece, si sostituisse all’argomento delle Regioni quello delle Garanzie costituzionali, ed in questo ci associamo a quanto ha detto il collega Zotta, sarebbe come incominciare di fondo invece che da principio, dalle conclusioni invece che dalle premesse. A parte il fatto che, come gli egregi colleghi sanno, nel Titolo delle garanzie costituzionali si parla dei conflitti fra lo Stato e le Regioni, fra Regioni e Regioni, ecc., si stabilisce la nomina della Corte costituzionale da parte dell’Assemblea nazionale. Tutto questo è assurdo, egregi colleghi, perché parlare di Assemblea nazionale e di Regioni prima ancora che sia istituita l’Assemblea nazionale e sia decisa la questione delle Regioni non ha senso (Interruzioni – Rumori). Bisogna anche riconoscere che la sostituzione del Titolo del Parlamento porta ad alcuni inconvenienti, già ricordati dall’onorevole Togliatti. Infatti bisognerebbe accantonare gli articoli che si riferiscono alla seconda Camera perché, come voi sapete, alla formazione di questa seconda Camera, secondo il progetto di legge, partecipano anche i consigli regionali.
Non solo, ma anche la eleggibilità dei senatori è condizionata ad essere essi nati o domiciliati nella Regione. La necessità di accantonare gli articoli relativi al Senato rende poco consigliabile anche questa sostituzione. Quindi noi pensiamo che si debba affrontare senz’altro il problema della Regione. Riteniamo che sia nostro dovere non indugiarsi a perdere altro tempo in queste discussioni. Auguriamoci che la crisi si possa al più presto risolvere, ma la crisi non deve influire in nessun modo sul corso dei nostri lavori che devono dare alla Repubblica italiana la sua Costituzione. (Applausi a sinistra).
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Chiedo scusa all’Assemblea, ma ritengo doveroso prendere la parola, perché debbo dire che questo problema, che appariva già complesso in seno al Comitato che si è riunito presso la Presidenza di questa Assemblea, diventa ancora, secondo me, più complicato di quanto non era.
Anzitutto si spostano i dati di fatto: per quale ragione, quasi all’unanimità, si pensava di rinviare la discussione sulla riforma autonomista? Perché da tutte le parti si erano riscontrate delle difficoltà che, a giudizio di quasi tutti, si potevano superare, nel senso che (e questo è stato rilevato da parte comunista principalmente) erano in corso discussioni per cui era possibile sperare che le difficoltà, anziché aumentare, sarebbero diminuite.
Ora, rinunciare a queste discussioni preliminari indispensabili, a giudizio del Partito comunista, della Democrazia cristiana e degli altri settori (Interruzione dell’onorevole Togliatti) complica il problema della discussione; e questo non lo può negare nessuno e tanto meno, penso, il collega Togliatti.
Io sarei d’accordo coll’onorevole Togliatti se fosse obbligatorio discutere, al posto del problema autonomistico, quello del Parlamento, ma ci siamo trovati tutti d’accordo, nella Commissione riunita presso il nostro Presidente (eccetto l’onorevole Grassi, che è stato solo, non seguito da nessuno) che si poteva discutere immediatamente o il problema delle garanzie costituzionali, o il problema della Magistratura. (Interruzioni – Commenti). C’era l’accordo dell’immensa maggioranza su questo.
MALAGUGINI. L’Assemblea deciderà.
LUSSU. Evidentemente è l’Assemblea che decide, ma io chiedo all’Assemblea: il problema delle autonomie lo si vuole complicare o semplificare? Se lo si vuole complicare, affrontiamo immediatamente la discussione, cioè rendiamo impossibili quei contatti che, proprio da parte comunista, erano ritenuti indispensabili per risolvere il problema. Non lo si vuole complicare? E allora rinviamo la discussione sul problema delle autonomie e affrontiamo il problema della Magistratura e della seconda Camera. (Applausi al centro).
MARTINO ENRICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARTINO ENRICO. L’onorevole Togliatti ha perfettamente ragione, quando dice che non si può discutere delle Camere, se non si è discusso prima della Regione. L’onorevole Togliatti, che indubbiamente non vuole fare passi falsi, giustamente si è fermato a questo punto, perché, se avesse dovuto dire gli argomenti per i quali non si possono discutere la Magistratura o le Garanzie costituzionali, evidentemente questi gli sarebbero mancati. Perché non regge l’argomento dell’onorevole Bertini, quando dice che durante la discussione è necessario che il Governo sia presente. Perché? Quale parte della Costituzione ha bisogno che il Governo sia presente?
Dice l’onorevole Targetti che sembrerebbe quasi, per il Paese, che noi minimizzeremmo il problema della Magistratura. Questo è un rilievo di poco conto.
Quando noi abbiamo dei motivi sostanziali, fondamentali, per rinviare un problema importante, mi pare che nessuno possa pensare che affrontiamo oggi il problema della Magistratura unicamente come una scappatoia. Il problema della Magistratura, che non ha nessuna attinenza con le Regioni, mi pare che si possa discutere benissimo.
Per quello che riguarda le Garanzie costituzionali, nel testo è fatto cenno sia alle Regioni, sia all’Assemblea nazionale; ma è anche vero che, se leggiamo un istante i punti a cui fa accenno, noi possiamo discutere il problema lasciando soltanto da parte quei punti. Perché, quando si dice: «risolve i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le Regioni, e fra Regione e Regione», vuol dire che, se le Regioni non verranno, si voterà semplicemente la parte che dice «risolve i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato». Non c’è nessuna questione complicata che impedisca la discussione di questa parte. (Interruzione dell’onorevole Targetti).
E quando si dice: «I giudici della Corte sono nominati dall’Assemblea nazionale» vuol dire che, anche su questo punto, si potrà fare una riserva. (Commenti a sinistra). Basterà dire o il Parlamento o gli organi legislativi, e poi si sostituirà la dizione in sede di coordinamento, oppure, come si rinviano tanti emendamenti e tante parti di articoli, si potrà rinviare questa parte, questo comma, senza che con ciò venga pregiudicata l’economia dei nostri lavori.
Ora, perché non è opportuno affrontare oggi la questione delle Regioni? Questa è la questione fondamentale, io direi, della Carta costituzionale. Questa è la vera riforma strutturale del nostro sistema attuale, e quindi bisogna affrontarla con serietà e con serenità.
Ora, se ciascuno di voi fa un esame di coscienza, si accorge che serenità in questi giorni ce n’è poca, che l’Assemblea è spesso deserta, che la crisi ci occupa e ci preoccupa tutti quanti e che, quindi, non è questo il momento più indicato per affrontare una questione di questa portata. Tanto più che su questo problema ci può essere la possibilità di intese e di accordi, in modo da arrivare ad una discussione quanto più calma sia sperabile.
Per questi motivi, penso che, se ci rendiamo conto della gravità della cosa, noi dobbiamo votare perché sia discussa o la Magistratura o la parte riguardante le Garanzie costituzionali. (Applausi al centro).
ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSI PAOLO. Onorevoli colleghi, il peggio di tutto è quando tutti hanno ragione. Mi pare che tutti abbiano ragione; hanno ragione coloro che sostengono che è impossibile o difficile parlare della Magistratura, per quelle ragioni psicologiche indicate acutamente dall’onorevole Targetti; hanno ragione coloro che dicono che non si può parlare della Corte costituzionale perché implica necessariamente il problema delle Regioni; hanno ragione coloro che dicono che non si può parlare del Parlamento; ha ragione più di tutti l’onorevole Togliatti quando dice che bisogna naturalmente incominciare dal discutere il problema delle Regioni; ha ragione perfettamente l’onorevole Lussu, quando dice che non si possono trattare i problemi relativi alla Regione se non si chiarisce prima la situazione, se non si fanno degli sforzi, da Gruppo a Gruppo, per superare le enormi difficoltà che sono connesse a questo problema.
Hanno ragione tutti e vorrei non avere del tutto torto anch’io quando dico che sarebbe forse migliore di qualunque altra risoluzione quella di affrontare un poco di impopolarità e di sospendere le nostre sedute per tre o quattro giorni. (Applausi a sinistra – Commenti).
BELLAVISTA. Perditempisti! Perditempisti!
PRESIDENTE. Onorevole Bellavista, la prego, non interrompa.
ROSSI PAOLO. Finalmente si è trovato che chi ha torto sono io e allora non ne parliamo più. Ma io insisto, subordinatamente, con profondo rispetto per le decisioni dell’Assemblea, perché si sospenda per tre o quattro giorni perché si arrivi a una soluzione della crisi politica. Si sospenda quanto è necessario perché, quanto meno, gli accordi che sono in corso tra Gruppo e Gruppo per trovare una soluzione comune circa la questione della regione si perfezionino.
Insisto su questa proposta dei tre o quattro giorni. Il mio Gruppo potrà votare soltanto perché si trovi, come argomento sostitutivo di discussione, quello della Magistratura. Sono vere infatti le obiezioni mosse dai colleghi onorevoli Targetti e Bozzi; ma, in definitiva, quello della Magistratura è un problema che si può trattare più isolatamente rispetto agli altri problemi costituzionali e che può quindi essere affrontato con minor copia di riferimenti ai problemi stessi.
PICCIONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PICCIONI. Vorrei osservare che come convinti autonomisti regionalisti, noi del Gruppo democristiano non vorremmo dare minimamente in questa discussione l’impressione di voler annettere minore importanza a questo grave problema della struttura regionale.
Se noi abbiamo accettato di discutere con colleghi di altri gruppi sull’opportunità o la convenienza di posporre in qualche modo la discussione sull’ordinamento regionale, è stato, almeno da parte nostra, perché annettiamo un valore maggiore e fondamentale a questo argomento; e non già per rinviarlo o per minimizzarlo.
Per un altro motivo avevamo aderito a questa proposta, non partita, d’altra parte, da noi: perché si tenesse conto di quella particolare condizione psicologica dell’Assemblea alla quale alcuni altri oratori si sono riferiti e per consentire all’invito rivolto, mi pare, anche dal Presidente della Commissione dei settantacinque sulla opportunità di un più approfondito esame di quei tali emendamenti che sono stati presentati, e che sconvolgerebbero in certo modo la struttura del progetto di Costituzione, così come è stato redatto dalla Commissione dei settantacinque.
In questo senso la precisazione fatta dal Presidente della Commissione ha un suo fondamentale valore, poiché se dovesse eventualmente ritenersi che i concetti informatori di quei tali emendamenti dovessero ottenere il suffragio dell’Assemblea, è logico che questo si riverberebbe su gran parte del progetto di Costituzione. Di qui la particolare importanza dell’esame degli emendamenti stessi. E poiché noi desideriamo affrontare questo problema in tutta la pienezza della sua impostazione, saremmo stati lieti che questo esame preliminare si aggiungesse agli altri esami, abbondantissimi, che sono stati fatti del problema in seno alla Commissione apposita.
Ma se qui, onorevoli colleghi, i dissensi si profilano e assumono un certo tono e un certo carattere particolare, evidentemente noi siamo i primi a dire che siamo qui pronti a discutere il problema dell’ordinamento regionale. E siamo pronti e riconosciamo la precedenza di questo problema su tutti gli altri, perché, anche nella nostra concezione, così come nella concezione a cui si è riferito il collega Martino, non è l’ordinamento regionale una riforma di dettaglio amministrativo nella Costituzione, ma è una riforma di struttura, che dovrebbe cambiare il ritmo, il tono dell’ordinamento politico e amministrativo del nostro nuovo Stato. (Applausi al centro).
Avevamo acceduto anche, in linea di ipotesi, alla possibilità di interrompere, allo scopo suindicato per qualche giorno, i lavori della Costituente, i quali – a mio personale avviso – procedono con un certo eccesso di acceleramento… (Applausi al centro – Interruzioni a sinistra – Commenti).
MALAGUGINI. Si metta d’accordo con Il Popolo! (Rumori al centro).
Una voce a destra. Che c’entra? Lasci stare II Popolo!
PICCIONI. È una mia dichiarazione personale. Dicevo: con un certo eccesso di acceleramento che conferisce poco, mi sia consentito dirlo, alla concreta serietà e concludenza del lavoro solenne, non soltanto nell’espressione verbale, ma nella sua concretezza effettiva, della Costituzione che noi stiamo elaborando, sotto il riflesso di raggiungere un obiettivo che tutti sappiamo ormai che non si può raggiungere. (Applausi al centro). E quindi raggiungendo di fatto due obiettivi negativi: quello di non poter mantenere il termine fissato alla Costituente e quello di fare un lavoro – mi sia consentito di dirlo – piuttosto affrettato in questa fase decisiva e non del tutto concludente.
Per questi motivi, se si vuole mantenere il ritmo accelerato del lavoro dell’Assemblea, noi avevamo aderito a che venisse posto in discussione l’ordinamento della Magistratura, perché era l’unico Titolo che non avesse delle connessioni dirette con questa premessa strutturale dell’ordinamento regionale e perché un Titolo – giacché è stato messo nel progetto di Costituzione – che ha una uguale importanza rispetto a tutti gli altri Titoli e capitoli del progetto medesimo.
Perciò, onorevoli colleghi, concludo con queste precise dichiarazioni.
Il mio Gruppo, è qui pronto ad affrontare – se volete anche immediatamente – la discussione sull’ordinamento regionale, poiché noi, in questa prima impostazione, intendiamo mantenere il progetto così come è stato faticosamente elaborato dalla Commissione dei settantacinque.
Se questo, senza distinzioni particolari, non dovesse essere ritenuto opportuno dall’Assemblea, se cioè essa volesse rinviare di alcuni giorni per consentire quell’esame preliminare cui si riferiva il Presidente della Commissione dei settantacinque, per distendere un po’ la tensione degli onorevoli colleghi della Costituente, perché l’attenzione loro si raccolga con maggior concentrazione intorno a questo fondamentale problema, noi non abbiamo difficoltà. Se questo l’Assemblea non creda di fare e invece intenda passare alla discussione sull’ordinamento giudiziario, noi non abbiamo nulla da obiettare. Ci pare, però, che la proposta del collega Rossi – che ha sollevato clamori ingiustificati – intesa in questo particolare momento ad aggiornare i propri lavori anche per soli tre o quattro giorni, sia forse la più opportuna. (Applausi al centro).
CANEPA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CANEPA. Questo Titolo 5° è interessante: «Le Regioni e i Comuni». Le Provincie sono soppresse. E difatti l’articolo 107 le riduce…
PRESIDENTE. Ma, onorevole Canepa, non si sta parlando di questo.
CANEPA. L’abolizione della Regione porta l’abolizione della Provincia…
PRESIDENTE. Onorevole Canepa, la prego; non stiamo trattando questa questione.
CANEPA. Allora non insisto.
RUBILLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUBILLI. Ho chiesto di parlare per venire alle stesse conclusioni alle quali, poi, ho visto sono venuti due dei precedenti oratori. Ribadisco quindi il concetto che di già è stato manifestato.
A me sembra che la Commissione, nell’ora e mezzo che è stata ad essa consentita, abbia cercato in tutti i modi di trovare dove si verificavano minori inconvenienti. E sta bene. È un criterio che, per ragioni di opportunità, come vedo dai vostri assensi, o signori della Commissione, avete creduto di seguire, proponendo il Titolo che vi sembra più agevole per un’immediata discussione.
Permettete, però, che io, pur rispettando questo criterio, di cui ad ogni modo non disconosco l’utilità, ritenga che non possa essere accettato, perché non dobbiamo vedere quali sono i minori inconvenienti e quale è la minore o maggiore opportunità. Noi dobbiamo esaminare sostanzialmente la legge costituzionale, al punto in cui siamo arrivati, per decidere quali argomenti si debbano trattare prima o dopo.
Ora è evidente che su di un punto possiamo essere tutti quanti d’accordo. Noi abbiamo esaminato sin’ora il cittadino, i suoi diritti, i suoi doveri. Oggi cominciamo ad esaminare lo Stato ed i poteri dello Stato. Come volete considerare lo Stato? Come volete stabilirne i poteri, se non cominciamo a decidere sulla sua struttura ed i suoi organi? Non si può andare avanti con altri Titoli, con altri argomenti, se prima l’Assemblea non si sarà pronunziata o sulla necessità di mantenere l’unità dello Stato, o sulla opportunità di spezzettarlo politicamente ed amministrativamente in varie entità territoriali con relativi poteri.
La proposta riforma regionale è un punto fondamentale al quale tutti gli argomenti in un modo o nell’altro sono collegati. Trattasi adunque di una considerazione che a me sembra chiara ed evidentissima. Ma parmi anche evidente un’altra circostanza, e cioè che questo argomento, la cui importanza io non sto a ripetere ancora, in fondo rappresenta insieme con la formazione del Senato il centro della legge costituzionale e richiama una speciale attenzione.
Ora, se sono sorti dei dubbi, anche da parte della Commissione, anche da parte di molti colleghi, per affrontare questa riforma e valutarla nella sua integrità, diciamo pure francamente che il grande problema ci arriva quasi imprevisto e mentre siamo alquanto impreparati. Una parola sincera non sarà inopportuna al riguardo. Siamo impreparati non solo perché il Titolo delle Regioni viene in ultimo nella legge costituzionale, e ve ne sono molti altri da trattare ancora, e non si pensava sino a questo momento ad una inversione, ma anche perché bisogna considerare che le Assemblee oggi non procedono, come un tempo, per opinioni singole ed individuali, ma per le decisioni dei partiti, e sono queste soltanto che contano. Ora è bene, anzi è indispensabile che i partiti esaminino, riflettano, e valutino con calma e ponderazione per decidere se possano assumere la responsabilità di questa grande riforma che si vuole imporre all’Italia. Qual è la conclusione? La conclusione non è che una sola.
Se come è chiaro non si può fare a meno di affrontare sin da ora il problema delle Regioni, se si tratta di una riforma veramente di una importanza eccezionale; se non possiamo dire di essere pronti e preparati per arrivare ad una deliberazione immediata, io credo che tre o quattro giorni non guasterebbero. (Applausi). E noi potremmo così discutere e decidere con maggiore risolutezza.
Consentitemi che aggiunga, per concludere, un’altra osservazione. Il Governo è sempre la più alta espressione della Assemblea. Ora io non voglio che il Governo, attualmente in crisi, perché non desidero mai chiedere troppo, sia presente sin dall’inizio della discussione, ma occorre però che arrivi un momento in cui possa esprimere il suo parere pur senza pretendere voti di fiducia in questioni veramente di capitale importanza per la Nazione ed assumere la sua responsabilità. (Commenti – Rumori prolungati).
PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, questa non è una questione in discussione.
RUBILLI. Credo ad ogni modo necessario che il Governo intervenga e come Governo non resti silenzioso ed indifferente, ma prenda la sua parte di responsabilità di fronte all’Assemblea e di fronte al Paese. (Commenti – Interruzioni).
PRESIDENTE. Vediamo di concludere. Mi pare che ci sia una serie di proposte, ed evidentemente devono attrarre la nostra attenzione quelle presentate dal Comitato di redazione. Vi sono proposte diverse, staccate, di contorno. Vi è quella dell’onorevole Rossi fatta propria dall’onorevole Rubilli.
RUBILLI. L’ha fatta anche l’onorevole Piccioni.
PRESIDENTE. Questa proposta degli onorevoli Rossi e Rubilli sarebbe venuta appunto incontro anche ad una proposta formale dell’onorevole Piccioni, e lo avrebbe tranquillizzato su quella fretta eccessiva dei nostri lavori della quale – mi permetta, onorevole Piccioni – lei ha parlato soltanto oggi. Non molti giorni fa i rappresentanti più autorevoli del suo partito, il segretario che è il più autorevole – (sappiamo che ve ne sono altri) – ha aderito a una decisione che abbiamo preso non in Aula, ma in una riunione dei rappresentanti dei partiti e che suonava così: «la Presidenza continui a condurre i lavori come se l’Assemblea dovesse sciogliersi il 24 giugno». Questo è il mandato che mi si è dato, onorevole Piccioni, e avrei mancato a questo mandato, se non avessi cercato di dare ai nostri lavori un ritmo che in questi ultimi giorni non è stato eccessivo. D’altra parte, poiché siamo in argomento, se c’è davvero questa sensazione, mi si sollevi una buona volta da questo termine del 24 giugno; e uomini che appartengono a partiti tanto autorevoli nel Governo potrebbero una buona volta farlo, e liberare così le nostre discussioni di procedura da questo elemento permanentemente capace di portare dubbi, diffidenze e impicci ai nostri lavori (Applausi).
Vi sono diverse proposte. Riprendo la prima, che non è di oggi: l’Assemblea, implicitamente, sollevate alcune eccezioni, aveva accettato di discutere come primo Titolo della seconda parte quello relativo alle Regioni.
Io chiedo all’Assemblea se intenda rinunziare esplicitamente adesso a questa decisione implicita. Soltanto dopo che si sarà deciso, si potrà vedere quale materia dovrà divenire oggetto della nostra discussione e dei nostri lavori successivi.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Mi pare che la proposta di sospensiva sia pregiudiziale, perché questa discussione, cioè la eventualità di mutare l’ordine della discussione della parte seconda della Costituzione è stata affacciata proprio per il caso che questa sospensiva non fosse accettata; ma ove fosse accettata (e attraverso la sospensiva, il tempo, che in essa si perderebbe, si guadagnerebbe per il tempo che risparmieremmo della discussione di procedura) evidentemente il problema di spostare l’ordine dei lavori non si presenterebbe più.
Ritengo che la sospensiva abbia valore pregiudiziale.
PRESIDENTE. La sospensiva su che cosa?
LUCIFERO. Voglio dire il rinvio.
PRESIDENTE. Ed allora, mi permettano, onorevole Lucifero ed altri onorevoli colleghi, parliamo schietto. Non si tratta di sospendere per tre o quattro giorni i nostri lavori. Diciamo a piene note: l’Assemblea rinvia i suoi lavori sino al momento in cui il Governo sia costituito.
Voci. No, no.
PRESIDENTE. Se no, ci ritroveremo di fronte alla stessa precisa questione, ed è pertanto necessario allora che noi deliberiamo immediatamente. In tre o quattro giorni – secondo le dichiarazioni esplicite di tutti coloro che hanno partecipato e alla riunione di un’ora fa e alle conversazioni preliminari di ieri e di stamane – non si può giungere al risultato che si ritiene forse possibile raggiungere.
Pertanto, se così è, evidentemente occorre parlare allora di almeno 10 giorni. Ma ad una tale data, se noi cominciassimo poi una qualunque discussione, dovremmo rapidamente interromperla, per affrontare l’esame delle comunicazioni del Governo. Ed allora, non cerchiamo così di guadagnare 24 ore per volta, ma diciamo schiettamente di che si tratta, ossia che si tratta appunto di quello che ho accennato in questo momento.
MICHELI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MICHELI. Proporrei di rinviare i nostri lavori al 2 giugno.
Mi pare che questo sia un lasso di tempo sufficiente perché il Comitato dei diciotto studi e presenti proposte concrete.
Nel tempo stesso può darsi che si determini la situazione politica, in modo che sia più tranquilla anche la nostra situazione e che si possa dare da tutti maggior incremento alla prosecuzione dei lavori. Non domandiamo null’altro che sospendere i lavori fino a lunedì. (Applausi).
PRESIDENTE. Onorevole Micheli, fa proposta formale in questo senso?
MICHELI. Sì.
PRESIDENTE. C’è una proposta dell’onorevole Micheli di sospendere i lavori dell’Assemblea fino al giorno 2. (Commenti).
PICCIONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PICCIONI. Signor Presidente, era stata fatta inizialmente la proposta di sospendere per tre o quattro giorni. Ora, via facendo, l’appetito aumenta. Evidentemente io non vorrei incoraggiare, malgrado le osservazioni che ho fatto precedentemente e che tuttavia mantengo anche dopo le spiegazioni date dall’onorevole Presidente, questa volontà di rinviare a lungo i lavori della Costituente. Lo scopo di rinviare per tre o quattro giorni era quello di consentire un maggior limite di tempo alla Commissione per esaminare gli emendamenti e di consentire, nei limiti del possibile, quei contatti che possono essere utili per una nuova formulazione.
Ora, è chiaro che se l’Assemblea decide di rinviare di tre o quattro giorni, non si pone più il problema neanche della discussione dell’ordinamento giudiziario o di altro, perché, evidentemente, alla ripresa dei lavori della Costituente, bisogna affrontare senz’altro il problema della Regione; se si decidesse in un altro senso, allora non sarebbe più giustificato neanche il rinvio della seduta dell’Assemblea.
Quindi io mantengo la proposta in questi termini: di rinviare fino a martedì 27, nel pomeriggio. (Commenti).
PRESIDENTE. Esprimano il loro avviso nel momento in cui si vota. L’Assemblea ha udito la proposta dell’onorevole Piccioni. Lei, onorevole Micheli, vi si associa?
MICHELI. Ho sentito le ragioni per le quali il collega Piccioni ritiene che due o tre giorni siano sufficienti. Mi rincresce di non essere del suo avviso. Conosco, come lui, la complessa materia, conosco gli emendamenti gravi e sostanziali che sono davanti alla Commissione. Con due o tre giorni credo che ci troveremo ancora presso a poco nella situazione di oggi. Ed è per questo che io chiedo venia a lui di potere mantenere la mia proposta di rinvio fino al giorno 2 giugno. (Applausi).
PRESIDENTE. Prima di procedere alla votazione sulle proposte ora presentate, desidero dichiarare che se lo scopo è di permettere al Comitato di redazione di potere svolgere il lavoro già iniziato col ritmo dei lavori di questi giorni, che lasciano libere tutte le mattinate, il Comitato stesso può adempiere a questo incarico. Non è pertanto con questo motivo che si può spiegare eventualmente la sospensione dei nostri lavori, che io personalmente ritengo possa essere giudicata non favorevolmente da chi, in definitiva, esprime il giudizio superiore sulla nostra attività. (Applausi a sinistra).
Comunque, poiché è stato proposto di sospendere i lavori fino a martedì 27, porrò per prima in votazione la proposta dell’onorevole Piccioni.
MALAGUGINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALAGUGTNI. Dichiaro che noi protestiamo contro questa procedura. Mi perdoni il Presidente, ma, interrompendo poco fa – e domando scusa all’onorevole Piccioni – io ho ricordato che il giornale del suo partito ha protestato perché abbiamo fatto un giorno di vacanza. Io domando come egli possa adesso associarsi a una proposta di sospensione dei nostri lavori. (Rumori).
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Mi sembra che la precedenza spetti alla proposta dell’onorevole Micheli, perché si discosta di più da quello che sarebbe stato il normale svolgimento dei nostri lavori, se non fosse stata sollevata questa questione.
PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, suppongo che non vi sia nessun collega che pensi di votare per i tre giorni se in coscienza abbia deciso di votare per i dieci giorni solo perché la votazione della proposta Piccioni viene fatta prima. Comunque poiché lei – e la ringrazio – fa un po’ al mio fianco il custode del Regolamento, porrò in votazione la proposta dell’onorevole Micheli, con la speranza che coloro che non saranno disposti ad accettare dieci giorni di vacanza non votino questa proposta solo perché è stata messa in votazione prima.
Onorevole Micheli, le faccio presente che il 2 giugno è una giornata per la quale molto probabilmente ci sarà qualche decisione o qualche iniziativa che impedirà a molti colleghi di essere presenti. Il 2 giugno, non dimentichiamolo, ricorre il primo anniversario del referendum che ha fondato la Repubblica italiana. (Applausi generali).
MICHELI. Su questo siamo tutti d’accordo. L’accenno da lei fatto mi induce a modificare la mia proposta ed a spostare la data a giovedì 29 maggio. (Commenti).
PRESIDENTE. Incluso od escluso?
MICHELI. Possibilmente escluso.
PRESIDENTE. Allora la seduta si dovrebbe riprendere venerdì 30. (Commenti).
Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Micheli di sospendere i nostri lavori fino a giovedì 29 maggio.
(Non è approvata).
Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Piccioni che i lavori dell’Assemblea siano rinviati al pomeriggio di martedì 27 maggio.
(È approvata).
Resta così inteso che la ripresa dei lavori rimane fissata per martedì 27 alle ore 15.
Poiché l’Assemblea ha approvato la proposta dell’onorevole Piccioni, non solo nella data, ma anche nelle considerazioni, ritengo che abbia pure deciso che martedì si inizi la discussione sull’ordinamento regionale.
(Così rimane stabilito).
La seduta termina alle 20.25.,
Ordine del giorno per la seduta di martedì 27 maggio 1947.
Alle ore 15:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.