Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 APRILE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

c.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 22 APRILE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Scelba, Ministro dell’interno                                                                                

Miccolis                                                                                                           

Perrone Capano                                                                                              

Pastore Raffaele                                                                                            

Silipo                                                                                                                

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Calosso                                                                                                            

Presidente                                                                                                        

Interrogazione con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE, L’ordine del giorno reca le interrogazioni. Le prime tre interrogazioni hanno lo stesso oggetto e possono essere svolte congiuntamente:

Miccolis, Rodi, al Ministro dall’interno, «per conoscere quanto ci sia di vero nella notizia pubblicata dal giornale il Momento-Sera di Roma, secondo la quale in Gioia del Colle (Bari) un cittadino è stato linciato perché ritenuto qualunquista ed autore di un incendio a quella sede della Camera del lavoro. Per conoscere quali sono le cause contingenti, cui il Ministro attribuisce, nella specie, il fatto deprecabile al disopra di ogni ideologia di partito ed offensivo dei più elementari principî di umanità e civiltà»;

Perrone Capano, Cifaldi, Badini Confalonieri, Martinelli, al Ministro dell’interno, «sui gravi fatti di Gioia del Colle: per conoscerne la portata esatta, le cause e i rimedi che il Governo intende adottare per tranquillizzare quella popolazione»;

Pastore Raffaele, al Ministro dell’interno, «per sapere i provvedimenti che intende adottare per impedire che delinquenti assoldati da partiti reazionari cerchino ripetere in Puglia le gesta fasciste del 1920».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Dalle indagini espletate da un ispettore di pubblica sicurezza, appositamente inviato a Gioia del Colle, i fatti si possono ricostruire in questo modo.

Verso le ore 22 il commesso di un bar si accorgeva che usciva del fumo dalla Camera del lavoro di Gioia del Colle. Si affrettava ad avvertire i carabinieri, i quali accorrevano e, insieme al Segretario della Sezione dell’«Uomo Qualunque», procedevano allo spegnimento dell’incendio. Era appena un inizio di incendio: si trattava di poche carte bruciate del valore di poche centinaia di lire. Veniva avvertito il Segretario della Camera del lavoro, il quale arrivava quando già l’incendio era stato spento.

Circa le causa dell’incendio, le ipotesi potrebbero essere anche quelle di un incendio casuale: un mozzicone di sigaretta abbandonato in mezzo alle carte, visto che fino alle ore 22 il Segretario della Camera del lavoro era stato in sede e la porta d’ingresso della Camera del lavoro risultava chiusa. C’era soltanto una finestra che dava su un cortile che risultava aperta, o per lo meno socchiusa. Sul momento il Segretario della Camera del lavoro riteneva – e dichiarava di fronte ai carabinieri – che l’incendio doveva considerarsi senz’altro doloso e che autore dello stesso doveva ritenersi un certo Resta, ex comunista, reduce, disoccupato, che egli diceva simpatizzante per l’«Uomo Qualunque»: in realtà un disgraziato da tutti i punti di vista, profittatore di tutte le situazioni politiche, capace anche di compiere un gesto del genere.

La popolazione non era stata informata affatto dell’incendio, appunto per la modestia delle sue proporzioni; né esso era stato avvertito dalla popolazione. Durante la notte venivano tagliati i fili telefonici, venivano messi dei posti di blocco agli ingressi della città, la popolazione era posta in allarme, e si iniziavano le distruzioni. I carabinieri, sulla denuncia del Segretario della Camera del lavoro, si recano alla casa del Resta, per arrestarlo; ma, essendosi rifiutato il Resta di aprire la porta, piantonavano la casa, riservandosi di effettuare l’arresto l’indomani mattina. Alle quattro e trenta del mattino, intanto, incominciavano i primi incendi. Erano incendiate la sede dell’«Uomo Qualunque», la sede dell’Associazione agricoltori, la sede dell’Unione Monarchica, del Circolo Nuovo, l’Ufficio delle Imposte di consumo, l’Ufficio del Consorzio agrario, la sede della Democrazia cristiana e l’ufficio delle Imposte dirette.

Erano, quindi, sostanzialmente incendiati tutti gli uffici pubblici esistenti nella città. Quanto alle sedi dei partiti, soltanto quella del Partito comunista veniva risparmiata, mentre tutte le altre sedi di partito esistenti erano distrutte.

Tutti i mobili dei vari uffici erano buttati in mezzo alla strada e ne veniva fatto un falò. Alla sede della Democrazia cristiana veniva preso anche un Crocefisso e buttato nel falò. Al Consorzio agrario, veniva asportato il denaro che c’era e veniva anche tentato di forzare la cassaforte.

Una donna, la presidentessa dell’U.D.I., con un gruppo di altre donne, si recava alla chiesa, della quale voleva imporre al parroco la chiusura, perché era stato proclamato lo sciopero generale.

I carabinieri della città – cinque in tutto – si recavano, la mattina successiva, ad arrestare il Resta; ma un gruppo di dimostranti strappava questo disgraziato dalle mani dei carabinieri e lo uccideva con una pugnalata al cuore. Successivamente ne calpestava il cadavere, che risulta anche aver riportato un colpo di accetta alla testa.

Solo sul tardi, i carabinieri riuscivano a mettersi in contatto, attraverso il comando locale di aviazione, con il comando della polizia di Bari; ed altri carabinieri, insieme con la forza pubblica, arrivavano dopo le dieci e mezza, quando l’opera di devastazione era già compiuta e la popolazione si era ritirata nelle case, piuttosto terrorizzata di quanto era avvenuto.

Dall’opera che la polizia compiva immediatamente dopo, si poteva accertare che, fra i maggiori responsabili, risultavano aver partecipato all’assassinio del Resta il segretario della Camera del lavoro e il segretario della sezione del Partito comunista.

Sono state arrestate diciotto persone e denunziate altre trentacinque, di cui alcune latitanti.

Dai fatti, è da escludere che l’incendio della Camera del lavoro fosse stato preordinato da altre forze politiche locali; l’accenno, quindi, ad agrari reazionari che abbiano organizzato l’incendio è da escludersi; l’ipotesi più verosimile è che si tratti di un incendio casuale; c’è anche un’altra ipotesi, che possa, cioè, essere stato un incendio simulato, poiché, qualche tempo prima, erano stati licenziati dalla Camera del lavoro alcuni impiegati, rei di essersi impadroniti di qualche centinaio di migliaia di lire.

Quindi, come ipotesi, si sospetta che si sia cercato di bruciare i registri da cui risultava la contabilità della Camera del lavoro. Un’altra ipotesi – come ho detto – può essere quella di un semplice fatto casuale: un mozzicone di sigaretta, ad esempio, che abbia provocato l’incendio.

In quanto agli avvenimenti della notte, e alle varie distruzioni, non può non rilevarsi che mentre il Segretario della Camera del lavoro ha potuto constatare di persona che per quanto riguarda il fatto obiettivo dell’incendio si trattava di cosa lievissima, perché soltanto poche carte erano andate distrutte, e che non era da escludersi l’ipotesi che si trattasse di un fatto casuale e non doloso, nonostante questo è stata organizzata la distruzione delle sedi dei partiti che è seguita dopo molte ore. Ora, quando la popolazione, data l’ora tarda, è stata avvertita e chiamata appositamente, è successo quel che è successo. L’organizzazione degli incendi di tutte le sedi non è stata il frutto di una esplosione immediata di risentimento popolare subito dopo l’incendio, ipotesi verosimile qualora la gente si fosse trovata in piazza e, accortasi dell’incendio, si fosse precipitata a distruggere le sedi degli altri partiti: no, il fatto si è verificato dopo molte ore. Comunque, non è stata svolta nessuna azione per scongiurare questi danni, ma anzi si è proceduto alla distruzione dei fili telefonici, per evitare qualsiasi comunicazione con l’esterno ed al picchettamento degli accessi alla città, per impedire che chiunque potesse uscire.

Questi sono i fatti nella loro realtà. Essi sono dolorosi in sé e noi tutti non possiamo che deplorarli dal più profondo della nostra coscienza; ma mi pare che non si faccia opera democratica presentandoli in maniera non rispondente alla realtà.

Quando io vedo, per esempio, l’appello lanciato dalla Camera del lavoro di Bari a tutte le Federazioni provinciali, perché si faccia una sottoscrizione pubblica per ricostruire la sede della Camera del lavoro, che ha avuto solamente qualche centinaio di lire di danni, penso che non si rende omaggio alla verità, cercando di presentare la stessa gravità dei danni riportati dalla Camera del lavoro in una situazione assolutamente diversa dal vero.

Il linciaggio del disgraziato da parte della folla ha turbato profondamente la coscienza del popolo italiano, perché si tratta di manifestazioni per fortuna estranee al nostro costume e alla nostra coscienza civile. Egli non era il mandatario di nessuno, non esiste nessuna prova che sia stato lui il responsabile di questo incendio.

Ora, che cosa può fare il Governo in una situazione simile?

Ho già accennato che la forza pubblica era costituita da appena cinque carabinieri, che non potevano fare nulla di fronte ad una folla di centinaia di persone. Non so se un più deciso atteggiamento dei carabinieri avrebbe potuto evitare la manifestazione della folla. Dagli scanni parlamentari è più facile dare un giudizio, ma bisogna trovarsi nella situazione locale per vedere che cosa un carabiniere può fare.

Comunque, il fatto obiettivo è l’esistenza di pochi carabinieri.

V’è stato certamente qualche deplorevole ritardo nell’intervento della forza pubblica dai centri lontani, anche tenuto conto che le comunicazioni si sono potute ristabilire solo sul tardi. E per questo sono in corso accertamenti di responsabilità. Una compagnia di avieri, che era in un campo vicino, richiesta di mandare dei soldati ha dichiarato che non era compito suo provvedere all’ordine pubblico: su questo sono in corso accertamenti e se responsabilità saranno acclarate, naturalmente sarà provveduto per colpire i responsabili in questione. Ma, ripeto, dall’incendio della Camera del lavoro doveva escludersi qualsiasi movente politico. La reazione è stata a freddo e, quindi, essa non è che il frutto di una certa propaganda che, purtroppo, nelle menti dei più semplici, nelle menti di gente non politicamente educata, che non ha il senso della democrazia, fa sorgere l’idea che democrazia significhi salvaguardare la sede del proprio Partito, distruggendo o eliminando dalla vita politica le sedi di tutti gli altri partiti.

Evidentemente quella certa propaganda arriva a questo punto e dà questi frutti che sono indubbiamente molto amari. Io penso che l’Assemblea si assocerà con me alla deplorazione vivissima per l’incidente che è occorso e che tutti gli uomini responsabili, i quali sentono che si debba rispettare l’esistenza degli altri partiti, che il ricorso alla violenza sia da bandirsi dalla nostra vita politica, si assoceranno con me nel deplorare il fatto. Il contenere le lotte politiche nei limiti delle normali competizioni civili è il presupposto necessario per una vita democratica; sono, quindi, certo che tutti gli uomini responsabili collaboreranno positivamente e concretamente a quest’opera di ricostruzione democratica, evitando nella propaganda tutti quegli incitamenti all’odio e alla violenza, che costituiscono il substrato di queste manifestazioni; perché a lunga scadenza questi incitamenti, che vedono nell’avversario politico un elemento da distruggere, che vedono nella lotta politica la conquista del potere e non il mezzo di scelta degli uomini migliori per amministrare il bene comune che è lo Stato, portano alle gravi conseguenze che noi oggi deploriamo.

Io penso e mi auguro che episodi così deplorevoli non abbiano più a ripetersi nel nostro Paese. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Miccolis ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MICCOLIS. Ringrazio l’onorevole Ministro dell’interno per la risposta e dovrei dichiararmi soddisfatto, se a queste dichiarazioni effettivamente corrispondessero sempre i risultati. Quello che ha detto nel suo rapporto l’ispettore generale inviato appositamente risponde esattamente a verità. Manca solo qualche piccola cosa: per esempio, il fatto che questo signor Russo è stato nel suo ufficio dalle 22 alle 22,30, solo; manca che nell’accertamento dei danni si parla di milioni, anzi forse di decine e centinaia di milioni e sembra strano come la Camera del lavoro chieda aiuti per la sua ricostruzione e non si preoccupi di risarcire i danni.

Vorrei domandare al Ministro dell’interno chi paga i danni ed in questo caso io credo che si dovrebbe agire anche civilmente, perché la Camera del lavoro oggi può disporre di fondi e pagare quando produce dei danni. (Rumori).

Non ha detto poi l’ispettore generale degli interventi immediati di carattere politico che ci sono stati. Forse un altro onorevole interpellante è stato dall’ispettore per influire sui risultati… (Rumori).

PASTORE RAFFAELE. Non è vero!

MICCOLIS. Lei, onorevole Pastore, è stato sul posto. Nessuno di noi vi è andato.

Non ha detto poi l’ispettore come tutta questa baldoria, in cui ha perduto la vita un povero lavoratore, ha avuto un’eco nella stampa, con ordini del giorno e con articoli che non hanno fatto che incitare ulteriormente gli animi.

Non è vero, onorevole Pastore? La Voce che cosa ha pubblicato? (Interruzioni dell’onorevole Pastore Raffaele Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Desidero far presente all’onorevole Pastore che avendo egli diritto di replicare alla risposta del Ministro dell’interno, può attendere qualche minuto per esprimere il suo pensiero.

MICCOLIS. Avremmo voluto sapere chi è questo segretario della Camera del lavoro, doppio giocoliere, che prima era iscritto ed al servizio del partito fascista, poi è passato al comunista. (Commenti).

PASTORE RAFFAELE. Non è vero!

MICCOLIS. Lei non sa niente, lei ignora tutto! (Rumori).

Circa le cause, il Ministro ha posto il dito sulla piaga, ma ha trascurato una circostanza importantissima: qui c’è la responsabilità del Governo.

È necessario che si abbia effettivamente una unione di tutti i lavoratori; ma non è affatto consentibile che questa unione sia alle dipendenze di un partito solo, e non è giusto che il Governo emetta dei provvedimenti che fanno della Confederazione generale del lavoro un monopolio a danno dei lavoratori.

È anche possibile che un lavoratore, non ammesso al lavoro od a percepire il premio della Repubblica od il supplemento pane, per le facoltà attribuite dal Governo – ne ho documenti – abbia voluto dar fuoco alla Camera del lavoro. Vi sono delle ragioni per le quali la stessa Camera del lavoro è divisa in due o tre partiti. Sono cose che non ci interessano; ma è necessario, d’altra parte, che non si attribuisca ad ipotetiche reazioni ciò che rientra nelle dirette responsabilità di quei partiti e del Governo stesso. (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PERRONE CAPANO. Vorrei dire con calma poche parole serene. Innanzitutto devo esprimere la mia soddisfazione per ciò che ha detto l’onorevole Ministro.

Essa riguarda la prima parte dell’interrogazione ed è duplice, perché da un lato il Ministro ha riferito indiscutibilmente con esattezza e precisione di particolari quanto è accaduto; dall’altra perché egli, riferendoci ciò che ha riferito, ha dimostrata – e potrei questa volta insinuare che questa dimostrazione egli ha data perché anche il suo partito è stato duramente colpito (Commenti al centro) – l’esattezza di ciò che noi liberali andiamo dicendo e sostenendo da tempo a riguardo di questi dolorosi incidenti che si ripetono con frequenza e che oggi purtroppo caratterizzano la vita del popolo italiano.

Ma debbo rilevare che, per quanto attiene alla seconda parte della mia interrogazione, il Ministro ha detto troppo poco. Io chiedevo di sapere le cause dell’accaduto, e tali cause egli in verità ha indicate insieme con le relative responsabilità; ma chiedevo di conoscere anche i rimedi, ed i rimedi non sono stati indicati, perché il Ministro si è limitato esclusivamente a rivolgere una raccomandazione a quelle forze politiche, che ebbero la ventura di rimanere indenni nella dolorosa occasione, irritandole ad avere un altro concetto della democrazia e ad evitare che per contro essa sia quella che purtroppo oggi è in Italia. Ora, a questo riguardo, bisogna pur dire sinceramente qualche cosa: è, dunque, chiaro che gli incidenti non hanno avuta l’origine che da quei banchi si vuole loro attribuire; non c’è stato chicchessia che abbia mosso le mani dell’incendiario o che abbia fatto agire quanto valse perché la sera del 28 marzo alle ore 22 si levasse, all’interno della Camera del lavoro, quella lieve nuvoletta di fumo che vi fu subito spenta.

Viceversa, c’è stato chi, immediatamente dopo che la nuvoletta di fumo si levò e fu spenta, si è dato pensiero di tagliare i fili del telefono, di interrompere le comunicazioni fra l’interno e l’esterno della città, e poi di mobilitare quella massa che andò a bruciare esattamente e solamente l’Associazione dagli agricoltori, il Consorzio agrario, L’Ufficio delle imposte, le sedi dei partiti politici di centro e di destra ed altre organizzazioni ed enti di questo genere. Dunque, allora è esatto che in un ambiente dove si stanno facendo sforzi veramente notevoli su tutta la linea, pur nelle difficilissime condizioni in cui si svolge oggi la vita economica e politica del Paese, per addivenire ad una più intima collaborazione fra le diverse categorie della produzione e del lavoro, vi è invece chi compie esclusivamente e deliberatamente opera di sobillazione: indiretta e diretta. (Interruzioni a sinistra).

Ora, io posso sinceramente attestare, e l’onorevole Pastore me ne dovrebbe dare onestamente atto, che nella zona di Gioia dal Colle e in Terra di Bari in genere si sono fatti tanti progressi in materia non solo di trasformazioni agrarie, ma di culture, onde si può dire che la provincia di Bari non ha più quasi un centimetro quadrato di terreno suscettibile di essere portato ad un più alto livello di rendimento, che non sia stato portato a questo più alto grado di produttività. Io posso attestare che oggi, nonostante le difficoltà, vi è laggiù una febbre di lavoro per la trasformazione ulteriore e per l’aggiornamento sempre migliore delle condizioni della terra e dello sfruttamento del suolo. Se l’opera non ha il ritmo che dovrebbe avere, questo non dipende dalla cattiva volontà degli agricoltori, ma dalla tardività dell’azione concorrente del Governo e soprattutto dalle condizioni generali che si sono venute a creare nel settore dell’ordine pubblico, dall’orizzonte che si è voluto fare e che si fa ogni giorno, deliberatamente, più oscuro; per modo che, se v’è un colpo di arresto o un ritardo di verifica, essi derivano da queste preoccupazioni e dall’insufficienza dell’azione governativa. Basterebbe ricordare ciò che ho lamentato in un’altra interrogazione, che non ha avuto ancora l’onore della risposta, che manca per la Puglia un piano organico di distribuzione dei lavori pubblici. Già si sono fatti e si vanno facendo pochissimi lavori pubblici e non si sono dati alle Puglie i fondi che le si dovevano dare, e sembra che essi non le saranno dati per parecchi anni ancora.

ALLEGATO. Date il lavoro voi, agrari. (Commenti).

PERRONE CAPANO. Dicevo dunque che ci troviamo di fronte ad una zona in cui si sta facendo il possibile per attuare questo sforzo, che tende a rendere sempre più amiche tra loro le diverse classi sociali e sempre più redditizio il suolo; in una zona dove la politica sindacale delle organizzazioni agricole è sempre più rivolta a realizzare l’intesa con la parte apposta perché, infatti, vi si sono conclusi accordi sindacali per l’impiego e la distribuzione della mano d’opera (Interruzioni a sinistra), e per le tariffe salariali, che vi sono state elevate secondo i desideri della classe lavoratrice, e tuttavia accade proprio là che, per effetto della sobillazione diretta e indiretta degli organizzatori di parte comunista e per effetto della cattiva volontà del Governo, questi sforzi restano lettera morta. Non si fa niente né dalle autorità né dai sindacati operai per il rispetto e la esecuzione degli impegni che in quegli accordi sono racchiusi; e viceversa sempre, ostinatamente, si boicottano gli accordi stessi per mantenere viva l’agitazione e fare in maniera che la vita di quegli ambienti agricoli sia sempre percorsa dal fremito dell’odio.

L’episodio di Gioia del Colle – ci autorizza il Ministro a parlare in tal modo – è la dimostrazione piena e schiacciante di queste verità. C’è chi lavora precisamente al fine di far naufragare gli accordi tra agricoltori e contadini e di impedire che la collaborazione e la pace si affermino fra quelle categorie sociali. Si vuol trarre partito da ogni minima occasione, anche da una piccola nuvoletta di fumo, che viene spenta immediatamente, per attribuire responsabilità insussistenti, determinare situazioni tragiche e commettere violenze assolutamente non consentite e deprecabili. Bisogna stroncare questi sistemi.

Il Governo, poi, ha non solo la responsabilità cui ho accennato, ma ne ha anche un’altra, che scaturisce chiara dalle parole del Ministro. I fatti che hanno dato origine al luttuoso incidente del mattino si sono svolti la sera alle ore 22. Alle 22 i carabinieri sono stati avvertiti e, col rappresentante locale dell’Uomo Qualunque, si sono recati sul posto ed hanno spento quel tale inizio di incendio. I fatti luttuosi si sono svolti alle quattro del mattino. Perché dalla sera al mattino successivo non si è fatto venire da Bari un adeguato corpo di carabinieri e di agenti di pubblica sicurezza per prevenire le violenze che per i precedenti di Gioia del Colle e di comuni vicini si aveva ragione di temere? Si parla di una compagnia di avieri alla quale sarebbe stato rivolto l’invito di intervenire; ma questo evidentemente era un mezzo di fortuna al quale fece ricorso l’autorità locale. Incombeva al comando dei carabinieri, alla questura di Bari, alla prefettura di provvedere per prevenire in tempo incidenti luttuosi e danni gravi.

Il ricordo di quello che accadde a Gioia del Colle nel 1921 doveva essere presente alla memoria di tutti. In quell’occasione, per effetto di sobillazioni di questo genere, si compirono delle vere e proprie stragi. Ci fu anche una grave causa in Corte di Assise. (Interruzioni dell’onorevole Pastore Raffaele e dell’onorevole Allegato).

Il precedente del 1921, inquadrato nella cornice di tutti gli altri episodi del genere che in Puglia si sono verificati prima di quello di cui parliamo, dovevano consigliare un’azione preventiva, urgente immediata, adeguata: azione preventiva che invece non è stata svolta in alcun modo.

E allora ho il diritto di concludere in questi termini: dando atto al Ministro dell’esattezza dei suoi riferimenti in ordine al modo con cui i fatti si sono svolti ed alle cause di essi; deplorando ancora una volta la negatività dell’azione governativa, la quale dove svolgersi in linea generale a protezione sempre maggiore dello sforzo che mira in concreto a portare armonia nei rapporti fra le diverse categorie della produzione, e in modo specifico come opera di prevenzione dei singoli episodi che si possono volta per volta determinare. Bisogna rafforzare, là dove più se ne avverte per esperienza la necessità, i presidi di polizia.

PRESIDENTE. L’onorevole Pastore Raffaele ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PASTORE RAFFAELE. Non posso dichiararmi soddisfatto della risposta dell’onorevole Ministro dell’interno, in quanto i fatti avvenuti a Gioia del Colle non sono altro che uno degli aspetti della situazione generale che si manifesta in tutta la Puglia. Gli agrari pugliesi… (Commenti a destra).

MICCOLIS. Dicono sempre le stesse cose!

PRESIDENTE. Se lei interrompe prima che l’oratore abbia incominciato a parlare, è perfettamente inutile che questi abbia la parola!

PASTORE RAFFAELE. Gli agrari pugliesi, anziché destinare i fondi mal guadagnati nel mercato nero alla coltivazione delle loro terre, li dedicano al finanziamento di tutte le delinquenze che devono affrontare le organizzazioni operaie. Questa è la verità. Non dimentichiamo che Gioia del Colle è il paese tipico dei mazzieri. Su Gioia del Colle, Gaetano Salvemini scrisse il libro «Il Ministro della malavita»; a Gioia del Colle si ebbero i primi fenomeni di fascismo nel 1920; i lavoratori che avevano lavorato tutta la giornata, andarono per riscuotere le mercedi, ma furono affrontati dagli agrari armati di fucile, e tre lavoratori furono distesi a terra; e la reazione del popolo fu immediata: furono uccisi anche tre proprietari. (Commenti a destra Interruzioni). Questo non lo devono dimenticare i signori agrari.

PERRONE CAPANO. Ma i giurati assolsero gli agricoltori.

PASTORE RAFFAELE. Per la seconda volta oggi si è bruciata la Camera del lavoro di Gioia del Colle (Commenti a destra), senza che il Governo abbia preso alcun provvedimento. Le poche carte che il Ministro dice essere state bruciate, sapete in che cosa consistevano? Era lo schedario dell’Ufficio di collocamento, che è quello che dà ai nervi dei signori agrari, i quali vogliono sottrarsi al collocamento.

PERRONE CAPANO. Non è vero!

SCELBA, Ministro dell’interno. Lo schedario è rimasto intatto, onorevole Pastore!

PASTORE RAFFAELE. Non si è concordato, onorevole Perrone Capano, con la Federterra l’assorbimento della mano d’opera? (Interruzioni a destra). Ogni sabato, quando i lavoratori vanno a riscuotere le mercedi per i lavori eseguiti, i signori agrari si eclissano. Essi vorrebbero – e lo ha detto l’onorevole Perrone Capano – non avere nessuna responsabilità nella coltivazione della terra; la proprietà è loro, dicono, e nessuno può imporre loro di coltivare.

PERRONE CAPANO. Tutto questo è fantasia!

PASTORE RAFFAELE. È bene, onorevoli colleghi, che sappiate che col decretò n. 31 del luglio scorso venivano dati dei sussidi che arrivano fino al 67 per cento dei miglioramenti agrari. Ora la provincia di Bari ha avuto assegnati 165 milioni…

PERRONE CAPANO. E li ha assorbiti tutti!

PASTORE RAFFAELE. Vi sono domande soltanto per 70 milioni. Gli altri 95 milioni non sono stati assorbiti, perché i signori agrari non vollero apportare delle migliorie alla coltivazione. Ora, di fronte a questo fenomeno, questi signori vorrebbero che lo Stato mantenesse i lavoratori. La proprietà terriera deve avere i suoi obblighi e il dovere di far rispettare gli accordi. Però, secondo me, il Governo se ne sta lavando le mani. È di ieri, infatti, il telegramma spedito dal Ministero dell’interno, nel quale è detto che si va facendo molto abuso dell’articolo 19 della legge comunale e provinciale, quando invece il prefetto di Brindisi aveva veste, di concerto con gli altri prefetti delle Puglie, per applicare i decreti per l’assorbimento della mano d’opera e, più ancora, per la coltivazione razionale dei terreni.

Quindi, signori deputati, la collettività non può lasciare all’arbitrio dei proprietari di coltivare o meno le loro terre. Ogni giorno voi sentite che si fanno dei convegni per la buona coltivazione; si fanno piani di trasformazioni che mai si attuano. Il Ministro ha affermato che è stato impedito al parroco di celebrare la messa; ebbene questo non è vero. Si è attribuito questo atto di violenza alla segretaria dell’U.D.I., una religiosa, denunziata dal parroco sol perché essa non faceva parte della sua confraternita. (Commenti). Questo potei assodare di persona e poté anche essere assodato dal funzionario del Ministero.

Chi pagò il Resta? Come viveva il Resta? Non era forse pagato dal comune di Gioia del Colle? Non era lui forse che, in piena piazza, andava dicendo che avrebbe distrutto la Camera del lavoro? Ora, credete voi che il lavoratore non debba tutelare la sua casa? Ma questo sarebbe troppo; sarebbe troppo pensare che si potesse tornare ai tempi del 1920. Il Governo ha dunque il dovere che questi atti contro le organizzazioni operaie non vengano più compiuti. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione a firma degli onorevoli Silipo, Musolino, Mancini, Priolo, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sui fatti dolorosi di Petilia Policastro, in provincia di Catanzaro, in cui contro una folla di cittadini inermi, che protestavano per il disservizio annonario, del quale era ed è responsabile l’Amministrazione comunale, i carabinieri di servizio non esitavano a sparare, provocando la morte di un operaio e di una donna, nonché il ferimento di quattro cittadini».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. I fatti di Petilia Policastro, per le conseguenze che si sono avute e per i moventi che li hanno determinati, sono, a mio avviso, molto più gravi di quelli di Gioia del Colle e vanno inquadrati in un’attività delle Camere del lavoro, che è al di fuori del loro compito istituzionale.

Spesso, nel Mezzogiorno d’Italia, le Camere del lavoro, che si identificano – giacché nel Mezzogiorno d’Italia l’unità sindacale non è molto reale – coi partiti politici, assumono atteggiamenti squisitamente politici.

A Petilia Policastro, infatti, il segretario della Camera del lavoro, da parecchio tempo, conduceva una campagna contro il sindaco che era di un partito diverso dal suo. Il giorno 11 aprile, egli si era recato dal prefetto a chiedere la destituzione del sindaco, adducendo il motivo che il servizio annonario non funzionava. Il prefetto lo invitò a precisare i fatti e le sue lamentele; ma egli non fu in grado di precisare gli addebiti, e fu facile al prefetto dimostrare la insussistenza degli addebiti stessi, nel senso che non esistevano le deficienze di carattere annonario che venivano denunciate, e che, comunque, queste deficienze non erano imputabili al sindaco, perché, caso raro nel Mezzogiorno di Italia, dove molti comuni attendono la distribuzione dei generi razionati per mesi e mesi, a Petilia Policastro si era al corrente con la distribuzione dei genere tesserati.

Risulta, infatti, che erano stati assegnati, in data 13 e 24 marzo, rispettivamente quintali 31 di riso, 54 di pasta, saldo generi minestra gennaio; in data 5 aprile erano stati assegnati quintali 7 di farina di polenta ad integrazione della razione di pane; in data 4 marzo erano stati assegnati quintali 300 farina a Crotone e in data 8 marzo quintali 34 farina a Catanzaro; in data 22 marzo quintali 174 a Crotone, di cui 70 prelevati il 9 aprile a saldo fabbisogno pane marzo. In data 1° aprile sono stati assegnati ancora quintali 270 in conto del mese di aprile, da consegnarsi man mano.

Per cui il 12 aprile, cioè il giorno in cui si verificavano i deplorevoli episodi, erano stati prelevati 60 quintali di farina, e la situazione alimentare, per quanto riguarda i generi razionati, era una delle più soddisfacenti fra i comuni di questa provincia.

Dico che non sussistevano i fatti lamentati, cioè il disservizio annonario del comune, o meglio ancora la mancata distribuzione dei generi razionati, perché, ripeto, la distribuzione, caso piuttosto raro nel Mezzogiorno d’Italia e nelle Calabrie specialmente, era avvenuta regolarmente, e comunque, se mancanza vi poteva essere, non era imputabile al sindaco, perché le assegnazioni vengono fatte dalla prefettura e dalla S.E.P.R.A.L. in base agli arrivi e alla disponibilità di questi prodotti. Questa era la situazione.

Fu facile al prefetto dire al segretario della Camera del lavoro che le sue lagnanze non erano fondate e lo diffidò formalmente, appunto perché mancava qualsiasi base alla sua protesta, a non creare disordini.

Anche il comandante dei carabinieri, avuto sentore che si organizzava una manifestazione contro il comune, chiamò il segretario della Camera del lavoro diffidandolo a non creare disordini.

Nonostante questo, durante la notte venivano impartite disposizioni perché non solo si agitassero gli abitanti del luogo, ma anche quelli delle frazioni vicine. Furono fatti venire dalla frazione vicina, che è ritenuta centro di elementi un poco turbolenti della zona, delle persone, le quali furono affrontate dalla forza pubblica, perché non si unissero ad altri manifestanti che stavano nel capoluogo, ciò che avrebbe reso molto difficile la situazione della forza pubblica.

La forza pubblica veniva accolta, non soltanto con sparo di colpi di fucile, ma anche con bombe a mano. I carabinieri furono costretti (erano quattro o cinque in tutto) a retrocedere. Altri erano impegnati a contenere la folla del capoluogo. Durante questi contatti e contrasti – lancio fitto di sassi, sparo di armi da fuoco – venivano colpiti, nove carabinieri, due guardie campestri, che erano state chiamate in rinforzo, ed una guardia forestale.

Per sfuggire a questo assalto e per sottrarsi alla violenza, qualcuno dei carabinieri sparò in aria. La folla, nonostante questo, anzi inferocita per questo, e perché si era tentato di arrestare i più scalmanati, sparò contro la forza pubblica la quale, ad un certo momento, rivolse le armi contro la folla e colpì due persone. Una morì sul posto e un’altra all’ospedale.

Questi i fatti nella loro tragica e triste realtà. Non c’è e non risulta provato neppure lontanamente il movente che venne denunciato perché il sindaco fosse revocato dal suo posto, sindaco che, per altro, era stato eletto da poco tempo regolarmente e democraticamente. Di positivo è risultato soltanto una manifestazione di carattere politico, di cui frequentemente gli organismi sindacali si fanno autori nel Mezzogiorno d’Italia per assaltare le amministrazioni comunali.

Noi non possiamo che deplorare i morti e i feriti: i feriti della forza pubblica ed i morti che sono rimasti in mezzo alla piazza. Non possiamo che deplorarli, perché sono vittime di questi conflitti sociali; la nostra deplorazione non si può peraltro limitare soltanto alle vittime di questi conflitti, ma deve andare più in alto, e soprattutto a coloro che organizzano queste manifestazioni, perché essi non possono ignorare che l’eccitamento della folla può provocare degli incidenti. Qui non ci troviamo di fronte ad un popolo inerme. L’onorevole interrogante parla nella sua interrogazione di una folla di cittadini inermi; ma quando troviamo che in mezzo a questa folla vi è della gente armata di fucili e di bombe a mano, non possiamo più parlare di «folla inerme», di lavoratori che protestano per diritti propri.

Io convengo con quello che diceva l’onorevole Dozza ieri, che contro la gente che ha fame, che è disoccupata, non si può sparare. Sono d’accordo, ma non possiamo accettare queste manifestazioni che sono squisitamente politiche e non possiamo ammettere che quando in mezzo alla folla si trovino uomini armati di bombe e di mitra, gli uomini della polizia rimangano inermi o si facciano massacrare. Gli appartenenti alla polizia sono uomini come noi, i quali vedono i loro compagni caduti a terra, sono padri di famiglia anche loro, e poi hanno le armi non soltanto come elemento decorativo, ma per difendere l’ordine pubblico e la libertà dei cittadini e quindi sono autorizzati a sparare.

Se dovessimo accettare il criterio che la forza pubblica non deve mai fare uso delle armi, allora la forza pubblica non avrebbe nulla da fare di fronte a manifestazioni violente di gente armata e dovrebbe farsi massacrare.

La deplorazione però deve estendersi, in altro senso, contro i responsabili di queste manifestazioni. Io prendo occasione da questo episodio doloroso per richiamare l’attenzione dell’Assemblea e dei partiti responsabili sulla situazione che si va determinando in alcune zone del Mezzogiorno d’Italia in seguito a questi tentativi da parte di organismi sindacali di attentare alle organizzazioni comunali liberamente elette. Il sistema fascista di attaccare la democrazia colpendo i comuni – perché il fascismo cominciò la sua azione di disgregazione della democrazia e delle forze democratiche precisamente minando la vita dei comuni ed occupando violentemente le sedi comunali – va prendendo piede anche nell’attuale clima politico, Sono per ora episodi sporadici e non vorrei che si generalizzasse questa situazione; ma questi episodi sporadici, che non sono tanto limitati, devono preoccupare tutti gli uomini responsabili. Bisogna evitare che gli organismi sindacali escano fuori dalle loro attività. Bisogna rispettare le amministrazioni comunali liberamente elette: ed io per il primo sono per la difesa rigida di esse. Non c’è ragione di pretendere che siano mandate a casa soltanto per le manifestazioni politiche di coloro che non le vorrebbero. Al sindaco di Policastro, che domandava istruzioni di fronte ad agitazioni del genere, ho risposto di resistere, perché non possiamo accettare che per manifestazioni di piazza sia negata la possibilità di vita alle amministrazioni elette col pieno rispetto delle libertà democratiche. (Vivi applausi al centro).

Questo è il secondo episodio doloroso di cui ci occupiamo. Purtroppo di questo argomento si parla soltanto quando avvengono episodi dolorosi. Ma appunto perciò prendo occasione da questa discussione per ripetere quanto ho detto a proposito della prima interrogazione: che si cerchi cioè di evitare il prodursi di queste manifestazioni di carattere non democratico. Il Governo non può sempre essere in grado di prevenire queste manifestazioni violente, onorevole Capano. Ma è bene che nessuno si illuda di rimanere impunito. Anche in questo caso 35 persone sono state denunciate alle autorità giudiziarie, delle quali 18 in istato di arresto e 17 latitanti. Nessuno si illuda che elementi politici possano contribuire ad allontanare la repressione, perché daremmo altrimenti un triste spettacolo al Paese e provocheremmo il sorgere di nuove violenze.

Mi auguro che l’autorità giudiziaria possa intervenire rapidamente perché sia dato un salutare esempio e perché i malintenzionati non sfruttino la democrazia contro la democrazia. Si opera precisamente contro la democrazia fomentando queste agitazioni che turbano le pubbliche coscienze, fomentando questo pullulare di episodi che, se trovano una certa giustificazione nel disagio economico, non trovano mai giustificazione quando assumono aspetti politici, del tutto intollerabili; quando, privi di base economica, dimostrano soltanto il deliberato proposito di buttare a mare le amministrazioni comunali democraticamente elette.

CALOSSO. Ma il Governo ha un piano per questa sua azione repressiva?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo tiene conto della situazione del Paese.

L’onorevole Calosso sa che, di fronte alla disoccupazione e a tutti i disagi economici, il Governo ha mezzi che sono strettamente limitati, e se poco è stato fatto è perché si tratta di problemi che non sono assolutamente risolubili soltanto con la forza del Governo, ma che richiedono anche la collaborazione ed il senso di responsabilità di tutti i partiti. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Silipo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

SILIPO. Ringrazio l’onorevole Ministro dell’interno della premura con la quale ha risposto alla mia interrogazione; ma sono profondamente deluso. Ella, onorevole Ministro, non ha fatto altro che ripetere in buona fede la relazione compilata proprio dagli imputati, dai responsabili. Ella ha posto il problema sotto il loro punto di vista ed ha descritto la vita di Petilia Policastro, come la vita che si può menare in un Eden.

I fatti sono molto diversi e, per conoscerli nella loro realtà, bisogna sentire anche la voce del popolo.

L’amministrazione comunale eletta, durante il periodo della campagna elettorale fece molte belle promesse (acqua, luce, fognature), che, naturalmente, non mantenne. Ingannata dalle promesse, colle quali era stata allettata, la frazione di Pagliarelle, in modo particolare, votò compatta per la lista che risultò vincitrice; ma ebbe a provare una grande delusione, perché non solo non ebbe né acqua, né luce, né fognature, ma nemmeno quello che era in diritto di attendersi: la regolare distribuzione dei generi alimentari razionati.

Sin dall’estate scorsa, quella frazione minacciò di far dimostrazioni contro l’attuale amministrazione comunale, la quale fece orecchio da mercante.

Del resto, in seno alla stessa amministrazione, una parte dei consiglieri della maggioranza una volta ebbe a votare contro il sindaco (alcuni consiglieri democristiani cioè votarono contro il sindaco democristiano).

Questo perché ella sappia, onorevole Ministro, che c’è stato qualcosa che non andava bene.

Riguardo alla distribuzione dei generi razionati, all’ammasso si verificò un ammanco di parecchie decine di quintali di grano. L’ammassatore fu arrestato; intervenne il sindaco e lo fece rilasciare, perché potesse acquistare al mercato nero il grano, onde reintegrare le scorte.

Le difficoltà annonarie lamentate si concretavano in questo: aumento ingiustificato del prezzo della pasta di lire sette rispetto a quello praticato nel capoluogo, nonostante l’esistenza d’un pastificio a Petilia Policastro, che pastificava anche per i comuni più vicini; poi, la pessima confezione, per un certo periodo, del pane, nel quale veniva miscelata crusca, ritirata a Crotone. Tutto ciò avveniva in questi ultimi mesi.

Ed ancora: a conguaglio della ridotta razione del pane, si doveva distribuire orzo in granella, e non fu distribuito; invece, fu messa altra crusca nel pane, col pretesto che orzo in granella non ce n’era, mentre lo stesso esercente, che doveva distribuirlo, lo vendeva liberamente a 140 lire il chilogrammo. Il sindaco tacque! E non si dimentichi che l’assessore all’annona, molto compiacente nel fissare i prezzi dei generi non razionati, si comportò in maniera così scandalosa, che fu destituito, ma ebbe altro incarico, forse più lucrativo, o, per lo meno, altrettanto lucrativo!

Dalla relazione presentata al Ministro si rileva una sola cosa: la malafede dei relatori, che sono i veri imputati.

Per farla breve, questa era la situazione, allorché il 6 aprile si dimostrò contro l’attuale amministrazione. Tenga presente, onorevole Ministro, che a protestare compatta fu quella frazione che aveva votato compatta la lista, dalla quale uscì l’attuale amministrazione, cioè la lista democratico-cristiana, e ciò non è cosa di poco conto: se a dimostrare contro l’amministrazione democratica cristiana sono principalmente coloro che votarono per i democratici cristiani, come si può attribuire il carattere di speculazione politica alla dimostrazione stessa? Mi dispiace che lei abbia potuto attribuire un così basso spirito di faziosità politica ai rappresentanti della Camera del lavoro. (Interruzione a destra). La vostra interruzione non mi fa impressione. Vedremo ora il comportamento della Camera del lavoro.

Il 6 aprile, dunque, viene questa manifestazione e, se la manifestazione non degenera, non degenera appunto perché il segretario del partito comunista di Petilia Policastro interviene a calmare la folla agitata, folla agitata dalla speculazione vergognosa che l’amministrazione del Comune faceva. (Interruzione a destra). C’è stato anche il maresciallo dei carabinieri che ebbe a dire: «Se non ci fosse stato lei, chi sa che cosa sarebbe successo».

La dimostrazione del 6 aprile si svolge ordinatamente e senza incidenti. La Camera del lavoro, il giorno dopo, manda il suo segretario nel capoluogo della provincia dal prefetto, ed al prefetto denuncia le cose e lo prega di intervenire, onde evitare altri incidenti. Ecco come, onorevole Ministro, la Camera del lavoro organizza questa massa contro l’amministrazione. Se avesse avuto intenzione di fare quello che lei dice, il suo segretario non si sarebbe recato dal prefetto per invitarlo ad intervenire ed a porre fine ad uno stato di cose veramente edificante.

Il prefetto non fa altro che mandare nuovi rinforzi di carabinieri!

Dal 6 aprile al 13 aprile, giornata in cui avvenne la seconda dimostrazione, mi dica lei, onorevole Ministro, che cosa è stato fatto per andare incontro ai bisogni di questa popolazione di braccianti agricoli e quali provvedimenti siano stati presi per soddisfare una sola delle tante loro esigenze. Nessuno! La colpa, si sa, è sempre del popolo; la colpa, si sa, è di chi non ha nulla; gli altri hanno sempre ragione, e nel caso che c’interessa è l’amministrazione ad avere ragione, perché sarebbe stata eletta democraticamente, mentre in realtà è stata eletta, perché seppe sfruttare l’ingenuità delle masse, che ebbero il torto di credere e di prestar fede alle promesse mirabolanti dell’amministrazione stessa. (Interruzione al centro).

Io non solo ho parlato di cose che si sono promesse, sapendo che non si potevano mantenere, ma anche ho parlato di cose che si potevano mantenere e non sono state mantenute. Non è umano che in un luogo dove esiste un pastificio, proprio lì si debba procedere alla più bassa delle speculazioni. Ed io non credo che quella popolazione non potesse ricevere la propria razione di orzo in granella, con lo specioso pretesto che non ve n’era, quando nello stesso negozio si vendeva liberamente a 140 lire il chilogrammo.

E passiamo ora ai fatti del 13 aprile. Lei, onorevole Ministro, parla di folla armata di bombe e di fucili, parla di lancio di bombe, parla di colpi di fucile partiti dalla folla. Ma io domando: Dove sono scoppiate queste bombe, quali danni hanno prodotto? O forse sono scoppiate così, come bolle di sapone? Quale carabiniere è stato ferito da colpi di arma da fuoco? S’informi meglio e conoscerà il vero: assuma informazioni dirette e non per il tramite delle solite compiacenti autorità. In questa maniera lei verrà a sapere che i carabinieri furono feriti da colpi di pietra. Il gruppo dei carabinieri era abbastanza vistoso e nessun carabiniere è rimasto colpito da colpi di bomba o di fucile! Ci si facciano vedere i luoghi dove sarebbero scoppiate queste bombe ipotetiche; ci si mostrino le ferite di arma da fuoco riportate dai carabinieri; ma non credo che si troveranno. Le tracce sono rimaste, è vero; ma i colpi furono tirati dai carabinieri ed ebbero per conseguenza la morte di una donna, madre di cinque figli, la quale decedette all’ospedale di Crotone, poche ore dopo il fatto, e la morte di un lavoratore, che ha pagato col suo sangue le colpe altrui. Vi sono stati poi quattro contadini feriti, sempre da colpi di arma da fuoco, ma sparati dai mitra dei carabinieri.

Onorevole Ministro, le hanno detto che questi carabinieri, insieme con guardie campestri ed altre persone, volevano impedire ai cittadini di penetrare nel paese, perché «si presumeva» che ci sarebbe stata una dimostrazione? Non sappiamo tutti che in paese la domenica si scende dalle frazioni perché vi si tiene un piccolo mercato settimanale? Non le sembra che sia una presunzione della forza pubblica quella di pensare che quelle persone sarebbero scese in paese per manifestare?

PRESIDENTE. Onorevole Silipo, cerchi di concludere.

SILIPO. Onorevole Presidente, sto rispondendo a quello che ha detto l’onorevole Ministro dell’interno per dimostrare che si vuol fare una bassa speculazione politica. In ogni modo mi avvio alla conclusione e sarò brevissimo.

Il fatto è questo, che la folla era inerme, come ho detto in precedenza, che i carabinieri sparavano all’impazzata, procedendo ad arresti fatti così a caso. Le è stato detto, onorevole Ministro, che una diecina di contadini, dopo l’inizio della sparatoria, fu messa in ginocchio è tenuta di mira con i mitra? Questo, si capisce, suscitò una reazione da parte della popolazione di Petilia Policastro, la quale, accorsa sul luogo dell’incidente, iniziò quella sassaiuola che doveva produrre il ferimento di qualche carabiniere. Morale: due morti da parte del popolo; quattro feriti da parte del popolo, ai carabinieri sassate! Onorevole Ministro, lei ha parlato di sobillatori. Ci sono, ma altrove; si ricerchino altrove, li cerchi non nella Camera del lavoro, ma tra coloro che, non tenendo in nessun conto i desideri di una massa affamata, lasciano che il tempo passi, e, nonostante ci siano i segni premonitori della tempesta, attendono che scoppi il fattaccio, e, quando il fattaccio scoppia, allora… il Governo ritiene opportuno adoperare la mano forte! Se sobillatori ci sono, sono dall’altra parte, non dalla parte dei lavoratori!

Ed ora una considerazione di carattere generale.

La situazione di Petilia Policastro è comune a quella di moltissimi luoghi del Mezzogiorno d’Italia. I carabinieri non fanno tutto il loro dovere. (Dico così per adoperare un eufemismo, perché dovrei dire che sono tutti settariamente faziosi). Esempi? Numerosi. A Fuscaldo diffidano un organizzatore sindacale e deve intervenire il Ministro per far togliere la diffida; a Crotone sparano, a Petilia sparano, così… con una facilità edificante. In tutto il Mezzogiorno, quando si tratta di andare contro il popolo, questi carabinieri, che rimangono «reali» nell’animo, trovano subito la possibilità di attaccare; quando si tratta di difendere i nemici del popolo, allora restano inattivi, se non diventano del tutto loro complici.

Io chiedo all’onorevole Ministro, per concludere, che, se si deve fare un’inchiesta, sia un’inchiesta che non poggi esclusivamente sulle testimonianze degli imputati. E si provveda subito una buona volta, se si vuole che la vita si normalizzi nel Mezzogiorno d’Italia, a far comprendere alle forze di polizia che, se dobbiamo essere democratici, dobbiamo essere democratici in tutti i casi, e non dobbiamo abusare della democrazia – s’intende speciosamente – allorché si tratta di servirsi di questa parola contro il popolo. (È forse democratico mantenere un’amministrazione contro il volere dei cittadini?). Intanto, se si manifesta contro un’amministrazione affamatrice, allora si tratta di violenze antidemocratiche, che debbono essere soffocate nel sangue; se si tratta di proteggere un’amministrazione siffatta allora è democratica la violenza ed il popolo ha torto a ribellarsi ad una intollerabile situazione!

(Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. È così trascorso il termine regolamentare assegnato alle interrogazioni.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È iscritto a parlare l’onorevole Calosso. Ne ha facoltà.

CALOSSO. I due punti centrali del presente titolo – famiglia e scuola – sono stati trattati in questa Assemblea da grandi giuristi, che con una certa difficoltà abbiamo potuto seguire, data la competenza tecnica specifica di questi oratori, dall’onorevole Calamandrei a parecchi altri. Però io credo che alla Costituente possa aver una voce anche l’opinione modesta dell’uomo della strada. E modestamente vorrei dire qualche cosa, perché a questi due problemi ho portato per lungo tempo una certa passione. Il nostro scopo non è quello di fare delle belle leggi. C’è una regola che quasi non ha eccezioni: che le legislazioni molto belle e complete, sono sempre accompagnate da fenomeni camorristici. È un fatto.

Ho citato altra volta il fenomeno della legislazione borbonica, che essendo della patria del Vico e di tanti altri giuristi e filosofi d’Europa – Napoli è la capitale filosofica e giuridica d’Europa in un certo senso – era perfetta. Quando Gladstone disse che il reame borbonico era la negazione di Dio, gli risposero i giuristi napoletani dicendo giustamente che avevano i migliori codici d’Europa. Tanto poco una legislazione importa al benessere del popolo, se non è accompagnata già da un principio di esecuzione. Questo è un principio da ricordarsi. Mi pare che la legge debba essere quasi come una pezza di vario colore, gialla, rossa, non importa, messa dove c’è un buco; niente altro; ogni cosa che si allontana da questo è un danno di più. Per esempio, l’articolo 2 dice che la bandiera italiana è bianca, rossa e verde: questo è un articolo negativo, come se dicessimo che il Monte Bianco è la più alta montagna italiana: cosa superflua, e quindi dannosa, perché ci abituerebbe a considerare la Costituzione con leggerezza.

Permettetemi di parlare in modo, per dir così, pedestre. Vedo la prima frase del presente «titolo» che dice: «La famiglia è una società naturale». Io ho indovinato, dai discorsi che ho udito, che fra i giuristi ci deve essere una vecchia questione intorno a ciò, anche forse delle vecchie ruggini, che non ho bene afferrato in che cosa consistano.

Ho ad ogni modo compreso che c’è, comunque, un lato della famiglia che è uguale a quello del regno animale; che è uguale, per esempio, a quello dei colombi che fanno all’amore in modo così tenero, che hanno abolito il divorzio (Si ride); o a quello dei gatti, dei conigli, ecc. Ho visto una volta una gatta che era un’educatrice meravigliosa; essa allevava i suoi figli, giocava con loro, li scompaginava improvvisamente, poi ritornava riservata come al solito e si ritirava nei suoi appartamenti.

Certo, anche il regno animale è una cosa importante; ma non sono riuscito a comprendere tanto entusiasmo da parte democristiana per questa formula animale.

Contro questa formula stanno quelli che vorrebbero il predominio dello Stato: e sono le sinistre. Ed anche questo mi ha meravigliato, perché, da questa parte, noi socialisti, noi cioè che amiamo Marx perché lo riteniamo una pietra miliare nella storia del socialismo, siamo, come egli era, antistatalisti al cento per cento: Marx pensava infatti che lo Stato sia un male che un giorno si dovrà eliminare.

Comunque, come dobbiamo impostare il problema? Questo è il quesito. Sperimentalmente, grossolanamente, la dittatura fascista, cioè quella che abbiamo avuto fra i piedi, quali tare ha messo in luce nella famiglia italiana praticamente? Questo è tutto.

Ora, mi pare evidente, il fascismo ha fatto la campagna demografica, ha ridotto la famiglia a conigliera, ha messo la donna in cucina, ha cercato di dare dei poteri di primato ai duci domestici, a noi uomini cioè che sostiamo dopo il pranzo con lo stuzzicadenti in bocca e che fascisticamente, per le strade, con passo imperatorio che tutto il mondo ci invidia, seguiamo le donne, siamo l’unico popolo europeo civile che faccia questo. La gelosia, noi siamo, con gli spagnoli, i soli ad averla in questo grado; anche negli ammazzamenti di donne siamo famosi e siamo così appassionati che ci dimentichiamo di uccidere prima noi stessi: perché l’uomo appassionato dovrebbe, prima, uccidere se stesso e poi sua moglie. (Si ride).

E poi chi uccide dice: assolvetemi, perché sono un uomo appassionato. Io invece, se ci fosse la forca, la darei a uomini simili.

Ma questo lato della nostra famiglia, che tutto il mondo critica – e noi non ne abbiamo sentore perché in Italia non si proiettano i film americani che mettono in luce questo lato di cui siamo tristemente famosi – è stato precisamente il lato che il fascismo ha sottolineato, conferendogli anzi un senso di orgoglio patriottico. Come rimediare a. questo fatto? C’è il rimedio reale che non può essere dato che da una riforma sociale, che tolga la miseria. Ma non è questo il punto in questa discussione. Non possiamo fare una rivoluzione per decreto.

Rimaniamo nel campo politico e giuridico in cui si muove la Costituzione.

Che cosa si può fare? Un oratore democristiano, l’onorevole Avanzini, molto bene ieri disse: «Per omaggio ai socialisti e alla sinistra, io tratterò il problema non da un punto di vista cristiano, ma solo da un punto di vista civile». Io tendo ugualmente, per un atto di omaggio, a mettere il problema in termini cristiani, anziché socialisti.

Noi socialisti abbiamo detto tante volte: siamo disposti a rimanere nei limiti di un cattolicesimo manzoniano, sia quelli di noi che sono cattolici, sia quelli che non hanno una fede positiva e non credono nel Dio trascendente. Se per caso mi scappasse dalle labbra qualche cosa che non è nei limiti di un cattolicesimo manzoniano, vi prego di avvertirmi ed io subito tacerò. Non ho capito perché voi, amici democristiani, di questo senso di familiarità conigliesca, che il fascismo ha esagerato e che abbiamo un po’ nel sangue, non ne avete abbastanza. Non è vero che le cose buone, esagerandole, rimangano buone. L’abate Muratori ha scritto un libro contro il culto esagerato di Maria Vergine, perché non si deve esagerare nulla. Così per la maternità. Le esagerazioni del senso della maternità hanno per effetto una degenerazione della maternità.

Non riesco a capire come voi non ne abbiate abbastanza di questo senso familiare conigliesco che il fascismo ha messo in auge, quasi come se noi avessimo in questo campo un primato. Non è vero! Tutti e tre i popoli alleati che abbiamo avuto in casa, sono immensamente superiori a noi in questo punto. Gli Americani e gli Inglesi hanno una moralità famigliare freschissima, l’adulterio è guardato con rigore, la donna rispettata. Anche i Russi. Guardate il popolo russo che molti credono un popolo degenerato. Ora, da testimonianze assolutamente obiettive, come quella di Lord Webb e di sua moglie, che ha scritto un libro in materia, sul modo di essere della famiglia e dell’amore in Russia, si potrebbe dire che là esiste una vita quasi puritana.

Dice Lord Webb che in Russia la libertà dei contatti fra i sessi è meravigliosa. Il severo contegno, che è naturalmente connesso con la libertà, la onesta fraternità dei giovani che vanno al lavoro e quella fra gli studenti, costituiscono un bellissimo quadro. Questo secondo il resoconto di individui che non sono affatto dei filocomunisti. Qualcuno potrebbe credere che in Arabia, dove si chiudono le donne, la famiglia vada meglio, perché si è sicuri della fedeltà, essendo le donne chiuse a chiave.

Non credo che sia questo ciò a cui vogliamo arrivare. Che cosa si può fare, anziché insistere in questo senso esagerato della famiglia, per cui persino la Santa Trinità in Italia è stata quasi dimenticata e sostituita con un’altra Trinità, che è la Sacra Famiglia? Che cosa si può fare? I rimedi decisivi sarebbero quelli economici e sociali. Ma fin d’ora io direi che sarebbe bene dare molta importanza alla donna e alla famiglia, come ha detto ieri molto bene nel suo discorso la signorina onorevole Rossi. Dare importanza alla donna, perché – ella ha detto una ragione giustissima – l’esperienza ci dimostra che quando la madre vive ed il padre è morto, la famiglia rimane in piedi lo stesso; mentre quando l’uomo rimane vedovo tutto va a catafascio. D’altra parte, chi di noi può negare che, in media, la donna è più virtuosa di noi e più coraggiosa? È un fatto che la donna è più coraggiosa. In casa, quando noi abbiamo un malore, un mal di denti, un mal di capo – almeno a me succede così – diamo noia a tutti, vogliamo essere coccolati; invece la donna sopporta questi mali senza farsene accorgere. Perché? Perché è più coraggiosa. Vi è chi dice che la donna sia meno coraggiosa perché non ama fare la guerra. Questo è un atto di intelligenza e non di poco coraggio. La donna non vuole rischiare la vita e soprattutto farla rischiare ai suoi figliuoli per avere tutto distrutto. Ma quando deve rischiare la vita per creare un’altra vita, il coraggio non le manca. Credo che la Provvidenza abbia fatto molto bene ad assegnare a lei questo compito, perché se lo avesse assegnato a noi l’umanità sarebbe finita.

Anche la donna frivola è in genere più seria dell’uomo. Non credo che la donna più frivola abbia mai dato un pizzicotto in tranvai ad un uomo. Anche la donna delinquente è spesso più nobile dell’uomo delinquente; guardate Maria Pasquinelli: ha commesso in grave delitto, per cui giustamente è stata condannata a morte. Ha ucciso un uomo, così, in un’atmosfera di nazionalismo esasperato. Fintanto che si è trovata in un’atmosfera esasperata di uomini che rimpiangono di non poter fare in Jugoslavia quello che gli jugoslavi stanno facendo a noi, lei si è eccitata ed ha sparato. Ha colpito purtroppo proprio l’individuo che probabilmente era un grande amico dell’Italia, perché suo padre era morto sul fronte italiano, e noi a Londra abbiamo visto che il gruppo degli inglesi che ci difendeva, e sui giornali e nelle riunioni pubbliche, era proprio questa tribù degli ex combattenti in Italia. Ma appena è stata sola, appena non è stata più avvolta dai gruppi di uomini nazionalisti, si è trovata solo donna ed ha tenuto un contegno meraviglioso di forza: non ha voluto chiedere né la grazia, né l’appello. È chiaro che, pur esecrando il suo delitto, una donna simile si imponga alla nostra riverenza.

Non riesco a vedere perché la donna sia inferiore all’uomo, anzi per quello che ho detto mi parrebbe che sia superiore. Non in tutto, è vero: nel campo filosofico, per esempio, non è certo eguale all’uomo. Ma la donna è superiore all’uomo nella vita pratica e morale. A noi qui poco interessa che la donna non sia fatta per la filosofia. Ma in campo pratico, dato che la donna in Italia è stata sempre ritenuta inferiore, non sarebbe poi male se, dovendo creare un primus inter pares, si creasse una prima inter pares.

C’è un articolo, non so se in questo Titolo o in un altro, che dice che la donna è essenzialmente dedicata alla funzione familiare. Ma perché «essenzialmente»? Non riesco a capirlo.

È ancora da questa parte (Accenna al centro) che viene questa tendenza poco cortese verso la donna. Ora, il Cristianesimo – amici miei, ho detto che voglio mettermi dalla vostra, pur essendo incredulo nella religione positiva – che cosa è stato? Ha preso la donna ritenuta inferiore ed ha rivelato che è pari all’uomo perché ha una coscienza. Ha dato alla famiglia importanza, ma non suprema, e ha detto al momento opportuno: io sono venuto a separare marito da moglie, madre da figlio. Questo è il messaggio cristiano, cioè la coscienza prima della famiglia.

In pratica quelle vergini, quelle martiri che si adorano…

Una voce al centro. Si venerano!

CALOSSO. Bene, si venerano. Ho detto si adorano? Mi sono sbagliato, perché in certe cerimonie vi sono delle abitudini popolari che mi sembrano di adorazione. Ricordo che al mio paese c’era un Sant’Espedito, al quale si faceva onore in modi che mi avevano dato l’impressione della vera adorazione. Ma evidentemente anche i fedeli che agiscono in quel modo non adorano: ne prendo atto. Quello che ho visto io non era adorazione. (Interruzioni).

Dicevo che in pratica, queste vergini, queste martiri che si venerano, non erano mica dei colli torti: erano le fondatrici di cellule dei primi secoli (Interruzioni); erano delle partigiane di quell’epoca; erano delle donne forti che si mangerebbero in insalata duecento arcivescovi moderni. (Interruzioni).

Donne forti dunque, donne come ci sono in quest’aula, dove abbondano: questa è la realtà.

Il messaggio cristiano dice che è meglio non sposarsi. Il matrimonio è un’ottima cosa, ma non è cosa che tenga il primo posto: prima c’è la coscienza.

L’onorevole Merlin, che non so se sia ora presente, fece tra l’altro l’elogio della famiglia romana. Roma a suo parere decadde quando perse il senso della famiglia, quando trascurò il culto dei penati.

Manzoni è contro questa tesi. C’è una pagina del Manzoni nelle così dette Opere inedite, dove commenta la storia romana di un francese, il gesuita Rollin. Manzoni non amava molto i gesuiti e scrisse contro di loro una durissima lettera, dove disse con spavento che in Francia c’erano non so quante case dei Gesuiti, e altrove aborrì la confusione fra politica e religione. Io sono d’accordo col Manzoni. Il buon Rollin, gesuita, naturalmente pensa che il senso della famiglia dei romani era una buona cosa: la famiglia, i penati; ma dimentica una sola piccola cosa, che c’è stata la rivoluzione cristiana che ha sgominato questi sentimenti pagani, e allora il Manzoni commenta negando la famiglia e la legge romana.

Se la legge romana è buona, il magistrato, che legalmente condannò i martiri, era buono. Tutto il pensiero del Manzoni è questo, che ciò che di meglio c’è in Roma antica è cattivo: l’ateo era migliore del buon credente pagano, perché l’ateo era più vicino alla conversione.

A suo parere, nel paganesimo romano tutto è cattivo, Cincinnato non meno di Cesare. Anche i Cincinnati e i Fabrizi sono gente che si astiene dai vizi e dalla crapula soltanto per orgoglio.

L’onorevole Merlin è cristiano: non ho capito quello che poteva ricavare dall’esaltazione della famiglia romana, almeno manzonianamente.

E verso i figli, lo stesso. Cosa deve fare la legislazione? Dove deve tendere la Costituente? Una lenta azione, non solo con le leggi, ma anche con tutto il costume; ed anche i nostri discorsi qui dentro devono seguire la nuova strada.

A cosa si deve portare il figliolo? Non a stare addossato alla madre, ma a dargli maggior autonomia. A questo si deve tendere in un Paese dove questa autonomia è poco sentita, dove il padre tende a mettere le manacce sul figlio e la madre tende al coccolamento.

Io domando al medico onorevole Marconi, che è buon cristiano: quale è il primo atto della maternità? È un atto di distacco ombelicale (Si ride). Questo è simbolico. Tutto il sistema dell’educazione della famiglia deve tendere a dare al figlio una autonomia; deve propugnare un rispetto reciproco fra figlio e madre, concetto che è poco chiaro nella nostra educazione. L’affetto spesso agisce come ricatto.

L’ideale dovrebbe essere di portare il rapporto fra madre e figlio a quel tipo di amicizia obiettiva, che c’è tra figlio e padre; se no, nascono quelle forme morbose e quei complessi freudiani, che portano al disastro il carattere italiano. Questa è la verità; nessuno può negarla; tutti lo sappiamo; eppure, una forma di ipocrisia, ci conduce a trattare il problema famigliare senza castità e senza pudore.

Passiamo a parlare dell’articolo sui figli illegittimi, che noi socialisti vogliamo aiutare e parificare ai legittimi.

Farei una proposta ai nostri amici opponenti democristiani.

Ho sperimentato che non c’è problema morale, per quanto difficile, minuto e moderno, che non abbia nel Vangelo un punto in cui è trattato in modo supremo.

Se mi convertirò alla religione positiva – il che è difficile, perché sono immanentista – sarà in base a questa esperienza.

Io ho pensato: possibile che il Vangelo non parli di questa questione dei figli illegittimi?

Ricordo che Gesù è uomo perfetto. Lo credete anche voi, immagino; il vero Uomo perfetto ed anche il Ragazzo perfetto. Egli nasce in una stalla, da proletario; vediamolo da ragazzo, verso i dodici anni. Sappiamo una cosa sola: che Egli cresce col rispetto verso il padre e verso la madre. Il Vangelo ci dà un solo esempio: Gesù scappa di casa senza avvertire la madre e il padre. (Interruzioni).

Amici miei, non posso pensare, come vedo dal sorriso incredulo di qualcuno, che non crediate alla rivelazione.

Ma io ritengo che questo esempio evangelico per un credente indichi che Gesù ha previsto questa mia discussione di quest’oggi. (Si ride).

È la verità.

GUERRIERI FILIPPO. Onorevole Calosso, anche senza credere, si potrebbe parlare con maggiore riguardo e rispetto.

CALOSSO. Immagino che il mio interruttore sia un democristiano. Però non capisco perché egli riduca un problema religioso a un problema di rispetto. Io, parlando di Gesù ragazzo, come modello, credo di parlarne con molta serietà.

GUERRIERI FILIPPO. È da un pezzo che lei prende in giro.

CALOSSO. Prendo in giro non la fede, ma la sua mancanza di fede.

C’è della sordità in materia, che è insuperabile. In buona fede si crede che io parli scherzosamente; non ho mezzi per convincere del contrario.

Dunque, Gesù da ragazzo scappa di casa e per tre giorni la madre lo cerca fin che lo trova.

Una voce al centro. Non scappa di casa.

CALOSSO. Abbandona la carovana. Ho tradotto modernamente una frase ebraica. Abbandona la carovana senza dirlo al padre e alla madre, la quale per tre giorni lo cerca affannosamente.

Mi pare che questo sia un grande esempio. Vuol dire che l’educazione deve essere basata sul distacco, sull’autonomia, e che la madre e il padre, per quanto rispettati, vengono in secondo luogo.

Io ho visto educare dei bambini in certi paesi ed ho visto – mi ricordo ora di questo episodio – una bambina di un anno (diceva bene la onorevole Bianchini che si deve incominciare ad educare a tre anni; veramente, io direi ad un anno), una bambina di un anno che si avvicinava a passi traballanti ad una scala pericolosa, e la madre fu avvertita: «Guardate, che la bambina può cadere». La madre rispose: «Non voglio correre troppo presto; deve imparare a risolvere i suoi problemi».

Io penso che un popolo che faccia in questo modo ha la probabilità di diventare più forte. (Interruzione dell’onorevole Cappi). Non le pare?

CAPPI. Personalmente, non lo ammetto con una bambina di un anno.

CALOSSO. Io ho detto che questa madre non ha voluto correre troppo presto; non ho detto che voleva che la bambina precipitasse. Effettivamente, la bambina si fermò e tornò indietro. Se le nostre scuole riuscissero ad insegnare alle nostre madri questo metodo, ritengo che saremmo più forti. Questa è la mia impressione.

Certo è che questi problemi non sono solubili completamente in questa società, perché questi mali – che l’uomo in Italia tende a battere la moglie e che il bambino è tenuto troppo attaccato alla madre – si devono al fatto economico essenzialmente, perché se ci fosse un sufficiente livello di vita, una quantità di queste cose finirebbero. Qui è la soluzione del problema. Ma, poiché ciò è impossibile, ora, non voglio trattare questo problema.

Anche il matrimonio ed i suoi problemi sarebbero risolti in gran parte se cambiasse il tipo di società. Che differenza c’è, per esempio, fra la prostituzione ed il matrimonio d’interesse? È una vendita, in fondo. Quante volte noi vediamo che un vecchione ricco sposa una ragazza giovane! Non chiamo matrimonio una cosa di questo genere. Ora, quali provvedimenti pensiamo di prendere nella Costituente? Nessuno si è posto il problema. La prostituzione non esiste più in nessun Paese alleato, almeno nella forma più deprimente delle case di tolleranza, non esiste in Russia, non esiste in America, né in Inghilterra, ed i democristiani francesi hanno impostato questo problema in Francia; ma a noi questo problema non ha interessato affatto. Purché si possano tener legati in un sacco un cane e un gatto sposati, a noi è bastato. Non abbiamo allargato il nostro panorama fino alla lotta contro la prostituzione. Potremmo fare qualcosa fin da adesso. Perché non si potrebbero creare dei centri di lavoro liberi per queste donne, come hanno fatto nella Russia? Non ci siamo neanche posti il problema. Ci attira il divorzio, perché è un fatto legale. Il divorzio è un problema che non mi interessa e che non sento molto, perché non ne ho pratica; non mi sono mai divorziato ed anche intorno a me non ho mai visto molta gente divorziare. Forse, in questo momento, riesco a ricordare una sola persona divorziata. Quindi, non so come potrei parlare molto del divorzio.

Anche qui siamo in questa situazione: il divorzio è un problema inattuale, è un problema che, dovendo legiferare, non possiamo aggravare con una speciale legge. Invece, con la mia esperienza di uomo di 51 anni, posso dire che mi sono spesso incontrato nella vita con lo spettacolo dell’adulterio. L’adulterio invece non vi interessa. Non ho sentito un democristiano che dicesse: vediamo, cosa si può fare per limitare l’adulterio. Questo è un problema politico. Il Vangelo dice che il divorzio è adulterio, cioè peccato; non che l’uno sia più peccato dell’altro perché c’è il sacramento. Non c’è ragione perché l’adulterio dobbiamo riguardarlo con carità cristiana e invece il divorzio no. Una volta un tale, divorziato, che si era confessato ebbe per risposta: vade retro, Satana; quando disse che aveva commesso sette o otto adulterî, allora gli venne detto: vedi di emendarti, figliuolo. (Interruzione dell’onorevole Coccia).

È incredibile che in un’Assemblea dove il partito più importante si chiama cristiano, un problema così evidente, come quello del gran numero di adulterî che ci circonda, non abbia interessato nessuno. Hanno creduto forse che non ci sia soluzione. Però, quelli che hanno proposto il divorzio, hanno tenuto conto che se ci fosse il divorzio diminuirebbe il numero degli adulterî. Questo è il compito dei politici, è il nostro terreno. È vero che qui nessuno di noi socialisti ha proposto il divorzio, ma quelli che pensano che il divorzio sarebbe bene che ci fosse, vorrebbero semplicemente diminuire il numero degli adulterî. Ma io vedo i vostri sorrisi e penso che voi non dite tutto quello che pensate. (Commenti). Diciamo soprattutto che quelli che sorridevano sentono che voi ve ne infischiate altamente di questo. Oggi avete un risentimento contro di noi, perché vi siete attaccati alla lotta contro il divorzio come ad un pretesto giuridico in linea generale, anzi che trattare un problema sostanziale.

Non va confusa questa questione con quella del libero amore, al quale credo che noi tutti qui di sinistra siamo contrari. Lenin scrisse una pagina rimasta celebre contro il libero amore. Cosa è poi questo libero amore? La frase è equivoca, perché certo chiunque vuole la libertà dell’amore; ma il libero amore, nel senso comune, è una cosa grottesca, pazzesca e criminale, oltre che noiosa. Ora domando: che cosa è il libero amore? Il matrimonio è molto più interessante e avventuroso, perché l’amore tutti sappiamo come va a finire. Il matrimonio invece finisce con la grande avventura della morte, al di là della quale c’è il mistero.

Quindi vi preghiamo una volta per sempre: non accusateci di delitti che non abbiamo. Ho visto che un giornale mi fece un giorno gridare: viva il libero amore. Noi invece siamo contrarissimi al libero amore. Quello che non possiamo capire è questa testardaggine legislativa. Noi non vogliamo porre il problema del divorzio, pur essendo divorzisti. Perché volete esagerare e farlo mettere addirittura nella Costituzione?

Capisco una legge che dicesse: è proibito ai cattolici di divorziare, poiché il matrimonio è un sacramento. Ma perché volete che non divorzino i mussulmani, gli increduli, gli ebrei, i protestanti che stanno fra noi? Volete imporre l’oro un sacramento dall’esterno? Non contano niente questi sacramenti, neanche per l’amico Giannini che ne ha preso recentemente addirittura quattro in una volta. I sacramenti messi dall’esterno, non è che salvino nessuno. Ora tutta l’Europa, meno l’Italia e la Spagna franchista, ha il divorzio. La Chiesa cattolica negli altri paesi ha lasciato entrare i deputati cattolici in tutti i partiti divorzisti, senza dir niente. È una questione individuale. In Inghilterra, dove la maggioranza dei cattolici, oltre i quattro quinti, ha votato per i socialisti, che sono divorzisti, come tutti i partiti, nessun vescovo della Chiesa cattolica ha detto che fanno male. Cioè, non hanno impostato il problema politicamente e hanno detto: «Siamo forti abbastanza per far della propaganda religiosa, senza aver bisogno della legge per questo».

E voi, che vi trovate in questa situazione di privilegio, che avete una sinistra che è venuta incontro a voi, che ha cambiato da vent’anni il suo atteggiamento verso la Chiesa, la quale allora era contraria all’unità d’Italia, che ha lacerato il vecchio anticlericalismo, che vi dà la mano per risolvere una volta per sempre il problema dei paesi latini, cioè di abolire l’anticlericalismo, di levare la religione dal campo della polemica politica, non avete saputo cogliere la palla al balzo. La legge! Ancora la legge! Questo è un atteggiamento che mi disgusta, francamente. Avete visto la possibilità di risolvere il problema religioso in Italia, come in tutti i paesi latini, e l’avete rigettata. Vi attaccate alle minuzie, perfino al problemino dei figli illegittimi, dove il cristiano per istinto dovrebbe fare magari un errore in favore del figlio illegittimo. Vi vorrei più coraggiosi, capaci di fare un errore per gli sventurati illegittimi anziché contro di loro.

Pensando al problema dei figli illegittimi, mi venne in mente di pensare: vediamo se il Vangelo ha detto una parola su ciò. La più grande prova della divinità del Vangelo – ve la regalo come motivo apologetico – è che esso ha sempre una risposta ai problemi morali anche più moderni; e io mi sono accorto che il Vangelo ha parlato del problema dei figli illegittimi: Gesù è un figlio illegittimo. (Interruzioni Vivaci proteste al centro Commienti).

TUPINI. Basta! Basta!

Una voce al centro. Sono bestemmie. Ne ha dette già abbastanza. (InterruzioniRumori Apostrofi).

PRESIDENTE. La Presidenza deve dichiarare che non è edotta dell’origine dell’incidente, perché, data l’infelice acustica dell’aula, non sempre si riesce a udir bene l’oratore. (Commenti al centro Alcuni deputati democristiani abbandonano l’Aula).

Non posso fare nessuna ipotesi in materia; ma se anche dalle labbra dell’oratore fosse uscita una frase che possa aver colpito il sentimento religioso di una parte dell’Assemblea, non mi sembra questa sia una ragione da legittimare un esodo, tanto più che con ciò si darebbe un’importanza eccessiva ad un episodio che tale importanza non può avere. (Commenti Proteste al centro Rumori).

Onorevoli colleghi, abbiano la compiacenza di ascoltare.

Chiedo dunque all’onorevole Calosso di precisare il suo pensiero, che può non essere stato ben compreso. (Proteste vivissime al centro).

Onorevoli colleghi, permettano all’onorevole Calosso di parlare.

CALOSSO. Io trovo naturale che i gridatori siano usciti e mi ha fatto piacere che siano usciti coloro che, a differenza di San Tommaso, non amano udire il parere avverso dei loro colleghi. (Interruzioni Rumori). Vi prego di stare a sentire.

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, non raccolga le interruzioni e spieghi il suo concetto.

CALOSSO. Desidero esprimere il mio pensiero ed essere giudicato dopo, non prima, dalla geniale mente dei mugghianti gridatori. (Commenti). Sono costretto ad alzare la voce, e me ne dispiace.

Affermo che è capitato a Gesù Cristo questo inconveniente, che è definito scandaloso dallo stesso testo sacro: l’inconveniente cioè di diventare uomo non nella veste di un Deputato alla Costituente, o di un banchiere, o di un industriale, o di un capitalista, ma – vi voglio scandalizzare – l’inconveniente di nascere nei panni del bambino più povero che esistesse e di fare la morte del criminale più criminale che esistesse. (Commenti).

TUPINI. E che cosa c’entra questo con la Costituzione?

COLONNETTI. Ma basta!

CALOSSO. Lei, onorevole Colonnetti, non dirige la discussione (Rumori). Io sto dimostrando un punto preciso, che cioè ho detto una cosa di venerazione per Gesù Cristo; lasciate dunque che parli e lo dimostri; dopo mi fucilerete, dopo mi impiccherete.

Troverei naturale, vi dicevo, che Gesù Cristo si fosse incarnato anche nel bambino più reietto, più disgraziato; ma, a farlo apposta, a parte il fatto che San Giuseppe, come dice lo stesso Vangelo, aveva creduto che la Madonna era rimasta incinta non da lui, e pertanto sospettasse il figlio come adulterino, tanto che voleva rimandare Maria – era un sospetto di San Giuseppe non mio – a parte tutto questo, era proprio un figlio illegittimo Gesù, perché anche nel Vangelo… (Interruzione dell’onorevole Colonnetti Rumori). Mi lasci finire, onorevole Colonnetti; poi esporrà la sua tesi.

PRESIDENTE. Non raccolga le interruzioni. onorevole Calosso.

CALOSSO. Mi accusano di bestemmia.

Devo dimostrare che non è così. Ora è chiaro che, dal punto di vista della legge umana, chi non è figlio del matrimonio legittimo, è figlio di qualche altra cosa. È così semplice. Perché il vostro scandalo? Perché voi siete increduli. Voi credete nella legge, non nella fede. Ma c’è una lettera, che fa parte del libro del Nuovo Testamento, scritta addirittura ai Romani, dove San Paolo fa tutta una tirata contro la Legge. Leggetela, per piacere, ed allora non vi scandalizzerete. Ed io posso dire giustamente che Gesù Cristo morì come un maledetto, morì come un criminale, è fu un illegittimo; era un illegittimo, e ciò non invano, perché si è messo dalla parte dei reietti. Perciò quando l’onorevole Merlin disse che gli illegittimi sono appena uno su mille, io gli risposi: oportet ut unus homo moriatur pro populo, «è giusto che un solo individuo sia sacrificato per la maggioranza», cioè gli ricordai il testo della sentenza di morte di Gesù Cristo, negai che nelle cose morali uno sia meno importante di mille, e trovo che anche se vi fosse un solo illegittimo in Italia, bisognerebbe difenderlo. Potrebbe essere Gesù. Lo è. Per noi il solo figlio illegittimo che c’è è Gesù Cristo, perché disse: in ogni povero ed infelice io sono là. (Applausi a sinistra). Per chi ha fede, Gesù Cristo è illegittimo.

TUPINI. Per chi ha fede, Gesù Cristo è figlio di Dio, e lei non deve insultare la fede della maggioranza italiana.

CALOSSO. Lei parla eccitato come chi ha torto.

Ho dimostrato fino adesso che ho esaltato la fede. Ho sempre sostenuto il pensiero di un Dio che diventa umile, bastardo, maledetto, brutto (lo dice il Testo Sacro), infelice, proletario, nato nella stalla, impiccato come un malfattore. Questa è la nostra superiorità cristiana. Lei la prende per un insulto, perché lei è un musulmano che ha bisogno d’un Dio forte e assoluto, non incarnato, non sofferente: lei non è un cristiano. È questa la verità. Ora se questa è la mia bestemmia, io l’accetto in pieno. Ho preso la vostra parte e l’ho esaltata.

Ho cercato di spiegare questa tesi a coloro che sono scappati fuori, ai musulmani che sono scappati fuori. (Interruzioni al centro).

Passo dal problema della famiglia, che ritengo di aver trattato nei limiti accettabili da tutti in quest’aula…

COLONNETTE. Si è visto come è accettabile!

CALOSSO. Ho preso l’impegno di rimanere nei limiti cristiani, e trovo naturale che i non cristiani non abbiano capito.

Passo al problema della scuola. Mi pare che sia stato impostato troppo giuridicamente. Non che sia sbagliato, ma non è elegante la nostra impostazione: scuola privata, scuola di Stato. Diciamo pure: scuola cattolica e scuola di Stato. Ora io posso accettare questa impostazione, ma la trovo superficiale. Abbiamo discusso fino adesso e, salvo eccezioni, come quella di ieri data dal meraviglioso discorso dell’onorevole democristiana Bianchini Laura, discorso intelligente e potente, non abbiamo parlato dell’educazione del Paese, dopo un disastro morale, oltre che bellico. Cosa curiosa! È avvenuto che i cattolici, compresi quelli di denominazione musulmana, hanno sostenuto la libertà della scuola, e ciò era imprevedibile, a dire il vero, perché quando hanno avuto in mano lo Stato confessionale – qui, a Roma, c’è stato per secoli lo Stato della Chiesa – questa libertà non c’è stata e questo Stato era il più malgovernato di Europa; aveva la più alta percentuale di omicidi e di briganti, ed il più alto tasso di corruzione: Perché? Se fossi cristiano positivo direi che Gesù Cristo, avendo detto di dividere i due poteri e di non avere uno Stato della Chiesa, ha voluto provare il suo detto facendo dello Stato della Chiesa il più mal governato d’Europa. Ora quando i cattolici politici hanno avuto in mano lo Stato non hanno dato la libertà della scuola.

D’altra parte, è strana anche la tesi nostra, la tesi delle sinistre a favore della scuola di Stato, perché il marxismo è violentemente antistatalista. Esso pensa addirittura che lo Stato un giorno finirà, sarà abolito, e quindi fin da oggi è una cosa che va almeno sospettata. Lo Stato può essere soltanto un male necessario, ma usato per fini precisissimi. Per esempio, se vogliamo fare una socializzazione per mezzo di Enti autonomi, adoperiamo, ma malvolentieri, la forza dello Stato. Ma per compensare a questo diamo allora più che possiamo tutte le libertà. Invece voi quasi pensate che la libertà della scuola sia un vostro patrimonio. È mal posta la questione. Perché? Qui non si riesce a parlare perché abbiamo un’aula più ampia della Scala, mentre a me pare che sarebbe più logico sacrificare gli scanni e i banchi, stare in un’aula molto più piccola, e riuscire a parlare. È il nostro spirito giuridico, in certo senso, che ci porta a questi errori, il cui sottinteso è sempre l’eccesso di spirito giuridico e formale che ci guida.

Che cosa dovrebbe essere al centro della discussione? Il problema educativo. Non scuola di Stato o scuola – come dire? – scuola dei preti, come si dice in termini volgari. La nostra impostazione generale è stata sbagliata. Faccio eccezione, per qualcuno che io posso non aver sentito, e certamente per il meraviglioso discorso di ieri della onorevole Bianchini, sotto la cui egida vorrei mettere tutti i democristiani presenti e specialmente quelli di fuori (non so se vi sia offesa dicendo questo). È buona la scuola di Stato? È buona la scuola cattolica? Questo è il punto fondamentale, perché se avessimo una cattiva scuola di Stato, o una cattiva scuola cattolica, dovremmo abolirla. Non possiamo sostenere una cattiva scuola di Stato o una cattiva scuola cattolica. In realtà, in Italia, le due scuole sono molto cattive.

Scuola di Stato: guardate un po’ che strana scuola!

Io sono stato insegnante a lungo, e mi sono appassionato all’insegnamento. Osservo che il corpo insegnante italiano, specialmente i professori della scuola media, che devono provvedere all’educazione di ragazzi che si trovano in una età critica, non escono da una scuola apposita di educazione. Uno sa insegnare la consecutio temporum, un altro sa insegnare i logaritmi, un altro è versatissimo in geografia; ma è chiaro che questi uomini saranno sempre mediocri davanti ai ragazzi se non sapranno veramente eccellere in un punto, il punto educativo: superiorità che i ragazzi capiscono d’istinto. Per ottenere la fiducia dei ragazzi, gli insegnanti devono essere anzitutto degli educatori. C’è un tecnicismo dell’educazione che deve necessariamente uscire da un magistero tecnico dell’educazione.

I tecnici dell’educazione devono portare i ragazzi alla conquista di un proprio carattere, di una propria autonomia personale. Ora gli insegnanti, non soltanto non escono da un magistero tecnico dell’educazione, ma neanche studiano materie del genere. Solo i maestri elementari studiano la pedagogia, ma è uno studio che rientra nella filosofia e non ha niente a che fare con l’educazione pratica e nemmeno con la didattica.

Si tratta, dunque, di un problema pratico: come educare il bambino e come avere un corpo insegnante efficiente e ben retribuito. Soltanto risolvendo questo problema avremo uno strumento per rialzare il carattere degli italiani dopo la rovinosa batosta della guerra. Bisognerebbe riformare la scuola magistrale, abolire la pedagogia, abolire lo studio dell’«io» e del «non io». Ricordo una ragazza che studiava da maestra e non capiva come si volesse fare di lei un’educatrice ponendole il problema dell’«io» e del «non io», del cavallo che è io, dell’io che sono il cavallo, ecc. (Si ride). Occorre una scuola magistrale in cui si insegni soprattutto come arrivare alla personalità del bambino, come educarlo ad avere il suo carattere e la sua autonomia. E non è che non lo si possa fare. Basta essere vissuti un poco a contatto con chi sa educare, e ci sono interi popoli che sanno educare.

Ricordo un esempio. In una scuola italiana all’estero una insegnante, scontenta che i suoi ragazzi fossero troppo eccitabili, ebbe un’idea. Lesse e dettò loro per tre volte i versi di Dante su Farinata: «…non mutò aspetto. Né mosse collo, né piegò sua costa». Spiegò loro che questo tipo di uomo dantesco è il tipo dell’uomo italiano, che dimostra la sua vitalità nella forza contenuta e nella calma senza gesti. Evidentemente questo era il contrario di quello che insegnava il duce. Spiegò che l’eccitazione non è da forti. Trovandosi in un ambiente straniero, dove non era piacevole avere dei ragazzi eccitabili, questa insegnante parlò dunque di Farinata come dell’esempio da imitare. Naturalmente l’insegnante era antifascista, e fece capire come nel tipo dell’italiano diverso da Farinata c’era un po’ del duce. Poi ogni sabato nominava il Farinata della classe, il più forte, il più energico, il più calmo, e gli dava in regalo una torta di farinata. Un’idea semplice, come vedete. Consiglio al Ministro dell’istruzione, se trova una maestra di questo genere, di farla ispettrice, e – perché no? – di lasciarle il posto di Ministro dell’Istruzione, perché la donna che ha inventato questa piccola cosa è un genio nel campo educativo.

Un giorno, due anni fa, al Ministero dell’istruzione domandai: «C’è qualcuno qui che si interessa di questi problemi?» Mi si rispose: «Qui siamo tutti giuristi».

Ed io credevo che al Ministero anche il portiere fosse un appassionato dei problemi dell’educazione!

Ho sentito con gran piacere la onorevole Bianchini, che è un’appassionata dell’educazione, il che non è un delitto, nemmeno per quei colleghi del centro che mi hanno spesso interrotto… (Interruzioni Rumori Scambio di vivaci apostrofi fra l’onorevole Giacchero e l’onorevole Calosso).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di moderare le espressioni.

CALOSSO. Io quando usai delle espressioni forti, lo feci contro quelli che uscivano senza avermi ascoltato.

Chi mi apostrofa non è colpevole di insulto, ma di sordità a questi problemi.

GIACCHERO. Sono lieto di essere sordo a quello che lei dice.

CALOSSO. Dicevo, dunque, che l’onorevole Bianchini si è interessata a questo problema, che potrebbe essere risolto anche senza soldi.

Se noi desideriamo che i maestri studino «educazione» in questo senso, ci vorrebbe un piano studiato da sette o otto uomini che se ne intendano.

I professori potrebbero venire da un magistero; non sarebbe cosa impossibile, la si potrebbe attuare anche subito. Per esempio, i professori giovani potrebbero essere reclutati, esigendo che siano anche degli sportivi, che sappiano giocare al calcio o altro coi loro allievi; e sarebbe cosa facile da farsi. Naturalmente, giovani dotati di vocazione educativa.

I maestri potrebbero venire da una scuola magistrale educativa; sarebbe fattibile.

Di questo nessuno si è interessato. Spero che la Costituente – e l’onorevole Bianchini ci aiuterà – faccia qualcosa in questo senso.

Una voce. Rifacciamo la Farnesina.

CALOSSO. Io ho parlato di Farinata degli Uberti. Lei ha mai visto una cosa simile in regime fascista?

Nella scuola di Stato il problema educativo è ignorato. Nelle mie esperienze, ho avuto ottimi professori; erario capacissimi in storia o altro, ma spesso sordi al problema educativo e comunque non allenati. Mi sono trovato all’esame di Stato, a quell’esame di stato che l’onorevole Longhena giustamente ha attaccato.

Pensate cosa è l’esame di Stato: tutto lo scibile umano, tutta la letteratura italiana, greca, latina, tutte le date della storia umana, compreso Bernabò Visconti; tutta la fisica, l’elettrità, ecc. Un ragazzo a 18 anni deve spifferare tutto questo.

Si rovina il carattere con la troppa sapienza; lo diceva il Vico. L’Emilio di Rousseau non dice che questo, proponendo che fino ai venti anni il giovane non legga che un solo libro: il Robinson Crusoé.

I nostri programmi dovrebbero essere ridotti ad un terzo.

Tutti da noi studiano latino, ma nessuno, neppure tra i professori, lo sa parlare. Ho visto in Inghilterra dei ragazzi che studiano un quarto di quello che studiamo noi. E tuttavia un premier, Baldwin, parlando ogni anno alla radio ai ragazzi della licenza media, disse queste parole: «Ringrazio la Provvidenza perché benedisse il ragazzo inglese con una impermeabilità all’apprendere». E noi mandiamo in giro gli ispettori perché si accertino che si è svolto tutto il programma, tutto quell’enorme programma! Noi dovremmo mandare in giro degli ispettori, siccome dobbiamo tirare la vetta dell’albero in senso contrario, dovremmo mandare per un anno o due degli ispettori per vedere quali parti del programma i geniali insegnanti hanno deciso di non insegnare. Questa è la verità.

Queste riforme sono fattibili subito, senza soldi. Se noi volessimo venire incontro alla scuola elementare e alla scuola media, potremmo avere già il bilancio pronto, qualora dicessimo che le spese scolastiche non possono essere mai inferiori a quelle militari. Con questo, non diciamo niente di male delle spese militari. Se noi ancorassimo le spese militari alle spese scolastiche – è una cosa che si potrebbe fare oggi dopo la lezione avuta, e se non la prendiamo sul serio questa lezione è perché siamo uomini poco vivi – se noi decidessimo che le spese scolastiche devono essere ugnali a quelle militari, faremmo una cosa veramente interessante. E questo lo proporrà il Partito socialista dei lavoratori italiani a un altro «Titolo» della Costituzione.

Questa è la scuola di Stato, assolutamente negativa. Quando ero esaminatore di Stato, mi arriva un giorno all’esame una ragazza che, siccome aveva dovuto studiare Bernabò Visconti, H2 SO4, e quelle altre cose infinite, era bianca in viso. Aveva dovuto studiare tutta la notte per non dimenticare la formula dell’acido nitrico, ecc. Era pallida come una morta ed io le dissi: «Signorina, lei ha dato già prova di conoscere la difficoltà dell’esame. Lei secondo Socrate è già sapiente. Le garantisco il sei. Non avrà meno di sei e tutto quello che dirà sarà per aumentarle il sei». Ella rifiorì subito in volto e fece un bellissimo esame. Disgraziatamente, poi arrivò al professore di storia che le chiese chi era Bernabò Visconti. Lei non ricordava, nell’universo delle cose che doveva conoscere, chi era Bernabò Visconti. Non lo sapeva. E fu rimandata perché non sapeva chi era Bernabò Visconti!

Questa è la scuola di Stato! Perciò, quando l’onorevole Longhena suggerisce di eliminare l’esame di Stato, ha ragione. È vero che il ragazzo deve essere interrogato con esattezza e durezza, ma su un piccolo programma e da colui che lo conosce, cioè dal suo professore. Invece, lo facciamo giudicare da quelli che non lo conoscono. Ora, non si può improvvisare un giudizio su un ragazzo che non si conosce; quindi, dovrebbe essere interrogato dai suoi professori. Sono d’accordo con l’onorevole Longhena.

Ora viene la scuola cattolica.

Si dice scuola privata, ma si pensa alla scuola cattolica, perché se la scuola privata l’avessero altri enti non ci sarebbe questa reazione. Questa è la verità. Ora, questa scuola cattolica quale è? In fondo, è giusto che si voti contro una scuola che serve a preparare dei voti ad un partito; così avviene da quando l’«Azione cattolica» ha preso posizione per un partito, e ha detto di votare per un partito.

A parte questo che è secondario – chiudiamo un occhio anche su questo – c’è da domandarsi: sono buone o cattive queste scuole? Il giudizio non è facile, e vi sono da fare delle eccezioni; per esempio la scuola salesiana, che è stata creata cento anni fa, alla vigilia del sorgere della grande industria a Torino. È una scuola che fu fatta quando la città aveva perso la sua corte e stava per trasformarsi in città industriale; è sorta per merito del genio di Don Bosco. Ho visto nel resoconto sommario che mi si fa gridare una interruzione contro Don Bosco. Non so più dove siamo! Se si può, se non è contro a qualche legge, mi si faccia il piacere di far correggere il resoconto sommario, nel quale si dice che ho fatto un’interruzione alla onorevole Bianchini contro Don Bosco. Don Bosco è un genio tra gli educatori. Lasciamo andare la storiella, a cui non tutti possono credere, del suo sacchettino da cui estraeva castagne in perpetuo per gettarle ai ragazzi: questo però per lo meno è un simbolo, come la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Don Bosco era un educatore nato, ed ha realizzato questa grande idea di creare una scuola di lavoro in una città che, dopo poco, si sarebbe trasformata in una grande città industriale. Perciò la scuola salesiana ci dà l’idea della scuola di lavoro. Noi abbiamo trascurato il lavoro nella nostra Costituzione.

Questo, dunque, è un tipo di scuola benemerita. Io non posso parlare di tutte le scuole cattoliche perché non le conosco, ma di quelle che conosco. Dai nove ai dieci anni fui in una cattiva scuola di preti, ma presto mi cacciarono via. Ricordo bene come ciò avvenne, ma non voglio farvi delle confessioni e non ne parlo.

Queste scuole, dunque, sanno che devono educare e in questo sono migliori delle scuole di Stato; ma educano male.

In fondo il tipo medio delle scuole cattoliche italiane è il tipo tradizionale gesuitico, al quale il Manzoni era contrario e lo disse in prosa e in versi. «La fetente mangiatoia» chiama il collegio in cui fu educato ed usa frasi anche più gravi. Manzoni fu uno scolaro ribelle. Ora questa scuola ha come ideale, diciamo così, San Luigi Gonzaga (Commenti). Aspettate un momento, perché non offendo quelli che coltivano San Luigi Gonzaga; intendo non il San Luigi Gonzaga storico, di famiglia guerriera di Mantova, quindi probabilmente un temperamento di guerriero, ma quel falso San Luigi Gonzaga che ho sentito pregare da ragazzo e che è portato dal gesuitismo come l’ideale di un collo torto – che veramente in effetti non era – del quale ho sentito dire che per vedere la Madonna in Paradiso come prima donna vista, non voleva guardare ad altre donne, neanche a sua madre. C’è un complesso freudiano in tutto ciò. Nella scuola cattolica questo San Luigi Gonzaga, così come è predicato, porta un complesso freudiano, un complesso d’ipocrisia, di collo torto; è qualche cosa di antitetico a quello che l’abate Parini ci ha annunciato nell’Educazione, poesia che fu scritta precisamente in antitesi a questo tipo di scuola. Era un abate anche lui: noi non l’abbiamo contro i religiosi, l’abbiamo contro alcuni di essi. Ora queste scuole depotenziano il Paese, mancano di sincerità, hanno il collo torto e non possiamo quindi vedere bene queste scuole. Siamo quindi di fronte a due scuole cattive, quella dei preti e quella di Stato.

DOMINERÒ. Ricordi gli uomini usciti dalla scuola dei gesuiti.

CALOSSO. In tanti secoli di monopolio gesuitico delle scuole medie in mezza Europa, ne uscì un solo uomo di fama universale, e questo uomo fu Voltaire. Comunque, il problema sarebbe un altro. Non troverei niente di straordinario se, come hanno fatto i socialisti inglesi, si finanziassero tutte le scuole buone. Ho visto qui a Roma una piccola scuola Montessori, una scuoletta nella quale c’era una calma assoluta in tutti quei piccoli. ragazzi, che non erano né timidi né sfacciati. Ho subito detto: questa scuola è riuscita, è il miracolo di questa calma senza debolezza: occhi limpidi che guardano senza sfacciataggine e senza umiltà.

Quindi giudichiamole una per una le scuole. Non avrei niente in contrario che si dicesse che si finanziano tutte le scuole buone, non quelle cattive. Siccome ci vogliono i soldi del contribuente, il contribuente, cioè lo Stato, come è adesso, deve giudicare se la scuola è buona o cattiva. Ci sarà una legge dello Stato e le scuole cattive saranno chiuse. Quasi tutte probabilmente. Se c’è una scuola cattolica buona, si daranno i denari: ai Salesiani, per esempio. Mi pare che questa dovrebbe essere la soluzione. Ma noi non abbiamo, mi pare, affrontato il problema dal suo angolo giusto, e quindi è molto difficile tornare indietro: quello che è stato, è stato.

C’era nel Manzoni uno schema di critica al tipo di scuola che io chiamerei – non so come chiamarla – «clericale». Nella brutta copia dei Promessi Sposi che si chiama Gli Sposi Promessi, si parla dell’educazione di Geltrude, e si mostra come essa fosse stata educata male in un collegio di monache, perché – dice lui – non si muovevano abbastanza, facevano poco sport. Non sono parole mie; nelle scuole cattoliche moderne questo non succede più, probabilmente. Pregavano in una lingua incompresa – dice il Manzoni – per cui non vivevano la vita della Chiesa. Ed aggiunge diversi altri punti per dimostrare che questa scuola non funzionava.

Penso che dovremmo orientarci nella pratica senza troppe teorie; dovremmo provare, in fondo, un sentimento negativo verso due tipi di scuole cattive e soprattutto – e qui è il punto centrale che la onorevole Bianchini ha trattato con tanta intensità – cercare l’attitudine educativa. Questa non si trova necessariamente in chi è uscito da una scuola: la si può trovare dappertutto, diceva la onorevole Bianchini. Io stesso so che al mio paese c’è una vecchia donna – e con questo finisco – una buona cristiana a cui era morto il marito, credo; le era venuta una specie di mania religiosa contro cui reagiva il parroco del paese; pregava sempre in piedi e ogni tanto, mentre pregava, quando alzavano l’Ostia, diceva di sentirsi sollevare un paio di dita dal suolo. Trattandosi di poche dita, io non lo voglio escludere; ma il buon parroco diceva che non era vero ed io ero il solo a difenderla. Questa donna, non ostante questa innocente piccola mania religiosa, sviluppò un’attitudine organizzativa straordinaria, insieme a qualche piccola taumaturgia medica; sapeva anche come si trattano i morti: cosa difficile; noi non lo sappiamo, per esempio. Questa donna aveva messa su una scuoletta – lei che non sapeva quasi né leggere né scrivere; aveva fatto, mi pare, la terza elementare – che funzionava.

Era cioè una donna che aveva attitudini educative. Che cosa facciamo noi di questa donna in questo benedetto Stato? Perché non la facciamo insegnare senza diploma?

Io vorrei che tutti ci accordassimo – come ci siamo accordati io e la onorevole Bianchini, democristiana – nell’apprezzare questa umile donna. (Applausi a sinistra Congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato al pomeriggio alle 16.

Interrogazione con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali motivi il Governo lasci passare intenzionalmente sotto silenzio, e nel Paese, e nelle scuole, e nelle Accademie, e alla RAI, e in quello che si chiama Istituto di studi romani, una data come quella del 21 aprile, in cui cade esattamente, e per la prima volta dall’Unificazione d’Italia, un centenario (il 27°) della fondazione di Roma. Data che è ricordata in tutto il mondo civile e che appartiene a noi più che agli altri e che non sembra giusto passi inosservata per il solo fatto che il passato regime ne faceva notoriamente oggetto di speculazione politica.

«Ciò si chiede anche perché risulta che la RAI ha respinto con meschini pretesti ogni tempestiva proposta e che la storica ricorrenza venisse, almeno, segnalata dalle trasmittenti romane.

«Benedettini, Miccolis, Cicerone, Fresa, Lagravinese, Condorelli».

Il Governo ha comunicato che si riserva di fissare la data di svolgimento di questa interrogazione.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze e tesoro, per conoscere se ravvisano necessario, per giustizia ed umanità, provocare un provvedimento straordinario che lenisca, almeno in parte, le tristissime condizioni degli sfortunati che contrassero con banche od istituti di assicurazioni vitalizi prima del 1940.

«Ciò anche in considerazione che tanto le banche che i predetti istituti di assicurazione hanno in generale bilanci che permetterebbero loro di andare incontro ai più urgenti bisogni di questa categoria di cittadini, che in gran parte sono malaticci e privi del conforto famigliare.

«Roveda».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se sia a conoscenza di quanto avvenuto a Roma il 4 aprile 1947 durante la prova di esame di geografia nel concorso a 140 posti di segretario delle ferrovie, riservato a reduci e partigiani – se è vero, come è vero, che il tema di geografia era già a conoscenza, prima dell’esame, di parecchi dei concorrenti – donde l’interruzione, gli incidenti, i tumulti e conseguente intervento della «Celere»; per conoscere se e quali provvedimenti siano stati adottati; e per sapere se e quando la prova sarà ripetuta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenga, accogliendo le richieste degli interessati, presentate a mezzo della Federazione nazionale degli enti locali, scindere l’amministrazione degli Istituti di previdenza da quella della Cassa depositi e prestiti, costituendo per i primi un consiglio di amministrazione autonomo e chiamandone a far parte in prevalenza i rappresentanti degli iscritti designati dalle organizzazioni sindacali di categoria. Ciò per chiare ragioni che derivano dalla differenza sia delle origini sia degli scopi tra i due enti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ritenga urgente aumentare i vagoni di carico messi a disposizione delle stazioni di Manzano e San Giovanni al Natisone (Udine), attualmente affatto insufficienti in seguito alla rigogliosa ripresa, sia nell’industria che nell’artigianato, della produzione di sedie di lusso e comuni.

«È deplorevole che le ferrovie dello Stato non siano in condizione di pienamente assecondare il pur lento riprendersi dell’attività industriale, specie nelle località particolarmente colpite e provate dalle azioni di guerra, come lo sono le su indicate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere:

1°) se non intenda estendere anche agli ufficiali generali dell’esercito i limiti di età stabiliti per quelli fino al grado di colonnello fissati dal regio decreto-legge 14 maggio 1946, n. 384, abolendo una ingiustificata disparità di trattamento fra ufficiali di diverso grado;

2°) se, per ragioni di giustizia ed a titolo di riconoscimento dell’azione da essi svolta, non creda di usare agli ufficiali non compromessi collocati nella riserva, un trattamento economico che tenga conto degli aumenti concessi dopo il 16 giugno 1946, lasciandoli invece bloccati a tale data per gli ufficiali puniti in sede di discriminazione;

3°) se riconosca l’opportunità di estendere l’uso del libretto ferroviario fino a tutta la durata del trattamento economico previsto dal regio decreto-legge n. 384 del 14 maggio 1946, agli ufficiali non compromessi collocati nella riserva. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perugi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni per le quali il prefetto di Siracusa non ha ancora pubblicato la decisione della Giunta provinciale amministrativa che annulla le elezioni amministrative del comune di Buccheri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritenga opportuno andare incontro alle continue richieste, emanando i provvedimenti dei quali è cenno nella risposta, in data 24 gennaio 1947, ad una interrogazione presentata dall’interrogante, all’allora Sottosegretario di Stato per i danni di guerra, nella quale si avvertiva che «È stato compilato, a cura del Sottosegretario, un decreto ministeriale col quale si concedono acconti alle piccole imprese artigiane, nonché ai braccianti agricoli, ai coltivatori diretti ed ai piccoli proprietari di fondi rustici, per rendere loro possibile il riacquisto degli strumenti di lavoro distrutti da azioni belliche. Tale decreto è stato da tempo sottoposto al Ministro del tesoro per l’approvazione e la firma». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere i motivi del ritardo della nomina del Commissario governativo al Consorzio di irrigazione del torrente Torbido in Gioiosa Ionica (Reggio Calabria), nomina che è urgente perché indispensabile per la stipula del contratto con la Cassa di risparmio di Calabria, finanziatrice dei primi lavori già appaltati per la derivazione delle acque. Trattasi di un problema quasi trentennale, la risoluzione del quale offrirà la possibilità di un vasto impiego di mano d’opera, dando vita ad opere di stabile durata e di grandissima utilità pubblica, destinate ad assicurare la migliore utilizzazione di oltre cinquecento ettari di terreno della zona ionica nella provincia di Reggio Calabria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 12.50.