Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 20 FEBBRAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

XLII.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 20 FEBBRAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Sul processo verbale:

Sereni, Ministro dei lavori pubblici                                                                     

Patrissi                                                                                                             

Amendola                                                                                                        

Rossi Paolo                                                                                                      

Interrogazioni (Svolgimento):

Gasparotto, Ministro della difesa                                                                     

Nobile                                                                                                               

Cingolani                                                                                                         

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Gallo                                                                                                               

Discussione del disegno di legge costituzionale d’iniziativa della Presidenza: Proroga del termine di otto mesi previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente:

Presidente                                                                                                        

Grassi, Relatore                                                                                                

Colitto                                                                                                             

Ambrosini                                                                                                         

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Selvaggi                                                                                                           

Bosi                                                                                                                   

Chiusura della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interpellanze con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                    

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 15.

SCHIRATTI. Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

Sul processo verbale.

SERENI. Ministro dei lavori pubblici. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha la facoltà.

SERENI, Ministro dei lavori pubblici. Sono lieto che una interruzione del signor Patrissi nel corso della seduta di ieri mi dia l’occasione di inchiodare alla gogna, nella sede appropriata, quanti credessero di poter portare in quest’aula le spazzature dei fogli fascisti che tornano a pullulare nel nostro Paese.

Farei offesa alla dignità di questa Assemblea, se considerassi come un fatto personale l’insulto che il signor Patrissi ha rivolto non a me, ma a tutti gli eroici combattenti e caduti della lotta antifascista e della lotta contro il tedesco. A quell’insulto ho già risposto ieri con l’apostrofe appropriata; ma se dovessi interpretare, come un fatto personale, l’insulto del signor Patrissi, dovrei aggiungere all’apostrofe di ieri un’altra qualifica, che si riferirebbe non più alle sue qualità morali, ma a quelle intellettuali. Se il signor Patrissi infatti avesse scelto, per completare la sua qualifica politica, il suo suicidio politico, proprio gli attacchi contro la mia modesta persona, avrebbe scelto male – diciamo così – l’albero a cui impiccarsi.

Noi militanti antifascisti non abbiamo l’abitudine di gloriarci dei nostri meriti e dei nostri sacrifizi, e sono dolente di dovere, in questa occasione, parlare brevemente della mia attività antifascista. Ma se il signor Patrissi avesse voluto, con una certa intelligenza, attaccare gli antifascisti e i combattenti della lotta di liberazione, avrebbe potuto forse attaccarsi a qualche pecora rognosa, che può esistere in ogni aggruppamento di uomini.

Per un eccessivo riconoscimento, certo, che il fascismo ha voluto dare alla mia attività antifascista, io credo di essere in quest’aula il combattente che ha subito la più grave condanna complessiva: quindici anni in una prima condanna, e ventotto in una seconda (e non solo quattordici, come pensa il signor Patrissi e come ha scritto la stampa fascista a lui così cara). Sono rimasto inoltre rinchiuso, senza processo, perché i tedeschi non avevano questa buona abitudine, per sette mesi nel braccio della morte delle S.S. e sono stato messo sette volte al muro, riuscendo a non essere fucilato solo per l’intervento provvidenziale del mio partito. Vi sono in quest’aula degli uomini che sono stati testimoni e compartecipi di queste vicende.

Vi è, certo, il nostro Presidente Terracini, vi è il compagno collega Scoccimarro, che hanno scontato una pena maggiore della mia in numero di anni di galera; ma non è colpa mia se la mia giovane età (39 anni di età e 43 anni di condanna) e la caduta del fascismo mi hanno impedito di passare troppi anni in galera. Non è colpa, comunque, neanche del signor Patrissi, se non ho scontato tutta la mia condanna.

Non parlo della condanna del Tribunale speciale nel 1930. Fino al 1930, e prima ancora di essere in rapporti con il Centro del Partito Comunista, organizzai, clandestinamente, gli operai di Napoli, nelle grandi officine di Napoli, per la difesa dei loro interessi quotidiani. In conseguenza di questa mia attività fui condannato nel 1930 a 15 anni dal Tribunale speciale insieme ad altri lavoratori napoletani. Abbandonati allora la mia professione, la mia carriera scientifica, forzatamente. Lasciai le mie condizioni di famiglia, che erano agiate, per andare in galera. Non so dove era l’onorevole Patrissi in quel momento. Dopo di allora, scontai parecchi anni in carcere; dopo, conseguenza di amnistie, uscii dal carcere.

Io parlerò, senza far cenno della mia attività intermedia, soltanto della seconda condanna che ho subita ed alla quale, forse, ha voluto fare allusione il signor Patrissi, alla quale hanno fatto allusione la stampa fascista e la stampa così detta indipendente, che con tanta compiacenza accoglie le immondizie della stampa fascista.

Ho sempre rifiutato di rispondere a queste sozze calunnie. Sarebbe grave per la democrazia italiana, se un deputato dovesse essere alla mercé di un qualsiasi calunniatore. Nella nostra posizione di deputati, e tanto più di Ministri, vi è sempre una possibilità di sospetto nel ricorso alla Magistratura, si può sempre pensare ad una interferenza politica, quando si dà querela per diffamazione. Per questo motivo non ho dato querela per diffamazione e sono lieto che l’onorevole Patrissi abbia portato in quest’Aula la questione.

Nel 1936, chiamato dalla direzione del Partito comunista, a far parte del Comitato centrale del Partito, finita di scontare la condanna del Tribunale speciale, fui sottoposto ad una sorveglianza speciale che mi impediva ogni attività. Allora, espatriai in Francia. In Francia (non parlo di tanti altri antifascisti che ho conosciuti in povertà onorata e in condizione di bisogno) noi comunisti, di sicuro, non siamo stati nell’ozio e nella ricchezza come gli emigrati francesi al tempo della rivoluzione.

Noi abbiamo lavorato. Io personalmente, in Francia, oltre a fare il redattore di un giornale antifascista, ho fatto lo zappaterra, e me ne vanto, ho fatto il tornitore, e me ne vanto. C’è qui, al banco del Governo, l’onorevole Reale che si ricorda, forse, di aver ricevuto, al campo di concentramento ove si trovava, delle patate e delle carote che io, l’onorevole Scotti e l’onorevole Dozza avevamo coltivate nel nostro «Colcos» con le nostre mani.

Non siamo stati pagati da nessuno, signor Patrissi. Noi abbiamo vissuto del nostro lavoro. (Applausi a sinistra).

Anche la onorevole Teresa Noce è stata al tornio accanto a me. Mi sono occupato di studi scientifici, ma non ho avuto nessuna vergogna di vivere del mio lavoro manuale per continuare la mia lotta antifascista. E la lotta antifascista non l’abbiamo condotta in Francia, perché tutti i comunisti che stavano in Francia nel partito italiano, si recavano in Italia clandestinamente. Vi è qui l’onorevole Amendola, ve ne sono decine di questi uomini nei nostri banchi, che per anni e anni hanno fatto su e giù per mantenere viva la fiaccola della lotta antifascista nel nostro Paese.

E non c’è stato giorno, nei venti anni del fascismo, in cui un comunista non abbia combattuto fra le masse lavoratrici, per l’interesse delle masse lavoratrici; e anche nei sindacati fascisti, alla testa dei lavoratori che erano nei sindacati fascisti, per la difesa degli interessi dei lavoratori e per gli interessi della libertà del nostro popolo.

Al momento dell’occupazione tedesca io mi ero recato apposta in una zona di fitta popolazione italiana – vi era con me l’onorevole Giacometti – dove abbiamo continuato, sotto l’occupazione tedesca, sempre con questa ansia di restare a contatto con le masse lavoratrici italiane, il nostro lavoro di organizzazione. E nel momento in cui c’è stata l’occupazione italiana nelle Alpi Marittime, la Direzione del mio partito ha scelto me per andare a questo posto particolarmente rischioso ed io ho accolto con gioia questo invito, perché mi portava vicino all’Italia, vicino alla possibilità di rientrarvi, per continuare in Italia la lotta antifascista.

Io vivevo clandestinamente, signor Patrissi e non ho mai avuto la cittadinanza francese. Noi comunisti, quegli emigrati politici che, come il famigerato Tasca, hanno preso la cittadinanza francese, li abbiamo insultati come traditori della Patria. Noi consideriamo il caso del lavoratore, emigrato per ragioni economiche, che è costretto a prendere la cittadinanza del Paese in cui abita e lavora. Ma l’uomo politico, che dalla lotta antifascista era costretto ad andare all’estero, non doveva prendere la cittadinanza francese. Alle mie bambine – e ve n’è una presente nelle tribune – in casa si proibiva perfino di parlare in francese; e la vada a sentire, signor Patrissi, se parla italiano o francese. (Applausi).

Nel momento dell’occupazione italiana, io ho preso questo lavoro: oltre a collaborare alla nostra rivista clandestina «Le lettere di Spartaco», di cui tengo la collezione a disposizione della Presidenza dell’Assemblea, ho pubblicato il giornale «La parola del soldato» – di cui molto spesso tutte le radio alleate hanno fatto menzione – diffuso a diecine e centinaia di migliaia di copie fra le truppe italiane nelle Alpi Marittime e in Savoia.

Cosa si diceva in quel giornale? Lei, signor Patrissi, non lo leggeva allora, perché i fogli antifascisti bruciavano nelle mani a certa gente, in quel tempo.

Cosa dicevo in quel foglio?

Ci sono qui gli onorevoli Nenni, Saragat, Amendola, Novella e Dozza – non so se questi sia presente nell’Aula – con cui, nel 1941, subito dopo l’occupazione tedesca, avemmo dei contatti clandestini. Non è in quest’Aula il povero professor Trentin, capo del movimento «Giustizia e Libertà», che partecipò ai nostri contatti e che è morto in conseguenza della deportazione.

Noi gettammo le prime basi di quello che fu poi il Comitato di liberazione, un accordo di tutti gli italiani, che volevano lottare contro il tedesco e contro il fascismo, su basi comuni. E l’onorevole Nenni può testimoniare che fummo noi comunisti, ed io personalmente, a batterci perché da quell’aggruppamento politico non ci fosse nessuna esclusione, neppure degli ufficiali monarchici, antitedeschi e antifascisti; restammo uniti e mantenemmo i contatti.

Io sfido chiunque a trovare in questa collezione di giornali – al mio processo fu sequestrato il manoscritto di un mio libro successivamente pubblicato dalla Casa editrice Einaudi – una parola di odio o di divisione degli italiani.

Potrà leggerlo, signor Patrissi, imparerà qualche cosa; apprenderà come noi vedevamo giusto nella situazione italiana molto prima della caduta del fascismo, vedrà propugnata la politica dell’unione di tutti gli italiani contro il fascismo e contro i tedeschi: questo leggerà nelle «Lettere di Spartaco» e nel giornale «Parola del Soldato».

Non troverà una parola di disfattismo. Il signor Patrissi e quelli che hanno scritto queste cose hanno la disgrazia che questi archivi non sono andati distrutti.

C’è una sentenza del tribunale ed un rapporto della polizia fascista e poi della polizia badogliana.

In questo rapporto, signor Patrissi e signori dell’Assemblea, è stato detto qual è il programma dell’aggruppamento del quale ero a capo e che non era un aggruppamento soltanto comunista, ma di uomini di tutti i partiti antifascisti.

L’attuale loro programma, adeguandosi alle contingenze in cui è venuta a trovarsi l’Italia, in seguito alla guerra, e la Francia, in seguito all’occupazione da parte delle truppe dell’Asse, così può essere riassunto: ricerca di nuovi aderenti al loro movimento anche tra le truppe di occupazione; propaganda contro la guerra, contro il fascismo e contro il Governo; propaganda in seno alle Forze armate italiane di occupazione per incitare i soldati alla disobbedienza, alla rivolta e all’odio contro i tedeschi; costituzione di comitati comunisti fra i soldati, ecc.

.

Leggo le parole riportate nella sentenza, – cito testualmente: – «Mettiamo le nostre mani a disposizione del popolo per la lotta armata che caccerà i tedeschi e imporrà la pace separata che salverà l’Italia dall’estrema rovina. Alle armi amiche delle nazioni unite, del popolo francese, che come noi lotta per la sua liberazione, è compito di ogni soldato, di ogni patriota italiano di dare ogni aiuto per cacciare via i tedeschi dall’Italia e dalla Francia, per cacciare via il traditore Mussolini e salvare l’Italia nostra».

Questo noi scrivevamo; e io sfido chiunque a trovare una parola d’odio fra gli italiani in quello che noi abbiamo scritto, o una manifestazione d’odio fra gli italiani in quello che noi abbiamo fatto.

Noi fummo arrestati un mese prima della caduta del fascismo; eravamo 34 e c’erano un caporale maggiore e quattro soldati nel nostro processo. Sono strani questi soldati che si organizzavano per auto-assassinarsi; è una manifestazione veramente patologica questa; va bene che si trattava di soldati comunisti, ma è strano che si organizzassero con noi per ammazzarsi vicendevolmente. Avevamo questi soldati nel nostro processo, e due uomini che oggi non possono recare la loro testimonianza, essendo morti sotto le torture dei reali carabinieri – di certi reali carabinieri – perché la grande maggioranza dei carabinieri si comportò da buoni italiani, ché come noi odiavano i tedeschi.

Che cosa c’è, signor Patrissi, nella condanna? Per che cosa sono stato condannato? Badate bene, fui condannato non sotto il regime fascista, perché nel frattempo – anche qui una disgrazia è capitata all’onorevole Patrissi – il regime fascista cadde; e allora non potei più essere condannato dai tribunali di Mussolini; ma (lo debbo dire, per tranquillizzare l’onorevole Patrissi) fui condannato da un tribunale in tutto e per tutto come quello fascista e che agì secondo la procedura e le leggi fasciste che si osservavano nella zona di occupazione. Mi fu contestato perfino il fatto di essere ebreo, perché sotto Badoglio si considerava che le leggi razziste fossero in vigore.

Il processo ebbe luogo il 23 agosto, pochi giorni prima dell’armistizio; io rinunciai alla difesa e feci un discorso. I giudici mi condannarono, ma il pubblico, gli ufficiali e i soldati che erano presenti al processo, mi applaudirono. Era venuta una protesta generale; il fatto sollevò allora un certo scandalo. Forse il signor Patrissi allora non era ancora così spiccatamente antifascista da occuparsi di queste cose. Sapete da chi era firmata questa protesta che fece scandalo allora? Non voglio leggervi tutti i nomi, perché sarebbe un elenco troppo lungo. Ve ne leggerò alcuni; badate che non si tratta di comunisti, ma dell’onorevole Bonomi, dell’onorevole Casati, dell’onorevole Ruini, di Bruno Buozzi, dell’onorevole Mazzolani, dell’onorevole De Gasperi, del conte Zanotti Bianco, di monsignor Nobel, della dottoressa Maria Scelba, del professore Edoardo Volterra, di Carlo Antoni, dell’onorevole Mario Cevolotto, di Eugenio Colorni e molti altri di cui non leggo i nomi; uomini di tutti i partiti che protestavano contro questo sconcio di un processo per antifascismo che si faceva dopo la caduta del fascismo.

Per che cosa fui condannato, signor Patrissi? Io fui condannato – voglio leggere i dati esatti – «per associazione sovversiva; istigazione di militari; uso di falsi documenti e procacciamento di notizie militari». È veramente grazioso leggere la motivazione di questa sentenza; è veramente una cosa interessante come giudizio storico sul regime badogliano. In questa sentenza si diceva testualmente: «Le attuali istituzioni sociali italiane sono indubbiamente diverse dal comunismo e dalle sue direttive e perciò essere comunista significa essere appartenente ad un’associazione sovversiva».

È un concetto strano della democrazia, ma è quello che si aveva sotto il regime Badoglio. Così si intendeva allora. Per quanto riguarda i falsi documenti, è evidente che mi erano indispensabili per la mia attività clandestina; quanto alla istigazione di militari vi ho detto già di quali discorsi ed articoli si trattava; quanto alle notizie militari è evidente che per organizzare i soldati nella lotta antifascista ed antinazista era necessario sapere dove erano i comandi, i reggimenti, ecc.

Ho terminato. Voglio aggiungere soltanto questo: certi giornali e forse anche l’onorevole Patrissi, che non è estraneo alle menzogne diffuse da questi giornali, hanno scritto che io ero stato condannato per assassinio e per rapina. Il signor Patrissi, che dovrebbe essere un onorevole, prima di farsi eco di queste menzogne, avrebbe avuto un mezzo estremamente semplice, avrebbe dovuto fare una interrogazione; anzi, lo accuserò come cattivo cittadino, sì, perché se io so che c’è un Ministro che è un delinquente, io debbo denunciare questo Ministro alle Autorità competenti, o devo fare una interrogazione alla Camera per chiarire questo punto.

Ma il signor Patrissi e questi giornali, che pure hanno dei deputati in quest’Aula, non si sono mai curati di far questo.

Io mi son rifiutato sempre, beninteso, di rispondere alle menzogne di certa stampa. Per un eletto dal popolo, quest’Aula è la sede competente per le domande da porre e le risposte da dare. E col mio silenzio mi proponevo anche di attrarre il signor Patrissi nel tranello in cui scioccamente è caduto. «Sereni non risponde», si pensava in quel settore, «forse allora ha veramente qualche cosa da nascondere».

Così il signor Patrissi si è lasciato andare alle sue invettive calunniose, ed io ho avuto una buona occasione per inchiodarlo alla gogna.

Non ho proprio nulla da nascondere, signor Patrissi, e di essere un galeotto me ne vanto, perché son stato galeotto per aver combattuto a favore dei lavoratori, per la libertà e per l’indipendenza d’Italia. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Patrissi. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Il Ministro Sereni ha indubbiamente fatto una esauriente, per quanto rapida, rassegna di tutta la sua vita passata.

In realtà io non posso…

Una voce all’estrema sinistra. Lei è un fascista!

PATRISSI. …dirò semplicemente questo: che il 10 giugno 1940 restituii la tessera del partito fascista ed andai volontario in guerra.

SPANO. Vuol dire che fino a quel momento era fascista!

PATRISSI. Come me centinaia di migliaia di italiani hanno servito la Patria in silenzio, facendo sacrificio della loro vita. (Interruzioni all’estrema sinistra). Moltissimi non credevano alla vittoria ed hanno affrontato il loro dovere verso la Patria, cioè verso tutti gli italiani, in umiltà di spirito, in silenzio, con dedizione assoluta.

Una voce a sinistra. Dedizione al fascismo, a Mussolini!

PATRISSI. Per voi la Patria è un’espressione vuota e priva di senso. (Rumori a sinistra – Interruzioni – Apostrofi dell’onorevole Pajetta Gian Carlo – Richiami del Presidente).

Un deputato eletto dal popolo a rappresentarlo in questa Assemblea ha il dovere di esprimere i sentimenti di questo popolo. Indubbiamente il punto di vista del Ministro Sereni è un punto di vista, ma è comunque diverso da quello della maggioranza. (Interruzioni – Rumori).

Una voce a sinistra. Lei è un calunniatore!

PATRISSI. Per questa ragione io devo sottolineare che esiste un abisso fra la morale dei veri combattenti e la morale del Ministro Sereni. (Rumori a sinistra – Apostrofi degli onorevoli Amendola e Spano).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se vogliono rispondere, chiedano la parola, ma prego di non interrompere.

PATRISSI. Né basta, per rivoluzionare i canoni della morale, che il dettato di pace, con l’articolo 16, che è suprema ingiuria inflitta ad un popolo di valorosi, ci imponga di rispettare chi ha collaborato col nemico. (Rumori – Interruzioni).

Una voce a sinistra. Bisogna ringraziare voi!

PATRISSI. Per questa ragione concludo che il Ministro Sereni, che ha giustamente il diritto di difendere la sua dignità che presume offesa, può rimuovere le differenze di posizioni che ci dividono e dimettendosi da Ministro sporgere querela al magistrato, con ampia facoltà di prova nei miei confronti. Per quanto mi riguarda io non ritratto nulla e confermo tutto. (Rumori – Vive interruzioni all’estrema sinistra – Scambio di apostrofi fra l’estrema sinistra e l’onorevole Patrissi – Richiami del Presidente).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Amendola. Ne ha facoltà.

AMENDOLA. Ho chiesto di parlare per fatto personale. In realtà la frase ingiuriosa pronunciata ieri dal deputato Patrissi, e oggi confermata, dimostra, se c’era bisogno di dimostrarlo, che un abisso in realtà esiste fra la morale nostra di combattenti antifascisti e di veri italiani e la mentalità di coloro che, fascisti, portarono l’Italia alla rovina e che oggi vorrebbero nuovamente portarla sotto la tirannide da cui si è liberata per virtù di popolo.

PATRISSI. Questo è un processo alle intenzioni!

AMENDOLA. Non possiamo permettere che in questa Assemblea, chiamata dalla volontà del popolo italiano a operare un rinnovamento repubblicano e democratico dei nostri istituti, abbia un’eco la gazzarra vergognosa e ignobile di certa stampa gialla, la quale trova qui, nelle parole del Patrissi, il suo portavoce.

PATRISSI. È lo sdegno dei veri combattenti!

AMENDOLA. Questa indegna gazzarra non offende soltanto la nostra morale personale di combattenti antifascisti, che si gloriano di aver dato tutta la loro esistenza alla causa della libertà del popolo italiano, che si gloriano di aver sempre pagato di persona in ogni occasione per difendere la libertà…

PATRISSI. Anche noi!

AMENDOLA. …del popolo italiano; questa vergognosa gazzarra è un’offesa, e non possiamo permetterla, per i nostri morti, per coloro che hanno dato la vita alla causa della libertà del popolo italiano (Interruzione dell’onorevole Patrissi), per coloro che sono caduti per combattere la barbarie e la cui memoria è sempre presente con noi, con coloro che sono morti in Ispagna (non è vero, Giua?), con coloro che sono morti nella guerra partigiana, con i nostri amici e fratelli (non è vero Vigorelli? Non è vero, Gasparotto? Non è vero, Pajetta?).

Noi ci sentiamo di fronte a questi caduti, i quali sono vivi qui con noi, responsabili della loro memoria, e non possiamo permettere che voi li offendiate con frasi losche e infamanti. Già una volta siamo stati costretti a cacciarvi in gola le vostre ingiurie. Ci troviamo di fronte ad un caso di recidiva scandolosa. Già una volta siamo stati costretti ad allontanarvi dalla Consulta, deputato Patrissi (Rumori), e non vi abbiamo più permesso di mettervi piede. (Applausi a sinistra – Interruzione dell’onorevole Patrissi).

Oggi sulla scia dello sconcio movimento fascista e neo-fascista, che cerca di cambiare le carte in tavola, per preparare le vie di una rivincita che non avrà luogo, perché il popolo italiano ha già una esperienza troppo chiara, voi cercate nuovamente di gettare nel fango quello che è il patrimonio migliore del popolo italiano, voi cercate di aprire il processo all’antifascismo e ai partigiani. Ed io capisco perché voi cercate di fare questo, perché attraverso il processo all’antifascismo e alla guerra partigiana, voi cercate non solo di offendere coloro che hanno combattuto contro di voi, non solo di minare le basi del nuovo ordinamento repubblicano democratico, che trova nella lotta antifascista i suoi presupposti, ma di aprire nuovamente la strada alla dittatura fascista, ad un nuovo regime di oppressione.

Una voce a destra. Non è così.

AMENDOLA. Noi, questo processo all’antifascismo e alla guerra partigiana non vi permetteremo di aprirlo (Applausi a sinistra), perché il popolo italiano è con noi, perché in questa Italia devastata, rovinata, calpestata per colpa vostra…

Una voce a destra. La colpa è vostra!

AMENDOLA …in questa Italia che il fascismo ha portato alla rovina, c’è un solo imputato, ed è il fascismo con i suoi complici. (Applausi a sinistra). Fra questi complici ci siete voi, e noi vi condanniamo in nome del popolo italiano, che a noi ha dato la maggioranza dei suoi suffragi. (Applausi all’estrema sinistra).

Fra voi e noi vi è certamente un abisso: i vostri giudizi non sono i nostri e i nostri non sono i vostri. Già, quando c’era il fascismo noi eravamo chiamati traditori, antinazionali, nemici della patria. Io sono stato allevato in una famiglia contro la quale queste ingiurie sono state lanciate fin da quando avevo dieci anni: le ricordo quando ero bambino e non mi possono fare impressione oggi che queste ingiurie vengono lanciate da voi.

È evidente che i nostri giudizi debbano per forza essere differenti: ci sono tra noi e voi due concezioni completamente opposte. Una concezione che si basa sul rispetto delle libertà democratiche, ed una concezione che le libertà democratiche e i diritti del popolo vuol negare…

PATRISSI. È una illazione arbitraria! (Commenti).

AMENDOLA. No! È confermata giorno per giorno dallo sviluppo della lotta politica. È evidente che noi, nella nostra alta ed umana comprensione di uomini che si sentono italiani e che sentono tutti i motivi della tragedia italiana, nutriamo rispetto per quei combattenti che hanno dovuto combattere, con animo puro, nelle guerre che il fascismo ha volute.

Ma la nostra sincera considerazione per gli onesti combattenti – prime vittime del fascismo – non ci può impedire di affermare che queste guerre sono state ingiuste e antinazionali. Noi ci gloriamo di esserci opposti ad esse, perché vi vedevamo la via per la quale l’Italia sarebbe giunta nella situazione dove oggi si trova.

Perciò, fieri del nostro passato antifascista, fieri di aver fatto sempre tutto quello che potevamo, in ogni momento, per cercare di impedire al fascismo di portare l’Italia alla rovina, noi oggi guardiamo a questo passato con legittimo orgoglio, e non possiamo permettere che da parte fascista si torni nuovamente ad insultarlo e a calpestarlo.

Compagno Sereni, io ricordo l’ultima volta che ci vedemmo a Nizza: ci era aperta una possibilità per tornare in Italia, una possibilità che da mesi e da anni cercavamo con ansia. E Saragat e Lussu possono dire quale fosse il nostro dramma durante l’occupazione tedesca in Francia, quando cercavamo la via per ritornare in Italia. Si era aperto uno spiraglio e ci fu tra noi, come sempre, una gara a chi poteva utilizzare questa possibilità per tornare in Italia. Era il marzo 1943, molto prima che gli eserciti alleati prendessero piede nella penisola.

Io ebbi la fortuna di passare per primo e di utilizzare quel valico per tornare in Italia a fare, come tanti altri, il mio dovere.

L’amico Sereni rimase a Nizza per pochi giorni ancora; e purtroppo gli furono fatali, perché gli costarono l’arresto, la condanna e poi il passaggio nelle carceri tedesche, dove noi lo liberammo, con molta difficoltà, nel giugno del 1944.

Noi ricordiamo questi episodi della nostra lotta, che sono episodi di tutti i combattenti antifascisti, e domandiamo al Presidente dell’Assemblea di fare in modo che questo patrimonio antifascista, che è la base della rinascita italiana (perché è su questa base che l’Italia può riprendere fiducia in sé stessa e marciare avanti nella sua rinascita), questo patrimonio che è la parte migliore del popolo italiano, sia rispettato da questa Assemblea! (Vivi applausi a sinistra).

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Ci sono dei momenti in cui compete all’ultimo e al più modesto rappresentante di un partito di esprimere un’opinione. È per questo che prendo la parola. Non ho avuto l’onore di appartenere all’emigrazione e me ne duole; ma il Partito di Bruno Buozzi non può non esprimere il suo punto di vista.

Ci furono anni in cui tutte le forze della tradizione italiana, in cui tutto lo spirito che ha creato la nostra indipendenza ci ponevano in lotta contro il fascismo, per la difesa dei valori umani e dei valori morali che sono italiani, ma che sono anche di tutto il mondo. Gli uomini che hanno partecipato a questa battaglia, anche se lottavano apparentemente contro il Paese, contro il Governo legale del Paese, hanno ben meritato dall’Italia, hanno ben meritato dalla civiltà, testimoniando la continuità dei supremi valori morali.

Io credo che tutta l’Assemblea, gli uomini dei diversi partiti che vi siedono, debbano guardare ai militi della lotta antifascista, agli uomini condannati in Italia e fuori dai tribunali speciali, agli uomini della guerra di Spagna, del maquis in Francia, con lo stesso sentimento con cui gli uomini della prima Assemblea nazionale italiana guardavano a coloro che uscivano dalle galere borboniche.

Per conto nostro, noi guardiamo, appunto, ai condannati di quella battaglia, agli uomini come il nostro Presidente, come il Ministro Sereni (da cui ci possono anche separare, eventualmente, differenze ideologiche) con lo stesso rispetto con cui gli uomini del primo Risorgimento, seduti ai medesimi banchi, guardavano a Silvio Spaventa e a Francesco Crispi, condannati quando a morte, quando all’ergastolo, dalle forze nemiche della civiltà e della Patria italiana (Applausi).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di due interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Nobile, al Ministro della difesa, «per sapere se non creda necessario comunicare all’Assemblea: 1°) i particolari sulle circostanze e le cause del grave disastro aviatorio che ebbe luogo il 15 febbraio al largo di Terracina; 2°) i motivi per cui per effettuare un trasporto privato era stato concesso un apparecchio militare».

Ha facoltà di rispondere il Ministro della difesa.

GASPAROTTO, Ministro della difesa. La importanza dell’argomento e la sua delicatezza non mi consentono di rispondere che parzialmente all’interrogazione dell’onorevole Nobile, in quanto che la Commissione di inchiesta ha bensì incominciato, ma non ha finito il suo lavoro.

Una compagnia teatrale italiana, che agiva in Egitto e della quale fanno parte i più bei nomi della nostra arte lirica, aveva chiesto in data 22 gennaio al servizio corrieri aerei militari di provvedere per il viaggio di ritorno in Italia dei 72 artisti che si erano recati al Cairo per recite teatrali. L’ufficio dispose senza altro perché la missione venisse effettuata mediante 4 apparecchi, uno dei quali, successivamente, fu sostituito con un S-95 a disposizione, allora, del Ministro dell’aeronautica, dato che su di esso avrebbero preso posto anche alcune personalità egiziane. Pertanto, il viaggio si sarebbe potuto utilizzare anche a scopo propagandistico per l’industria aeronautica italiana.

L’apparecchio S-95 decollò a Guidonia, con sei persone di equipaggio e con undici passeggeri, alle ore 8 del giorno 12 e, dopo dieci minuti di volo, si metteva in collegamento radio con terra. Il messaggio era il seguente: «Siamo a 1.500 metri di altezza fra due strati di nubi: tentiamo di passar sopra». Alle ore 8,40, l’apparecchio fu visto precipitare. Tutti i passeggeri e l’intero equipaggio erano deceduti. L’incidente, il primo, dopo quasi due anni di funzionamento dei corrieri aerei militari italiani, si presume, dalle prime indagini, dovuto a formazioni di ghiaccio. Ma è una semplice ipotesi.

Essendo l’inchiesta appena iniziata, sarebbe imprudente avventurare qualsiasi precisazione. Il Ministero dell’aeronautica, non appena informato dell’accaduto, verso le ore 13,30, provvide ad inviare sul luogo un idrosoccorso, al fine di recare aiuto. Si recarono altresì sul posto del disastro il Comandante del raggruppamento trasporti e vari tecnici del Ministero per indagare intorno agli elementi atti a stabilire le cause dell’incidente. Le informazioni raccolte fino dalla prima ora sul posto sono le seguenti: a Terracina pioveva; le nubi erano bassissime; il monte Circeo era invisibile; due pescatori si trovavano in due differenti motobarche, l’uno a circa un chilometro, l’altro a sei chilometri di distanza, da dove l’aereo si era infilato nel mare. Quelli della barca più lontana hanno concordemente dichiarato di avere, in un primo momento, udito un rumore regolare di motore di aereo a loro invisibile, causa le nubi basse e, poco dopo, di aver notato un’enorme colonna d’acqua. Subito dopo percepirono un rumore di motore sempre crescente, sino a divenire lacerante. I pescatori della motobarca più vicina hanno invece dichiarato di aver visto soltanto una colonna d’acqua, senza avere udito il forte rumore fatto, dovuto certamente al motore della imbarcazione che era in funzione. Tutti concordano di non aver intravisto il velivolo. Entrambe le imbarcazioni sono corse immediatamente sul posto, ma non hanno trovato che qualche rottame dell’aereo. Sparsi sul mare erano invece molti indumenti e carte che si ritiene fossero il contenuto delle valigie dei passeggeri. A terra invece nessuno si è accorto dell’incidente,

L’onorevole Nobile tenga dunque a mente questi precisi risultati: ore 8-12, partenza – decollaggio dell’aereo, previa dichiarazione dell’ufficio metereologico che la rotta era favorevole. Ore 8,25, primo messaggio aereo: «Siamo a 1.500 metri, fra due strati di nubi; tentiamo di passar sopra». Ore 8,30, caduta in mare. Quindi una zona di silenzio; e successivamente la catastrofe.

L’apparecchio era da 42 posti oltre l’equipaggio, ed era occupato soltanto da undici passeggeri. Il capo pilota, tenente Villani, era uno dei nostri migliori: già istruttore di volo strumentale, particolarmente attrezzato in questo genere di navigazione.

Già molte volte egli aveva fatto traversate in mare e le aveva sempre condotte a termine brillantemente. L’apparecchio era in perfette condizioni, secondo i normali accertamenti. La marina, interessata, è intervenuta immediatamente per il ricupero dei rottami. Sono state date pure immediate disposizioni per l’intervento dei palombari.

Il Ministero dell’aeronautica ha nominato una Commissione d’inchiesta composta dei seguenti tecnici: generale Pezza, presidente, primatista mondiale di altezza, colonnello Antoniazzi, esperto in costruzioni aeree, colonnello Columba, esperto in motori, colonnello Santangelo, esperto di navigazione aerea, ingegner Giuseppe Simone, Commissario del Registro aeronautico italiano, dottor Guido Colonna, del Ministero degli esteri, maggiore Domenico Montanari, esperto in metereologia, capitano Lizzari, pilota di quadrimotore, capitano Traversa, medico.

La seconda parte della interrogazione del generale Nobile domanda come mai un apparecchio militare sia stato messo a disposizione di un trasporto privato. Ora non voglio ricordare al generale Nobile che tutti gli apparecchi attualmente sono militari, anche se attrezzati per i servizi civili. Non vi è nessuna eccezione al riguardo. I servizi civili sono tutti disimpegnati da apparecchi militari.

L’aeronautica italiana soffre così il suo primo doloroso e grave infortunio. Ma io ho già ricordato l’altro giorno che in 586 giornate di volo, con un percorso di due milioni e 642 chilometri di volo aereo, nemmeno un incidente di volo è intervenuto fino a quello di cui si parla. Noi non possiamo, quindi, che accogliere con ammirazione quanto ci insegna questa fredda, ma eloquente statistica. Prego il generale Nobile e l’Assemblea di attendere i risultati della Commissione d’inchiesta, che mi affretterò a presentare non appena la Commissione stessa avrà esaurito i suoi lavori.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

NOBILE. Ringrazio il Ministro per la risposta data. Prendo atto della nomina della Commissione d’inchiesta, la quale dovrà procedere agli ulteriori accertamenti in via tecnica, benché io ritenga che in un caso come questo sia ben difficile, per non dire impossibile, giungere ad una conclusione positiva. In questa disgrazia aviatoria, vi sono elementi i quali non sono puramente tecnici. Ed allora, prendendo occasione dalla risposta che il Ministro ha dato alla seconda parte della mia interrogazione, vorrei permettermi di fare in proposito qualche osservazione.

Il Ministro ha detto che oggi non esistono se non apparecchi militari. Lo so. Esistono i Corrieri militari. Ma questi fanno servizio regolare su linee regolari. Qui non siamo in presenza di una linea regolare Roma-Cairo, che non esiste, e non è mai esistita, dall’armistizio in poi. Si tratta invece di un servizio eccezionale, direi, il quale, stando alle dichiarazioni fatte dallo stesso Ministro, ha puramente un carattere di trasporto privato, non di servizio di Stato. Se di questo si fosse trattato, non vi sarebbe stato nulla da obiettare. Ma questo non è il caso, almeno per quanto si desume dalle dichiarazioni stesse del Ministro.

Ha detto il Ministro che ben quattro apparecchi erano stati richiesti al servizio Corrieri militari per andare a riprendere al Cairo una compagnia lirica che qualche tempo prima vi era stata trasportata da altri apparecchi; da due esattamente. Ed è già degna di nota la circostanza che per riprendere lo stesso numero di persone che erano state già accompagnate, occorresse un numero doppio di apparecchi.

Occorre chiarire anche un altro punto: perché e come sia stato concesso, per il trasporto da effettuare, un apparecchio che era a disposizione personale del Ministro, con un equipaggio che era l’equipaggio usuale che il Ministro adoperava per i suoi voli di servizio.

Ma altri punti ancora devo mettere in rilievo. Sul percorso Roma-Cairo sono stati effettuati parecchi voli, come parecchi ne sono stati fatti sulla linea Roma-Lisbona, sempre per trasporti privati. Sulla frequenza di questi voli per il Cairo e Lisbona e sui motivi che li determinano, richiamò per il primo l’attenzione il giornale Avanti! di Roma, con un corsivo che comparve in prima pagina il giorno precedente alla catastrofe. Il giornale domandava: «Si può sapere perché sia in partenza un G-12 con destinazione Cairo? Perché siano in partenza per il Cairo anche un S-95 e tre G-12, dei quali ultimi uno proseguirebbe poi per Lisbona? Non pare al Ministro della difesa nazionale che si voli troppo da e per Lisbona?». Questo, ripeto, veniva pubblicato precisamente il giorno che precedeva la catastrofe.

Ora, sull’apparecchio che portò al Cairo la compagnia lirica aveva viaggiato anche un ufficiale dell’Aeronautica, quello stesso distintissimo e valoroso ufficiale, il quale poi ha trovato la, morte nell’accidente: il tenente colonnello Dentice d’Accadia. Desidero chiedere al Ministro di precisare i motivi per cui quest’ufficiale prendeva parte al volo.

All’indomani della catastrofe furono date varie versioni. Un giornale riferì che il colonnello Dentice d’Accadia disimpegnava a bordo le funzioni di navigatore. Ma, tale notizia non è stata confermata ufficialmente, e d’altra parte non si è mai usato sui nostri aeroplani di avere un ufficiale che disimpegnasse esclusivamente le funzioni di navigatore. Inoltre lo stesso onorevole Ministro ci ha dichiarato che il tenente Villani era espertissimo pilota, ed in effetti si poteva considerare come un ottimo navigatore. Aveva fatto molte volte da solo voli importanti.

Un altro giornale diede un’altra versione: il colonnello Dentice d’Accadia sarebbe stato incaricato di recarsi al Cairo a firmare una convenzione fra l’Italia e l’Egitto, per l’istituzione di un servizio aereo fra i due Paesi, Se così fosse ce ne compiaceremmo, ma desidereremmo che il Ministro ce lo confermasse.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, vorrei ricordarle che ella ha diritto di parlare solo cinque minuti.

NOBILE. Ho qualche cosa ancora da dire che ha il suo interesse e che è bene il Ministro sappia.

PRESIDENTE. Ritengo opportuno che l’Assemblea si renda conto che se il regolamento fissa cinque minuti, ciò è appunto per l’economia necessaria del tempo. Colgo l’occasione per rammentare in generale ai colleghi che credo sarebbe una cosa opportuna se progressivamente ci avviassimo a riprendere questa procedura.

NOBILE. Un altro giornale ha detto che il colonnello Dentice si recasse al Cairo per vendere degli apparecchi per conto dell’aeronautica italiana. Se questo fosse, vorremmo saperlo. Ma allora verrebbe spontanea un’altra domanda: perché mai questi incarichi sarebbero stati dati, anziché ad un ufficiale superiore del Ministero, ad un ufficiale che comanda invece un distaccamento regionale? Devo tributare il più alto omaggio alla memoria del colonnello Dentice, che ho avuto il piacere di conoscere e che era veramente un distinto ufficiale, ma non significa affatto diminuire la figura di questo valoroso se rammenterò al Ministro che egli era uno dei più attivi esponenti dell’organizzazione monarchica napoletana. Penso che una fede, sinceramente professata sia degna sempre del massimo rispetto, qualunque essa sia; voglio però mettere in evidenza la responsabilità che risulterebbe per il Ministero, se avesse affidato un incarico del genere di quelli indicati ad un ufficiale notoriamente monarchico: cosa non opportuna trattandosi di trattative da condurre al Cairo, dove risiede l’ex re d’Italia.

Vi sarebbe altro ancora da dire in proposito, ma me ne astengo. Se un’inchiesta si farà sulle circostanze da me denunciate, le riferirò alla Commissione. Ma è evidente che l’onorevole Ministro farà bene ad occuparsi personalmente di questi viaggi, che avvengono con tanta frequenza, fra Roma e Lisbona, tra Roma e il Cairo. Molte voci circolano in proposito. Per fermarle sarebbe opportuno indagare sulla loro consistenza.

Da Milano, da un ufficiale superiore, ho ricevuto una lettera, di cui mi permetto leggere un brano. Egli dice: «Vi sono notizie e impressioni raccolte negli ambienti di Milano, da alcuni dei passeggeri che da qui si erano allontanati il giorno 14. A quanto pare, l’aereo veniva inviato in Egitto esclusivamente per rendere un servizio gradito all’ex re d’Italia. Infatti alcune delle persone imbarcate sull’aereo erano in stretto contatto con gli ambienti di casa Savoia. Una delle signore decedute ospitava nella sua villa in Egitto la famiglia reale italiana. Si afferma che sull’aereo fossero imbarcate merci pregiate, che dovevano essere recapitate a persone che fanno parte degli ambienti dell’ex casa regnante italiana».

E vi è di più. A bordo dell’apparecchio, il quale ha condotto per la prima volta al Cairo questa compagnia lirica, vi era anche il Capo del servizio informazioni dell’aeronautica. Risulterebbe che questo stesso ufficiale abbia prenotato un posto su uno degli apparecchi che prossimamente si recheranno a Lisbona. È lecito domandare come mai, a guerra terminata, il S.I.A. abbia tanto da fare da richiedere che il Capo del servizio si rechi ripetutamente in missione a Lisbona e al Cairo.

Vorrei concludere dicendo che questa dolorosa disgrazia conferma in qualche modo quanto ebbi l’onore di dire in questa stessa Aula qualche giorno fa; cioè, che le cose dell’Aeronautica non vanno bene, soprattutto in alto. Molto deve essere rinnovato in Aeronautica; e l’onorevole Ministro, che conosce così bene questo ramo delle Forze armate, per averlo degnamente diretto nel passato, potrà ben fare qualche cosa per rinnovare e risanare un ambiente che va rinnovato e risanato. Non ho altro da aggiungere. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto la parola per fatto personale l’onorevole Cingolani. Ne ha facoltà.

CINGOLANI. Io sono proprio quel Ministro che ha organizzato il primo viaggio al Cairo per i motivi che adesso chiarirò. Come certo saprà l’onorevole generale Nobile, noi non facciamo parte ancora della P.I.C.A.O., che è la grande organizzazione internazionale per l’aviazione civile, succeduta alla precedente organizzazione internazionale che si chiamava C.I.N.A. Però siamo stati sempre ammessi come osservatori, anzi dirò che siamo stati insistentemente richiesti di mandare nostri osservatori. Al Cairo ha avuto luogo una sessione di questa P.I.C.A.O. Mandai allora una prima Delegazione capitanata da un competente in materia aeronautica e in diritto, il professore Ambrosini, docente di diritto internazionale areonautico. La missione nostra si è fatta doppiamente onore, sia per aver dato un apporto concreto e veramente notevole ai lavori della sessione del Cairo della P.I.C.A.O., sia per la bellezza dei nostri apparecchi, e per la capacità dei nostri delegati che attirarono sull’Italia l’attenzione del Governo e degli ambienti viatori egiziani. In seguito, dopo il ritorno di questa missione, io fui sollecitato personalmente da elementi autorevoli ed autorizzati dal Cairo a non lasciar cadere questa veramente magnifica occasione per intessere rapporti di carattere aeronautico e industriale con l’Egitto. E allora, prendendo occasione dalla richiesta dell’invio di una compagnia lirica, mi regolai come in altre occasioni.

Tutte le volte che ho avuto modo di evadere dalle strettoie dell’armistizio che impediva all’Italia di compiere viaggi oltre i confini, queste. occasioni le ho afferrate a volo. Cito un trasporto a Lisbona di una compagnia lirica, un trasporto di una compagnia lirica a Madrid, un trasporto a Parigi dei rappresentanti italiani, eludendo l’offerta degli alleati di valerci dei loro apparecchi.

A Oslo abbiamo mandato gli atleti italiani, che se non hanno raccolto gli allori che forse avrebbero meritato, si deve a qualche deficienza di forma degli atleti. Ad Atene sono stati mandati nostri aerei, per rilevare gli italiani espulsi, al posto di apparecchi alleati anch’essi gentilmente offertici, ma da noi rifiutati, ed infine al Cairo, per il viaggio di andata e ritorno di una compagnia lirica. Tutti questi passeggeri hanno usufruito non di apparecchi militari, ma di apparecchi attrezzati per servizio civile: perché non dimentichiamo che il servizio dei Corrieri aeronautici militari è stato concesso dagli alleati dietro nostra insistenza, con personale militare e apparecchi per trasporto passeggeri. I Ministri precedenti alla mia assunzione, gli onorevoli Gasparotto e Cevolotto, hanno visto l’inizio di questo sicuro e produttivo servizio, secondo le cifre già lette dal Ministro della difesa in questa Assemblea.

Aggiungo che coloro che hanno usufruito di questo servizio civile hanno costantemente pagato il biglietto.

Si è fatta eccezione per il Congresso nazionale della stampa a Palermo: sono stato lieto di avere offerto sei dei nostri migliori apparecchi ai rappresentanti della stampa italiana, perché con minor disagio potessero partecipare a quel primo congresso nazionale della nostra stampa.

Posso precisare, per quanto riguarda gli ultimi viaggi (le tariffe dei viaggi precedenti possono essere messe – e prego l’onorevole Gasparotto di farlo – a disposizione dell’onorevole Nobile) che il biglietto è stato pagato al costo di lire egiziane 25, pari, al cambio ufficiale, a 23.450 lire italiane a biglietto; è stata pagata inoltre l’assicurazione di 950 lire a persona per un capitale assicurativo di lire 400 mila.

Naturalmente, io sarei stato uno sciocco, se non avessi approfittato di questi viaggi per intessere delle relazioni, che fossero utili al mio Paese ed in particolar modo all’industria aeronautica.

Posso dire ed accenno appena (l’onorevole Nobile, che è generale e, quindi, un patriota, deve darmi atto della mia voluta reticenza): che lo sviluppo delle nostre relazioni coll’Oriente mediterraneo poteva essere legato a questa nostra dimostrazione di efficienza di materiale e di personale in Egitto.

Al Cairo si sta formando un Centro aeronautico internazionale di enorme importanza per tutta l’Asia Minore e per tutto il Mediterraneo orientale.

I nostri apparecchi, se sono in ritardo come novità di costruzione di fronte agli apparecchi modernissimi di altre Nazioni, sono stati sempre ammirati per la semplicità di costruzione, per la solidità, per la sicurezza di volo.

Questo disgraziato incidente va deplorato, anche perché serve a rallentare la formazione di quella coscienza aviatoria, che mi auguro diventi una seconda coscienza del popolo italiano; ma fino ad oggi sono apprezzatissimi apparecchi e piloti, e lo saranno ancora domani.

Ma perché la mia attenzione si era fermata sul Cairo e su l’Egitto?

Perché ci sono possibilità di volo, di servizio di cabotaggio, di aereo-taxi, per cui le organizzazioni sono attrezzatissimi, e la nostra industria e i nostri tecnici.

Noi abbiamo mandato un apparecchio, così han detto i giornali, che era a disposizione del Ministro.

Questi adopera sempre un S-79 a 6 posti; l’S-95 è un apparecchio preparato per viaggi ufficiali di Ministri o, comunque, di alte cariche dello Stato: questo apparecchio ha 18 posti; è una seconda edizione di quello a 41 posti. Mi permetto non di correggere l’onorevole Gasparotto, ma di precisare.

La prima volta fu mandato l’apparecchio nella versione a 41 posti; questa volta si voleva presentare la versione a 18 posti; e ciò per evidenti ragioni!

Io «ho fatto l’articolo» – per parlare in linguaggio commerciale – e credo di aver fatto bene, come ho fatto bene a utilizzare la simpatia dei conoscitori, dovunque sono riuscito a far apprezzare questo apparecchio. Una missione straniera, venuta in Italia per constatare lo stato della nostra industria aeronautica, è rimasta ammirata dei nostri tipi. Malgrado la restrizione dell’armistizio, malgrado che i permessi per la ripresa costruttiva venissero dati goccia a goccia, i nostri industriali hanno superato mirabilmente la prova.

NOBILE. Ma se è così, ed è così, dato che in fatto di costruzioni aeronautiche non siamo secondi a nessuno, perché allora avete stipulato dei contratti con l’America e con l’Inghilterra?

CINGOLANI. L’ho detto altre volte; non torniamo su ciò che è stato discusso e approvato dalla opinione italiana in questa materia.

Ben venga il capitale straniero, quando serva a valorizzare l’industria italiana, piloti italiani e le maestranze italiane.

Devo ricordare al generale Nobile che quando, finita la guerra, sono state concesse delle squadriglie ai nostri valorosissimi piloti e cacciatori, che hanno fatto la guerra di liberazione, sono stati montati apparecchi da caccia di difficile condotta. Sono stati montati senza l’aiuto straniero, da montatori italiani, e i nostri piloti li hanno guidati mirabilmente, fra l’ammirazione dei tecnici americani e inglesi. Abbiamo fatto benissimo…

NOBILE. E la Russia?

CINGOLANI. Se la Russia ci avesse dato apparecchi, li avremmo presi anche dalla Russia. Sappia l’onorevole Nobile che io ho tenuto testa…

PRESIDENTE. Onorevole Cingolani, la prego di concludere.

CINGOLANI. Ha ragione, Presidente; è la passione per l’areonautica che mi trasporta; finisco subito. Mi avete capito del resto, perché la passione mia è la passione di tutti.

Per quanto riguarda il secondo pilota, questo c’era sempre, onorevole Nobile; non so che cosa accadeva ai suoi tempi; ma lei non sarà stato solo a guidare il suo dirigibile: avrà avuto dei compagni, dei collaboratori. E così anche quando vola l’apparecchio del Ministro, i due piloti sono il maggiore Tait e il maggiore Bergagli. Non si lascia mai un pilota solo in periodi di navigazione difficile, come in inverno. E appunto il tenente colonnello Dentice d’Accadia era il pilota che poteva aiutare. Riguardo al tenente colonnello Santini, non per la sua posizione di capo dell’ufficio informazioni, ma per le sue specifiche capacità personali, fu mandato al Cairo nel primo viaggio, e mi servì ad intessere quei rapporti, che auguro al Ministro Gasparotto di concludere, perché ogni passo fuori casa è benedetto, perché dovunque ci vedono, ci ammirano e ci aiutano, e possiamo far sì che si spalanchino porte nuove, perché l’Italia possa battere strade nuove per conquistare successi anche in questo campo.

Tutti sanno che io non sono monarchico; del mio repubblicanesimo fa fede tutta la mia vita; e non mi si può dire davvero di essere stato complice di supposte o sospettate mene monarchiche a Lisbona o a Cairo.

Chiunque si sarà trovato nel difficile posto di Ministro, sarà bersaglio di attacchi. Mi ricordo che il generale Nobile, quando la prima volta io sedevo al banco ministeriale, si rivolse contro l’onorevole Cevolotto, Ministro uscente: oggi contro di me; e domani sarà il turno dell’onorevole Gasparotto. Attento, onorevole Nobile, che qualcuno potrebbe accusarlo di necrofilia! (Si ride).

NOBILE. Non vi è nulla di personale nella mia azione! Se i sistemi non cambiano, si ha il dovere di persistere nella critica. (Approvazioni a sinistra).

CINGOLANI. Lo dicevo scherzando. Ma siamo sereni, e pensiamo soprattutto all’interesse dell’Italia e al futuro dell’aviazione italiana. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro della difesa. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO, Ministro della difesa. Non posso che confermare le dichiarazioni dell’ex Ministro Cingolani, che corrispondono appieno alla documentazione che è in mie mani; e prego il glorioso navigatore, generale Nobile, di riconoscere l’importanza della nostra presenza al Cairo, che dispone di uno dei più imponenti campi dell’aviazione mondiale; lo avrà visto certamente, come l’ho visto anch’io.

Circa la notizia pubblicata da un giornale, posso dare una franca e precisa risposta. Il giorno stesso in cui io lessi quella notizia, prima che apprendessi la sciagura, diedi ordine al mio ufficio che la nota dei passeggeri d’oltremare fosse comunicata preventivamente e approvata personalmente dal Ministro; perché se il Ministro assume al riguardo delle responsabilità, è bene che le assuma dietro conoscenza dei fatti e delle persone.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Gallo, Finocchiaro Aprile, Castrogiovanni, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intenda prendere contro l’autorità di pubblica sicurezza, per avere eseguita una perquisizione nei locali della Sezione del M.I.S. di Caltagirone, rifiutando di esibire la relativa autorizzazione del magistrato e procedendo altresì al fermo del custode; e ciò ad evidente scopo di intimidazione».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il fatto cui si riferiscono gli onorevoli interroganti rimonta al 30 gennaio ultimo scorso, cioè in data anteriore alla formazione dell’attuale Governo. Secondo informazioni fornite, la perquisizione alla sede del Movimento per l’indipendenza della Sicilia fu operata dietro mandato del Procuratore della Repubblica e sul sospetto che presso la sede suddetta si conservassero armi proibite.

La perquisizione aveva però esito negativo. Ignoransi se all’atto della perquisizione sia stato o meno esibito l’ordine dell’autorità giudiziaria e la causa del fermo del custode. Notizie in proposito sono state chieste e ci si riserva di comunicarle agli interroganti appena saranno pervenute al Ministero.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GALLO. Non posso dichiararmi sodisfatto. Anzitutto che il fatto sia avvenuto prima della composizione del Governo attuale non ha nessuna importanza né rapporto con la essenza della mia interrogazione.

Io ho chiesto al Ministro dell’interno quali provvedimenti intenda prendere per questi fatti che avvengono in Sicilia, perché la perquisizione alla sezione del Movimento per l’indipendenza della Sicilia di Caltagirone non è il primo fatto, né sarà l’ultimo, se provvedimenti concreti non si prenderanno al riguardo.

Il rapporto dettagliato che io ho ricevuto a Catania ebbe conferma piena dalle stesse dichiarazioni fatte a me personalmente dal commissario Alongi che operò la cosiddetta legale perquisizione.

Il locale della sezione del Movimento per l’indipendenza della Sicilia a Caltagirone si trova nella principale piazza del paese, e sono lieto che il Ministro dell’interno sia nativo proprio di Caltagirone, in quanto così egli, con quella serenità che certo ha, potrà giudicare. Questa sede, dunque, è posta nella principale piazza del paese. Si tratta di una stanzetta che contiene appena un tavolinetto più o meno sgangherato ed un armadio. Il commissario Alongi ha riferito a me personalmente che egli chiese al procuratore della Repubblica il mandato di perquisizione, perché, per una segnalazione ricevuta da un ragazzo del luogo, aveva appreso, niente di meno, onorevoli colleghi, che mitragliatrici e fucili si nascondevano nella sede del Movimento per l’indipendenza.

In quella sede, posta nella principale piazza del Paese, si sarebbero nascoste tali armi; e per constatare tutto, il commissario Alongi e i suoi seguaci scassinarono i cassetti del tavolinetto e fracassarono due sedie, allo scopo di vedere se sotto quelle sedie si nascondessero le mitragliatrici o i fucili.

Consentitemi, onorevoli colleghi, che, con una serenità, forse da voi non attesa, io esponga qualche cosa che sta molto a cuore ai siciliani, che non sono né selvaggi né contro gli italiani, ai siciliani che chiedono, come in ogni tempo chiesero, solo comprensione, solo riconoscimento di quelli che sono i diritti di libertà di ogni popolo.

Quando il commissario Alongi, si presentò, seguito da circa trenta agenti armati di mitra e di fucili, il custode chiese se avesse un mandato da esibire; il commissario rispose che non era tenuto ad esibire alcun mandato, perché la legge non gli dava obbligo di esibirlo. Rispose esattamente: «Va a rivolgerti al procuratore della Repubblica».

Io chiedo al Ministro dell’interno, se la legge consenta ad un commissario di non esibire un mandato di perquisizione e chiedo ancora se non ci sia stata troppa leggerezza nel Procuratore della Repubblica nell’emettere un mandato di perquisizione, solo perché un qualsiasi commissario, più o meno analfabeta, era andato a chiedere, per una segnalazione ricevuta da un ragazzo, di emettere un mandato di perquisizione nella fantastica supposizione che mitragliatrici e fucili si nascondessero in un piccolo locale sito in una pubblica piazza.

Ciò, è evidente, fu fatto a mero scopo intimidatorio.

L’onorevole Pertini, al quale desidero rendere omaggio per il senso di umanità che lo ha spinto a presentare l’interrogazione, e a svolgerla l’altro giorno, a proposito dei mezzi e sistemi inumani usati dalla polizia (lo prego di ascoltarmi con attenzione per i fatti che io esporrò qui e anche chiedo agli onorevoli colleghi e ai signori del Governo di ascoltarmi con molta obiettività), l’onorevole Pertini ha detto di avere un’esperienza personale in proposito. Anche io posso aggiungere di avere una mia esperienza personale recente, come voi tutti sapete.

L’onorevole Pertini riferiva il caso Fort; ma io desidero segnalare che più di quello che si è fatto per il caso Fort si fa dalla polizia in Sicilia e non solamente oggi, ma da gran tempo.

Non so, se voi, onorevoli colleghi, ricordate quello che fu scritto su un giornale che si pubblica a Roma, «Il Vento del Sud». Di ciò non si è più parlato. Ebbene, avete voi mai pensato alle sofferenze patite dal dottor La Manna, dal Signor Franzoni e da altri?

PRESIDENTE. Onorevole Gallo, la sua interrogazione ha un tema preciso; le sarò grato se vorrà attenervisi.

GALLO. Se mi consente, vorrei dirle che ritengo di essere nel tema.

PRESIDENTE. È il regolamento che non lo consente, né a me né a lei.

GALLO. Io parlo di sistemi di polizia.

PRESIDENTE. Il tema, invece, è un episodio determinato.

GALLO. Per quello che devo dire, prego il Presidente di consentirmi di continuare, perché si tratta di materia di importanza veramente capitale. (Commenti).

PRESIDENTE. Il Regolamento le offre il mezzo per deferire all’Assemblea questa importante materia.

GALLO. Mi riferisco ad un fatto che è avvenuto di recente, ma devo parlare di altri fatti che ne costituiscono gli antecedenti. In Sicilia non possiamo più continuare in questo modo. È qualcosa di orrendo quello che avviene.

PRESIDENTE. Onorevole Gallo, il Regolamento le consente di sottoporre questi argomenti all’Assemblea e sarà ascoltato con grande interesse. In sede di interrogazione, le sarei grato che si attenesse alla materia specifica. Le ricordo, poi, che i cinque minuti concessi dal Regolamento sono già trascorsi.

GALLO. Mi scusi, onorevole Presidente, ma è strano che, mentre parlo di sistemi di pubblica sicurezza che si riferiscono all’interrogazione o che comunque vi sono collegati, non mi si voglia far parlare, quando qui si parla e si va fuori tema e si fanno storie ed elogi e si parla di cose di cui oggi non sarebbe necessario parlare, mentre invece è necessario parlare di cose che interessano veramente la vita umana, che interessano la libertà dei miei concittadini. Io non penso che ciò sia opportuno, onorevole Presidente; io parlo a nome del popolo siciliano, che non può continuare… (Interruzioni – Rumori – Commenti).

Trasformerò la mia interrogazione in interpellanza.

PRESIDENTE. La rediga e la faccia pervenire alla Presidenza.

GALLO. Va bene, ma la materia è la stessa.

PRESIDENTE. Se lei vuol trattare la materia cui ha accennato, non è sufficiente la trasformazione dell’interrogazione in interpellanza. Ella ha sotto gli occhi il testo dell’interrogazione: è specifica e si riferisce ad un episodio delimitato e ben preciso. Se lei vuol trattare, come ne ha il diritto, la materia in generale, occorre che modifichi anche la forma della sua interrogazione.

GALLO. Presenterò una interpellanza per potere rinnovare le mie più vibrate proteste.

Per concludere, sulla interrogazione, desidero conoscere quali provvedimenti saranno adottati contro il commissario Alongi; perché non è esatto che il custode non sia stato fermato. Ripeto, le mie parole esprimono quanto ebbe a dirmi lo stesso commissario Alongi.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Io non ho detto questo.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le interrogazioni inscritte all’ordine del giorno di oggi.

Discussione del disegno di legge costituzionale d’iniziativa della Presidenza: Proroga del termine di otto mesi previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’esame del disegno di legge costituzionale di iniziativa della Presidenza: Proroga del termine di otto mesi previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, 98, per la durata dell’Assemblea Costituente.

La Commissione da me nominata per l’esame di questo disegno di legge, composta dell’onorevole Bergamini, presidente, dell’onorevole Laconi, segretario, dell’onorevole Grassi, relatore, si è riunita stamane e, data l’urgenza, ha incaricato l’onorevole Grassi di riferire su di esso oralmente all’Assemblea.

L’onorevole Grassi ha facoltà di parlare.

GRASSI, Relatore. Onorevoli colleghi, la Commissione, nominata ieri sera dal nostro Presidente, ha preso questa mattina in esame il disegno di legge costituzionale di iniziativa della Presidenza per la proroga del termine previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, relativo alla durata dei lavori dell’Assemblea Costituente. È a voi noto che, in base alle disposizioni dell’ordinamento giuridico preesistente, l’Assemblea Costituente aveva queste possibilità di durata: una durata sino al termine dei suoi lavori, ossia sino all’entrata in vigore della nuova Costituzione, il che avrebbe potuto verificarsi prima degli 8 mesi dal giorno della sua prima seduta; oppure nel termine massimo di otto mesi. Se l’Assemblea non avesse esaurito il suo lavoro nei termini previsti, l’articolo 4 disponeva che potesse prorogarsi per altri quattro mesi. Stabilito come punto di fatto che l’inizio dei lavori dell’Assemblea avvenne con la prima seduta del 24 giugno 1946, il termine fissato da quelle disposizioni verrebbe a scadere il 24 febbraio del 1947, ossia lunedì prossimo. In base alle predette disposizioni, l’attuale Assemblea Costituente sarebbe sciolta di diritto il 24 febbraio.

Di fronte però a questa situazione di fatto, mentre viene ora soltanto distribuito, da parte del presidente della Commissione dei 75, il progetto di legge sulla Costituzione futura del nostro Stato, si presenta la necessità, ed anche l’urgenza, di prorogare il termine, in modo che l’Assemblea abbia il tempo di discutere e di elaborare la nuova Costituzione. Nessun dubbio, quindi, sull’esigenza e sull’urgenza del provvedimento presentato dalla nostra Presidenza. Sono stato incaricato di riferire oralmente, data l’urgenza, alcune considerazioni per le quali la Commissione, nella sua quasi totalità – ad eccezione di un solo membro – ha apportato al progetto alcuni emendamenti che sono stati stampati e distribuiti all’Assemblea.

È affiorata durante la discussione quella questione che già altre volte sorse, senza che mai fosse definita e che io neppure penso si possa risolvere in questa occasione: intendo parlare della questione relativa al fondamento ed ai limiti dell’Assemblea Costituente. La maggioranza della Commissione ha ritenuto che i poteri dell’Assemblea Costituente sono sovrani, sono poteri che non possono derivare se non dall’autorità da cui essa proviene, ossia dalla sovranità popolare, e che, come organo del potere costituente, non possa trovare altro limite all’infuori delle sue autodecisioni e dell’ordinamento giuridico preesistente, in quanto essa stessa lo fa suo, attuando quella che, dal punto di vista della dottrina, viene definita la successione del diritto. Il passaggio da un ordinamento giuridico preesistente ad un nuovo ordinamento in formazione, nei momenti di frattura che avvengono nella vita dei popoli per cambiamento di regime, avviene automaticamente in quanto l’ordinamento nuovo riconosce come proprie quelle parti dell’ordinamento giuridico preesistente che non sono state dichiarate nulle od appositamente modificate.

Noi ci troviamo oggi, di fronte alla necessità prevista dall’ordinamento precedente, di proroga dell’Assemblea; abbiamo ritenuto opportuno, superando la questione di principio, togliere dall’articolo 1 la precisa disposizione del decreto luogotenenziale precedente facendone nostro il contenuto, e stabilendo senz’altro che la proroga di quattro mesi viene data dalla Assemblea a se stessa in base ai suoi poteri di autodecisione e di autolimitazione.

Una seconda modificazione abbiamo apportata circa quella parte del disegno di legge nella quale è detto che la proroga è concessa sino al giorno della entrata in vigore della nuova Costituzione, e comunque non mai oltre il 24 giugno 1947.

La Commissione ha preferito dire senz’altro che il termine finale della proroga scade il 24 giugno 1947.

La doppia forma di proroga prevista nel disegno di legge – una proroga limitata al raggiungimento dello scopo per cui l’Assemblea Costituente è stata eletta, ossia l’approvazione della nuova Costituzione, e l’altra proroga, quella a scadenza fissa – non ha più ragione di essere, in quanto è poco prevedibile che l’Assemblea Costituente possa esaurire il suo compito prima del 24 giugno 1947. Essa deve esaminare ed elaborare definitivamente il testo, predisposto dalla Commissione dei 75, ma si trova anche nella necessità, che non si può oggi non tenere presente, di dover approvare tre leggi elettorali: una per la Camera dei Deputati, una per la Camera dei Senatori ed un’altra per i Consigli regionali. Queste tre leggi elettorali occuperanno, per la loro importanza, non brevi discussioni da parte dell’Assemblea.

Oltre a queste leggi, che direi quasi connesse alla struttura costituzionale dello Stato, l’Assemblea Costituente dovrà discutere la ratifica del Trattato di pace. Ed ancora dovrà coordinare, per un’altra disposizione legislativa, lo Statuto della Regione siciliana, dopo che avrà approvato la nostra Costituzione.

Vedete quindi quale mole di lavoro ci attende. Ed appunto perché il coordinamento dello Statuto della Regione siciliana alla nuova Costituzione dovrà farsi dopo l’approvazione della Costituzione, la durata dei lavori della nostra Assemblea non può, e proprio in forza di un argomento giuridico, limitarsi alla entrata in vigore della Costituzione stessa.

La Commissione ha dunque preferito fissare un termine certo, preciso: quello del 24 giugno, in modo che tale termine sia come un cancello al di là del quale l’Assemblea sappia che non può andare, ed entro il quale deve assolvere al suo compito.

Nel tempo stesso la Commissione mi ha incaricato di esporre questo suo proposito: che, nell’ipotesi in cui l’Assemblea – e questo ce lo auguriamo tutti – riesca ad approvare il testo della nuova Costituzione in un termine anteriore al 24 giugno, la stessa Costituzione possa, con disposizione transitoria, stabilire oltre il termine per la promulgazione e pubblicazione, anche quello per lo scioglimento anticipato dell’Assemblea. In questa maniera l’ipotesi di un eventuale esaurimento del lavoro anteriore al 24 giugno 1947 è compresa.

Queste proposte di modifica, da me presentate al Presidente Terracini, sono state accettate dalla Presidenza nella forma e nello spirito che le ha animate. Questo per quanto riguarda l’articolo 1.

Per quanto si riferisce all’articolo 2, la Commissione non può che approvare pienamente la proposta della Presidenza. Si tratta di introdurre il principio, già approvato dalla Commissione dei 75, sulla posizione del Capo dello Stato futuro, e quindi del Capo provvisorio di oggi, rispetto alla formazione delle leggi in regime repubblicano. Il compito del Capo dello Stato è quello di promulgare la legge approvata oggi dall’Assemblea Costituente come quelle che saranno approvate domani dalle Camere ordinarie. Quindi, la disposizione dell’articolo 2 è da approvarsi. Abbiamo anche approvato che la promulgazione avvenga entro il termine di due giorni; il che non può sembrare mancanza di riverenza verso il Capo dello Stato, data l’urgenza e la necessità. Questa legge, che noi dobbiamo questa sera approvare, deve essere promulgata al più presto possibile, perché possa essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ed entrare in vigore prima del 24 febbraio, ossia prima di lunedì prossimo.

Queste sono le ragioni delle modificazioni che abbiamo cercato di apportare al disegno di legge della Presidenza, che merita la vostra approvazione. Siamo sicuri che nel termine prorogato e possibilmente anche in un termine più breve, l’Assemblea possa assolvere il suo grande e nobile compito di approvare, sulla base del testo preparato dalla Commissione dei 75, la nuova Carta costituzionale, che dovrà essere la base fondamentale del nuovo ordinamento giuridico, politico e sociale del nostro Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. Prendo atto delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Grassi, quale relatore della Commissione. Risulta da queste sue dichiarazioni che le modificazioni che sono state apportate al testo del progetto mirano essenzialmente a porre in rilievo la sovranità dell’Assemblea. Osservo che questa sovranità è già specificatamente affermata dal modo stesso con cui il progetto è stato presentato. Esso è infatti un progetto di iniziativa dell’Assemblea, e, più precisamente, la sua iniziativa è stata assunta dalla Presidenza dell’Assemblea. L’Assemblea agisce quindi in base ai propri poteri sovrani. Ma, poiché nella nuova formulazione questo elemento acquista un maggior rilievo, esso non può che venire incontro ai desideri della Presidenza, che fa tutt’uno con l’Assemblea nel suo complesso.

In quanto alla limitazione dei termini, mi pare di comprendere che, con la nuova formulazione, la Commissione miri allo scopo di far ben presente a tutti i membri di questa Assemblea che esiste un termine, al di là del quale non si può assolutamente spingersi, direi un termine ultimo. Fissando gli occhi a questo termine, l’Assemblea avrà così uno stimolo, un impulso ad usufruire proficuamente ed intensamente del tempo ancora offerto ai suoi lavori, quello che per l’appunto ci viene concesso dalla proroga che il progetto di legge indica e delimita. Ma tutto ciò non incide né modifica la sostanza del progetto così come venne presentato dalla Presidenza. E perciò questa accoglie le modificazioni di forma proposte dalla Commissione. In questo senso io ho desiderato esprimermi, prima di aprire la discussione sopra il progetto e sulla relazione dell’onorevole Grassi, affinché l’Assemblea sia in possesso di ogni elemento della questione. Coloro che chiedono la parola sono pregati di iscriversi.

Ha chiesto di parlare l’onorevole Colitto. Ne ha facoltà.

COLITTO. A me pare che la dizione usata nel disegno di legge proposto dalla Presidenza sia la più giuridicamente esatta, perché più aderente alla parola e allo spirito del decreto 16 marzo 1946, n. 98. L’articolo 4 di questo decreto determina con precisione il giorno nel quale la nostra Assemblea cessa di aver vita. Qual è questo giorno? È il giorno nel quale – stabilisce l’articolo 4 – comincerà ad aver vita la Costituzione. Il primo capoverso di detto articolo 4 dice, in sostanza, che l’Assemblea cessa di aver vita il giorno in cui comincia ad aver vita la Carta costituzionale.

Ed allora noi possiamo prorogare la nostra vita fino al giorno in cui potrà aver vita la Carta costituzionale. Non possiamo dire: proroghiamo la nostra vita fino al 24 giugno, perché, in ipotesi, la Carta costituzionale potrà cominciare ad aver vita il 20 giugno, e in quel giorno, così come dispone l’articolo 4 citato, noi cesseremo di essere Assemblea Costituente. Perciò, quando la Presidenza ha formulato l’articolo 1 affermando che il termine di otto mesi è prorogato fino al giorno dell’entrata in vigore della nuova Costituzione, ha formulato, secondo me, l’articolo in maniera precisa, in maniera giuridicamente aderente a quello che è disposto dall’articolo 4. Mi pare, quindi, che si debba mantenere ferma la formulazione, così come è stata proposta dall’ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ambrosini. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. La questione che solleva l’onorevole Colitto porterebbe l’Assemblea a discutere nuovamente una delle questioni che affrontò nel settembre scorso, in seguito ai rilievi fatti dall’onorevole Calamandrei, circa i poteri dell’Assemblea.

Ora, come l’Assemblea decise allora di affermare la sua sovranità, senza disconoscere il contenuto del decreto legislativo del 16 marzo 1946, così la nostra Commissione nella sua maggioranza ha ritenuto, attenendosi allo stesso criterio, di limitarsi a determinare il limite massimo di durata dell’Assemblea. Per altro, è evidente che lo stabilire il termine del 24 giugno 1947 non significa che, ove l’Assemblea, dando prova del suo patriottismo nell’accelerare i lavori per la discussione e l’approvazione della Costituzione e delle leggi elettorali, assolva questo suo compito prima del termine stabilito, essa potrà cessare la sua vita prima ancora del 24 giugno. Il sistema proposto dalla Commissione è preferibile a quello originariamente proposto, perché evita qualsiasi incertezza, pur andando incontro alle varie esigenze.

Indubbiamente, non vi è in questa Assemblea un Deputato che desideri che il nostro ufficio continui un giorno più di quello strettamente necessario. D’altra parte, è evidente che nessuno può sottrarsi all’obbligo di contribuire alla discussione della Carta costituzionale con tutta la riflessione che la gravità del compito richiede.

Credo, quindi, che possiamo, con piena coscienza approvare la proposta della Commissione, perché ove, ripeto, prima della data del 24 giugno l’Assemblea abbia approvato la Costituzione, essa si affretterà certamente, valutando tutti gli elementi che l’opportunità consiglia, a deporre al popolo italiano il suo mandato ed a chiedergli che la situazione politica venga chiarita e risolta col pronunciamento degli elettori. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei presenta formalmente la proposta di restare al testo originario della legge?

COLITTO. Senz’altro.

PRESIDENTE. Allora la sua proposta si deve considerare come un emendamento all’articolo sostitutivo proposto dalla Commissione ed accettato dalla Presidenza della Assemblea; e, come tale, dovrà avere la precedenza nella votazione.

Ha chiesto di parlare il relatore, onorevole Grassi, ne ha facoltà.

GRASSI, Relatore. L’emendamento che oggi propone l’onorevole Colitto è il ritorno alla formula presentata dinanzi alla Commissione e che la Commissione all’unanimità, meno l’onorevole Colitto, non ha accettato, proponendo l’articolo sostitutivo accettato dalla Presidenza.

PRESIDENTE. Metto ai voti il testo dell’articolo 1, secondo la proposta dell’onorevole Colitto:

«Il termine di otto mesi, previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente, ed iniziatosi il 25 giugno 1946, è prorogato fino al giorno dell’entrata in vigore della nuova Costituzione e, comunque, non oltre il 24 giugno 1947».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Metto in votazione il testo dell’articolo proposto dalla Commissione e fatto proprio dalla Presidenza dell’Assemblea.

«La durata dell’Assemblea Costituente, iniziatasi il 25 giugno 1946, è prorogata al 24 giugno 1947».

(È approvato).

Metto ai voti l’articolo 2:

«La presente legge costituzionale sarà promulgata dal Capo dello Stato entro due giorni dalla sua approvazione ed entrerà in vigore il giorno stesso della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

(È approvato).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procederemo ora alla votazione segreta del disegno di legge testé approvato.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Lasceremo le urne aperte, e procederemo nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri». È iscritto a parlare l’onorevole Selvaggi. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Non vi meravigli se comincio col parlare della questione del giorno, non tanto e non solo in questa Assemblea, quanto, soprattutto oggi, nel Paese: la questione morale.

La prima volta che si riunì quest’Assemblea, ne parlò l’onorevole Nitti; se ben ricordo, ne parlò anche l’onorevole Lombardi, poi l’onorevole Conti e infine l’onorevole Finocchiaro Aprile, in una forma, diremo, piuttosto veemente.

È un problema che oggi è nell’opinione pubblica. È stata costituita dall’Assemblea una Commissione, che si limita però al solo problema di conoscere quali siano le cariche compatibili o incompatibili con quella di deputato o di membro del Governo. È troppo poco. Vi sono molti fatti che corrono sulla bocca di tutti in Italia e che hanno bisogno di essere chiariti: ci sono ancora i fatti del Viminale; ci sono gli episodi dell’Emilia; c’è il problema così detto dell’«oro di Dongo»; ci sono le accuse fatte e formulate in questa Assemblea. Ed è nell’interesse di tutti, è nell’interesse della dignità dell’Assemblea stessa e della nascente democrazia italiana, che questi problemi siano chiari all’opinione pubblica e che non si dia luogo a che qualcuno possa con ciò menomare quella che deve essere la dignità della democrazia italiana.

Connesso a questo c’è un altro problema: ed è il problema della fiducia. Se noi creiamo nel popolo italiano la sfiducia verso il sistema democratico, non so a quali conseguenze potremo arrivare.

L’onorevole Gronchi disse che anche in altri settori potevano essere formulate le accuse che da parte dell’onorevole Finocchiaro Aprile erano state formulate riguardo a membri della democrazia cristiana. Io credo che nessuno avrà difficoltà a che siano chiarite le posizioni in tutti i settori e per ogni singolo individuo. È, credo, un dovere al quale noi dobbiamo sottoporci di fronte al Paese, nell’interesse della nascente democrazia.

Le cause di queste accuse devono cercarsi nella forma, diciamo un po’ caotica, nella quale l’Italia si trovò subito dopo la liberazione, quando i Comitati di liberazione nazionale assegnavano, a volte affrettatamente, Tizio, Caio e Sempronio a una cooperativa o ad un commissariato, ecc. Occorre ora al più presto rientrare nella piena e completa normalità.

A questo proposito è interessante quanto lo stesso onorevole Sforza, membro del Governo, parlando ad Ancona nel dicembre scorso, ebbe a dire: «Diciamo la verità: gli italiani amano bensì la libertà, ma tengono per lo meno altrettanto alla giustizia. Nel fascismo gli italiani abominarono soprattutto l’ingiustizia, il favoritismo, la corruzione. Guardiamo la verità in faccia e confessiamoci che tutto ciò non scomparve in un periodo post-fascista, in cui i partiti, tutti i partiti cercavano di assicurarsi adepti e distribuirsi prebende e posti dello Stato, senza cercare se fossero o meno competenti».

Ritengo, come ho detto, che bisogna rientrare nella normalità, anche perché nella opinione pubblica, quando certe cose vengono messe a tacere senza dare dei chiarimenti, è logico che si pensi che si è arrivati a forme di compromesso per coprirle. Tutto ciò viene a danneggiare anche la compagine stessa e l’autorità del Governo, mentre si aggrava anche la mancanza di quella omogeneità, che ieri l’onorevole Togliatti chiamava affinità, tra i partiti. Appunto per questa mancanza di omogeneità si sono create le crisi dei vari Governi che si sono succeduti.

Varie ipotesi sono state formulate sulle cause dell’ultima crisi. L’onorevole Nenni l’ha addirittura definita un fatto storico di enorme importanza, cioè il tentativo di estromettere dal Governo le forze che rappresentano le classi lavoratrici, ossia i socialcomunisti. L’onorevole Togliatti mi pare che abbia smentito questa interpretazione dell’onorevole Nenni e ha detto che la crisi è un atto – io direi piuttosto un fatto – politico che non è dovuto a ragioni tecniche, né all’idea di estromettere le forze del lavoro dal Governo, in quanto lo stesso onorevole De Gasperi gli aveva lealmente dichiarato che ciò non era nelle sue intenzioni. L’onorevole De Gasperi stesso non ci ha dato spiegazioni precise al riguardo, cioè sulle cause della crisi che egli ha voluta. L’onorevole Togliatti dice che oggi bisogna dare una direttiva politica che corrisponda alla situazione che si è venuta a creare nel Paese.

In effetti, la situazione attuale del Paese non è quella del 2 giugno. L’onorevole Togliatti giustamente si è compiaciuto delle vittorie del partito comunista nelle elezioni amministrative del 10 novembre scorso. Ritengo che anche da parte nostra possiamo altrettanto compiacerci, perché nell’Italia meridionale, da Roma in giù, i principali centri hanno delle amministrazioni qualunquiste, ed anche queste sono sorte nella legalità. Questa realtà avrebbe eventualmente giustificato un’altra formazione di Governo; ma l’onorevole De Gasperi si è attenuto alla realtà parlamentare, cioè ha tenuto conto non della maggioranza numerica, sommando gli individui che potevano pensarla in uno stesso modo, ma dei gruppi.

Nulla da obiettare; però si sono avute interpretazioni varie sul modo e sulla repentinità con cui si è arrivati alla crisi, molto affrettata senza dubbio; crisi che nella soluzione ha portato ad un risultato analogo a quella precedente. I rappresentanti dei lavoratori sono al Governo. Questa dizione di lavoratori è molto spesso usata, ed è un po’ curiosa: io parlerei non di lavoratori al Governo quanto di rappresentanti delle classi lavoratrici. Non so infatti quale differenza ci possa essere tra l’onorevole Nenni ed il sottoscritto e l’onorevole Giordani; prendiamo parte tutti e tre alla redazione di un giornale e alla vita di questa Assemblea; e così fra l’onorevole Togliatti e il sottoscritto: l’onorevole Togliatti viene qui molto simpaticamente vestito in bleu, io vengo in grigio; l’onorevole Molè e l’onorevole Nenni stanno, come dire, bene in salute; qualcuno di noi è più magro; ma calli alle mani non ne abbiamo nessuno. Siamo un po’ tutti lavoratori: si può essere lavoratori del braccio e lavoratori della mente e mi sembra che anche voi, in definitiva, siate lavoratori della mente.

Ma l’onorevole Nenni ha parlato di una classe dirigente superata, cioè la borghesia.

Egli ha parlato di una classe che nel 1940 parlava il tedesco, nel 1943 ha cominciato a parlare l’inglese ed oggi parla l’americano di Wall Street.

Credo che ci sia qui una confusione. Questa classe, se mai, o elementi di questa classe li potremo trovare in via Veneto, in una gelateria come quella qui vicina, da Giolitti, dove, del resto, molti di noi vanno a rinfrescare l’arsura che le concioni naturalmente provocano qui dentro.

Ma la borghesia non è quella. Se la borghesia è quella che ha compiuto il suo ciclo portando il fascismo al potere, c’è da domandare a tutti chi può effettivamente scagliare la prima pietra, perché non si sbaglia soltanto facendo, ma si sbaglia e si erra anche non facendo: e io credo che molto pochi sono quelli che veramente possano vantarsi di aver mantenuto sempre una perfetta linearità di condotta. E il fatto di essere così pochi, in una massa di popolazione come tutto il popolo italiano, dovrebbe ispirare loro un tale senso di magnanimità da non consentire di atteggiarsi a giudici della stragrande maggioranza del popolo italiano.

E se la borghesia ha fallito con l’avvento del fascismo, credo che ci siano episodi storici ben precisi che ci dicono che anche il socialismo ha fallito.

La realtà è che borghesia e proletariato sono due cose insopprimibili, sono gli anelli di una stessa catena. Se si sopprime la borghesia, prima o poi, si è portati a ricostituirne un’altra. Non si chiamerà borghesia, si chiamerà in un altro modo: è un’altra classe che può rappresentare le masse, ma non è la massa.

Ora, se ognuno avesse il coraggio di essere quello che è e se i borghesi – è questa l’accusa che noi per primi facciamo alla borghesia e ai borghesi – avessero il coraggio di essere tali e non di fare i falsi riformisti, le cose andrebbero molto, ma molto meglio.

Questo, forse, è il frutto di una situazione internazionale, e quindi nazionale, confusa. Ma il malcostume sta proprio in questo: che nessuno ha il coraggio di mostrarsi con i suoi inconfondibili connotati politici.

Il Governo è dunque identico al precedente. L’onorevole De Gasperi ha detto: «Il programma è identico a quello del Governo precedente».

Ora, se il programma è lo stesso, vuol dire che precedentemente nulla è stato fatto. Noi avevamo votato contro quel Governo e il suo programma; evidentemente ed a maggior ragione voteremo contro anche adesso, per il semplice motivo che quel programma non è stato realizzato. Il che, da un punto di vista di gruppo, ci fa molto comodo. Atterrisce però, dal punto di vista dell’interesse generale del Paese, il dubbio che questo programma o qualunque altro programma non possa essere realizzato. Si dirà: il Governo non riesce, i partiti non riescono, e si verrà a noi. Del resto noi siamo sorti proprio per gli errori che altri hanno commessi. Siamo sorti perché l’opinione pubblica, o una parte di essa, non ha trovato sodisfazione nell’attività dei partiti che erano al Governo; ha cercato un altro orientamento, e si è orientata verso di noi.

Ma noi siamo preoccupati dell’interesse generale del Paese, che è superiore a voi, a noi, a tutti quanti.

È questo il fatto (e per colpa dei partiti che si sono succeduti al Governo) per cui noi ci andiamo ingrandendo, per cui si determinano quelle crisi di crescenza della quale la stampa in questi giorni ci accusa. Siamo pochi qui ma, ricordiamocelo, le elezioni amministrative ci hanno dimostrato che noi abbiamo un notevole seguito nell’opinione pubblica. Ed ecco perché ritengo che ci dobbiamo preoccupare di quello che possa essere il programma del Governo e della sua eventuale mancata attuazione, soprattutto per quanto concerne la situazione economico-finanziaria.

L’onorevole Corbino disse qui che la politica delle sinistre è una politica di maggiori spese, e l’onorevole Nenni lo ha confermato: è una politica di maggiori spese, di spese pubbliche, per andare incontro alle masse. Ora, quando le casse sono vuote, come lo sono ora, non si può largheggiare se non facendo funzionare la rotativa dei biglietti, aumentando cioè la circolazione e quindi la miseria. Ma, se non erro, fu proprio uno dei vostri maggiori uomini a dire che non si socializza la miseria.

Il problema per noi è che sia rispettata la minoranza. L’onorevole Nenni ha modificato un poco, forse, il suo atteggiamento – se ho bene interpretato – dal suo famoso discorso della Spezia, che tante preoccupazioni suscitò, quando egli, parlando sul tema: «Dal Governo al potere», disse: «Si persuada il Paese, si persuadano soprattutto i ceti medi che, per evitare i rischi della guerra civile e la ricaduta nel totalitarismo, la sola garanzia è un forte partito socialista affiancato al partito comunista e alla testa dei blocchi del popolo». L’interpretazione che fu data allora fu quella di una minaccia, quella che fu chiamato un ricatto.

NENNI. Interpretate sempre male.

SELVAGGI. Può essere, onorevole Nenni; se lei chiarisce, interpreteremo meglio. L’interpretazione, comunque, che demmo fu questa: o così o la guerra civile. Del resto lei da molto tempo è conosciuto per gli «o, o»; quindi era giustificata la nostra interpretazione.

Ora, l’altro ieri l’onorevole Nenni è stato molto esplicito ed ha detto che si deve arrivar presto alle elezioni politiche, perché questa situazione un po’ equivoca, per cui è impossibile formare una vera maggioranza, deve essere risolta dal Paese ed anche perché dal 2 giugno la situazione generale del Paese è cambiata. Perfettamente d’accordo. Egli aggiunse: noi contiamo di riuscire, di vincere; se non riusciremo, ci prepareremo per le prossime elezioni. Noi prendiamo atto con grande piacere di questa precisa dichiarazione di democraticità! però l’onorevole Nenni, nel definire la democrazia, ha detto: la democrazia per noi è l’occasione, la possibilità di realizzare la libertà della lotta di classe. Una specie di quinta libertà dopo le quattro rooseveltiane. La lotta ha un significato: è un urto, è un cozzo; non si sa come si comincia, ma tanto meno si sa come si finisce. E ammettendo che questo metodo, dal piano interno, venga portato sul piano internazionale, a che cosa arriviamo? Ricordiamo il «proletari di tutto il mondo, unitevi!»; ed allora, l’ideologia di una terza guerra mondiale (ed io mi auguro che non sia questa l’interpretazione) non è della borghesia.

Ora, indubbiamente, l’evolversi della situazione generale del Paese richiede che al più presto possibile si arrivi alle elezioni e che questa situazione di difficili maggioranze – per lo meno difficili per il modo in cui devono essere formate – venga risolta ricorrendo alla sovranità del popolo. Al quale proposito vorrei dire una cosa: in materia di elezioni il Governo ha un impegno per quanto riguarda le elezioni in Sicilia; è un impegno da lunga data e forse, se mantenuto, potrà significare porre la prima pietra per la soluzione della questione meridionale che io vorrei definire la questione degli impegni non mantenuti.

Programma del Governo. La prima volta, l’onorevole De Gasperi ci disse che il suo è un programma di lunga portata e annunciò molte cose che erano in contrasto con la situazione in cui il Paese e l’Assemblea Costituente si trovavano, in quanto c’era un progetto di Costituzione, progetto oggi completato e che dovrà comunque esser discusso. Disse pertanto l’onorevole De Gasperi che vi erano argomenti i quali avrebbero potuto trovarsi in contrasto con i principî che sarebbero stati posti nella Costituzione. Così si parla qui di leggi eccezionali. Ma l’onorevole De Gasperi ha assicurato che, per nessuna ragione, sotto alcun pretesto, saranno emanate nuove leggi eccezionali. Io non credo che la Repubblica sia minacciata e la prova di disciplina offerta da tutto il popolo italiano, in un campo e nell’altro, dal 2 giugno in poi, ne è la dimostrazione più chiara. Direi piuttosto che è lo Stato che minaccia di essere in pericolo, quando, anziché rivendicare duramente, altamente, la propria autorità, la mendica, da una parte o dall’altra, con delle formule di compromesso. Noi non ci dimentichiamo delle buone intenzioni dell’onorevole De Gasperi, ma un generale scadimento del senso della legge si è determinato ed è giunto al punto che gli stessi tutori della legge osano attentare, con ogni espediente, alla pace e alla libertà dei cittadini.

Io credo che il momento sia giunto per attuare coraggiosamente il trapasso dall’illegalismo alla legalità, in maniera che la nuova Costituzione possa sorgere, non come l’habeas corpus di alcuni italiani, ma come l’habeas corpus di tutti gli italiani, come statuto di libertà di tutti i cittadini, e non come statuto di privilegio. Occorre, cioè, smantellare l’impalcatura delle leggi eccezionali e ridare a tutti gli italiani l’unica legge che valga per tutti, in uno Stato democratico consapevole della sua funzione e sicuro del suo avvenire. Debbono, di fronte a qualunque pericolo, bastare le leggi comuni, applicate da una Magistratura retta e indipendente. Ciò è nell’interesse del Paese; è nell’interesse di tutti che si rientri nella legalità. Debbo ricordare, a tal riguardo, le parole pronunciate dall’onorevole Sforza – egli che è stato, credo, il primo capo dell’epurazione in Italia – nel suo interessantissimo discorso. Egli disse: «Si capì presto che in Italia era poco meno che vano combattere il fascismo con la violenza e con le leggi di eccezione e che non si poteva vincerne i germi se non con un costume democratico moralmente rigoroso e politicamente efficiente. È un problema quindi soprattutto di democrazia, democrazia che noi dobbiamo attuare contro ogni idea di totalitarismo».

Un punto particolarmente delicato del programma dell’onorevole De Gasperi riguarda i consigli di gestione. Io non conosco il progetto del Ministro Morandi, ma ho l’impressione che esso prepari la socializzazione e non accantoni l’iniziativa privata. Ora, io penso che non possano queste due cose coesistere.

Una voce a sinistra. Perché?

SELVAGGI. Perché il consiglio di gestione, come voi lo intendete, è uno strumento politico e non tecnico, e quindi tale da rendere la produzione più onerosa. All’estero – e se non sbaglio nel Belgio – si stanno esperimentando i consigli di gestione, ma dal punto di vista economico. Se non erro, invece, in Russia l’esperimento non è andato bene, ed i Consigli di gestione sono stati da tempo aboliti.

DOMINEDÒ Sì, dal 1934.

DI VITTORIO. Perché non ce n’è bisogno! Mancano i capitalisti in Russia.

SELVAGGI. L’economia italiana è troppo malata per poter essere sottoposta ad esperimenti che non ritengo corrispondenti, in questo momento, alle sue necessità. Pensate solo che l’economia italiana deve oggi sopportare il peso delle riparazioni e del deficit del bilancio statale. Ora, in un momento come questo lo Stato non dovrebbe cercare di aumentare sempre più il numero delle sue attribuzioni economiche.

Indubbiamente, dopo cataclismi come l’ultimo, il mondo va a sinistra. E allora della democrazia si danno le più disparate e diverse definizioni. Una specie di Babilonia! La democrazia viene confusa con ogni cosa. Ieri l’onorevole Togliatti – mi dispiace che l’onorevole Giannini sia indisposto – trovò modo di dare una definizione della nostra democrazia quale essa è nei vari gruppi qui dentro. Per noi egli ha detto: la demagogia non sempre conseguente del Commediografo. Se non erro, c’è stato un articolo «Togliatti locutus est», al quale l’onorevole Togliatti non ha dato risposta con argomenti concreti.

Gli sconvolgimenti cui accennavo sono maggiori nei paesi che hanno subìto la sconfitta. Ma ad un certo momento il pendolo cambia direzione. Oggi non è in ballo la storia degli ultimi due o tre anni, ma la storia di quarant’anni. E non è stato in questi anni dimostrato che il secolo della democrazia debba preparare l’avvento del secolo del socialismo.

Ritengo che si debba ripudiare ogni forma di faciloneria, di improvvisazione, di mancanza di senso di responsabilità, di esaltazione del numero; e che si debba tornare all’individuo, il quale deve essere libero di esplicare la sua personalità, che è il più grande dono che Dio abbia dato all’uomo.

L’individuo deve essere libero: libero di poter emigrare dove ritiene meglio; e lo Stato ha il dovere di assecondarlo attraverso i mezzi internazionali conosciuti, non di cercare di guidarlo in una direzione piuttosto che in un’altra per ragioni di carattere politico.

Ed è questo che noi vogliamo: uno Stato tale per cui l’individuo possa veramente dirsi libero di esplicare la propria personalità. Perciò non abbiamo pregiudiziali, tranne che una: l’antiestremismo, qualunque sia la tinta dell’estremismo. Ecco perché siamo anticomunisti, non come formula centrale del programma, ma perché ci opponiamo a quanto di totalitario ci sia nel programma comunista.

Ricorro ancora all’onorevole Sforza. Egli dice: «Il comunismo non lo si combatte partendo da situazioni ciecamente e istericamente difensive; lo si neutralizza in ciò che ha di totalitariamente miope, affermando e persuadendo che noi possediamo un messaggio umano più alto del suo, perché il nostro messaggio allea ad una lotta per una sempre maggiore giustizia sociale la cura più gelosa per quella libera difesa dell’individualismo umano, senza cui la vita non vale la pena di essere vissuta».

Ora, giorni orsono, l’onorevole Scoccimarro disse che fra la democrazia cristiana ed il comunismo vi era minore distanza ideologica di quanta non ce ne fosse fra la democrazia cristiana ed i liberali. Lo stesso onorevole Togliatti ieri ha dimostrato – è il suo punto di vista – che non vi sono differenze ideologiche, dal punto di vista religioso, nella lotta contro i ceti capitalistici, nei principî di nazionalizzazione o di socializzazione. Io non so cosa si appresterà a rispondere la democrazia cristiana. Io dico, per quanto ci riguarda, che vi sono delle differenze nel metodo e nel fine che si vuol raggiungere. Il metodo, per noi, è l’esplicazione della personalità, il fine la libertà dell’individuo; per voi, la lotta di classe e la dittatura del proletariato.

DI VITTORIO. Per intanto è la dittatura del capitalismo.

RUSSO PEREZ. E noi siamo contrari a questo.

Una voce a sinistra. Siate coerenti!

RUSSO PEREZ. Siamo sempre coerenti.

Una voce a sinistra. Però, la dittatura fascista l’avete fatta voi.

RUSSO PEREZ. Siete fascisti voi! Non è il colore della camicia che cambia la sostanza delle cose.

SELVAGGI. L’onorevole Togliatti disse ieri che i nostri predecessori in questi banchi avevano per metodo la lotta e per fine la dittatura. Ora, e voi non lo avete mai smentito, il metodo della lotta e la dittatura come fine, lo avete voi. E allora i predecessori vostri erano i fascisti (Interruzioni a sinistra). Noi invece, che non siamo una chiesa, ma un movimento di uomini liberi, ci riconosciamo dall’amore che sentiamo per l’Italia e chiediamo soltanto che il Paese possa essere saggiamente amministrato, perché non credo che in questo momento ci possiamo permettere il lusso di disquisizioni dottrinarie, né lussi dialettici, che non sarebbero al loro posto. Lo Stato dia una polizia che salvaguardi i galantuomini, una giustizia organizzata, un esercito decoroso, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Credo che in questo modo si sarà posta o si potrà porre la prima pietra di quella famosa questione sociale che tutti sentono in Italia e che si basa soprattutto sull’ordine interno. Si cessi, cioè, una buona volta dalle minacce, da quella specie di cappa che grava sull’individuo, come per esempio l’imposta sul patrimonio. Se la si deve mettere, la si metta, ma non si tenga in sospeso con l’alternativa «si metterà o non si metterà», perché chiunque ha qualche cosa da fare, con questi dubbi, non si muove, e tutta l’economia resta ferma. Se si deve fare il cambio della moneta lo si faccia; se non si deve fare, non lo si faccia; ma lo si dica.

A proposito dell’esercito dirò due parole. L’onorevole Lombardi ha parlato nobilmente di quello che dovrebbe essere un nuovo esercito, un esercito decoroso, in maniera che non si ripetano gli episodi delle pianure sarmatiche o di El Alamein. Devo dire che quando gli italiani hanno risposto all’appello della Patria e sono andati a combattere, non hanno discusso; come nessuno discuterebbe oggi anche se – estrema ipotesi – vi fossero i comunisti al potere e dicessero che l’Italia è in pericolo e che bisogna combattere. Tutti, credo, si metterebbero in marcia e andrebbero a combattere. Ma quello che noi non possiamo perdonare, anche a persone illustri, quali l’onorevole senatore Croce e altri, è di essersi auspicata la sconfitta della patria per faziosità politiche. (Approvazioni).

Il nostro esercito deve essere costituito, a mio parere, da coloro che sanno il significato morale della Patria e che hanno combattuto per un’idea. E mi pare che tanti fra i volontari del Corpo italiano di liberazione che hanno scritto pagine meravigliose a Montelungo e per la liberazione di Bologna, possano benissimo affiancarsi ai partigiani che, oltre che per gli ideali di libertà, hanno combattuto per la Patria.

MOSCATELLI, Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci e ai partigiani. E allora perché li chiamate ladri?

RUSSO PEREZ. Ladri i ladri, eroi gli eroi!

MOSCATELLI, Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci e ai partigiani. Io sono partigiano e ieri voi l’avete detto. Ho le orecchie buone.

BENEDETTINI. Ce ne sono di quelli che hanno fatto onore all’Italia.

SELVAGGI. Onorevole Moscatelli, io ho avuto l’onore di essere partigiano e di essere decorato di medaglia d’argento, e coloro che me l’hanno assegnata non erano nemmeno delle mie idee politiche. Rispetto ed onoro i partigiani, ma anche voi, più volte, avete detto che fra i partigiani si sono infiltrati dei ladri e dei delinquenti.

MOSCATELLI, Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci e partigiani. Anche dall’altra parte si sono infiltrati.

SELVAGGI. Sul sangue dei morti credo che nessuno possa avere il diritto di fare della demagogia.

E vengo al problema di politica estera.

Credo che la politica estera odierna si possa definire la politica del Trattato di pace. Si è discusso della firma o non firma, della ratifica o della non ratifica. Il Governo ha preso la decisione che ha ritenuto di prendere con la sua piena e completa responsabilità. Sta a lui fare in modo che la ratifica diventi veramente l’atto decisivo del Trattato di pace, cioè sta al Governo fare in modo, coi mezzi che crederà più opportuni, che da parte delle altre nazioni, degli altri Stati, si riconosca questo diritto sovrano dell’Assemblea Costituente italiana in nome del popolo italiano. È questo già, a mio parere, un primo atto di politica revisionistica.

Ma su questa politica revisionistica è bene essere d’accordo, perché se all’interno noi potremo dividerci, potremo combatterci, all’esterno dovremo presentarci come un blocco solo, di tutti gli italiani.

Revisione di che? Revisione territoriale? Revisione delle clausole economiche? Revisione della clausole militari? Dovremo metterci d’accordo e questo è il punto fondamentale al quale dovrà partecipare la politica estera italiana.

Però bisogna anche mettersi d’accordo su un altro punto. Sui precedenti della politica estera italiana in questi ultimi anni. Io ritengo che noi abbiamo avuto paura. Si è avuta paura delle parole. Si è avuta paura della famosa parola «nazionalismo» (Rumori all’estrema sinistra). Parliamoci chiaro. Che cosa è il nazionalismo oggi? In Italia non è altro che patriottismo, cioè dignità di un Paese povero. (Rumori e commenti all’estrema sinistra).

Il nazionalismo espansionista lo possono fare soltanto dei Paesi che sono saturi, e quindi ricchi.

Una voce all’estrema sinistra. L’avete fatto voi per vent’anni.

SELVAGGI. Lo stesso onorevole Nenni, nel suo discorso di Canzo, ha toccato questo punto che io ricordo molto bene. Il problema era questo, dell’impostazione della nostra posizione nel piano internazionale.

Ritengo che c’erano due piani: uno che chiamerei ideologico moralistico ed un altro realistico empiristico. In un primo tempo volevano dire la stessa cosa. La propaganda attraverso la radio, che abbiamo sentita, faceva coincidere questi due piani, ma a poco a poco, i due piani sono andati spostandosi; il primo è stato definitivamente, completamente abbandonato per la tradizione della politica di potenza, perché credo che pochi popoli possano esprimere degli individui capaci di morire e di combattere soltanto per una idea, in modo particolare, per l’idea della libertà.

I Governi sono entrati ed entrano in guerra per vincere la guerra, per conquistare qualche cosa. Ora, io ritengo che noi abbiamo commesso l’errore di non accorgerci del graduale distacco di questi due piani, e soprattutto del conseguente cinismo col quale, da parte alleata, è stato considerato il nostro contributo alla guerra di liberazione, cioè la nostra cobelligeranza.

Noi siamo rimasti fermi al piano ideologico. Abbiamo sperato nella solidarietà antifascista, che avrebbe distinto fra l’Italia e il fascismo, nella solidarietà democratica verso questo Paese, che si avviava alla democrazia. Ci siamo cosparsi il capo di cenere. Abbiamo espiato; ma questo piano era sterile.

Partendo dalla colpevolezza dell’Italia, l’unica conseguenza era la pace punitiva o, al massimo, la pietà dei vincitori. Forse sul piano realistico era possibile almeno tentare di trattare.

L’onorevole De Gasperi disse un giorno qui: non abbiamo carte.

L’onorevole Nenni, nel suo discorso di Canzo, che ho richiamato, a proposito delle colonie disse: la Gran Bretagna non ha niente da guadagnare dalla nostra espulsione da quella che fu, retoricamente, chiamata la quarta sponda; non ha niente da guadagnarci la Francia. Non ha da guadagnare la civiltà. Soprattutto, non hanno niente da guadagnarci gli altri che conoscono i due volti dell’Italia, quello di Graziani e quello dei nostri lavoratori, superiori a tutti gli altri per ingegno, iniziativa, coraggio e operosità.

E disse anche: la vita non può essere una successione senza fine di provocazioni e di ripicchi.

Era qui una carta da negoziare. Se gli altri avevano interesse, anche noi potevamo averne uno, potevamo negoziare su questo.

Ma, soprattutto, c’era la posizione geografica dell’Italia e c’era il rapporto d’equilibrio fra le grandi potenze; rapporto e politica di equilibrio che erano ormai apparsi chiari, prima nel convegno di Mosca, poi di Yalta, poi di Potsdam.

Ecco la ragione per la quale noi, o per lo meno il nostro settore di destra non è antirusso, mentre all’interno, è anticomunista.

Ma, all’interno bisogna essere rettilinei, lineari; in politica estera si ha il dovere di essere spregiudicati nell’interesse del Paese.

L’Italia è fra due mondi: è all’incontro di questi due mondi.

Dice l’onorevole Nenni: l’Italia dovrebbe fare da bilancia fra questi due mondi. Indubbiamente, però, per fare da ponte o da bilancia, bisogna avere anche la possibilità, la forza di farlo. Intanto c’è una realtà ed è che quando il Paese ha fame, esso si rivolge verso chi gli manda effettivamente roba da mangiare.

Ora, l’Italia deve dimostrare che essa ama la pace perché ha bisogno della pace. E credo che la nostra migliore ambasceria di pace in tutto il mondo sia rappresentata dal Vaticano che, per il suo principio universale di pace, non può essere contro nessuno ma può essere con tutti a favore di tutti.

Io credo che sul piano tradizionale della democrazia, lasciando da parte la posizione ideologica, ma soltanto come italiani, noi potremo andare al di là del Trattato, e difendere questa piccola e povera Italia per noi e per il mondo come riserva morale e civile.

Ora, in questa fase di politica estera, in questa non sufficiente difesa delle possibilità politiche dell’Italia, nell’equilibrio fra le grandi potenze, il Governo dell’onorevole De Gasperi ha errato ed è caduto; e le forze che noi rappresentiamo, queste forze dell’uomo della strada, che da quarant’anni a questa parte è stato portato attraverso traversie di ogni genere – dalla triplice al patto di Londra, dal patto di Londra al fascismo e ad un’altra guerra, ecc. – hanno almeno il diritto di dire: siamo stati sconfitti, abbiamo perduto, paghiamo, ma paghiamo con un certo senso estetico della tradizione, quello della nostra grandissima, della nostra immensa civiltà.

Ci rendiamo conto delle difficoltà enormi che deve affrontare l’onorevole De Gasperi: queste difficoltà interne, queste affinità delle quali l’onorevole Togliatti molto abilmente ha parlato ieri, queste difficoltà esterne, difficoltà nel piano internazionale. E siccome per noi al disopra di tutto c’è il Paese, c’è l’Italia al disopra degli interessi del nostro partito, noi auguriamo all’onorevole De Gasperi di riuscire nel suo compito, nell’interesse del Paese.

Ma soprattutto noi formuliamo la speranza che gli italiani del ventesimo secolo, che hanno visto il compimento prima e la tragedia poi dell’unità nazionale e che portano nell’animo il ricordo di tutte le nostre glorie, formulino una preghiera, direi un giuramento, quello di essere gli artefici modesti, ma tenaci, delle fortune presenti e soprattutto future della nostra Patria. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bosi. Ne ha facoltà.

BOSI. Onorevoli colleghi, nell’esposizione del programma del Governo alcune questioni non sono state, secondo me, poste con sufficiente rilievo da parte degli intervenuti, forse perché si è adottato il sistema di affrontare tutte quante le dichiarazioni del Governo in una volta, senza approfondire i singoli problemi che sono stati posti.

Nella esposizione che riguarda la situazione economica del Paese, il problema della nostra agricoltura è stato toccato da alcuni interventi, ma non nella sua interezza e, a mio parere, nelle stesse dichiarazioni del Governo, pur essendoci alcuni punti di precisazione sull’azione che il Governo intende condurre in confronto di alcuni problemi che si trascinano ormai da anni, manca però qualcosa che, mi pare, avrebbe dovuto essere rilevato dell’Assemblea; e precisamente quale sia la politica, che il Governo intende condurre nei confronti dell’agricoltura, che è certamente, se non la metà, qualcosa che si avvicina alla metà della ricchezza del nostro Paese, ed i cui problemi costituiscono i problemi fondamentali della rinascita del Paese stesso.

L’industria ha avuto una trattazione abbastanza larga; si è parlato spesso di quello che è necessario fare nel campo industriale. Ma, nel campo dell’agricoltura si è parlato molto poco di questo. Eppure l’agricoltura italiana ha sofferto quanto l’industria dalla guerra ed ha delle ferite vive che bisogna riparare, ha delle necessità, alle quali il Governo, sia pure un Governo quasi provvisorio come l’attuale, deve pensare e sulle quali deve dire cosa intende fare.

Le ferite che occorre riparare sono: la ricostruzione del patrimonio distrutto dalla guerra nel campo dell’agricoltura: patrimonio zootecnico, patrimonio tecnico, danni apportati alla stessa terra, ferita, dove è stata luogo di battaglia; ci sono i problemi che riguardano le forze vive dell’agricoltura: cioè, tutti coloro che svolgono il loro lavoro, la loro attività, la loro intelligenza nel campo agricolo.

Una cifra sola, che viene ripetuta molto spesso, dice quali sono i danni che la nostra agricoltura ha sofferto: si produce in Italia in media il 30 per cento di meno di quello che si è prodotto nel 1938-39.

Questo perché manca il bestiame, mancano le macchine, mancano i concimi, mancano molte cose; ed anche per altra ragione: l’attività agricola non è spesso stimolata, ma intralciata da misure che la opprimono, e che sono qualche volta la eredità del passato, e da una mancanza di decisione nella politica stessa dell’agricoltura.

Noi abbiamo una sola ricchezza nell’agricoltura, e mi pare che sia la più trascurata: quella dei lavoratori. Se c’è un campo dove abbondano i lavoratori, dove la disoccupazione non viene calcolata nelle statistiche, ma è un fatto reale che investe non soltanto i braccianti, ma tutte le altre categorie di produttori, è proprio l’agricoltura.

C’è una cattiva utilizzazione di tutta la mano d’opera, di tutte le nostre piccole famiglie di conduttori diretti, di piccoli proprietari, i quali vivono in una terra troppo stretta, oppure mal coltivata, per una serie di ragioni che cercherò di esporre.

C’è una necessità di ripresa della nostra agricoltura, anche perché – e credo che siano tutti d’accordo – uno dei cardini della ripresa anche nel campo industriale è proprio la ripresa dell’agricoltura.

Si è fatto in passato, in quest’Aula, una critica alla nostra attrezzatura industriale; si è parlato di nuovi indirizzi della nostra industria e si è detto sovrattutto che occorre maggior legame fra l’agricoltura e l’industria. Bisogna che la nostra agricoltura fornisca le materie prime a quella che dovrà essere un’industria italiana, sana e capace di vivere trovando il suo mercato all’interno ed anche all’estero; in maniera che siano finite le sovrastrutture di industrie parassitarie, le quali gravano sul popolo italiano e su tutta l’economia, impedendole il libero sviluppo.

È evidente che non si può chiedere al Governo attuale di fare una politica, quale potrebbe adottare soltanto un Governo, che avesse dinanzi a sé prospettive d’una lunga durata, un Governo che si reggesse su un’Assemblea che avesse durata e fosse capace, perciò, di offrire delle basi solide al Governo stesso.

Però penso che oggi in Italia non si possa, qualunque politica si faccia, non tener conto che bisogna non soltanto fare qualche cosa per l’immediato bisogno di oggi, ma dare già un indirizzo per quello che occorra far domani. Bisogna, quindi, risollevare e utilizzare le forze che ci sono nell’agricoltura italiana, per vedere di risolvere i problemi dell’oggi, che sono soprattutto i problemi dell’alimentazione, del rifornimento, per quanto è possibile, di alcuni rami della nostra industria. Ma bisogna pensare già fin d’ora ai problemi del domani, che vogliono dire utilizzazione delle nostre possibilità nel campo dell’agricoltura, che vogliono dire in sostanza come utilizzare nel modo migliore quella terra che è la nostra terra, come potremo sviluppare la nostra agricoltura, la quale si trova, anche nelle regioni più sviluppate d’Italia, di fronte al problema del domani, quando – e credo che su questo tutti ci siamo pronunciati d’accordo – bisognerà affrontare i mercati esteri; bisognerà affrontare quella che è la politica commerciale e industriale senza bardature autarchiche e senza protezionismi. Bisogna fin d’ora pensare a questo: che cosa faremo rendere alla nostra terra? E io penso che il Governo dovrebbe già iniziare qualche cosa in questo senso.

L’onorevole Segni, che da diverso tempo regge il Ministero dell’agricoltura, qualche cosa ha fatto in questo senso; ha fatto se non altro, come esposizione di idee e di buone intenzioni. Io non credo che l’onorevole Segni voglia lastricare l’inferno con le sue buone intenzioni; qualche cosa di più concreto bisogna fare. Ho visto – e credo che gli onorevoli colleghi lo abbiano visto tutti quanti – il bilancio del Ministero dell’agricoltura. Ma essi avranno notato forse, come ho notato io, quanto in questa direzione, che è la direzione dell’avvenire, poco ci sia anche di intenzioni.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Noi dobbiamo, credo, modificare profondamente tutta la nostra agricoltura in vaste regioni italiane – in modo particolare nell’Italia centro-meridionale, dove la nostra agricoltura è più povera – dobbiamo sforzarci di affrontare questo problema: che cosa faremo rendere alle nostre terre argillose dell’Italia centrale e della Sicilia? Che cosa faremo degli altri terreni che abbiamo a disposizione e che, con le attuali conoscenze della tecnica agricola, non sappiamo in molti casi come rendere adatti a mantenere quella popolazione in un modo civile, umano.

Ebbene, nel bilancio del Ministero dell’agricoltura non ho visto che ci sia quell’impulso necessario alla preparazione di nuovi elementi della produzione, allo sviluppo e al buon appoggio dei tecnici che noi abbiamo in Italia – ce ne sono anche di fama internazionale – che ci dia modo di dire ai nostri agricoltori: «Questa è la via che dovete seguire, se volete che le vostre terre possano rendere». Non vedo questo, e non vedo, salvo qualche eccezione, neanche un accenno di indirizzo generale a quelli che sono i problemi che si ripetono sempre, che sono secolari, del rinnovamento della politica agricola, del miglioramento dei terreni, delle bonifiche, nonché del miglioramento delle condizioni dell’agricoltura nell’Italia meridionale. Ma anche qualche cosa in questo senso penso sarebbe necessario e utile fare. Perché, se non si affronta fin da oggi il problema dell’avvenire della nostra agricoltura, noi ci troveremo di fronte ad una tale situazione, nella quale non sarà più soltanto questione, specialmente per i lavoratori, di vivere male, ma sarà questione di dire: «In qual modo moriremo: di fame o impiccandoci?».

Infatti se dovessimo, nell’Italia di oggi, con la densità di popolazione che si è verificata specialmente mezzogiorno da quarant’anni a questa parte, trovarci nelle condizioni in cui ci trovammo durante la lotta doganale con la Francia, quando si è trattato di porre il dazio sul grano, dinanzi alla miseria, in larghissimi strati della popolazione lavoratrice dell’Italia meridionale; non avremmo ora i margini per poter dire a costoro: voi potrete vivere, male, ma vivere. Allora abbiamo mandato milioni di italiani a popolare l’Argentina od altre terre di altri Paesi; ma ora non avremmo più nemmeno questo scopo, perché è inutile farsi illusioni: a proposito di immigrazione, molti Paesi non si apriranno tanto facilmente e forse molti altri non si apriranno mai più. È in Italia che debbono trovare da vivere i nostri agricoltori. Perciò questo problema bisogna affrontarlo; il Governo qualche cosa dovrebbe dire al riguardo e così pure l’Assemblea dovrebbe pronunciarsi su quello che è necessario di fare.

Si è tuttavia cominciato a ricercare quali sono le deficienze della nostra agricoltura: recentemente sono stati tenuti dei convegni a Napoli, nei quali si è posto il problema della bonifica agraria meridionale. Il Ministero dell’agricoltura ha convocato delle riunioni per vedere quali sono le deficienze tecniche della nostra agricoltura e quali provvedimenti occorrano. Qualche cosa si è visto dunque in questo campo, e mi pare che l’indirizzo del Ministro Segni sia giusto, sia pure con qualche manchevolezza.

La questione della bonifica e del miglioramento fondiario dell’Italia meridionale è stata finalmente posta in rilievo come un fattore essenziale sul quale bisogna contare. Si è detto che la bonifica agraria non è soltanto un fatto tecnico, né soltanto il risultato di una erogazione di miliardi che dovrebbe fare lo Stato, ma deve essere soprattutto frutto del concorso paziente dei lavoratori.

Per molte zone dell’Italia meridionale la bonifica si è fatta, perché l’hanno fatta i piccoli contadini, su poca terra, riuscendo a comperare con il danaro guadagnato all’estero, come emigrati e con gravi sacrifici. Quei giardini, di cui siamo tutti orgogliosi, che si vedono nelle varie zone costiere anche in Sicilia, sono soprattutto frutto del lavoro e del sacrificio di questi contadini.

Ebbene, si è riconosciuto finalmente che questa forza deve essere utilizzata, e speriamo che lo sarà realmente. Oggi si vede che mancano ancora numerosi mezzi alla nostra agricoltura: così noi non possiamo risolvere il problema della meccanizzazione generale dell’agricoltura, e dobbiamo perciò chiedere i maggiori mezzi possibili. In Italia manchiamo di trattori: ci sono terre le quali potrebbero, per il solo fatto dell’aratura meccanica più profonda, essere molto redditizie; abbiamo la possibilità di sviluppare determinate lavorazioni soltanto se ci saranno le macchine necessarie a disposizione. Ma in Italia di trattori se ne fabbricano pochissimi; qualche azienda industriale potrebbe fabbricarne, per i nostri contadini, che devono dare pane al popolo italiano; ma forse le nostre industrie meccaniche preferiscono ancora fare automobili di lusso. Non lo so, ma perché non c’è ancora la possibilità di costruire questi trattori? E un problema che va risolto, perché l’Italia ha bisogno di macchine agricole per trovare un mercato all’interno e per attrezzarsi domani, anche per poter affrontare i mercati esteri. Mi pare che questa questione sia fondamentale e che non si possa lasciare in questo campo all’iniziativa privata dei proprietari delle grandi industrie meccaniche, i quali, potrà darsi benissimo che abbiano interesse a fabbricare automobili di lusso per i ceti privilegiati italiani e qualche migliaio di macchine per l’esportazione; ma il popolo italiano ha il sogno di trattori per poter sviluppare la propria agricoltura.

È uno di quei casi nei quali noi abbiamo chiesto e richiediamo l’intervento del Governo; e crediamo che sia uno dei casi di regolamentazione, che non vogliono dire socializzazione o nazionalizzazione, ma indirizzo da darsi alla nostra industria, perché serva al Paese.

Ci sono delle situazioni che vanno superate. Ad una riunione presso il Ministero dell’agricoltura, quando si è trattato di discutere il problema dell’estensione della coltivazione della bietola da zucchero, si è osservato che ci sarebbe stata, forse, convenienza e possibilità, di coltivare in Italia la bietola necessaria per produrre tre e mezzo o quattro milioni di quintali di zucchero e si è scoperto che, almeno fino alla data di un mese e mezzo fa, noi avevamo esattamente la metà del seme occorrente per questa coltivazione.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non si è scoperto nulla; non siamo riusciti ad averlo dall’estero.

BOSI. Ma questo che cosa significa? Significa che occorre una maggiore cura e una maggiore sorveglianza sulle questioni che riguardano il rifornimento per la nostra agricoltura e i mezzi necessari per poter produrre.

Ma ora, mi domando un’altra cosa: tutta questa situazione, che ha anche molti altri aspetti, da che cosa deriva? C’è un eccessivo controllo da una parte e mancanza di controllo dall’altra. Ciò significa semplicemente questo, per me: che Nel-l’agricoltura, come purtroppo anche in altri rami della nostra economia, la bardatura fascista continua a pesare e continua a pesare, perché chi ha dominato e domina ancora nell’economia italiana sono quelli che dominavano prima. Noi dobbiamo togliere la bardatura fascista, se vogliamo riprendere effettivamente la nostra capacità economica; perché, onorevoli colleghi, si parla spesso di vincolismo e di non vincolismo; ma, di fatto, in che regime viviamo noi oggi? Noi viviamo in pieno regime vincolista e qualunque sforzo abbiamo fatto nel campo dell’industria, nel campo agricolo, per scuotere determinate bardature, non siamo riusciti a scuoterle definitivamente.

Il liberismo dove si è rifugiato? Nel campo e negli interessi di coloro che hanno le leve economiche nelle mani, che domandano libertà. Però, nell’agricoltura gli agricoltori non hanno la libertà di disporre dei loro prodotti, perché non c’è ancora un solo organismo nei vari rami della nostra agricoltura che sia diretto dagli agricoltori stessi. Noi continuiamo a conservare consorzi, organizzazioni, che invece di avere dei presidenti nominati dal Governo fascista hanno un Commissario nominato dal Governo democratico; però la sostanza è questa: che i direttamente interessati non possono metterci il naso.

E allora, cosa avviene? Che le stesse soprastrutture economico-corporative permangono, per cui in questi consorzi chi domina non è neanche il Governo, non è neanche il Commissario; sono quelli che hanno sempre dominato, gli industriali. I quali, quando si tratta di dar vita ad uno statuto democratico per il Consorzio canapa, per esempio, trovano modo di porre al Ministero dell’agricoltura e foreste infiniti ostacoli, perché siano finalmente soltanto agli agricoltori ad amministrare i loro consorzi. Non ci si deve cacciar dentro anche l’industriale, il quale, quando si tratta di fissare il prezzo della canapa, per esempio, vuole intervenire, ma quando si tratta di fissare i prezzi dei manufatti di canapa allora non vuole nessun controllo. Si hanno, quindi, risultati di questo genere che, con la canapa che costa cento lire il chilo, si produce lo spago che viene venduto a ottocento lire il chilo; e quando andate a comprare le tovaglie e i tovaglioli di canapa che pesano circa 100-150 grammi ciascuno li pagate duemila lire, mentre la materia prima costa appena 150. Ora non c’è una spesa tale di lavorazione da giustificare questi prezzi. Questo è un esempio concreto di ciò che vuol dire l’intervento degli industriali in determinati organismi. Bisogna smobilitare; bisogna che gli interessati abbiano la possibilità, di organizzarsi autonomamente, in modo da difendere e tutelare i loro interessi, e che non ci sia intervento di gente che a sua volta non è controllata.

E vi voglio parlare di quello che avviene nel consorzio bieticultori, dove c’è un Commissario che è una degnissima persona onesta, ma che non capisce niente di problemi della produzione e di quello che accade in questo campo. Infatti si verifica che viene fissato il prezzo delle bietole, ma quello dello zucchero non è legato a questo prezzo e l’anno scorso, secondo i calcoli finora fatti, gli zuccherieri hanno guadagnato 11 lire il chilo, regalate così, e poi altre cinque che sono state pure regalate, maggiorazioni che sono andate a scapito degli agricoltori e dei consumatori italiani.

Bisogna decidersi a smobilitare tutte le attrezzature fasciste e dire finalmente che i consorzi agrari ed i consorzi dei diversi generi di produzione debbono esser dati in mano a coloro che sono i più direttamente interessati. La politica attuale non è una politica che tende veramente a democratizzare la vita italiana, a stimolare i produttori, e non è neanche la politica, che noi abbiamo indicato, dei necessari interventi del Governo per regolare l’economia nell’interesse del Paese; si continua invece a fare semplicemente il giuoco e gli interessi dei gruppi capitalistici, di quei gruppi di grossi industriali, che sono bene uniti fra di loro, e fanno la loro politica libera senza nessun impaccio, gravando su tutto il popolo italiano.

C’è oggi una politica che è imposta da una, necessità, in Italia: la necessità di far fronte all’isolamento del nostro Paese nei confronti dei mercati esteri. Questa è la politica degli ammassi. Noi abbiamo bisogno di poter fornire alla popolazione lavoratrice, specialmente delle città, dei prodotti che non siano a prezzi proibitivi. La politica degli ammassi è necessaria; noi non siamo contro questa politica; non lo sono nemmeno i contadini; ma essi fanno il ragionamento che faceva poco tempo fa qui l’onorevole Paolo Bonomi: perché l’ammasso deve esserci solo per noi e non anche per gli industriali? E perché l’ammasso non è fatto particolarmente per i prodotti industriali di largo consumo, specie quando si tratta di prodotti utili all’agricoltura? Si assiste invece ad un curioso fenomeno: in Italia si producono concimi, vi sono determinate assegnazioni di cui godono però soltanto pochi coltivatori, mentre gli altri devono ricorrere alla borsa nera pagando un prezzo maggiore che spesso è sei volte quello ufficiale. Perché i vestiti, le macchine non devono essere controllati? Noi domandiamo che i produttori di questi generi ci dicano quali sono i loro prezzi economici e che li rispettino una volta che siano stati fissati, e non diano quei prodotti al commerciante, il cui mestiere è di vivere sul trapasso delle merci, e viverci lautamente; ma, diano ai produttori stessi dell’agricoltura la possibilità di avvalersi, offrendo alla popolazione italiana una parte dei loro prodotti vincolati nel prezzo, dei sacrifici che essi fanno.

Io penso che in questo campo non si è fatta mai una politica troppo chiara; si è oscillato fra l’enunciazione dell’ammasso totale e la larghezza con cui si sono lasciate correre le evasioni, per cui l’ammasso totale non c’è stato. È avvenuto così che gli agricoltori in buona fede hanno consegnato agli ammassi, mentre sono stati poi, molte volte, non solo defraudati della loro spettanza, ma anche beffeggiati dai più disonesti, che non sono mai stati colpiti. È stata fatta una politica simile tutte le volte che si è trattato di reperire i grassi, i cereali, ecc., in cui si è colpito sempre i piccoli, mentre i grossi sono sempre sfuggiti Anche l’ammasso dell’olio – esempio patente – è stato parziale; eppure bisogna assicurare i prodotti essenziali alla popolazione. Che cosa è avvenuto invece in molte regioni? Questo: che i piccoli hanno fatto il loro dovere e i grossi non hanno effettuato le consegne; adesso accade così che, per consegnare gli ammassi, si fanno pressioni sui piccoli, obbligandoli, o moralmente o in altro modo, a dare la parte da loro trattenuta per uso familiare.

C’è l’esempio dei grassi: voi ricorderete tutti, onorevoli colleghi, l’incidente occorso l’anno passato tra il Presidente del Consiglio e le Camere del lavoro emiliane. Esse inviarono un telegramma al Presidente del Consiglio, per sollecitare provvedimenti a proposito appunto degli ammassi. Esse chiedevano appunto la rapidità, perché altrimenti alcuni prodotti sarebbero sfuggiti: quelli di carattere industriale. Ora avviene che i piccoli produttori, per esempio, dei suini, consegnino tutti i loro pochi chili, mentre i grandi industriali non consegnano niente.

Questo è il risultato di una politica che dirò incerta; bisogna invece, in questo campo, provvedere fin da oggi alle necessità dell’anno prossimo, anzi di quest’anno stesso. Non si deve arrivare al momento del raccolto, senza aver già previsto le necessità del Paese e senza aver trovato il modo di far sì che tutti obbediscano alla legge. Non deve avvenire che una regione consegni tutto e le altre no. Una politica in questo campo deve essere energica e, soprattutto, chiara, senza che si differiscano le decisioni che si debbono prendere.

Ma tutto questo, onorevoli colleghi, è nel campo, direi, tecnico. Ed io credo che siamo tutti d’accordo nel ritenere che, nell’economia politica, tutta quanta l’attività sia un’attività di uomini; e, quando noi parliamo della nostra agricoltura, dobbiamo pensare a quello che sono le forze attive: senza l’incoraggiamento alle quali, tutti i provvedimenti tecnici non servirebbero a nulla. C’è una politica, in questo campo, chiara.

Il Presidente del Consiglio ci ha detto di alcuni provvedimenti che intende adottare per questioni che si dibattono da tempo nella nostra agricoltura. Ci auguriamo che tali provvedimenti vengano attuati. Ma era proprio necessario, ci domandiamo, che si fosse formata nelle nostre campagne la situazione che esiste oggi, che è di estrema tensione, per arrivare ad applicare quei provvedimenti di cui si è parlato molte volte, che sono stati promessi e che non sono stati mai realizzati? Io credo che questo sia un errore, soprattutto nel senso che lo sforzo delle classi lavoratrici nelle campagne non doveva essere misconosciuto. Questo sforzo era soprattutto diretto a salvaguardare gli interessi della produzione. Voi dovete ricordare che nelle campagne italiane, da due anni a questa parte, gli scioperi si contano sulla punta delle dita, non hanno mai coinvolto il raccolto o qualsiasi attrezzatura, non sono mai andati al di là di una sola Provincia. Eppure si tratta di milioni di lavoratori i quali – come è stato riconosciuto anche dall’altra parte dell’Assemblea – si trovano in condizioni miserabili. Si tratta di una classe intera di lavoratori, la quale ha dato alte prove di coscienza civile e patriottica, per cui avrebbe dovuto essere sostenuta di più nel suo sforzo di migliorare se stessa e contemporaneamente anche la produzione agricola. È stato fatto questo? No, perché oggi siamo in una situazione di estrema tensione nelle nostre campagne.

Si è parlato di una proroga, nel tempo, dei contratti di affitto, della quale si parla proprio nel momento in cui sta per succedere la tragedia. Non bisogna aspettare neppure un giorno, perché tra qualche giorno dovrebbe esservi l’immissione dei nuovi coloni nelle colonie e nei terreni dai quali sono stati sfrattati: e ciò può portare a conflitti. Si potrebbe dire che la situazione attuale ha le sue giustificazioni, che vi sono ragioni per cambiare i coloni, che queste ragioni possono essere tecniche: ad esempio, quella che è necessario adattare i poderi alle forze della famiglia colonica. Ma non credo che l’Assemblea penserà che i mezzadri ed i fittavoli siano così stupidi da voler restare su un podere quando non riescono a coltivarlo. E d’altra parte, se queste ed altre simili sono le ragioni delle controversie, era facilissimo istituire commissioni paritetiche per la soluzione delle controversie stesse, e per la circolazione dei coloni e degli affittuari. Ma in verità la ragione delle numerosissime disdette è un’altra, e va ricercata nello spirito di rappresaglia per le lotte sindacali; inoltre, le disdette sono un’arma che si tenta di usare, specialmente contro i fittavoli, per aumentare gli affitti: «o tu mi paghi di più per l’affitto, o ti caccio via». E siccome nelle nostre campagne l’esuberanza della mano d’opera è tale per cui vi è sempre il disgraziato che ha fame e che è disposto ad accettare condizioni capestro pur di avere la possibilità di vivere ed a fare anche la forca al compagno, all’amico, qualche volta al familiare, per sostituirlo nel terreno dal quale è stato sfrattato, il giuoco è facile.

Ma c’è di più. Io domando: ci si rende conto di una questione di molta importanza, cioè che in Italia oggi si sta rovinando, nell’agricoltura, quella che è la classe che ha maggiori meriti; la classe dei fittavoli, dei lavoratori, che sono, se vogliamo, gli industriali, gli artigiani dell’agricoltura?

Sento spesso parlare della necessità di aiutare i ceti medi, perché sono la forza del Paese. Ebbene, non ci si accorge che oggi nelle campagne italiane sta avvenendo il fenomeno che dal più grosso fittavolo industriale, il vero e proprio capitalista, l’imprenditore – una classe che in Italia ha dei meriti, perché nella Lombardia e nella Emilia ha dimostrato di avere la capacità di sapere impiegare i capitali in favore della terra – fino al più piccolo fittavolo di tutta l’Italia, vi è la minaccia della rovina? E ve lo dimostro. C’è in Italia un fenomeno a cui è necessario porre attenzione, ed è questo: se voi fate un confronto con le condizioni che vi erano in Italia dopo l’altra guerra e vedete la spinta che vi era da parte di questi fittavoli ad acquistare la terra e gli acquisti che sono stati fatti, e la situazione attuale nella quale non si compra la terra se non da parte degli speculatori e dei «borsaneristi», trovate la dimostrazione chiara e concreta che oggi chi possiede denaro per comperare la terra non sono i lavoratori della terra. Questa è una realtà che dovrebbe dirci qual cosa. Ed il fatto che piccoli e grossi fittavoli sono oggi uniti in Italia in una unica rivendicazione, quella di volere una diminuzione degli affitti, dimostra che questa categoria, che dovrebbe essere una categoria benemerita della nostra agricoltura, è in condizioni che se non si risolve il problema degli affitti, deve capitolare. Molti hanno già capitolato. Vi sono imprenditori che hanno già venduto le loro macchine ed il loro bestiame, e sono andati a fare qual cosa altro, forse anche gli speculatori.

Oggi si sta verificando che coloro che affittano le terre e che posseggono terreni non conoscono niente di agricoltura. Noi avremo in Italia un fenomeno che si sta già notando in molte zone, con l’acquisto dei terreni da parte degli incompetenti, il fenomeno della pecora che mangia l’uomo, perché è evidente che quando un proprietario fondiario arriva a fare per un ettaro di terreno a pascolo 40.000 lire di affitto, non ha nessuno interesse ad impiegare il capitale, né a tenere il fittavolo, ed occuparsi di agricoltura. La rendita è tale per cui può vivere comodamente.

Ora, gli affitti in Italia sono arrivati a cifre pazzesche, cifre che non sono soltanto in relazione alla svalutazione della moneta. Onorevoli colleghi, qui la questione è un’altra. Nella Lombardia, per esempio, dove si pagano gli affitti in natura, non si paga più 60-70 chilogrammi di grano per pertica milanese, ma se ne pagano 80-100 o 120, cioè quasi quasi l’affitto in natura è raddoppiato. E che cosa resta al fittavolo? Non altro, se non moneta svalutata.

Questa è una situazione molto grave, e quando io sento dire dal Ministro dell’agricoltura: «facciamo le condizioni per l’equo affitto», io dico che non basta, perché è come se voi faceste un tribunale senza leggi da applicare. Gli affitti non devono superare un determinato limite, perché i fittavoli possano vivere e lavorare (mentre oggi non riescono neanche a mantenere le scorte), e possano anche impiegare capitali e dare sviluppo all’agricoltura. Questo è necessario fare, altrimenti sono i soliti pannicelli caldi che non servono a niente.

Una delle forze dell’agricoltura sono i ceti medi della campagna, di cui tutti parlano, ma quando si tratta di difenderli effettivamente tutti esitano. Perché? Nei confronti di chi? Perché c’è il sacro diritto di proprietà che bisogna difendere. Ma, colleghi, si parla anche che bisogna aiutare la piccola proprietà a formarsi. Ma forse noi riusciamo a difendere la piccola proprietà e a formarla coi miliardi che il Ministro dell’agricoltura vuole mettere a disposizione per comperare la terra? Ma è una legge economica molto semplice questa: tanti miliardi e tanto aumento del prezzo della terra. Il proprietario che vuole vendere vorrà guadagnare lui questi miliardi. Che cosa sarebbe il risultato di tutto questo? Il contadino dovrebbe esattamente sborsare quello che sborserebbe se non ci fossero questi miliardi. Perché bisogna mettere la questione in questi termini: oggi sono pochi i proprietari che vogliono vendere; si lamentano che stanno male, si lamentano che sono rovinati, ma nessuno oggi vende la terra in Italia; e mi pare che questo sia sufficiente indicazione di quella che è la situazione nel campo della proprietà.

Del resto, basta pensare a quali sono i risultati dell’indagine fatta dal Catasto in questo campo, per vedere la ragione per cui non si vende la terra. È molto semplice! C’è in corso un’indagine da parte del Ministero delle finanze, dell’Ufficio del catasto, per vedere come applicare l’aumento dell’imposta fondiaria. Le rilevazioni fino ad oggi sono queste: il reddito fondiario è aumentato da un minimo di 24 volte a un massimo di 80. Un minimo di 24 volte nei terreni più poveri, dove c’è minor capacità e minor possibilità di produzione. Questo aumento viene conseguito malgrado che alcuni prodotti siano a prezzo vincolato e proprio in quei posti dove il reddito è arrivato solo al 24 per cento, ma dove non ci sono i prezzi vincolati, è arrivato all’80 per cento. Ebbene, questo 80 per cento sulle spalle di chi va? Lo si guadagna sulle spalle del coltivatore e del consumatore. Questa è la realtà! Per questo motivo non si vende. Perciò sono inutili i miliardi che il Ministero dell’agricoltura vorrebbe dare per formare la piccola proprietà.

C’è un solo mezzo per formare una piccola proprietà, ed è questo: diminuite gli affitti e diminuirà il costo della terra ed allora i nostri contadini potranno comprare la terra. Questo è il mezzo che bisogna adoperare, ed avremo un duplice risultato: di permettere la formazione della piccola proprietà, e di limitare il numero di coloro che hanno bisogno di vendere alla borsa nera anche per vivere. Perché quando tenete alto l’affitto, non c’è niente da fare: il contadino, se vuole vivere, deve portare almeno una parte dei prodotti alla borsa nera.

Ma c’è qualche cosa di peggio: quella piccola quantità di prodotto che porta alla borsa nera lo fa complice necessario di quei quintali, di quelle quantità molto più grosse che i grossi proprietari portano anche essi alla borsa nera. C’è tutta una complicità fra piccoli e grossi in questo campo, dovuta al fatto che i piccoli non possono fare a meno di portare alla borsa nera, se vogliono vivere, una parte del loro prodotto.

Questo è il sistema che dobbiamo adottare se si vuole effettivamente fare una politica che poi è una politica di facilitazioni per le nostre campagne: una politica, se volete, di sistemazione sociale, una politica di rafforzamento della democrazia, perché tutti quanti siete d’accordo che il contadino tranquillo, pacifico nel suo possesso, è un elemento formidabile di difesa della democrazia. Se volete che ci sia questo, pacificate le campagne, intervenite contro coloro che vi portano il turbamento con ondate di carte bollate e di persecuzioni che si stanno facendo.

Si parla spesso di leggi che non vengono osservate, di ordine pubblico turbato, di incidenti che accadono. Bisogna parlare anche di questo, perché mi pare che vi sia un equivoco alla base. Se non lo chiariamo, l’ordine delle campagne non potrà essere ristabilito. Si sente spesso, da una parte e dall’altra, accusare, per esempio, la Magistratura di non essere imparziale. Che cosa significa questo? Una cosa molto semplice. In Italia noi non abbiamo ancora una stabilità nel campo delle leggi. Se si vuole applicare le leggi, vediamo che la maggior parte di esse sono quelle lasciate dal fascismo. Di leggi nuove della democrazia ce n’è solamente qualcuna – parlo nel campo dell’agricoltura – ma questa qualcuna così povera, perché mentre quelle altre autorizzano i carabinieri a farle osservare, per fare eseguire le leggi emanate dal Governo repubblicano e democratico non ci va mai nessuno. Devono gli stessi contadini cercare di farle applicare. Ed ecco il decreto Gullo e la legge Segni. Sono i contadini che devono far applicare le leggi, inquantoché i proprietari vi si rifiutano. Ed allora che cosa si produce? Una carenza nella fiducia della autorità dello Stato, perché se noi andiamo ad osservare tutti i conflitti verificatisi negli ultimi tempi nelle campagne, ci accorgiamo che essi partono sempre da questo presupposto, che i contadini domandano che siano applicate le leggi fatte dal Governo repubblicano, e non trovano nessuno ad applicarle, mentre i proprietari vi si rifiutano, e troppo spesso la forza pubblica interviene per dire che non si devono applicare e che non sono delle leggi. Allora i contadini si agitano, fanno delle dimostrazioni; ma la forza pubblica interviene, mentre interviene la legge contro i contadini che vogliono l’applicazione delle leggi repubblicane e democratiche. È questa la causa di tutti i principali conflitti avvenuti nelle nostre campagne.

Occorre che questa situazione si risolva.

La democrazia in Italia è in fasce, se volete, non ha ancora cominciato, dalla Carta costituzionale a procedere per fare qualche cosa in questo campo.

Io domando: dobbiamo andare avanti ad applicare le leggi fasciste, le quali hanno un loro spirito e non soltanto la lettera? E lo spirito della legge fascista è anti-democratico ed è soprattutto lo spirito contro il lavoratore.

Quando si viene a parlare di applicazione delle leggi, dico: andiamo piano, perché se dobbiamo continuare ancora ad applicare le leggi fasciste, voi non manterrete l’ordine pubblico, ucciderete la democrazia e la Repubblica, perché quelle leggi sono state fatte contro la democrazia e la Repubblica.

Occorre allora che il Governo sappia intendere questa realtà e non parli formalmente di ordine pubblico, così come potevano parlarne coloro che ci hanno preceduti qua dentro.

Un’altra cosa ancora: io non sono favorevole ad eccessive leggi che vietino la libertà di parola, di stampa e di associazione a quelli che sono sospetti o sono relitti del passato regime.

La Repubblica non si difende in questo modo, si difende creando la democrazia, dando sviluppo alle forze che hanno voluto la Repubblica e contribuiscono al suo consolidamento, e fra queste forze ci sono innanzi tutto quelle dei lavoratori della terra.

Nelle zone in cui la maggioranza dei voti sono stati dati alla Monarchia, i voti per la Repubblica sono stati dati dai contadini, e a questi contadini oggi si vuol perfino vietare l’uso delle leggi fatte a loro favore. In riunioni avvenute in Sicilia fu detto che bisognava sospendere l’assegnazione delle terre ai contadini, perché, si disse, si trattava di disposizione di legge che non poteva riguardare la Sicilia. Si arriva a questo punto che l’applicazione delle leggi dello Stato è considerata da taluni un atto di demagogia, di cui un partito si può servire a danno degli altri, perché in Sicilia ci saranno le elezioni.

Ma l’applicazione delle leggi deve essere vanto di tutti i partiti, non di un solo partito, e se non vogliamo che l’ordine pubblico sia turbato, bisogna che le leggi siano applicate. I contadini domandano terra, la terra non è stata loro assegnata. C’è una questione che in Italia si trascina da parecchio tempo: la questione del lodo De Gasperi e della mezzadria, che non è di oggi. L’istituto della mezzadria si è cominciato a modificare già nel 1943, in periodo fascista. È un problema vecchio che risorge dopo il fascismo e che il fascismo aveva strozzato con la sua dittatura. È un moto di redenzione che mira ad ottenere l’effettiva eguaglianza della ripartizione.

Si parla spesso del contratto di mezzadria, in occasione del lodo De Gasperi, come di un problema il quale non deve essere neppure toccato, perché la divisione del 50 per conto dà alle parti quello che egualmente spetta loro. E non si vuole applicare nessun altro principio. Su questo terreno, anzi direi di più, sul terreno della semplice applicazione del lodo De Gasperi noi abbiamo sentito che gli agrari minacciano di accogliere col fucile coloro che andranno per applicare la legge.

Io credo che questo problema sia dovuto al fatto che è stato male impostato. Si vuol continuare con un criterio superato della nostra civiltà capitalistica.

In sostanza, che cosa si domanda da parte dei mezzadri? Che quella loro forma di conduzione sia equiparata ad una società. Ma io domando: che forma mai di società è quella che stabilisce a priori la divisione, che non tiene conto dell’apporto delle parti, che può essere rescissa solo da una parte in danno dell’altra? Una società di questo genere non sarebbe mai fatta da un industriale o da un commerciante: questa è una società fasulla, ed è una società che non fa mai i conti.

Siete di parere, onorevoli colleghi della Assemblea Costituente, che in Italia tutti i cittadini, quando si dispone delle loro fatiche e dei loro averi, abbiano il diritto ad un giusto compenso, ad un reddito di quella che è la loro fatica e l’impiego dei loro capitali? Ebbene, i mezzadri non domandano nulla di diverso. Domandano che il contratto di mezzadria sia stabilito sulla base del preciso apporto di ciascuna delle parti. Questo è quello che chiedono, e non chiedono niente di più.

Voi dite ancora e si dice spesso: «Vogliamo difendere i ceti medi».

Ebbene, i mezzadri sono anch’essi fra i ceti medi della campagna. Aiutiamoli, perché sono le forze della nostra agricoltura; ed avremo il risultato di permettere alle forze attive dell’agricoltura di sviluppare l’agricoltura stessa; la quale ha bisogno di lavoro e di passione e anche di capitali; che, purtroppo, i proprietari fondiari raramente mettono a disposizione della terra, salvo le dovute eccezioni.

Bisogna decidere su questo terreno. Ed allora l’applicazione del lodo De Gasperi, che è necessaria ed urgente, deve essere intesa in questo senso; inizio d’una trasformazione dei rapporti esistenti attualmente nelle nostre campagne, in modo che i ricordi del passato – che hanno avuto delle benemerenze indubitabili, come certi contratti agricoli – non abbiamo più nella nostra vita economica, politica e sociale una influenza ritardatrice e soffocatrice dello sviluppo delle nostre ricchezze nazionali.

Questo è il problema che va posto e noi lo poniamo in questo senso.

Il lodo De Gasperi deve essere applicato dappertutto. Questo è il principio dal quale si deve muovere; non dire da una parte sì, dall’altra no; perché potrebbe avvenire quello che accadde a me di sentire da un organizzatore della corrente democristiana:

«Insomma, cosa fa De Gasperi?

«Fa il lodo. E gli agrari ci guardano col muso storto; adesso non lo vogliono applicare; ed allora i mezzadri vanno dall’altra parte».

Io non faccio questo; e non ho intenzione di dire che ciò abbia importanza politica.

Per me la questione è un’altra. È che i mezzadri hanno una rivendicazione chiara e la chiedono al Governo ed all’Assemblea Costituente: è questa applicazione che ha importanza fondamentale per la nostra agricoltura.

Vi sono altre questioni, che riguardano molte regioni d’Italia, in modo particolare l’Italia meridionale. Si tratta di contratti che converrà modificare, specialmente quelli cosiddetti della mezzadria impropria.

C’è un problema che voglio porre all’Assemblea: abbiamo in Italia milioni di disoccupati nel campo dell’agricoltura, i braccianti che domandano lavoro e non riescono a trovarlo; ed allora sorgono conflitti e cresce la miseria e la disorganizzazione sociale.

C’è un principio adottato dal Ministero dell’agricoltura per due regioni, le Puglie e la Lucania, a proposito del progetto di irrigazione; c’è un principio nuovo, che deve essere applicato in tutta Italia, se vogliamo veramente risolvere i problemi della nostra agricoltura e della produzione nazionale. Il principio dice che le migliorie fondiarie della bonifica devono essere obbligatorie per il proprietario. Se questi non adempie ai piani di miglioramento, lo faccia lo Stato e si rivalga sul proprietario inadempiente.

Se c’è un imponibile di mano d’opera che va a turbare la pace di determinate aziende, non siamo noi a dire che questo non è vero. È vero. Ma come mangiano i braccianti?

Questo è un altro problema che bisogna risolvere. Ebbene, noi diciamo: non spendete a vanvera i milioni; obbligate a fare le trasformazioni fondiarie; assorbirete la mano d’opera in modo utile per tutta l’economia italiana.

Bisogna che questo sia realizzato, che non sia lasciato all’iniziativa delle organizzazioni dei lavoratori.

Bisogna che lo Stato intervenga a riconoscere giusto questo principio e lo faccia applicare; e vedrete che nelle nostre campagne ci sarà veramente la pace e la collaborazione. E noi non siamo contrari che vi sia, perché, guardate, che la collaborazione è andata molto avanti in questo campo, e i grandi fittavoli del Piemonte e della Lombardia oggi in qualche caso domandano la tessera della Federterra. E non è un caso, perché la collaborazione, in vista della produzione, è un obiettivo fondamentale di tutte le categorie dei lavoratori della terra.

Noi vogliamo ricostruire il nostro Paese; vogliamo dar sviluppo alla nostra agricoltura; vogliamo che le nostre campagne producano per il popolo; vogliamo che ci siano le materie prime per le nostre industrie, che potranno assorbire così nuove forze lavoratrici; che sorgano nuove industrie di trasformazione dei prodotti agricoli nell’Italia meridionale e settentrionale, che assorbano mano d’opera. Così noi avremo risolto uno dei problemi fondamentali della nostra economia e della nostra vita politica, perché il giorno in cui nell’Italia centrale e meridionale, e anche in quella del nord, i problemi saranno stati risolti con questo spirito di giustizia per i lavoratori, e di utile aiuto alle forze che daranno ricchezza al nostro Paese, ci sarà la pace sociale, ci sarà la pace politica, ci sarà lo sviluppo che noi vogliamo per il nostro Paese. E allora potremo anche vedere che quella aspirazione che è nell’animo dei lavoratori di migliorare se stessi dal punto di vista economico, è l’aspirazione fondamentale a migliorarsi anche da un punto di vista umano: essi vogliono essere degli uomini capaci di essere utili a se stessi ed alla nostra società italiana.

Aiutate questa aspirazione dei contadini, che è così chiaramente espressa nell’interesse di tutto il Paese e avrete fatto opera di rafforzamento della democrazia e della Repubblica. (Applausi a sinistra).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Interpellanze con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Gallo, Finocchiaro Aprile e Castrogiovanni hanno presentato, chiedendone lo svolgimento d’urgenza, la seguente interpellanza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per impedire che si continui dagli organi di polizia ad usare in Sicilia, come si è fatto anche con i giovani indipendentisti, mezzi di tortura condannati dalla legge e dalla civiltà».

Chiedo all’onorevole Ministro dell’interno quando intende rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo il rinvio della discussione dell’interpellanza a dopo il voto di fiducia sulle dichiarazioni del Governo, perché l’interpellanza non ha carattere d’urgenza essendosi i fatti cui essa si riferisce verificati non in questo periodo, ma in periodi molto lontani.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Mannironi, Mastino Gesumino, Murgia, Chieffi e Falchi hanno presentato la seguente interpellanza, chiedendone la discussione d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere i motivi per i quali non sia stato ancora emanato il provvedimento legislativo già da tempo preannunciato, contenente provvedimenti destinati ad attuare in Sardegna un organico piano di bonifica, irrigazione e trasformazione fondiaria che risolva nel suo complesso il secolare problema sardo».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo se accetta l’urgenza.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Risponderò nella prima seduta in cui si discuteranno le interpellanze.

Risultato della votazione segreta sul disegno di legge costituzionale d’iniziativa della Presidenza: Proroga del termine di otto mesi previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sul disegno di legge: Proroga del termine di otto mesi previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente:

Presenti e votanti  353

Maggioranza        177

Voti favorevoli     333

Voti contrari           20

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Basile – Bassano – Basso – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bosi – Bozzi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Cianca – Ciccoluno – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Vittorio – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Falchi – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fusco.

Gabrieli – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Lupis – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magnani – Malagugini – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Molè – Molinelli – Momigliano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Natoli Lamantea – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Oro – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pera – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Platone – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rognoni – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Secchia – Segni – Selvaggi – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Veroni – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zotta – Zuccarini.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, dà lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se ritiene giusto che gli incarichi di insegnamento di materie giuridiche nelle scuole secondarie di Catania, siano assegnati a due non combattenti, senza tener conto dell’applicazione della legge che assegna il 50 per cento dei posti disponibili ai combattenti, e se crede opportuno di suggerire al Provveditore di Catania di assegnare metà delle ore d’insegnamento a chi dei combattenti ne ha fatto richiesta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«D’Agata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze e tesoro, per sapere se non ritengano opportuno di sospendere l’applicazione del decreto legislativo 31 ottobre 1946 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 dicembre 1946), in base al quale venne disposto che, ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio, il valore imponibile degli stabili venga automaticamente quintuplicato dal 1° gennaio 1947, o, in caso di reclamo, che la rettifica debba farsi sulla base del valore venale esistente alla data del 1° gennaio 1946, tale criterio essendo del tutto contrario al principio fin qui applicato, secondo il quale l’imponibile, per ogni triennio, doveva fissarsi (come è risaputo) sulla media del valore venale raggiunto nel triennio precedente.

«Tale criterio è tanto più ingiusto ove si consideri che, mentre, da un lato, la valutazione degli stabili si farebbe tenendo conto di un valore assolutamente precario e fittizio, dovuto all’inflazione, dall’altro esso esporrebbe i proprietari ad un tributo di gran lunga sproporzionato al reddito degli stabili stessi, aggravando, in tal modo, ulteriormente le condizioni già così precarie e difficili di quei piccoli proprietari che traggono i loro mezzi di sussistenza unicamente da tale reddito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bordon».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritenga equo ed opportuno proporre un disegno di legge che, integrando le norme degli articoli 74 e 79 del Trattato di pace, relative al risarcimento per i beni privati italiani, stabilisca l’obbligo statuale del risarcimento anche per quei beni esistenti nei territori ceduti di proprietà di cittadini italiani, che ai sensi del comma 9 dell’alligato XIV rimarrebbero di loro esclusiva proprietà, soggetti soltanto alle misure che nello Stato cessionario saranno adottate nei riguardi di beni stranieri di qualsiasi nazionalità.

«In realtà, è estremamente improbabile che i cittadini italiani residenti in Italia riescano ad ottenere la disponibilità dei loro beni situati nei territori ceduti alla Jugoslavia. L’Alligato XIV fa prevedere la espropriazione di detti beni, poiché non è possibile ritenere che lo Stato jugoslavo, totalitario e marxista, possa consentire nel suo territorio, specie a stranieri, il libero esercizio dei diritti di proprietà, specialmente quando abbiano per oggetto una impresa industriale. Non esiste, per altro, alcuna garanzia di sicurezza personale per i cittadini italiani che riescano ad ottenere il permesso di risiedere nei territori ceduti per curare i loro interessi. Ciò posto, se il Governo italiano, accertato quale trattamento è previsto dalle leggi jugoslave per la proprietà di imprese industriali straniere, non ottenga riposanti garanzie per la libertà e la sicurezza personale dei cittadini italiani, che avranno necessità di trasferirsi temporaneamente nei territori ceduti, appare equo ed opportuno che vengano indennizzati i cittadini italiani praticamente privati dei beni situati nei territori predetti, e nella stessa misura prevista per gli altri cittadini i cui beni siano soggetti a confisca ovvero ad espropriazione a norma degli articoli 74 e 79 del Trattato di pace. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e della difesa, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare perché le innumerevoli domande di pensione di guerra, diretta e indiretta, abbiano ad avere sollecita decisione, risultando giacenti e inevase centinaia di migliaia di pratiche che attendono da anni una definizione. Trattasi di vedove, di orfani, di genitori, che reclamano e giustamente dallo Stato la liquidazione di quanto loro dovuto e più volte invano reclamato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere – premesso che i terreni dei comuni di Poggiomarino, Terzigno e Striano e di alcune zone dei Comuni limitrofi, furono nel 1943 invasi dai tedeschi, che ne distrussero buona parte dei prodotti, e nel 1944 coperti dal lapillo eruttato dal Vesuvio, che tutto coprì, onde fu financo data la esenzione fondiaria e furono disposte altre provvidenze governative – se il Governo intenda dare immediatamente disposizioni di sospensione di accertamento e di pagamento dei sopraprofitti di guerra. E ciò ad eliminare un aggravio ingiusto e la contraddizione evidente, in cui cadrebbe il Governo, che da una parte dispose l’esenzione dalla fondiaria, ed ora riscuoterebbe sopraprofitti per quella terra che fu incolta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio».

«I sottoscritti chiedono d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze e tesoro, intorno alla convenienza economica, politica e sociale di utilizzare nel modo più profittevole le somme che vengono e verranno destinate ad opere pubbliche per alleviare la disoccupazione; e alla conseguente necessità di non assegnare tali somme in misura preminente o esclusiva al Ministero dei lavori pubblici, ma bensì di ripartirle così da favorire non meno le opere dipendenti dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste, con particolare riguardo:

  1. a) al ripristino dei fabbricati rurali e degli impianti rovinati dalla guerra;
  2. b) alle bonifiche e irrigazioni, e in genere alle opere di miglioramento fondiario, con le necessarie elevazioni dei contributi statali massime nelle zone di montagna;
  3. c) alla sistemazione di bacini montani, che la legge assegna allo Stato come opere d’importanza nazionale.

«Gortani, Ferrarese, Pat, Quintieri Adolfo, Cingolani, Fantoni, Moro, Burato, Rescigno, Uberti, Del Curto, Sullo, Guerrieri, Roselli, Tessitori, Carbonari, Balduzzi, Ferrario, Avanzini, Arcaini, Raimondi, Vicentini, Marazza, Sampietro, Valmarana, Fanfani, Cremaschi Carlo, Trimarchi, Bianchini Laura, Bertola, Guidi Angela, Bellato, Bettiol, Mannironi, Rivera, Conci Elisabetta, Pallastrelli, Colonnetti, Rumor, Rapelli, Alberti, Cimenti, Schiratti, Lizier, Micheli, Marzarotto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro competente non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.30.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 15:

  1. – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
  2. – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.