ASSEMBLEA COSTITUENTE
XL.
SEDUTA DI MARTEDÌ 18 FEBBRAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Interrogazione (Svolgimento):
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Natoli
Carboni
Commemorazione:
Mannironi
Mastino Pietro
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri:
Molè
Bei Adele
Nenni
Lussu
Sull’interrogazione del deputato Natoli:
Presidente
Natoli
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Reale Vito
Pertini
Finocchiaro Aprile
Lucifero
Giua
Piccioni
Patrissi
Russo Perez
Corsi
Condorelli
Mozione (Annunzio):
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
La Malfa
Russo Perez
Nasi
Finocchiaro Aprile
D’aragona
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
Aldisio, Ministro della marina mercantile
Gasparotto, Ministro della difesa
La seduta comincia alle 15.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
(È approvato).
Svolgimento di un’interrogazione.
PRESIDENTE. L’onorevole Presidente del Consiglio ha chiesto di rispondere alla seguente interrogazione presentata dall’onorevole Natoli nella seduta di ieri:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se, al fine di arrestare la campagna di insinuazioni diretta a svalutare l’Assemblea Costituente e di difendere il decoro di questa, non creda opportuno di pubblicare l’elenco dei Deputati i quali coprono una carica retribuita e affidata dal Governo, presso enti parastatali, economici, finanziari o in altri organismi che abbiano relazione con lo Stato, indicando anche l’ammontare della retribuzione o dell’indennità; se non creda possibile di invitare la Presidenza dell’Assemblea a richiedere ad ogni Deputato se fa parte, e in quale qualità, di istituti finanziari, economici o imprese private».
L’onorevole Presidente del Consiglio ha facoltà di parlare.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo si dichiara pronto a mettere a disposizione della Presidenza dell’Assemblea Costituente, ad ogni sua richiesta, l’elenco indicato dall’onorevole interrogante, e tutti gli altri elementi che, comunque, possano essere ritenuti utili ai fini cui l’interrogazione è rivolta, rimettendosi, per quanto riguarda la pubblicazione dell’elenco e qualsiasi altro uso che si intenda farne, alla Presidenza stessa, alla quale spetta di tutelare il decoro e il prestigio dell’Assemblea e dei suoi componenti.
Per questo stesso doveroso rispetto verso le prerogative dell’Assemblea, il Governo ritiene che la seconda richiesta dell’onorevole interrogante, diretta a sollecitare l’accertamento degli incarichi ricoperti da Deputati in enti privati, debba essere rivolta alla Presidenza dell’Assemblea stessa, a disposizione della quale il Governo metterà qualunque dato che possa essere ritenuto utile.
Il Governo si attende però che frattanto la Camera non cooperi, nemmeno passivamente, ad una campagna che, al di là delle persone e dell’attuale Governo, ha l’effetto di screditare l’Assemblea e la Repubblica d’Italia. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Presidente del Consiglio si è rimesso all’Assemblea per quanto riguarda l’eventuale invito all’Ufficio di Presidenza di richiedere a ciascun Deputato le notizie di cui si tratta, e si è dichiarato pronto a depositare alla Presidenza l’elenco dei Deputati richiesto dall’onorevole Natoli, avverto che è ora l’Assemblea arbitra di decidere sui due argomenti. Sarà, poi, cura dell’Ufficio di Presidenza di comunicare all’Assemblea stessa la relativa documentazione.
L’onorevole Natoli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
NATOLI. Ringrazio l’onorevole Presidente del Consiglio per la sua risposta. Il fine della mia interrogazione era precisamente quello accennato dall’onorevole De Gasperi. Noi viviamo in un’atmosfera quasi irrespirabile; c’è molta gente, responsabile di crimini e di colpe passate, che oggi tenta di scaricarle, con una campagna di diffamazione, sulla Repubblica nascente e sulla Costituente. La Costituente ha un volto doloroso, perché erede di un fallimento; ma questo volto deve essere pulito, deve essere netto; e noi stessi dobbiamo, qui, difendere la nostra dignità di italiani e di Deputati, incaricati di dare uno stato civile a questa Repubblica che si è assunto il compito di liquidare un fallimento. Non possiamo più vivere sotto queste insinuazioni; ad ogni cantone, dal barbiere o nei salotti, c’è l’insinuazione contro il Ministro che si approfitta del bene pubblico, c’è un’insinuazione contro il Deputato le cui tasche rigurgiterebbero di biglietti da mille.
Questa campagna deve cessare. Stabilisca l’Assemblea le incompatibilità che ci sono fra Deputato e Ministro e impiegato o proprietario o membro di un Consiglio di Amministrazione. Ma queste incompatibilità siano ben delimitate e ben stabilite. D’altra parte io credo – e non lo metto assolutamente in dubbio – che il Governo farà quanto è in suo potere per illuminare l’opinione pubblica sulla vera situazione, dicendo la verità; e credo, d’altra parte, che l’Assemblea possa anche domandare una Commissione di inchiesta, la quale dica al Paese la verità, anche se ve ne fosse qualcuna di dolorosa, ma che poi possa mostrare il volto della Costituente, onesto, perché lo vedo onesto. Noi dobbiamo uscire da questa situazione piena di agguati e di insidie. Noi vediamo calare oggi gli stessi avvoltoi di ieri; non possiamo essere disposti a preparare piattaforme elettorali a chi vuol prepararsele (Applausi); non siamo disposti né alla omertà, né alla falsa pietà. Se vi è qualche colpevole – ed in un complesso di cento, duecento, cinquecento uomini ci può essere anche – che questo colpevole sia indicato serenamente. La Costituente della Repubblica continui intanto il suo lavoro con tranquillità. (Applausi).
Accolgo l’indicazione del Presidente e formulo una proposta concreta: di invitare l’Assemblea a nominare una Commissione che esamini il problema e presenti le relative proposte.
CARBONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARBONI. Nella seduta in cui furono lanciate dall’onorevole Finocchiaro Aprile le note accuse, alcuni colleghi del gruppo parlamentare socialista dei lavoratori d’Italia avevano preparato una mozione per chiedere la nomina di una Commissione di inchiesta. Eravamo oggi sul punto di presentare questa mozione. Di fronte alla proposta fatta dall’onorevole Natoli, il gruppo dichiara di associarvisi.
PRESIDENTE. In ordine alla proposta presentata dall’onorevole Natoli, ed alla quale si è associato l’onorevole Carboni, rilevo che essa si discosta alquanto dalle due richieste specifiche che erano contenute nella interrogazione presentata ieri sera, ed alla quale l’onorevole Presidente del Consiglio ha risposto, dando appunto a queste due richieste la propria adesione.
Non so se la nuova formulazione enunciata dall’onorevole Natoli implichi l’abbandono delle due proposte specifiche che egli aveva presentato nella sua interrogazione. Se ciò non fosse, pregherei l’onorevole Natoli di dare forma concreta a quelle due proposte, in maniera che l’Assemblea possa prendere, nei loro confronti, posizione.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Natoli. Ne ha facoltà.
NATOLI. Per la prima proposta, accetto la spiegazione dell’onorevole Presidente del Consiglio. Resta il secondo punto, cioè che il Presidente dell’Assemblea può prendere l’iniziativa. Domando formalmente al Presidente dell’Assemblea di prendere tale iniziativa e mi riservo di presentare, in serata, una proposta scritta.
PRESIDENTE. Se ho ben capito, l’onorevole Natoli formula concretamente la proposta che la Presidenza dell’Assemblea richieda ad ogni Deputato se fa parte, ed in quale veste, di istituti finanziari, economici o imprese private. La proposta dell’onorevole Natoli, a questo proposito, deve essere sottoposta all’Assemblea, la quale deve dare sopra di essa il suo voto, e soltanto quando l’Assemblea abbia fatto propria la proposta dell’onorevole Natoli, la Presidenza dell’Assemblea si sentirà investita dell’autorità per darle corso.
L’altra proposta dell’onorevole Natoli, a tenore della quale si richiedeva al Presidente del Consiglio se non ritenga opportuno pubblicare l’elenco dei Deputati i quali coprano una carica retribuita presso enti parastatali, economici o finanziari o presso altri organismi, indicando anche l’ammontare della retribuzione, sarebbe dall’onorevole Natoli lasciata cadere.
NATOLI. La ritengo assorbita dall’altra.
PRESIDENTE. L’onorevole Natoli parte quindi dal presupposto che ogni membro di questa Assemblea, invitato in seguito ad una votazione idonea dell’Assemblea stessa, a rendere nota la propria posizione in istituti finanziari, economici o imprese private, implicitamente renderebbe note anche le notizie che con la prima parte delle sue proposte egli richiedeva alla Presidenza del Consiglio.
Vi è poi la seconda proposta dall’onorevole Natoli, formulata quest’oggi, a tenore della quale si invita l’Assemblea a nominare una Commissione che esamini in concreto il problema e presenti le relative proposte. L’onorevole Carboni ha dichiarato di aderire a questa proposta. Io la porrò eventualmente in votazione, dopo che l’Assemblea si sarà pronunciata sopra la prima.
Pongo, pertanto, ai voti la proposta del l’onorevole Natoli, così formulata:
«L’Assemblea Costituente invita l’Ufficio di Presidenza a richiedere a ogni Deputato se fa parte di istituti finanziari, economici o imprese private».
(È approvata all’unanimità).
Desidero ora prospettare all’onorevole Natoli e all’Assemblea nel suo complesso questo quesito. La Commissione che, a tenore della proposta dell’onorevole Natoli, dovrebbe essere nominata, dovrebbe cominciare a svolgere il suo lavoro sulla base della documentazione raccolta dalla Presidenza in conseguenza della votazione ora avvenuta. Chiedo all’onorevole Natoli se non ritenga opportuno di soprassedere alla votazione di questa seconda proposta fino al momento nel quale la Presidenza sia in condizioni di poter offrire la documentazione suddetta.
NATOLI. Signor Presidente, vorrei chiedere un breve termine sino alla fine della seduta per poter presentare una proposta concreta.
PRESIDENTE. Ritengo sia opportuno accogliere la richiesta dell’onorevole Natoli. S’intende che sottoporrò la proposta che egli formulerà all’approvazione dell’Assemblea.
(Così rimane stabilito).
Commemorazione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mannironi. Ne ha facoltà.
MANNIRONI. Onorevoli colleghi, vogliate consentirmi di sacrificare pochi minuti del tempo dedicato alle discussioni di questa Assemblea, all’adempimento di un dovere mesto e pietoso.
Qualche giorno fa è deceduto a Bosa in Sardegna, sua patria, l’onorevole Palmerio Delitala.
Egli era stato eletto deputato del Partito popolare italiano nella 27a legislatura ma da tale carica, fu nel 1926 dichiarato decaduto, perché non volle cedere né agli allettamenti, né alle minacce del fascismo.
Anche nella sua vita politica, come in quella di molti di voi, vi fu una ventennale parentesi di silenzio.
Tornò alla vita politica soltanto nel 1944 e per le sue qualità di ex deputato fu nominato membro della Consulta Nazionale.
Nella vita civile esercitò la professione di avvocato, con quella onestà di intenti e di costumi che è la caratteristica migliore della nostra classe forense.
Nella vita politica, pur non dimenticando che apparteneva ad un partito nazionale e che, quindi, non doveva trascurare né ignorare i problemi di politica generale, si curò e si preoccupò soprattutto degli interessi della sua terra; interessi e diritti che volle sempre difendere in quella forma silenziosa, ma tenace, che è la caratteristica di molti isolani, e che è forse la forma più adatta e più meritoria.
La Sardegna, perciò, perde in lui uno dei figli più affezionati e devoti.
Il Partito della democrazia, al quale apparteneva, perde uno dei collaboratori più fedeli.
Il fascismo lo isolò e lo disprezzò. Perciò, noi oggi, in questa Assemblea, lo vogliamo ricordare.
Nel mandare, a nome mio e della deputazione sarda e dell’intero gruppo della democrazia, un mesto saluto alla sua memoria, propongo che la Presidenza dell’Assemblea, voglia inviare le condoglianze alla famiglia. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Mastino Pietro. Ne ha facoltà.
MASTINO PIETRO. Intendo associarmi alle parole di cordoglio pronunciate dal collega onorevole Mannironi per la dolorosa scomparsa dell’onorevole Palmerio Delitala.
Mi associo alla proposta di inviare le condoglianze alla famiglia a nome del gruppo autonomista.
PRESIDENTE. Interpretando il pensiero espresso dagli onorevoli colleghi, la Presidenza dell’Assemblea già nella giornata di ieri ha comunicato alla famiglia dell’onorevole Delitala le sue condoglianze.
Posso assicurare che le parole oggi formulate di viva partecipazione al lutto della famiglia fanno, quindi, parte del comune sentimento dell’Assemblea e della Presidenza stessa.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi associo cordialmente a nome del Governo.
Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
È iscritto a parlare l’onorevole Molè. Ne ha facoltà.
MOLÈ. Onorevoli colleghi, accingendomi a parlare per chiarire l’atteggiamento ed esprimere il pensiero degli amici del gruppo demolaburista, sento innanzi tutto una imperiosa esigenza. Mentre una campagna di discredito si scatena da tutte le parti e con tutti i mezzi per tentare di deprimere e di diminuire l’istituto parlamentare, io devo reagire contro una mentalità diffusa e pericolosa, tanto più pericolosa quanto più diffusa in un paese che non ha, o ha perduto per desuetudine, il costume democratico.
Non si cerca soltanto di coinvolgere nella ondata scandalistica tutto l’istituto parlamentare, si cerca anche di dimostrare la inutilità della sua funzione. E qui, e fuori di qui, nei discorsi che abbiamo sentito e nelle ripercussioni di stampa, si è lamentato il numero eccessivo degli oratori iscritti a parlare sulle comunicazioni del Governo.
Ora posso anche ammettere che il numero fosse eccessivo e che bene abbia fatto la Presidenza a ridurlo, d’accordo con i partiti. Ma non esageriamo nelle limitazioni, fino a cadere nella contradizione in termini. E se, come voi dite, la elaborazione dei programmi non deve essere monopolio delle direzioni dei partiti, con quanta coerenza potete respingere l’apporto dell’Assemblea? E se avete deplorato che il Governo abbia sottratto alla Costituente il potere legislativo, con quanta dirittura logica volete impedire che, almeno in sede di discussione delle comunicazioni del Governo, si profilino le direttive generali da dare all’opera del legislatore?
Signori, l’Assemblea Costituente deve dire la sua parola liberamente, senza limitazioni, sul programma del Governo, che fornisce l’indirizzo in tutti i settori dell’amministrazione e in tutte le attività della vita associata.
E non importa che qualche volta i discorsi non siano intonati alla concretezza che impone l’ora presente. La libertà di parola deve trovare il suo autolimite nel senso di responsabilità di chi parla e dell’Assemblea che ascolta. Noi preferiamo alla tribuna che tace la tribuna che parla al Paese.
E io ricordo che una frase, testualmente identica a quella che sento oggi, mentre con la firma del Trattato di pace si conclude il tragico epilogo della venticinquennale dominazione fascista, fu pronunciata, come prologo della tirannide, dal dittatore in questa stessa aula, ch’egli qualificò «sorda e grigia»: «Signori, bando alle chiacchiere! Quaranta oratori sulle comunicazioni del Governo son troppi!».
Ma in quelle ch’egli definiva chiacchiere, si sostanziava il diritto di opinione e di critica e la frase programmatica ebbe poi la attuazione nella soppressione più radicale e più completa del Parlamento. La tribuna tacque. E quando la tribuna tacque e il Parlamento diventò organo di formale registrazione degli atti insindacabili del potere esecutivo, la libertà fu strangolata e agonizzò la democrazia.
Non svalutiamo, dunque, troppo leggermente, la dignità e la funzione del Parlamento. Non foss’altro, per questo motivo concreto: la formazione della nuova classe dirigente. L’Assemblea deve rivelare gli uomini e deve dare risonanza al loro nome nel Paese. Il Paese li esprime, i partiti li designano, ma è l’Assemblea che deve dare agli uomini dei partiti il crisma dell’uomo di Governo. E i giovani, i nuovi rappresentanti, devono uscire dall’ombra, in questo vivaio di coloro che saranno domani i dirigenti responsabili.
Altrimenti i nuovi governanti saranno sempre i vecchi governanti, o, se nuovi, saranno i rappresentanti dei partiti, il che è giusto – ma non anche quelli che l’Assemblea consacra rappresentanti del Paese.
Lasciamo dunque che per quest’aula passino – senza difficoltà e senza limitazioni – come da un grande megafono, le voci del Paese.
È preferibile la passione, anche sconvolta, all’assenteismo mortificante, al silenzio pavido e compiacente.
Certo non è senza amarezza che abbiamo assistito in questi giorni, dopo il discorso dell’onorevole Finocchiaro Aprile, al tentativo di travolgere nella bufera di fango tutta la classe politica, facendo così senza discriminazione, bersaglio di colpi aberranti, anche gli uomini che hanno dato passione, sacrificio, lustro alla patria.
Questa, del resto, è la grandezza e la umiltà dell’uomo politico in regime di democrazia: non c’è autorità, prestigio e potenza umana che non siano sottoposti al sindacato della tribuna. Ma anche di fronte agli eccessi deplorevoli e alle fallaci o irresponsabili accuse, si manifesta la superiorità dell’istituto parlamentare. Sono questi episodi che forniscono la sua prova di resistenza, di vitalità, di equilibrio.
Con tutti i difetti del sistema parlamentare, ove la parola usata senza discrezione e cautela può essere un’arme pericolosa che spesso ferisce chi non dovrebbe, la Camera è sempre migliore dell’anticamera. Perché le anticamere e i corridoi fermentano e diffondono i «si dice», le vociferazioni maligne, il bisbiglio ipocrita e vile, la calunnia anonima e irraggiungibile contro la quale non è riparo o difesa, mentre l’Assemblea, ove si parla e opina liberamente, può fare giustizia; e attraverso il pubblico contradittorio, accogliere le accuse fondate, respingere quelle infondate, deplorare le calunnie infami, dando il marchio del calunniatore a chi le ha pronunciato.
E perciò sono lieto che, aderendo alla proposta dell’onorevole Natoli che sodisfa una richiesta della pubblica coscienza, l’onorevole De Gasperi abbia messo a disposizione dell’Assemblea gli elementi che sono in suo possesso, per individuare l’entità e la natura degl’incarichi redditizi conferiti dal Governo a uomini politici.
Così solo l’Assemblea e gli uomini maggiori e migliori del Governo potranno reagire a questa ondata scandalistica che mira a deprimere le istituzioni repubblicane, per opera di gazzettieri nostalgici del passato, che osano parlare di complicità silenziosa ed hanno dimenticato che, fino a qualche anno fa, il censore della stampa regolava la materia dei giornali dettando ai giornali, tutti fatti su ordine e su misura, i titoli stessi degli articoli, e il terrore suggellava le labbra con la minaccia o la realtà del confino a chi si permetteva di parlare della cameriera, del segretario dell’amante del dittatore e dei suoi scherani.
Detto questo, passo immediatamente al tema del discorso.
Premetto, come l’onorevole Conti, come l’onorevole Lombardi, come l’onorevole Saragat, come tutti quelli che hanno parlato nobilmente in nome dei partiti di sinistra che non partecipano al Governo, che noi non intendiamo di fare una critica negativa, malevola, demolitrice, preconcetta; ma dare opera di collaborazione costruttiva, dicendo la nostra opinione su ogni problema con suggerimenti concreti. Noi non vogliamo rendere più gravoso e difficile il già difficile compito dell’onorevole De Gasperi. Noi abbiamo col suo Governo un comune supremo interesse: il consolidamento della Repubblica!
Altri miri a scalzare l’istituto nascente, svalutandolo nei suoi uomini maggiori e addossando loro le imperfezioni ineluttabili dell’opera iniziata sotto il suo segno. Ma noi non potremmo essere gli avversari sistematici e malevoli di coloro con i quali in ore particolarmente delicate della vita italiana abbiano diviso il pane salato della responsabilità del Governo. Noi vogliamo viceversa, come tutti i partiti di sinistra che non partecipano al Governo, dare opera di opposizione collaborante e costruttiva, la sola opposizione utile ed essere gli incitatori, gli allenatori, coloro che suggeriscono, che richiamano, che stimolano l’opera del Governo per renderla più aderente alle necessità del Paese, coloro che si preoccupano di ricollegare il Governo al Paese, se il Governo corre pericolo, di allontanarsi dal Paese. Che cosa pensiamo della terza incarnazione De Gasperi?
I Governi si giudicano dagli uomini che li formano e dalle idee che li informano. Due temi, dunque: composizione del Governo, programma del Governo.
Sulla composizione del Governo tutto il bene e tutto il male si è detto. Si è detto che i tre partiti si sono impadroniti del potere per autoinvestitura ed hanno creato una specie di Comitato di salute pubblica, cui non pare viceversa che corrisponda la funzione giacobina, se nello stesso momento in cui si afferma, se ne deplora la debolezza. Ed ho sentito dire qualcosa di più, quando qualche oratore, ironizzando sulla capacità di adattamento dell’onorevole De Gasperi, il quale si sarebbe acconciato a passare da una formula di Governo più larga nelle basi ad una più ristretta, faceva balenare il pericolo che, intorno al viso dantescamente macro, perfettamente raso, volitivamente acuto dell’onorevole De Gasperi (Si ride), spuntasse la barba fluente e candida dell’onorevole De Pretis, il pontefice del trasformismo. (Si ride).
Ma il trasformismo non esiste se la formula riproduce quella dei Governi precedenti; e l’accusa che l’onorevole De Gasperi si sia impadronito con gli altri due partiti del potere per auto-investitura, non ha ragione di esistere, ove non si dimentichi la piccola circostanza che questi partiti hanno avuto il maggiore suffragio del corpo elettorale. Siamo giusti e manteniamo le regole del buon giuoco parlamentare. Parliamo di efficienza, di omogeneità – e sta bene; ma non c’è nulla da eccepire alla correttezza democratica della formazione governativa.
Se sono stati quelli che sono stati i risultati delle elezioni, finché la situazione non muti, c’è poco da scegliere. Si tratta di dosare gli ingredienti, diluendo qualche po’ le tinte con l’aqua fontis degli indipendenti (Si ride) ma la composizione, grosso modo, non può essere che questa.
Ricordo la frase brutalmente ironica, ma aderente alla realtà che pronunciò Filippo Turati, giudicando una situazione simile a questa: «Per fare un pasticcio di lepre c’è bisogno almeno di un gatto». Per fare un Governo occorre una maggioranza. Quando un solo partito, sia pure il più numeroso, non ha la maggioranza, occorre formare una maggioranza composita.
E dopo il rifiuto dei repubblicani, dopo il rifiuto del partito socialista dei lavoratori italiani, e di correnti similari, che hanno sentito la necessità di trasferire la loro azione dal Governo al Paese, per raccogliere le forze democratiche sconvolte da una crisi di disorientamento, la sola maggioranza possibile, nel campo delle forze apertamente repubblicane, è questa e non altra che questa.
Soluzione di necessità, ma soluzione democratica. La questione che viceversa può legittimamente farsi è un’altra. Questa soluzione risolve? Questa formula di eccezione è efficiente? Un Governo così formato può essere veramente un Governo che governi, un comitato esecutivo che possa imprimere un indirizzo fecondo di energia unitaria e di omogeneità collegiale all’azione governativa e alla soluzione dei problemi paurosi che sono sul tappeto?
Tutti i Governi compositi legittimano questo dubbio e presentano questo pericolo. È una fatalità organica inevitabile, vorrei dire, fisica. Ogni volta che mettete insieme delle forze centrifughe, è naturale che cerchino di allontanarsi.
Quando al Governo non è un partito o non sono partiti affini, ma concorrono partiti avversi nelle finalità e nelle ideologie, queste forze centrifughe operano in sensi e direzioni opposte. C’è il partito che va a destra, il partito che va a sinistra, un altro che va più verso destra che verso sinistra. E allora avviene quello che avveniva nel supplizio di Massenzio, quando il condannato si legava per ogni arto a quattro focosi cavalli, sospinti a frustate in direzioni contrarie. L’uomo vivo era fatto a brani, finiva dilacerato, squartato.
A somiglianza dell’uomo squartato del supplizio di Massenzio avviene della vivente unità dell’azione statale. Il Governo, organo collegiale, perde l’efficacia della sua collegialità subiettiva, che si risolve in una disorganicità obiettiva, la quale per il suo effetto tumultuario, disgregante, confusionario, deprimente, produce nei governati la sfiducia nei governanti e mina alle basi l’autorità dello Stato.
Perché ogni problema della vita associata ha soluzioni diverse a seconda del punto di vista politico dal quale si esamina e in funzione delle tendenze finalistiche che ha ogni partito, in quanto rappresenta interessi di gruppi, di ceti, di classi, di forze economiche e sociali organizzate.
Ogni partito ha una sua politica interna, una sua politica estera, una sua politica scolastica, una sua politica finanziaria, una sua politica sociale, una sua politica militare. Come potete sperare o pretendere che uomini, che propugnano soluzioni diverse, trovino una soluzione comune? I casi sono due: o, vivendo alla giornata, non adottano nessuna soluzione, o arrivano alla transazione, al compromesso, alla soluzione che non risolve, perché non deve pregiudicare le diverse finalità di partito. O peggio ancora, eludendo la esigenza dell’organicità, ogni Ministro, nel settore della sua amministrazione, fa per conto suo una politica in contrasto con quella degli altri. Così che ne risulta la confusione delle lingue e la incoerenza delle azioni in una specie di torre babelica.
Questa è la fatalità organica dei Governi compositi, formazioni illogiche che sovvertono quella che Giovanni Bovio definì la dottrina dei Governi democratici: una maggioranza al Governo, un’opposizione nell’aula.
Qui l’opposizione opera dal di dentro anziché dal di fuori, in sede di Governo anziché in sede di assemblea. È coperta anziché palese. Si svolge nel chiuso dei partiti, anziché nella pubblicità aperta del dibattito collettivo. E svuota insieme di contenuto e valore tutt’e due gli organi: Governo e Assemblea. Il Governo non governa, per le opposizioni reciproche che si fanno, volta a volta, i Ministri, rappresentanti di partiti avversi. E la stessa Assemblea, ove dovrebbe operare l’opposizione estrinseca, perde la funzione sua propria ch’è quella di rivelare nel pubblico contradittorio le diverse concezioni della vita e della storia, di mettere di fronte i diversi indirizzi e le diverse soluzioni, di cui dovrebbe essere arbitra e giudice, rispecchiando le correnti politiche del Paese, e avvicendandole al governo del Paese. Qui l’avvicendamento non opera. E quando l’avvicendamento, che logora uno per volta i partiti e i loro uomini, non si verifica, si bruciano in una volta sola gli uomini migliori di tutti i partiti, che assumono insieme – anche se non lo vogliano – le responsabilità dell’insuccesso.
Ecco dunque, riassunti rapidamente, i pericoli e gl’inconvenienti dei Governi compositi.
Si poteva fare oggi diversamente? Lo abbiamo detto. Codesta soluzione difettosa era necessaria. E necessità non conosce legge. Ma si può tuttavia rendere efficiente questo Governo? C’è mezzo e modo di superare gl’inconvenienti dei Governi compositi? Ci sono eccezioni alla regola? L’onorevole Scoccimarro ha affermato che anche questi Governi, in alcune condizioni, possono agire potentemente e dare unità di indirizzo fecondo alla vita del Paese. E le condizioni sono queste: la formazione di un programma preciso di emergenza, la ferrea disciplina dei partiti che lo compongono, la ferrea direzione del Governo.
È il caso dell’esarchia.
E parliamone pure, dell’esarchia, perché ogni tanto spunta fuori questo argomento ed è bene affrontarlo decisamente, rivendicandone la funzione insostituibile, in quest’aula, in cui tutto si discute, e di tutto si deve rendere ragione.
L’esarchia fu una formula di coalizione insieme utile e necessaria.
Non potendosi raccogliere la maggioranza del corpo elettorale per la impossibilità assoluta della consultazione popolare, non c’era altro modo d’imprimere un carattere di legittimità presunta al Governo, se non raccogliendo in esso tutte le forze antifasciste del Paese.
L’esarchia fu un Governo composito, ma un Governo che governava. Per quale ragione? Perché, in quelle ore veramente tragiche della nostra storia, si trattava di guidare soprattutto l’amministrazione dello Stato. Era il comitato esecutivo di una specie di Stato amministrativo, come piace dire a un partito dell’aula. Ma con un termine segnato: la data del referendum, e con due esigenze politiche comuni a tutti, esigenze di guerra: liberazione del Paese, lotta contro il nazifascismo. E allora? Allora, eravamo un po’ come i combattenti di fronte alla necessità di tener testa al nemico. Potevamo essere in disaccordo su molte cose; ma la inderogabilità di queste supreme esigenze rendeva il Governo efficiente, mantenendo la disciplina fra i partiti conviventi. E, checché se ne dica, la disciplina fu mantenuta sia pure faticosamente, perché si evitò la guerra civile.
Ma ora – in una situazione tanto diversa – esiste questo programma comune, questa unità d’azione, questa sicura disciplina?
Io dico la verità: ho assistito alla discussione, e non soltanto alla discussione, ma alle altre vicende ed agli episodi di questo inizio di vita ministeriale, e il dialogo sempre vivace, ma non sempre cordiale, che somiglia spesso ad un litigio più che a un contradittorio, fra democristiani e socialcomunisti, non è tale da conciliare la fede, che può esser cieca di fronte al divino, ma non dinanzi ai fatti umani.
Prendete uno degli esponenti più misurati e rappresentativi delle due parti.
Di chi parlavamo? Dell’onorevole Scoccimarro? L’onorevole Scoccimarro ha pronunciato un notevole discorso. Egli ha questa felicità di parlatore: che quando parla è una tale convinzione in quello che dice, che si apprende alla simpatia umana di chi ascolta. Ma, sentendo l’onorevole Scoccimarro, mi sono posto una domanda che ora pongo a voi, onorevoli colleghi: mi sapete dire sicuramente, senza perplessità, se egli ha pronunciato un discorso di maggioranza o di opposizione? Io credo che abbia pronunciato l’uno e l’altro. Ha cominciato come avvocato di difesa e ha concluso come avvocato di parte civile. E, ascoltando questo discorso, che era un po’ come il tempio di Giano bifronte, e ascoltandolo con grande interesse, mi sorgeva dinanzi alla mente quel personaggio pirandelliano dalla doppia personalità: numero uno e numero due (Si ride).
Scoccimarro numero uno affermava in maniera precisa la necessità di questa formula del tripartito e la possibilità di efficienza del Governo. Anzi, diceva: sarà efficiente, perché ubbidisce ai tre comandamenti: c’è un programma comune, vi è una ferrea disciplina, esiste l’unità di azione.
Ma dopo cinque minuti Scoccimarro numero due ha negato tutto: ha negato il programma, dichiarandolo inesistente; ha negato il valore della riforma strutturale dei Dicasteri – (unificazione del tesoro e delle finanze) – definendola dannosa anziché utile: ha negato l’esistenza della disciplina, denunciando il doppio giuoco dei partiti nel Paese; ha negato l’unità di azione, deplorando la mancanza di direzione governativa.
E allora, scusate, se noi che viviamo qui ed abbiamo una certa dimestichezza con i ludi parlamentari, rimaniamo disorientati e perplessi, che cosa deve dire il Paese, l’uomo della strada, l’uomo qualunque – non quello dell’omonimo partito – ma quello che rappresenta la grande moltitudine di coloro che lavorano e soffrono? (Interruzioni – Commenti).
Una voce a destra. Allora siamo noi! (Commenti).
MOLÈ. Voi non siete il Paese. (Applausi a sinistra). Che cosa volete che pensi il Paese? Ma questo cos’è? È un pactum foederis o un casus belli? È corresponsabilità o processo di responsabilità? Omogeneità o incompatibilità? E che razza di solidarietà e unità è codesta, che rinnega la responsabilità non solo dell’opera compiuta, ma di quella che ancora deve compiersi? In cui l’opposizione si annida non solo per il passato, ma anche per l’avvenire, nel seno stesso della maggioranza?
Amici miei, ho pensato, ascoltando il dibattito delle due parti in questa Assemblea alla formula dei rapporti famosi di Catullo e Lesbia. Odi et amo… Nec tecum vivere possum nec sine te. Ma questa non è la formula di un matrimonio, o se è la formula di un matrimonio, è un matrimonio destinato alla separazione e all’adulterio. (Ilarità – Commenti).
SCOCCIMARRO. Chi sarà il colpevole?
MOLÈ. Ve lo dico: la formula. Nessuno è colpevole. Alla mia onestà ripugna dover dire una parola che suoni responsabilità per gli uomini. Essa è nelle situazioni, nelle cose: in questa anormalità di rapporti equivoci, in questa unione delle forze centrifughe, in questo voler tenere insieme gruppi che si respingono, in questa disciplina senza convinzioni, in questa convivenza senza stima; è nella formula composita, signori.
Codesti rapporti sono equivoci. E l’equivoco non può durare a lungo.
Auguro agli amici del Governo che possano veramente, nel programma di emergenza che li unisce, superare tutto ciò che li divide, associandomi alla fiducia dell’onorevole Scoccimarro numero uno contro le critiche dell’onorevole Scoccimarro numero due.
Ciò è necessario per il bene del Paese che attraversa la sua più tragica ora. Ma denuncio il pericolo per l’avvenire perché l’equivoco non si perpetui, perché l’espediente transitorio non diventi il paradigma di una vita governativa stentata e grama, perché i partiti meditino fin da ora le cause del fenomeno, per cercare di rimuoverle, se è possibile.
Le cause di questo fenomeno sono veramente insuperabili? Questo mosaico di partiti al Governo è inevitabile? C’è chi dice di sì. E afferma che questi governi siano una conseguenza ineluttabile della «partitocrazia» che sostituisce la «democrazia», dopo la costituzione dei moderni partiti di massa che si suddividono le forze ed i cui capi vengono a patti fra di loro per tenere perpetuamente il Governo a mezzadria. Ma io osservo che dove non vige il sistema della proporzionale non si verifica né l’onnipotenza dei capipartito, né la necessità nei Governi compositi – o per lo meno non è fatale che si verifichi – e sempre viceversa questi due inconvenienti si verificano dove vige il sistema della proporzionale. E allora è facile fare i consequenziari e, usando il metodo delle variazioni concomitanti, concludere che la causa prima dei Governi compositi è la proporzionale che impedisce il sorgere di una maggioranza e determina dispersioni di forze e situazioni di concorrenza fra partiti di forze impari.
Ora è chiaro che quando non si vogliono le conseguenze, non bisogna volere le cause.
Bisogna riesaminare il meccanismo elettorale.
Pongo il problema alla Costituente, che deve risolverlo.
Non voglio dispiacere al mio amico Lussu così vivacemente avverso al collegio uninominale, che viceversa ho vanamente sostenuto in Consiglio dei Ministri nel primo Gabinetto De Gasperi, affermando la superiorità di questo sistema. Io dico che se non si vuole assolutamente il collegio uninominale, si può scegliere un altro sistema; per esempio, uno scrutinio di lista maggioritario, con la rappresentanza proporzionale delle minoranze.
UBERTI. La legge di Mussolini del 1923.
MOLÈ. Mussolini parlava e, malgrado questo, anche lei parla. Se lei non dovesse parlare, perché Mussolini ha parlato, non so se farebbe una cosa saggia, ma certo mi farebbe una piccola cortesia. Intanto le ricordo che le elezioni di Mussolini furono fatte con la daga del birro e con la violenza delle squadre, ma non fu interrogato il Paese.
Cerchiamo dunque una soluzione, e sia pure una soluzione intermedia che dia al Governo la possibilità di una maggioranza e dia alle minoranze la possibilità di essere rappresentate, ma modifichiamo il sistema attuale.
La lotta politica è qualche cosa che si evolve come tutte le cose vive al contatto della realtà. Cambiano le esigenze e cambiano le formule che se hanno sodisfatto vecchie esigenze, non corrispondono più alle nuove.
La mancanza di una maggioranza omogenea dipende dal fatto che troppi partiti sono in Italia nel campo della democrazia.
Bisogna concentrare, raccogliere, coordinare, fondere i piccoli nuclei per creare le forze efficienti. E i blocchi possono essere uno strumento efficace di tale esigenza. Il realismo politico c’induce a sostenerli e propugnarli. Perché bisogna impedire, con la debolezza dei Governi senza maggioranza unitaria, la frantumazione del potere statale, che conduce all’impotenza, alle trasmodanze dei ceti, alla crisi di autorità. La crisi di autorità sbocca nell’anarchia. L’anarchia è l’anticamera della dittatura. E noi non vogliamo, dopo averne fatto la tragica prova, il risorgere della dittatura.
Siamo contro la proporzionale che in un Paese come il nostro indisciplinato, scarsamente politico, individualista fino al parossismo, porta al Parlamento dodici gruppi o tredici partiti, facilitando, anche alle forze più esigue del Paese, la possibilità del successo. E propugniamo e sosteniamo la politica dei blocchi elettorali – beninteso fra gli affini – che corrisponda alla realtà del problema democratico, perché facilita e determina la polarizzazione di una maggioranza dell’Assemblea, che dia vita a Governi che governano.
I blocchi repugnano, forse per il carattere particolare di alcuni aggruppamenti sorti per ragioni contingenti nel passato. Ma i Governi compositi fra i gruppi parlamentari meno affini e più contrastanti fra loro, non costituiscono forse dei blocchi?
Blocchi anch’essi. Blocchi di secondo grado. Ma peggiori dei blocchi di primo grado che si possono almeno sottomettere al corpo elettorale. Perché questa è la differenza. I blocchi elettorali non possono formarsi che fra partiti affini in base a un programma «preventivo», sulla linea delle ideologie più vicine, e devono presentarsi agli elettori. Gli elettori devono giudicare: approvare e respingere blocchi e programmi e in base ad essi scegliere gli eletti. Gli eletti, a loro volta, s’impegnano e devono mantenere, se eletti, gli impegni verso gli elettori. Mentre i blocchi che si formano nell’Assemblea, per comporre un Governo, non si formano per convergenze ideologiche, ma meccanicamente, irrazionalmente, in base alle forze numeriche dei partiti nonché affini, spesso repugnanti e ostili fra loro. Non blocchi degli affini, ma blocchi dei contrari. Cioè blocchi coatti, imprevisti, imprevedibili, che sorgono non dalle designazioni elettorali, ma contro le designazioni elettorali, cui è forza solo il numero e ragione il solo scopo di esercitare il potere, e devono improvvisare programmi di fortuna in base a transazioni politiche, mescolanze, contro natura, contaminazioni ideologiche al di fuori della logica e dell’etica politica. Gli elettori non hanno approvato e non approvano queste alleanze contro natura che aggravano, non placano i dissidi e spiegano le baruffe nel Governo e nel Paese fra democristiani e socialcomunisti, questi associati senza socialità di vincolo e senza vincolo di solidarietà.
Noi auspichiamo viceversa i blocchi delle forze politiche, sulla linea delle parentele ideologiche. Questi blocchi non turbano la dialettica dei partiti e incontrano soltanto l’ostilità di quelli che amano chiudersi nel loro orgoglioso isolamento (quia nominor leo). E auspichiamo tali blocchi anche come mezzo graduale di assorbimento dei partiti minori, che non rispondono a un’esigenza assoluta, originale, autonoma, insopprimibile della vita associata, da parte dei partiti maggiori affini, con la fiducia che le grandi formazioni riescano finalmente a smuovere con la suggestione della forza l’assenteismo dei ceti medi dubbiosi come l’asino di Buridano, fra le troppe correnti di opinioni.
TOGLIATTI. La questione è che voi siete pochi.
MOLÈ. Pochi ma buoni, così buoni che spesso voi riconoscete la nostra bontà e vi servite delle nostre umili forze al servizio del Paese. (Approvazioni).
Credo di avere, del resto, chiarito abbastanza il mio pensiero. Se ci sono delle piccole forze, che non abbiano avuto fortuna perché la loro formula, che è affine o quasi identica a quella delle forze maggiori, non ha trovato seguito come queste altre, è necessario, per l’onestà e la sincerità delle correnti politiche del Paese, che le piccole forze si fondano con le forze maggiori, e formino le grandi concentrazioni politiche che possano aspirare al potere senza bisogno di patteggiamenti.
E, per quanto ci riguarda, noi ci auguriamo che dall’adesione e dalla collaborazione dei gruppi democratici di sinistra, che esprimono le forze del lavoro, di tutto il lavoro umano, e pongono come suprema esigenza l’anelito ormai insopprimibile della giustizia sociale, sorga intorno al vecchio tronco della democrazia socialista, maturo per attuare, senza violenze, la doppia istanza della trasformazione del regime capitalistico e del rispetto della libertà umana, e si affermi nel Paese la grande forza politica che, sola o insieme ai partiti più prossimi, possa assumere la responsabilità del Governo. Perché queste due esigenze: libertà umana e giustizia sociale costituiscono la meta, cui anelano i popoli. E verso questa meta ineluttabile procede sicuramente la storia. (Applausi a sinistra).
Passando ora da questa anticipazione avveniristica all’esame del programma, rileviamo che il programma riflette l’incertezza e l’equivoco della formazione governativa.
Non entrando di proposito nell’argomento ormai arato da tanti oratori di sinistra, ci limitiamo a richiedere una qualche parola di preciso orientamento circa il problema finanziario e monetario, che per la sua vastità paurosa è al centro delle preoccupazioni del Paese. Discorsi tecnici e proposte di soluzione ne abbiamo ascoltato ed alcuni ammirato. Ma il Paese, che li ha ascoltato come noi, è passato dal vertice della speranza al fondo della sconsolazione, come attraverso gli sbalzi di una montagna russa. Fra Lombardi e Tremelloni che vedono bigio, ma sperano, Corbino, che vede tutto nero e ammonisce ai pericoli del ciclone monetario del dollaro e della sterlina, e Scoccimarro che vede troppo roseo…
Voci. Rosso, rosso!…
MOLÈ. …è rosso ma vede roseo, – prevedendo la possibilità di una bonifica a breve scadenza, è chiaro che vorremmo che Scoccimarro avesse ragione, per quanto egli manovri su cifre immobili in una situazione particolarmente fluida. E siamo sicuri che l’onorevole Corbino sarebbe lieto di essere smentito dalla realtà, perché non gli facciamo il torto di paragonarlo a quel medico di Anatole France, che avendo fatto una prognosi infausta, aveva un fatto personale con l’ammalato che, essendo guarito, non gli aveva usato la cortesia di andare al creatore, per confermare la sua diagnosi.
Ma io vi parlo come l’uomo della strada che, fra queste anticipazioni di uomini fuori del Governo e di ex ministri polemizzanti sull’azione governativa, attende da Campilli – il Ministro responsabile che deve non polemizzare ma agire – non che gli faccia veder rosso, grigio o nero nell’avvenire, che riposa sulle ginocchia di Giove, ma che gli faccia veder chiaro nei suoi propositi. Il Paese vuol capire. Il Paese versa in una crisi d’incertezza, che produce reazioni diverse nei vari ceti: imboscamento del capitale dei profittatori, inerzia negli uomini d’iniziativa, paralisi in alcune industrie, ansia angosciosa e disoccupazione nei lavoratori, incitamento al carpe diem (chi vuol esser lieto sia – del diman non v’è certezza) in larghi strati della popolazione. È la corsa sfrenata ai godimenti materiali, la maschera paradossale della umanità sconvolta nei periodi oscuri della storia, in cui di fronte all’uomo che muore di fame si scatena in altri ceti una specie di euforia irresponsabile, quella che leggemmo nelle descrizioni delle crisi economiche e morali che si verificano nelle ore drammatiche della vita dei popoli.
E l’incertezza viene acuita dalle discussioni polemiche su ciò che, secondo alcuni, non si è fatto e non si poteva fare, di fronte ad un mercato tumultuoso e ad una lira malata.
Occorre orientare il contribuente, l’industriale, il lavoratore, la massa della popolazione, che vuole sapere, sia pure approssimativamente, il suo destino. I problemi ristagnano da oltre un anno, nella incapacità di decisione dei Governi compositi.
Cambio della moneta? Imposta straordinaria? Economia, di spese? Energica politica fiscale? Il tema dei salari e dei prezzi, è il tema che interessa più da presso le classi disagiate, operai, impiegati, piccoli borghesi a stipendio fisso, che sono la grande maggioranza del Paese, una sola famiglia unificata dalla privazione sotto il titolo della fame. Léon Blum ragiona froebelianamente così. Noi ci aggiriamo in un circolo vizioso che bisogna spezzare. L’aumento dei salari fa aumentare il costo delle merci. L’aumento del prezzo delle merci fa abbassare il valore della lira per diminuita fiducia e diminuita potenza d’acquisto. L’abbassamento del valore della lira produce un altro aumento dei prezzi delle merci. Due aumenti di prezzo per ogni aumento di salario. E poiché l’aumento del prezzo delle merci è maggiore dell’aumento dei salari, avviene che con il salario aumentato l’operaio compra una minore quantità di merce di quanta non ne comprava col salario non aumentato: ha cioè minore disponibilità di generi. Svantaggio dunque evidente di una situazione veramente paradossale per la quale crescendo i salari, diminuisce lo standard di vita del lavoratore. Ma poiché la fame esiste, come venire in aiuto del proletario affamato? Volete, potete tout court bloccare i salari ed i prezzi, senza ancorare la lira? Quel che intanto è necessario è una energica politica di approvvigionamenti, che permetta di deprimere i prezzi con la più larga disponibilità di merci e di derrate sul mercato e di disporre assegnazioni sufficienti a prezzi di costo lievemente maggiorati di generi alimentari, tessuti, scarpe, vestiti, alle classi disagiate.
L’operaio, l’impiegato, le classi disagiate hanno bisogno di cose a buon prezzo, non di danaro. I biglietti da mille sono chiffons de papier, carta straccia, inadeguata e insufficiente a comprare le cose ad alto prezzo. Al qual proposito mi sia lecito ricordare che, quando ero Ministro dell’alimentazione, d’accordo col Presidente Parri, emanammo un decreto-legge che stanziava tre miliardi per la creazione e il primo finanziamento di cooperative impiegatizie e di enti per consumi di masse, e garantiva il 60 per cento fino alla concorrenza di sei miliardi, sul credito che le banche erano autorizzate a concedere a tali enti per acquisto di merci o derrate. È utile resuscitare, aggiornare quel vecchio provvedimento che non ebbe esecuzione e fu abbandonato? Non so. Mi contento di porre il quesito all’onorevole De Gasperi. Mi limito a esprimere l’incitamento che sorge dal Paese. Scegliete una via e date la sensazione che questa via si segua. L’esigenza tecnico-economico-finanziaria diventa oramai una esigenza politica, perché il Paese possa lavorare con una relativa fiducia.
Passando dalla politica finanziaria alla politica scolastica, sono lieto che il Ministro della pubblica istruzione abbia condotto in porto il provvedimento del ruolo aperto per i maestri elementari, che io avevo preparato con fervido amore insieme con l’altro progetto per l’inquadramento dei direttori didattici e degl’ispettori scolastici.
Ringrazio il Ministro di aver riconosciuto la improrogabile necessità del primo, e spero che vorrà dare il suo nome anche al secondo, tanto più che costa pochi milioni. Sarebbe ingiusta la sperequazione. Il direttore, l’ispettore rimangono al disotto dei maestri anziani. Non si può elevare la condizione dei maestri e diminuire quella del personale dirigente. Sono due provvedimenti di giustizia che vanno collegati.
Altri spero che seguiranno: quello per l’istruzione tecnico-professionale, orientato con criteri realistici verso una sana collaborazione fra lo Stato e gli enti locali, che devono suggerire quale tipo di scuola tecnica corrisponda al fabbisogno delle maestranze, dei capotecnici, dei navigatori e agricoltori, degli operai specializzati, non in base a criteri capricciosi, ma in armonia con le esigenze regionali. E attendo la soluzione dell’altro problema: quello della ex G.I.L. con le sue palestre, le sue dotazioni, i suoi edifici, tutto un patrimonio disperso che deve ritornare alla scuola di Stato. Bisogna aiutare le scuole private, ma in cima ai pensieri del Governo deve essere la sua scuola, la scuola di Stato. E insieme con questi problemi, occorre affrontare quello dell’integrazione dei bilanci universitari – e gli altri numerosi di tutti gli ordini e gradi dell’istruzione, che discuteremo in sede opportuna, come meritano la loro importanza ed ampiezza.
La Costituente deve porre il problema della scuola, di tutta la scuola, all’ordine del giorno dello Stato repubblicano.
Questo è il settore più delicato. Il problema della scuola è il problema della giovinezza: il più ansioso e angoscioso, perché attraverso la scuola dobbiamo disintossicare gli spiriti delle giovani generazioni, conquistarle alla nuova Italia, ancorarle verso gli ideali di libertà, di giustizia, di progresso pacifico, di solidarietà umana e internazionale.
I problemi economici sono i più urgenti, perché assicurano la vita e il pane al popolo. Ma non di solo pane vivono gli nomini. Vicino al problema della rinascita economica, bisogna porre il problema della scuola. E la scuola non si ricostruisce senza adeguati mezzi. Bisogna rivedere e distribuire più equamente fra i vari dicasteri, gli stanziamenti di fondi. Quelli della pubblica istruzione sono assolutamente sproporzionati di fronte all’immane compito. È necessario provvedervi. Guai a noi se non preparassimo con la ricostruzione delle cose la ricostruzione degli spiriti. Il problema della Repubblica è il problema della giovinezza.
Il fascismo è durato venti anni, perché per venti anni ha impresso l’artiglio nella scuola, ipotecando il futuro e legando le giovani generazioni alle vecchie.
È passato come il turbine devastatore su tutti gli ideali civili e i valori morali. E ha operato soprattutto come corruttore di spiriti attraverso la scuola e il dopo scuola sul più prezioso materiale umano.
La scuola fascista s’impadronì del bambino e lo seguì passo passo fanciullo, adolescente, giovine, dai primi rudimenti dell’istruzione alla completezza della cultura superiore, imbottendogli il cranio e non abbandonando mai la preda per stamparle fino alle midolla il segno del suo dominio.
Fu un monopolio integrale, il possesso totale della giovinezza. La caserma completò l’opera, associando il libro al moschetto, la menzogna che fuorvia alla violenza che la impone e sostiene. E il giornale, il teatro, la radio, completarono l’opera del libro, moltiplicando fino allo spasimo la predicazione dei falsi vangeli, l’amplificazione dei falsi eroi delle posticce grandezze, la glorificazione della infallibilità del pastore e della fedeltà del gregge.
L’efficacia negativa di quella saturazione morbosa, di quell’avvelenamento spirituale, unito alla delusione della pace iniqua, spiega purtroppo il disorientamento che ancora perdura fra molti giovani o non più giovani, i quali camminano ancora con la testa rivolta, come i dannati danteschi, verso un nostalgico passato di cui non misurano il fallimento pauroso.
Provvediamo subito, in tempo, beneficiando della esperienza passata. I nostri figlioli saranno migliori di noi, se dopo la guerra che Croce chiamò «di religione», li aiuteremo a superare questa crisi degli ideali.
E bisogna mobilitare la scuola come protagonista in questa lotta. Tutta la scuola. Non ci avvenga, come soleva avvenire agli uomini di alta cultura provenienti dalla cattedra che si occupavano di un solo insegnamento: per esempio, dell’insegnamento superiore e poco della scuola elementare e di quella tecnico-professionale.
Sarebbe un errore gravissimo. La scuola è unica e non ci sono compartimenti stagno. C’è un’unità inscindibile nel processo formativo delle coscienze. In alto, aristocrazia del pensiero e dell’arte, la istruzione superiore universitaria, con la ricerca scientifica, la speculazione filosofica, la elaborazione giuridica, che deve incrementare così le nostre possibilità di progressi tecnici come il nostro patrimonio ideale.
Nel mezzo la scuola, la scuola media e professionale che è chiamata a dare il grosso delle classi impiegatizie, gli artefici, artigiani, capitecnici, operai qualificati che se (purtroppo) dovranno emigrare pel mondo, non porteranno più la sola forza dei muscoli, ma la luce dell’intelligenza.
Alla base la scuola elementare, che dal punto di vista politico ha la funzione più vitale per l’avvenire della nostra democrazia repubblicana, perché è soprattutto chiamata a formare la coscienza civile e morale del popolo.
Mentre la cultura superiore è, almeno per ora, riservata ai privilegiati; mentre gli altri ordini dell’insegnamento sono chiamati a preparare le classi dirigenti, dalla scuola elementare escono le immense riserve umane che danno ai campi, alle officine, alle forze produttive della ricchezza e della prosperità del Paese lo smisurato esercizio del proletariato lavoratore.
Dai banchi della scuola elementare esce l’uomo del popolo per affrontare la lotta per la vita. Ed è dal grado di civiltà e consapevolezza del popolo che dipendono i destini della patria e la difesa della civiltà.
Agli educatori e docenti di ogni ordine e grado, ma soprattutto a quelli più umili, è riservata la grande missione di orientare l’anima collettiva verso la religione degli ideali, in modo che il numero diventi coscienza.
Ma perché questi duecentomila soldati del dovere e del sapere, che si raccolgono ogni giorno, in ogni angolo della patria, con cinque milioni di scolari per operare in profondità sul più prezioso materiale umano, siano capaci di esercitare questa missione, di educare e istruire i nostri figli, bisogna che siano sicuri della sorte dei loro.
Tutto il magistero educativo è nel maestro. Al centro del problema della scuola è sempre il problema umano. Comunione spirituale fra maestro e discepolo.
Guai se questa funzione delicata e difficile fatta di pazienza, di dedizione, di amore viene isterilita dalla preoccupazione del pane quotidiano, dall’assillo della miseria, dallo spettro della fame! Se non si ama la scuola non si può fare la scuola. E non si ama la scuola, avendo dinanzi agli occhi lo spettacolo dei figli denutriti e delle mogli anemiche!
Ora è questo lo stato d’animo di questi proletari, incerti dell’avvenire, inaspriti dal bisogno. Occorre pacificarli, perché non diventino l’esercito dei malcontenti e avvelenino alle fonti la primavera umana della patria e preparino una generazione di scettici e di ribelli.
Onorevoli colleghi, volgo alla fine, rinunciando a dire molte cose che potrebbero ancora costituire argomento di discussione.
Avremmo voluto che il Governo, nelle sue comunicazioni, non avesse taciuto della questione meridionale, per quanto intendiamo la difficoltà d’inserirla in un programma d’emergenza.
Siamo in compenso lieti della notizia relativa ai rinnovati organi di natura così squisitamente politica e sociale: il Commissariato e il Consiglio dell’emigrazione, che ebbero una funzione e un rilievo di primaria importanza, quando se ne occuparono uomini di dottrina e di fede, fra i quali ricordo una grande anima di siciliano che morì dimenticato, trascurato e povero dopo una vita luminosa di lavoro e di sacrificio dedicata al servizio del Paese: Vincenzo Giuffrida. (Approvazioni).
A noi che, come italiani e come meridionali, conosciamo di quante lacrime grondi e di quanto sangue la nostra emigrazione, e quanto sia stata eroica questa odissea di umili soldati del lavoro e della miseria, che dovettero abbandonare la patria per vivere, e quando essa chiamò vi tornarono per morire, è argomento di soddisfazione l’affermazione del dovere che ha il nostro Paese di tutelare i necessari esuli di questo popolo povero, di 45 milioni di uomini costretti ancora ad esportare lavoro di braccia umane che diventeranno la vertebra delle altrui ricchezza.
Questo flusso di uomini, che è un vero salasso, è utile o dannoso? Bisogna aiutarlo o comprimerlo? Io ricordo la vecchia appassionata polemica fra Claudio Treves e Luigi Luzzatti, circa i vantaggi e gli svantaggi dell’emigrazione.
Luzzatti che teneva l’occhio alle rimesse degli emigranti ai fini del pareggio, del bilancio e alla supervalutazione della lira, diceva: «Partite e arricchitevi», che voleva dire: arricchiteci e arricchite la patria lontana.
Treves invece diceva: «Restate e levatevi. Ottenete migliori condizioni di vita e siate la vertebra umana della nostra ricchezza, non dell’altrui».
Ma la polemica si riproduce in un ben diverso panorama storico, in una Italia povera e senza risorse, ove è troppo pericoloso risuscitare fantasmi di prosperità impossibile e di autarchie fatali.
I tempi sono mutati. Nel suolo della patria, non ingrata ma povera e sempre più insufficiente ai suoi figli, non c’è lavoro bastevole. Il dilemma è ora ben altro. È quello dell’eroe shakespeariano: partire e vivere o restare e morire. Vivere di lavoro in terre altrui o – in terra propria – morire di fame.
Ma tanto più bisogna aprire, allargare, garantire mercé accordi sicuri con altri popoli gli sbocchi a questo fiotto umano, trovare mercati redditizi, e prosperi, perché gli operai non soggiacciano al doppio pericolo della xenofobia e della miseria, in paesi lontani e nemici, in cui anche la espressione del pensiero nella lingua ignota è incerto o è impossibile; disciplinare le correnti migratorie, seguirle indirizzarle, proteggerle; e nei luoghi del lavoro e del sacrificio mantenere presente la immagine della patria nel cuore dei figli lontani.
Ho finito, onorevoli colleghi. Non parlerò della firma del Trattato di pace. L’argomento, espresso o sottinteso, nei discorsi pubblici e in quelli privati, incide nel nostro cuore, come una ferita che sanguina.
Ma, poiché in tema di politica estera hanno espresso un pensiero comune gli amici di questi settori, insistere mi pare vano.
Tornare sulla quistione della firma, della ratifica, della competenza, della procedura, non penso che sia opportuno, per motivi esterni ed anche per motivi interni, poiché abbiamo anche troppo compreso che attraverso questo problema della procedura si tenta di ingarbugliare e deludere il problema ben più grave della responsabilità.
Ora, sia detto e ripetuto ben chiaro, agl’immemori o a coloro che fingono di dimenticare. I Governi che si son succeduti dopo la caduta del regime fascista sono stati i liquidatori coraggiosi e coatti di una bancarotta paurosa. Ma due sono i responsabili di questa bancarotta paurosa che seguì a un grande delitto: il fascismo e la monarchia.
Detto questo, non occorre ripetere che con la firma o senza la firma, il consenso mostruoso della vittima al suo sacrificio, che viene estorto col coltello alla gola all’Italia mutilata e dissanguata, perché non solo accetti ma cooperi al suo dissanguamento e alla sua mutilazione scellerata, non è un consenso. L’Assemblea giudicherà se ratificare protestando o protestare non ratificando l’iniquo trattato.
Noi non possiamo riconoscerlo.
È giunto il momento di ricorrere a quella che Giuseppe Mazzini, non più finalmente esule nella patria repubblicana, definì la diplomazia diretta dei popoli.
Bisogna portare il contradittorio dal chiuso ambiente delle Cancellerie dinanzi alla coscienza dell’universo.
Bisogna appellarsi alle Assemblee elettive delle grandi democrazie contro l’iniquità dei governanti.
Bisogna dir loro che essi continuano nel gioco sinistro delle influenze la lotta egemonica dei grandi rapaci. E contro i trattati di pace che costruiscono e organizzano macchine infernali di guerra, bisogna invocare la solidarietà delle moltitudini di tutti i Paesi: chiedere a tutti i lavoratori del mondo che si uniscano per attuare la giustizia fra le classi e la giustizia fra le nazioni.
Funzionerà questa internazionale del lavoro, della fraternità fra gli uomini oscuri, di tutti i linguaggi, di tutte le terre, che non detengono le ricchezze, ma producono le ricchezze, che non dispongono del potere, ma sono la potenza insopprimibile del numero e del sacrificio, che non vogliono la guerra, ma danno a tutte le guerre il loro olocausto umano? Noi lo speriamo.
Più volte nel corso dei secoli l’Italia ha conosciuto l’avversità dei destini, l’ostilità delle cose, la ferocia degli uomini.
Nessun Paese del mondo ha subito e superato come il nostro, legato alla sua fatalità geografica, tanti cataclismi della natura e tanti rovesci della storia. Noi siamo i figli della terra che conosce i terremoti eversori delle case e le incursioni dei barbari, distruttori della civiltà. E più volte nel corso della nostra vita secolare, ci siamo levati contusi e sanguinanti dalle macerie, abbiamo asciugato le nostre lacrime, abbiamo seppellito i nostri morti, abbiamo ricostruito sulle rovine, abbiamo conteso alla sterilità la terra bruciata, abbiamo lasciato indietro il passato che non torna, abbiamo ripreso il cammino verso l’avvenire sotto questo cielo implacabilmente luminoso e sereno sovra tutte le sciagure umane.
Avverrà anche questa volta.
Mutilata, contusa, sanguinante, l’Italia riprenderà il suo cammino, ripetendo il grido della vita che non vuole morire.
Perché le sopraffazioni di vincitori sono di natura effimera. E i popoli vinti – tanto più quanto non sono vinti, ma ingannati e traditi – non muoiono per l’iniquità di un trattato.
Muoiono quando non hanno più ragione di vivere o missione da compiere.
Muoiono per la condanna della storia.
Ebbene, signori, ripetiamo senza odi, senza minacce e senza iattanza, la parola della fede nell’ora più mortificante del nostro destino.
L’Italia, con i suoi quaranta milioni di uomini onesti, civili, pacifici, pel suo passato è per il suo avvenire, ha ancora qualche missione da compiere, ha ancora qualche parola eterna da dare al patrimonio ideale del mondo. (Vivi applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la onorevole Bei Adele. Ne ha facoltà.
BEI ADELE. Numerose, lettere, che mi sono pervenute da molte parti d’Italia mi hanno indotto a prendere la parola in questa Assemblea. Sono lettere di vedove, di reduci, di partigiani, di mamme che sono state colpite dai disagi e dalle distruzioni di questa guerra. In talune di queste lettere mi si chiedono spiegazioni circa la soppressione del Ministero dell’assistenza post-bellica per la cui opera vi sono state tante manifestazioni di fede, manifestazioni provenienti da diverse parti d’Italia per protestare appunto contro la soppressione di questo Ministero, che è stato così prezioso ed utile per l’assistenza prestata a milioni di cittadini italiani.
Infatti io stessa, che lavorai durante la scorsa estate per organizzare le colonie estive, quando lessi il comunicato della soppressione di questo Ministero, mi domandai in quale forma il Governo avrebbe potuto continuare quest’opera svolta dalla post-bellica.
Se noi esaminiamo la situazione attuale vediamo che i disagi della guerra si scorgono ancora ovunque; vediamo ancora migliaia e migliaia di disoccupati, reduci e partigiani, vediamo ancora per le vie d’Italia tanta miseria ed ovunque migliaia di bambini, intere famiglie colpite tanto duramente dalla guerra, che chiedono assistenza, che chiedono del pane, che chiedono aiuto.
Tutto ciò ci porta a considerare l’importanza di questo Ministero, e la necessità della continuazione dell’opera da esso intrapresa. Oggi in Italia nessuno ignora che questa attività è stata veramente utile, nessuno può ignorare la grande opera svolta in ogni parte d’Italia dall’organizzazione proveniente dal Ministero stesso. A questo riguardo conviene esaminare l’assistenza all’infanzia italiana che è stata di grande utilità per le famiglie e particolarmente per coloro che sono stati più duramente colpiti dalla guerra. Naturalmente, è accaduto che taluni giornali reazionari hanno attaccato l’opera di questo Ministero. Vi sono anche degli uomini politici e delle donne che hanno cercato di fare insinuazioni sulla sua opera, ma io credo che questi uomini e queste donne non vi abbiano mai preso parte attiva. Specialmente preziosa è stata durante l’estate scorsa la grande opera di assistenza svolta in favore dell’infanzia abbandonata. Così dicasi per le colonie estive, ed in questo settore abbiamo visto migliaia e migliaia di bambini che hanno potuto usufruire dell’assistenza economico-sanitaria e che solo per suo merito moltissimi hanno potuto risanarsi.
Circa mezzo milione di bimbi in Italia sono stati assistiti nelle colonie estive. Vorrei citare la sola opera intrapresa nella mia provincia di Pesaro. Solo in questa provincia vi sono state 28 colonie estive organizzate e finanziate dall’assistenza post-bellica, con l’aiuto di altre organizzazioni di massa. In queste 28 colonie estive sono stati assistiti più di 4000 bambini che, nel periodo di un mese, hanno potuto aumentare il peso da uno a tre chili. Io stessa ho potuto assistere a queste colonie; io stessa mi sono felicitata con gli organizzatori, vedendo questi bimbi così bene assistiti, che, durante tutta la giornata, potevano stare al mare, mangiare bene, risanarsi.
E non è solo questo che l’assistenza postbellica ha fatto. Altre iniziative così utili e così necessarie sono da continuare: centinaia e centinaia di asili per bambini, collegi, refezioni scolastiche. Cito sempre ad esempio la provincia di Pesaro: vi sono refezioni scolastiche estese a tutti i bambini del popolo al disotto dei dieci anni, anche a coloro che non frequentano più le scuole. È evidente, d’altra parte, la grande differenza che vi è fra i bambini assistiti e quelli che non possono essere ancora assistiti; fra i primi si vedono dei bambini più gioiosi, più sani. Perciò è necessario continuare questa assistenza e io penso che è necessario continuarla sotto i vari aspetti intrapresi dal Ministero per l’assistenza post-bellica.
Cito ad esempio le numerose cooperative che sono sorte: a me risulta che vi sono 80 cooperative costituite che danno lavoro a 100.000 reduci e partigiani. Senza queste cooperative, essi avrebbero vagabondato per le vie d’Italia a mendicare un pezzo di pane e, il più delle volte, a fare mestieri che essi stessi non vorrebbero fare.
Queste cooperative hanno avuto ed hanno tuttora varie iniziative a beneficio della ricostruzione italiana.
Ancora di più ha fatto il Ministero della assistenza post-bellica per le scuole professionali: 20.000 giovani frequentano queste scuole. Vi sono dodici convitti-scuola con 12.000 allievi; sono state elargite 10.000 borse di studio, che sono veramente una risorsa per le famiglie dei lavoratori e dei poveri. Per la prima volta, si può dire, in Italia, si è data questa grande facilitazione a coloro che hanno bisogno. Ebbene, è necessario continuare su questa via.
Voglio parlare anche delle mense popolari e di quello che si è fatto per organizzarle. Non so se tutti noi valutiamo l’importanza di queste mense. Cito ad esempio ancora la mia provincia, che frequento molto. Vi è a Pesaro una grande mensa popolare organizzata dal, Ministero dell’assistenza post-bellica in un locale che nel passato serviva come ritrovo per la borghesia pesarese. Questo locale, vicino al mare, era stato distrutto dalla guerra ed è stato ricostruito dalla post-bellica ed ora tutti i giorni circa 4000 lavoratori di tutti i ceti sociali frequentano questa mensa e mangiano a sazietà con 50 lire per ogni pasto. Molte famiglie di Pesaro, famiglie povere, possono andare a ritirare i pasti a buon mercato. Io penso che le mense popolari siano una grande risorsa per i paesi poveri; penso che l’assistenza post-bellica, in quelle città dove si sono potute organizzare mense popolari, ha evitato che migliaia di persone soffrano la fame, che migliaia di persone siano costrette a fare una vita di privazioni e stenti. È necessario perciò, io penso, continuare l’assistenza, continuare questa grande opera intrapresa dal Ministero, che sorse appunto dopo i disagi dell’ultima dura guerra.
Noi non abbiamo fatto una resistenza alla soppressione del Ministero dell’assistenza post-bellica, e sono d’accordo con il mio partito che non ha fatto una protesta energica contro la sua soppressione; noi pensiamo però che l’opera intrapresa dal Ministero soppresso debba essere continuata, sia pure alle dipendenze di un Ministero dei vari Sottosegretariati. La forma, infatti, per noi non conta: quello che conta è la sostanza; quello che conta è la necessità di continuare sotto varie forme l’assistenza al popolo italiano, che oggi più che mai ne ha bisogno, perché oggi più che mai i disagi della guerra si sentono ancora in ogni parte d’Italia. Noi abbiamo visto che sono stati costituiti quattro Sottosegretariati che dovrebbero svolgere le varie forme di organizzazione assistenziale in favore del popolo. Ebbene, noi pensiamo e abbiamo fiducia che questi Sottosegretariati continuino il lavoro intrapreso dal Ministero dell’assistenza post-bellica. Noi ci facciamo interpreti del pensiero dei milioni di reduci e partigiani che, ancora senza lavoro, attendono l’assistenza, attendono la protezione. Soprattutto ci facciamo interpreti del pensiero delle migliaia e migliaia di donne che sono rimaste vedove per la perdita dei loro mariti, che per la perdita dei loro figli sono rimaste sole. Chiediamo a nome di questi colpiti che il Governo continui l’assistenza, che il Governo continui a curare quelle istituzioni che furono create per iniziativa del Ministero soppresso, che il Governo continui a crearne anche delle nuove.
Bisogna non sopprimere quelle istituzioni che sono così utili alla ricostruzione morale e materiale dell’Italia; ad esempio, io so che ad Urbino, per iniziativa del Ministero dell’assistenza post-bellica, fu fondato il collegio per i bimbi dei fucilati della regione. Questi bambini sono numerosi, perché la regione delle Marche è una più colpite dalla guerra partigiana: sono figli dei nostri eroi, di quegli uomini che al nostro fianco durante la guerra di liberazione lavorarono e lottarono per liberare l’Italia. Questi piccini non devono essere preda delle mene reazionarie, di quei reazionari che continuano a dire che i loro genitori sono morti per una causa ingiusta. Questi bimbi devono sentirsi assistiti, perché questa è l’eredità che ci hanno lasciato coloro che sono caduti combattendo. Quindi l’iniziativa della post-bellica, per il collegio di Urbino, deve essere portata a termine; e questi bimbi devono da noi essere assistiti, devono essere curati, devono poter domani essere degni dei loro genitori che sono caduti per la libertà d’Italia.
Una iniziativa simile è sorta nella Calabria, a Gioia Tauro; anche lì dobbiamo continuare; anche lì dobbiamo rafforzare; anche questo collegio deve accogliere centinaia di bimbi dei nostri fucilati. In conclusione, io vorrei dire che non dobbiamo sopprimere ma prepararci a nuove iniziative; la situazione reale italiana ci dice che vi sono ancora nel nostro Paese milioni di persone che devono essere assistite, vi sono ancora a Napoli e a Roma centinaia e centinaia di bimbi che vagabondano nelle vie. Questi sciuscià devono essere accolti da noi se non vogliamo domani creare dei sanatori, al posto delle officine, se non vogliamo vedere domani questi bimbi d’Italia, che dovrebbero essere la gioia della famiglia, diventare dei delinquenti. Bisogna per tempo curare questi bimbi. Perciò, noi chiediamo al Governo, fin da ora, d’iniziare l’opera per le colonie estive. Non mezzo milione di bimbi dovranno essere assistiti nelle colonie, ma dei milioni. Noi dobbiamo risanare l’infanzia italiana per fare di questi bimbi un esercito di lavoratori del braccio e del pensiero e non farne, come nel passato, un esercito di giovani condannati a morire nelle guerre.
Vorrei dire poche parole sull’opera del Governo che, mediante i Sottosegretariati, deve procurare lavoro ai disoccupati. Devono essere fondate cooperative sotto varie forme, continuando cioè l’opera del Ministero dell’assistenza post-bellica.
Vogliamo assistere il popolo, perché vogliamo riportare la serenità nella famiglia, e la serenità non si porta solo a parole, ma si porta a fatti, si porta con l’assistenza fattiva, con la rieducazione dell’infanzia abbandonata, col lavoro e con rassicurare un minimo di esistenza a questa famiglia italiana.
Noi vogliamo, con la nostra opera, far ritornare la pace nella famiglia, far ritornare il sorriso sulle labbra dei milioni di bimbi d’Italia colpiti dalla guerra. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nenni. Ne ha facoltà.
NENNI. Per mandato del gruppo parlamentare del Partito socialista italiano dirò, il più rapidamente possibile, le ragioni per le quali, alla fine di questa discussione, noi voteremo per il Governo, al quale abbiamo l’onore di partecipare. Vorrei, nel medesimo tempo, anche dire le ragioni per le quali questo «sì» che noi diamo al Governo va di pari passo con un «no» nei confronti della società italiana, quale è ancora oggi.
L’Assemblea troverà probabilmente logico che prima di parlare della crisi, dei problemi che essa ha posti, di quelli che ha risolto o tentato di risolvere, mi soffermi un momento sulla situazione che è stata creata nel nostro Paese dalla firma del Trattato. Sono tanto più giustificato a farlo, visto che debbo soltanto alla malaugurata scissione che si è prodotta nel mio partito se col suo concorso – qualcuno dirà col suo soccorso – ho potuto esimermi dal prendere davanti all’Assemblea una responsabilità diretta, insieme al Presidente del Consiglio, nella questione della firma del Trattato.
Per me, signori, il problema di fronte al quale si è trovata l’Italia non è stato mai quello della firma o della non firma, ma quello della esecuzione o della non esecuzione del Trattato.
Ho detto alla Commissione dei trattati, e voglio ripetere qui, che debbo fare una riserva sulla procedura seguita dall’onorevole De Gasperi di fronte al problema della firma. Nel precedente Governo non fu mai considerata la possibilità che si potesse arrivare alla firma senza aver consultato, in modo diretto o indiretto, l’Assemblea. Né noi ci soffermammo mai, fino agli ultimi giorni, sulla distinzione (forse giuridicamente fondata, per quanto politicamente senza valore) tra firma e ratifica.
Comunque, signori, sono queste delle pure questioni di forma. Noi mancheremmo al nostro dovere verso il Paese se lasciassimo credere che l’atteggiamento del Governo e del Paese poteva essere diverso da quello che è stato, e noi commetteremmo una grave colpa non solo nei confronti della generazione attuale, ma delle generazioni future, se lasciassimo sussistere il dubbio che potevamo sottrarci all’obbligo della esecuzione.
La verità, signori, è che la situazione creata dalla disfatta è tale che se anche le condizioni del Trattato fossero state per evenienza peggiori di quelle che sono, noi non avremmo potuto che eseguirle. Forse c’era un mezzo per sottrarsi a questa fatalità: fare una sortita di altro genere di quella alla quale ha accennato nel suo discorso il Presidente del Consiglio; ma non v’è certamente nessuno in questa Assemblea (e penso non vi sia nessuno nel Paese) il quale possa sostenere che avremmo servito il Paese se avessimo tentato la sortita alla quale alludo. Noi ci siamo trovati e ci troviamo esattamente nella situazione nella quale si trovarono l’Assemblea di Bordeaux nel’1871, il primo governo sovietico al momento della pace di Brest Litowskj, l’Assemblea di Weimar nel 1919: paghiamo per errori che non abbiamo commessi e per Governi e regimi contro i quali ci siamo sempre battuti. (Applausi).
RUSSO PEREZ. Nessuna di quelle Nazioni era stata cobelligerante.
NENNI. Ci fu nel 1871, da parte della Comune, un tentativo di sottrarsi a questa fatalità, tentativo generoso ed eroico, ma che fu schiacciato. I bolscevichi si trovarono alle prese con un identico problema, quando dovettero firmare la pace di Brest Litowskj, ma ognuno sa come, nelle appassionate polemiche fra il realismo di Lenin ed il romanticismo di Trotzky. Il realismo di Lenin ebbe ragione nell’immediato e nello sviluppo storico, poiché dal punto in cui l’Unione Sovietica era caduta con la pace di Brest Litowskj, essa si è poi risollevata fino alla gloria di Stalingrado ed alla vittoria. (Applausi a sinistra).
Diceva allora Lenin che una delle ragioni, per le quali l’Unione Sovietica doveva firmare, era che i bolscevichi avevano promesso ai lavoratori ed ai contadini della Russia la pace.
Anche noi, signori, anche la Repubblica italiana ha promesso ai lavoratori, ha promesso ai contadini, ha promesso a tutto il popolo la pace. Vuol dire forse che per precostituirci questo diritto alla pace, noi dobbiamo fingere di non vedere ciò che c’è d’ingiusto e di odioso nel Trattato di pace? No, signori.
Il Trattato ha creato situazioni che nei prossimi anni dovranno essere corrette. Il Trattato ha creato una situazione difficile fra noi e la Francia, a causa della frontiera occidentale e fra noi e la Jugoslavia, a causa della frontiera orientale. Il Trattato ha alterato gravemente i nostri rapporti coi Quattro, per aver strappato alla madre patria Trieste e il territorio che costituirà lo Stato libero di Trieste e ha turbato i nostri rapporti col Regno Unito, per il mancato statuto destinato a regolare la situazione degli italiani nell’Africa.
Noi non sottacciamo codeste difficoltà, noi non veliamo la nostra protesta, né rinunciamo e rinunceremo all’appello al diritto. Èperciò, signori, che il 20 dicembre scorso, mentre durava la crisi, inviai ai rappresentanti delle quattro Potenze la nota con la quale il Governo domandava che il diritto di revisione fosse iscritto nel Trattato.
Penso, del resto, che alla fine della discussione sulle comunicazioni del Governo l’Assemblea Costituente interpreterà il sentimento e l’interesse del Paese, se farà pervenire alla Camera dei Comuni, al Parlamento francese, al Senato americano, al Consiglio Supremo dei Sovieti la espressione della nostra volontà di ricercare con la procedura della revisione una distensione nei rapporti fra i popoli, e un mezzo per risolvere pacificamente le difficoltà presenti.
Sapevo che l’accoglienza immediata alla proposta non sarebbe stata favorevole; sapevo e sappiamo tutti che l’arma della revisione può essere usata a fini diversi. Quando Hitler parlava della revisione, preparava psicologicamente uno stato di guerra. Quando noi parliamo della revisione, è per rendere impossibile la guerra, è per aprire ai popoli una procedura di pace.
Non posso quindi che congratularmi con l’onorevole Sforza per avere egli ripreso con tanto vigore nella sua nota di protesta il principio della revisione e non posso che riaffermare la nostra fiducia nella possibilità di risolvere con negoziati bilaterali coi Paesi interessati e nell’ambito dell’O.N.U. i problemi che il Trattato di pace non ha risolto, perché non è il risultato d’una libera discussione, ma traduce, in termini sovente di ingiustizia, la volontà dei vincitori nei confronti dei vinti.
E neanche dobbiamo rinunziare, onorevoli colleghi, a porre davanti all’opinione pubblica mondiale i problemi della nostra pace. Quello che ci è sembrato curioso e in una certa misura tenebroso, nelle polemiche dei giorni scorsi (che si riprodurranno, certamente, quando verrà il problema della ratifica), è che proprio coloro i quali hanno messo il paese nella situazione attuale si erigono a giudici ed a critici della democrazia italiana. (Applausi a sinistra).
La verità è che per fare una discussione critica del Trattato avremmo bisogno di avere al banco del Governo non gli uomini che per 20 anni si sono battuti contro il fascismo, ma coloro i quali il 10 giugno del 1940 ingannarono il popolo con la promessa della guerra facile e breve. (Applausi a sinistra e al centro).
Noi sappiamo, signori, che le proteste, le rivendicazioni, le note diplomatiche del Ministro degli esteri, non muteranno la situazione. Sarà questa l’opera del Paese man mano che esso si risolleverà dallo stato attuale. Saremo noi, con la nostra politica interna e con la politica sociale che faremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni, a risolvere anche il problema della reinserzione dell’Italia fra le Nazioni libere e democratiche.
Ora, a questo proposito ci sono due motivi di inquietudine.
Il primo lo vorrei formulare così: tutto il nostro popolo, tutto il Paese, ha veramente compreso cosa è successo in Italia nel 1943?
La seconda inquietudine la potrei formulare nel modo seguente: tutte le classi, tutti i partiti, tutte le forze che concorrono alla vita nazionale in Italia sono esse disposte a fare i sacrifici necessari perché la Nazione risorga e risorgendo all’interno ritrovi anche all’estero il prestigio che ha perduto?
A queste due domande oggi non è possibile dare una risposta definitiva. Però, onorevoli colleghi, ci sono molte ragioni di credere che c’è una parte del Paese che non ha capito quello che è successo nell’estate del 1943. Noi leggiamo ancora troppi articoli, troppi libri, noi ascoltiamo troppi discorsi, dove il dramma italiano è presentato sotto questo aspetto: se la sera della rotta di Dunkerque, Hitler avesse traversato la Manica e avesse assalito l’Inghilterra; se ad E1 Alamein tale generale avesse fatto la tale manovra invece della tale altra; se tale invenzione fosse arrivata un po’ più tardi o un po’ prima, oggi non subiremmo la pace, ma detteremmo la pace agli altri Paesi.
Compiango gli italiani che compiono questo errore di cecità. Compiango gli italiani che non hanno compreso che la disfatta del 1943 non è dovuta a questo o a quell’episodio, non è il risultato di questo o di quell’errore tattico o strategico, ma è la condanna di tutta la politica estera della borghesia italiana, dalla Triplice alleanza fino all’Asse. È la punizione caduta sul Paese che era uscito dalle vie del suo destino, che sono le vie non della guerra, ma del lavoro e della pace.
Signori, se noi fossimo d’accordo su questo…
RUSSO PEREZ. Non sono d’accordo neanche loro!
NENNI. …allora le prospettive della nostra politica all’estero diventerebbero chiare.
Invece noi siamo profondamente inquieti sull’avvenire della nostra politica estera.
Inquieti rispetto a determinate classi, a determinati partiti, non certo rispetto all’uomo eminente che oggi dirige la politica estera del nostro Paese, e che sa quanto sia falsa la politica che consiste nel puntare sull’Occidente contro l’Oriente, ignorando che in questa politica l’Italia sarebbe la prima e la più sciagurata delle vittime.
Qual è la nostra inquietudine, signori?
Per quel che riguarda la destra, la nostra inquietudine deriva dal fatto che constatiamo ogni giorno la sua incapacità a fare una distinzione fra la sua lotta interna contro i comunisti e contro noi, nella quale essa ha la giustificazione degli interessi sociali che difende, e la politica estera nei confronti dell’oriente e dell’Unione Sovietica.
La destra oggi è più incapace di quanto non lo siano stati gli stessi fascisti di distinguere fra il cosiddetto pericolo comunista all’interno (Commenti a destra) e quello che rappresentano in Europa e nel mondo di oggi l’Unione Sovietica e il mondo orientale. La destra ha, coscientemente o incoscientemente, per meditato calcolo politico e per faziosità, sposato l’ideologia della terza guerra, che trasformerebbe l’Italia in un deposito e in un bersaglio di bombe atomiche.
BENEDETTINI. Ma chi l’ha detto?
NENNI. Tutta la vostra stampa, signori, da mesi e mesi, dimostra una totale incapacità a valutare i problemi della politica estera italiana.
BENEDETTINI. Meno della vostra. Al solito: capaci sono solo i sinistri!
NENNI. Vorrei dire ai colleghi della Democrazia cristiana che anche la loro posizione in queste questioni ci è causa di profonda inquietudine. (Commenti al centro).
RODI. Siamo alle solite: soltanto la sinistra ha il cervello.
NENNI. Oggi c’è una tendenza a confondere le ragioni di carattere religioso che oppongono il Vaticano all’Unione Sovietica, con la politica estera del Paese. (Commenti al centro).
Una voce al centro. La confusione è tutta sua.
NENNI. Su questo punto noi siamo e saremo assolutamente intransigenti. (Rumori al centro). Una politica estera del nostro Paese, che sbandasse decisamente verso l’Occidente, noi la considereremmo una sciagura dal punto di vista politico e dal punto di vista economico, dal punto di vista della pace e dal punto di vista dell’avvenire economico del nostro Paese. (Rumori al centro e a destra).
Voci al centro. Anche noi.
NENNI. Felice, onorevoli colleghi, di trovarvi concordi, benché molte manifestazioni ci hanno fatto credere il contrario. Né vorrei, onorevoli colleghi, che nel nostro atteggiamento si intravedesse o una mancanza di riconoscenza verso l’Occidente, o una pura preoccupazione di carattere ideologico. Noi siamo stati in questi anni, siamo in questo momento, saremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni, tributari economicamente dell’Occidente e dobbiamo molta gratitudine agli Stati Uniti per quello che hanno fatto e fanno per venire in aiuto al nostro Paese. Ma, responsabili davanti alle generazioni future, noi considereremmo errata una politica estera la quale non tenesse la bilancia uguale tra Occidente ed Oriente e non si sovvenisse che abbiamo avuto in Oriente una posizione economica di privilegio che dobbiamo sforzarci di riconquistare. Signori, saremo indipendenti, politicamente e nazionalmente, se saremo indipendenti economicamente e se il nostro pane, il nostro carbone, la vita delle nostre industrie non dipenderanno da un solo complesso mondiale.
RUSSO PEREZ. Autarchia! (Interruzioni a sinistra – Commenti).
NENNI. L’altra inquietudine, della quale mi sono fatto interprete, si riferisce alla capacità del Paese di risorgere dalla situazione attuale. Noi sappiamo che il nostro Paese, per ritrovare la situazione di un tempo, dovrà sopportare molti sacrifici. Ma non abbiamo constatato da parte della classe abbiente la volontà e la capacità di sacrificare, sull’altare degli interessi della Nazione, gli interessi particolari di determinati gruppi agrari o industriali. (Approvazioni a sinistra). Noi abbiamo visto la vecchia classe dirigente italiana, di cui Labriola diceva giorni fa che non è reazionaria ma moderata, mettersi a parlare tedesco nel 1940, parlare inglese non appena, due divisioni anglo-americane sbarcarono in Sicilia; la vediamo oggi sforzarsi di parlare l’americano di Wall Street. L’italiano non lo sa più parlare ed è incapace di sollevarsi al di sopra dei propri interessi per prendere in considerazione gli interessi collettivi del paese. (Applausi a sinistra).
Ora, signori, una classe dirigente non può mantenersi al suo rango, se non è capace di interpretare gli interessi collettivi di un paese. Io non nego che la borghesia abbia avuto queste virtù e queste qualità.
MICCOLIS. Le ha ancora. (Commenti a sinistra).
Una voce a sinistra. Le ha dimostrate col fascismo!
NENNI. Le classi, onorevoli colleghi, passano attraverso tre età, tre fasi. La fase eroica, la quale fu per la borghesia contrassegnata dalla rivoluzione industriale inglese, dalla rivoluzione politica francese, e da noi dal Risorgimento; la fase della conservazione, caratterizzata da una oscillazione perpetua fra libertà formale e reazione sostanziale, e fu tutta la storia della borghesia europea del XIX secolo; la fase dalla decadenza è incominciata dopo la guerra del 1914-1918, ed è stata contrassegnata dal tradimento borghese della libertà e della democrazia. (Commenti a destra).
CAPUA. Hanno cominciato i socialisti nel 1919.
MICCOLIS. Mussolini era socialista.
NENNI. L’avvenire del nostro Paese è affidato al coraggio, alla volontà, alla tenacia della classe lavoratrice. Ed ecco, signori, che arrivo, per un imprevisto cammino, alla crisi ministeriale.
Che cosa è stata, signori, questa crisi? Tutti l’hanno minimizzata in quest’Aula. Chi leggesse i discorsi che sono stati pronunciati qui e volesse rendersi conto di ciò che è successo alcune settimane or sono nel Paese, sarebbe nella assoluta impossibilità di farlo. Finirebbe per credere che l’onorevole De Gasperi, stanco di avere a che fare con un Ministero dell’assistenza post-bellica, desideroso di unificare i Dicasteri del tesoro e delle finanze, ha approfittato della prima occasione che gli è stata offerta per dimettersi e fare un Ministero a somiglianza del precedente.
La crisi ultima è stata invece la più importante e la più politica di quante crisi si sono determinate nel nostro Paese dal 1943 fino ad oggi, e ciò che l’ha caratterizzata è stato il tentativo di escludere l’estrema sinistra, di escludere le classi lavoratrici dalla diretta partecipazione al Governo…
MICCOLIS. Siamo tutti lavoratori!
NENNI. L’onorevole De Gasperi ha detto di non avere avuto mai in animo l’esclusione dal Governo dell’estrema sinistra socialista e comunista, ed io gli do atto delle sue parole.
Sono stato il primo Ministro del precedente Gabinetto al quale egli ha parlato della crisi e mi ha detto allora le stesse cose dette qui.
Senonché, signori, la crisi non l’ha fatta soltanto l’onorevole De Gasperi. Egli ha trovato, tornando dall’America, una campagna in pieno sviluppo.
Si era determinata una rottura nel Partito socialista; si interpretava questa rottura come un indebolimento del fronte democratico e si voleva approfittarne per mettere fuori dal Governo i rappresentanti della classe lavoratrice. Tutta l’impostazione polemica della crisi si può riassumere nel rammarico che ha lasciato: che Saragat non abbia voluto o potuto, che Facchinetti non abbia osato, che il Governo di centro non si sia potuto fare per la mancanza di logica o di coraggio dei nostri secessionisti e dei repubblicani.
In ciò, signori, sta la gravità della crisi. Fortunatamente il Governo di centro non s’è fatto, né si può fare, come non si può fare il Governo omogeneo democristiano. Ma, se si fosse fatto, la situazione del Paese sarebbe molto più grave dal punto di vista politico e sociale. (Interruzioni – Commenti a destra).
Una voce a destra. Minaccia!
PERTINI. Quale minaccia? Se sta facendo delle considerazioni!…
NENNI. Il Governo di centro, signori, ha una sua storia: una volta, una volta sola, si è chiamato Kerenskj; molte altre volte si è chiamato Facta, Brüùning, Dollfuss. Il Governo di centro è una maschera gettata sulla politica della destra, o è un inconscio passo verso la guerra civile. Non profferisco minacce, onorevoli colleghi, perché la guerra civile non la vogliamo! (Commenti a destra).
BENEDETTINI. Neanche noi! Non ci capite, onorevole Nenni.
NENNI. Perché, se la estrema sinistra fosse stata desiderosa di avventure del genere, nell’aprile del 1945 essa ha avuto una occasione che taluni rimpiangono di aver lasciato passare senza approfittarne. (Commenti).
Io no, convinto come sono che mentre la classe lavoratrice sta per diventare classe dirigente del Paese, essa ha il dovere di dominare i suoi istinti, la sua collera, le sue proteste e di porre l’interesse della Nazione al di sopra dei suoi propri interessi.
Ebbene, signori, nessuno può annullare oggi il ricordo di ciò che si è cercato di fare; nessuno può farci dimenticare che ad appena due anni dalla liberazione si è tentato di escludere dal Governo e di ricacciare all’opposizione le masse che hanno espresso dal proprio seno durante i venticinque anni della dominazione fascista la parte migliore del popolo italiano; le masse che nei quarantacinque giorni dell’epoca badogliana ebbero la forza e la capacità di smascherare l’ipocrisia che si celava dietro il tentativo di continuare il fascismo senza Mussolini; le masse che dal1’8 settembre 1943 all’aprile del 1945 hanno versato sangue su tutte le montagne d’Italia per affermare la rinascita del loro Paese. (Applausi a sinistra).
Signori, ciò è grave, è qualche cosa che ci induce a ricercare se le ragioni della nostra collaborazione con la Democrazia cristiana non stiano per venir meno. Signori, quali sono state le ragioni di questa collaborazione?
Prima del 25 luglio, scopo della nostra collaborazione fu la resistenza al fascismo e alla guerra fascista. Dopo il 25 luglio ci sforzammo di rendere impossibile l’attuazione del programma di Vittorio Emanuele III che diceva: «Niente recriminazioni», e del programma di Badoglio che diceva: «La guerra continua». Dopo l’8 settembre ci unì la fiducia che serbammo nella possibilità per il nostro Paese di ritrovare la sua libertà all’interno e il suo posto nel mondo. Dall’aprile del 1945 al 2 giugno del 1946 collaborammo per sodisfare l’impegno che avevamo preso nei confronti del Paese di affidare ad una libera Costituente la soluzione della questione istituzionale. Se voi scorrete il libro nel quale l’amico onorevole Bonomi ha raccolto le pagine del suo diario dal giugno 1943 al giugno 1944, e constatate che il nostro accordo fu anche allora quanto mai discorde, che ognuna delle nostre decisioni fu il risultato di una polemica pressoché permanente. La descrizione delle riunioni del Comitato di liberazione nazionale, in cui una diecina di persone rischiavano di farsi fucilare per discutere una parola di un ordine del giorno, l’articolo di un futuro decreto, e imbrigliare in un testo la vita che scorreva rapida e tumultuosa, muove oggi al sorriso.
Eppure è da quelle discussioni, dal tormento di quei lontani giorni, che sono venute fuori le soluzioni sulla base di un compromesso fra noi che volevamo forse correre un po’ troppo e l’ala moderata antifascista che andava a rilento. In fondo ciò conferma che in politica bisogna puntare cento per avere dieci.
In verità, quando prendiamo in considerazione il lavoro svolto, non abbiamo da arrossirne, né da pentircene, giacché, pur fra molti errori di dettaglio, abbiamo fatto gli interessi del Paese e della democrazia.
Senonché, che cosa è successo? È successo, signori, che via via che la natura dei problemi andava mutandosi, anche le possibilità dell’accordo si attenuavano. Finché ci siamo trovati di fronte al problema della lotta contro i tedeschi o a quello della lotta contro la sedicente repubblica di Salò, tutto è stato relativamente facile. Le difficoltà sono aumentate quando ci siamo trovati davanti al problema della creazione della repubblica; allora sono nati i primi gravi dissensi fra noi. Dopo il 2 giugno i problemi puramente politici hanno, signori, ceduto il passo ai problemi sociali. Ecco perché ci sentite ora parlare molto più di prima di lotta di classe, ecco perché io non direi più «politique d’abord», ecco perché per continuare a collaborare in avvenire, abbiamo bisogno di determinare chiaramente il nostro programma sociale.
Signori, che cosa è la repubblica democratica? Non è l’età dell’oro. Per noi la repubblica democratica è la forma borghese di organizzazione statale nei cui limiti la lotta di classe si combatte con maggior chiarezza. Perciò la libertà che rivendichiamo non è soltanto la libertà del pensiero, della coscienza, la libertà politica, ma è la libertà della lotta di classe. Ho l’aria di dire delle cose che a taluni possono sembrare o eretiche o nuove, e non faccio che ripetere cose che da questi banchi, per 50 anni, i nostri maestri e predecessori in fatto di socialismo, hanno detto cento, mille volte.
C’è stata, per esempio, poco meno di mezzo secolo fa una seduta memorabile. Al banco del Governo c’era, invece di De Gasperi, l’onorevole Giolitti; al posto dell’onorevole Corbino c’era l’onorevole Sonnino, e da questi banchi si alzava Camillo Prampolini e cominciava il suo discorso con queste parole: «Noi voteremo contro Sonnino, voteremo cioè contro l’opposizione di destra», e quindi per il Governo che aveva nel suo programma la libertà di sciopero.
È un po’ il nostro destino. Anche noi oggi, quando partecipiamo al Governo, quando votiamo per il Governo, votiamo contro qualche cosa, votiamo contro il Governo della destra, nel quale vedremmo la rinascita della reazione e del totalitarismo, e votiamo anche contro il Governo di centro che reputiamo incapace di dirigere la nazione e di portare i suoi problemi a soluzione. (Commenti).
Ma, signori, se non rifiutiamo il compromesso, però rifiutiamo il connubio, rifiutiamo il trasformismo. Direi che ciò che distingue la maggioranza di oggi da quella di trentacinque e quarant’anni fa è una superiore coscienza politica ed una superiore coscienza sociale. Io ho sentito qualche volta nelle parole dell’onorevole De Gasperi una certa nostalgia delle maggioranze giolittiane che erano così comode. Erano comode, ma servivano meno delle maggioranze di oggi. Noi siamo d’accordo sui punti nei quali siamo d’accordo, siamo in disaccordo su molti altri problemi, e lo diciamo alfine di non installarci nel compromesso.
Il mio amico, o nemico (non so, decideranno gli eventi), Saragat, ha detto che egli non vuole installarsi nel compromesso. Noi non ci siamo mai installati nel compromesso, del che è prova il fatto che appena raggiunta una mèta, già ne ponevamo un’altra.
Dopo la Repubblica qual è la nuova mèta? Con la Repubblica abbiamo risolto un problema storico. Alla Repubblica bisogna affrettarsi a dare un profondo contenuto sociale, attuando le riforme di struttura delle quali abbiamo parlato un po’ tutti nelle elezioni del 2 giugno. La difesa della Repubblica e il consolidamento della Repubblica (dirò poi una parola in rapporto al programma di De Gasperi) non possono essere affidati che a uno sforzo quotidiano per legare le masse del popolo italiano alle nuove istituzioni politiche e far loro constatare che la Repubblica è al servizio della Nazione ed ha il compito fondamentale di difendere gli interessi dei lavoratori e di preparare nella legalità l’avvento dei lavoratori alla funzione di nuova classe dirigente.
Ora io ho la convinzione che, in verità, raccordo fra noi manca proprio su questi problemi, che stanno per diventare i problemi fondamentali del Paese. Ed allora che fare? Due cose, io credo, onorevole De Gasperi: sollecitare le elezioni, andare davanti al Paese, fare arbitro il Paese delle direttive dei differenti partiti.
BENEDETTINI. E rifare il referendum!. (Commenti – Interruzioni a sinistra).
Una voce a sinistra. Certe cose si fanno una volta sola! (Commenti).
NENNI. Onorevoli colleghi, si è parlato delle elezioni a giugno; io avevo incominciato a parlarne nel mese di novembre. L’onorevole De Gasperi allora non era del mio avviso e solo adesso parla di affrettare le elezioni. Molti altri ne parlano forse perché sanno che le elezioni a giugno non sono più possibili. Lo stato dei lavori dell’Assemblea, le leggi fondamentali che dobbiamo ancora votare, rendono molto aleatoria la possibilità che le elezioni si facciano a giugno e per parte mia, lo deploro, convinto come sono che un appello al Paese avrebbe provocato la chiarificazione che si è inutilmente cercata con la crisi ministeriale. (Approvazioni).
È solo dal Paese che devono venirci le direttive per l’avvenire. Io ho la convinzione che il Paese darà la maggioranza alla sinistra e permetterà alla sinistra di governare.
BENEDETTINI. È quel che vedremo!
NENNI. Se fosse diversamente, ci inchineremmo di fronte alla volontà del popolo e continueremmo a lavorare, perché ci dia ragione in un’altra occasione.
BENEDETTINI. Siamo d’accordo.
RUSSO PEREZ. Anche noi.
NENNI. In attesa delle elezioni, pure abbandonando, come ha fatto l’onorevole De Gasperi nel suo programma, tutto ciò che di avveniristico era nelle precedenti dichiarazioni ministeriali, dobbiamo sforzarci di risolvere i problemi di emergenza che stanno di fronte a noi. Il Governo ha parlato di difesa della Repubblica e di consolidamento. Io vorrei approfittare di questa occasione per dissipare uno dei tanti malintesi che corrono per le gazzette del nostro Paese. Ci si dipinge da qualche tempo come sitibondi di leggi eccezionali, di assassinî della libertà, della libertà di stampa, della libertà di parola.
Signori, se vi è qualcuno in quest’aula che sa la vanità dei mezzi di polizia applicati alla politica, questo qualcuno siede non a destra, ma all’estrema sinistra. Se fossero bastate le misure di polizia per arrestare il cammino del socialismo, da Crispi in poi il socialismo non avrebbe fatto un passo innanzi, ed invece ha fatto molti passi avanti.
Se bastasse organizzare una polizia, addestrarla selvaggiamente alla repressione della libertà di opinione e di stampa, per durare politicamente eterni, Mussolini e, soprattutto, Hitler, sarebbero durati eterni, ed invece sono caduti. (Approvazioni).
In un libro che pubblicai nel 1931 e che ebbe qualche successo all’estero, io dicevo parole, che mi piace ripetere qui: «Crederò – dicevo – alla vittoria di Mussolini, alla forza di Mussolini ed alla durata del fascismo, il giorno in cui Mussolini si alzerà e terrà questo discorso: apro le carceri, abolisco il confino; ridò la libertà di stampa e di propaganda, lascio organizzare liberi sindacati e dò appuntamento ai miei avversari in Parlamento».
Se avesse potuto fare questo discorso, egli avrebbe vinto la sua battaglia politica. E l’ha perduta, perché questo discorso non l’ha potuto fare mai.
Orbene, signori, di questo discorso noi desideriamo ardentemente di poter fare il nostro programma. Vuol forse dire che per questo dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alla necessità di alcune misure di salute pubblica che l’Assemblea dovrà adottare, una legge di difesa della Repubblica non potendo essere l’opera del Governo, ma della Costituente?
Dobbiamo fingere di non vedere che ci sono delle cose che non sono tollerabili?
Signori, io sono stato repubblicano per tutta la mia vita in regime di monarchia ed esagererei se dicessi che la monarchia mi ha reso la vita talmente difficile!
Per questa ragione non mi dà fastidio che ci siano dei monarchici, ma ciò che urta il sentimento di giustizia del popolo italiano e della parte del popolo che ha di più sofferto nel corso degli ultimi 20 anni, è che già si possa fare nella stampa l’apologia del fascismo o dei Savoia, mentre noi stiamo pagando a prezzo di sofferenze e di sangue i delitti del fascismo e dei Savoia. (Applausi a sinistra).
BENEDETTINI. I Savoia hanno fatto l’unità d’Italia; ricordatelo! (Interruzioni a sinistra – Rumori).
NENNI. Se, per amore di contrasto, mi piacesse dirmi monarchico, sarebbe forse in difesa d’un sistema di governo, non già in difesa d’una dinastia che ha lasciato l’Italia a Pescara nelle condizioni che tutti conoscete. (Applausi a sinistra).
La sola cosa che noi domandiamo in questa materia è che l’Assemblea dia al Paese una legge di difesa della Repubblica, e che il Governo consolidi la Repubblica andando incontro alle necessità del popolo.
Gi preoccupa poco, onorevole De Gasperi, che lei denunci al Procuratore della Repubblica i fogliucoli neo-fascisti che pullulano, purché ella denunzi al Paese il tentativo di approfittare delle difficoltà della Nazione per risuscitare le immagini della tirannia e dell’oppressione.
È, direi, più una questione di costume che di legge.
Nelle prossime settimane tre ordini di problemi dovremo affrontare, dei quali hanno parlato o parleranno oratori che sono in grado di valutarne ogni aspetto tecnico: tre gruppi di problemi che non possono attendere.
Appartengono al primo gruppo i problemi attinenti al costo della vita e ai salari, alla disoccupazione e alla alimentazione. Nessuno ha mai chiesto al Governo precedente, e nessuno chiede al Governo attuale, di fare quello che non può fare, di far sì che regni l’abbondanza in un Paese uscito distrutto dalla guerra.
Ma tutti ci hanno chiesto e continuano a chiederci di fare in modo che i sacrifici siano equamente ripartiti fra tutti. Il problema della disoccupazione sta diventando assolutamente angoscioso, una maniera di non vivere.
Noi abbiamo chiesto al precedente Governo, e chiediamo al Governo attuale, che per lo meno il sussidio di disoccupazione sia portato a 200 lire. Abbiamo inoltre domandato che si creino delle scuole di rieducazione al lavoro. Questo è il problema più urgente nel campo del lavoro, giacché ci dibattiamo nella situazione assurda di avere due milioni di disoccupati registrati e forse tre milioni o tre milioni e mezzo di disoccupati effettivi, e in questa massa gli operai specializzati sono un’esigua minoranza. Non abbiamo muratori, non abbiamo minatori – e ciò si spiega – non abbiamo metallurgici, e ci troviamo alle volte a dover rifiutare le richieste di mano d’opera dall’estero, perché manca la mano d’opera qualificata. Questo è il dramma della gioventù che il fascismo ha strappato per 10 anni alle famiglie, restituendola dopo la disfatta, senza arte e senza parte.
Ci sono poi delle così stridenti contradizioni sociali nel nostro Paese che se il Governo non si propone di realizzare una maggiore eguaglianza sociale, allora gli sforzi che faremo per creare uno spirito democratico nel Paese si infrangeranno di fronte alla vecchia fatalità di vedere alternarsi periodi di rivolta disordinata a periodi di supina acquiescenza.
Non dirò niente dei problemi finanziarî dei quali si è già parlato; vorrei solo rispondere all’onorevole Corbino. Egli ha detto che un Governo di sinistra è un Governo che costa, che un Governo di sinistra è un Governo di sempre maggiori spese pubbliche. Sì, onorevole Corbino; un Governo di sinistra è un Governo di sempre maggiori spese pubbliche perché è un Governo che si sforza di andare incontro alle esigenze del popolo. E appunto perché un Governo di sinistra è un Governo di sempre maggiori spese, bisogna che esso attui quella finanza democratica di cui ha parlato qui l’amico e collega onorevole Scoccimarro, bisogna che renda possibile la contemporaneità delle due seguenti operazioni: larghi gettiti al tesoro, larghe spese per andare incontro alla miseria che è la piaga più atroce del Paese.
Infine, signori, ci sono i problemi della pianificazione industriale, alla quale teniamo per ragione ideologiche, ma anche, e soprattutto, perché siamo persuasi che, senza un piano, vedremmo ricrearsi in Italia le storture sociali ed economiche esistite per 50 anni in conseguenza del fatto che le industrie sono sorte e si sono sviluppate senza tenere in considerazione gli interessi generali del Paese, ma soltanto quelli di determinati gruppi di speculatori. Ciò è avvenuto soprattutto nel Mezzogiorno.
Signori, si è parlato di scandali in questa Assemblea. Non nego che esistano problemi di incompatibilità che l’Assemblea dovrà risolvere. Tuttavia non conosco scandalo più grande di quello che si ha sotto gli occhi quando si percorre l’Italia meridionale o la Sicilia e ci si imbatte in paesi che sono ancora ad un livello di vita indegno di un Paese moderno.
CAROLEO. Questo è vero.
CONDORELLI. È carenza di mezzi, non di civiltà.
NENNI. Ieri, al Consiglio dei Ministri, onorevole interruttore, l’Alto Commissario della Sicilia ha riferito sulle condizioni di vita e di lavoro nelle miniere di zolfo dell’Isola ed ha richiamato l’attenzione del Governo e, al di sopra del Governo, della Nazione, sulla sorte di bambini da 12 a 15 anni che vivono ancora a 700 metri sotto il livello del suolo, che a mezzogiorno mangiano un pezzo di pane, che hanno l’ernia bilaterale e la spina dorsale deformata. Signori, sessant’anni fa s’è fatta sui carusi siciliani una discussione nel Parlamento che commosse tutta la Nazione. (Vivi, generali applausi). Con uno slancio unanime, dall’estrema sinistra all’estrema destra, tutti i deputati balzarono in piedi a promettere giustizia alla Sicilia e alla Sardegna! Sono passati sessanta anni, e la giustizia attende ancora. In compenso ci sono state le guerre coloniali che volevano fare l’impero sulla miseria del popolo. (Applausi al centro e a sinistra).
Onorevole De Gasperi, nella misura in cui ella si sforzerà di risolvere questi problemi può contare sul nostro appoggio, sulla nostra solidarietà, sulla nostra collaborazione. Nessuno ha diritto di chiederci di rinunziare alle finalità proprie della nostra classe e del nostro partito: questo non lo potremmo fare, questo non lo faremo mai. Tutti hanno il diritto di chiederci di essere solleciti di fronte alla miseria del Paese. Metta in discussione, onorevole De Gasperi, la legge che istituisce i consigli di gestione e che segna una tappa dell’ascensione del mondo del lavoro verso il diritto di intervento e di controllo nel processo della produzione a cui il mondo del lavoro dà il più essenziale dei contributi.
Porti all’Assemblea il progetto che dà valore di legge al suo lodo sulla mezzadria e, nel medesimo tempo, onorevole Gullo, promuova l’amnistia per le migliaia di contadini che, per aver lottato per la modifica del patto mezzadrile, sono o in carcere o sotto processo. Elabori il Governo un piano, animato dallo spirito del nuovo Commissario dell’alimentazione, perché la distribuzione ed il reperimento dei generi di consumo popolare si facciano con maggior senso di giustizia, e noi lo appoggeremo e andremo attraverso il Paese a illustrare la sollecitudine del Governo.
È perché crediamo che quest’opera concreta la si può ancora compiere con la nostra collaborazione, è perché siamo convinti che, almeno fino alle prossime elezioni, dobbiamo cercare di accordarci su un programma di positive realizzazioni, che voteremo «sì», voteremo cioè la fiducia al Governo al quale partecipano alcuni dei nostri migliori rappresentanti.
Però questo «sì» si accompagna ad un «no» e fra sì e no non c’è nessuna contradizione, non c’è nessun doppio giuoco. Il «sì», che si riferisce alle cose positive che si possono comporre in questo momento; il «no» va al sistema sociale che sopravvive alla caduta del fascismo e della monarchia.
Onorevoli colleghi, tutti i nostri pensieri, tutti i nostri atti, tutti i nostri voti hanno un obiettivo: colpire e distruggere l’iniquità capitalistica che noi consideriamo fonte delle sciagure del nostro Paese. (Vivissimi applausi – Congratulazioni).
(La seduta, sospesa alle 18.15, è ripresa alle 18.45).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Lussu. Ne ha facoltà.
LUSSU. Onorevoli colleghi, dopo la discussione così come si è svolta, desidero limitare questo mio intervento a soli tre punti: la crisi, la risoluzione della crisi e la natura di questo Governo; poi, la soppressione del Ministero per l’assistenza post-bellica e, infine, la nuova organizzazione delle forze armate sotto il Ministero unico della difesa. Ma questi tre punti costituiscono un solo problema: il processo di democratizzazione nella Società e nello Stato.
Sulla crisi, dirò subito che non condivido la opinione espressa da alcuni – e, fra i più autorevoli, uno dei massimi rappresentanti del Partito repubblicano, l’onorevole Conti – i quali dicono che è perfettamente inutile discutere sul modo con cui questa crisi si è iniziata e risolta perché, in conclusione, il Governo esiste, il Governo c’è e cosa fatta capo ha.
Io penso tutto il contrario. Credo che ogni crisi, compresa questa, tocchi tutta l’essenza della democrazia e, quindi, della Repubblica, alla quale l’onorevole Conti – meno di qualsiasi altro – può rimanere indifferente.
E non condivido neppure l’ottimismo espresso da parecchi nel giudizio che questo Governo rappresenti un Governo imposto, quasi, dalla situazione delle sinistre, così come nel suo brillante intervento ha sostenuto il collega onorevole Nenni.
Io sono piuttosto portato a condividere le apprensioni qui espresse dall’onorevole Scoccimarro nella prima parte del suo discorso. Mi duole che il collega Nenni non sia presente; ma bisogna che ci convinciamo che questa crisi e la soluzione di questa crisi rappresentano il capolavoro di abilità politica manovriera dell’onorevole De Gasperi. Egli, infatti, dopo l’insuccesso delle elezioni amministrative del novembre scorso, in cui il suo partito ha perduto oltre il 50 per cento dei suffragi avuti il 2 giugno; dopo il prestigio perduto come Capo del Governo, con Corbino, senza Corbino, è riuscito a capovolgere tutta una situazione e a crearne una nuova, nella quale egli è veramente il padrone del vapore e del timone. (Commenti).
Se gli onorevoli colleghi avranno la bontà di sentire lo sviluppo logico di questa mia premessa, credo che nella grande maggioranza, almeno in questa parte, concorderanno con me.
Aggiungo di più: che a me pare che di tutta la carriera politica dell’onorevole De Gasperi, presente, passata e futura…
UBERTI. Il futuro non si sa!
Una voce dal centro. Non prenda ipoteche!
LUSSU …questo debba rimanere il suo più grande successo politico. E in questa crisi, come in tutte le precedenti, abbiamo assistito al mirabile giuoco costituzionale interno della democrazia cristiana, in cui l’una parte e l’altra, la sinistra e la destra, contrastandosi, finiscono poi entrambe col trovarsi insieme unite ai danni dell’avversario. E bene ha detto l’onorevole Saragat quando, interrompendo l’onorevole Presidente del Consiglio, ha risposto: «L’onorevole De Gasperi e l’onorevole Gronchi sono la stessa cosa».
Come democratico e come repubblicano che fa parte militante della sinistra repubblicana, io debbo dissentire totalmente dal giudizio dato dal collega Nenni, il quale sostiene che è stato un successo la formazione di questo Governo, in quanto che le sinistre non si sono lasciate escludere; e dissento anche dai colleghi del partito comunista (Commenti), i quali hanno dichiarato ufficialmente che il partito comunista avrebbe avuto un innegabile successo, poiché sarebbe riuscito a far fallire i tentativi dell’onorevole De Gasperi di estromettere dal Governo e di isolare il partito comunista. Il partito comunista è un ottimo combattente; sa incassare, incassa e fa buon viso a cattivo gioco. La realtà è che il successo dell’onorevole De Gasperi non può esser messo in discussione o in dubbio. Chi ha vinto e stravinto in questa crisi, e nella sua soluzione, è l’onorevole De Gasperi, e solo l’onorevole De Gasperi. E io credo che offenderò poca gente, e tanto meno l’onorevole De Gasperi in persona, se mi permetterò di definirlo il «Giolitti terziario della Repubblica Italiana». (Commenti – Si ride).
De Gasperi non ha mai creduto all’utilità, e tanto meno alla possibilità, di estromettere dal Governo il partito comunista; ma lo ha fatto credere, e ha dato ad intendere di crederci. Si possono rimproverare parecchie deficienze all’onorevole De Gasperi, ed io sono fra quei suoi amici e ammiratori che glie ne rimproverano più di una, ma nessuno potrà affermare che l’onorevole De Gasperi non conosca la situazione italiana.
Egli sa perfettamente che nella situazione presente governare senza i comunisti significa governare contro i comunisti. Per fare questo l’onorevole De Gasperi, che è un repubblicano, sia pure dell’ultima ora – ma l’ultima ora vale la prima ora e sono la stessa cosa, ed in questo l’apologo dei vignaioli del Vangelo depone interamente a suo favore – l’onorevole De Gasperi, che è un repubblicano, sa che avrebbe dovuto poggiare non già sul partito socialista dei lavoratori italiani o sul partito repubblicano che sono forze incrollabili della compatta sinistra repubblicana, che hanno dato la repubblica e la difendono, ma su forze antidemocratiche ed antirepubblicane. Non è l’onorevole Saragat con la sua decisa posizione – e chi lo conosce anche minimamente non poteva dubitarne, perché la sua coerenza intellettuale e dirittura morale sono tali che nessuno può superarle – non è la linea di resistenza o di atteggiamento negativo dell’onorevole Saragat che ha convinto l’onorevole De Gasperi a desistere da questo suo presunto proposito, ma è l’onorevole De Gasperi stesso, ed il merito è tutto suo. L’onorevole De Gasperi tiene non solo a salvarsi l’anima ma anche – il che non è meno meritorio – a che gli altri credano che se la sia salvata.
Poggiarsi su forze antidemocratiche e antirepubblicane oggi sarebbe stata una avventura folle e l’onorevole De Gasperi non ama le avventure né folli, né tenui. L’onorevole De Gasperi non è per le avventure. L’onorevole De Gasperi sa, e lo sa io credo anche il Capo dello Stato, che, nonostante parecchie pecche e disappunti, fino a nuove prove contrarie, che ci auguriamo tutti nell’interesse generale, prossime e ripetute, la Repubblica ha le sue radici, la sua base e la sua difesa nella sinistra repubblicana, così come si è manifestata nel Paese attraverso i suoi partiti politici e come è rappresentata in questa Assemblea. Basta ricordare il modo con cui è stato accolto il Presidente della Repubblica (che con timido eufemismo continuiamo a chiamare il Capo Provvisorio dello Stato) nelle varie regioni d’Italia per capire che qui è la Repubblica.
Qui naturalmente siamo alla solita domanda: quale repubblica? La repubblica democratica, così come la stiamo costruendo, così come i Governi che si sono avuti, ed anche questo, tentano e si sforzano di costruire: la repubblica democratica, come si sta costruendo nella costituzione repubblicana (e discuteremo ciò in comune fra poco con i rappresentanti di tutte le forze politiche di questa Assemblea), la repubblica che avrà la sua sanzione scritta nella Carta costituzionale dello Stato, e che consente nei limiti delle leggi fissate nella Carta il più ampio sviluppo politico e sociale; la repubblica in cui, rispettando la Costituzione, la maggioranza ha diritto a governare e la minoranza non ha il diritto di opporsi fuori leggi: questa è la Repubblica democratica nella quale è consentito anche un processo democratico di realizzazioni socialiste. Anche per il socialismo la Repubblica democratica è la premessa, è la base del suo divenire.
Abbiamo assistito tutti al discorso del collega Nenni. Egli ha fatto, io credo, uno sforzo di precisazione e lo avrebbe fatto maggiore se, rendendosi interprete dei giudizi e delle preoccupazioni di molti rappresentanti di questa Assemblea, avesse chiarito quello che un giornale di informazioni ieri dava come il discorso politico di uno dei più autorevoli rappresentanti di questa Assemblea, il collega Basso, e come oggi stesso è riprodotto nell’Avanti!. Realizzazione socialista significa azione politica in seno alla democrazia repubblicana (chiamiamola pure borghese) anche attraverso la lotta di classe. Certamente il partito laburista inglese, malgrado l’opinione di parecchi che ignorano la situazione in Inghilterra, è un partito classista e combatte con il metodo della lotta di classe ed inquadra oltre il 90 per cento dei suoi iscritti, ma rispetta la legalità e non dimentica mai quelli che sono gli interessi generali della società nazionale.
Il collega Nenni ha ricordato, dichiarandosi perfettamente d’accordo con il collega Saragat, che non ci deve essere, non c’è un compromesso alcuno fra socialismo e questa democrazia.
Io mi permetto, con l’autorità molto minore dell’uno e dell’altro dei colleghi che hanno prima di me parlato, dichiarare che la democrazia repubblicana, chiamiamola pure borghese, è per sua natura e definizione un compromesso, è sempre un compromesso tra le classi, anche quando si sviluppi libera la lotta di classe.
È un regime di compromesso che si differenzia totalmente da quei processi politici rivoluzionari, che si sono verificati nelle grandi ore storiche dei grandi Paesi, e uno fra questi la grande Repubblica sovietica, dove non c’è stato alcun compromesso, dove la democrazia non è stato un compromesso, dove il proletariato ha attaccato dal difuori lo Stato e lo ha fatto a pezzi. Il socialismo qui in Italia, nella situazione presente nazionale ed internazionale, agisce permanentemente all’interno e sul terreno del compromesso, cioè il socialismo non si realizza fuori dello Stato e contro lo Stato, ma nello Stato e dentro lo Stato.
Io chiedo scusa di aver dovuto precisare questi punti che sono fondamentali per la vita democratica del nostro Paese e fondamentali per ogni movimento socialista.
L’onorevole De Gasperi, dunque, non ha mai sognato estromissioni del partito comunista; è che, in seguito alla scissione avvenuta in seno al partito socialista, il partito comunista si è trovato isolato. L’onorevole De Gasperi ne ha approfittato, ha approfittato di questa debolezza che si manifestava nel fronte della sinistra, e, con abile manovra, lo ha aggirato.
Egli ha applicato mirabilmente – direbbe l’onorevole Bencivenga se sedesse in questi banchi – i principî dell’arte della guerra, per cui un condottiero, quando vede improvvisamente prodursi una falla nel campo avversario, sferra la sua manovra, e vince. L’onorevole De Gasperi ha manovrato e vinto. In questa vittoria dell’onorevole De Gasperi dobbiamo peraltro rilevare che la democrazia ha retroceduto.
Il collega Saragat ci ha detto che questo Governo è leggermente modificato da quello che era il precedente Governo. L’onorevole collega Nenni, sia pure con quel giuoco del sì e dal no, lo ha difeso e quasi esaltato.
La verità è che questo Governo, rispetto al precedente, è peggiorato, grandemente peggiorato. Basta tener presente il discorso con cui l’onorevole Corbino – leader parlamentare del partito liberale, del partito di estrema destra, che non a caso siede all’estrema destra – ha parlato di questo Governo, quasi fosse il suo Governo. Questo Governo è infinitamente peggiorato rispetto al primo, e se si continuasse di questo passo – auguriamoci che questo la democrazia italiana non possa consentirlo – si andrebbe sempre più di male in peggio.
E noi oggi potremmo ripetere il noto aforisma dell’antifascismo durante il periodo della dominazione mussoliniana: «oggi peggio di ieri, ma meglio di domani».
Questo Governo segna uno spostamento a destra della democrazia. Le sinistre sono state battute. L’onorevole Nenni si illude, indubbiamente. Le sinistre sono state battute ed anche egli – gli è venuto un conforto dalla attenzione e dai notevoli consensi di questa Assemblea – egli stesso è stato duramente battuto.
Ogni democratico consapevole, socialista o non socialista, oggi si accorge cosa significa nel Paese un grande partito socialista. La democrazia è stata battuta, perché dalla scena delle sinistre è mancata questa compattezza unitaria del partito socialista.
Come si correggerà questa deficienza, questa lacuna? Si correggerà, non immediatamente oggi, ma nel tempo, nella misura in cui i partiti socialisti e le correnti socialiste saranno capaci di chiarire se stessi, di costituire un fronte socialista, di unità di azione socialiste, infine una nuova unità politica.
Se questo non avvenisse, e se le forze socialiste fossero sparpagliate e divise, difficile è dire come si potrebbe costruire una democrazia repubblicana salda nel nostro Paese. Si finirebbe coll’avere, per quanto potrebbe sembrare un paradosso, un solo grande partito di democrazia repubblicana, il partito comunista, oppure un Governo permanentemente a mezzadria fra democristiani e comunisti – che io mi permetto (e chiedo scusa) definire la democrazia del mercato nero. (Commenti).
La somma dei poteri e del potere, che è nelle mani della Democrazia cristiana, preoccupa tutti; essa, dopo tutto, non è in rapporto con le forze reali che ha questo partito nel Paese. (Commenti).
Chi può essere indifferente al fatto che è con questa somma di poteri e di potere in mano della Democrazia cristiana che si faranno le prossime elezioni al Parlamento nazionale, quando non è ancora svanito il ricordo delle elezioni del 2 giugno, in cui, malgrado che Ministro dell’interno fosse un socialista, la Democrazia cristiana ha molto audacemente agito e manovrato?
Una voce al centro. Colpa di chi? Di Romita.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ne ho tante colpe! (Si ride).
LUSSU. Si dice che ogni crisi fa sempre del danno; ma io credo che sarebbe un danno maggiore se questo Governo, così com’è, arrivasse senza crisi alle future elezioni. (Commenti).
Tutta l’essenza del potere è nelle mani della Democrazia cristiana. In seno al Consiglio dei Ministri le rappresentanze di partito si equivalgono, se il Conte Sforza avrà sufficiente saggezza da mantenere il suo posto autonomo e prenderà posizione solo per la politica estera: tutti sappiamo d’altronde che nei Governi di coalizione non si vota mai o quasi mai e che prevale sempre o quasi sempre il pensiero del Presidente del Consiglio. È nei Governi di maggioranza che si vota sempre: in quelli di coalizione – e me ne appello ai colleghi che siedono al Governo – avviene solo eccezionalmente.
Questo in seno al Consiglio dei Ministri, ma nei Dicasteri è ben peggio. Tutta l’azione economica e finanziaria interna e internazionale, tutta la politica interna e del Ministero dell’agricoltura, che per il Mezzogiorno e le Isole è una specie di secondo Ministero deh l’interno – e la pubblica istruzione e inoltre l’assistenza post-bellica, di cui parlerò fra poco, e la difesa nazionale sono nelle mani della democrazia cristiana.
Non v’è ombra di dubbio che tutti questi posti di comando saranno tenuti, come sempre li ha tenuti, dalla Democrazia cristiana: tutti i Ministri, nessuno escluso, esercitano il comando con quel sistema che nei secoli scorsi ha preso in Italia il nome di nepotismo e che oggi ricorda molto da vicino lo spoil System introdotto in America nel secolo scorso dal Presidente Jackson.
Tutti i Ministri, dico, non escluso l’onorevole Segni, che appare l’uomo di più mite temperamento, e lo è certamente, a meno che nell’apparenza della sua mitezza d’animo egli sia un falso magro come il leader del suo partito. (Si ride).
Io rifuggo, d’accordo con molti dei colleghi, in questa Assemblea, dalla letteratura gialla, sia scritta che parlata: mi guarderò bene in questa discussione, che è di ordine generale, di citare dei fatti specifici, dopo gli interventi di questi giorni che hanno avuto in qualche seduta accenti e forme pirandelliane. Si tratta di questioni che interessano la democrazia e i diritti di controllo parlamentare, e ne farò oggetto di interpellanze e di interrogazioni. Oggi non ne parlo.
Non vi può essere nessun partito in questa Assemblea, neppure il Partito comunista, che è molto coraggioso, che si possa fregar le mani vedendo al Ministero dell’interno l’onorevole Scelba. In poco tempo da un Ministro dell’interno socialista si è passati al Ministro dell’interno Presidente del Consiglio, il quale però da mille altre faccende affaccendato, doveva obbligatoriamente, anche se non volontariamente, cedere il posto ad un Sottosegretario socialista, e si è poi passati ad un Ministro dell’interno che è della Democrazia cristiana; il titolare ne è un uomo che tutti conosciamo e apprezziamo per le sue qualità morali e per l’intelligenza, il quale non perderà certamente tempo in ricevimenti mondani, ma sarà capace di stare giorno e notte armato come un guerriero al Viminale, e lascerà poche cose alle occupazioni e alle competenze del Sottosegretario socialista. A questo proposito, credo che parecchi settori di questa Assemblea sarebbero grati al Presidente del Consiglio, se egli, nel discorso di risposta, ci dicesse quali mansioni siano state attribuite al Sottosegretario socialista.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro è responsabile di fronte alla Camera.
LUSSU. Benissimo, ma io credo che non sarò il solo ad esprimere il desiderio che il Sottosegretario all’interno abbia qualche funzione particolare. L’onorevole Scelba, dunque, è un uomo che tutti rispettiamo; è uno dei massimi esponenti della Democrazia cristiana; sa certamente – poiché non è un uomo rappresentativo o di paglia – ciò che egli vuole.
Ma anche noi sappiamo ciò che egli vuole, e perciò siamo preoccupati. L’onorevole Scelba potrà amministrare miliardi di fondi segreti, restando, come è stato per il passato, un uomo incorruttibile; ma ha il difetto di credere che solo la Democrazia cristiana può salvare l’Italia, mentre non tutti i colleghi in questa Aula sono dello stesso parere, ma parecchi, molti forse, sono del parere contrario e vi sono anche alcuni i quali, vedendo come è sorta la Democrazia cristiana con questa sua forma confessionale…
UBERTI. Non confessionale.
LUSSU. …e a base essenzialmente clericale, sono parecchi in questa aula e nel Paese i quali, con leopardiano pessimismo, pensano che sarebbe stato meglio, nell’interesse della democrazia, che non fosse mai nata.
Tutti i fondamentali – non dico rami – ma alberi dell’Amministrazione dello Stato non sono coltivati autonomamente, disordinatamente, ma razionalmente, coordinatamente, sotto la guida e la direzione e la volontà del Presidente del Consiglio, leader della Democrazia cristiana, il quale, per avere avuto l’accortezza di essere solo il Presidente del Consiglio, per non avere cioè accettato alcun portafoglio, ha tutta la possibilità di vedere l’insieme e di coordinare l’azione dei vari Dicasteri. È forse il solo punto questo in cui sento il bisogno, anche a nome di altri colleghi, di lodare questa sua iniziativa che mi auguro possa essere continuata dai suoi successori e che in fondo, se fosse rispettata e continuata, potrebbe portare alla istituzione del Governo presidenziale che noi (quelli che non crediamo alla possibilità della Repubblica presidenziale) riteniamo indispensabile al buon andamento di ogni Governo democratico ed all’Amministrazione generale dello Stato. Un Governo, in cui il Presidente veda tutto e non abbia che la sopra intendenza, come il comandante supremo che non ha nessun comando di reparti combattenti, io lo lodo. E sono contento. E la mia letizia sarebbe doppia se vedessi la direzione del Governo in altre mani. (Si ride).
Se questa è la natura di questo Governo, quali le realizzazioni immediate e prossime nel campo economico, finanziario e sociale? E quali le realizzazioni nel campo politico? Su chi graverà il peso della rivalutazione della lira? Su chi il peso della ricostruzione del Paese? Attendiamo, senza nessuna forma di diffidenza preconcetta, che il nuovo Ministro delle finanze e tesoro, onorevole Campilli, svolga la sua opera.
E nel campo politico? Abbiamo già ascoltato qui una voce autorevole parlare dello scandalo di un alto magistrato che ha offeso la dignità dello Stato e la coscienza nazionale, o almeno quella della grande maggioranza della Nazione. Quali provvedimenti sono stati presi contro di lui? S’era detto che il Governo attendeva il ritorno dall’America dell’onorevole De Gasperi; l’onorevole De Gasperi è ritornato e, in tutti i nostri ambienti, ove si pensava alla necessità di una interpellanza a carattere di urgenza, si è detto: attendiamo la fine della crisi. Ed ora? È stato fatto nulla? Che cosa ci ha annunziato il Presidente del Consiglio? Eppure è una questione che interessa profondamente la coscienza politica del Paese. Io mi auguro che l’onorevole Presidente del Consiglio, nel suo discorso di risposta a questa Assemblea, ci parli di quell’alto magistrato, in modo che l’Assemblea abbia la possibilità di tranquillizzarsi.
Per i fatti avvenuti in questi ultimi giorni, culminati nell’invasione del palazzo che ospita la rappresentanza diplomatica jugoslava, che cosa si è fatto? Si vocifera dappertutto, e non certo senza fondamento, che ispiratori di quell’azione, che è stata certamente premeditata, sono alti gerarchi fascisti che girano ancora, liberi e trionfanti, per le vie di Roma. E quali provvedimenti sono stati presi, oltre a quelle applicazioni di articoli annunziate e sulle quali si è esercitata la cultura giudiziaria dell’onorevole Russo Perez? Si è parlato di scandalo per una pretesa retroattività della legge penale. Quale retroattività? La sanzione penale verso questi alti gerarchi del fascismo che girano, che diffamano, che complottano, che sognano un fascismo numero due ed un Mussolini numero due, è legale; colpendo costoro si colpisce non tanto la loro attività passata, che pure è stata pericolosa, quanto la loro attività presente.
La democrazia repubblicana ed il mondo tutto dei partigiani, come di tutti coloro che hanno direttamente o indirettamente combattuto per la libertà del nostro Paese, reclamano sanzioni severe, altrimenti la democrazia si scredita. Io mi auguro che anche su questo problema l’onorevole De Gasperi debba dirci qualche parola. Se si continuasse a fare come si è fatto finora, si verrebbe a determinare una corruzione politica, proprio alla base, che porterebbe, non già alla creazione di un secondo fascismo, stile vecchio fascismo, ché questo è impossibile, perché la situazione interna non lo permette, perché la situazione internazionale non lo consente, e perché, dopo tutto, il vecchio fascismo, oltre ad essere un regime di folli irresponsabili, era anche una cosa abietta, ma alla creazione di movimenti più o meno affini, ché la vita politica italiana è ricca di analogia così come nella nostra letteratura abbiamo un vocabolario ricco di sinonimi.
Onorevole De Gasperi, mi duole di non poter parlare a voi con l’autorità di un grande partito, ma io vi ricordo che voi siete il capo di un grande partito, e per lunghi anni avete combattuto contro il fascismo per la democrazia e avete il dovere di rispondere all’appello che è rivolto alla vostra coscienza democratica dai vostri stessi compagni di lotta. Sono gli stessi vostri compagni che vi chiamano in causa, onorevole Presidente del Consiglio.
A questo strapotere della Democrazia cristiana occorre porre dei limiti. Non basta la presenza dei socialisti e dei comunisti al Governo: occorre che costantemente possa essere esercitato, sulla vostra azione di Governo, il controllo parlamentare. Io mi auguro che un giorno per settimana, anche quando si riunisce la Costituente per discutere sulla Costituzione, i Deputati abbiano la possibilità di presentare interrogazioni ed interpellanze alle quali il Governo sia impegnato a rispondere; e che presenzino a quelle riunioni di carattere parlamentare sempre l’onorevole Presidente del Consiglio e tutti i Ministri, poiché l’azione di Governo è univoca ed a nessuno dei Ministri deve sfuggire quanto accade nei settori vicini o lontani dell’Amministrazione dello Stato.
Non vedo altro rimedio all’infuori di questa costante azione di controllo parlamentare. Un Governo democratico deve essere lieto di potere aderire a queste esigenze di vita democratica.
Toccherò ora brevissimamente due altri argomenti: quello riguardante il Ministero dell’assistenza post-bellica e quello del Ministero della difesa.
Il Ministero dell’assistenza post-bellica è apparso a qualcuno un Ministero superfluo; non certamente a coloro che hanno vissuto da vicino le vicende della miseria italiana creata dalla guerra fascista. In realtà questo Ministero fu costituito per rispondere alle esigenze di assistenza immediata di milioni di nostri concittadini, affamati, senza casa; di circa un milione di prigionieri che dovevano rientrare; di centinaia di migliaia di famiglie disperse. La parte della popolazione italiana per cui il Ministero dell’assistenza post-bellica fu costituito rappresentava un settimo circa della popolazione di tutta la Nazione.
Anche le statistiche di oggi – c’è un miglioramento da un anno in qua – danno una cifra di oltre 6 milioni di uomini, donne e bambini, che costituiscono le categorie assistite.
Quali sono, dunque, le ragioni che hanno determinato il Presidente del Consiglio a distruggere questo Ministero dell’assistenza della miseria nazionale del dopo guerra?
Ha detto il Presidente del Consiglio: «Una misura rivolta a farci entrare nella normalità amministrativa, ma che non diminuisce il dovere, l’impegno di garantire quelle continue cure alle categorie finora affidate a detto Ministero». Quando fu costituito questo Ministero, si trattò di assistere questo gruppo globale di bisognosi, in cui le interferenze tra una categoria e l’altra erano frequenti; non si potevano quindi lasciare dispersi in differenti Ministeri; c’era bisogno di un Ministero unico il quale creasse un’opera di assistenza coordinata.
Ancora oggi il complesso delle persone assistite raggiunge la cifra di 6 milioni di unità e di questi 6 milioni bisogna tener presente la parte che riguarda i disoccupati.
Secondo le statistiche del Ministero del lavoro – e l’onorevole Di Vittorio qui ce le ha riconfermate – i disoccupati in Italia sono circa 2 milioni e centomila. Ma questa cifra è insufficiente a darci il numero esatto della disoccupazione reale, perché non vi sono compresi tutti quelli che non risultano iscritti presso gli uffici di collocamento; quindi, la cifra è molto al di sotto della reale.
Ebbene, di questi 2 milioni centomila disoccupati, il 40 per cento, cioè ottocentomila, sono delle categorie assistite dal Ministero dell’assistenza post-bellica.
Come si spiega questa soppressione improvvisa del Ministero?
I campi profughi sono ottantanove e gli assistiti rifugiati nei campi oltre 50 mila: vanno aumentando tutti i giorni.
E questa è la normalità amministrativa? Questo è lo stato di cose che ha consigliato di far rientrare nella normalità amministrativa?
Io chiedo scusa di dover insistere su questo problema, ma è fondamentale il bisogno dei nostri connazionali, che hanno il sovrano diritto all’assistenza, perché c’è troppa povertà e, se lo Stato non interviene, non c’è nessuno che intervenga, specialmente nelle Regioni dove le iniziative assistenziali sono totalmente mancanti o assolutamente insufficienti.
Io tocco appena, ma mi permetto di citare l’esempio della Francia: un Paese che non è stato distrutto come il nostro – è perfettamente inutile soffermarmi – un Paese molto più ricco dell’Italia e in cui non c’è disoccupazione. Ebbene, in Francia, onorevoli colleghi democristiani – e credo che ciò interessi non solo voi, ma tutti quanti siamo qui, e in sommo grado – si sono costituiti e conservati due grandi Ministeri dell’assistenza: il Ministero dei reduci e delle vittime della guerra, (Ministère des anciens combattants et victimes de la guerre) e l’altro Ministero della popolazione (Ministère de la population). Ebbene, in Francia si sono conservati questi. Ministeri, malgrado che esista un Ministero dell’igiene e sanità (Ministère de la santé publique) e, oltre il Ministero dei lavori pubblici, che è rimasto in vita e organizzato, così come è rimasto in Italia, si è costituito ex novo il Ministero della ricostruzione, che pensa esclusivamente a ricostruire quanto la guerra ha distrutto. In Francia, dunque, paese più ricco, senza disoccupazione, e senza le distruzioni dell’Italia, si sono conservati questi due Ministeri d’assistenza, e in Italia si è distrutto il solo che esisteva. Che cosa avverrà di questa massa di milioni la cui assistenza sarà dispersa nei vari Ministeri? Che cosa avverrà?
Noi abbiamo ascoltato tutti con estremo interesse il discorso di fisiologia politica che ci ha fatto il rettore dell’università di Messina, l’onorevole Martino Gaetano. Egli ci ha detto a che cosa porta la insufficiente alimentazione: porta alla indifferenza, alla irritazione, ad aberrazioni psicologiche, che possono facilmente diventare aberrazioni politiche. E l’onorevole Presidente del Consiglio pensa veramente di permettere che queste immense masse possano arrivare, per mancanza di assistenza alla quale ha uno diritto, a forme di aberrazione psicologico-politica? Mentre si attendeva che, individuate le deficienze e corrette le debolezze, il Ministero dell’assistenza post-bellica si irrobustisse, secondo la concezione del suo primo Ministro che lo organizzò, allo scopo di creare un grande Ministero dell’assistenza generale, improvvisamente che cosa è avvenuto? Sciolto questo Ministero, alla Presidenza del Consiglio passano i combattenti, i reduci, ecc.; all’agricoltura, l’Opera nazionale combattenti, le concessioni di terreni, ecc.; all’interno gli sfollati, i sinistrati, ecc.; al lavoro, il collocamento, l’avviamento al lavoro, l’istruzione professionale; all’istruzione pubblica, l’assistenza scolastica, ecc.; alla difesa, i prigionieri. Questo Ministero, che doveva restare unito, si è improvvisamente sfasciato, diviso e spartito in sette Ministeri differenti. Et diviserunt vestimenta mea…
Si è parlato di normalità amministrativa. Si buttano così milioni di nostri concittadini nel maggiore scompiglio e nel maggiore bisogno. Non è la ragione amministrativa che ha indotto a questo provvedimento; è che la Democrazia cristiana – lo sappiamo tutti – vedeva con diffidenza che questo Ministero fosse in mano delle sinistre.
Il Presidente del Consiglio ha risolto la questione sfasciandolo. Ragioni di regolarità amministrativa? Qui non si amministra meglio niente di niente, ma si peggiora l’amministrazione e si peggiora tutto. E si crea un’altra irregolarità che è amministrativa e politica: un Sottosegretario uscente rimane presente e dispone come se fosse il titolare, ed il Sottosegretario nominato, che è il titolare, è obbligato a rimanere assente. E tutto questo avviene mentre in riunioni particolari di Gabinetti elementi tecnici e politici vanno preparando lo scompiglio per l’avvenire, e da 25 giorni questo Ministero, da cui dipende la vita di milioni di concittadini, è totalmente inerte. Questa è una situazione che non può durare, è una situazione alla quale questa Assemblea non può dichiararsi insensibile e indifferente. Parlando così, io credo di parlare anche a nome di molti colleghi. Io ho il privilegio di conoscere molto a fondo queste cose e non ne parlo a cuor leggero. È grave che un Governo democratico prenda un provvedimento e poi lo cambi, ma è più grave se, avendo riconosciuto l’errore, lo mantenga.
Onorevole Presidente del Consiglio, chiedo alla vostra sensibilità morale e politica di riesaminare il provvedimento preso. Riorganizzate il Ministero, e mettetevi a capo non un democratico cristiano, poiché non vi si chiederà mai questo, né un comunista, ché voi non lo consentireste: scegliete a titolo individuale o un socialista o un repubblicano o un demolaburista, ma salvate la tutela di questa immensa massa di miseria.
Adesso si parla anche della prossima istituzione di un Alto Commissariato per i profughi della Venezia Giulia. Onorevole De Gasperi, onorevoli colleghi del Governo, non commettete questo errore, perché si creerebbe un centro localizzato di nazionalismo con possibili e facili deviazioni politiche. Non fate un Ministero solo per i profughi giuliani. Assisteteli meglio, spendete semmai miliardi di più, ma impedite che sorga un focolaio di nazionalismo esasperato che intralcerebbe anche la vostra opera di Governo.
Difesa nazionale. La difesa nazionale è un problema che interessa troppo e mi pare che non sia stato trattato ancora da nessuno. Sulla riorganizzazione delle Forze armate unite nel Ministero della difesa, il Presidente del Consiglio non ci ha detto nulla, tranne che questo Ministero ha preso il nome uliveo di Difesa, che non deve più ricordare la guerra. Questa è l’unica cosa che abbiamo saputo. Ma che cosa avverrà delle Forze armate? Che cosa avverrà in questo nuovo Ministero della difesa? Non sappiamo nulla dell’avvenire e in verità non sappiamo nulla neppure del presente. Questa messa in vacanza dell’Assemblea nazionale, come Parlamento, ha fatto sì che nessuno ci abbia informati di quello che avviene all’aviazione, di quello che avviene alla marina. L’onorevole Cingolani aveva pur esso da dirci qualche cosa, ma ci ha detto poco.
CINGOLANI. Ho detto anche troppo.
LUSSU. Sì, sulle compagnie commerciali. Ma è ben altro quello che ci interessa. Sono le Forze armate. Per il Ministero della marina ci siamo affidati nelle mani, o meglio sulla prua dell’onorevole Micheli, che è stato un pacifico grande ammiraglio di acqua dolce.
Poi vi è il Ministero della guerra. Che cosa sappiamo del Ministero della guerra? Sappiamo che l’onorevole Facchinetti stava orientandosi per prendere delle decisioni, e quando era quasi pronto per decidere, è andato via. Io credo che l’onorevole Facchinetti avrebbe parecchie cose da dirci e molti di noi avremmo gradito che egli avesse approfittato di questa discussione per prendere la parola. L’onorevole Scoccimarro, come ex Ministro delle finanze, ha dato un ottimo esempio di deferenza verso questa sovrana Assemblea, e ci ha chiarito lo stato delle finanze e la sua azione di Governo. Noi possiamo concordare o no, ma credo che siamo stati tutti unanimi in tutti i settori di questa Assemblea ad essergli grati della esposizione fatta. Avremmo desiderato una cosa simile dal collega e amico onorevole Facchinetti. Io mi auguro che egli prenda la parola (non credo che farà a tempo in questa discussione perché non mi pare che sia iscritto a parlare) prossimamente, in quest’aula o anche fuori, anche in una riunione del suo partito, per chiarire la situazione attuale dell’esercito, perché noi non ne sappiamo nulla. Sappiamo solo che è andato via l’onorevole Facchinetti ed è subentrato l’onorevole Gasparotto. L’onorevole Facchinetti aveva dietro di sé il controllo, lo stimolo, la coscienza repubblicana del suo partito, e se anche egli non avesse voluto (cosa inconcepibile ed assurda), avrebbe dovuto agire per un’organizzazione repubblicana e democratica dell’Esercito.
Arriva invece l’onorevole Gasparotto chiamato dalla fiducia personale del Presidente del Consiglio, leader della Democrazia cristiana.
Io sono fra i colleghi qua dentro che attestano la loro stima, la loro fiducia, la loro amicizia ad un uomo così insigne nella vita politica italiana. Ma io devo naturalmente preoccuparmi, perché so che quando il Presidente del Consiglio, leader della Democrazia Cristiana, lo ha chiamato, non ha interpellato il gruppo della Democrazia del lavoro di cui fa parte l’onorevole Gasparotto e quel gruppo non ha dato il consenso…
GASPAROTTO, Ministro della difesa. Ho interpellato il segretario del mio Partito due volte e questi per iscritto mi ha autorizzato, come persona, ad entrare nel Governo.
LUSSU. Devo prendere atto di questa dichiarazione; ma come uomo politico, devo supporre razionalmente che quel consenso rassomigli molto al consenso che dei buoni genitori, onesti e responsabili, danno per il matrimonio della figliola, che è scappata di casa col fidanzato. (Si ride).
L’onorevole Gasparotto è al disopra di ogni critica. E l’onorevole Finocchiaro Aprile potrebbe con la sua perforatrice scandalistica lavorare dei secoli e non troverebbe nulla contro di lui. Ma c’è dell’altro. L’onorevole Gasparotto è una grande anima. Mi permetterei di definirlo, se non fosse quasi una insolenza penetrare nella vita interiore altrui, un temperamento a natura romantica. È un buon carattere.
GASPAROTTO, Ministro della difesa. È esatto.
LUSSU. È un buon carattere, mentre a quel posto occorre un cattivo carattere.
L’onorevole Gasparotto è rimasto molto sorpreso, giustamente sorpreso, quando uno degli oratori di questa Assemblea ha detto che per stare bene a quel posto bisogna essere disposti anche a stroncare la propria carriera politica. Egli rimarrebbe ben più sorpreso se io gli dicessi quanto mi è stato riferito da parecchi colleghi competenti in quel settore, che per stare bene a quel posto, onorevole Gasparotto, bisogna essere disposti a stroncare non solo la carriera politica, ma anche la carriera della vita fisica. (Commenti).
Ma egli non corre quel rischio. (Si ride).
D’altronde l’onorevole Presidente del Consiglio, al quale nessuno nega il suo spirito evangelico, non ha chiamato a quel posto l’onorevole Gasparotto per fargli correre quel rischio! (Si ride).
GASPAROTTO, Ministro della difesa. Per farvi piacere, correremo quel rischio.
LUSSU. Vi sono difficoltà enormi, onorevoli colleghi, in quel settore. Bisogna moralizzare l’esercito. Non è un mistero per nessuno che l’esercito durante il fascismo e durante la guerra era pieno zeppo di ladri, in basso e in alto, di ladri, autentici ladri. Io mi auguro, onorevole Gasparotto, che ha contrazione moralizzatrice nell’esercito sia tale da farlo ritornare a quello che era nell’altro dopo guerra quando ne foste per la prima volta Ministro. Bisogna che gli ufficiali ritornino a quel periodo in cui ognuno aveva un attaccamento geloso all’onore militare e alla propria decorosa povertà.
GASPAROTTO, Ministro della difesa. L’esercito è ancora sano, l’avverto. (Approvazioni).
LUSSU. Ma la società italiana è ammalata, e l’esercito ne fa parte.
Non offendo l’esercito, lo innalzo. Onorevole Gasparotto, nessuno in quest’aula, meno di tutti io, che ho vissuto tanti anni a contatto dell’esercito, vuole menomare l’esercito.
L’esercito è cosa nostra. L’esercito tocca tutti e interessa tutti: il nostro onore è nell’onore dell’esercito, l’onore della Nazione è nell’onore dell’esercito. (Approvazioni).
Esso è il rappresentante armato della Nazione, e noi non adoperiamo le armi, in quanto le abbiamo consegnate ad esso in nostra rappresentanza.
L’esercito, che costituisce ancora un’organizzazione rilevante, più delle altre Forze armate, che sono irrilevanti, dovrebbe arrivare a quel punto di alta moralità, che fu una grande distinzione dell’esercito italiano monarchico prima del fascismo.
L’esercito deve essere rieducato. In regime monarchico era monarchico, ed era giusto che così fosse. Allora, non v’era un solo ufficiale repubblicano, neppure l’onorevole Bencivenga, che apparteneva alla sinistra democratica, più decisamente antifascista.
Ma ora l’esercito deve essere repubblicano, e non in modo puramente formale. Esso deve sentire la Repubblica come la sente la Nazione. Ogni ufficiale deve rappresentare la Repubblica e trasfondere la coscienza repubblicana nei suoi dipendenti. Chi non sente questo dovere, che deve essere portato fino alla necessità del sacrificio estremo della vita per la difesa della Repubblica, deve andarsene (del resto la carriera di ufficiale, in servizio permanente effettivo, non è obbligatoria, ma volontaria) e cedere il posto a chi sente il dovere repubblicano. La legalità oggi è repubblicana.
Sono d’accordo con l’onorevole Bencivenga che in questo ci sia giustizia e legalità. Precisamente, anch’io invoco la legalità e la giustizia.
Anzi, chiedo qualcosa di più dell’onorevole Bencivenga. Una delle cose che sorprende noi italiani visitando l’Inghilterra è che nell’Abbazia di Westminster trovano posto non solo i grandi uomini di Stato che hanno servito quel grande Paese proficuamente, ma anche coloro che lo hanno servito sbagliando. E vi è pure la tomba di Chamberlain, il Primo Ministro inglese che, per cieco spirito reazionario, ha portato il suo Paese inerme alla guerra. Anche egli è onorato nel suo Paese.
Ebbene, io chiedo che questo Governo – e ritengo che tutti sentano il problema allo stesso mio modo – non dimentichi quelli che hanno servito degnamente la Nazione nei momenti più difficili dell’estremo bisogno, durante l’armistizio e dopo, nella guerra di liberazione.
I capi militari, anche se monarchici, che hanno aiutato la Nazione a liberarsi e risorgere, se devono essere dimessi perché monarchici o per raggiunti limiti di età, abbiano un’indennità statale vitalizia, degna dei loro meriti. (Approvazioni).
Non è ammissibile che un ammiraglio come De Courten, che è monarchico, debba andare affannosamente alla ricerca d’una occupazione per il sostentamento e l’educazione dei suoi figli.
Non faccio altri nomi; e ne potrei citare a diecine e, fra i primi, quel generale che ha seduto in quest’Aula, prima della Costituente.
Non è ammissibile che gli ex capi dell’esercito, dell’aviazione e della marina, che hanno aiutato a salvare la Nazione, vivano stentatamente in miseria. Non è ammissibile che la Nazione li dimentichi, onorevole De Gasperi e onorevole Gasparotto. Io ho fatto una critica, ma giusta, repubblicana, perché il diritto oggi è repubblicano. Ma vi è anche l’umanità e la riconoscenza.
Onorevole Gasparotto, spendete anche dei miliardi, ma fate sì che i grandi comandanti e quei gregari che hanno messo la loro vita al servizio della Nazione in pericolo possano condurre una vita degna. È per questo senso che io mi sento il diritto di chiedere la democratizzazione dell’esercito.
Del tecnicismo non parlo neppure. Finisco e chiedo scusa di essermi anche troppo intrattenuto: il problema è enorme. L’esercito è nostro, l’esercito siamo noi, non è una casta dinastica, l’esercito, è tutta la nazione. Ebbene il vostro, onorevole Gasparotto, è un posto di grande responsabilità. Io ho stima e affetto per voi, onorevole Gasparotto, come tutti; e credo che vi onoro doppiamente se vi faccio l’augurio che voi possiate stare a quel Dicastero con lo stesso spirito e con quella stessa ferrea volontà con cui Poldo Gasparotto, il vostro figliuolo, il grande partigiano, seppe combattere e morire per la Patria. (Vivissimi generali applausi).
Avremo bisogno di avere notizie precise anche su quelle riforme che pare si vogliano fare. C’è il Ministro e sta bene, e poi il Sottosegretario alla difesa, e il capo di gabinetto del Ministro. E poi due Sottosegretari, uno per la marina e uno per l’aeronautica. Ogni Sottosegretario avrebbe una segreteria generale che sarebbe una specie di direzione generale. Io chiedo che il Presidente del Consiglio ci faccia sapere quali sono i poteri del Ministro, del capo di gabinetto, del Sottosegretario alla difesa e dei due altri Sottosegretari, delle direzioni generali o segreterie. È una questione importante di competenza e di rapporti: la stessa che nel Governo francese si discute da 15 giorni. Voi sapete che cosa voglio dire. Finisco con questo.
Ho il dovere di fare un accenno al Trattato perché l’intervento del collega Nenni mi obbliga a farlo a nome del mio gruppo.
L’onorevole Nenni ha citato la pace di Bordeaux dopo il crollo dell’Impero di Napoleone III, quella della Germania di Weimar dopo la caduta di Guglielmo II, del Trattato di Brest-Litowskj dopo la disfatta dell’impero zarista. Noi tutti siamo sensibili all’alta autorità del collega. Ma né la Francia, né la Germania, né la Russia ebbero con gli eserciti degli Stati che loro dettarono la pace, i rapporti che noi abbiamo avuto con gli eserciti delle grandi potenze, la cui volontà siamo oggi obbligati a subire.
L’Italia, attraverso il suo movimento partigiano nella lotta per la liberazione, costituisce uno dei fatti più grandiosi della liberazione europea. È in nome di questo movimento partigiano che alcuni di noi non potranno approvare la firma del Trattato. Ma sia ben lungi da noi l’oltraggio di trattare questo Governo come nemico della Nazione perché è stato obbligato a firmare. Saremmo dei fascisti; nessuno in questo Governo porta responsabilità tali da meritare il supplizio di questo Trattato; e credo nessuno, in alcun settore di questa Assemblea. Nessuno, e tanto meno l’onorevole Sforza che, dopo venti anni di esilio, vissuti in grande dignità, è costretto oggi, a capo chino, a prendere per suoi i delitti di coloro che ha denunziato alla democrazia del mondo. Nessuno dei nostri interventi offenderà dunque la dignità del Governo; ma, a nome del gruppo che rappresento, dico all’onorevole De Gasperi, all’onorevole Sforza e al Governo tutto: vi sono due forme di dignità: era egualmente degno firmare o rifiutarsi; bisogna però scegliere o l’una o l’altra forma. Non si possono scegliere l’una e l’altra assieme. Il Governo scelga la sua via con dignità. Il Governo, che rappresenta la nuova democrazia italiana, deve dimostrarsi all’altezza del suo compito e rappresentare la grandezza del sacrificio che il nostro Paese compie per la sua rinascita. (Applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.
Sull’interrogazione del Deputato Natoli.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Natoli se può sciogliere la riserva formulata in principio di seduta.
NATOLI. Ho presentato alla Presidenza una proposta concreta, ma vorrei prima pregare il Presidente di mettere in votazione, se lo crede, la proposta contenuta nella prima parte dell’interrogazione rivolta al Presidente del Consiglio, per chiarire meglio il mio pensiero.
PRESIDENTE. Ricordo che l’Assemblea ha già approvato all’unanimità la proposta contenuta nella seconda parte dell’interrogazione dell’onorevole Natoli, e precisamente quella con cui è stato invitato l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea a richiedere ad ogni Deputato se fa parte di istituti finanziari, economici o imprese private.
Ora l’onorevole Natoli chiede che sia posta in votazione una proposta riferibile alla prima parte dell’interrogazione. Tale proposta è del seguente tenore:
«L’Assemblea Costituente invita l’Ufficio di Presidenza a richiedere al Presidente del Consiglio l’elenco dei Deputati i quali coprono una carica retribuita e affidata dal Governo presso enti parastatali, economici, finanziari, o in altri organismi che abbiano relazione con lo Stato, indicando anche l’ammontare della retribuzione o dell’indennità».
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non ho nessuna difficoltà ad accettare la proposta nel suo spirito, cioè che io, come Presidente del Consiglio, mi impegno, dinanzi all’Assemblea, di mettere a disposizione della Presidenza tutti i documenti di cui verrò in possesso; ma il Governo non può assumere l’incarico di farne la pubblicazione, in quanto dovrà essere la Presidenza dell’Assemblea a decidere sul da farsi.
REALE VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
REALE VITO. Propongo che, data l’ora avanzata e considerata la delicatezza della materia, ogni decisione in proposito sia rinviata per lo meno a domani. (Commenti). Bisogna armonizzare e chiarire bene ciò che l’Assemblea deve decidere in una materia così delicata, in cui si potrebbe arrivare alla estrema conseguenza che tutta l’Assemblea sia sottoposta ad inchiesta. E ciò non è ammissibile.
Una voce. E perché?
REALE VITO. Perché l’Assemblea non può giudicare se stessa. Ad ogni modo 24 ore di tempo per meditare ritengo che non siano una richiesta eccessiva.
PERTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERTINI. Osservo che una interrogazione non si può mettere ai voti; bisogna che il collega Natoli la trasformi in mozione o in ordine del giorno. Osservo ancora che non spetta al Governo di pubblicare un elenco di Deputati, perché ciò significherebbe menomare la sovranità dell’Assemblea, la quale è sovrana; se mai potrà la Presidenza pubblicare questo elenco e trarne le conseguenze.
PRESIDENTE. Desidero far presente all’onorevole Pertini che non si tratta di mettere in votazione una interrogazione. All’inizio della seduta l’onorevole Natoli ha trasformato in proposta concreta alcune parti della sua interrogazione, ed una di tali proposte è stata già posta in votazione ed approvata dall’Assemblea.
Si tratta ora di approvare un’altra proposta derivante dall’interrogazione presentata ieri sera dall’onorevole Natoli.
In quanto alla seconda osservazione fatta dall’onorevole Pertini, rilevo che lo stesso onorevole Presidente del Consiglio ha fatto presente non solo l’opportunità, ma la necessità che il Governo non faccia esso stesso la pubblicazione, mettendo invece a disposizione dell’Assemblea le notizie richieste.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO APRILE. Sono dolente di non essere stato presente alla prima parte della seduta e di non avere ascoltato la formulazione precisa dell’ordine del giorno dell’onorevole Natoli.
Se non erro, l’onorevole Natoli ha proposto una inchiesta di tipo speciale, non una vera e propria inchiesta parlamentare, cioè, non un’inchiesta di quelle contemplate nel regolamento della Camera.
Credo che sia stata fatta una richiesta al Presidente del Consiglio di presentare all’Assemblea Costituente l’elenco degli onorevoli deputati che ricoprono cariche in enti statali o parastatali, di carattere soprattutto finanziario, per intendersi. Parmi che ciò sia assolutamente necessario, soprattutto perché il Paese è in attesa ed ha il diritto di sapere tutto.
A me non sembra che si debba dare alla proposta dell’onorevole Natoli un significato il quale tocchi la dignità e il prestigio dell’Assemblea, che sono fuori discussione. L’Assemblea Costituente è genuina rappresentante del popolo italiano e, in essa, vi sono in grandissima maggioranza uomini che onorano il Paese.
Una voce al centro. Tutti!
FINOCCHIARO APRILE. Non tutti!
Una voce al centro. Meno lei!
FINOCCHIARO APRILE. Il suo giudizio mi onora. Orbene, che si sappia quali siano i Deputati che rivestono cariche come quelle cui ho accennato, è giusto ed è necessario.
Il Capo del Governo, da quanto ho capito, ha dichiarato di non poter presentare l’elenco domandatogli. Forse non è nemmeno opportuno che lo presenti. (Commenti).
Il Capo del Governo è, infatti, un uomo di parte e non darebbe, a questo riguardo, assoluta garanzia a tutte le parti, a tutti i settori della Camera (Vive proteste al centro – Commenti) e, quindi, l’Assemblea non avrebbe la certezza di avere dinanzi un elenco completo.
Io stesso dichiarai che avrei presentato un elenco, ma è ovvio che questo non potrebbe mai essere completo. Aderisco, quindi, alla proposta dell’onorevole Natoli che, cioè, sia l’Assemblea Costituente – come ha detto giustamente l’onorevole Pertini – a fare le indagini che occorrono. L’Assemblea ha, infatti, possibilità e mezzi di accertamento che non hanno i singoli Deputati.
Ma l’Assemblea Costituente, oltre a queste indagini, assolutamente necessarie per il suo stesso decoro, deve pensare ad una decisione di ordine generale circa le incompatibilità. Dobbiamo noi, quindi, e nel più breve tempo possibile, decidere quali siano gli uffici del genere di quelli di cui si è parlato in questi giorni, compatibili o meno con l’esercizio del mandato parlamentare.
Ciò premesso, mi associo anche alla proposta, credo dello stesso onorevole Natoli, che sia il Presidente della Camera a nominare la Commissione che faccia questi accertamenti e faccia le proposte relative alla incompatibilità.
PRESIDENTE. È stata presentata dall’onorevole Vito Reale una proposta di sospensiva in ordine alla proposta fatta dall’onorevole Natoli. A norma del Regolamento, possono parlare due oratori a favore e due contro.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Mi dichiaro favorevole alla sospensiva e dirò brevemente i motivi per cui consiglio l’Assemblea a votarla.
Non entro nel merito, ma mi riservo di parlare sul merito, se si discuterà la questione stasera.
Mi pare che la questione sia impostata male e forse si darà tempo all’onorevole Natoli, in collaborazione anche con altri, di correggere questa impostazione sbagliata.
Mi pare che stiamo versando un bicchiere d’acqua nel mare: nessuno mai, neanche l’onorevole Finocchiaro Aprile – e lo ha confermato adesso – ha messo in discussione l’Assemblea Costituente nel suo complesso. D’altra parte, credo di interpretare il pensiero dell’Assemblea, dichiarando che l’Assemblea Costituente non accetta di essere messa in discussione da chicchessia. (Approvazioni).
È stata messa in discussione, non so con quale fondamento, né sono tenuto a saperlo, la posizione di qualche membro dell’Assemblea Costituente. Non capisco perché si debba diluire questa giustificata o ingiustificata accusa su tutta l’Assemblea.
Se inchiesta ci deve essere, se l’Assemblea vuole che inchiesta ci sia, la faccia nei confronti delle persone per le quali si è detto qualche cosa. Gli altri, sul conto dei quali non si è detto niente, siano lasciati in pace, perché hanno diritto a questo (Commenti). Se credete di allargare e di dover dire qualche cosa su altri, ditelo anche su altri; ma una specie di imputazione generica e di indagine generica su tutti i membri eletti dal popolo al massimo organo rappresentativo della Nazione rappresenterebbe – e questo credo sia interpretare anche la volontà dei nostri elettori – diluire nel mare un bicchiere d’acqua, di cui credo e spero che nemmeno una goccia sia inquinata.
Credo che sia opportuno pensare bene ai termini della discussione, perché l’elenco che è stato chiesto alla Presidenza di compilare, lo troviamo già sulla Gazzetta Ufficiale, in quanto i Deputati che sono incaricati di funzioni di questo genere lo sono stati con regolare decreto. Non abbiamo bisogno di fare indagini particolari: basta prendere due impiegati, far loro sfogliare la Gazzetta Ufficiale ed abbiamo l’elenco fatto.
Cerchiamo di essere semplici. Se c’è qualche cosa di specifico, assumiamoci la responsabilità di indagare ed andiamo in fondo; ma mantenerci sul generico per dire al Paese preoccupato che abbiamo preso un provvedimento su tutti – che, in fondo, è un provvedimento su nessuno – mi pare che non corrisponda né alla nostra dignità, né alla nostra serietà.
Per questo sono favorevole alla sospensiva.
GIUA. Chiedo di parlare contro la sospensiva.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIUA. Io sono contrario alla proposta di sospensiva. Ho assistito quasi inerte nei giorni in cui si è prospettato questo sospetto su alcuni componenti della Costituente; ma ho assistito anche ad un gesto, che mi è dispiaciuto, dell’onorevole Gronchi. Quando l’onorevole Finocchiaro Aprile ha lanciato un’accusa su alcuni componenti del gruppo dei democratici cristiani, l’onorevole Gronchi, rivolgendosi a questi banchi, ai banchi dell’estrema sinistra, ha detto che anche componenti dell’estrema sinistra si trovavano nella stessa condizione.
Tuttavia, io non voglio insistere ulteriormente su questo fatto.
Se il problema, come è stato impostato dal collega Lucifero, fosse limitato all’interno dalla Costituente, tutti noi potremmo risolvere facilmente la questione, ma il problema quale è stato prospettato dall’onorevole Finocchiaro Aprile è ormai uscito da quest’Aula ed ha invaso il Paese. È noi conosciamo anche la psicologia del popolo italiano, psicologia che è in relazione alla sua immaturità politica. È, quindi, necessario che ognuno di noi, dinanzi all’eventualità di una inchiesta, alla possibilità di far prospettare a tutto il popolo italiano il carattere morale dei componenti di questa Costituente, risponda prontamente alla domanda d’inchiesta.
Quindi, io sono contrario alla proposta di sospensiva, facendo voti che la presidenza della Costituente mandi rapidamente un questionario a tutti i componenti di quest’Assemblea, i quali risponderanno quali sono gli incarichi che hanno avuto dal Governo, quali sono le cariche che ricoprono e quali sono anche le indennità che hanno percepito negli anni trascorsi e continuano a percepire in questi mesi.
È un dovere per tutti, che abbiamo verso il Paese, perché un velo è stato sollevato sui componenti della Costituente. Noi abbiamo il dovere di dire al popolo italiano che, se siamo stati antifascisti, lo siamo stati non soltanto perché il partito fascista ha ucciso la libertà, ma anche perché il partito fascista ha corrotto la moralità del popolo italiano; e se noi ci siamo opposti al fascismo, lo abbiamo fatto perché ci siamo opposti alla corruzione del popolo italiano. Noi dobbiamo dimostrare che quanti sono entrati in quest’Aula sono puri, e non da oggi solamente, e che lo saranno anche in avvenire.
PICCIONI. Chiedo di parlare contro la sospensiva.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PICCIONI. A me pare che al punto al quale questa incresciosa discussione è arrivata, non si possa se non concluderla, e rapidamente, con un voto chiaro e preciso, che esprima la volontà dell’Assemblea di veder chiaro in quelle che sono state le insinuazioni affacciate contro l’uno o contro l’altro dei suoi membri.
Noto, d’altra parte, che nella prima fase di questa seduta si è già verificato un voto unanime dell’Assemblea che accettava senz’altro il contenuto della seconda parte della interrogazione Natoli, vale a dire la proposizione da parte della Presidenza dell’Assemblea a ciascun Deputato di un questionario attraverso il quale ciascun Deputato chiarisse la propria posizione nei confronti di incarichi ricoperti presso enti privati, finanziari o economici. Sarebbe, a mio avviso, leggermente ridicolo – me lo consenta l’Assemblea – se avendo unanimemente deliberato su questo punto, si volesse rinviare o sofisticare sulla prima parte che evidentemente è più grave, in quanto riguarda la posizione dei singoli Deputati in rapporto ad enti economici o finanziari di natura statale o parastatale.
Ritengo quindi che, in considerazione di tali elementi di fatto, l’Assemblea non possa se non votare sulla proposta Natoli.
E poiché ho la parola – il Presidente me lo consentirà – ritengo che la formulazione della proposta definitiva presentata dall’onorevole Natoli risponde esattamente a quelle che sono state le dichiarazioni del Governo, nella prima fase di questa seduta, ed anche alle dichiarazioni fatte poco fa dall’onorevole Finocchiaro Aprile, in quanto si propone la nomina d’una Commissione che prenda in esame gli elementi forniti alla Presidenza dell’Assemblea da parte del Governo, al fine di stabilire se in tali elementi si riscontri qualcosa che ponga in essere una qualsiasi incompatibilità morale o politica di ciascun membro dell’Assemblea, di fronte all’Assemblea stessa. Ciò salvaguarda pienamente la sovranità giustamente rivendicata dall’onorevole Pertini dell’Assemblea medesima di fronte ai poteri del Governo; perché qui si tratta effettivamente di valutare la posizione di ciascun Deputato nell’ambito dell’Assemblea stessa, al di fuori ed al di sopra di qualsiasi incidenza dell’attività del Governo con la funzionalità dell’Assemblea.
Per queste considerazioni sono contro la proposta di sospensiva; ritengo che la discussione sia già così matura e conclusiva da consentire di arrivare al voto di quella formulazione che mi pare esprima esattamente il concorde pensiero sia del Governo, sia dell’onorevole Finocchiaro Aprile, e di tutta l’Assemblea, per la salvaguardia del proprio decoro e del proprio prestigio.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di sospensiva formulata dall’onorevole Reale Vito.
(Dopo prova e controprova, non è approvata).
PATRISSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PATRISSI. A me pare che non abbia valore pratico la proposta dell’onorevole Natoli. L’onorevole Finocchiaro Aprile, sostanzialmente, denunciando all’Assemblea il fatto che determinati colleghi ricoprono determinate cariche in enti statali o parastatali, non ha scoperto nulla, perché l’attribuzione degli incarichi non è avvenuta clandestinamente. Ora la pregiudiziale da risolvere è questa: si può perpetuare questo mal costume per cui il cittadino investito di mandato parlamentare debba sfruttare tale mandato elemosinando cariche soltanto se ben retribuite? Se decidiamo di ritornare alle vecchie tradizioni parlamentari, che erano onore e vanto della vita politica italiana, mi pare che la situazione si risolva da sé. Coloro che hanno delle cariche, magari avendole accettate in buona fede, si dimettano e la situazione va a posto.
Quanto poi alla parte delle dichiarazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, che possano comunque riguardare la scarsa delicatezza o la scarsa scrupolosità di qualche membro di questa Assemblea, o del Governo, l’onorevole Finocchiaro Aprile si assuma tutta la responsabilità delle sue insinuazioni. E penso che se insinuazioni sono, debbano costituire oggetto d’esame da parte di una specifica Commissione parlamentare d’inchiesta. Questo per me è pregiudiziale.
PRESIDENTE Desidero far presente che la questione di merito è duplice. La proposta contenuta nella seconda parte dell’interrogazione dell’onorevole Natoli è stata già approvata all’unanimità.
L’altra proposta non può essere esaminata in modo diverso; cioè altrimenti che con una votazione simile a quella fatta all’inizio di seduta. Resta poi da risolvere, secondo la risoluzione ultima dell’onorevole Natoli, la questione relativa al modo in cui dovranno essere utilizzate le indicazioni fornite alla Presidenza.
Credo pertanto che si possa mettere ai voti la prima proposta dell’onorevole Natoli:
«L’Assemblea Costituente invita l’Ufficio di Presidenza a richiedere al Presidente del Consiglio l’elenco dei Deputati i quali coprono una carica retribuita e affidata dal Governo, presso enti parastatali, economici, finanziari, o in altri organismi che abbiano relazione con lo Stato, indicando anche l’ammontare della retribuzione o dell’indennità».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Vorrei sapere a che cosa tende questa proposta, perché se è a fini statistici, sarà indubbiamente molto interessante, ma non si vede a quale conclusione porti.
PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, la risposta al suo interrogativo la può dare quest’altra proposta presentata dall’onorevole Natoli, così formulata:
«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio in risposta all’interrogazione Natoli, delibera di deferire al suo Presidente la nomina di una Commissione incaricata di esaminare gli elementi che saranno comunicati dal Governo e le dichiarazioni che i Deputati faranno alla Presidenza dell’Assemblea.
«La Commissione riferirà altresì alla Presidenza le proposte circa eventuali casi di incompatibilità morale e politica e circa l’opportunità di stabilire nel regolamento della futura Camera, o nella legge elettorale, norme riguardanti il problema generale delle incompatibilità».
Si tratta, in sostanza, di raccogliere gli elementi che possano dare alla Commissione la possibilità di giungere a certe conclusioni.
PATRISSI. Io credo che sia buona norma di correttezza valutare a priori i criteri in base ai quali si utilizzerà il materiale statistico raccolto. (Commenti).
PRESIDENTE. Sono stupito che queste obiezioni non siano state sollevate in principio di seduta, quando all’unanimità è stata votata la seconda proposta dell’onorevole Natoli.
PATRISSI. Io non c’ero.
PRESIDENTE. Ognuno assume una parte di responsabilità delle decisioni dell’Assemblea.
Procediamo alla votazione della proposta concreta dell’onorevole Natoli relativa alla prima parte della sua interrogazione.
(È approvata all’unanimità).
Pongo in votazione l’altra proposta, testé letta, dell’onorevole Natoli.
LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Dichiaro di votare contro, perché ritengo che questa proposta non risolva nessuno dei problemi e anche perché non so come si possano introdurre nel regolamento della Camera delle statuizioni di incompatibilità morale e politica, che, caso mai, potranno essere introdotte soltanto nella nuova legge elettorale. (Commenti).
PATRISSI. Noi siamo disposti ad approvare, ma vorremmo trovare una soluzione concludente.
PRESIDENTE. È in sua facoltà presentare all’Assemblea qualunque proposta.
PATRISSI. Mi riservo di presentare una proposta.
RUSSO PEREZ. Ognuno approva per non essere creduto contrario a che la luce sia fatta!
(La proposta Natoli è approvata).
CORSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORSI. La formula ora approvata stabilisce nella sua prima parte la costituzione di una Commissione che ha, manifestamente, poteri inquirenti su fatti denunciati o affermati dall’onorevole Finocchiaro Aprile e su altri. Nella seconda parte attribuisce alla Commissione il compito di dichiarare quali sono i casi di incompatibilità che riguardano membri dell’Assemblea Costituente. Ora, io ho voluto formulare in termini specifici i quesiti che la Commissione dovrebbe risolvere in materia di incompatibilità. La Commissione esamini e proponga all’Assemblea Costituente:
1°) se i membri dell’Assemblea non possano partecipare all’amministrazione di enti di carattere finanziario, economico, assicurativo, di assistenza o qualunque altro, che abbiano natura statale o parastatale;
2°) se si ritenga incompatibile la partecipazione dei membri dell’Assemblea Costituente ad enti e società di natura privata;
3°) se si ritenga incompatibile la stessa partecipazione soltanto quando tali enti e società abbiano interessi contrastanti con quelli della pubblica amministrazione.
Mi pare che in questo modo la Commissione risolverà il quesito posto dal collega onorevole Patrissi. Cioè: voi non potete dichiarare a priori la indegnità o il mal costume d’un membro dell’Assemblea Costituente, se non avete preventivamente stabilito queste determinate incompatibilità.
Sarei grato, pertanto, all’onorevole Presidente dell’Assemblea se volesse sottoporre all’Assemblea la mia proposta.
PRESIDENTE. Onorevole Corsi, la sua proposta può essere considerata come una raccomandazione alla Commissione. L’Assemblea ha già deliberato.
Io penso che non sia opportuno vincolare fin da questo momento la Commissione, che verrà nominata, con delle norme che possono forse presentarsi troppo limitatrici.
In ogni modo, onorevole Corsi, il suo documento, come espressione d’un modo particolare di considerare il problema, sarà comunicato alla Commissione, la quale se ne varrà nello svolgimento dei propri lavori.
CONDORELLI. La Commissione come sarà composta?
PRESIDENTE: Onorevole Condorelli, mi permetto farle presente che, a tenore della deliberazione presa, l’Assemblea ha deferito al Presidente la nomina della Commissione. È la formula normalmente adoperata, con la quale si affida al buon senso ed alle consuetudini dell’Assemblea rappresentativa questioni di questo genere. Domani farò conoscere all’Assemblea la composizione della Commissione.
PATRISSI. In quanto tempo deve espletare i suoi lavori?
PRESIDENTE. Osservo che la questione avrebbe dovuto porsi prima della votazione.
Annunzio di una mozione.
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la seguente mozione:
«L’Assemblea, ritenuto che per la realizzazione organica dello Statuto siciliano, ad evitare eventuali conflitti di carattere costituzionale dopo la sua applicazione, occorre che lo Statuto sia coordinato con la Costituzione della Repubblica, come del resto è previsto dallo Statuto stesso;
ritenuto, altresì, che i lavori della Commissione paritetica per lo Statuto siciliano non sono ancora conclusi, ciò che pregiudica la migliore realizzazione dell’autonomia;
considerato che le elezioni per l’Assemblea siciliana, indette per il 20 aprile, non sono conciliabili con le premesse esigenze;
invita il Governo a disporre le elezioni in Sicilia alla data più vicina possibile, dopo l’avvenuto coordinamento costituzionale in sede di Assemblea».
Nasi, La Malfa, Di Giovanni, Lombardi Riccardo, Canevari, Veroni, Cevolotto, Silone, Rossi Paolo, Preziosi, Corsi, Bocconi, Costantini, Lombardo Ivan Matteo.
Prego l’onorevole Presidente del Consiglio di esprimere l’avviso del Governo su questa mozione.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Propongo che la mozione sia svolta dopo la chiusura della discussione sulle dichiarazioni del Governo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
LA MALFA. Sono dolente di non essere d’accordo con l’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri per il rinvio alla fine della discussione sulle dichiarazioni del Governo.
Pregherei il Presidente del Consiglio di aderire alla discussione entro domani, perché il rinvio a dopo esaurita la discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio pregiudicherebbe il problema delle elezioni.
Io ritengo che su questo problema sia necessaria una discussione in seno all’Assemblea. Si tratta non di un piccolo, ma di un grande fatto della vita politica nazionale, ed è bene che questa Assemblea assuma le sue responsabilità.
Io devo dire che questo, a mio giudizio, rappresenta non solo una garanzia per quel che riguarda l’Assemblea Costituente nei rapporti con la Sicilia, ma rappresenta anche una garanzia per i siciliani. L’autonomia è un fatto che determina rapporti politici tra la Sicilia e il resto d’Italia: il significato e il valore di questi rapporti devono essere chiariti in via preliminare.
Sul fatto dell’autonomia si sono create in Sicilia correnti di opinione che, a mio giudizio, non sono nel vero. È bene che il popolo siciliano su questo problema sia consapevole prima di decidere in tema di elezioni.
RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, il collega La Malfa, che fa parte del gruppo siciliano perché è nato in Sicilia, ma non vive in Sicilia, si meraviglia che il Presidente del Consiglio voglia ritardare la discussione sulla proposta del rinvio delle elezioni regionali a dopo che sarà esaurita la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Io, come siciliano, mi meraviglio che si proponga di ritardare di un sol giorno le elezioni siciliane. Vi è una legge dello Stato che ha concesso l’autonomia alla nostra isola. Mi permetto di ricordare agli onorevoli colleghi che sei o sette mesi fa, nel mese di luglio, ebbi a parlare del problema siciliano e dissi che, per quanto noi siciliani siamo scontenti del trattamento che ci hanno fatto i vari Governi che si sono succeduti in Italia dal 1860 ad oggi, nella grande maggioranza dei siciliani è ancora vivo il sentimento unitario, perché noi ci sentiamo ancora e sempre legati alla madre patria, specialmente in questo momento in cui lembi preziosi del nostro territorio ci sono tolti dallo straniero; ad un patto, che il Governo non dia esca ad un rinverdire di un forte movimento separatista siciliano. E come siciliano nato in Sicilia e vissuto sempre in Sicilia, ritengo che questo tentativo di differimento delle elezioni siciliane avrebbe gravi ripercussioni in Sicilia, giacché sarebbe interpretato come un tentativo di sabotaggio della già concessa autonomia e potrebbe, quindi, guadagnare al separatismo anche dei ferventi unitari.
Giudichi il Governo se ciò convenga al Paese.
NASI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NASI. Non avrei chiesto la parola se l’onorevole Russo Perez non avesse qualificato quella dell’amico La Malfa come la parola di un siciliano che vive fuori della Sicilia; e allora rispondo io che sono un siciliano in quotidiani rapporti coi miei conterranei, che vive la vita della nostra isola, autonomista di antichissima data, e al quale il nostro popolo darà credito, perché a lui ho detto sempre la verità. (Interruzione dell’onorevole Russo Perez).
La questione, onorevole Presidente del Consiglio, non è una questione di date; lei sa che le elezioni in Sicilia avranno una ripercussione di interessi gravissimi e avranno anche una ripercussione nei rapporti tra l’Italia e la Sicilia. Soprattutto in un momento come questo, in cui lo Statuto siciliano, promulgato con decreto-legge del Governo, deve essere sottoposto all’approvazione dell’Assemblea… (Rumori).
Una voce al centro. È inesatto..
NASI. …dico meglio, deve essere coordinato con la Costituzione dello Stato. Bisognerà, quindi, esaminare quali parti siano conformi alle istituzioni dello Stato; trattandosi di un organismo politico, eminentemente politico, e non già di un organismo amministrativo. Il Governo creò una Commissione paritetica – la quale venne scherzosamente chiamata peripatetica, perché la sua azione si svolge tra Roma e Palermo – e che dovrebbe dettare norme in proposito; ma questa Commissione non ha concluso i suoi lavori e, per dichiarazione di essa stessa, non li concluderà se non alla fine di maggio.
PRESIDENTE. Onorevole Nasi, non entri nel merito dell’argomento.
NASI. In un’Assemblea la quale ha pronunciato anche parole inutili e dannose per il Paese, è necessario che si discuta una questione, che i siciliani considerano con grandissima attenzione in questo momento. Sento perciò il dovere di proporre questo rinvio e sono sicuro che i siciliani daranno ancora una volta prova di un alto senso di equanimità; e non penseranno, per questa rude proposta ad un tradimento. Noi dobbiamo discutere con severità questa questione e potremo farlo domani. D’altra parte, voi sapete che il rinvio più lungo proposto dal Presidente del Consiglio alla fine della discussione in corso, rappresenterebbe per noi l’impossibilità di parteciparvi. Infatti noi Deputati siciliani non saremmo qui, perché dobbiamo recarci nell’isola a preparare le liste e a prendere gli accordi per la data delle elezioni già fissate pel 20 aprile. Saremmo, quindi, privati della possibilità di discutere lo Statuto siciliano.
Ho prospettato il quadro della situazione, quadro che suggerisce il rinvio a domani. Ed io mi auguro che ciò avvenga nell’interesse della Sicilia e dell’Italia.
LA MALFA. Domando la parola.
PRESIDENTE. A che scopo?
LA MALFA. Per rispondere all’onorevole Nasi.
PRESIDENTE. Non glie la posso concedere perché, a norma del Regolamento, non si può prendere la parola più di una volta sullo stesso argomento.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Debbo osservare che il Governo nulla obietta circa la discussione in merito dell’argomento. Mi pare però che se io vi dico: «finite prima la discussione generale sui problemi, come il Trattato di Pace, che si sono agitati nei vari discorsi» non presento un’esigenza straordinaria, in quanto, se il Governo sarà posto in minoranza, esso ne trarrà le conseguenze. Ma non si può inserire questa questione che, per quanto importante, non è così importante come la politica generale del Governo ed il Trattato di pace, nella discussione attuale in modo da spezzarla.
Osservo, poi, che con la mia proposta si rimanda la possibilità di accogliere la proposta del rinvio delle elezioni; la presentazione delle liste dovrà essere ultimata, se non erro, entro il 5 marzo. Comunque, se la Camera ad un certo momento dirà al Governo – ed il Governo si sottometterà a questa decisione – di rinviare le elezioni, il rinvio sarà possibile, in quanto le elezioni stesse sono fissate per il 20 aprile.
Dico subito, senza entrare nel merito, che i precedenti che hanno condotto alla risoluzione del Governo sono perfettamente parlamentari e democratici: sono stati sentiti, a mezzo dell’Alto Commissario, a suo tempo tutti i rappresentanti dei partiti e dei gruppi siciliani e, quindi, dopo ampia discussione, in presenza dell’Alto Commissario, il Governo ha adottato le sue decisioni. Non nego che su un argomento molto serio come questo si possa essere di diverso parere; tutto sta a pesarne le conseguenze in senso negativo o positivo. Il Governo voi capite subito per quale soluzione inclina; comunque vi prega soltanto di rinviare questa discussione alla fine della discussione sulle dichiarazioni del Governo.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Nasi se insiste nella sua richiesta che la discussione sia fissata per domani.
NASI. Insisto. Il rinvio significherebbe seppellire la questione, perché in quell’epoca – ripeto – saremo ingranati nella macchina elettorale. (Commenti).
FINOCCHIARO APRILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO APRILE. Prego l’Assemblea di non inorridire se dichiaro di essere d’accordo con il Presidente del Consiglio (Si ride). La richiesta dell’onorevole De Gasperi è perfettamente legittima. L’argomento dell’autonomia siciliana è gravissimo. Io ne ho parlato parecchie volte nell’Assemblea, ho presentato anche un’interrogazione, ma non ho avuto mai il piacere di una risposta da parte del Governo. Non importa. Ma quando il Presidente del Consiglio vi invita a lasciar finire la discussione sulla politica generale per poi fare immediatamente una discussione larga, ampia sulla necessità del rinvio o meno delle elezioni, mi pare che questa sia una richiesta che non possa essere contrastata. Credo che l’onorevole De Gasperi debba essere sodisfatto di questa mia dichiarazione. (Si ride).
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Continui così! (Si ride).
FINOCCHIARO APRILE. Io non entro naturalmente nel merito.
MUSOTTO. Fra quindici giorni scade il termine!… (Commenti).
FINOCCHIARO APRILE. Io non sono né favorevole, né contrario al rinvio; per me la cosa è perfettamente indifferente. Io sono – non crediate che sia una vanteria – molto tranquillo per quanto riguarda il movimento indipendentista e le sue prossime fortune elettorali (Commenti) e sono grato all’onorevole Russo Perez che ha dichiarato all’Assemblea che trattasi di un movimento che rappresenta una cosa molto seria…
RUSSO PEREZ. Indiscutibilmente.
FINOCCHIARO APRILE …e forse questa è la preoccupazione fondamentale che muove alcuni cari amici presenti a domandare il rinvio delle elezioni.
Io, però, vi dico, pur essendo perfettamente indifferente alle deliberazioni che saranno prese dall’Assemblea, che la legge sull’autonomia siciliana, emanata il 15 maggio 1946, non è stata ancora attuata e ciò è stato causa di malumori e di disapprovazioni.
PRESIDENTE. La prego di non entrare nel merito.
FINOCCHIARO APRILE. Il rinvio potrebbe procurare delle perturbazioni in Sicilia. Credo che bisogna guardare attentamente a questa eventualità, perché il popolo siciliano considererebbe questa come un’altra delle tante delusioni che ha dovuto subire. Del resto fate come credete.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole d’Aragona. Ne ha facoltà.
D’ARAGONA. Vorrei fare una proposta conciliativa: mi pare che si potrebbe uscire da questa situazione seguendo una via intermedia. Evidentemente il Presidente del Consiglio ha ragione quando dice che non possiamo interrompere la discussione in corso per intercalarne una nuova.
In questo caso potremmo ritornare a quanto si faceva una volta: quando c’erano diversi argomenti in discussione si convocava la Camera anche in sedute mattutine, e potremmo stabilire di discutere il problema siciliano appunto in una seduta mattutina, in modo da non interrompere le discussioni in corso. Inoltre richiamo l’attenzione dell’Assemblea sul fatto che si è parlato molte volte dell’autorità dell’Assemblea Costituente. Mi pare che quando si tratta di uno Statuto che riguarda una parte dell’Italia, l’Assemblea Costituente nella sua sovranità ha il diritto di dire la propria parola.
PRESIDENTE. Desidero conoscere l’opinione del Governo sulla proposta dell’onorevole D’Aragona.
DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi pare che ci sono dei limiti anche nell’attività umana. Io debbo occuparmi indubbiamente anche di questa questione, ma debbo al riguardo anche poter raccogliere tutti gli elementi necessari ed a questo scopo debbo disporre del tempo occorrente. Sarebbe esagerato pretendere una decisione affrettata.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Nasi di discutere la mozione nella seduta pomeridiana di domani.
(Dopo prova e controprova la proposta non è approvata).
Resta allora inteso che la discussione della mozione avverrà dopo la fine della discussione sopra le dichiarazioni del Governo.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Mazza ha presentato, con richiesta di risposta urgente, la seguente interrogazione:
«Al Sottosegretario di Stato per la marina mercantile, per conoscere l’esattezza della notizia pubblicata dai giornali dell’assegnazione di 46 navi Liberty all’armamento genovese contro 4 assegnate all’Italia meridionale».
Chiedo al Ministro della marina mercantile quando intende rispondere.
ALDISIO. Ministro della marina mercantile. Data l’ora tarda, risponderò domani.
PRESIDENTE, Comunico che l’onorevole Nobile ha presentato, con richiesta di risposta urgente, la seguente interrogazione.
«Interrogo il Ministro della difesa per sapere se non creda necessario comunicare all’Assemblea:
1°) particolari sulle circostanze e le cause del grave disastro aviatorio che ebbe luogo il 15 febbraio al largo di Terracina;
2°) i motivi per cui per effettuare un trasporto privato era stato concesso un apparecchio militare».
Chiedo al Ministro della difesa quando intende rispondere.
GASPAROTTO, Ministro della difesa, Prego di rinviare lo svolgimento di questa interrogazione a dopodomani, perché domani si riunirà la Commissione d’inchiesta.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri di grazia e giustizia e degli affari esteri, per conoscere, se siano stati fatti dei passi presso le Autorità alleate allo scopo di estendere il beneficio dell’amnistia e del condono, largito coi decreti 5 aprile 1944, n. 96, 5 ottobre 1944, n. 263, 29 maggio 1946, n. 172, 22 giugno 1946, n. 4, ai responsabili di reati commessi in danno delle Forze alleate e degli appartenenti a dette forze, nonché ai reati commessi durante il periodo dell’Amministrazione militare alleata nei territori alla stessa già sottoposti.
«Ciò all’evidente scopo di eliminare una grave sperequazione fra le diverse categorie di colpevoli che si risolve in una vera e propria ingiustizia.
«Il provvedimento si ravvisa della massima urgenza anche perché tante volte è stato annunziato.
«Castiglia».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e delle finanze e tesoro, per sapere se non ritengano urgente emanare la nuova legge pei senza tetto e stabilire la misura del contributo dello Stato per la ricostruzione edilizia, avendo particolare riguardo ai paesi danneggiati dalla guerra e già danneggiati dal terremoto, dove è obbligatoria l’osservanza delle norme antisismiche e deve tenersi perciò conto del relativo aumento di spesa, che se non fosse sostenuto dallo Stato, renderebbe impossibile la ricostruzione delle case nelle sventurate zone sismiche, cui indubbiamente non può mancare la solidarietà della Nazione.
«Basile».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se risulta che, il giorno 3 febbraio 1947, alcuni rappresentanti del Consorzio mugnai, raggiunto col Prefetto di Foggia e categorie di lavoratori interessati un pieno accordo per assorbimento di mano d’opera disoccupata, vennero proditoriamente aggrediti e malmenati, all’uscita in istrada e sotto gli occhi degli agenti di servizio.
«S’è vero che da Roma, da parte di uomini politici ed esponenti di Governo (democrazia cristiana) sono state esercitate interferenze e notevoli pressioni su quel Prefetto per ottenere, a vantaggio di un industriale, De Biase, ed in deroga a vigenti divieti, il permesso d’impianto e funzionamento di uno stabilimento in aggiunta a quelli esistenti nella zona, già in eccesso ed in parte inattivi.
«Se in quella inscenatura di piazza, verificatasi il giorno 3 a danno di pacifici cittadini, sia da ravvisare l’ultima scena di un preordinato piano per eludere la legge e costringere il Prefetto, con mezzi leciti od illeciti, ad emettere un provvedimento di favore sotto una veste di artefatta contingenza e destinato a creare, poi, il fatto compiuto.
«Se sono state accertate le responsabilità palesi e nascoste delle perpetrate aggressioni e sono stati adottati i provvedimenti, che il caso richiede, a tutela dell’ordine, della correttezza e della legalità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«MICCOLIS».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sui motivi per i quali tutti i componenti dell’Arma dei carabinieri, istituzionalmente destinata a compiti di polizia e come tale soggetta ai principî di diritto internazionale della Convenzione dell’Aja (1908), siano stati sottoposti a procedimento di epurazione, nonché a punizioni disciplinari (compresi coloro che furono arrestati e deportati ad opera dei nazifascisti nell’agosto 1944) per il solo fatto di avere, dopo 1’8 settembre 1943, prestato servizio nell’Arma stessa a difesa degli interessi delle popolazioni civili, mentre che a parità di servizio prestato in analoghe condizioni e per identici fini la stessa misura non è stata adottata per le altre forze di polizia e per le Guardie di finanza.
«E con specifico riferimento alla Legione di Torino chiede di conoscere i motivi, per i quali ufficiali, sottufficiali e truppa, dipendenti dalla Legione stessa, siano stati sottoposti a procedura di epurazione, senza che si sia tenuto conto che i predetti prestarono servizio dopo l’8 settembre 1943, non soltanto in base a precisi accordi consacrati in apposito piano operativo, ma in forza di tassativo ordine impartito dal Comitato di liberazione nazionale del Piemonte, sia per la difesa della vita civile che per il mantenimento dell’ordine pubblico e per il passaggio, all’atto della liberazione, dei poteri di governo alla Giunta esecutiva. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Villabruna».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se – data la grave situazione morale ed economica in cui si trovano i profughi italiani, provenienti dalle Colonie e dall’estero, situazione che non può trovare rimedio nelle elargizioni inadeguate e spesso tardive, che hanno, per giunta, la forma dell’elemosina per gente che, in parte, occupava nel recente passato buone situazioni sociali – il Governo non creda di sostituire all’attuale metodo assistenziale la liquidazione in misura adeguata e, per quanto possibile, sollecita dei danni da ciascuno dei profughi subiti, dando così ad essi il mezzo di rifare la propria vita; o comunque quale sia il piano organico del Governo per togliere tanti italiani benemeriti e vittime della guerra dalla infelice situazione in cui si trovano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Nasi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbia preso a proposito di una scandalosa alienazione di un fondo di proprietà dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania, avvenuta negli ultimi anni del fascismo e dall’interrogante denunziata nell’agosto 1946 al Ministero dell’interno.
«Interroga pure sulla sparizione d’un rapporto sullo stesso argomento fatto dal Commissario prefettizio dell’ospedale in data 16 gennaio 1943, al Prefetto di Catania. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«D’Agata».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e dell’industria e commercio, sul dovere, da parte dello Stato, di sistemare decorosamente la preziosa Collezione Loria, che si trova incassata da vent’anni, e che potrebbe costituire, con i suoi 40 mila pezzi, il Museo nazionale italiano di arte popolare; e ciò non soltanto per dare alle nostre attrattive turistiche una interessante nota, che finora manca, e per dare argomento ad importanti studi e raffronti, ma anche e soprattutto per offrire al risorgente artigianato italiano un largo campo di osservazione e di ispirazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Gortani».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio e delle finanze e tesoro, per sapere se non convengano nel ritenere che l’artigianato italiano possa avere una parte importante nella ripresa economica nazionale, contribuendo anche all’aumento delle esportazioni; e se non credano, per conseguenza, necessario ed urgente di risolvere finalmente, secondo le esigenze più volte fatte presenti al Governo, i problemi relativi al credito artigiano e al ripristino delle aziende artigiane distrutte o danneggiate dalla guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Gortani».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta:
La seduta termina alle 21.10.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 15:
- – Svolgimento della seguente interrogazione:
Mazza. – Al Ministro della marina mercantile. – Per conoscere l’esattezza della notizia pubblicata dai giornali dell’assegnazione di 46 navi Liberty all’armamento genovese contro 4 assegnate all’Italia meridionale.
- – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
- – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.