ASSEMBLEA COSTITUENTE
XXXIX.
SEDUTA DI LUNEDÌ 17 FEBBRAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Vanoni, Ministro del commercio estero
Scoca
Arcaini
Finocchiaro Aprile
Campilli, Ministro delle finanze e del tesoro
Congedi:
Presidente
Ringraziamento della famiglia dell’ex deputato Cappellotto:
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Scelba, Ministro dell’interno
Merlin Umberto, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia
Pertini
Perrone Capano
Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno
Gallico Spano Nadia
Cevolotto
Togni, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale
Benedettini
Sullo
Romita, Ministro del lavoro e della previdenza sociale
Brusasca, Sottosegretario di Stato per l’aeronautica
Mastino Pietro
Chieffi
Cingolani
Cevolotto
Gasparotto, Ministro della, difesa
Interpellanze (Svolgimento):
Canevari
Romita, Ministro del lavoro e della previdenza sociale
Colonnetti Medi
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
Gonella, Ministro della pubblica istruzione
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
Gonella, Ministro della pubblica istruzione
La seduta comincia alle 16.
SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.
Sul processo verbale.
PRESIDENTE. Sul processo verbale ha chiesto di parlare l’onorevole Vanoni, Ministro del commercio con l’estero. Ne ha facoltà.
VANONI. Ministro del commercio con l’estero. Mi corre l’obbligo di fare alcune precisazioni sulle dichiarazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile. È esatto che dal Ministro del tesoro Soleri fui nominato commissario della Banca Nazionale dell’agricoltura il 16 agosto 1944, quando non ricoprivo nessuna carica politica. Rimasi in carica fino al 28 novembre 1945, quando per mia iniziativa fu ristabilita l’amministrazione ordinaria della Banca. L’Assemblea, riunita in quell’occasione, e il Consiglio, per delega dell’Assemblea stessa, provvidero a liquidare le mie competenze nella misura fissata dallo statuto per l’amministratore delegato…
FINOCCHIARO APRILE. E cioè?…
VANONI, Ministro del commercio con l’estero. …in una somma notevolmente inferiore a quella indicata dall’onorevole Finocchiaro Aprile.
FINOCCHIARO APRILE. Due milioni e ottocentomila lire.
VANONI, Ministro del commercio con l’estero. Di questa somma venne a mio profitto soltanto la limitata parte corrispondente alle spese di sussistenza sopportate da me durante il periodo dell’incarico. Il residuo fu messo a disposizione del fondo per la stampa della Democrazia cristiana.
È esatto che sono stato Presidente della Società anonima Ferrobeton, nominato a questa carica nell’interesse di azionisti italiani, miei clienti, fino al giorno in cui, avendo assunto questa posizione nel Ministero, ho dato le dimissioni dalla carica stessa, come da tutte le altre che ricoprivo in società private, e che l’onorevole Finocchiaro Aprile ha avuto la bontà di non ricordare. La Società provvederà a dichiarare, come meglio crede, la propria posizione di fronte alle affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile.
Per quanto mi riguarda, affermo che le mie funzioni nella Società sono sempre state di consulente interno e di controllo nell’interesse dei miei clienti. Nego di essere mai intervenuto nei rapporti esterni, né con privati, né con pubbliche amministrazioni, tanto meno sostenendo rivendicazioni nei confronti dello Stato, o compiendo alcuno degli atti indicati dall’onorevole Finocchiaro Aprile.
PRESIDENTE. Sul processo verbale ha chiesto anche di parlare l’onorevole Scoca. Ne ha facoltà.
SCOCA. Non essendo stato presente all’inizio della seduta precedente, debbo un chiarimento all’onorevole Finocchiaro Aprile, che mi ha fatto carico di aver conseguito la nomina ad avvocato generale dello Stato scavalcando 41colleghi più meritevoli.
Spero che egli sia d’accordo con me nel riconoscere che non spettava né a me né a lui giudicare chi, fra i sostituti avvocati generali dello Stato, miei pari grado – i quali assommano a cifra molto più esigua di quella da lui indicata – fosse il più meritevole della promozione al grado più elevato.
Quanto a me, sono lieto che mi si offra l’occasione di esprimere in questa Assemblea l’alta considerazione nella quale tengo molti miei colleghi, che sono onore e vanto dell’Istituto e del Foro.
Il giudizio per la designazione alla scelta non poteva essere dato che da coloro i quali si sono succeduti nella direzione dell’Avvocatura negli ultimi anni, conformemente a quanto era stato praticato in occasione di precedenti nomine alla stessa carica, e per l’ovvia considerazione che essi soltanto avevano tutti gli elementi di giudizio per pronunciarsi con cognizione di causa.
Ora, per ristabilire la obiettiva verità dei fatti, debbo vincere il naturale senso di riluttanza nel parlare di me stesso e dire che, secondo gli atti esistenti in ufficio, furono le eminenti personalità che mi hanno preceduto nella direzione dell’istituto a fare la designazione nei miei confronti al signor Presidente del Consiglio, e ciò nel febbraio 1946, quando io non rivestivo nessuna carica nel Governo, né ero Deputato alla Costituente.
È bene precisare che essi appartengono a partito diverso dal mio, e non può quindi pensarsi che il loro senso di obiettività fosse offuscato da interessi di parte. Scriveva al Presidente l’avvocato generale uscente che la designazione del sostituto avvocato generale dello Stato professore Salvatore Scoca ad avvocato generale dello Stato rispondeva pienamente alle esigenze attuali dell’Avvocatura. Ed aggiungeva: «Durante i sette anni nei quali ho tenuta la carica di avvocato generale dello Stato, avendo lo Scoca mio collaboratore, ho avuto, infatti, modo di apprezzare pienamente le sue preclare qualità e la sua completa preparazione professionale, che sono sicura garanzia che egli adempirebbe al suo ufficio con la dignità ed il prestigio necessari, rispondendo alla generale aspettativa degli avvocati dello Stato, dei quali gode la massima stima e simpatia. Devo poi aggiungere che lo Scoca possiede in modo preminente quelle qualità di carattere – energia, spirito di iniziativa, equilibrio, indipendenza di giudizio – che sono indispensabili in chi sia preposto alla direzione dell’istituto al quale è affidato il delicatissimo compito della difesa degli interessi dello Stato».
A nomina avvenuta, mi scrisse: «Mi rallegro vivamente della scelta che risponde ad una mia originaria e rinnovata designazione, motivata da ragioni obiettive e non da tendenze sentimentali».
Abuserei della pazienza dei colleghi, se leggessi la lunga e dettagliata lettera, con la quale reiterava la designazione il vice avvocato generale dello Stato, che assunse la reggenza dell’istituto dopo la volontaria rinunzia alla carica del mio predecessore. Ne leggo un brano conclusivo: «La necessità di una conoscenza approfondita delle esigenze e del funzionamento dell’istituto rende auspicabile che il nuovo avvocato generale venga tratto dal seno della stessa Avvocatura, accogliendosi, così, un voto unanime degli avvocati dello Stato, i quali si augurano che venga prescelto, nell’interesse del servizio, quello tra loro che abbia le migliori qualità per ricoprire l’importantissima carica.
«Al riguardo reputo mio dovere riferire che fra i sostituti avvocati generali si distingue in modo preminente per capacità tecnica, dottrina ed elevatissime qualità personali il professore Salvatore Scoca». (Interruzione dell’onorevole Finocchiaro Aprile).
Non continuo per modestia la lettura (Commenti). Sono atti ufficiali ed avevo il dovere di portare a conoscenza dell’Assemblea questi documenti, perché si tratta di un’alta carica dello Stato che non deve essere insidiata con diffamazioni. (Approvazioni).
Quanto ho documentato, dimostra con ogni evidenza che la mia nomina ad avvocato generale dello Stato avvenne nel modo più normale pensabile. Essa fu determinata dalla concorde valutazione degli organi gerarchicamente preordinati a farla sul piano tecnico professionale e non già ad interferenze politiche, delle quali sarebbe stato lecito sospettare, proprio se la scelta fosse caduta su altri, in difformità della formale designazione dei superiori gerarchici. Il che non è mai avvenuto.
L’onorevole Finocchiaro ha ricordato fuori proposito la tradizione in base alla quale sarebbe incompatibile l’esercizio del mandato parlamentare con «uffici ed incarichi largamente remunerativi». Ora, a parte il fatto che l’ufficio di avvocato generale non è certo largamente remunerativo, è proprio la più antica ed intemerata tradizione parlamentare che intendo nel mio caso richiamare, ricordando che nel 1876 Giuseppe Mantellini era Deputato al Parlamento quando fu chiamato alla carica, allora istituita per la prima volta, di avvocato generale dello Stato.
Lo stesso Mantellini ebbe poi a scrivere che considerava la posizione parlamentare garanzia di quella autorità e indipendenza che egli riteneva necessaria per chiunque avesse tenuto l’ufficio di avvocato generale. Ricordo ancora che Giacomo Costa, nominato nel 1896 Ministro della giustizia, conservò l’ufficio di avvocato generale dello Stato, che teneva al momento della sua nomina, e che lo stesso fece l’avvocato generale Giovanni Villa, quando, durante la prima guerra mondiale, fu nominato Ministro dei trasporti e Vicepresidente del Consiglio.
Mi dispenso da ogni commento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Arcaini. Ne ha facoltà.
ARCAINI. Senza acredine per l’onorevole Finocchiaro Aprile, che sabato mi ha incluso in un elenco di profittatori del mandato parlamentare e di accaparratori di posti lucrosi, accusandomi di essere nientemeno che direttore di banca, cioè reo di tenere un impiego, dichiaro:
1°) che quel posto me lo sono guadagnato ben prima che a molti di noi fosse possibile prevedere l’ingresso in questa Assemblea e dopo molti anni di lavoro, in un ambiente politico che per tre volte mi ha imposto di ricominciare daccapo e per vie nuove;
2°) che io non ho aspirazione a fare il politicante agitatore di professione e che qui intendo assolvere il mandato dei miei elettori senza mancare al mio dovere di lavoratore; c’è chi ha scelto la professione di deputato separatista dalla Madre Patria e chi ha scelto quella di deputato-lavoratore; io preferisco questa;
3°) ci sono qui dei colleghi, che tengono con onore alti posti di responsabilità nel campo economico, finanziario della Nazione e nessuno si è sognato, e spero sognerà, di muover loro, per ciò stesso, rimproveri; tanto meno, credo, lo si possa fare per me, impiegato d’una banca privata. Comunque, onorevole Finocchiaro, quando esisterà una legge la quale stabilisca che per essere deputato occorra essere disoccupato, io deciderò sul da farsi. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ne ha facoltà.
FINOCCHIARO APRILE. Ho sentito che i Deputati, dei quali ho denunziato le cariche più o meno lucrose ed i vantaggi procuratisi nell’esercizio del mandato politico, hanno offerto all’Assemblea Costituente le loro giustificazioni. Alcune di queste giustificazioni sono fondate ed io lo riconosco pienamente. Ma la maggior parte di esse non ha fatto che confermare quello che io ho detto all’Assemblea.
L’onorevole Vanoni è precisamente fra questi. Era meglio ch’egli non parlasse, perché ha peggiorato la sua situazione. All’onorevole Vanoni vorrei rivolgere un invito, un amichevole invito: lei non può rimanere al banco del Governo; lei deve dimettersi, perché è incompatibile, specificatamente incompatibile. (Commenti).
Quando presenterò l’elenco, da me promesso nella giornata di sabato, specificherò con maggiore esattezza ed ampiezza gli uffici tenuti dai deputati democratici cristiani in organismi statali o parastatali, specialmente a carattere finanziario. Ma io debbo lealmente dichiarare, come ho fatto notare alla stampa questa mattina, che per me non è questione di deputati democratici cristiani o di altra parte dell’Assemblea: non è nemmeno questione di uomini, che debbono interessare molto modestamente in questa faccenda. Quella che interessa è un’altra questione: una questione di dignità e di moralità pubblica e politica. All’Assemblea Costituente si deve venire per servire con abnegazione e con sacrificio il Paese; non ci si deve avvalere del mandato parlamentare – gelosissimo – per andare all’arrembaggio di cariche largamente remunerative o per ottenere eccezionali vantaggi. I Deputati funzionari dello Stato, come avveniva in passato, non debbono potere avere altre promozioni che non siano di stretta anzianità.
Quello che ha detto l’onorevole Scoca non ha alcun valore; la sua promozione ad avvocato generale dello Stato non è una promozione regolare: egli è stato promosso come democratico cristiano e come Deputato; nessun altro Governo lo avrebbe promosso avvocato generale dello Stato, perché egli non ha nessuna particolare attitudine e nessun merito speciale. (Commenti).
SGOGA. Io ho documentato: lei afferma cose non vere.
FINOCCHIARO APRILE. Non ho detto che la pura verità. Lei ha scavalcato quarantuno avvocati dello Stato più degni di lei.
SGOCA. Ogni volta che c’è una promozione si passa sempre davanti a qualcuno.
FINOCCHIARO APRILE. Lei si dovrebbe dimettere.
SCOCA. Lei non ha dignità personale; lei dopo i miei chiarimenti, avrebbe dovuto tacere.
FINOCCHIARO APRILE. Stia tranquillo che io so quel che dico. Ora io desidero di rivolgere una preghiera particolare all’onorevole Presidente del Consiglio. Questa mia preghiera si riferisce all’attività dell’onorevole Campilli, Ministro delle finanze e del tesoro. Io non credo di rivelare cose molto nuove, perché vi sono state agenzie giornalistiche e quotidiani, che hanno riferito cose sulle quali desidero chiedere informazioni all’onorevole Presidente del Consiglio.
Si è verificato questo: all’onorevole Bertone, che mi piace di citare a titolo di onore, furono fatte sollecitazioni perché si adottassero provvedimenti diretti a diminuire l’alto prezzo dei titoli in borsa. L’onorevole Bertone, un galantuomo, ripeto, non volle ascoltare queste sollecitazioni. Egli chiese al Direttore generale della Banca d’Italia, Menichella, il suo pensiero, e Menichella rispose, consigliando al Ministro di non prendere nessun provvedimento, in quanto ne sarebbe derivato un grave perturbamento del mercato finanziario. L’onorevole Bertone, che è un galantuomo, non adottò nessun provvedimento.
All’onorevole Bertone succedette l’onorevole Campilli. Le stesse suggestioni furono esercitate sull’onorevole Campilli. E l’onorevole Campilli decise di emettere due provvedimenti: il primo, quello di ripristinare il deposito del 25 per cento sugli acquisti di titoli azionari; il secondo, quello di obbligare le banche e gli agenti di cambio a denunciare periodicamente i riporti a fine mese. Tali provvedimenti hanno sempre lo scopo di fare abbassare il troppo alto prezzo dei titoli.
Se le cose si fossero limitate a ciò, non ci sarebbe stato nulla da obiettare. Però avvenne, mi dicono, qualche cosa di profondamente anormale, e io chiedo precisamente all’onorevole De Gasperi informazioni precise in proposito, perché sono sicuro che l’onorevole De Gasperi è certamente al corrente di tutto.
Io ricordo che nel 1919 il Capo del Governo, onorevole Nitti, seguiva quotidianamente e minuziosamente tutto l’andamento del Ministero del tesoro. Quando arrivavo al Ministero, la prima telefonata era quella dell’onorevole Nitti, che voleva sapere quali erano i cambi, quale la situazione del giorno del Tesoro, quale la situazione di cassa, e via dicendo. Sono sicuro che l’onorevole De Gasperi avrà seguito lo stesso sistema.
Ora la domanda che io faccio all’onorevole De Gasperi è questa: quando l’onorevole Campilli decise questi due provvedimenti, l’onorevole De Gasperi ne fu informato? E il Ministro Campilli non informò per caso qualche commissionario di borsa amico dell’onorevole Presidente del Consiglio e dello stesso Ministro del tesoro? (Segni di diniego dell’onorevole De Gasperi – Interruzione dell’onorevole Campilli).
Lei non ne sa niente, onorevole De Gasperi? Eppure, veda, si dice questo da tutti: è strano che lei non lo sappia, onorevole Presidente del Consiglio; non sappia, cioè, che vi furono dei commissionari di borsa, per giunta democristiani, i quali si misero a speculare largamente al ribasso, venerdì, vendendo masse di titoli a Roma, comprati a Milano. In due giorni le operazioni furono di molti e molti milioni di lire. I titoli precipitarono e gli speculatori al ribasso realizzarono ingenti guadagni.
Onorevole Presidente del Consiglio, mi sa dire quando furono pubblicati i due provvedimenti di cui le ho parlato? No? Allora glielo dico io; furono pubblicati dopo che le larghissime operazioni erano state compiute. Ed allora si verificò questo: quando, due giorni dopo, gli operatori di Milano si accorsero di essere stati oggetto di un indegno aggiotaggio, protestarono con estrema energia. Mi dicono che siano venuti a Roma e che abbiano ottenuto la revoca dei provvedimenti dall’onorevole Campilli, sia quello del deposito del 25 per cento, sia quello dell’obbligo della denuncia dei riporti.
È informato di tutto questo l’onorevole De Gasperi? L’onorevole De Gasperi comprende che ciò involge la piena responsabilità personale e politica del Ministro delle finanze e del tesoro? Io chiedo qualche informazione all’onorevole De Gasperi.
CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Ringrazio l’onorevole Finocchiaro Aprile di avermi dato l’occasione di smentire e chiarire una delle voci più indegne e più calunniose che sono corse in questi giorni.
Avverto che ciò di cui ha parlato l’onorevole Finocchiaro Aprile non è un provvedimento, ma una semplice istruzione della Direzione del Tesoro. Io ne fui informato venerdì, alle ore 12, a Palazzo Chigi, dal collega Ministro Morandi, il quale mi chiese se avessi dato disposizioni perché tornasse in applicazione un provvedimento, già in vigore, circa la denuncia dei riporti a fine mese. Risposi che non ne sapevo nulla; telefonai al Ministero del tesoro ed ebbi, da parte della Direzione, il testo del telegramma inviato. Nel pomeriggio, alla Direzione del Tesoro, convocai il direttore e mentre ero con lui a lamentare la decisione presa senza che io ne fossi stato prima informato, dovetti interrompere il colloquio per venire alla Camera e rispondere alle accuse rivoltemi dall’onorevole Finocchiaro Aprile.
Affermo, e non temo smentita, che il provvedimento, anzi, l’ordine, io non l’ho richiesto, né deciso. È stato semplicemente un richiamo fatto in maniera autonoma dalla Direzione generale del Tesoro per applicare disposizioni vigenti.
Escludo in maniera ancora più decisa di avere chiunque informato della cosa. Del resto, onorevole Finocchiaro Aprile, che il provvedimento non fosse un provvedimento del genere che lei dice, è attestato dal fatto che, pur essendo rimasto quello che era, perché nessuna disposizione in contrario è stata mandata, le borse sono tornate di nuovo a prezzi molto più alti di quelli che non avessero prima. Questo tengo a dichiararlo in maniera assoluta e decisa, perché non temo smentita. Il provvedimento, ripeto, non mi riguarda, per quanto non sia altro che un provvedimento che non ha nessun valore effettivo, poiché oggi le borse sono rimaste alle stesse condizioni, pur avendo applicato una disposizione che prima vigeva.
Occorre in questa materia essere veramente sereni, e non seguire quelle che possono essere delle mosse fatte anche da altre correnti di speculazione. Intorno alla Borsa molta gente oggi vive, prospera e specula. Quindi a volte le voci sono voci interessate ed io credo e chiedo alla onestà dell’onorevole Finocchiaro Aprile di darmi atto di quello che affermo, cioè che il provvedimento che egli mi ha attribuito io non l’ho sollecitato; non solo, ma non l’ho nemmeno conosciuto. L’ho conosciuto soltanto il giorno dopo.
FINOCCHIARO APRILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro Aprile, la vorrei pregare, se ha da impostare, come mi pare, una questione di tanta ampiezza, di seguire la procedura normale. Inoltri pertanto al Presidente del Consiglio una interrogazione o una interpellanza. Non possiamo dedicare una intera seduta all’approvazione del processo verbale.
FINOCCHIARO APRILE. Confermo tutto quello che ho detto precedentemente. Il Ministro del tesoro, nel rispondermi, non si accorge di una cosa: egli, e glielo dico molto lealmente, si è pentito del provvedimento che ha preso, e tenta di riversarne la responsabilità sopra un onest’uomo, qual è il direttore generale del Tesoro, Ventura. (Commenti).
D’altra parte, onorevole Ministro del tesoro, è mai possibile che in un Ministero ci sia un direttore generale o un capo divisione che possa emettere un provvedimento di così grave natura, senza che il Ministro ne sappia niente? (Commenti).
CAMPILLI, Ministro delle finanze e tesoro. Basta interrogare il direttore generale del Tesoro. Le ripeto in maniera assoluta che il provvedimento io l’ho conosciuto il giorno dopo. È così.
PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo gli onorevoli Ghidini e Fuschini.
(Sono concessi).
Ringraziamento della famiglia dell’ex deputato Cappellotto.
PRESIDENTE. Comunico che la famiglia dell’ex deputato Cappellotto ha inviato vivi ringraziamenti per la manifestazione di cordoglio dell’Assemblea in memoria del suo congiunto.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. Poiché le prime due, cioè quella dell’onorevole Pertini e quella dell’onorevole Perrone Capano si riferiscono allo stesso argomento, saranno svolte insieme:
Pertini, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per sapere: a) se a loro consti che organi della polizia, nel sottoporre ad interrogatorio indiziati di reati, usano metodi illeciti, disumani ed anche sevizie, le quali – come di recente qui in Roma – sono, talvolta, persino causa di morte dell’inquisito; b) quali provvedimenti intendano prendere per impedire nel modo più drastico che abbiano a ripetersi questi veri abusi d’ufficio, i quali, oltre a costituire una palese violazione della legge, offendono quel concetto della dignità umana, che deve stare a fondamento d’ogni vera democrazia.
Perrone Capano, al Ministro dell’interno, «perché, in relazione al recente episodio del detenuto Caroselli, che, fermato mentre era in ottime condizioni di salute, è deceduto appena tradotto a Regina Coeli, precisi se e come è stata eseguita in merito un’inchiesta, quali esatti risultati essa ha dati e perché faccia conoscere se, di fronte all’eventuale profilarsi di responsabilità di funzionari o di agenti, non abbia creduto o non creda di dare corso agli opportuni provvedimenti di natura disciplinare e penale, affinché sia dissipato anche il dubbio che i sistemi di investigazione poliziesca non sempre si adeguino al dovere del rispetto della integrità fisica degli inquisiti e siano, nonostante ciò, tollerati».
Il Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.
SCELBA, Ministro dell’interno. Desidero rispondere personalmente alle interrogazioni presentate dagli onorevoli Pertini e Perrone Capano, perché la materia è di una importanza vitale, in quanto tocca la libertà e la dignità del cittadino.
Mi si consenta di fare qualche dichiarazione di carattere generale.
Alla domanda: «Se è vero che la polizia italiana usi metodi e sistemi che dovrebbero qualificarsi inumani ed incivili», io rispondo che sono state fatte tre denunzie al Ministro dell’interno, in tempi abbastanza recenti.
La prima, riguarda pretese violenze usate contro arrestati in Sicilia. Un’inchiesta eseguita in proposito ha nettamente smentito l’esistenza di qualsiasi procedimento illegale od arbitrario contro arrestati.
Una seconda denunzia riguarda il caso Fort di Milano, che ha richiamato l’attenzione della stampa ed ha interessato il grosso pubblico. È risultato provato che un funzionario di polizia è ricorso ad esperimenti ipnotici e ad altri procedimenti meno gravi, ma ugualmente irregolari. Il funzionario che è ricorso a questo esperimento è stato rimosso dal suo posto ed è stato deferito al Consiglio di disciplina, per i provvedimenti del caso, ed altri provvedimenti adeguati sono stati presi a carico dei funzionari che avevano concorso con questo ufficiale di polizia nell’impiego di mezzi non previsti dalla legge.
Per quanto riguarda il caso Caroselli, i fatti si sono svolti in questi termini. Il Caroselli era un noto pregiudicato che è stato arrestato in flagrante, mentre tentava di spacciare monete false. Mancava la ragione obiettiva per ricorrere a qualsiasi violenza nei confronti di questo arrestato per ottenere da lui una qualsiasi confessione circa i fatti che venivano a lui imputati.
Si trattava di un elemento piuttosto violento, il quale, al momento dell’arresto, ha cercato di fuggire e di difendersi ed ha riportato – secondo le indagini che sono state fatte – delle escoriazioni leggiere al viso e delle echimosi, mentre un agente di polizia ha riportato, durante la colluttazione, ferite che sono state dichiarate guaribili in otto giorni.
Questo è risultato dalle indagini esperite fino al momento in cui il Caroselli è stato consegnato alle carceri giudiziarie.
L’autorità giudiziaria ha disposto un’autopsia sul cadavere, per accertare le cause che hanno determinato la morte del Caroselli. Secondo le notizie pervenute sino ad oggi, sarebbe da escludere una causa diversa da quella indicata dai medici, cioè a dire una crisi cardiaca. Comunque, noi attendiamo l’esito dell’azione dell’autorità giudiziaria; e se responsabilità emergeranno, saranno duramente colpite da parte del Ministero dell’interno.
Questi sono i fatti denunciati. Risulta quindi che non esiste nella polizia italiana un sistema, una norma di carattere generale o applicazioni su larga scala di mezzi inumani o incivili per ottenere la confessione dell’imputato.
Comunque, dichiaro nettamente davanti all’Assemblea – e intendo assicurare il Paese in questo campo – che disposizioni sono state date perché la confessione degli imputati non sia ottenuta con mezzi che ledano la libertà morale dell’imputato. Considero assolutamente barbarico il sistema o la concezione secondo cui, perché il reo non si salvi, periscano il giusto e l’innocente. Preferisco che si salvi il reo, per modo che un innocente non possa subire mai azioni considerate illegali o illegittime e antidemocratiche.
Intendo dare questa assicurazione perentoria: che il rispetto della personalità umana e della libertà sarà una concezione fondamentale dell’azione della polizia. Vi è molto da fare in questo settore per migliorare la condotta della polizia. Disposizioni perentorie in materia sono state date; è necessario però creare intorno alla polizia un’atmosfera di fiducia. Sarò pertanto lieto di tutte le denunce che potranno venire o dall’Assemblea, o da altre parti del Paese intorno a fatti concreti; ma vorrei pregare che si evitassero accuse generiche che possono compromettere il prestigio della polizia. Nella polizia i cittadini devono vedere il presidio e il baluardo della loro libertà; e la polizia dovrà attenersi per prima all’osservanza della legge. Ma dobbiamo creare anche intorno ad essa un’atmosfera di fiducia e di tranquillità, perché possa assolvere i gravi compiti che le spettano. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di rispondere l’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia.
MERLIN UMBERTO, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Per quanto riguarda i fatti, il mio Ministero non ha che da confermare quanto ha dichiarato il Ministro degli interni. Il Ministero di giustizia tiene però a dichiarare che quando si è avuto notizia o denuncia o sospetti di qualche caso del genere, non si è mancato di richiedere subito alle Procure generali competenti particolareggiati rapporti in merito e informazioni relative ai provvedimenti di carattere penale adottati nei confronti dei responsabili. Si è anche curato di invitare i procuratori generali ad avvalersi dei poteri loro conferiti dall’articolo 83 dell’ordinamento giudiziario, per richiamare i funzionari di polizia alla stretta osservanza del principio, cui le nostre leggi procedurali si ispirano, per cui gli imputati debbono essere interrogati in istato di piena libertà psichica, senza coazione o influenze di sorta. È stata anche a suo tempo richiamata l’attenzione della Direzione generale di pubblica sicurezza sulla inammissibilità di certi sistemi: interrogatori estenuanti, luci accecanti, esperimenti ipnotici, che, secondo notizie di stampa, sarebbero stati adoperati dagli organi di polizia nel corso di un interrogatorio.
Fu risposto assicurando che erano state già impartite istruzioni, affinché gli ufficiali di polizia giudiziaria non adoperino mezzi di accertamento e di suggestione contrari alla legge ed al rispetto della personalità umana.
E fu comunicato anche che era stato punito il funzionario maggiormente responsabile e richiamati severamente gli altri, per aver consentito o tollerato un esperimento ipnotico, e indebite e intempestive invadenze di cronisti alla ricerca di primizie e novità impressionanti.
Non risulta, e si deve escludere, che negli stabilimenti di prevenzione e di pena i detenuti imputati e condannati siano sottoposti a misure coercitive, violatrici delle norme regolamentari, da parte del personale addetto alla loro sorveglianza, né le norme del regolamento carcerario permetterebbero metodi inumani. Se ciò, per illecita condotta di qualche elemento, dovesse verificarsi, non si mancherebbe di agire secondo giustizia contro l’eventuale colpevole.
Per quanto riguarda il caso Caroselli ha già risposto il Ministro dell’interno.
Amo ricordare all’Assemblea ed al Paese che la Commissione dei 75, redigendo la nuova Costituzione, ha approvato all’unanimità il seguente articolo 8, capoverso 3: «È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà». Il mio Ministero si è già ispirato alla lettera ed allo spirito di questa disposizione.
PRESIDENTE. L’onorevole Pertini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PERTINI. Per fortuna non si tratta di denunce che riguardino la Costituente, ma solo un settore delicato dell’Amministrazione dello Stato.
Prendo atto dei propositi manifestati dal Ministro dell’interno. So che egli ha molto a cuore la giustizia ed ha un senso di giustizia molto sviluppato, tanto è vero che ne ha dato prova quando è stato a capo del Dicastero delle poste e telegrafi. Ma non sono sodisfatto della sua risposta.
Come sono andati i fatti da me denunciati nell’interrogazione?
Vediamo subito il primo caso, quello del Caroselli. Costui è stato arrestato il 27, mi pare dal Commissariato di Primavalle. Da questo Commissariato viene portato al Commissariato Trionfale; poi tradotto alle carceri di Regina Coeli.
Onorevole Ministro dell’interno, lei forse non si è informato come mi sono informato io. Appena arrivato al carcere di Regina Coeli, il Caroselli era ridotto in tale stato che il direttore non voleva ricoverarlo ed ha richiesto una dichiarazione precisa dagli agenti che lo accompagnavano. Ma l’errore commesso dal direttore delle carceri è stato che, nonostante il Caroselli presentasse – il medico poi lo visitò ed io ho visto ed interrogato il medico – echimosi, in tutte le parti del corpo, fu legato al letto di forza. I colleghi che sono qui presenti e che seppure non hanno un’esperienza parlamentare, hanno un’esperienza carceraria, sanno che cosa significhi – come lo so io – il letto di forza.
Il giorno 30 il direttore chiama di urgenza la Bianca Caroselli, moglie di Domenico Caroselli, perché venga a visitare il marito, che ormai è agonizzante. Il 31 il Caroselli muore e a chi va a trovarlo dice: «Mi hanno ammazzato di botte». Il nipote, che era stato arrestato col Caroselli, al Commissariato Primavalle sentiva lo zio gridare dalla cella – perché gridava – ed ha visto il mattino dopo lo scopino che puliva il pavimento sporco di sangue. Naturalmente poi si è fatta la perizia medica ed anche se lei non l’avesse detto, avrei scommesso che la perizia medica avrebbe concluso con la morte «per crisi cardiaca».
Le dico questo, onorevole Ministro, per avvertirla onde ella possa veramente mettere in atto i suoi fermi propositi nei quali fermamente crede. Badi che vi è un’omertà nel carcere che va dal direttore al medico. Accade questo: nel carcere il detenuto riceve il cosiddetto Sant’Antonio. Voi che sedete a questi banchi non sapete che cosa significhi il Sant’Antonio; ma lei, onorevole Presidente dell’Assemblea Costituente, lo sa. Un gruppo di carcerieri improvvisamente getta una coperta sul detenuto onde questi non possa riconoscere nessuno. Successivamente il detenuto muore. L’indomani mattina lo fanno trovare appeso cadavere all’inferriata della cella. Poi chiamano il medico e questi naturalmente si limita a fare il referto di suicidio. Questa è la forma di suicidio che si applica nelle carceri italiane. Vi sono degli esempi. I miei compagni si ricorderanno come all’ergastolo di Santo Stefano venivano picchiati dalle guardie, e legati al letto di forza. Al mattino un detenuto veniva trovato morto. Si chiamava il medico del carcere e questi diceva: sincope cardiaca. Tutti però sapevano che era morto perché massacrato di botte al carcere di Santo Stefano.
Così per Gaetano Bresci, nel carcere furono interrogate tutte le guardie. Non è vero che si sia suicidato: prima l’hanno ammazzato di botte e poi hanno attaccato il cadavere all’inferriata ed hanno diffuso in tutt’Italia la notizia di questo suicidio.
Ricordate il fatto di quella prostituta che, arrestata in Milano, fu massacrata di botte e uccisa in una camera di sicurezza della questura?
Vi è poi il caso della Fort, la quale ha commesso un delitto orribile. A noi però non interessa il fatto, ma la vita umana di questa detenuta. Poteva aver commesso anche qualche cosa di più orribile, a noi in questo momento ciò non interessa. L’onorevole Ministro ha detto, quasi per discriminare coloro che avevano agito contro il Caroselli, che era un pregiudicato. Non mi interessa. Se pure sapessi che il Caroselli avesse spacciato danaro falso anche a me, avrei ugualmente difeso la sua vita. (Applausi).
Quanto alla Fort, non è vero che si siano usati soltanto mezzi ipnotici per farla parlare. La Fort è stata sottoposta ad interrogatori (e questo non è stato smentito) durati cento ore consecutive.
Ora, anche noi siamo stati sottoposti a molti interrogatori. Io sono stato sottoposto ad un interrogatorio, qui a Regina Coeli, che è durato dodici ore e vi posso assicurare che alla nona ora mi trovavo in uno stato tale di esaurimento nervoso che soltanto la mia fede politica, soltanto il controllo morale che può avere un uomo come noi, poteva vincere. Ma immaginate una povera donna in quali condizioni viene a trovarsi, dopo cento ore consecutive di interrogatorio. Queste sono vere e proprie torture. Siamo in materia di torture ed io vi invito a ricordare quanto ebbe a scrivere in proposito Cesare Beccaria. La tortura è controproducente anche per appurare la verità, perché il colpevole robusto ha la possibilità di resistere ad un dolore momentaneo, pensando, a questo modo, di allontanare da sé la pena maggiore. Il debole innocente non può resistere al dolore momentaneo e fa una confessione qualsiasi, pur di potersi liberare da quella tortura. È il caso, successo in Francia, di quell’algerino accusato di avere ucciso un tale, messo poi in un baule. Questo è il sistema di tutte le polizie del mondo. La polizia diceva: badate che se voi non confessate, vi ammazzano. Quel disgraziato ha finito per confessare e dopo dieci anni dalla sua condanna è venuto fuori il vero colpevole. Allora gli è stato chiesto: «Perché avete confessato?». Ed egli ha risposto: «Se non avessi confessato, mi avrebbero ucciso e quindi sono stato costretto a confessare».
Non volevo accennare a quanto è avvenuto in Sicilia. Voi avete detto che avete fatto delle indagini. Ora, badate che un questore non denunzierà mai quello che fanno i suoi agenti. Tutti si coprono dietro l’omertà. Sono venuti degli ispettori di pubblica sicurezza ad effettuare ispezioni nelle carceri di Ventotene e Ponza, ed hanno sempre coperto le malefatte dei direttori delle carceri e della polizia.
A Pianosa io sono sceso in difesa di un detenuto comune che era stato massacrato di botte da parte di 12 guardie carcerarie. Le conseguenze sono state queste: il detenuto comune, guarito dalle botte ricevute, è stato messo sotto processo; ma anch’io sono stato messo sotto processo ed ho preso otto mesi di reclusione per averlo difeso. L’ispettore mandato dal Ministero dell’interno ha coperto questo crimine commesso dalle guardie carcerarie.
Un collega mi ha informato che in Sicilia pare che la polizia abbia letto molto attentamente il «Giardino dei supplizi» di Mirbeau. Per far parlare gli arrestati si poggia un bicchiere rovesciato sul ventre nudo dei disgraziati sottoposti ad interrogatorio. Dentro il bicchiere vi è uno scorpione, che viene lasciato lì a rosicchiare il ventre dell’indiziato, finché questi, non potendo più sopportare il dolore, si accusa di un delitto che non ha commesso.
Ora, il punto di vista giuridico – e ce lo ha insegnato Cesare Beccaria per primo – non può essere mai dimenticato nell’applicare la legge. L’accusato, qualsiasi colpa abbia commessa, è sacro. Egli deve essere posto in grado di potersi difendere e di essere nel pieno possesso delle sue facoltà mentali ed assumere la responsabilità di quello che dice. Ma vi è di più. Badate, che questo è un sistema, non solo della polizia italiana, ma della polizia di tutto il mondo, e chi è stato in Francia come noi, sa che i poliziotti còrsi sono specializzati per picchiare. In Italia abbiamo conosciuto questo sistema sotto il fascismo. Quanti nostri compagni sono stati percossi a sangue dagli agenti di pubblica sicurezza quando venivano arrestati!
Onorevole Sottosegretario alla giustizia, questo, è un sistema che perdura anche oggi nelle nostre carceri. Mi auguro che sia ripristinata la consuetudine per cui il Deputato una volta poteva entrare in carcere a fare un’ispezione. Se questa consuetudine sarà ripristinata, mi propongo di fare un giro per tutte le carceri dove sono stato, per vedere quello che succede. (Vivi applausi).
In regime fascista questi sistemi, diventati ormai palesi, venivano coperti anche dalle autorità politiche dalle quali partiva anzi l’incitamento.
Il fascismo aveva sostituito ai principî di giustizia e di umanità quelli dell’arbitrio e della violenza. Noi, se vogliamo dar vita ad una società libera, democratica, dobbiamo far in modo che a fondamento di essa stiano i principî di umanità.
La Repubblica, onorevole Ministro dell’interno, non deve sostanziarsi soltanto di libertà e di giustizia, ma anche, e sovrattutto, di onestà e di umanità. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PERRONE CAPANO. Devo dichiarare anch’io di non potermi considerare sodisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Ministro dell’interno e dell’onorevole Sottosegretario per la giustizia, in merito al contenuto dell’interrogazione da me presentata.
I fatti sono molto gravi e richiedono accertamenti precisi; che devono essere compiuti nel quadro delle osservazioni fatte dall’onorevole Pertini, nel quadro, cioè, della considerazione che in questa materia vige esattamente una grande omertà e, quindi, c’è il pericolo che le indagini e gli accertamenti, se non eseguiti con molta attenzione dagli organi competenti, portino a coprire piuttosto che a chiarire.
Per quanto riguarda i propositi manifestati dal Governo, devo dichiarare che ne prendo atto con piena soddisfazione; ma chiedo che siano tradotti in concreto con la massima scrupolosità ed energia, appunto in omaggio a quel prestigio degli organi di polizia, che deve essere e sarà indubbiamente nel comune intendimento di tutti noi.
La polizia italiana, alla quale incombono compiti sempre più delicati, deve essere circondata, come ben ha detto l’onorevole Ministro, della massima considerazione e del massimo prestigio, ma, appunto perché questa considerazione e questo prestigio si affermino, occorre che fatti come quelli, dei quali ci siamo occupati quest’oggi, non lascino alcun dubbio, ma siano precisati in tutta la loro esattezza. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Gallico Spano Nadia, firmata anche dagli onorevoli Matteotti Cario, D’Onofrio, Sansone, Minio, Massini, Vernocchi, Nobili, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per sapere: 1°) per quali motivi in alcuni paesi della provincia di Roma, e precisamente a Nemi, Albano, Lanuvio e Monteporzio, si sia proceduto in questi ultimi tempi a perquisizioni nelle case di elementi notoriamente democratici, con uno spiegamento di forze, che richiama il periodo dell’occupazione nazista (blocco delle strade, delle case con mitragliatrici in assetto di guerra, ecc.). Mentre in questi stessi paesi, elementi neo-fascisti possono impunemente inneggiare al passato regime e permangono indisturbati, anche quando sono trovati in possesso di armi e di esplosivi, i lavoratori iscritti ai partiti di sinistra vengono continuamente sottoposti ad angherie e in un regime di terrore; 2°) quali provvedimenti si intenda prendere contro quei funzionari di polizia, i quali nell’esercizio delle loro funzioni: a) adoperano metodi brutali anche contro bambini; b) si permettono di pronunciare frasi tendenti a ledere il prestigio delle istituzioni repubblicane e dei Ministri in carica».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. È noto che sin dal momento della liberazione le autorità militari alleate avevano emanato tassative norme per la consegna delle armi, comunque illegittimamente detenute dalle popolazioni civili. Tali disposizioni sono state confermate con ordinanze prefettizie dopo la restituzione del territorio all’Amministrazione italiana, e, successivamente, ribadite con disposizioni di carattere permanente degli organi di polizia.
Per quanto riguarda in modo particolare i comuni di Nemi, Albano, Monteporzio Catone, Frascati, Grottaferrata, Castel Gandolfo, Montecompatri e Zagarolo, l’arma dei carabinieri è stata indotta ad intervenire in ispecial modo in seguito a notizie circa illecite detenzioni di armi, che risultavano altresì per servire alla consumazione di reati contro persone e cose, e anche per frequenti manomissioni d’impianti e di installazioni.
Altre manifestazioni che resero necessario l’intervento dell’arma furono un accertato episodio di uso di armi nel Comune di Montecompatri, a scopo di esercitazione non autorizzata e minaccia di usare gli esplosivi contro la Caserma di Nemi.
Infatti, operazioni di polizia condotte per il rastrellamento delle armi nelle zone anzidette hanno dato concreti risultati col reperimento di notevoli quantitativi di armi varie, di munizioni e di esplosivi (quintali di dinamite e di gelatina esplosiva).
In conseguenza si è proceduto, a norma di legge, all’arresto di 39 persone, mentre altre 48 sono state denunziate, essendosi rese irreperibili. È stato anche accertato che alcuni arrestati detenevano notevoli quantitativi di generi razionati destinati alla borsa nera.
Le recenti perquisizioni e gli arresti operati a Nemi il 13 corrente sono dovuti alla necessità di eseguire nove mandati di cattura emessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Velletri a carico di persone che, in occasione del fermo di due giovani operato nello scorso gennaio, un comunista e un qualunquista, i quali per ragioni politiche erano passati a vie di fatto, risultavano aver incitato la folla ad assalire la caserma dei carabinieri e a farla saltare in aria, nonché al completamento di operazioni di rastrellamento di armi.
Le operazioni furono contemporaneamente eseguite da 4 squadre di carabinieri, complessivamente composte di 40 unità. Nessuna mitragliatrice fu piazzata, nessuna strada bloccata.
Non risulta che siano stati adoperati metodi o mezzi brutali nel corso delle operazioni, anzi i militari aderirono anche a che i congiunti degli arrestati consegnassero loro indumenti e cibarie prima della traduzione a Roma.
Fu arrestata una sola donna, perché colpita da mandato di cattura emesso dall’Autorità giudiziaria competente.
Del pari non risulta che gli stessi organi di polizia abbiano, comunque, col loro comportamento agito contro il prestigio delle istituzioni repubblicane.
Circa l’atteggiamento degli organi di polizia di fronte ai neo-fascisti, quando se ne è verificata l’occasione, come nello scorso anno, l’arma dei carabinieri non ha mancato di intervenire immediatamente assicurando alla giustizia i responsabili di atti contro la legge.
PRESIDENTE. La onorevole Gallico Spano Nadia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatta.
GALLICO SPANO NADIA. Non mi posso dichiarare sodisfatta della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno. È chiaro, e siamo tutti d’accordo, che si proceda al rinvenimento delle armi; però, nei fatti per i quali ho chiesto una risposta al Ministro dell’interno bisogna distinguere due elementi.
Il primo è questo: vi sono stati nove mandati di cattura emessi contro gli abitanti di Nemi per una sommossa. Ora, la sommossa non c’è stata ed infatti, nel mese di gennaio, v’è stata una lite fra due giovani, l’uno di sedici anni, comunista, e l’altro di diciannove, qualunquista. Il brigadiere dei carabinieri, già precedentemente, aveva dato molte volte prova di parteggiare apertamente e di non saper nascondere le sue simpatie politiche, tanto è vero che, molto spesso, richiesto di intervenire per impedire che nel paese di Nemi si cantasse «giovinezza», per ricercare gli autori delle provocazioni contro il regime repubblicano, non è mai voluto intervenire. Egli, quindi, ha rilasciato dopo mezz’ora il giovane qualunquista, sotto il pretesto che doveva farsi medicare. Il giovane che nella lite era rimasto più percosso era naturalmente quello di sedici anni: ma non è stato rilasciato. D’altra parte, se quel giovane di diciannove anni aveva effettivamente bisogno di essere curato, lo si poteva fare accompagnare da un carabiniere, come si usa, e non lasciarlo andar via solo, provocando il giusto risentimento dei parenti e degli amici dell’altro giovane trattenuto in arresto.
La folla non si è presentata dinanzi alla stazione dei carabinieri; vi si è raccolto solo un piccolo gruppetto di persone, le quali richiedevano che, se era stato rilasciato un giovane, si fosse rilasciato anche l’altro. E il brigadiere dei carabinieri, se fosse stato una persona di buon senso, avrebbe dovuto cercare di minimizzare il fatto e di calmare gli animi. La folla non era poi così eccitata, se è bastato l’intervento di uno solo dei nostri compagni, per allontanarla su invito del brigadiere del carabinieri; e non vi è stata neanche intimidazione per la liberazione del giovane, perché egli è stato liberato quando già la gente si era allontanata. Non vi sono stati insulti né altro da parte della folla, ma vi è stata una provocazione da parte del brigadiere, il quale aveva minacciato alla gente di stritolarla, se non se ne fosse andata via; e si vede che la folla non era poi troppo agitata, se non se ne è andata dopo queste parole.
Fra i fermati, vi era una giovane di diciannove anni che avrebbe dovuto essere una incitatrice della sommossa. La verità è che il brigadiere dei carabinieri cerca ogni pretesto per parteggiare verso gli elementi che godono delle maggiori sue simpatie. D’altra parte, questi nove fermati di Nemi, sono deferiti alla Corte d’assise; si tratta, quindi, di una cosa seria e vorremmo che il Governo intervenisse rapidamente per impedire che la piccola manifestazione provochi un arbitrio.
E adesso un’altra questione su cui desidero richiamare l’attenzione del Ministro dell’interno. Si è parlato di tritolo e di esplosivo. Ma una dichiarazione precisa del Sindaco di Nemi, democristiano, afferma che il tritolo serve ai contadini per il lavoro dei campi e che, se essi si fossero presentati al Comune, avrebbe senz’altro concesso il permesso per il tritolo. Non solo, ma il brigadiere dei carabinieri sa che il tritolo si trova in tutte le case dei contadini. Questo zelo improvviso del brigadiere dei carabinieri, che si è svegliato soltanto dopo una piccola manifestazione e che rifiuta di perquisire altre case indiziate, case però che non appartengono ad elementi democratici, dimostra che le perquisizioni erano fatte con evidente scopo politico. (Interruzione dell’onorevole Benedettini).
Anche a Monteporzio si è trovato, in casa degli elementi reazionari locali, come ex fascisti ed ex squadristi, una mitragliatrice smontata ed una ingente quantità di tritolo; però, mentre questi ultimi venivano rilasciati dopo mezz’ora, gli elementi democratici sono stati trattenuti sono ancora in carcere.
Cosa dimostra tutto ciò? Dimostra (e verrò anche agli insulti contro la Repubblica) che da parte della tenenza dei carabinieri di Velletri vi è una tendenza troppo spinta ad operare soltanto verso elementi democratici. Così due lavoratori di Velletri sono stati picchiati per essersi rifiutati di gridare «Viva il re» e sono stati arrestati.
BENEDETTINI. Non diciamo assurdità! (Interruzioni a sinistra).
GALLICO SPANO NADIA. E se si vogliono dei chiarimenti, si chiedano pure ad un avvocato di Velletri, il quale ha dovuto adoperarsi per farli scarcerare.
Si cerca, anche, di compromettere la Repubblica. Ed infatti i carabinieri che hanno proceduto a Nemi hanno adoperato dei mezzi brutali; ed è inutile – come diceva giustamente l’onorevole Pertini un momento fa – che ci si rivolga per una inchiesta agli organi superiori, in quanto questi copriranno i loro agenti. Il fatto è che io mi sono recata a Nemi il pomeriggio stesso degli arresti e ho trovato ancora un bambino di 15 anni che aveva una guancia gonfia per gli schiaffi ricevuti ed una ragazza che era stata percossa. Ma il Tenente dei carabinieri, al quale mi sono rivolta a Velletri, mi ha risposto che se questa mia affermazione fosse stata vera, il bambino e la ragazza si sarebbero immediatamente rivolti a lui, nel corso delle operazioni, per farsi proteggere.
Per chi sa come si sono svolte queste operazioni di polizia – alle quattro e mezzo del mattino, con le mitragliatrici ed i mitra puntati contro le case, ed è questa la testimonianza unanime di tutta la popolazione di Nemi – per chi sa l’atmosfera di terrore che si diffonde in questi casi, si rende perfettamente conto come un ragazzo di 15 anni ed una giovane di 16 non hanno il coraggio di presentarsi al comandante per fare una denuncia contro un carabiniere e pensano ingenuamente: «questa volta m’è andata bene, cerchiamo di non prendere il resto». Non solo, ma i carabinieri hanno detto agli arrestati, nel corso delle perquisizioni: «Ecco quello che vi regala la Repubblica; noi agiamo per ordine di Gullo». Ora, appunto perché noi vogliamo che ci sia nel paese un’atmosfera di pacificazione e di tranquillità, perché i lavoratori possano lavorare in pace; appunto perché noi non vogliamo che ci sia più nel nostro paese un regime poliziesco che incuta terrore e che discrediti la Repubblica (tanto è vero che i lavoratori di Nemi dicevano: «noi non abbiamo visto questo neanche sotto i tedeschi»), chiediamo al Governo che intervenga rapidamente, affinché siano rilasciati i nove sotto mandato di cattura, in quanto sommossa non c’è stata, e perché, d’altra parte, faccia comprendere ai carabinieri troppo zelanti che, se essi non si sentono di rispettare e difendere la Repubblica, non sono costretti a farlo, e cambino mestiere; e che essi non sono i padroni dei paesi, non hanno il diritto di spadroneggiare e di incutere terrore e di parteggiare per i loro amici, ma sono, come gli altri cittadini, al servizio del popolo e della Repubblica, che il popolo liberamente si è data. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cevolotto, al Ministro dell’interno, «per sapere se risponde a verità quanto è affermato in un comunicato della «Direzione del Giardino Albergo di Russia», apparso sui giornali di Roma (Il Tempo, giovedì 6 febbraio 1947), cioè che il giuoco nel salone dell’Albergo di Russia è gestito dalla Associazione nazionale reduci in seguito a regolare licenza delle Autorità di polizia. L’interrogante chiede, inoltre, se altre simili licenze sono state rilasciate alla stessa Associazione ad altri, in quali luoghi e in base a quali criteri di concessione e di distribuzione».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Fin dai primi mesi dello scorso anno pervennero al Ministero dell’interno domande da parte di numerose associazioni di combattenti, partigiani, reduci, famiglie di trucidati dai nazifascisti, ecc., per essere autorizzate a gestire i giuochi denominati «Lancio 900» e «Tiro 900», con i proventi dei quali avrebbero dovuto provvedere all’assistenza dei propri associati.
Prima di adottare determinazioni, si ritenne necessario di sentire il parere del Ministro delle finanze, il quale espresse l’avviso che tali giuochi non potevano sostanzialmente giudicarsi d’azzardo, poiché la vincita dipendeva dall’abilità del giuocatore.
Si venne perciò alla determinazione di consentire l’esercizio dei giuochi medesimi, tenendo anche conto dei fini assistenziali e di beneficenza perseguiti dagli enti che ne avevano fatta richiesta. Per eliminare però eventuali abusi si prescrissero precise norme istruttorie per il rilascio di ogni singola licenza.
In base alla procedura prevista, il Ministero ha espresso di volta in volta il proprio parere all’autorità locale, la quale, vagliate le condizioni del posto, provvede, se del caso, al rilascio dell’autorizzazione.
Le autorità di pubblica sicurezza hanno l’obbligo di vigilare sull’andamento del giuoco per assicurare in modo particolare che i proventi raggiungano le finalità proposte e che le puntate non superino la misura massima di lire 25, stabilita dal Ministero delle finanze.
Sono state rilasciate autorizzazioni per detti giuochi soltanto ad Associazioni giuridicamente riconosciute ed aventi fini assistenziali, e non ai privati per scopi speculativi. Peraltro, sebbene fossero state adottate tutte le cautele necessarie, l’esercizio dei giuochi ha dato adito a rilievi in alcune provincie e da parte dei Prefetti è stato provveduto al ritiro delle licenze nei casi in cui furono riscontrate irregolarità, sia nella gestione, che nelle modalità del giuoco, specie per le puntate effettuate in misura superiore a quella stabilita.
Il Questore di Roma ha recentemente ritirato la licenza già concessa all’Associazione reduci per la gestione del «Lancio 900», a causa di abusi del genere.
Tale giuoco, non avendo l’Associazione locali disponibili per tale scopo, veniva effettuato presso l’Albergo di Russia. Il Ministero, tenuto conto degli inconvenienti verificatisi, ha allo studio opportune misure per impedire che i giuochi si trasformino in veri e propri giuochi d’azzardo. Ad ogni modo, fin dall’8 corrente è stata disposta la sospensione della concessione di nuove licenze da parte dei prefetti.
Voci. Vietateli, vietateli! Sono giuochi di basso impero!
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. Desidero aggiungere alla risposta data dal Sottosegretario di Stato che io ho trovato questo problema del giuoco «900», appena sono stato nominato Ministro dell’interno.
Il primo provvedimento che ho preso, in base alle informazioni e sollecitazioni che mi venivano da tutta Italia – secondo cui tutto il Paese sta per diventare un giuoco d’azzardo – fu la sospensione immediata di altre licenze in questa materia. Da tutte le parti sono pervenute proteste.
In realtà, questo giuoco è diventato un vero e proprio giuoco d’azzardo e intorno a queste licenze c’è una speculazione di tenutari di casa da giuoco veramente indegna.
Assicuro l’Assemblea che fra qualche giorno sarà predisposto un provvedimento drastico al riguardo, e spero di essere confortato dal consenso dell’Assemblea stessa, affinché abbia a cessare questa ignominia del nostro Paese, perché non c’è piccola città d’Italia in cui oggi non si giuochi, e dove, quindi, non vi sia decadimento della moralità pubblica, soprattutto da parte dei giovani.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CEVOLOTTO. Sono lieto delle dichiarazioni del Ministro Scelba che non potevano essere diverse, perché io ricordo che quando ci trovammo insieme nel primo Ministero De Gasperi la questione del giuoco venne affrontata; ed allora il Governo, unanime, decise che le licenze che erano state accordate in tutta Italia – nella sola provincia di Como vi erano sette case da giuoco – dovessero essere immediatamente tolte. Anzi, siccome il Ministro Romita, secondo me a ragione, provvedeva con una certa gradualità per non ledere interessi di Comuni che avevano basato su questi proventi le loro opere di ricostruzione, venne la preghiera da parte del Consiglio dei Ministri che si sollecitasse la procedura e che le case da giuoco fossero chiuse in ventiquattro ore. E in ventiquattro ore il Ministro Romita le chiuse tutte.
Che, dopo di questo, compaia sui giornali la notizia che è stata concessa dalle autorità di polizia una licenza all’Associazione dei reduci per un giuoco all’Albergo di Russia in Roma – giuoco non innocente, perché un giornalista che è penetrato nella bisca ed ha potuto fotografare il tavolo da giuoco, ha detto che si trattava di un giuoco di cavallini, nel quale le probabilità di vincita per il banco erano molto maggiori del solito, e quindi era un giuoco d’azzardo a tutto vantaggio del tenutario del banco – è veramente strano. Anche in altri luoghi si sono date delle licenze: a Pessano, alle porte dì Milano, a Menaggio, a Brunate, ecc., ove il giuoco è tornato a rifiorire con regolari licenze della pubblica sicurezza. È stata data l’autorizzazione ad Associazioni di reduci, combattenti e partigiani; me ne dispiace molto, perché i partigiani e i reduci hanno il diritto di essere assistiti dal Governo, e di essere aiutati in tutti i modi, ma non li si aiuta moralmente elevandoli al nobile rango dei biscazzieri (Approvazioni), che speculano e guadagnano senza rischio, senza fatica, senza lavoro, sulla passione e sul vizio!
E poi, per un’altra ragione bisogna che ciò che ha detto il Ministro Scelba sia fatto – ed egli lo farà – perché voci poco belle circolano intorno a queste concessioni: voci che partono dai vecchi e nuovi fascisti, i quali mettono in giro la chiacchiera che le concessioni vengono date, perché in corrispettivo si versano milioni ai vari partiti della democrazia.
Ora, questi sospetti bisogna che siano dileguati. Purtroppo, i fascisti vanno dicendo che la moralità della nuova democrazia non è differente dalla moralità del fascismo; e occorre che anche le apparenze, che anche i sospetti in questo campo siano subito dileguati.
Bisogna che l’abito morale della nuova democrazia sia chiaro in tutti i punti; bisogna che si distingua nettamente dalla immoralità fascista. La nuova democrazia deve essere sana e onesta in tutto, anche nelle apparenze. Il giuoco non ha niente a che fare con la democrazia. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Benedettini, al Ministro dell’interno, «per conoscere se è vera la notizia apparsa sulla stampa che, dalla sera del 14 febbraio, sono state sospese le comunicazioni telegrafiche e telefoniche con la Sicilia, e, nel caso affermativo, il motivo di tale provvedimento».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nessun provvedimento è stato mai preso per impedire le comunicazioni telefoniche con la Sicilia. L’interruzione si è verificata il 14 corrente ed è dipesa dal taglio del cavo telefonico avvenuto a scopo di furto nei pressi di Napoli.
L’Ansa il 15 corrente dava a tutti i giornali questa notizia: «Ieri sera, alle ore 20,40, ignoti hanno tagliato a colpi di scure, a scopo di furto, il cavo nazionale sull’autostrada a circa 23 chilometri da Napoli, interrompendo così tutte le comunicazioni con l’Italia meridionale. Alle 7,15 di stamane i servizi erano completamente ristabiliti».
PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
BENEDETTINI. Per quanto mi riguarda, posso ringraziare e dichiararmi sodisfatto, malgrado che la coincidenza sia da tenere in particolare rilievo, poiché la sospensione delle comunicazioni è avvenuta precisamente dopo la prima seduta dell’Assemblea Costituente, un po’movimentata per varie ragioni: al principio con le mie discussioni e alla fine col discordo dell’onorevole Finocchiaro Aprile. (Commenti).
Comunque, il Ministro dell’interno ha fatto una dichiarazione che non ho ragione di metterle in dubbio. Dichiaro quindi di essere sodisfatto per quanto mi riguarda.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Sullo, firmata anche dagli onorevoli Froggio, De Martino Carmine, Carratelli, Perlingieri, Trimarchi, Lettieri, De Maria, Caso, Codacci Pisanelli, Colombo, Gabrieli, Riccio Stefano, Vinciguerra, Priolo, ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e degli affari esteri, «per conoscere se risponda a verità la notizia, diffusa da alcuni giornali, che nel reclutamento dei lavoratori italiani, che prossimamente si recheranno a lavorare in Francia, sarà data la precedenza ai lavoratori centro-settentrionali, con esclusione, almeno per un primo momento, dei meridionali, adducendosene a motivo la difficoltà climatica di ambientamento in regioni fredde; specioso motivo, perché larghe zone montane dell’Italia meridionale hanno abitatori temprati al freddo più di quelli di talune zone litoranee del nord d’Italia. Poiché i lavoratori che dovrebbero emigrare sono richiesti anche per l’edilizia, cioè per un settore in cui abbondata mano d’opera disoccupata (qualificata e non) nell’Italia meridionale, si chiede ai Ministri interpellati se non intendano estendere la possibilità di emigrare sin dal primo tempo ai lavoratori dell’Italia meridionale».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale ha facoltà di rispondere.
TOGNI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Posso assicurare gli onorevoli interroganti che l’accordo recentemente stipulato per l’avviamento al lavoro in Francia di 200 mila emigranti italiani non prevede alcuna clausola limitativa o restrittiva nel senso lamentato dagli onorevoli interroganti. Vero è che nel primo avviamento, o meglio, nella prima quota assegnata in via provvisoria dalla Commissione mista, la quota stessa, in relazione ad esigenze affacciate dai francesi, è stata assegnata alle regioni centro-settentrionali; quota limitata di operai i quali dovranno recarsi al lavoro nel nord della Francia, quindi in regioni particolarmente fredde e umide. Il 20 prossimo venturo però avremo la seconda riunione di questa Commissione, e posso assicurare che è ferma intenzione nostra di chiedere, per questo secondo contingente, l’avviamento di operai del Meridione d’Italia, anche perché questi sono destinati al Meridione della Francia, e quindi in zone particolarmente per essi indicate.
L’avviamento degli emigranti viene fatto e verrà fatto solamente in relazione alle esigenze ed alle possibilità delle singole regioni. Posso dare formale assicurazione che mai potrà essere, dal nostro Ministero e dal Governo, consentito di accettare una clausola la quale, stabilendo una discriminante fra regione e regione d’Italia, non potrebbe che risultare, oltre che assolutamente ingiustificata, offensiva per le popolazioni colpite.
PRESIDENTE. L’onorevole Sullo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SULLO. Il modo come l’onorevole Sottosegretario ha risposto alla interrogazione dimostra che i timori che erano affacciati in una forma molto attenuata nella interrogazione medesimo avevano un qualche fondamento, perché l’onorevole Sottosegretario ha ammesso la possibilità che nelle trattative che si sono svolte con la Francia – ed io aggiungo nelle trattative che si svolgono con altri Paesi – si affacciano, qualche volta, delle possibilità di esclusione di talune regioni o di lavoratori di talune regioni nella emigrazione all’estero.
Ora è necessario che su di ciò le assicurazioni dell’onorevole Sottosegretario siano accolte da me e vengano mantenute dal Governo, perché non è possibile che da parte di qualsiasi Governo democratico si accetti, in una forma anche attenuata, che si possa discutere in questo senso. Se regionalismo ci dovrà essere nel futuro, dovrà essere unicamente per approfondire la emulazione, ma non per porre dinanzi all’estero le regioni d’Italia su un piano diverso. Se però l’onorevole Sottosegretario ha detto – ed io sono confortato di questa assicurazione – che non vi è nulla di impegnativo nei riguardi dell’estero e specialmente della Francia, io non posso essere sodisfatto della sua risposta, perché allora bisognava che si sentisse una maggiore sensibilità nei riguardi delle popolazioni dell’Italia meridionale, le quali hanno sentito nelle dichiarazioni dei Governi (dei due Governi che si sono succeduti) sempre degli accenni alla loro famosa questione meridionale, ma in pratica, quando devono veder raggiunto qualche scopo, sia pure limitato, si vedono dimenticate.
Bisogna comprendere che ormai noi vogliamo che la questione meridionale non si risolva come una questione da congresso, ma che nelle singole determinazioni concrete, nelle singole piccole misure, si raggiunga qualche effetto utile per il Mezzogiorno d’Italia, perché soltanto così la famosa questione meridionale, che da tanto tempo viene dibattuta, potrà essere in parte risolta.
Non posso accettare la giustificazione data dal Ministro del lavoro, che il freddo abbia impedito di comprendere, in questo primo momento, anche un’aliquota di lavoratori meridionali per l’emigrazione in Francia. Non si può ammettere, infatti, che abitanti delle montagne dell’Appennino meridionale non siano in grado di acclimatarsi, con la buona volontà, ma anche col fisico che hanno, in regioni francesi. Non era opportuno che si accettasse questa forma di invito francese alla esclusione, sia pure presentato in maniera diversa da quella iniziale. E, pur dichiarandomi insodisfatto dell’atteggiamento fin qui assunto dal Ministero del lavoro, sono sicuro che l’onorevole Sottosegretario manterrà fede, insieme al suo Ministro, agli impegni assunti in questa Assemblea e terrà presente che i lavori pubblici nell’Italia meridionale sono, da molto tempo, in istato molto arretrato (come l’onorevole Romita sa), per cui si potrà consentire, per lo meno ai lavoratori dell’edilizia, che sono in istato di quasi disoccupazione, di andare in altre regioni e di portare il loro contributo alla ricostruzione del Paese, nonché alla ricostruzione delle loro famiglie.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ne ha facoltà.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Desidero fare una semplice dichiarazione per tranquillizzare l’onorevole interrogante. Egli ha perfettamente ragione ed io la penso come lui, ed uno dei primi atti del mio Ministero è stato proprio quello di disciplinare l’emigrazione, favorendo le regioni meridionali; ma siccome, purtroppo, l’onorevole interrogante sa che gli operai del meridione molte volte non sono degnamente equipaggiati, sto provvedendo anche a equipaggiarli in modo che possano andare all’estero e fare onore al nome italiano. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Mastino Pietro, firmata anche dagli onorevoli Lussu, Mastino Gesumino, Bozzi, Laconi, Mannironi, Murgia, Falchi, al Ministro dell’aeronautica, «per sapere se sia vero che la società italo-americana di trasporti aerei (L.A.I.) abbia ottenuto, in regime di monopolio, l’esercizio della linea, Cagliari-Roma, con esclusione di un’altra società, sorta per sviluppare e sostenere, principalmente, gli interessi isolani con capitali sardi, che già dal 1944 aveva avanzato richiesta di concessione della suddetta linea ed alla quale la possibilità di tale esercizio era stata riconosciuta. Ciò costituirebbe non solo disconoscimento di un giusto diritto di precedenza ed un danno sicuro per la società, che vi ha già impegnato ingenti capitali, ma annullerebbe anche le iniziative e danneggerebbe gli interessi dell’Isola».
Sullo stesso argomento gli onorevoli Chieffì e Murgia hanno presentato la seguente interrogazione:
«Al Ministro della difesa, per conoscere i criteri che hanno presieduto nella concessione delle linee aeree civili».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’aeronautica ha facoltà di rispondere.
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per l’aeronautica. Risponde a verità il fatto che nel difficile compito di ripartire i servizi aerei fra le numerose Compagnie aspiranti, assicurando i servizi stessi, il potenziamento e il funzionamento necessario non per le singole linee ma per tutta la rete, il Ministero dell’aeronautica non ha potuto concedere alla Società sarda «L’Airone» l’esercizio della linea diretta Cagliari-Roma, concedendo peraltro l’esercizio di una linea Cagliari-Alghero-Roma, la quale, sotto il profilo degli interessi sardi sodisfa anche alla necessità di collegamento della parte settentrionale dell’isola con la capitale. Alla società medesima, poi, è stata riconosciuta la possibilità di effettuare il collegamento diretto con gli altri principali centri economici nazionali, attraverso le linee Cagliari-Milano, Cagliari-Torino, Cagliari-Napoli e Cagliari-Palermo.
PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MASTINO PIETRO. Relativamente a questa interrogazione si verificò un fatto che devo attribuire, ritengo, ad equivoco. Io presentai, con carattere di urgenza, una interrogazione con il proposito di discuterla pubblicamente in quest’aula, e mi fu data, invece, risposta scritta. Ho insistito, rilevando il carattere della mia interrogazione. Oggi dal Sottosegretario di Stato mi son sentita rileggere quella risposta scritta che in precedenza mi era stata comunicata, mentre la mia insistenza avrebbe dovuto chiarire come quella risposta non poteva essere ritenuta sodisfacente, perché sfugge, fra l’altro, alla prima e alla più essenziale domanda che, con l’interrogazione, io formulavo, cioè questa: è un fatto vero che l’esercizio della linea Elmas-Cagliari-Roma fu dato in esclusivo monopolio alla Società L.A.I.?
A questa domanda, che costituì il presupposto di tutta l’interrogazione, non mi fu data risposta scritta e non mi è stata data adesso risposta orale. Fu scritto ed è stato oggi detto come nel difficile compito della ripartizione e della distribuzione dell’esercizio delle linee aeree non sia stato possibile attribuire l’esercizio della linea Elmas-Roma alla società «L’Airone», ma non è stato ancora detto perché fu data in monopolio alla società L.A.I., mentre è proprio contro la concessione di esercizio in monopolio che noi intendiamo protestare. Uso il «noi» non per un plurale majestatis, ma in quanto la interrogazione da me presentata fu sottoscritta da tutta la Deputazione sarda, e uso il «noi» anche perché dalla questione relativa alla concessione in monopolio dell’esercizio della linea Cagliari-Roma si deve arrivare ad un esame e ad una valutazione dei metodi che dovrebbero essere seguiti nella concessione di esercizio di linee aeree, sia per l’importanza di un tale servizio, sia perché in esso, in certo senso, interferiscono interessi di vastissima portata.
La società «L’Airone», costituita in Sardegna, con capitale sardo, fin dall’ottobre 1944, che riferì sempre al Governo i suoi programmi e propositi, anche per eventuali collegamenti con altre linee e dal Governo ebbe sempre incoraggiamenti, si è vista ora anteporre la L.A.I. Nel 1946, era allora quasi factotum nel Ministero dell’aviazione il colonnello Gallo, fu dato il monopolio dell’esercizio di tutte le linee aeree italiane ad una società americana; di fronte alle giuste proteste delle società italiane intervenne lo stesso Governo d’America e si arrivò alla conclusione che nessuna linea doveva essere data in esercizio monopolistico, ma tutte le linee dovevano essere esercitate in regime di libera concorrenza. Difatti in seguito, precisamente nello scorso dicembre, il Ministero dell’aeronautica chiamò qua in Roma i rappresentanti delle varie società aeree e fu stabilita una specie di preventivo di ripartizione delle linee, sempre però con la concorrenza fra società e società.
Con lettera trasmessa, dopo tale riunione, alla società «L’Airone», il Ministro Cingolani le assegnava, in concorrenza con le altre compagnie anche le linee Elmas-Roma e Cagliari-Palermo. Senonché, poco dopo, precisamente con altra lettera del 24 gennaio, veniva scritto che «a parziale modificazione delle comunicazioni contenute nella nostra precedente, questo Ministero, sottoposto il programma di detta società allo stato di esame, in relazione a sopraggiunti elementi di giudizio, non ravvisa la possibilità di affidare a codesta società la gestione dei collegamenti diretti fra Cagliari e Roma».
Non protesto, poiché questo non mi riguarda assolutamente, per il fatto che la società «L’Airone», in vista dell’assicurazione avuta, abbia proceduto all’acquisto di tre aerei e all’investimento dei necessari capitali, ma protesto però che nella stessa lettera del 24 gennaio si dice che, sottoposto a nuovo esame l’insieme della questione, non si ravvisa la possibilità di affidare alla Società «L’Airone» l’esercizio della Cagliari-Roma, senza indicarne neanche il motivo.
D’improvviso, senza una ragione che giustifichi, l’esercizio della linea è stato dato in esclusivo monopolio ad una società non italiana. La mia protesta si collega a quelle già trasmesse dai sardi all’Alto Commissario per la Sardegna ed al Ministero della aeronautica.
Ad ogni modo, io avrei desiderato conoscere le ragioni superiori che hanno consigliato questa concessione e quali diritti di preferenza e di precedenza possa vantare la società L.A.I.; cioè, per quali ragioni essa debba tenere l’esclusivo monopolio non solo della linea Cagliari-Elmas, ma anche delle principali linee aeree italiane.
E attendo che mi si dica se le larghe facilitazioni concesse alla L.A.I. (esenzione dalle tasse doganali sui carburanti e lubrificanti; dall’imposta generale sulle entrate, dalle tasse di atterraggio e di sosta sui campi di aviazione italiani, uso gratuito di tutti i campi) saranno ugualmente concesse anche ad altre compagnie.
Io attendo – e solo in tal caso mi dichiarerò sodisfatto – che provvedimenti vengano presi, coi quali all’esercizio monopolistico di queste linee si sostituisca la libera concorrenza, la quale soltanto può garantire un migliore servizio ed allontanare il sospetto che ragioni non del tutto approvabili influiscano sulla concessione in esercizio monopolistico delle linee.
PRESIDENTE. Il secondo interrogante onorevole Chieffi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CHIEFFI. L’onorevole Sottosegretario per l’aeronautica non ha dato risposta sodisfacente e sufficiente allo spirito della mia interrogazione.
Io volevo chiedere quali erano stati i criteri seguiti dal Ministero dell’aeronautica nella concessione delle linee aeree riguardanti la Sardegna.
Per quello che ha riferimento all’ingiustizia fatta alla Società Sarda «L’Airone», condivido pienamente quanto ha detto l’onorevole Mastino.
D’altra parte, la valorizzazione della Società «L’Airone», per noi sardi, è di fondamentale importanza. La Sardegna ha necessità di collegamenti rapidi e la duplicazione delle linee aeree, anche attraverso l’esercizio di due Società concorrenti, risponde ad un’esigenza dell’Isola. Questo è stato il voto formulato alla Consulta regionale, tendente, cioè, ad evitare il costituirsi di monopoli e di esclusività pericolose.
Se vi erano ragioni superiori e che a noi sfuggono per dare la linea Cagliari-Roma in concessione alla L.A.I, non si comprende perché anche a «L’Airone», società formata di capitali sardo, non sia stata dato uguale diritto.
La linea Cagliari-Alghero-Roma, riconosciuta a «L’Airone», non viene a sodisfare adeguatamente le esigenze formulate dalla Società sarda e non corrisponde d’altra parte alla necessità dei viaggiatori della Sardegna: il tratto Cagliari-Alghero sarà passivo per la Società anche per l’interesse limitato che avranno i sardi di trasferirsi in aereo da un estremo all’altro della Sardegna. La verità è che la linea economicamente attiva è la Cagliari-Roma, concessa alla Società italoamericana L.A.I., e che a «L’Airone» è stato concesso il servizio di una linea, in sostituzione, che molto facilmente darà risultati di gestione passivi.
PRESIDENTE. Ha chiesto la parola per fatto personale l’onorevole Cingolani. Ne ha facoltà.
CINGOLANI. Mi dispiace che non sia presente il mio predecessore, onorevole Cevolotto; vuol dire che domani certamente, in sede di processo verbale, egli troverà il modo di potere chiarire la situazione che io ho trovata nella seconda metà del luglio 1946.
Io rispondo alle osservazioni degli onorevoli Mastino e Chieffi per quanto può riguardare la mia amministrazione.
Io ho trovato la seguente situazione: nel febbraio, anzi precisamente l’11 febbraio 1946, era stata stipulata una convenzione fra una società americana di aviazione per il trasporto di persone e cose e il Governo italiano, convenzione perfezionata con l’approvazione dei Ministri competenti dell’aeronautica, del tesoro e delle finanze e con la conoscenza, naturalmente, del Consiglio dei Ministri.
In questa convenzione dell’11 febbraio 1946, stipulata con grande entusiasmo, perché ci si preoccupava delle sorti dell’aviazione italiana, veniva assicurato l’apporto del capitale straniero per contribuire a far risorgere l’aviazione italiana, e anche un apporto robusto di tecnici della nostra aviazione.
Secondo me, un difetto ha avuto quella convenzione: di essere stata tenuta segreta. Se n’è parlato allora sottovoce: credo che quasi nessuno di quanti si occupavano dell’aviazione ne fosse al corrente. Se io fossi stato il Ministro Cevolotto, avrei messo un palco a piazza Colonna e con l’alto parlante avrei annunciato al Paese che veniva capitale americano per aiutare l’aviazione italiana, con pieno rispetto degli interessi italiani.
Perché non bisogna dimenticare che la Società L.A.I. non è una società italo-americana, ma una società italiana, con l’apporto del 60 per cento del capitale dato dallo Stato – perché il capitale è dell’Istituto di ricostruzione industriale – e del 40 per cento di capitale americano; e che, con qualche ritocco che mi sono permesso di fare alla convenzione del febbraio, abbiamo eliminato anche i nei che la convenzione aveva, cioè la facilità di rescissione da parte americana e l’obbligo dei due terzi di voti favorevoli nelle deliberazioni del Consiglio di amministrazione che annullava la maggioranza del capitale italiano: tutte cose che gli americani prima e gli inglesi poi, nel giugno, hanno accettato.
Sicché ci siamo trovati di fronte a due società che sono società italiane, con maggioranza di capitale dato dallo Stato italiano: società italiane per il capitale sottoscritto e da sottoscrivere, per la potenza dei mezzi e per la grande tradizione dell’aviazione italiana. Perché non dimentichiamo che le tre società di aviazione civile precedenti gli ultimi disastri della guerra: l’Ala Italiana, già Ala Littoria, la L.A.T.I., e le Aviolinee erano società magnifiche che avevano in esercizio 72 linee, trasportavano 150 mila passeggeri per tutto il mondo e facevano veramente onore all’ala italiana.
Le due società di cui parliamo riprendevano dunque le antiche tradizioni. Le nuove sorsero intorno. Perché sorsero? Questo accade sempre in tutti i periodi di ripresa economica. Forse non sapevano – e ne faccio un cortese, cortesissimo rimarco al collega Cevolotto – che nella convenzione erano state prestabilite 14 linee da concedere alla L.A.I. Ed il monopolio fu tolto, non per intervento generoso del governo americano, ma in applicazione dei deliberati del Congresso di Chicago, che aboliva i monopoli, che consacrava la reciprocità per tutto il mondo. Ecco perché venne la comunicazione attraverso l’ambasciata d’America: essendo noi presenti al Congresso di Chicago come semplici osservatori, non potevamo che prendere atto delle sue deliberazioni. C’era dunque il concetto di reciprocità che sostituiva il monopolio. Rimaneva però di fatto un impegno di priorità per la L.A.I. Onorevoli Mastino e Chieffi, «L’Airone», saggiamente amministrata, acutamente diretta, si è innestata alla A.L.I.I., società italo-inglese analoga alla L.A.I. Ma «L’Airone» perché ha perduto la Roma-Cagliari? Fra le 14 linee, per le quali era riconosciuta una priorità a favore della società italo-americana, ce ne erano tre, per le quali il Consiglio di amministrazione della L.A.I. insisteva perché non venissero toccate. Io, con grande fatica, sono riuscito a ridurre le 14 linee concesse ad otto soltanto, e ho dato le sei che ho strappato alla L.A.I. alle società minori: ma per le insistenze della L.A.I., per poter avere, non l’esclusiva per sé, ma la priorità per la Roma-Palermo, per la Roma-Cagliari, per la Roma-Milano, si è dovuto infine cedere, nell’interesse stesso del Paese. La L.A.I. faceva un conto di carattere industriale e commerciale. Una società così potente, con tanti mezzi per vivere, ha bisogno di volare almeno per due milioni di chilometri. Ora, queste tre linee sono le più redditizie, con un bilancio attivo, come possiamo desumerlo dai risultati economici del servizio dei «Corrieri militari aerei».
L’onorevole Mastino ha fatto cenno ad una adunanza dei rappresentanti le società di aviazione civile. Che cosa ho cercato io di fare in quella adunanza? Di trovare un accordo! Non mi sono mica divertito, egregi colleghi, in quella adunanza. Qualcuno di voi ha forse letto, nel libro di Merezkowśkij su «Giuliano l’Apostata», la scena della Assemblea di tutti i rappresentanti delle Sette ereticali dell’Oriente che, al cospetto di Giuliano, vestito della candida toga di filosofo, impassibile, si accapigliano fra loro. Così io ho dovuto assistere a vivaci discussioni e competizioni. Avevo creduto ingenuamente di mettere le società a contatto, per trovare una linea di intesa, e qualcosa si è fatto. Qualche punto di frizione è rimasto ancora, ma spero che l’esercizio delle linee ridurrà tutti ad una fredda comprensione della situazione. Abbiamo l’esempio del Portogallo, dove, dopo la guerra mondiale, erano sorte 35 linee, di cui una trentina sono andate all’aria. L’aviazione civile è una cosa seria che costa milioni; lo Stato va incontro a tutte le società private, non soltanto alla L.A.I., mettendo a disposizione i propri campi di aviazione. Vede, onorevole Mastino, io ho qui il prospetto dei campi messi a disposizione de «L’Airone»: Cagliari (Elmas), Palermo (Bocca di Falco), Milano (Linate), Napoli (Capodichino), Torino (Mirafiori), Roma e Alghero. Le linee concesse, in confronto anche a quelle di altre società, saranno certo redditizie. Possiamo essere d’accordo nel riconoscere le ragioni della amarezza vostra di sardi. Sta di fatto però che le linee concesse sono tutte di grande sviluppo e possono avere anche un grande risultato economico, se bene amministrate: la Cagliari-Palermo, la Cagliari-Milano, la Cagliari-Napoli, la Cagliari-Torino e la Roma-Cagliari-Alghero. La Cagliari-Roma, anche se in mano alla L.A.I., risponde per i viaggi diretti agli interessi dei viaggiatori sardi.
Se ci fosse soltanto la Roma-Cagliari, certamente il nord dell’isola non sarebbe servito; e ricordo che la Roma-Alghero-Cagliari era stata richiesta dalla L.A.I.; io invece glie l’ho tolta per darla a «l’Airone»; ho servito così la provincia di Sassari e quella di Nuoro. E la società «L’Airone», costituita con molte piccole quote, cosa ammirevole che sottolinea veramente il civismo, l’amore per la loro terra, di tutti i cittadini della Sardegna, darà prova, su tutte le altre linee a lei concesse, di servire ugualmente bene gli interessi dell’Isola. Non mi è stato possibile fare di più; non potevo dimenticare gli interessi dello Staio che dovevo difendere. (Interruzione dell’onorevole Chieffi). La situazione finanziaria è questa: la società «L’Airone» ha per ora sottoscritto un milione di capitale; saprà anche trovare gli altri milioni, ma per ora è poco, di fronte ai 900 milioni di capitale di Stato impiegati nelle altre due società. Queste sono cifre aggiornate al 4 febbraio. D’altra parte anche tutti i servizi a terra e di telecomunicazioni sono a disposizione di tutte le linee, in questo primo periodo; dopo pagherete sui guadagni e pagherete tutti. Naturalmente, ripeto per ora, quello che c’è, è a disposizione di tutti. Io qui ho il piano generale delle linee concesse. Per ogni concessione alle varie società vi è stata una battaglia su di un piano realistico, condotta però con pieno disinteresse da parte di tutti, anche da parte dei concorrenti tra di loro, che hanno dimostrato una passione aviatoria veramente ammirevole. Le Teseo, l’Airone, la L.A.I. le Aviolinee Italiane, che riprendono gloriosamente l’antico cammino, la società Aviom, il gruppo siculo che è ancora in trattative con la Presidenza del Consiglio per tentare di ottenere una linea Roma-Palermo, oltre la linea Roma-Napoli-Palermo in concorrenza con la L.A.I., la Transadriatica, ecc., sono tutte bene attrezzate, e pronte per apprestamento di apparecchi e valentia di personale, a solcare i cieli italiani. Posso fare una constatazione consolante che le società, fortunatamente, dalle 37 iniziali sono ridotte a 10, il che ci fa sperare che il cammino dell’aviazione civile sia in Italia felice e che non sia seminato di insuccessi economici.
Debbo dire un’altra cosa all’onorevole Mastino: è stata veramente dal Ministero scritta una lettera in cui si dava un «affidamento» a «L’Airone». La prassi è questa, me ne appello ai passati e al presente Ministro dell’aeronautica. Dopo un primo esame si dà un «affidamento» e «L’Airone» ha avuto questo affidamento con lettera che certamente l’onorevole Mastino ha sotto gli occhi. Aggiungo che, mentre si dava affidamento, io facevo voti che, per le linee che si pensava di affidare alla società «L’Airone» e che invece la società italo-inglese avrebbe voluto assorbire con trattative dirette con «L’Airone» medesima, non sarebbe stato il caso, a mio avviso, di spingere «L’Airone» alle trattative, in quanto ritenevo e ritengo che gli isolani abbiano buone forze per vivere da sé.
Questa è la situazione; nessun preconcetto, nessuna manovra segreta. C’è stata forse qualche fretta nella costituzione delle due società. Non dimentichi però l’onorevole Mastino che queste società (che sono chiamate straniere, ma sono italiane) devono assumere il 100 per cento di maestranze italiane e precisamente 1’85 per cento proveniente dalle antiche linee civili italiane ed il 15 per cento fra quei piloti e tecnici che risulteranno liberi dallo sfollamento dell’Aeronautica militare. Capitale italiano, dunque, in maggioranza, gente italiana, dirigenti italiani, campi e mezzi italiani. Credete pure, sarebbe bene non drammatizzare eccessivamente! Siatene certi, strada facendo molte cose si aggiusteranno, e l’aviazione italiana certamente sarà degna della fiducia del mondo intero.
BENEDETTINI. E la L.A.I.?
CINGOLANI. Non credevo che l’onorevole Benedettini volesse dimostrarsi per la seconda volta in questa seduta così cavallerescamente unito con l’onorevole Finocchiaro Aprile. C’è una lunga interpellanza dell’onorevole Finocchiaro Aprile in proposito. Non abbia fretta. Ne presenti una anche lei, così anche lei potrà parlare con conoscenza di causa.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Cevolotto. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. Io non ho da aggiungere che poche parole a quanto ha detto l’onorevole Cingolani, per spiegare all’Assemblea, brevissimamente, come sono sorte queste società che si chiamano straniere, ma che sono invece italiane: sono sorte (è per questo che non ne abbiamo potuto parlare allora) in un periodo in cui, per le condizioni di armistizio, noi non potevamo ufficialmente occuparci di aviazione civile.
Purtuttavia, ho creduto mio dovere, come Ministro, di occuparmene lo stesso, malgrado le condizioni di armistizio. Per ciò ho dovuto trattare in una forma non pubblica, e preparare segretamente gli accordi, perché ero e sono convinto che soltanto mediante accordi con gli americani e gli inglesi noi potevamo dar vita a società per l’esercizio dell’aviazione civile, che fossero veramente potenti e vitali.
In questa materia, e specialmente per quello che si riferisce, ad esempio, agli apparecchi necessari per l’attrezzatura dei nostri campi e degli aerei, senza l’aiuto straniero noi non potremmo fare niente, perché questi apparecchi non si producono in Italia. Io ho ottenuto la prima manifestazione di fiducia all’Italia, cioè il concorso effettivo del capitale straniero a nostre società.
La Commissione di studio di questi problemi, che era presieduta dall’onorevole Pesenti, espresse il suo parere tecnico in una relazione dello stesso onorevole Pesenti, che appunto diceva: non si può attrezzare la navigazione aerea civile in Italia se non col concorso del capitale straniero, e specialmente americano. Io ho seguito l’indicazione che veniva da quella Commissione di studio.
Quando ho ottenuto questo concorso, l’ho ottenuto a condizioni che potevano, sì, in qualche punto essere migliorate, e quando ho fatto la consegna all’onorevole Cingolani gli ho detto che vi erano specialmente due punti in cui queste convenzioni dovevano essere migliorate; e gli ho espresso la speranza che egli riuscisse a migliorarle, come effettivamente gli è riuscito di fare.
Prima non si poteva ottenere di più. Però quello che si è ottenuto è questo: concorso del capitale straniero per il 40 per cento, personale e dirigenza esclusivamente italiani, presidenza italiana, consigliere delegato italiano, direttori italiani scelti dal Consiglio d’amministrazione in prevalenza italiano. Soltanto per il direttore tecnico e per il direttore amministrativo, entrambi italiani, vi è la clausola del gradimento della minoranza. E si dice per questo che noi abbiamo venduto l’aviazione civile italiana agli stranieri!
Io domando se un’accusa di questo genere possa essere lecita da parte di chi conosca realmente i fatti. Perché si è dovuto dare inizialmente a queste società una prevalenza nella distribuzione delle linee? Perché vi sono state molte illusioni, da parte soprattutto di privati, sulle possibilità di esercizio della navigazione aerea civile in Italia. Si sono presentate a chiedere concessioni società le quali non avevano che qualche decina di milioni di capitale.
CINGOLANI. Una società si è presentata con sole 10.000 lire di capitale!
CEVOLOTTO. Basta pensare che la Società Italo-americana ha un miliardo di capitale, che è necessario e forse non basterà. Quando si presenta una Società con 1 milione o due di capitale, essa probabilmente ignora che oggi un aeroplano da trasporto per passeggeri costa 30 milioni, ed anche più. Naturalmente l’esercizio è costoso in proporzione.
Ora, si dovevano distribuire le linee in modo da dare la possibilità alle società esercenti di ottenere un reddito, perché noi proprio questo non volevamo: dare sussidi governativi; non volevamo, cioè, che si presentassero delle società che, dopo avere inizialmente accettato determinate condizioni di esercizio, di tariffe, di traffico, dopo pochi mesi di servizio si trovassero in condizioni di dover dire: «O sospendiamo il traffico o ci date i sussidi».
Naturalmente, si sono dovute concedere alla Società italo-americana determinate linee redditizie, perché la L.A.I. si assumeva anche le linee che sono sicuramente passive fin dal primo momento: e non si può pretendere che una Società assuma soltanto le linee passive.
D’altra parte, mi domando: perché tanto clamore, se il Ministero dell’aviazione concede le linee ad una società piuttosto che ad un’altra, e non si fa lo stesso rilievo al Ministero dei trasporti quando concede una linea di autopullman ad una società piuttosto che ad un’altra? Questa scelta viene fatta in base a criteri, studiati, in base alla potenzialità, alla possibilità di traffico, ecc. Il Ministero valuta la possibilità di concedere la linea ad una o a due società, e, se determina di concederla ad una soltanto, la sceglie secondo il criterio della società più forte, di quella che garantisce il miglior servizio ai passeggeri, ecc. Naturalmente la Società il cui capitale è in prevalenza nazionale sarà preferita.
Mi auguro che la Società «L’Airone», come la Teseo e la Transadriatica, possa entrale nel quadro generale dei trasporti aerei italiani, pur con limitate attribuzioni. La Transadriatica aveva all’inizio chiesto le linee Venezia-Ancona Pescara-Roma, come la Teseo aveva chiesto la Firenze-Roma e la Firenze-Bologna-Milano, cioè linee di raccordo più adatte a Società con potenzialità minore, linee con un minore sviluppo che possono essere gestite da Società piccole, le quali possono ottenere risultati ottimi completando il servizio delle grandi linee ed entrando così nel ciclo di questa navigazione aerea-civile che non è così facile e così rosea come molti credono e che non darà probabilmente, subito, i frutti che alcuni credono, se non sarà sorretta ed aiutata da tutte le buone volontà. Occorre ispirarsi a criteri modesti, ma realistici, tenendo conto che quello che si è fatto dal Governo lo si è fatto nell’interesse generale. Nessuno ha mai pensato di vendere allo straniero la navigazione aerea civile italiana, ma di potenziarla, perché siamo certi che essa rappresenta i trasporti del domani e che è necessaria per i nostri traffici; ma che, se non la fondiamo bene, potrebbe anche essere travolta dalla sfiducia del pubblico.
PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Pietro ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà.
MASTINO PIETRO. Io non ho detto e non ho neanche pensato che si sia voluta porre la nostra aviazione in mano straniera. Con questo, rispondo all’accenno conclusivo e, direi, di maggior rilievo, fatto dall’onorevole Cevolotto.
All’onorevole Cingolani dirò questo: egli ci ha parlato di una riunione tenuta a Roma al Ministero dell’aviazione; quella in cui egli, se male non ho capito, avrebbe fatto la parte di Giuliano l’apostata, e in cui si arrivò ad un accordo; quell’accordo, onorevoli colleghi, che è consacrato precisamente nella lettera a firma Cingolani, di cui l’egregio collega si è ricordato per caso, solo in ultimo.
In questa lettera io leggo:
«Con riferimento all’accordo per le rotte inter-italiane concluse in data 29 novembre fra codesta società (si parla della Società Airone) e altre imprese, si comunica che questo Ministero (quello retto dall’onorevole Cingolani), esaminato il programma di cotesta Società in correlazione con quello di altre imprese aspiranti alla concessione dell’esercizio (cioè la Società americana o italiana L.A.I.), riconosce la possibilità di affidare alla Società Airone la concessione delle seguenti linee: Cagliari-Palermo, Cagliari-Roma».
Oggi ho saputo – l’onorevole Cingolani lo sapeva da prima; certamente lo sapeva prima di quella riunione e prima che scrivesse questa lettera – che la Società «L’Airone» non avrebbe capitali sufficienti (ed in materia l’onorevole Cingolani non è aggiornato); oggi ho saputo che non si è ritenuto possibile che la stessa Società potesse reggere allo sforzo necessario per bene esercitare la linea aerea Cagliari-Elmas. L’onorevole Cingolani invece lo sapeva fin d’allora, ma, se lo sapeva fin da quel momento, perché scrivere la lettera? Ecco che non è, quindi, opportuna la frase pronunciata dal chiamato in causa onorevole Cevolotto, il quale ha detto: «Perché tanto clamore?». Il tanto clamore è in rapporto a due motivi ed anzitutto con la vostra presa di posizione, consacrata nella ripetuta lettera. Io dovevo e devo credere che abbiate dato gli affidamenti contenuti nella lettera, dopo avere con serietà esaminato la possibilità d’esercizio da parte della Società «L’Airone». Il tanto clamore è in rapporto con un altro motivo, al quale ha accennato l’onorevole Cingolani quando, bontà sua, ha riconosciuto a noi il diritto di aspirare a che capitali sardi esercitino le linee sarde.
Questo è uno dei motivi che ci fa insorgere, non per far clamore, ma per protestare contro un diritto che ci è stato negato.
CINGOLANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Cingolani, devo avvertirla che è già superato il tempo destinato alle interrogazioni.
CINGOLANI. Vorrei dire poche parole. (Interruzione dei deputato Patrissi).
PRESIDENTE. Comunque ha facoltà di parlare in ordine alle questioni poste dall’onorevole Mastino.
CINGOLANI. Mi richiamo appunto alla frase della lettera incriminata: «riconosce la possibilità di concedere». Non faccio l’avvocato, né voglio spaccare un capello in quattro; ma la consuetudine da me trovata al Ministero è quella di star bene attenti nelle frasi scritte. Non dice la lettera citata dell’onorevole Mastino che a «L’Airone» è concessa, ecc.; ma che si «riconosce la possibilità di concedere». Questa possibilità non c’è stata più dal momento che la L.A.I. ha dichiarato che o le si dava la Roma-Cagliari, come la Roma-Milano e la Roma-Palermo, o altrimenti si ritirava dalla società il capitale americano.
È bene esser chiari: questo è stata la vera ragione per cui non si è potuto mantenere il programma di concessioni alle società minori.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro della difesa.
GASPAROTTO, Ministro della difesa. Non credo di dovere aggiungere alcunché alle dichiarazioni fatte dai miei predecessori. Per dovere di lealtà, debbo informare l’onorevole Mastino e gli altri interroganti che, sulla ripartizione delle linee aeree in esercizio alle varie società fu data già comunicazione ufficiale alle società stesse; per modo che, qualunque possa essere l’ulteriore deliberazione di questo Governo, non sarà facile, per il decoro che dobbiamo all’autorità del Governo stesso nella sua continuità, revocare deliberazioni già prese e comunicate alle parti interessate.
Comunque, onorevole Mastino, l’aviazione civile in Italia ha un’enorme importanza, perché questo nostro Paese – ponte fra l’oriente e l’occidente – è destinato ad essere percorso da tutte le grandi linee intercontinentali; ed è naturale conseguenza che, mentre le grandi linee devono essere affidate alle grandi imprese, con intervento di capitale misto, alle società nazionali siano date invece le linee minori, le linee interne, nelle quali siamo a buon punto di trasformazione. Occorre però che queste attrezzature siano possenti per dare al pubblico la maggiore tranquillità.
A tale proposito non posso non ricordare la recente sciagura che ha colpito l’ala italiana. Nella giornata di sabato hanno perduto la vita quattro dei nostri migliori piloti dell’arma navigante. Rendo omaggio alla memoria (L’Assemblea sorge in piedi) del tenente pilota Mario Villani, capo equipaggio; del maresciallo pilota Pressenda Renato, secondo pilota; del sergente motorista Aricò Michele, motorista di bordo; del sergente R.T. Cesca Giovanni, marconista di bordo; del sergente montatore Giacomelli Antonio, montatore di bordo; del tenente colonnello pilota Dentice d’Accadia Luigi, navigatore, una delle più belle figure dell’ala italiana.
Rendo omaggio ai passeggeri italiani e stranieri. Mi inchino alla memoria di S.A.R. Amina Anem Barontz, che già soggiornò in Italia e ritornava al suo Paese, al Cairo. Rendo omaggio a tutti i suoi compagni: alla signora Gian Caron dama di compagnia della principessa; al signor Sahab Almas Bey; alla signora Martinelli Yvette, cittadina francese; al signor Menelao Alfredo; all’ingegner Almagià Roberto, alla signora Ambron Almagià Gilda; alla signora Albina Hecox; al signor Saint-Bancat Alberto, giornalista francese; al signor Philip Prescor Marion, commerciante americano; al capitano Garfagnini Edoardo del servizio corrieri aerei militari.
Rendendo omaggio alla loro memoria, non posso non ricordare che l’ala italiana registra, soltanto oggi, a partire dal 1945, il suo primo infortunio, in quanto che il riepilogo dell’attività del servizio corrieri aerei militari, dal 1° agosto 1945 al 4 febbraio 1947, dà queste risultanze: passeggeri trasportati 62.259; posta e materiale trasportato 7.673; velivoli impiegati 5.136; ore di volo compiute 9.953; chilometri percorsi 2.642.427; incidenti: nemmeno uno.
L’ala italiana esce onorata da questa prova. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.
Svolgimento di interpellanze.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Svolgimento di interpellanze.
La prima è quella dell’onorevole Canevari ai Ministri dei lavori pubblici, e del lavoro e previdenza sociale, «per sapere: 1°) come sia stato possibile che una società, con denominazione di «Consorzio Ricostruente» e mascherata come consorzio di cooperative di lavori, con sede in Roma, presieduta da un impresario e con la partecipazione di funzionari dell’Ufficio provinciale del lavoro, abbia potuto ottenere dallo Stato, mediante cottimi fiduciari, per lire 99.735.500 di lavori, e abbia pure ottenuto per circa lire 300 milioni di lavori a regìa; 2°) quali provvedimenti si intendono adottare con la maggiore urgenza perché siano colpiti con la giusta severità i colpevoli di simile truffa, e siano riparati i danni in tal modo causati allo Stato».
L’onorevole Canevari ha facoltà di svolgerla.
CANEVARI. Sarò brevissimo nello svolgimento di questa interpellanza, perché non intendo trarne argomenti per fare critiche inutili.
Ho ritenuto doveroso insistere perché l’interpellanza fosse inscritta all’ordine del giorno di oggi, trattandosi di un argomento che merita la vostra attenzione e quella del Governo.
Con rogito notaio Parone, in data 20 settembre 1945, si è costituita, con sede in Roma, per iniziativa dell’ufficio provinciale del lavoro di Roma, una società cooperativa a responsabilità limitata sotto il nome di «Consorzio Ricostruente», con il capitale sottoscritto di lire 30.000, versato 7.000; sottoscritte, ma pare non versate, 6.000 come tassa di ammissione. Soci di questo cosiddetto Consorzio erano sei cooperative, e per dimostrarvi l’importanza delle stesse vi cito i dati desunti non soltanto dai rispettivi atti di costituzione, ma accertati sul registro prefettizio: Mastri battitori, manuali e selciatori, costituitasi nel luglio 1944 con 7 soci e capitale sottoscritto di lire 4.000; Società Aquila, costituitasi il 15 dicembre 1944, con 7 soci e con un capitale sottoscritto di lire 12.000; Esponente, costituitasi il 31 gennaio 1945 con 14 soci e capitale sottoscritto 241.000; Voluntas, costituitasi nell’ottobre del 1944 con 12 soci e capitale sottoscritto lire 1500; Casa Fiorita, costituitasi il 1° luglio 1943 con 7 soci e con capitale sottoscritto di lire 7.000; Italia risorgente, costituitasi il 27 agosto 1944 con 10 soci e capitale sottoscritto di lire 3.000.
È da tener presente come nessuna di queste società aderenti al presunto consorzio, tranne la prima, abbia mai ottenuto il riconoscimento e la relativa iscrizione sul registro prefettizio, cose ritenute dalla legge indispensabili perché le cooperative di produzione e lavoro possano essere ammesse ai pubblici appalti e all’esecuzione di opere pubbliche.
Il Consorzio Ricostruente era rappresentato dal Presidente, ingegnere Agostino Recchi, imprenditore, ed amministrato da 4 ingegneri, da un architetto, da nessun operaio. Anche questo Consorzio era nella condizione di non poter essere ammesso ad assumere pubblici appalti di esecuzione di opere pubbliche. Infatti, non era una cooperativa, e non era costituito esclusivamente da operai, ma da società cooperative, le quali, a loro volta, non avevano il diritto di essere ammesse ai pubblici appalti, né la possibilità di essere invitate ad assumere pubblici appalti in opere pubbliche. Non era un consorzio legalmente costituito, in quanto è noto a tutti voi, egregi colleghi, che tale materia è regolata dalla legge 25 giugno 1909, n. 422, e dal regolamento 12 febbraio 1911, n. 278, secondo i quali, i consorzi di cooperative di produzione e di lavoro, per essere considerati tali dalla legge, devono essere eretti in ente morale con un decreto presidenziale emesso su proposta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, previo concerto con i Ministeri interessati.
La procedura per ottenere il decreto presidenziale è abbastanza laboriosa e le indagini che la Direzione generale della cooperazione, funzionante presso il Ministero del lavoro è chiamata a fare, si presume (e da noi cooperatori è desiderato) che siano sempre rigorose. Prima di emettere il decreto, il Ministero del lavoro deve accertare che le cooperative aderenti siano legalmente costituite a norma della relativa legge, che siano iscritte sul relativo registro prefettizio, che abbiano eseguito lavori e ne abbiano dato prova, che i lavori indicati nella pratica relativa siano stati regolarmente collaudati; onde si presume che nella richiesta che queste cooperative fanno per costituirsi in consorzio, sia intesa la possibilità che esse possano mettere insieme e riunire le loro forze, le loro possibilità, i loro mezzi, la loro esperienza, per affrontare la soluzione di lavori di maggiore mole.
Non era questo il caso del Consorzio Ricostruente, il quale non aveva a suo lato nessuna cooperativa che fosse in questa posizione. Il Consorzio, che era una semplice società costituitasi presso il notaio, non aveva ottenuto il riconoscimento di legge, non era stato eretto in ente morale, non aveva nessuna delle qualità per potere aspirare a conseguire, da parte dello Stato e degli Enti pubblici, il riconoscimento, e non era quindi nella condizione di dar prova della sua serietà e delle sue possibilità.
Ebbene, il Consorzio Ricostruente, che non avrebbe potuto avere né richiedere l’appalto di un soldo di lavori, neppure come cooperativa – incredibile, ma vero – ha potuto avere a trattativa privata, una serie di lavori, iniziati il 15 dicembre 1945, con contratti a cottimo fiduciario per lire 5,200.000, usando delle disposizioni di legge che consentono allo Stato e agli enti pubblici di affidare, con cottimi fiduciari, a trattative o licitazione privata, lavori alle cooperative fino all’importo di 5 milioni o ai relativi consorzi fino all’importo di 20 milioni.
Questo pseudo consorzio, presieduto da un imprenditore il quale, fra l’altro, non era neppure socio di cooperative, ha potuto ottenere, sempre a trattativa privata, contratti per i seguenti importi: 5 milioni e 200 mila, 4 milioni e 685 mila (4 marzo 1946); 5 milioni e 636 mila (aprile 1946), 3 milioni e 246 mila; e successivamente – dal 3 maggio al 30 settembre 1946 – 9 milioni e 985 mila, 9 milioni e 749 mila, 9 milioni e 796 mila, 9 milioni e 740 mila, 9 milioni e 730 mila, 9 milioni e 726 mila, 9 milioni e 733 mila; per un importo totale di 87.735.500 lire. E tutto questo per la esecuzione di lavori di scavo di terreni, di riempimento di buche, al Viale Marco Paolo, ricostruzioni nelle adiacenze del cavalcavia ed al piazzale della ferrovia ostiense.
Aggiungendo a questa somma 12 milioni circa di lavori eseguiti alle Sette Chiese, si arriva ad un importo di 99.735.500 lire.
Ma non basta; perché sembra che lo pseudo Consorzio fosse in procinto di ottenere anche altri lavori a regìa per un importo di circa 300 milioni. Ma la cuccagna l’ha fatta finire l’onorevole D’Aragona, Ministro del lavoro.
Il Ministero del lavoro si è trovato nella necessità di svolgere indagini sul funzionamento dell’Ufficio provinciale del lavoro in Roma; il che ha portato ad estenderle pure al funzionamento dello pseudo Consorzio.
Sono risultati accertati, prima di tutto, i fatti da me denunziati: cioè la illegalità del Consorzio e la illegalità ed illiceità dei contratti assunti a tutto danno dello Stato; senza dire del danno morale, superiore a quello economico, arrecato alla cooperazione sana.
Tale Consorzio non aveva, inoltre, i libri in regola né la minima parvenza di contabilità. Il presidente, come ho detto, non era neppure socio d’una delle cooperative aderenti. Nei lavori erano stati occupati in media circa 800 operai (per 9 mesi circa) di cui appena una diecina apparteneva alle cooperative aderenti.
Ed il presidente non si è vergognato di dichiarare quanto sopra, a giustificazione – secondo lui – del ricorso fatto contro il provvedimento adottato dal Ministero del lavoro.
È risultato che il collegio sindacale non aveva mai funzionato; e di fronte a tale gravissima circostanza, il Ministro del lavoro nominò commissario il commendatore Paquale Gargiulo.
Senonché, onorevoli colleghi, questo commissario non ha potuto ancora aver nulla in consegna dal Consorzio; e quindi non ha potuto esplicare il suo mandato. Perché, vedete un po’, il presidente impresario ingegnere Recchi, mentre si svolgeva l’inchiesta da parte del Ministero del lavoro, ha creduto di fare il furbo. Segretamente, convocando i rappresentanti di queste cooperative, portandoli davanti al notaio, e servendosi delle deliberazioni dei rispettivi consigli di amministrazione (deliberazioni già usate un anno prima per la costituzione del primo atto di quella società che doveva figurate come un consorzio legalmente costituito), ha fatto dichiarare che un anno prima si erano sbagliati a costituire quella prima società: avevano sbagliato a chiamarla «Consorzio Ricostruente, Società cooperativa», mentre doveva essere e intendevano di costituire una semplice società a capitale e responsabilità limitata.
Onorevoli colleghi, altri dati interessanti mi risultano da quel verbale; non mi risultano dalla inchiesta fatta dal Ministro del lavoro, perché nessuna inchiesta esso ha potuto fare sulla situazione finanziaria, in quanto i libri non erano in regola, e non fu possibile accertare alcuna attendibilità di amministrazione.
Il presidente impresario Recchi ha fatto questa esposizione:
Situazione patrimoniale dell’Ente: Attivo, cassa 1.900.000; debitori per crediti verso lo Stato 13.586.000; impianti 1.000; attività 15.487.649. Passivo, capitale sociale 35.000.000; creditori 8.077.000. Quindi, saldo attivo (badate, dichiarato dal presidente, e credo che se lo ha denunziato il presidente, le attività non potranno essere minori, ma, se mai, maggiori) 7.375.182.
Voi dovete tener presente che le cooperative, quando si sciolgono, non possono trasformarsi in altro modo che non rientri nel campo della cooperazione, non possono modificare la loro fisionomia e le loro finalità. Quando si sciolgono (e qui sarebbe il caso del Consorzio Ricostruente, il quale dovrebbe essere ritenuto sciolto come cooperativa e non ricostituito sotto altra forma) il patrimonio netto deve essere devoluto al fisco, il quale deve destinare il patrimonio stesso a scopi mutualistici o di pubblica utilità. Con questa trasformazione, noi vediamo il tentativo di sottrarre alla pubblica utilità l’utile netto di oltre 7 milioni che in nove mesi si sono illecitamente costituiti, con lavori illecitamente ottenuti dallo Stato.
Onorevoli colleghi, tali sono i fatti e tale è la situazione che si è creata in seguito all’intervento del Ministero del lavoro; dal che risulta certo:
Primo, che l’Ufficio provinciale del lavoro di Roma ha favorito l’istituzione di un finto consorzio di cooperative di lavoro il quale, con 7.000 lire di capitale versato, non amministrato da alcun operaio, presieduto invece da un imprenditore, ha potuto ottenere per circa 100 milioni di lavoro a trattativa privata dallo Stato, impiegando in media costantemente 800 operai, di cui in media soltanto 10 (come risulta da affermazione fatta dallo stesso presidente) appartenenti alle cosiddette cooperative di lavoro aderenti.
Secondo, che sui medesimi lavori si sono ricavati diversi milioni di lire di utile netto.
Terzo, che, per intervento del Ministero del lavoro ed in seguito ad una inchiesta fatta sull’Ufficio provinciale del lavoro di Roma, si è potuti giungere in tempo per impedire che allo stesso Consorzio fossero affidati altri lavori a regìa per un importo ingentissimo.
Quarto, che i responsabili di ciò hanno cercato – e finora sono riusciti – ad impedire che sul patrimonio netto mettesse le mani lo Stato, perché fosse devoluto a scopi mutualistici o di pubblica utilità. Anzi, vi dirò in proposito che, in occasione di questa trasformazione, il presidente ha potuto ottenere l’autorizzazione a prelevare per suo compenso personale la somma di lire centomila al mese e i due direttori la somma di lire sessanta mila al mese per ciascuno, a far tempo dal novembre 1945.
Quinto, che si tenta in tal modo di sottrarre il fondo di oltre settanta milioni netti, agli scopi di beneficenza e di pubblica utilità, cui sarebbe destinato l’attivo netto, secondo la legge e secondo lo statuto sociale.
Ed ora ci sembra che sia lecito di sentire dal Ministro del lavoro, più che dal Ministro dei lavori pubblici, che cosa intenda di fare: primo, contro le persone e contro i funzionari responsabili di quanto io ho qui denunziato; secondo, quali provvedimenti si intendono adottare perché il commissario nominato dal Ministro del lavoro sia nella possibilità di trovare una difesa nei confronti dei rappresentanti di questo pseudo Consorzio che hanno fatto opposizione contro la sua nomina e contro l’azione ch’egli dovrebbe svolgere nell’interesse dello Stato; e quali provvedimenti si intendono adottare perché lo Stato sia presente nella liquidazione di questa dolorosa ed antipatica faccenda, nell’interesse del fisco e, particolarmente, nella difesa della sana cooperazione.
Onorevoli colleghi, la cooperazione è da noi considerata come una cosa molto seria. La vostra Commissione plenaria ha proposto, nella Carta costituzionale, un articolo nel quale è detto che: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, ne favorisce l’incremento e la sottopone a vigilanza, stabilita per legge, per assicurarne i caratteri e le finalità». Noi cooperatori desideriamo non soltanto che la cooperazione ottenga dallo Stato la possibilità di svolgere in pieno la sua azione sociale; ma desideriamo e reclamiamo che la cooperazione sia vigilata, appunto in relazione a questa sua funzione sociale. (Interruzione alla estrema sinistra). Non approverete questa proposta? Avrete torto, perché l’unico modo di difendere la cooperazione sana è quello di sottoporre tutta la cooperazione al controllo dello Stato. Noi vogliamo la vigilanza.
L’altro giorno ho sentito con molto piacere da quei banchi esprimere una lode per il Ministro onorevole Romita, perché non si è accontentato, come Ministro dei lavori pubblici, del funzionamento delle commissioni stabilite dalla legge sulla cooperazione, quelle provinciali cosiddette di vigilanza che esistono presso tutte le prefetture, ma ha creato delle commissioni che funzionano presso i rispettivi uffici del Genio civile; le quali sono chiamate a vigilare sul funzionamento delle cooperative di lavoro ed a dare il loro parere all’ingegnere capo del Genio civile in occasione di trattative o di licitazioni private per affidare a cooperative, regolarmente iscritte, l’esecuzione di opere pubbliche.
L’onorevole Romita mi darà atto che questo provvedimento gli è stato richiesto da noi cooperatori; noi abbiamo richiesto che, non essendo sufficiente il funzionamento delle commissioni di vigilanza provinciale, così come sono state stabilite, ed essendo in facoltà e sotto la responsabilità dei rispettivi funzionari del Genio civile di dare o non dare lavori alle cooperative, in relazione a quello che è consentito dalla legge, fosse esercitata una più severa vigilanza sulle cooperative di lavoro prima che ad esse venissero affidati lavori.
Noi desideriamo la vigilanza sulle cooperative, perché la cooperazione, nella quale crediamo fermamente e alla quale dedichiamo, anche in questi giorni, la migliore e più fervorosa parte delle nostre attività quotidiane, sia mantenuta al di sopra di tutti i sospetti e possa svolgere, nella piena fiducia del pubblico, la sua nobile funzione nell’interesse della generalità e per la elevazione delle classi lavoratrici. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ne ha facoltà.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L’interpellanza dell’onorevole Canevari consta sostanzialmente di tre punti fondamentali: uno relativo alla esposizione dei fatti, uno riguardante i danni causati allo Stato ed uno infine che investe una questione morale. Risponderò brevemente a questi punti, riservandomi di tracciare più a fondo l’altro problema fondamentale dei lavori, se la Camera me lo consente.
I fatti esposti dall’onorevole Canevari sono esatti nella forma, e nella sostanza; non sono esatte tuttavia le conseguenze che ne vengono tratte.
Come avvenne il fatto? Anzitutto esso è avvenuto in un periodo in cui io non ero né al Ministero del lavoro né a quello dei lavori pubblici, o meglio ero al principio od alla fine di queste gestioni.
Il Provveditorato alle opere pubbliche di Roma, per far fronte alla situazione, alle assillanti richieste della Camera del lavoro, dell’Ufficio di collocamento, si trovò costretto a far eseguire i lavori a regìa, come dirò fra poco. Si è presentato un Consorzio che appariva legalmente costituito, sostenuto e appoggiato da funzionari dell’Ufficio provinciale del lavoro di Roma, funzionari che, per la posizione che rivestivano in quel settore, godevano la considerazione di molti; un Consorzio che – dicevano – aveva lo scopo di dare lavoro ai disoccupati, di creare delle vere cooperative, di creare delle scuole-cantiere; e il Genio civile, che doveva far fronte ai lavori per la disoccupazione, ha creduto pertanto opportuno di affidare a questo Consorzio un primo lotto di lavori a trattativa privata, come era suo diritto ed anche suo dovere. I funzionari dell’Ufficio provinciale del lavoro costituivano una garanzia per il Genio civile. Si è continuato così, di lavoro in lavoro, impiegando 800 operai.
Il Ministero del lavoro, nel corso di una ispezione compiuta presso l’Ufficio provinciale del lavoro di Roma, accertò resistenza di tale Consorzio, che, non avendo adempiuto alle formalità per una sua regolare costituzione, non aveva avuto alcun rapporto col predetto Ministero. Questo dispose allora una ispezione anche presso il Consorzio, ispezione che venne eseguita nell’ottobre scorso anno e che accertò varie e gravi irregolarità e condusse alla nomina di un commissario. Questi il 22 novembre venne al Ministero dei lavori pubblici – dove allora io ero – e comunicò i fatti.
Immediatamente ho disposto che quel Consorzio, quelle cooperative, non solo, ma anche i dirigenti del consorzio, fossero esclusi e cancellati dall’albo. Quindi il Ministero del lavoro, e per esso l’amico D’Aragona, ha compiuto il suo dovere, come pure il mio Ministero ha compiuto il proprio, perché il giorno stesso in cui ho avuto notizia dei fatti, ho escluso da ogni lavoro enti e persone che godevano di larga fama in Roma.
Non è vero, onorevole Canevari, ed è strano che lei vi insista, che si siano dati 300 milioni di lavori a regìa. Lei che mi è maestro, e non lo dico per fare un complimento, perché abbiamo lavorato insieme, sa che non si assegnano 300 milioni di lavori; è inconcepibile. Se le irregolarità non fossero state scoperte, il Consorzio avrebbe potuto ottenere altri lotti di lavori di 5, 6, al massimo 9 milioni di lavori ciascuno, come aveva avuto prima; l’affare di 300 milioni, per quante indagini si siano fatte, non risulta assolutamente.
Comunque, il Ministero dei lavori pubblici e quello del lavoro, insieme, immediatamente hanno stroncato ogni attività di quei signori.
Danno per lo Stato: danno morale molto, e ne parlerò dopo; materiale, poco, perché il Consorzio non si è avvalso dei privilegi fiscali che la legge concede alle cooperative; per due contratti di importo inferiore ai 5 milioni, per i quali il Consorzio ha ottenuto, senza averne titolo, la registrazione a tassa fissa, il danno che ha ricevuto l’Erario si può valutare – come risulta da una relazione del Ministero dei lavori pubblici – sulle 200 mila lire; mentre i fondi attualmente bloccati al Consorzio ascendono a circa 4.800.000 lire.
Ad ogni modo, come si sia determinata e verificata tale situazione, si potrà accertare con precisione solo dopo che il commissario governativo, già nominato, sarà stato immesso nelle sue funzioni.
Persone: ci sono tre persone autorevoli dell’Ufficio del lavoro. Non mi interessano gli impresari: questi sono cenci che volano. Quello che mi interessa sono i funzionari dell’Ufficio provinciale del lavoro che furono immediatamente messi a disposizione. Non si possono ancora prendere provvedimenti contro di loro per la stessa ragione che ha detto l’onorevole Canevari. Cosa è successo? Non possiamo commentare.
Può pensarci l’amico Gullo, se crede; quei signori hanno creduto di potere, ed hanno potuto effettivamente, trasformare il Consorzio in una società qualsiasi: hanno trovato un giudice di tribunale che ha omologato nel giro di 48 ore la trasformazione; al commissario non è rimasta che una cosa sola: appellarsi contro la decisione, onde poter essere immesso nelle proprie funzioni e indagare e vedere quali sono stati gli utili, devolverli a chi di dovere, e vedere quali altre eventuali responsabilità ci possono essere. Aspettiamo questa sentenza; quando verrà, se sarà favorevole – come oso sperare – il commissario entrerà in funzione, farà le sue indagini, determinerà le responsabilità e il Ministero prenderà i dovuti provvedimenti.
Quindi, da parte del Ministero dei lavori pubblici: esclusione di quelle persone, di quelle imprese, da ogni lavoro presente e forse anche futuro; da parte del Ministero del lavoro: allontanamento dei funzionari, che pure hanno rivendicato la loro posizione, sostenendo di aver agito in buona fede, in attesa dei provvedimenti che potranno essere definitivamente adottati dopo l’esito delle indagini del commissario.
Ma se non è vero dei 300 milioni, se non sono esatti i dati dei danni, il danno morale – ha ragione l’onorevole Canevari – è grave.
La legge sulla cooperazione, che spero di portare presto alla Costituente, dovrà impedire questi fatti, perché altrimenti avverrà sempre che quando una cooperativa o un consorzio di cooperative si trovano in cattive condizioni, si trasformano in società che la legge e il Ministero del lavoro non possono controllare. L’onorevole Canevari non può fare il torto al Ministero dei lavori pubblici, da me diretto allora e dopo, di sentire poco questo problema. L’onorevole Canevari sa che abbiamo lavorato tanti anni insieme nella cooperazione, e senza prendere stipendi, ventisette anni fa, perché credevamo e crediamo che la cooperazione sia un elemento fondamentale, per ragioni morali e materiali, della classe operaia, e un elemento utile allo Stato.
Questi concetti, onorevole Canevari, mi hanno ispirato nella mia politica dei lavori pubblici, e mi ispirano nella mia politica attuale del lavoro. Infatti, fin dal settembre 1945, al mio primo Ministero dei lavori pubblici, ho preso posizione a favore delle cooperative. Non dimentichiamo, però, onorevole Canevari, che noi veniamo dopo 25 anni di regime totalitario, quando non c’è nulla di attrezzato: le cooperative si improvvisano, i consorzi si improvvisano; e il Genio civile facilitava queste cooperative improvvisate.
Io speravo che l’onorevole Canevari dicesse ciò; ma siccome egli non l’ha detto, lo dico io: che, se a Roma si è verificato questo increscioso episodio, tuttavia in quasi tutte le parti d’Italia i migliori lavori e le migliori condizioni sono state fatte dalle cooperative di lavoro.
Qual era la base su cui, nel settembre del 1945, io invitavo il Genio civile a favorire le cooperative? Eccola: «Procedere all’appalto alle cooperative col metodo delle trattative private – escludevo quindi le imprese – o delle licitazioni private nell’ambito provinciale o comunale, sempreché si tratti di autentiche cooperative, che non servano a mascheramenti di privati speculatori; ogni possibile aiuto deve essere dato ad esse affinché possano affermarsi in questo periodo di ripresa o di inizio di cooperativismo».
Quindi, fin da allora si trattava di decidere se queste cooperative erano autentiche cooperative.
Ritornato un anno dopo ai lavori pubblici, il 19 ottobre – e questo l’onorevole Canevari lo ha detto – egli deve darmi atto che avevo già intuito il fatto. L’onorevole Canevari venne da me il 21 novembre; e io, quando mi venne a chiedere il controllo, gli feci vedere la mia circolare – che ho perfezionata in base ai suoi consigli – con la quale chiedevo il controllo, oltreché provinciale delle Camere del lavoro, della lega delle cooperative. Scrivevo infatti il 19 ottobre: «Le cooperative, i consorzi, ecc., che si presumono fittizi – e quindi prima che arrivasse la denuncia del lavoro – in quanto mascherino interessi privati di speculatori che vogliono assicurarsi i vantaggi accordati alle cooperative dalle leggi vigenti devono essere escluse assolutamente dalle trattative private; e ciò in attesa che una legge, attualmente in corso, detti norme più compiute e armoniche per determinare la moralità delle cooperative stesse. E poiché le cooperative, i consorzi, ecc. assumono trattative private… ecc. richiamo la rigida applicazione ecc… confermo, ecc.», e continuavo, sempre su questo tono, che dovevano essere aiutate le cooperative.
E il 19 novembre, ossia due giorni prima del nostro incontro, avevo appunto preparato una circolare, in cui dicevo: «Siccome mi risulta che in alcune provincie ci sono cooperative fittizie che mascherano privati interessi, ecc., dispongo che le Commissioni provinciali costituite in base alla legge del 1911 ecc. ecc.». Esaminavo la posizione delle singole cooperative e procedevo in conseguenza ecc. ecc. E continuavo che per agevolare il compito delle commissioni occorrevano due esperti: un rappresentante della Camera del lavoro ed un rappresentante dell’Associazione delle cooperative. Una circolare ancora più forte la feci il 30 novembre, in cui intimavo assolutamente il controllo di queste cooperative.
Come vede l’Assemblea è doloroso l’episodio dal lato morale, ma non ha conseguenze – almeno a quanto risulta attualmente – come dice l’onorevole Canevari, dal lato finanziario, perché, caso mai, il debito delle 200 mila lire, che queste cooperative hanno verso lo Stato, è garantito dallo sbloccamento dei 4.800.000 mila lire. Per avere ragione bisogna arrivare fino in fondo e scoprire ulteriori responsabilità.
L’Assemblea può essere dunque tranquilla, perché gli Uffici del lavoro ed il Ministero dei lavori pubblici sono concordi nel favorire le cooperative, ma concordi nel senso che esse siano formate da autentici lavoratori e siano fatte nell’interesse dello Stato e della classe operaia. La nuova legge avrà il merito di assicurare queste condizioni.
Siccome si parla di lavori a regìa, sarebbe opportuno che i due fenomeni fossero collegati.
Mi permetta il Presidente dell’Assemblea di divagare un momento per dire brevemente (in risposta anche all’onorevole Sullo, che l’altro giorno si è lamentato perché non gli ho risposto) di questo scandalo dei 300 milioni, di questo fenomeno dei lavori a regìa della città di Roma, e di chiarire le eventuali responsabilità.
Il lavoro a regìa non è un lavoro bandito, escluso dalle attività dello Stato. Molti enti pubblici lo usano, ed efficacemente: ad esempio, il Ministero delle ferrovie. Il lavoro a regìa permette di poter eseguire i lavori nelle migliori condizioni, quando la maestranza è veramente qualificata e quando le imprese esercitano lodevolmente la loro attività.
Che cosa si è verificato a Roma? Si è verificato che nel mese di maggio – ancora prima del mio primo Ministero – sono arrivati dei reduci, dei prigionieri, dei combattenti che avevano immediato bisogno di lavoro. Allora, il Genio civile ha incominciato i primi lavori a regìa. Io non riferirò sul risultato dell’inchiesta, perché devo discutere col Governo di questi dati; per quello che riguarda l’Assemblea, io fin d’allora, siccome mi ero persuaso che ci fossero 1600-1700 operai che lavoravano a regìa ed il cui andamento non poteva dare notevole risultato, cercai, appena si manifestò questo movimento, di stroncarlo. I rapporti dicono che il Genio civile non poteva ancora, o sosteneva che non poteva ancora, stroncare questo lavoro.
L’inconveniente grande è avvenuto quando incominciarono ad arrivare a Roma tutti i giorni migliaia di reduci, di soldati, di combattenti che per otto, nove anni non avevano mai lavorato e che adesso volevano vivere. Tutti i giorni il Genio civile dava lavoro a questi disgraziati, a questa gente che non voleva nemmeno il sussidio, per evitare disordini ed anche per evitare reati comuni. E la Camera del lavoro e l’Ufficio del lavoro tornavano sempre giustamente in materia. Io ero allora Ministro degli interni, finché il 17 luglio 1946 riassunsi il Ministero dei lavori pubblici. Avevamo allora 45-46 mila operai, parte a misura e parte a regìa. Con la regìa voi tutti sapete che si lavorava poco o niente. Questi operai a regìa venivano quindi ad inquinare anche i lavori a misura, perché era logico che gli operai a misura, vedendo i loro compagni a regìa che lavoravano poco, erano indotti a non lavorare.
Il 25 luglio, cioè otto giorni dopo che avevo assunto il Dicastero, pur non risultandomi nessuna responsabilità da parte di nessuno, cambiai di colpo il provveditore, il viceprovveditore e l’ingegnere capo con questa motivazione: Voi, dissi, siete involontariamente implicati nella regìa. Ho bisogno di tre nuovi funzionari che non abbiano questa corresponsabilità, e vi cambio.
E il 29 luglio, nell’insediare il nuovo provveditore, il nuovo viceprovveditore e il nuovo ingegnere capo, diedi ordini tassativi che fosse stroncata decisamente la regìa. Ma il problema non era facile. Mi accorsi dopo pochi giorni che la regìa continuava ad esistere e che non era eliminata. Me ne preoccupai subito e con circolare tassativa del 6 agosto scrivevo queste precise parole:
«Ai provveditori di tutta Italia. – Abbiasi peraltro tassativamente presente che non consento esecuzioni lavori non rispondenti effettive necessità ricostruzione economiche nazionali, né che si adottino sistemi a regìa».
In tutta Italia la regìa che si era verificata in alcune zone, era sparita con risultati favorevoli. L’8 agosto, e quindi prima ancora delle campagne giornalistiche, scrivevo al Ministero dell’interno, al Ministero del lavoro ed alla Confederazione invitandoli ad aiutarmi a vincere le difficoltà e chiedevo aiuto per indurre ed obbligare questi operai a fare le otto ore al giorno.
La battaglia non fu vinta, ed allora, il 3 settembre, presi un provveditore che veniva dall’Africa italiana (qui qualche giornale ha detto che avevo fatto ciò perché non mi fidavo dei miei funzionari; no, dei miei funzionari io mi fido, perché devo dire che, salvo rare eccezioni, i funzionari dei lavori pubblici fanno la fame, ma sono onesti); e non lo presi nel Ministero per non creare incompatibilità; e questi mi fece rilevare che la regìa continuava con tutte le conseguenze.
Il 3 settembre ebbe l’incarico, il 5 giugno mi diede la relazione e il 7 settembre io scrivevo al provveditore di Roma e delle altre regioni: «Malgrado tassative disposizioni da me impartite e malgrado la mia circolare telegrafica del 6 agosto e malgrado istruzioni verbali, risulta ancora l’esecuzione di lavori a regìa. Poiché non posso ulteriormente tollerare che si prolunghi in tale andamento di lavoro, richiamo alla rigorosa osservanza delle mie istruzioni ed ordino che si provveda immediatamente, senza indugio, a trasformare i cantieri a regìa in cantieri a misura».
Persuaso che il secondo provveditore non avesse l’energia necessaria per trasformare la regìa, anche perché ciò non era facile – ed i fatti del Viminale lo hanno dimostrato e i fatti attuali lo dimostrano – cambiai il detto provveditore, mettendone uno veramente energico, per trasformare questa regìa. Ed ai primi d’ottobre, finalmente il piano di trasformare la regìa a misura si stava attuando. Il 7 ottobre convocai nel mio ufficio i vari funzionari e diedi ordini tassativi per trasformare gradualmente la regìa a misura.
Poi è successo quel che è successo, perché era fallito il sistema, e degli ingegneri ed un competente come l’onorevole Canevari lo possono comprovare: la trasformazione dei cantieri da regìa in misura si era dimostrata fallace, perché lo stesso operaio che prima non lavorava a regìa, continuava a lavorare nello stesso modo, quando si trattava di lavoro a misura.
Allora, come dissi, il 7 ottobre diedi ordini precisi per la trasformazione graduale di questi cantieri da regìa a misura, per cui prima si licenziavano gli operai dal cantiere a regìa e nel termine di sei giorni venivano riassunti dagli altri cantieri a misura.
L’inchiesta della polizia sui fatti del Viminale ha stabilito che si è equivocato sulla parola licenziamento. È successo quello che è successo. Gli avvenimenti del 9 ottobre sono stati dolorosi, essi si sono verificati malgrado che, prima ancora di partire per Palermo per accompagnare il Presidente della Repubblica, dessi disposizione di non licenziare nessuno. Tali avvenimenti hanno disturbato questa trasformazione, creando il danno che voi tutti sapete. Il 9 ottobre la situazione si è aggravata, perché purtroppo la parte sana, la maggioranza dei lavoratori romani, che voleva aiutarmi in questa trasformazione, si è trovata menomata dalla parte minore, da una piccola percentuale di operai che non voleva saperne di trasformazione e purtroppo la stampa non ci ha aiutato; ed ancora adesso che si sta trasformando la regìa in misura, si legge sui giornali l’invito di non licenziare gli operai.
Ebbene, io dico chiaro e tondo, anche a costo di farmi disapprovare da voi dell’estrema sinistra, che ho dato ordine che gli operai che non vogliono lavorare debbono essere licenziati. Gli operai hanno diritto di lavorare, ma devono lavorare; e come ho dato ordine di punire tutte le imprese che hanno favorito la regìa (c’è un elenco di imprese che saranno cancellate dall’Albo), come ho dato ordine, e lo ha ripetuto il mio successore, di licenziare determinati funzionavi ed ingegneri che non si sono comportati con l’energia e la scrupolosità necessarie, così io dico che la regìa si trasformi in misura. Ho detto al Genio civile di continuare imperterrito nel suo lavoro; gli operai devono effettivamente lavorare. E le imprese che non attuano la trasformazione devono essere radiate dal l’Albo dei costruttori e denunciate all’Intendenza di finanza per i super guadagni.
Però la trasformazione non poteva essere attuata con la bacchetta magica. Il Genio civile, in poco tempo, ha preparato circa 250 nuovi progetti; e per attuare gradualmente la trasformazione da regìa a misura si spostavano piccoli gruppi di operai.
Questo lavoro si poteva cominciare il 20 dicembre. Ma eravamo alla vigilia delle feste e temevamo altri disordini. Devo dire che l’amico Corsi mi ha aiutato in modo lodevole. Abbiamo disposto delle ricerche all’anagrafe per accertare la posizione degli operai e per conoscere quanti non fossero di Roma. Siamo riusciti ad obbligare gli operai a stare nei cantieri ed a rispettare l’orario delle otto ore.
La battaglia doveva iniziarsi l’8 o il 9 di gennaio. Ma, dato che il Presidente del Consiglio si trovava in quel periodo in America e temevo che eventuali disordini a Roma avrebbero potuto impressionare l’opinione pubblica e disturbare l’azione che il Presidente stava svolgendo, attesi il suo ritorno. Subito dopo l’arrivo del Presidente del Consiglio, il giorno stesso convocai i funzionari del Genio civile ed immediatamente iniziai l’azione per debellare la «regia». Se non ci fossero state le piogge di questi giorni, il sistema della regìa si sarebbe potuto considerare finito completamente; ma si può dire virtualmente finito, sol che il Governo e la stampa aiutino il Ministero.
Intanto, i 25 mila operai sono meno che dimezzati; per i 21 mila operai a regìa, ho creato nuovi lavori a misura per 22 mila, con un piano graduale di appalto che ho qui sotto gli occhi, il cui rinvio di qualche giorno devesi alle piogge.
Come Ministro – e lo dico come cittadino onorato della Repubblica – ho bloccato tutte le energie, minacciando anche con la forza armata. Quella della «regìa» è stata la battaglia più dura.
Lavori utili o improduttivi. Qui non sono d’accordo con molti oratori.
Intanto, c’è poco da discutere. Questi operai che hanno fatto dieci anni di servizio militare in Etiopia, in Albania, in Spagna, in guerra, cosa potevano fare? O li lasciavamo andare per le strade, e purtroppo c’era il pericolo che commettessero dei reati, o li impiegavamo in questi lavori per poterli a poco a poco, come ora avviene, portare ad un utile rendimento. Non dimentichiamo che la gran forza d’Italia è il lavoro manuale e il lavoro intellettuale.
Abbiamo istituito i cantieri scuola per gli operai. E ho il piacere di dire, coi documenti alla mano, che oggi molti cantieri di Roma, dove prima si facevano soltanto 0,30 oppure 0,60 metri cubi al giorno, oggi fanno 4 o 5 o 6 metri cubi al giorno.
Non tutto è sanato, ma c’è una parabola che sale rapidamente, sicché fra non molto a Roma, come già è avvenuto nelle Puglie e anche a Torino, la maestranza renderà come rende altrove.
Ma lavori utili o lavori improduttivi? Movimento di terra: erano operai che non sapevano far altro. Mi assumo la completa responsabilità di questi lavori non predisposti da me, ma studiati dal Genio civile. Del resto non li ho inventati io. Se noi avessimo fatto lavori di opera d’arte, come ho tentato di fare, ci saremmo trovati nella condizione di avere mancanza di operai qualificati e di materie prime. Perché questa è la tragedia: a Roma ci sono 65 mila operai disoccupati; se invece fossero 70 mila, di cui 5 mila qualificati, noi avremmo risolto il problema della disoccupazione di Roma, perché i 5 mila qualificati renderebbero possibile il lavoro dei non qualificati. E si potrebbero costruire case con maggiore rapidità.
Ecco un esempio tipico: quello dei lavori del Tevere, e mi dispiace che non ci sia l’onorevole Nobile che ha fatto una critica cortese al riguardo. Se non li avessimo fatti pulendo, allargando la sezione, creando degli argini, i dolori che le piogge più che eccezionali hanno dato in questi giorni sarebbero stati gravissimi, incalcolabili sarebbero stati i danni. E se il mio successore continuerà questa politica dei lavori del Tevere e farà, se lo riterrà opportuno, l’impianto idroelettrico di Castelgiubileo, con relativo invaso, da me predisposto, io posso dire che noi avremo fatto in modo – e parlo da tecnico – che le inondazioni di Roma non ci saranno mai più per l’avvenire. Ed è strano che i nostri predecessori non abbiano mai pensato a sistemare il Tevere così a valle come a monte e a preparare il progetto di Castelgiubileo, che permetterà di regolare le piene. Se ciò si farà, noi verremo a garantire che Roma non sarà più allagata, e non si verificheranno più gli immensi danni che si sono verificati ora.
Si capisce che se si muove la terra, che se le strade vanno sistemate, si determina il fango. Ma qui c’è un altro inconveniente. Tutti i colleghi che girano per l’Italia sanno che quasi tutti i paesi hanno le strade di circonvallazione: soltanto Roma non le ha, e dobbiamo vedere gli autotreni passare nel centro della città recando grave danno al traffico. Ma entrate a Torino, a Milano: vi sono strade di circonvallazione larghe 30-40 metri; si arriva ad un piazzale e di là partono sei, sette strade per il centro. Soltanto a Roma non è così.
Io mi vanto dunque di aver preparato, di aver predisposto questo importante movimento di terra. È un problema fondamentale della vita economica. Così, le altre strade: perché non ci sono le strade? Perché il Comune di Roma si è sempre ridotto a costruire le case e poi a fare le strade; per modo che, noi oggi, cari amici, abbiamo anticipato. Tanto che il nuovo Comune non ha fatto altro che sanzionare, nel suo piano regolatore, queste strade che noi abbiamo aperte. Mi permetterete un confronto: e non lo faccio con la mia persona, perché, per carità! sarebbe ridicolo.
Cavour, nel 1849, trovò il Piemonte disastrato, rovinato. Ebbene, egli rifece le strade, quelle strade meravigliose fatte da Cavour, che era un grande ingegnere, non con tutti i passaggi a livello che ci hanno dati i Ministri delle ferrovie italiane, ma la prima strada ferroviaria a doppio binario – la Torino-Genova – da lui voluta senza un passaggio raso, cioè a livello. Poiché la maldicenza vi era anche allora, sorse la diceria che Cavour faceva quelle strade per favorire amici e parenti: e invece faceva la salvezza del Piemonte. Simili lavori si fanno quando c’è la disoccupazione. Diceva bene l’onorevole Tremelloni, che nel 1950 sarà sanato il bilancio economico del Paese e non ci saranno più disoccupati. E perciò questi lavori si fanno oggi che c’è la disoccupazione. Io spero che il mio successore continui in quest’opera.
E le case? voi dite. Ma io ho dato tre miliardi per le case e ho dovuto diffidare gli stessi dirigenti delle case popolari e dell’Incis che, se non facevano rapidamente, li toglievo dalle rispettive cariche. Ma mancano gli operai, mancano le materie prime; ed allora, onorevole Nobile, questi lavori non sono lavori improduttivi; possono essere, caso mai, lavori intempestivi, che daranno imbarazzo al mio successore, perché adesso queste strade bisogna sistemarle, asfaltarle. Si farà poco per volta, ci penseranno i cittadini romani, ci penserà il Governo, e penserà a sistemare la città di Roma nelle vere condizioni di sviluppo economico e produttivo di cui abbisogna. Quindi, non parliamo di lavori improduttivi, di scandali, di regìe, di imprese che hanno mancato. Ormai posso dire che queste imprese saranno torchiate inesorabilmente e che quindi ripeteremo quello che fu tolto; ma i lavori furono fatti e i lavori si faranno. L’unica cosa da chiedere a voi e alla stampa è di aiutare il Governo in quest’opera. Il Genio civile vuol licenziare; le cooperative vogliono licenziare. Io ripeto la frase dell’onorevole Ministro dell’interno: noi non licenziamo gli operai che lavorano; licenziamo quelli che non vogliono lavorare.
Mi dispiace che non sia presente l’onorevole Finocchiaro Aprile. Noi non abbiamo introdotto nessuna impresa nel Ministero dei lavori pubblici. Anzi, se io ho commesso un errore, è quello di non aver introdotto quelle imprese nel Ministero dei lavori pubblici. Ho cercato di fare, ho convocato le imprese a venire presso di noi perché mi aiutassero in questa battaglia, per eliminare quei costruttori che non sono produttori, ma sono degli affaristi. Mi sono trovato abbandonato, perché queste imprese minacciano di andare all’estero.
Io dico che l’Italia si salva solo col lavoro; non ha materie prime, ma ha cervello da vendere. I nostri operai, come mi diceva il presidente della Fiat, Valletta, pochi giorni or sono, sono i migliori del mondo; a Torino il loro rendimento è arrivato al 115 per cento. Anche a Roma, dove gli operai hanno intelligenza ed onestà, si deve arrivare a questo rendimento. Mi auguro che il mio successore abbia tutto il vostro aiuto per il conseguimento di questo nobile scopo, che in questo caso si compendia sul programma da me tracciato al Provveditorato delle opere pubbliche e cioè:
- a) eliminazione della regìa, oramai virtualmente finita;
- b) aumento del rendimento degli operai, oramai in corso, e notevole;
- c) conseguente riduzione dei prezzi di appalto, ossia del costo delle opere.
Ma di tutto ciò calcolo di avere occasione per parlarne o per scriverne pubblicando i dati relativi, da cui risulterà chiaro quanto il Ministro dei lavori pubblici ha fatto, e ciò dico a suo onore. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Canevari ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CANEVARI. Io ritengo che l’onorevole Romita mi debba esser grato per questa interpellanza che gli ha dato modo di esporre tante belle cose, di esporre addirittura un programma di Governo per i lavori pubblici, particolarmente nella Capitale; e credo che questo programma potrà esser preso in seria considerazione anche dal suo successore.
È vero quanto ha detto l’onorevole Romita: la trasformazione di quella società, trasformazione ideata per salvare l’utile che è stato accaparrato in seguito a lavori ottenuti illecitamente dallo Stato, è stata omologata dal tribunale di Roma con una diligenza ed una premura sorprendenti. Basti pensare che il 21 ottobre 1946, durante l’inchiesta promossa dal Ministero del lavoro, veniva steso l’atto da parte del notaio ed il 25 dello stesso mese il tribunale di Roma omologava la trasformazione. Noi abbiamo delle cooperative che attendono da mesi l’omologazione degli atti di costituzione, mentre in tre giorni si è ottenuta questa omologazione da parte del tribunale, che ha messo in difficoltà lo stesso Ministero del lavoro per il provvedimento che aveva adottato per salvare un patrimonio nell’interesse generale.
Prendo atto dell’affidamento e dell’impegno assunto dal Ministro Romita che il commissario sarà assistito dallo Stato, legalmente, perché possa esplicare in pieno il suo mandato.
I colleghi riconosceranno che io ho svolto l’interpellanza, non per fare del clamore intorno a questo disgraziato episodio, non per fare delle critiche acerbe e meno ancora per fare delle critiche personali. Riconosco, come sempre ho riconosciuto, nell’onorevole Romita un amico della cooperazione e ne ho avuta la prova non appena egli è stato assunto al Ministero dei lavori pubblici. Però lo stesso onorevole Romita dovrà riconoscere che era doveroso da parte mia che me ne occupassi, particolarmente per la posizione mia nel campo della cooperazione, davanti alle critiche che in relazione a questo fatto si facevano nell’opinione pubblica e per il fatto che anche la stampa se ne era occupata; e anche per altre considerazioni, cioè che questo pseudo Consorzio ha potuto stipulare ben dieci contratti, senza che risultasse la sua illegalità, quando si sa che per ogni contratto bisogna presentare la documentazione della costituzione della società appaltatrice.
È quindi lecito da parte mia di domandare ai Ministri responsabili come mai per un anno, e con dieci contratti, non hanno trovato la maniera di scoprire il falso e la truffa esercitata da questa gente ai danni dello Stato. Sì, ai danni dello Stato. Perché, se questi fatti (e il Ministro lo ha riconosciuto) sono stati scoperti, ciò è avvenuto in seguito ad una inchiesta fatta da parte dal Ministero del lavoro; altrimenti la cosa sarebbe andata avanti ancora per quest’anno,
Mi era stato anche riferito erroneamente in un primo tempo che questo pseudo Consorzio avesse eseguito pure dei lavori per 300 milioni a regìa. Il fatto è che i contratti sono cessati quando è intervenuto il provvedimento del Ministero del lavoro con la nomina del commissario.
Il Ministro Romita ha promesso, e si è impegnato a questo riguardo, di presentare prossimamente e nel più breve tempo possibile, la nuova legge sulla cooperazione.
ROMITA, Ministro del lavoro e previdenza sociale. La legge è già pronta, onorevole Canevari.
CANEVARI. Io vorrei chiudere questa mia breve esposizione pregando l’onorevole Romita di voler dare corso intanto a quei provvedimenti che sulla cooperazione sono stati predisposti dal suo predecessore e ciò in attesa che la nuova legge sia emanata al più presto. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Segue l’interpellanza presentata dagli onorevoli, Colonnetti, Alberganti, Ambrosini, Arcaini, Arcangeli, Bargagna, Bellavista, Bettiol, Bianchi Bianca, Binni, Bonino, Bulloni Pietro, Calamandrei, Calosso, Cappi, Caristia, Caso, Cavallotti, Cianca, Codignola, Cosattini, Einaudi, Ermini, Fanfani, Ferrario, Celestino, Foa, Fornara, Giacchero, Giua, Gortani, Gui, Jacini, La Pira, Leone Giovanni, Lettieri, Lombardi Riccardo, Lucifero, Lussu, Marchesi, Martinelli, Martino Gaetano, Mattei Teresa, Medi Enrico, Mortati, Musotto, Pajetta Giancarlo, Pecorari, Pesenti, Pieri Gino, Pignedoli, Ponti, Riccio Stefano, Rivera, Rodinò Ugo, Schiavetti, Tomba, Tosato, Tosi, Valiani, Valmarana, al Governo, «per sapere se – accogliendo finalmente le ripetute istanze del Consiglio nazionale delle ricerche, i voti unanimi dei Corpi accademici e degli studiosi, nonché l’esempio dei Paesi più consapevoli e progrediti – intenda dare adeguato e stabile finanziamento alla ricerca scientifica, necessaria non solo per il progresso culturale e spirituale, ma anche per l’urgente ricostruzione e per l’invocato sviluppo economico nazionale».
L’onorevole Colonnetti ha la facoltà di svolgere l’interpellanza.
COLONNETTI. Onorevoli colleghi, nel suo programma di Governo, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha fra l’altro dichiarato che «lo Stato si propone di aumentare i suoi sforzi finanziari per venire incontro alle disagiate condizioni dell’alta «cultura».
Nel prendere atto di questa dichiarazione, che risponde alle più vive aspirazioni ed alle più urgenti necessità del nostro mondo universitario, un solo dubbio ci assale, ed è che essa abbia a restare, contro la volontà stessa dell’onorevole De Gasperi, lettera morta. Perché non è la prima volta che affidamenti del genere ci vengono concessi.
Esattamente un anno fa, in occasione di una solenne assemblea dei Comitati del Consiglio nazionale delle ricerche, ad un mio accorato appello in difesa degli interessi dell’alta cultura, il Presidente del Consiglio rispondeva personalmente, dichiarandosi «pienamente consenziente», ed aggiungeva: «Il Governo sa che le spese che si fanno per aiutare la ricerca scientifica sono feconde, e non può non auspicare che l’opera iniziata dal Consiglio nazionale delle ricerche sia continuata ed intensificata per il maggior prestigio nostro all’estero, e perché all’interno si acceleri il ritmo della ricostruzione.
«Per il raggiungimento di quest’altissimo compito il Governo non negherà certamente il suo aiuto».
E che il Presidente del Consiglio fosse, allora come ora, animato da così nobili intenzioni e da una così illuminata e larga visione degli interessi supremi del Paese, lo dimostra il fatto che, pochi mesi dopo, per sua stessa personale iniziativa, consenziente il Ministro del tesoro onorevole Corbino, un decreto legislativo veniva approvato dal Consiglio dei Ministri «per la realizzazione di un programma di organizzazione scientifica che dia incremento all’attività sperimentale degli Istituti e dei Laboratori esistenti, nonché per il rafforzamento e la istituzione di nuovi organi di ricerca».
Con quel decreto veniva autorizzato, a favore del Consiglio nazionale delle ricerche, un contributo straordinario di 200 milioni di lire.
Ora, quel decreto, promulgato il 25 maggio 1946, registrato alla Corte dei conti il 7 giugno, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 10 stesso mese, non ha avuto nessun seguito. Non un soldo, dico non un soldo, di quei 200 milioni, è stato versato al Consiglio delle ricerche; ed oggi, dopo molti mesi di poco eleganti tergiversazioni, gli organi competenti del Ministero del tesoro dichiarano che, per l’avvenuta chiusura dell’esercizio, quel decreto è decaduto e mi invitano a presentare alla Presidenza del Consiglio una nuova richiesta. (Commenti).
In occasione della recente crisi, l’onorevole De Gasperi ha più di una volta detto di voler costituire «un Governo che governi», ed io amo credere che tale sia nelle sue intenzioni quello che egli ha effettivamente costituito, e penso che un tale Governo questo dovrebbe, per lo meno, proporsi: che le leggi che fa vengano eseguite.
Ad ogni buon conto, la nuova richiesta che la sua burocrazia mi costringe a rivolgergli, ho voluto rivolgerla in questa sede, perché resti una durevole traccia del modo con cui le cose si sono svolte e perché vengano una volta per tutte precisate dinanzi a voi, onorevoli colleghi, e dinanzi al Paese, le responsabilità che dall’accoglimento o meno della mia istanza possono derivare a ciascuno di noi.
Sta di fatto che, tra le tante rovine a cui dobbiamo porre riparo, ve ne sono di quelle che, pur avendo una profonda incidenza sulla vita nazionale, sono meno appariscenti, sono meno immediatamente sentite, perché meno direttamente connesse ai bisogni quotidiani, e di cui perciò pochi si preoccupano.
Sono quelle che si sono verificate nel campo della ricerca e degli studî, e che non consistono soltanto nella distruzione di istituti, di attrezzature, di biblioteche, ma nella menomazione di attività culturali in dipendenza della prolungata interruzione dei nostri rapporti con gli ambienti culturali esteri, della perdita o dell’allontanamento di molti uomini di studio, delle condizioni economiche in cui sono oggi ridotti uomini ed istituti che pure ci sono rimasti.
Devo dire subito che io non sono di quelli che pensano che agli studiosi debbano farsi posizioni di privilegio e che la loro opera non possa esplicarsi se non in istituti ricchi e grandiosamente attrezzati.
Tutta la storia del nostro pur cospicuo contributo al progresso delle scienze e delle arti sta a dimostrare che questo contributo non è mai stato dovuto all’opulenza dei mezzi, ma al valore intrinseco, alla sincerità di vocazione, allo spirito di abnegazione dei nostri uomini di pensiero. In mezzo alle difficoltà e nello spirito di sacrificio sono in questa nostra terra maturate cose grandi ed idee nuove.
Ma vi è un limite a tutto; un limite al di sotto del quale la stessa vita di studio riesce compromessa, perché allo studioso vengono a mancare gli strumenti del suo lavoro, e quella serenità d’animo che è il presupposto di ogni attività di pensiero. Quando si varca questo limite, la migliore buona volontà può riuscire impotente, e nessuno ha più diritto di meravigliarsi se gli stessi più innamorati della scienza abbandonano sfiduciati il loro compito, si ritraggono da uno sforzo diventato sterile, o si volgono verso altri Paesi, dove i mezzi indispensabili non siano loro negati.
Bisogna poi tener conto del fatto che la ricerca scientifica non è più oggi, come fu per tanto tempo, l’opera silenziosa e nascosta dello studioso isolato: essa si svolge oggi prevalentemente in grandi complessi, in cui la collaborazione di ricercatori diversi è elemento essenziale. È intervenuta nel campo della scienza una profonda evoluzione di metodi, le cui conseguenze sono del tutto paragonabili a quelle che nel campo della produzione si sono verificate all’atto del passaggio fra l’artigianato e la grande industria. E la ricerca scientifica ha, in certi settori, assunte alcune delle caratteristiche della grande industria; e, come la grande industria, vuole essere organizzata e richiede mezzi ingenti.
Il perché delle somme enormi che i Paesi più progrediti hanno destinato e stanno destinando alla ricerca scientifica non lo si deve andare a cercare in un mecenatismo idealistico e disinteressato, bensì nella constatazione che è assai più economico affrontare con larghi mezzi la soluzione di certi problemi fondamentali, che non attendere tale soluzione dall’opera slegata e indipendente di ricercatori isolati.
Esempio tipico il caso dell’energia atomica, a proposito del quale informazioni precise e attendibili mi permettono di dirvi oggi che il problema della produzione dell’energia atomica per uso industriale è ormai risolto; e risolto, badate bene, non già soltanto sul piano scientifico, ma anche sul piano economico; cioè in termini tali da far prevedere non solo possibili, ma prossime attuazioni pratiche.
Gli studi relativi vengono febbrilmente condotti in diversi Paesi, alcuni dei quali in condizioni assai simili alle nostre: mancanza di carbone e di olii minerali; industria ed economia domestica basate sempre più sull’uso dell’elettricità, con conseguente insufficienza di bacini e di impianti idroelettrici.
Ed un’altra notizia vi interesserà forse di conoscere, ed è che dagli esperti non è più considerata come proibitiva l’assenza di giacimenti di uranio.
Considerazioni analoghe possono del resto farsi a proposito dei più diversi settori dell’attività scientifica: dal campo della biologia, dove urge far convergere gli sforzi verso la ricostruzione e la difesa del nostro patrimonio zootecnico, e verso l’incremento della nostra produzione agricola di qualità, al campo della tecnica delle costruzioni, dove il più modesto progresso realizzato nei metodi di calcolo e nel più razionale impiego dei materiali può determinare un’economia di materie prime capace di ripagare ad usura tutti i sacrifici che potremmo fare per il finanziamento della ricerca scientifica.
Sta di fatto che l’avvenire del nostro Paese, la sua futura posizione fra i popoli civili, le possibilità di lavoro e le condizioni di vita delle nostre masse lavoratrici, possono dipendere dalla silenziosa e nascosta attività di pochi uomini di studio.
Persino la sorte di quelli dei nostri fratelli che restano o che dovranno recarsi fuori dei confini della patria – ospiti volontari o forzati di altri popoli – può dipendere dal valore della nostra produzione scientifica, perché solo un’Italia il cui prestigio si estenda al di là dei confini può rendere onorato e rispettato ogni uomo che porta il nome di italiano; perché solo la sovranità del prestigio non conosce confini né può essere menomata da iniqui trattati. (Applausi).
Ora, l’Italia, vinta sul terreno militare, avvilita sul terreno diplomatico, non è una Nazione vinta nel mondo dell’intelligenza.
Si tratta di sapere se, per una gretta e malintesa economia, essa vuole ora rinunciare a quel posto d’onore nel mondo della cultura ed a quel primato che i secoli le hanno attribuito, e che l’intelligenza e lo spirito di sacrificio dei suoi figli migliori possono conservarle. Si tratta di sapere se per salvare un bilancio deficitario essa vuole rinunciare a quella che è stata sempre e che può continuare ad essere la ragione prima della sua grandezza: la superiorità sul piano dello spirito.
Del resto, non si tratta qui neppure di intaccare il precario equilibrio del nostro bilancio, ma semplicemente di vedere se i numerosi miliardi che spendiamo non li potremmo, per avventura, spendere meglio.
Ho già avuto occasione di denunciare pubblicamente l’intollerabile squilibrio fra le nostre spese militari che ammontano, in sede di bilancio preventivo, a 91 miliardi di lire, ma che in pratica stanno superando di parecchio i 100 miliardi, e quei 350 milioni che sono stati nominalmente assegnati alla ricerca scientifica, e che in pratica, per le ragioni che ho dette, si sono poi ridotti a solo 150.
Ma qui a voi, onorevoli colleghi, voglio dire qualcosa di più concreto e di più preciso; e perciò non mi riferirò alle spese militari in genere, bensì a quelle che i Ministeri militari sopportano per le loro scuole, cioè per quelle Accademie nelle quali vengono preparati i futuri ufficiali dell’esercito e della marina.
Da notizie direttamente fornitemi dai Ministeri stessi, risulta che il finanziamento dell’Accademia militare è stato quest’anno predisposto in vista di una popolazione scolastica di 250 allievi, per ciascuno dei quali si prevede una spesa giornaliera di lire 1191. Nell’Accademia Navale di Livorno, per una popolazione scolastica di 290 allievi, si è preventivata una spesa giornaliera di oltre 2000 lire per allievo.
Ora, vi è nel nostro Paese una sola istituzione universitaria che per la struttura può in qualche modo paragonarsi alle accademie militari, ed è la Scuola Normale Superiore di Pisa; scuola di alta classe, di gloriose tradizioni, e dalla quale sono usciti uomini che nelle lettere e nelle scienze hanno onorato l’Italia.
Orbene, volete sapere a qual grado di pietosa miseria questa scuola è stata ridotta dall’azione fiacca e disorganica del Ministero della pubblica istruzione e dalla sistematica ostilità del Ministero del tesoro?
Secondo le informazioni trasmessemi dal direttore stesso della Scuola, la sua dotazione annua è oggi ancora quella che era dieci anni fa: 568.000 lire. Ripartita sui sessanta normalisti che la scuola è ridotta ad ospitare, questa dotazione si precisa nella cifra ai 40 lire al giorno per allievo – dico 40 lire – di fronte alle 2000 lire al giorno per allievo che lo Stato spende per la vicina Accademia di Livorno.
È bensì vero che il Governo ha promesso di quintuplicare le dotazioni universitarie, ma questa è soltanto una deplorevole mezza misura che documenta una volta di più la incomprensione da parte degli organi responsabili dei veri problemi dell’università italiana.
Nel caso concreto, quando questo provvedimento sarà stato attuato, ci troveremo a questo: che lo Stato spenderà per i 120 studenti universitari, che la scuola di Pisa potrebbe e dovrebbe ospitare, esattamente quello che spende per sei allievi dell’Accademia di Livorno.
Io lascio volentieri a voi, onorevoli colleghi, di giudicare se e fino a qual punto le spese che si fanno per preparare dei futuri ufficiali dell’esercito e della marina siano giustificate. Ma affermo – e confido che voi sarete concordi con me nell’affermare – che il Paese ha, in questo momento, almeno altrettanto, se non maggior bisogno di preparare, e di preparar bene, un ragionevole numero di fisici, di chimici, di ingegneri, di giuristi, di letterati, di biologi, di medici.
Affermo – e confido che sarete con me concordi nell’affermare – che queste élites del pensiero devono essere formate scegliendo i migliori fra i nostri giovani, senza pregiudizio di classe sociale o di condizioni economiche, in Scuole come quella di Pisa che urge far sorgere nei maggiori centri culturali a costo di qualunque sacrificio.
Perciò al Governo, e per esso al Ministro del tesoro, chiedo che, prima di opporre il solito rifiuto alle istanze del Ministro della pubblica istruzione e del Presidente del Consiglio delle Ricerche, prima di considerare queste istanze come altrettanti attentati alle finanze nazionali, le paragoni, queste istanze, nella loro entità e nella loro giustificazione, alle voci spesso ingiustificate ed ingiustificabili dei bilanci militari. Potrà così convincersi che l’uno od il due per cento di economia sulle spese militari potrebbe bastare per avviare a soluzione almeno i più angosciosi ed urgenti fra i problemi che oggi gli ho segnalati.
Dopo di che potrà anche se vuole, persistere nello sdegnoso rifiuto che i suoi uffici hanno predisposto. Ma mi permetta di dirgli, in nome di un’antica amicizia che alle mie parole toglie ogni possibile senso di critica ostile e conferisce il carattere di ammonitrice collaborazione, che nessuno potrà più tenergli per buone la solita scusa delle tristi condizioni delle nostre finanze.
Mi permetta di dirgli che se, in causa di questo rifiuto, questo nostro Paese, che fu già maestro di civiltà a tutte le genti, dovesse diventare soltanto un museo di monumenti e di memorie abitato da un popolo culturalmente arretrato, nessuno potrà scagionare da sì grave colpa chi avrà voluto questo, o chi, potendo, non l’avrà impedito. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Medi ha presentato la seguente interrogazione il cui contenuto è analogo a quello dell’interpellanza in discussione:
«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le provvidenze che intende adottare, affinché le scienze sperimentali, e in particolare le scienze fisiche, possano, in maniera adeguata al moderno sviluppo della ricerca, assolvere decorosamente al loro compito per la dignità morale e il maggiore progredire della vita della Nazione».
L’onorevole Medi ha facoltà di svolgerla.
MEDI. Il problema della ricerca scientifica va esaminato sotto diversi aspetti: morale, economico, storico. È proprio dell’umana natura l’indagine sui fatti e sulle cose. Quanto più la mente umana apre i veli del mondo che la circonda, tanto più essa si nobilita ed eleva. È una magnifica lotta non contro la natura, ma con la natura che si fa conquistare dall’uomo perché ne divenga il signore. Purtroppo è talvolta avvenuto che le conseguenze del sapere tecnico hanno procurato all’uomo tragedie e dolori. La responsabilità non è della scienza, ma di una mancata sapienza. Quando l’opera dell’uomo prende la mano al suo operatore stesso, questo si degrada; ma quando l’uomo rimane sempre il padrone delle opere sue, e le domina in tutti i settori, tecnico, economico e morale, allora ne trae benefici incalcolabili. Non è l’uomo fatto per servire la scienza, ma la scienza è al servizio dell’uomo, e l’uomo per adempiere i disegni di Dio. Lo studio di materie tecniche che col controllo di esperienze e realtà sensibili guida la ricerca nei più difficili sentieri, fortifica la mente e la capacità di penetrazione e di sano equilibrio.
Un vasto e profondo sapere scientifico, diffuso, per quanto possibile, anche fra le masse, è uno strumento di sanità morale. Poi l’opera dello scienziato non è frutto di lui solo, ma può efficacemente svilupparsi se con lui è tutto l’ambiente che lo forma, lo comprende e lo sostiene. Gli scienziati, come i geni e gli eroi, sono il prodotto della società, sono le bandiere da essi sostenute non isolate sulle vette del pensiero, ma portate lassù dal sacrifizio di tutto un popolo, e per questo ne sono un segno di gloria e di vanto.
La scienza non è un lusso, né un sopramobile nella casa dei popoli. È un necessario alimento per il loro sviluppo morale ed economico. Si può dire che gran parte delle cose delle quali gode oggi la vita sociale, sono nate nei laboratorî di chimica e fisica, e quasi germi di vita di nuove idee, sono sorte e cresciute in questi laboratorî. Uscendo da questi hanno preso sviluppo nelle applicazioni tecniche. È difficile trovare delle verità scientifiche che non abbiano avuto prima o poi un benefico impulso, anche nei campo dell’economia e dello sviluppo della civiltà, anche perché ognuna di esse è così intimamente legata a tutto il complesso che ne costituisce un anello o un ramo, da cui possono derivare i più imprevedibili sviluppi.
Una ragionevole indagine scientifica in qualsiasi campo è sempre utile e non è bene ostacolarla. Queste cose si dicono non perché la scienza vada pesata sull’arida bilancia dell’economia, ma perché anche da questo punto di vista venga considerata come altamente redditizia. È una branca che moltiplica in breve tempo, senza fallire, il capitale affidato. In fondo, l’uomo pur non essendo solo ӕconomicus, è anche legato alle necessità di un bisogno materiale. Possibile che per la strada calcata dai piedi si spendano miliardi e per le vie percorse dal pensiero si diano le briciole? Questo vuol dire che è meglio ragionare con i piedi. C’è, per esempio, una terza coordinata, nella quale possiamo penetrare in profondità. Penso in questo momento alla mia amatissima terra di Sicilia, dalla quale vorrei essere considerato come figlio. In fondo la maternità non è solo una questione di anagrafe, ma anche un problema di amore, e questo lo vorrei dire all’onorevole Finocchiaro Aprile, io che non sono siciliano e per questa isola vorrei dare tutte le mie opere e tutte le mie possibilità: una terra inesauribile e tanto poco conosciuta, forte di popolo, di energie e natura, di ricchezze del suolo, e forse e senza forse del suo sottosuolo. Ma va aiutata, sorretta generosamente, efficacemente, realizzando un completo ed ordinato piano di indagini geofisiche, con tutti i mezzi più moderni, elettrici, magnetici, sismici, con l’aiuto della geologia e della geografia, aprendo alla tecnica la possibilità di ottenere risultati economici, i cui valori voi stessi potete comprendere sono di una portata incalcolabile.
Occorrono osservatorî e centri di studio. Noi guardiamo in questo momento alla nostra posizione e a questa scienza che è uno strumento di storica grandezza. L’avere scoperto i positroni e i neutroni non è meno gloria di quella dei nostri padri, quando scoprivano nuove terre sperdute fra gli oceani. Le conquiste delle armi si fanno con il sangue degli uomini e si perdono fra le lacrime dei loro figli: le conquiste della verità e del bene si realizzano nel travaglio del pensiero e della volontà e non conoscono morte. Se non abbiamo eserciti lanciati a sconvolgere frontiere nemiche, è schierata dinnanzi a noi la grande compagine della natura, per la cui conquista tutti gli uomini si sentono fratelli. La nobiltà della nostra stirpe è messa a nuove prove, per queste vie sulle quali ancora una volta essa farà da guida, sarà di luce e avrà il suo grande posto nel consesso civile delle nazioni. L’Italia non si siede piangendo sui pianerottoli della storia. Essa vuol vivere e non vuole essere schiava dei tempi, ma costruttrice del tempo. Non è la storia che deve dominare i popoli; ma un popolo che ha vita, la nostra gente, balza avanti e crea la sua storia. Come nei passati secoli, riprendiamo sereni la nostra ascesa per le vie del pensiero e del bene, levando, segno di speranza nei tempi buoni che vengono, alto il vessillo della verità e della pace. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro, ha facoltà di rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Ministero del tesoro si rende ben conto della importanza delle ricerche scientifiche e dei bisogni dell’alta cultura, che sono stati prospettati così efficacemente dal Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, onorevole Colonnetti; cui si sono associati l’onorevole Medi ed altri onorevoli interpellanti.
Nessun rifiuto il Ministero del tesoro intende opporre alle giuste richieste che gli vengono fatte, per sodisfare queste esigenze. Quindi io posso tranquillare gli onorevoli interpellanti che noi non opponiamo affatto un fine di non ricevere.
Anche noi siamo deputati di questa Assemblea, anche noi partecipiamo all’ansia, alla preoccupazione che tutta l’Assemblea dimostra per le ricerche scientifiche e per i problemi dell’alta cultura.
Il Ministero del tesoro intende venire incontro alle esigenze dei varî organi, che nel Paese intendono occuparsi di questi problemi. E, a prova del suo buon volere, richiamo il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 settembre 1946, n. 137, che all’articolo 9 ha stanziato per il corrente esercizio finanziario lire 150 milioni per l’attività del solo Consiglio nazionale delle ricerche.
Ricordo ancora che, in seguito, appunto, alle promesse fatte dal Presidente del Consiglio l’anno scorso, ed in conseguenza del decreto legislativo 25 maggio 1946, che stanziava un contributo straordinario di lire 200 milioni, si trova in corso di approvazione una variazione di bilancio, che provvede all’assegnazione concreta di 50 milioni in conto di quei 200, che rappresentano il contributo straordinario (contributo che verrà erogato a mano a mano che il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche farà presenti le necessità al Ministero del tesoro).
Con questi due contributi – quello ordinario di 150 milioni annui e quello straordinario di 200 milioni, di cui è imminente il primo acconto di 50 milioni – e con l’avanzo di 42 milioni dell’esercizio finanziario del Consiglio nazionale delle ricerche chiusosi il 30 giugno, in altri termini con 392 milioni, il Ministero del tesoro ritiene che il Consiglio nazionale delle ricerche possa attendere senza gravi preoccupazioni allo sviluppo del proprio programma.
È vero, il Presidente del Consiglio lo scorso anno fece presente la necessità, il dovere dello Stato di venire incontro alle esigenze dell’attività scientifica. Ricordo però anche all’onorevole interpellante, e agli altri colleghi che a lui si sono associati nel prospettare le necessità finanziarie di quella attività, che il Presidente del Consiglio dovette pur giustificare la modestia degli stanziamenti a cui il bilancio dello Stato è costretto aggiungendo alle parole già ricordate dall’onorevole Colonnetti queste altre: «Il popolo italiano si trascina in questo momento carico di affanni attraverso stenti e privazioni verso l’erta della rinascita».
Queste parole l’onorevole De Gasperi riteneva necessario aggiungere quasi a giustificazione della modestia delle somme che lo Stato, in concreto il Ministero del tesoro attraverso il proprio bilancio, può dare in favore delle ricerche scientifiche.
Ad ogni modo stiano sicuri gli onorevoli interpellanti che queste esigenze sono sentite dal Ministero del tesoro, non meno che da tutte le altre amministrazioni, in conformità delle direttive del Presidente del Consiglio, da cui immediatamente dipende il Consiglio nazionale delle ricerche.
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Intendo innanzitutto sottolineare la mia piena adesione ai principî affermati sia dall’onorevole Colonnetti, sia dall’onorevole Medi, in fatto di soccorsi e di aiuti all’alta cultura.
Mi sembra però che sia necessaria qualche rettifica di fatto alle affermazioni contenute nelle dichiarazioni dell’onorevole Colonnetti.
Il Sottosegretario di Stato per il tesoro ha già chiarito ciò che riguarda il finanziamento del Consiglio nazionale delle ricerche che, come tutti ben sappiamo, ha una gestione autonoma e quindi indipendente da quella della pubblica istruzione. La pubblica istruzione, come può far fede lo stesso Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, si è sempre associata, si associa e si associerà a tutte le richieste che provengono da quell’organismo. Mi pare però che si impicciolirebbe notevolmente il problema dell’alta cultura, se si riducesse lo sforzo dello Stato a favore di essa esclusivamente entro il modestissimo quadro degli aiuti che lo Stato può dare all’attività del Consiglio nazionale delle ricerche.
L’onorevole Colonnetti ha parlato di «gretta e male intesa economia». Qui ci vorrebbe un discorso molto lungo per dimostrargli come, malgrado le inevitabili difficoltà e le evidenti deficienze, lo Stato ha fatto uno sforzo notevole anche in questo campo. E per citare solo un dato molto sommario, dobbiamo pur dire che il bilancio della pubblica istruzione, che dieci anni fa circa raggiungeva appena i 900 milioni, attualmente tocca i 50 miliardi, vale a dire è stata moltiplicata per oltre 50 volte la spesa che lo Stato sopportava per l’alta cultura.
Con ciò non intendo dire che questa spesa sia sufficiente per venire incontro a tutti i bisogni. Però è onesto e logico non prescindere da questo positivo sforzo.
Su altri due punti brevemente devo fare delle rettifiche.
L’onorevole interpellante, se non erro, ha parlato di una «promessa quintuplicazione» dei contributi dello Stato a favore delle Università. Ora non si tratta di una «promessa», ma di un provvedimento legislativo che già è stato deliberato e in gran parte applicato.
L’onorevole interpellante ha poi definita questa quintuplicazione come una «deplorevole mezza misura». Indubbiamente sarebbe una mezza misura, se la quintuplicazione dei contributi dello Stato a favore delle Università non fosse stata accompagnata da un’altra lunga serie di contributi di cui hanno beneficiato le Università stesse. Qui ricordo molto succintamente i primi 50 milioni che lo Stato ha destinato per le Università del Centro-Meridione. Successivamente vi è stata un’altra erogazione di 300 milioni a favore delle Università; ed infine una nuova erogazione di 500 milioni per il personale universitario. Sono stati poi stanziati in bilancio 10 milioni per le borse di studio a favore degli studenti. Si tratta quindi di oltre un miliardo di nuove spese che lo Stato affronta per gli istituti superiori soltanto, e l’onorevole interpellante sa che la ricerca scientifica entra nel quadro della ricerca universitaria. (Interruzione dell’onorevole Dugoni).
Ora si stabilisce un rapporto tra i bilanci militari e quelli della pubblica istruzione; ma io desidererei che questo rapporto si stabilisse non solo con il bilancio presente, ma anche con quello di 10 anni fa.
Una voce a sinistra. Prima eravamo sotto il fascismo.
GONELLA. Ad ogni modo, ho citato questi dati per rilevare che questo rapporto viene progressivamente spostato a favore della pubblica istruzione.
L’onorevole interpellante sa poi bene che il Ministero della pubblica istruzione ha chiesto uno straordinario stanziamento di tre miliardi, di cui un miliardo e mezzo dovrebbe essere destinato alle attrezzature dei gabinetti e dei laboratorî, mentre un altro miliardo e mezzo è destinato agli aumenti degli stipendi del personale. Non voglio entrare nel campo di competenza del Ministro dei lavori pubblici, ma c’è la questione edilizia. La sola Università di Bologna ha speso più di 300 milioni per la ricostruzione di alcuni edifici scientifici.
Sento infine la necessità, per amore del vero, di rettificare altri errori in cui involontariamente è caduto l’onorevole interpellante. Egli ha parlato di 568 mila lire, quale contributo dello Stato alla Scuola normale di Pisa. Ciò figura nel bilancio normale, ma egli forse non sa che lo Stato ha erogato altri milioni in via straordinaria; sicché tale Scuola riesce a fronteggiare le sue necessità. Essa ci ha chiesto recentemente un altro solo milione: cifra modesta. Il rapporto con l’Accademia navale di Livorno va preso con molta riserva: essa grava completamente sullo Stato, mentre la Scuola normale di Pisa, oltre al contributo dello Stato, ha altri cespiti propri.
Ho dovuto precisare alcuni dati, rettificare queste informazioni; rettifiche le quali però nulla tolgono al principio riaffermato dall’onorevole Colonnetti; cioè nulla tolgono alla riaffermazione della necessità che lo Stato moltiplichi i suoi sforzi per venire incontro ai bisogni dell’alta cultura. (Approvazioni).
PRESIDENTE. L’onorevole Colonnetti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
COLONNETTI. Sono dolente di dovermi dichiarare completamente insodisfatto della risposta dei due rappresentanti del Governo. La risposta dell’onorevole Petrilli, in sostanza, conferma che, dopo di avere assegnato al Consiglio delle ricerche 200 milioni, attraverso un semplice giochetto di mancato passaggio da un esercizio all’altro, il Governo si accinge a ridurre quell’assegnazione a 50 milioni, lasciando che gli altri 150 vengano, se verranno, e quando verranno!
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Non ho detto questo.
COLONNETTI. Questi milioni erano stanziati per lo scorso anno; ma nessuno di essi è giunto nell’anno stesso. E si annunzia oggi che dei 200 milioni che inizialmente erano stati stanziati, 50 soltanto ci verranno dati. Per arrotondare la cifra, l’onorevole Petrilli somma a questi i residui di esercizi precedenti, cioè le economie che il Consiglio delle ricerche forzatamente aveva fatto in quei due anni in cui non ha funzionato per via della occupazione, residui che non bastano neppur lontanamente a riparare i danni della forzata inazione. Mi dichiaro dunque su questo punto completamente insodisfatto, e debbo dirvi che mi dichiaro altrettanto insodisfatto delle parole del Ministro della pubblica istruzione, dalle quali, senza entrare nei dettagli, risulta che egli giudica che gli sforzi che sono stati fatti per la sistemazione delle Università e degli Istituti scientifici sono, se non del tutto adeguati, in ogni caso ragguardevoli.
Non credo che questa sia l’impressione degli studiosi italiani, e non credo che le parole dette oggi potranno portare alle Università italiane quel senso di conforto che esse attendevano certamente da questa nostra discussione.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Mi si fa dire qualcosa che non ho detto. Non ho mai dichiarato la mia sodisfazione per le spese dello Stato a favore delle Università. Ho detto solo che venne misconosciuto qualche contributo che lo Stato ha dato, come è il caso della Scuola Normale di Pisa.
COLONNETTI. Ho l’impressione che le Università italiane ed i nostri istituti siano fatalmente condannati ad una immediata decadenza, se le direttive del Governo verso di essi resteranno quelle che sono state espresse qui dall’onorevole Petrilli e dall’onorevole Gonella. (Applausi).
Oggi non ho altro da aggiungere.
In sede di discussione delle comunicazioni del Governo mi riservo di ritornare sull’argomento, per esprimere tutta la delusione degli scienziati italiani per l’accoglienza che è stata fatta all’appello che qui ho lanciato nel nome della scienza e della cultura.
Se oggi il Governo non ha altro da rispondere, non mi resta che dolermi che le parole che avevo pronunciate nel timore di un insuccesso del mio appello, diventino realtà.
Gli Istituti scientifici italiani sono, dal vostro contegno in questo momento, condannati alla decadenza. E mi sembra ciò tanto più doloroso e deplorevole in quanto, in un Paese come il nostro, che tanto ha sofferto, è proprio e soltanto su questo terreno che possiamo sperare di riprendere le nostre posizioni nel mondo. (Applausi).
Interrogazioni e interpellanza.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Natoli ha presentato la seguente interrogazione chiedendo risposta con urgenza.
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se, al fine di arrestare la campagna di insinuazioni diretta a svalutare l’Assemblea Costituente e di difendere il decoro di questa, non creda opportuno di pubblicare l’elenco dei deputati i quali coprono una carica retribuita e affidata dal Governo, presso enti parastatali, economici, finanziari o in altri organismi che abbiano relazione con lo Stato, indicando anche l’ammontare della retribuzione o dell’indennità; se non creda possibile di invitare la Presidenza dell’Assemblea a richiedere ad ogni deputato se fa parte, e in quale qualità, di istituti finanziari, economici o imprese private».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. In assenza del Presidente del Consiglio, dichiaro, a nome del Governo, di ritenere che nella seduta di domani l’onorevole Presidente del Consiglio potrà dire quando intende rispondere.
PRESIDENTE Si dia lettura delle altre interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge.
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se corrisponda a verità quanto pubblicato dal giornale Ala Libera, anno I, n. 6, circa le dichiarazioni che il Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica, generale Mario Ajmone-Cat, avrebbe fatto in data 16-17 novembre 1946 in una riunione di alti ufficiali dell’Arma.
«Il generale Ajmone-Cat avrebbe lamentato che la situazione creata dai giudizi di discriminazione metterebbe l’autorità militare di fronte alla necessità di liberarsi di elementi ottimi con piccole pecche discriminatorie e di tenere elementi meno buoni senza tali pecche; il generale avrebbe aggiunto che gli errori commessi in sede di discriminazione potranno essere eliminati in sede di sfollamento e che, del resto, questa è una situazione transitoria, che sarà certamente sanata in breve tempo.
«Nel caso che i sopracitati giudizi siano effettivamente stati pronunciati, l’interrogante desidera conoscere quali provvedimenti siano stati adottati o siano per essere adottati nei confronti di un così alto responsabile delle Forze armate, che critica, in una riunione di suoi subordinati, le leggi dello Stato e che mostra di considerare la collaborazione col nemico (sia pure assistita da circostanze attenuanti) come un elemento di secondaria importanza ai fini della permanenza degli elementi compromessi nell’Aeronautica della Repubblica italiana.
«Foa».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e delle finanze e tesoro, per sapere se non ritenga meritevole di considerazione il caso seguente. Con decreto legislativo del 20 maggio 1946, n. 373, venne stabilito che per determinate località e nell’ambito di ciascuna di esse, può essere disposta, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dei tesoro, la concessione di sussidi straordinari di disoccupazione a favore di lavoratori involontariamente disoccupati. Con decreto 22 ottobre 1946, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 dicembre 1946, n. 288, è stata estesa la concessione del sussidio straordinario per i lavoratori disoccupati nella provincia di Caserta, dipendenti dalle categorie dell’industria metalmeccanica, edile.
«Poiché per la provincia di Napoli tale concessione è stata estesa anche alla manovalanza generica, l’interrogante chiede che l’estensione della norma adottata per Napoli sia applicata alla vicina provincia di Caserta, la quale ha sofferto anch’essa danni enormi dalla guerra e si trova nelle identiche condizioni per la disoccupazione tormentosa della popolazione immiserita in tutti i modi.
«Notarianni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se creda che la Direzione generale delle ferrovie dello Stato abbia provveduto secondo legge e secondo giustizia, escludendo dalle promozioni per gli anni 1944-1945 tutti gli impiegati sottoposti a giudizio di epurazione e per i quali il Consiglio di Stato dichiarò non esser luogo a irrogazione di sanzioni disciplinari, e se non pensi che l’illegittima esclusione violi le disposizioni del decreto legislativo 9 novembre 1945, n. 702.
«Abozzi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti intendano prendere per far cessare finalmente la condizione inumana e indecorosa in cui vivono ancora le martoriate popolazioni del Cassinate e di tutta la zona che va dalle Mainarde agli Aurunci.
«Persico».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, perché voglia considerare la dolorosa e precaria situazione del personale non di ruolo degli uffici statali, per riguardo soprattutto all’irregolarità del pagamento dei suoi miseri stipendi.
«L’interrogante si riferisce, in particolar modo, al personale non di ruolo degli uffici Statali della provincia di Varese, ma ritiene che il caso si verifichi anche in altre provincie.
«Detto personale dovrebbe essere pagato con fondi stanziati dalle varie Amministrazioni, trimestre per trimestre di ogni esercizio finanziario, sui relativi capitoli del bilancio statale. Ma vi sono uffici che attendono, anche da oltre tre mesi, i fondi per pagare il proprio personale. Occorrerebbe che le Intendenze venissero autorizzate ad anticipare i fondi necessari colle somme da esse amministrate.
«Comunque, un provvedimento di ordine generale si impone per garantire a questi modesti collaboratori dello Stato almeno la regolarità della riscossione dei loro magri emolumenti, veramente inadeguati alle più impellenti esigenze della vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Momigliano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non riconosca giusto riportare a settanta anni il limite di età per il collocamento a riposo dei professori di scuole medie assunti prima del 1935, per i quali la legge del 24 aprile 1935, n. 565, abbassando per tutti i professori medi il detto limite di età da 70 a 65 anni, veniva a modificare a loro danno, e quindi a danno delle loro famiglie, il contratto d’impiego col quale erano entrati in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Targetti».
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere:
1°) le ragioni per le quali, mentre col primo comma dell’articolo 10 del decreto-legge 25 ottobre 1946, n. 263, si estende ope legis, come già nei precedenti decreti-legge, l’obbligo alle Amministrazioni locali della estensione dei miglioramenti statali ai segretari comunali e provinciali, quali funzionari dichiarati di Stato, questo obbligo venga poi negato loro col non estendere di pari passo ai medesimi, quando passano allo stato di quiescenza sempre a carico dei medesimi enti locali, gli stessi benefici previsti per i pensionati statali, in quanto non si può concepire che il fatto del loro passaggio allo stato di riposo debba in loro annullare d’un tratto la loro qualifica di segretari comunali, provinciali, e le loro benemerenze acquisite col loro lungo stato di servizio riconosciuto statale;
2°) le ragioni per le quali, una volta ammesso il diritto alla pensione, che è la base principale del loro trattamento organico, e come tale riconosciuta spesa obbligatoria in tutti i testi delle leggi comunali e provinciali sin qui emanate, l’adeguamento di essa, che è l’accessorio di emergenza conseguente della svalutazione monetaria, lo si possa considerare e tramutare da obbligatorio in facoltativo, contro ogni principio giuridico consacrato dalla dottrina del nostro diritto amministrativo e civile e dalla costante giurisprudenza dei nostri maggiori organi giudiziari;
3°) le ragioni per le quali il carovita, considerato come elemento transitorio e di emergenza per fronteggiare i più elementari bisogni della vita, non venga ammesso e riconosciuto indispensabile nella stessa misura e con lo stesso sistema della scala mobile anche ai pensionati, che per la loro età hanno anzi più bisogno di cure e di assistenza;
4°) se, di fronte alla mancanza nella legge di questo tassativo obbligo, a causa della quale mancanza parecchie Amministrazioni locali, giudicano la facoltatività loro lasciata nei limiti della possibilità dei loro bilanci e delle locali situazioni peculiari, quasi come un dovere a non incontrare spese facoltative, e negano quindi perfino del tutto ogni benché minimo miglioramento alle pensioni anteguerra (così che già molti di questi poveri disgraziati sono passati a miglior vita innanzi tempo, in mezzo a stenti ed alla più pietosa miseria), il Governo non ritenga finalmente di intervenire con tutta urgenza alla revoca delle disposizioni tutte, che sanciscono tale facoltatività, e rendere per giustizia umana e civile obbligatoria la parificazione delle condizioni tutte stabilite per i pensionati dello Stato, anche ai pensionati dipendenti ed a carico degli enti locali.
«Mariani, Alberganti, Mirelli».
«I sottoscritti chiedono d’interpellare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga doveroso, aderendo ad una richiesta già fatta nel luglio 1946, comunicare all’Assemblea i termini precisi dei contratti stipulati con Società straniere per l’esercizio in Italia di linee aeree civili.
«Nobile, Longo».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà inscritta nell’ordine del giorno, qualora i Ministri interessati non vi si oppongano nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 20.40.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 15:
- – Seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.
- – Esame del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.