Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

28.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Presidente – Assennato, Relatore – Merlin Angelina – Fanfani – Molè – Canevari – Rapelli, Correlatore – Giua – Colitto – Pesenti.

La seduta comincia alle 10.30.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

PRESIDENTE riassume brevemente per l’onorevole Assennato, che sostituisce l’onorevole Di Vittorio nelle funzioni di Relatore, la discussione svoltasi nelle ultime riunioni.

ASSENNATO, Relatore, ritiene che il concetto contenuto nell’articolo 1 della relazione dell’onorevole Di Vittorio sia stato trascurato nelle formulazioni adottate. Rileva, innanzi tutto, come sia tradizionale, nella legislazione italiana, il considerare gli stranieri alla stessa stregua dei lavoratori italiani.

PRESIDENTE ricorda che in materia è stata fatta al terzo articolo, approvato dalla Sottocommissione, una aggiunta così formulata: «La Repubblica provvederà con speciali norme alla protezione dei lavoratori e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tal fine».

MERLIN ANGELINA non crede che sia la stessa cosa.

FANFANI fa presente che l’affermazione generica: «l’associazione sindacale è libera» va intesa nel senso che di tale libertà godono tutti i lavoratori di qualunque razza e nazionalità, che svolgano attività economica all’interno del Paese.

MOLÈ è del parere che sia sufficiente, allo scopo che si prefigge l’onorevole Di Vittorio, la solenne dichiarazione dei diritti dei lavoratori, senza ripetere ad ogni articolo la medesima affermazione.

PRESIDENTE è dello stesso avviso, ricordando che la prima Sottocommissione ha già approvato un articolo a tale proposito.

ASSENNATO, Relatore, osserva che la Sottocommissione non ha ritenuto di porre l’accento sulla legalità del diritto di associazione e sulla necessità che tale diritto non venga limitato dagli eventuali scopi sociali, religiosi o filosofici che l’associazione alla quale appartiene il lavoratore potrebbe perseguire, oltre quelli economici.

FANFANI pensa che in tal modo si passi dal campo sociale-economico a quello politico, complicando inutilmente le cose.

ASSENNATO, Relatore, aggiunge che non esiste nelle varie formulazioni un riconoscimento del lavoro così esplicito come nella relazione Di Vittorio, dove all’articolo 2 è detto: «Il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale». Una affermazione di tale natura non crede che possa essere ritenuta pleonastica.

FANFANI ricorda che un riconoscimento del lavoro è già contenuto nel primo articolo approvato dalla Sottocommissione.

ASSENNATO, Relatore, non ritiene che nell’argomento in discussione possa omettersi la precisa statuizione che «il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale». Questa affermazione deve costituire, anzi, la premessa e la ragione per cui lo Stato riconosce al sindacato la personalità e gli attribuisce il potere di stipulare contratti collettivi aventi valore giuridico.

In particolare, avendo notato che in una delle formulazioni si afferma che i sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso gli organi del lavoro, fa rilevare che non si può accennare soltanto al fatto materiale della registrazione, senza stabilire che ai sindacati è riconosciuta la personalità giuridica, come è previsto nell’articolo 3 della relazione Di Vittorio, anche se il riconoscimento avrà valore ai soli effetti della stipulazione dei contratti collettivi. È logico, infatti, che i sindacati, per potere avere tale facoltà, debbano essere forniti, quali contraenti, di personalità giuridica.

PRESIDENTE fa presente che nella discussione era prevalso il concetto di demandare alla legge il riconoscimento della personalità giuridica, che eventualmente potrebbe essere anche concesso a tutti gli effetti. Quindi, senza parlare di riconoscimento della personalità giuridica, basterebbe stabilire che i sindacati hanno l’obbligo di registrarsi.

ASSENNATO, Relatore, crede che anche il rappresentante della Confederazione generale del lavoro non desideri un riconoscimento a tutti gli effetti.

MOLÈ ritiene che in materia si debba lasciare una certa latitudine, nel senso che se si costituiranno parecchi sindacati non potrà darsi a tutti lo stesso riconoscimento.

CANEVARI, richiamandosi alla formula presentata dall’onorevole Di Vittorio, circa il riconoscimento dei sindacati come enti con personalità giuridica, osserva che praticamente potrebbe verificarsi l’eventualità di diversi sindacati, i quali, avendo eguale riconoscimento giuridico, potranno tutti avere la facoltà di stipulare contratti collettivi.

ASSENNATO, Relatore, propone la formula seguente: «La legge stabilirà i termini per il riconoscimento giuridico dei sindacati, ai fini della stipulazione di contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria».

PRESIDENTE osserva che la personalità giuridica concessa al fine unico della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro non sarebbe consona ai principi giuridici.

Preferisce, pertanto, la seguente formula, proposta dall’onorevole Rapelli e modificata durante la discussione, sulla quale la Sottocommissione nella precedente riunione si era trovata prevalentemente d’accordo:

«L’organizzazione sindacale è libera.

«Al fine della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria, la legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie di ciascuna e detterà le norme relative».

Con questa formula, si presuppone la personalità giuridica dei sindacati, si sancisce la obbligatorietà dei contratti collettivi per tutti gli appartenenti alla categoria e si rinviano alla legge ordinaria i particolari di applicazione.

Circa il primo comma, si domanda se sia preferibile dire «associazione» oppure «organizzazione».

ASSENNATO, Relatore, preferisce il termine «organizzazione».

RAPELLI, Correlatore, è dello stesso avviso.

FANFANI e MERLIN ANGELINA propongono che si parli di associazioni professionali oltre che di organizzazioni sindacali.

COLITTO è contrario, sembrandogli una ripetizione.

GIUA ricorda che già nella prima Sottocommissione si è definito come libero il diritto di associazione.

PRESIDENTE ritiene che l’espressione «organizzazione sindacale» sia comprensiva anche delle organizzazioni professionali.

Mette ai voti il primo comma, così formulato: «L’organizzazione sindacale è libera».

(È approvato).

Pone quindi in discussione il secondo comma della formula di cui ha dato precedentemente lettura.

COLITTO osserva che non è opportuno limitare l’intervento della legge alla sola indicazione del modo di formazione delle rappresentanze di ciascuna categoria. Tale intervento potrebbe essere indispensabile anche in altri casi, come nella concessione ai sindacati della facoltà di imporre i contributi, necessari per la vita stessa delle associazioni, a tutti gli appartenenti alla categoria. Per questo motivo aveva proposto la formula: «la legge ne determinerà i poteri». Sarebbe perciò spinto a votare contro la proposta dell’onorevole Rapelli, se fosse sicuro che il suo voto apparisse dettato dal desiderio di veder nella Carta costituzionale una norma che rispondesse ad una particolare necessità delle associazioni professionali. Ma, poiché è possibile che venga data al suo voto un’altra interpretazione, ritiene meglio approvare la proposta Rapelli, sicuro che o in sede di coordinazione degli articoli, o in sede di Costituente, la norma sarà resa più idonea a regolare il funzionamento dei sindacati.

Per maggiore precisione, proporrebbe però la seguente dizione:

«Al fine della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria, la legge regola la formazione della rappresentanza unitaria degli appartenenti a ciascuna categoria.»

Non ritiene opportuno che sia aggiunta la frase: «detterà le norme relative», in quanto appare inutile se oggetto di tali norme è il regolamento della rappresentanza, vaga ed indeterminata se riferibile ad altro.

PRESIDENTE fa rilevare all’onorevole Colitto che, parlandosi di «norme», in sostanza si vuole che la legge stabilisca una regolamentazione. Eventualmente si potrebbe dire: «stabilirà la regolamentazione relativa ai contratti collettivi di lavoro».

ASSENNATO, Relatore, nota che un dubbio solo può sorgere dalla formulazione dello onorevole Rapelli, cioè che la rappresentanza e il modo della sua formazione siano fissate, in virtù della legge, dall’alto.

RAPELLI, Correlatore, per venire incontro alla preoccupazione dell’onorevole Colitto, aggiungerebbe la seguente espressione: «relativa alla loro nomina e al loro funzionamento».

PRESIDENTE ritiene che se da un lato si vuole impedire che lo Stato emani in questo campo norme di diritto sostanziale, è necessario dall’altro dargli la facoltà di fissare le norme di carattere procedurale. La stessa pluralità sindacale rende necessario l’intervento della legge, che però deve essere circoscritto alla materia procedurale.

ASSENNATO, Relatore, fa presente che all’articolo 3 il Relatore Di Vittorio, nel demandare alla legge le condizioni del riconoscimento dei sindacati, pone come preminente anche la garanzia della loro indipendenza, autonomia e libertà.

Quando invece si dice che la legge regolerà la formazione della rappresentanza unitaria delle varie categorie professionali, non si dà alcuna garanzia ai sindacati circa la loro indipendenza, autonomia e libertà.

MOLÈ non ritiene che possa verificarsi il pericolo a cui ha accennato l’onorevole Assennato. Nota invece una lieve sconcordanza nella formulazione dell’onorevole DI Vittorio, perché mentre si riconosce la personalità giuridica ai sindacati – a cui la legge deve garantire l’autonomia, l’indipendenza e la libertà – non è invece espresso il criterio che debba trattarsi di una rappresentanza unitaria. Se, infatti, si riconosce il sindacato e non si dichiara che deve avere una rappresentanza unitaria, si viene a togliere la possibilità al contratto collettivo di avere valore di legge. Con la formulazione proposta dall’onorevole Rapelli, si prevede invece una rappresentanza unitaria, ma in tal caso verrebbero a cadere, per il fatto stesso di tale unicità, la libertà e l’autonomia dei vari sindacati.

RAPELLI, Correlatore, obietta che la sua formulazione tende a consolidare l’attuale organizzazione unitaria della Confederazione generale del lavoro, dandole il valore di rappresentanza. È chiaro infatti che una rappresentanza unitaria deve avere il consenso di tutti i lavoratori.

PESENTI pensa che la possibilità del riconoscimento e della garanzia dell’autonomia e della libertà debba essere garantita a tutti i sindacati. Una questione differente è quella relativa agli effetti del contratto collettivo di lavoro, nei cui riguardi gli sembra che la dizione proposta non sia molto chiara.

ASSENNATO, Relatore, propone che dopo le parole «la legge» sia fatta la seguente aggiunta: «rispettando l’indipendenza, l’autonomia e la libertà dei sindacati». Bisogna, infatti, che nella Costituzione sia chiaramente affermato che la legge in questo campo dovrà sempre sottostare ai suddetti tre canoni fondamentali.

RAPELLI, Correlatore, dichiara di non aver difficoltà ad accettare l’aggiunta proposta.

PRESIDENTE è del parere che il concetto sia già contenuto nel primo comma, dove si afferma che l’organizzazione sindacale è libera.

MOLÈ non crede che alla legge, che è una volontà sovrana, possano essere imposti tali limiti, senza che subisca una menomazione nella sua stessa essenza. Se si parla di libertà in senso assoluto, già costituisce una violenza lo stabilire l’obbligatorietà del contratto collettivo per tutti gli appartenenti alla stessa categoria, in quanto vi è da parte della minoranza l’obbligo di sottostare ai voleri della maggioranza.

ASSENNATO, Relatore, crede che per procedere con un certo ordine bisognerebbe prima affermare il principio del riconoscimento della personalità dei sindacati, garantendone l’indipendenza, l’autonomia e la libertà. Fatta tale premessa potrà stabilirsi che ai sindacati così riconosciuti è attribuita la facoltà di stipulare contratti collettivi di lavoro, aventi efficacia giuridica per tutti gli appartenenti alla categoria.

COLITTO trova assurdo che si possa, nell’ambito delle categorie, riconoscere una infinità di persone giuridiche, quando poi in definitiva una sola persona giuridica può espletare quello che è il compito fondamentale dell’associazione professionale, cioè la stipulazione dei contratti collettivi.

ASSENNATO, Relatore, ripete che la sua preoccupazione è che lo Stato possa valersi dei suoi poteri per intervenire nell’attività sindacale.

FANFANI è del parere che con l’affermazione, di cui al primo comma, sia già chiaramente stabilito il principio della libertà di organizzazione sindacale. Pretendere che la legge non possa intervenire nell’attività sindacale, significherebbe arrivare allo sgretolamento dello stesso Stato.

GIUA non comprende quale risultato voglia raggiungere l’onorevole Assennato con la sua formulazione, in quanto, secondo lo spirito dell’articolo 3 della relazione Di Vittorio, la non ingerenza dello Stato dovrebbe riferirsi anche ai sindacati dei datori di lavoro.

ASSENNATO, Relatore, risponde che il primo risultato dovrebbe essere quello che nessun Ministro dell’interno potesse nominare un commissario in un sindacato.

PRESIDENTE pone in rilievo che tutte le associazioni sia politiche, sia culturali che di altro genere, sono soggette alla legge di pubblica sicurezza, pur essendo perfettamente libere.

FANFANI riconosce fondata la preoccupazione dell’onorevole Assennato che dal Governo possa essere stabilito un criterio di formazione per la determinazione delle rappresentanze unitarie di categoria, contrariamente a quella che potrebbe essere la volontà dei sindacati.

Per ovviare, almeno in parte, a questo pericolo, propone la seguente formulazione: «La legge determinerà i modi secondo i quali i sindacati esistenti concorreranno alla costituzione delle rappresentanze unitarie di categoria, ecc.».

In tal modo si vincola la legge, nel senso che questa deve tener conto che la rappresentanza scaturisce dal sindacato.

ASSENNATO, Relatore, per non correre il rischio di arrivare alla formulazione di articoli improvvisati e per potere trovare una dizione che appaghi tutte le esigenze, prega di rinviare al pomeriggio l’ulteriore discussione.

CANEVARI è del parere di lasciare alla legge la più ampia libertà di provvedere in materia, a seconda delle condizioni dei tempi e a seconda dello sviluppo dei sindacati. Poiché crede fermamente all’efficacia, alla bontà e all’utilità di un sindacato libero, ma unico, che abbia la funzione di stipulare i contratti collettivi, non può accettare nessuna modifica che limiti la possibilità alla legge di intervenire e provvedere a seconda delle necessità del momento.

FANFANI osserva che la sua formula non pone alcuna limitazione alla legge, ma solo mira ad ovviare al pericolo che lo Stato possa determinare le rappresentanze di categorie, indipendentemente dai sindacati. D’altra parte non ritiene che con la formula «rappresentanza unitaria di categoria» si possa arrivare ad un sindacato unico e libero.

RAPELLI, Correlatore, pensa che non si tenga sufficientemente conto della dinamica sindacale, che porta fatalmente alla rappresentanza unitaria.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione al pomeriggio.

La seduta termina alle 12.25.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Pesenti, Rapelli.

Erano assenti: Lombardo, Noce Teresa, Paratore, Taviani, Togni.

In congedo: Dominedò.

LUNEDÌ 14 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

27.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 14 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione c ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Colitto – Marinaro – Presidente – Giua – Pesenti – Canevari – Molè – Rapelli, Correlatore.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

COLITTO dichiara che intende apportare alcune modifiche formali all’articolo da lui proposto. Tale articolo dovrebbe essere, a suo avviso, così formulato: «L’associazione professionale è libera. La legge ne determina i poteri. Il contratto collettivo di lavoro ha efficacia di legge».

MARINARO ritiene che dovrebbe risultare ben chiaro dalla discussione precedentemente svoltasi che nessuna situazione di preminenza si riconosce alle associazioni dei lavoratori rispetto a quelle dei datori di lavoro.

Gli interessi della classe lavoratrice non hanno un fine egoistico; in linea di massima coincidono con quelli generali della Nazione, e se si concretano nel maggiore sviluppo della economia nazionale e nell’incessante aumento della produzione e in un maggiore arricchimento del Paese, è evidente che questi sono anche interessi dei datori di lavoro.

L’aver riconosciuto il diritto di proprietà a cui è inscindibilmente connessa la libertà di privata iniziativa, fa sì che il concetto di produzione e di produttore abbracci indistintamente datori di lavoro e lavoratori. Infine, il concetto di preminenza, anche se non esplicitamente enunciato, in luogo di quello di parità o pariteticità, che dovrebbe invece chiaramente risultare, sarebbe in contrasto con la base democratica del nuovo Stato, sia che la rappresentanza degli interessi debba svolgersi ed agire sul terreno della collaborazione, sia su quello della lotta di classe.

Quanto al nuovo ordinamento sindacale (minute precisazioni sulla natura e funzione del sindacato, registrazione delle associazioni professionali, istituzione di un Consiglio nazionale del lavoro, contratto collettivo, ecc.), non gli sembra opportuno scendere a norme dettagliate, che debbono essere invece rinviate alla legge speciale. Pertanto, tenute presenti le proposte dei Relatori Di Vittorio e Rapelli, propone che, in sostituzione dell’ultimo comma dell’articolo 2, dell’intero articolo 3 e dell’intero articolo 5 di cui alla relazione Di Vittorio, sia inserita nella Costituzione la seguente norma:

«Alle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, quali organi di auto-difesa e di tutela dei diritti ed interessi economici, professionali e morali delle categorie per cui sono costituite, è garantita l’indipendenza, l’autonomia e la libertà nello svolgimento della loro attività, secondo le norme che saranno fissate dalla legge.

«Le suddette associazioni saranno in particolare chiamate a partecipare pariteticamente con i propri rappresentanti in tutti gli organi, enti e istituti a carattere consultivo e deliberativo che abbiano attinenza con gli interessi della produzione nazionale dal punto di vista sindacale, sociale ed economico».

PRESIDENTE fa rilevare all’onorevole Marinaro che, mentre dice essere suo intendimento di non voler scendere a troppi particolari e di attenersi ad una enunciazione generica, nell’ultima parte delle sue dichiarazioni le specificazioni sono numerose.

Per quanto riguarda la prima parte della sua dichiarazione, quella cioè relativa alla preminenza o meno da darsi ai sindacati dei lavoratori in confronto a quelli dei datori di lavoro – della quale gli sarà dato atto in verbale – osserva che questa enunciazione, che indubbiamente ricorre nella relazione Di Vittorio, non si ritrova nella articolazione proposta e quindi non è necessario che formi oggetto di discussione.

MARINARO riconosce esatto quanto ha detto il Presidente, ma tutta la relazione dell’onorevole Di Vittorio è informata a questo concetto della prevalenza dei sindacati dei lavoratori su quelli dei datori di lavoro, ed è lo spirito della relazione che detta la norma. Ma sta di fatto che anche nell’articolazione è racchiuso implicitamente questo concetto, perché all’ultimo comma dell’articolo 2 si dice che i sindacati dei lavoratori sono organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici professionali e morali, ecc., e si parla esclusivamente dei lavoratori.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione, per quanto riguarda l’azione sindacale, si è limitata ad approvare un articolo. È stato poi stabilito che un altro articolo riguardi i contratti collettivi di lavoro. Tutto il resto dell’articolazione dell’onorevole Di Vittorio cade, perché è trasfuso in questi due articoli. Quindi la questione della preminenza non c’è più. Se è poi vero che l’onorevole Di Vittorio, dice che deve darsi la preminenza ai sindacati dei lavoratori, è anche vero non essere ingiusta siffatta pretesa, perché i proprietari, per il fatto stesso che sono proprietari, hanno già una loro preminenza.

MARINARO su questo punto desidera che si pronunci la Commissione.

GIUA osserva che il Presidente, preoccupato di evitare una discussione sopra questo argomento, ha cercato di dare una risposta evasiva all’onorevole Marinaro. Ma le dichiarazioni dell’onorevole Marinaro sono gravissime, rispetto alla Costituzione dell’Italia repubblicana, perché non rientrano nello spirito di questa Costituzione, e ne sono anzi la negazione. Comprende che, da un punto di vista astratto, oggi che non siamo in regime socialista, ci si possa mettere anche dal punto di vista della difesa degli interessi dei proprietari e soprattutto delle classi cosiddette produttrici, ed insiste sul «cosiddette» perché la storia ha dimostrato che queste classi non sono state produttrici altro che nel senso economico, non nel senso di giustizia, come si deve intendere nella nuova Costituzione. Difendere le classi produttrici in senso astratto significa tornare indietro di quasi un secolo e annullare lo sforzo fatto dalle classi lavoratrici per inserirsi nel quadro politico della vita della Nazione e per acquistare quel posto che oggi la nuova Costituzione dovrà fissare.

Il problema delle organizzazioni sindacali è un problema storico che non può essere valutato in altra maniera che ponendosi dal lato della difesa di queste classi, appunto perché le classi produttrici hanno mancato al loro scopo. Queste, nel periodo fascista, hanno difeso gli interessi di alcuni gruppi che, cercando di speculare sul potere dello Stato che avevano in mano, hanno trascinato le classi lavoratrici in uno stato di disagio tale che rasentava quasi lo stato di schiavitù.

Non ritiene accettabili oggi le affermazioni dell’onorevole Marinaro perché non abbiamo in Italia classi produttrici sane e, quindi, classi lavoratrici sane; le classi produttrici non sono tali da poter essere riconosciute giuridicamente; e, quando le classi lavoratrici chiedono il riconoscimento della loro organizzazione, lo fanno non perché vogliano mettersi alla pari delle classi produttrici, cioè delle classi capitaliste, ma perché vogliono sostituire queste classi che hanno mancato allo scopo. Ecco perché nella Costituzione si chiede una riforma agraria, una riforma industriale che siano un avvio verso l’inserimento delle classi lavoratrici nei fattori produttivi, per giungere all’annullamento più o meno completo della classe capitalista e alla formazione delle nuove classi che usciranno dalle organizzazioni sindacali.

Pensa che se si accettasse lo spirito che ha dettato la dichiarazione dell’onorevole Marinaro, si andrebbe contro il progresso, e poiché egli è per il progresso e vuole che questa ascesa delle classi lavoratrici non sia un’ascesa di un colpo di forza, ma un’ascesa che dimostri a tutto il popolo italiano che le classi lavoratrici intendono dirigere la produzione, prega i colleghi di fare una esplicita dichiarazione che sia la negazione di quella fatta dall’onorevole Marinaro.

PESENTI fa notare che la sua appartenenza al partito comunista è già un indice chiaro del suo pensiero; farà, perciò, soltanto una brevissima dichiarazione. Nella relazione Di Vittorio l’affermazione che le classi lavoratrici debbono avere un posto preminente e che le organizzazioni di categoria o professionali dei datori di lavoro non hanno bisogno di difesa giuridica, gli pare evidente. È quindi pienamente favorevole alla tesi dell’onorevole Di Vittorio, confermata dall’onorevole Giua.

COLITTO pensa che l’onorevole Giua si sia lasciato trascinare dalla sua ideologia fuori del tema di cui la Commissione si sta occupando. Il tema è quello della organizzazione sindacale. Ora, quando si è d’accordo nel riconoscere l’istituto del contratto collettivo di lavoro, non si può non mettere sullo stesso piano, per lo meno nel campo del lavoro, le associazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro. Se si affermasse che nella legislazione italiana esiste il contratto collettivo di lavoro e, d’altra parte, si dichiarasse che le associazioni dei lavoratori hanno nel campo del lavoro una preminenza nei confronti delle associazioni dei datori di lavoro, si distruggerebbe con tale enunciato la esistenza di quell’istituto giuridico che è il contratto collettivo di lavoro.

Per quanto si riferisce alla formulazione dell’articolo fatta dall’onorevole Marinaro, ritiene che, quando si afferma che l’associazione professionale è libera, si dice che possono costituirsi associazioni di lavoratori e di datori di lavoro e si dice anche che l’associazione è indipendente e autonoma.

CANEVARI ritiene oziosa la presente discussione. Si domanda se c’è bisogno, per fare il contratto collettivo con la Fiat, che ci sia in un sindacato la rappresentanza della Fiat. La Fiat occupa diecine di migliaia di operai.

Di questi c’è una parte che rappresenta la maggioranza o che rappresenta un sindacato che ha le caratteristiche per fare il contratto di lavoro, ed è questo sindacato, in rappresentanza di diecine di migliaia di operai, che stabilisce un contratto e quel contratto è un contratto collettivo, perché interessa la collettività dei lavoratori che lavorano nella Fiat.

Quando si dice: «L’associazione per la tutela degli interessi economici, professionali e sindacali è libera» si intendono tutte le associazioni, quelle operaie e quelle dei datori di lavoro. Non si dice che il contratto collettivo deve essere fatto esclusivamente dai sindacati di operai. Nella dizione proposta dall’onorevole Rapelli è detto: «Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse», e non si esclude che vi partecipino eventuali sindacati di datori di lavoro.

Conclude dichiarando di ritirare il suo articolo, per quanto si riferisce a questa parte, e di associarsi alla proposta Rapelli, perché la trova semplice, chiara e tale da concludere la discussione.

COLITTO rileva che l’onorevole Canevari ha un’idea del contratto collettivo di lavoro tutta personale. Quello di cui ha parlato non è contratto collettivo, ma contratto individuale, anche se stipulato da due collettività.

MOLÈ si chiede se la discussione sia opportuna o se sia oziosa. Per suo conto riconosce la preminenza del lavoro e riconosce i diritti degli altri, in quanto possono sorgere delle possibilità di conciliazione di interessi.

La necessità di affermare questa pariteticità può sorgere nel momento in cui la lotta fra i due interessi debba essere risoluta con l’intervento di un’altra autorità, che è lo Stato; ed allora occorre preoccuparsi di stabilire come deve essere costituito l’organo chiamato a dare la sentenza. Quindi la discussione si potrà fare quando si dovrà determinare in che maniera debbono essere risolti questi contrasti.

PESENTI rileva che la discussione di carattere interpretativo politico è stata sollevata dall’onorevole Marinaro. In essa era necessario intervenire perché, se è vero che la formulazione è molto ampia, sta di fatto che poi, nell’interpretazione, si terrà conto di quanto è stato detto in questa occasione.

Pensa, come l’onorevole Giua, che la Carta costituzionale debba avere un’impronta di difesa della grande maggioranza; ma questo non appare nella formulazione quando si parla dell’associazione sindacale libera, oppure quando si dice che la legge determinerà come si forma il contratto collettivo. Appariva invece nell’articolo 2 dell’onorevole Di Vittorio, in cui si dichiarava che queste associazioni di lavoratori erano enti di interesse collettivo. Era un’espressione che non aveva nessun significato giuridico, ma costituiva un’affermazione degli interessi preminenti che avevano queste organizzazioni dei lavoratori. Perciò, per evitare ogni questione di principio e per fare una formulazione giuridica, si sopprima pure l’affermazione contenuta nell’articolo 2 dell’onorevole Di Vittorio, ma una volta sollevata la questione, occorre affermare nella Carta costituzionale l’importanza di queste associazioni di lavoratori. E se la preminenza dei sindacati dei lavoratori non è affermata giuridicamente parlando del contratto collettivo di lavoro potrà essere stabilita quando si tratterà della formazione del Consiglio nazionale del lavoro.

RAPELLI, Correlatore, nota che nessuno contesta all’imprenditore il diritto di associazione. È chiaro che nella contrattazione collettiva vi sono due parti contrapposte; perciò nella sua formulazione è sottinteso che vi sarà una rappresentanza dei lavoratori ed una rappresentanza di datori di opera. L’orientamento che, più che dagli articoli, traspare dalla relazione Di Vittorio è rivolto ad un criterio di solidarietà la più ampia possibilile, con una preminenza soprattutto sociale del lavoro. Spiega che con ciò non si vuole la diminutio capitis di determinati interessi; il contratto collettivo di lavoro è concepito come una fase di trasformazione verso il contratto di società. Se fosse possibile giungere ai contratti di impresa si rafforzerebbe il criterio di solidarietà.

MARINARO afferma che, poiché nella relazione Di Vittorio si imposta il problema sindacale prevalentemente sul terreno della produzione e del maggiore sviluppo dell’economia nazionale, gli è parso evidente che, siccome la produzione e lo sviluppo dell’economia nazionale interessano in eguale misura lavoratori e datori di lavoro, fosse necessario stabilire una pariteticità delle rappresentanze delle une e delle altre associazioni.

Le dichiarazioni degli onorevoli Giua, Molè e Pesenti trasportano il problema nel campo politico, ammettendo che debba esservi una preminenza delle associazioni dei lavoratori, mentre il problema va esaminato e risolto esclusivamente dal punto di vista economico; perciò insiste nel chiedere che sia affermato fin d’ora il principio della pariteticità.

PRESIDENTE, poiché, come accennava l’onorevole Pesenti, la discussione può influire sulla interpretazione della Carta costituzionale, riconosce l’opportunità che ognuno esprima la sua opinione.

Aderisce ai concetti espressi dall’onorevole Giua, perché il lavoro è la base della organizzazione della società moderna. Si dichiara contrario a fare un’affermazione precisa di pariteticità, perché, avendo demandato alla legge di determinare le modalità della formazione delle rappresentanze unitarie, sarà la legge a decidere anche sulla pariteticità.

Dichiara di rinunciare all’articolo da lui proposto e dà lettura di quelli degli onorevoli Colitto, Rapelli e Marinaro.

L’onorevole Colitto propone:

«L’associazione sindacale è libera. La legge ne determina i poteri. Il contratto collettivo di lavoro ha efficacia di legge».

L’onorevole Rapelli propone:

«L’associazione sindacale è libera. Per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla stessa categoria, la legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali e detterà le norme relative».

L’onorevole Marinaro propone:

«Alle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori per cui sono costituite, è garantita l’indipendenza, l’autonomia e la libertà nello svolgimento della loro attività, secondo le norme che saranno fissate dalla legge.

«Le suddette associazioni saranno in particolare chiamate a partecipare pariteticamente, con propri rappresentanti, in tutti gli organi, enti e istituti a carattere consultivo e deliberativo che abbiano attinenza con gli interessi della produzione nazionale dal punto di vista sindacale, sociale ed economico».

Dichiara che voterà la proposta Rapelli perché, pur concordando in sostanza con quella dell’onorevole Colitto, gli sembra più intonata al sistema finora seguito, essendo meno schematica e lasciando piena libertà alla legge di stabilire le norme.

CANEVARI dichiara che voterà la proposta Rapelli, la quale, pur demandando alla legislazione ordinaria la determinazione dei poteri dei sindacati, contempla fin d’ora quello di rappresentanza della categoria e quindi della stipulazione dei contratti collettivi.

PESENTI, per una mozione d’ordine, osserva che non si possono mettere in votazione i tre articoli proposti, dei quali il Presidente ha dato lettura, perché manca l’onorevole Assennato, Relatore in sostituzione dell’onorevole Di Vittorio.

Comunque, fra i tre articoli proposti, preferisce quello dell’onorevole Rapelli per le considerazioni accennate dall’onorevole Canevari.

PRESIDENTE riconosce l’opportunità di rimandare la votazione a quando sarà presente il Relatore.

COLITTO dichiara che non può votare favorevolmente all’articolo proposto dall’onorevole Rapelli, perché, pur essendo d’accordo con lui circa la sostanza, gli sembra che esso restringa troppo l’intervento della legge in danno delle associazioni sindacali.

MOLÈ dichiara di essere contrario, perché la legge può stabilire l’unicità dei sindacati o il sindacato plurimo, ma non può limitare i poteri del sindacato nella esplicazione della sua azione economico-sociale.

PRESIDENTE rinvia in seguito della discussione.

La seduta termina alle 18.30.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Ghidini, Giua, Marinaro, Molè, Pesenti, Rapelli.

Assenti giustificati: Assennato, Dominedò.

Assenti: Fanfani, Federici Maria, Lombardo, Merlin Angelina, Noce Teresa, Paratore, Taviani, Togni.

SABATO 12 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

26.

RESOCONTO SOMMARIO

DELIA SEDUTA DI SABATO 12 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Giua – Molè – Rapelli, Correlatore – Colitto – Pesenti – Presidente – Fanfani – Canevari.

La seduta comincia alle 10.20.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

GIUA, dopo aver ricordato che nella riunione precedente sostenne la opportunità di demandare la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro alla Confederazione generale del lavoro, dichiara di aver modificato il suo punto di vista e di ritenere più idoneo allo scopo il Consiglio nazionale del lavoro, di cui vede proposta la creazione e il riconoscimento giuridico, negli articoli 5 del progetto Di Vittorio e 4 del progetto Rapelli.

Soggiunge che non si tratterebbe, in fondo, di una innovazione, ma di ridare vita ad un organismo che preesisteva al fascismo e che assumerebbe il carattere di organo statale riconosciuto, con funzioni giuridiche. Esso potrebbe altresì nominare delle Commissioni prendendo dai sindacati liberi quei rappresentanti che formerebbero il collegio giudicante. La sua proposta trova giustificazione anche nel fatto che la stipulazione dei contratti collettivi non potrebbe essere demandata ai sindacati riconosciuti – come vorrebbe l’onorevole Di Vittorio – senza correre il rischio di ingenerare confusione e contrasti di interessi, data la molteplicità dei sindacati stessi.

MOLÈ obietta che prima di affidare funzioni di una tale delicatezza ad un organo bisognerebbe sapere come è costituito e che cosa rappresenta.

RAPELLI, Correlatore, aderisce alla proposta dell’onorevole Giua, che non trova contrastante con quella che personalmente ha fatto, di lasciare alla legge il compito di disciplinare la formazione delle rappresentanze unitarie e delle varie categorie professionali e dettare le norme per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie stesse.

Il Consiglio nazionale del lavoro e i Consigli locali del lavoro (provinciali se si mantiene la provincia, regionali in caso contrario) potrebbero agevolmente assumere la rappresentanza unitaria delle categorie professionali. Il punto fondamentale, e che presenta maggiori difficoltà, è quello della composizione e quindi della proporzione tra le varie categorie professionali. Nota, in proposito, che secondo il sistema corporativo fascista, gli organi sindacali erano costituiti col criterio della pariteticità – tanti datori di lavoro e tanti lavoratori – mentre attualmente si sostiene il criterio della prevalenza nella rappresentanza dei lavoratori.

COLITTO, riportandosi alle sue dichiarazioni della seduta precedente, torna a rilevare che, a suo avviso, la Costituzione deve affermare il principio della libertà sindacale, allontanandosi così dalla opinione di quegli organizzatori e studiosi, che tendono, invece, ad una forma di sindacato obbligatorio o ad iscrizione obbligatoria, inteso come servizio pubblico di carattere generale. A questo ordine di idee si ispira la prima parte dell’articolo che ha proposto: «L’associazione professionale è libera». La formula è così lata che ben può, attraverso ad essa, dirsi riconosciuto il diritto di appartenere ad organizzazioni sindacali a tutti i lavoratori, anche se dipendenti dallo Stato e dagli altri enti pubblici, innovandosi così al sistema in vigore nel passato regime.

Volendolo, del resto, la Costituzione potrebbe affermare tale diritto esplicitamente, aggiungendo al primo comma proposto le seguenti parole: «È riconosciuto a tutti i lavoratori, anche se dipendenti dallo Stato e dagli altri enti pubblici, il diritto di appartenere ad organizzazioni sindacali». Aggiunge che, affermato il principio della libertà sindacale, la Costituente può affrontare e risolvere i problemi che in materia di solito vengono formulati, o rimandarne la soluzione alla legislazione. Si tratterebbe, come è noto:

  1. a) di definire i rapporti tra le associazioni professionali ed i partiti politici, riconoscendo o meno che esse agiscono in posizione di indipendenza di fronte a questi, per quanto la realtà ammonisca che, nonostante ogni sforzo, l’indesiderata interferenza di natura politica, tenuta fuori ufficialmente dalla porta, trova sempre modo di rientrare dalla finestra;
  2. b) di precisare i rapporti tra le associazioni professionali e lo Stato, ritenendosi da alcuni necessario il riconoscimento giuridico di tali associazioni, data la necessità che sia data esecutività obbligatoria alle convenzioni collettive e che le associazioni nominino direttamente i propri rappresentanti negli istituti e negli enti che interessano i lavoratori in quanto tali e vedendosi da parte delle associazioni padronali nel riconoscimento stesso un controllo ed un freno all’attività sindacale operaia e da altri considerandosi inutile o, peggio, dannoso, temendosi, con una eccessiva inframmettenza dello Stato, limitazioni della libertà delle organizzazioni sindacali ed il soffocamento del dinamismo proprio di una libera e naturale associazione dal meccanicismo di una inevitabile burocrazia;
  3. c) di fissare il criterio da adottarsi per il riconoscimento giuridico delle associazioni professionali, introducendosi o meno nella vita sindacale la formula «pluralità nell’unità»;
  4. d) di precisare a quale associazione dovrebbe essere riconosciuta la potestà di stipulare contratti collettivi ed il campo di efficacia di questi nel tempo, nello spazio e relativamente allo persone;
  5. e) di indicare chi sia competente ad emanare regolamenti collettivi nel caso in cui manchino associazioni professionali rappresentative;
  6. f) di stabilire se i contributi sindacali debbano essere obbligatori o volontari od in parte obbligatori ed in parte volontari;
  7. g) di regolare l’intervento dello Stato nel campo del lavoro, auspicandosi da molti la fusione degli attuali ispettorati del lavoro e uffici del lavoro in un nuovo organo, il cui compito principale dovrebbe essere quello di far applicare la legislazione del lavoro, senza mai entrare nel campo propriamente sindacale.

Personalmente ritiene opportuno lasciare alla legislazione la soluzione di tali problemi, e rileva che la proposta Rapelli ne risolverebbe qualcuno e lascerebbe del tutto insoluti gli altri. Perciò suggerisce la formula: «La legislazione determinerà i poteri della associazione professionale», che è tale, a suo avviso, da comprendere esplicitamente ed implicitamente le questioni di cui ha fatto cenno.

Considera altresì opportuno che sia precisato fin da ora il campo di efficacia giuridica delle contrattazioni collettive. Di qui l’ultima parte del suo articolo.

Non comprende come si possa demandare al Consiglio nazionale del lavoro la formazione di contratti di lavoro, perché il contratto collettivo presuppone l’esistenza di due parti in contrasto e non sarebbe più un contratto, quando venisse fuori da un collegio.

GIUA obietta che nel Consiglio nazionale del lavoro sono i rappresentanti delle due parti, e comunque l’importante è che il contratto collettivo abbia valore di legge.

COLITTO replica che il contratto collettivo ha una configurazione tecnico-giuridica precisa, per cui non può essere fatto da un collegio, il quale potrebbe, se mai, emanare delle norme.

PESENTI concorda con l’onorevole Colitto che, mentre il contratto collettivo è il risultato di un accordo fra due parti in contrasto, il deliberato del Consiglio nazionale del lavoro – organo al di sopra delle parti – avrebbe il carattere di norma giuridica.

MOLÈ dissente, ritenendo che conservi la natura di contratto per la sua origine e la materia che disciplina. Conviene altresì con l’onorevole Giua che la cosa che più interessa è che abbia valore nei confronti di tutti.

GIUA precisa che, il fatto stesso che si è usata la denominazione «contratto collettivo», sta ad indicare che in fondo non si ha un contratto vero e proprio, nel senso di accordo fra le parti, ma una norma giuridica obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie interessate. Ripete che, d’altro canto, nulla vieta che il Consiglio nazionale del lavoro nomini, per la stipula, delle Commissioni paritetiche con l’inclusione del rappresentante del Governo.

COLITTO richiama l’attenzione dell’onorevole Giua sul fatto che la differenza tra contratto individuale e contratto collettivo è nell’oggetto, in quanto il primo regola un rapporto in atto e il secondo un rapporto futuro, se ed in quanto avrà vita. Insiste che è inconcepibile che si possa parlare di contratto collettivo senza l’esistenza di due parti contrapposte e nel Consiglio nazionale del lavoro vi possono essere i rappresentanti di due categorie contrapposte, ma non due parti. Cita l’esempio della magistratura del lavoro, in cui si hanno i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori unitamente ad un magistrato di carriera, e la magistratura dà vita collegialmente ad un pronunziato che potrà avere tutte le denominazioni possibili, ma non quella di contratto.

Rileva altresì che, quando si dice che il contratto collettivo ha valore di norma giuridica, si afferma una cosa esatta, ma non si dice niente di nuovo. Infatti anche il contratto individuale è una norma giuridica, considerato che tale espressione significa regola di condotta.

GIUA pone in rilievo che la sua proposta si fonda sulla preoccupazione che possa nascere confusione, una volta ammesso il sindacato plurimo, circa la competenza di un sindacato piuttosto che un altro a stipulare il contratto collettivo.

COLITTO in proposito rileva che secondo alcuni la competenza sarebbe delle associazioni più numerose, secondo altri sempre delle associazioni più numerose con rappresentanza delle minoranze, mentre altri ancora pongono il quesito se le associazioni più numerose debbano essere tenute presenti in limine, oppure ogni volta che si stipulano i contratti collettivi.

Comunque, a suo avviso, è questa una materia la cui regolamentazione potrà essere riservata alle leggi e, per quel che riguarda la Costituzione, è sufficiente l’affermazione che alla legislazione ordinaria è demandato di precisare i compiti e i poteri (che non sono soltanto quello della stipulazione dei contratti collettivi, ma anche fiscali, di collocamento, ecc.) delle associazioni professionali.

PESENTI riafferma che non si può dare ad un organismo statale il compito di fare contratti collettivi, senza snaturarli.

PRESIDENTE si associa. Perché fosse conservata la natura contrattuale, occorrerebbe che il Consiglio nazionale del lavoro fosse composto soltanto da rappresentanze paritetiche delle due parti, senza alcun elemento estraneo. In ogni altra ipotesi, non di un contratto si dovrebbe parlare, ma di una legge.

MOLÈ rileva che il problema non è di forma, ma di sostanza.

Ammessa la rappresentanza paritetica nel Consiglio nazionale del lavoro, la decisione sarebbe nelle mani del rappresentante del Governo, il quale solo potrebbe fare maggioranza. Quindi l’intervento di un organo dello Stato sarebbe decisivo. Ora si tratta di vedere se si vuol la libertà sindacale vera e propria o se si preferisce l’intervento statale.

FANFANI invita a tener presente che si è concordata l’introduzione nella Costituzione di una norma nella quale si consacra il diritto di libera associazione sindacale. Questa libertà sarebbe soltanto teorica se nella funzione sindacale più importante si ammettesse la sovrapposizione di un intervento statale.

GIUA pensa che il Consiglio nazionale del lavoro dovrebbe essere istituito soprattutto in previsione della nazionalizzazione dei grandi complessi industriali. Si domanda come si regolerebbero, ad esempio, i rapporti di lavoro con i chimici della Montecatini se questa venisse nazionalizzata. Lo Stato potrebbe intervenire o no?

COLITTO osserva che lo Stato può intervenire sempre che vuole, in materia di lavoro, mediante le leggi. Questo però non significa che debba normalmente intervenire nella stipulazione dei contratti di lavoro.

PESENTI precisa che nella ipotesi prospettata dall’onorevole Giua il contratto collettivo di lavoro verrebbe stipulato dal Consiglio di amministrazione della Montecatini, ancorché nazionalizzata; a meno che per nazionalizzazione non si intenda una vera e propria statizzazione sul tipo delle aziende dei monopoli di Stato. La funzione del Consiglio nazionale potrebbe rimanere quella di intervenire come prima istanza, in caso di controversie, per tentare un risolvimento pacifico, restando in ogni caso aperto – trattandosi di diritti soggettivi – l’adito alla magistratura.

RAPELLI, Correlatore, esprime l’avviso che, ammettendo l’intervento del Consiglio nazionale del lavoro nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, si ottenga il duplice vantaggio di una sede certa per le contrattazioni e della rappresentanza unitaria e legale delle varie categorie professionali. Si tratta di scegliere fra libertà sindacale assoluta e sindacato unico riconosciuto. La libertà sindacale ha i suoi svantaggi. Ad esempio, potrebbero verificarsi situazioni secessionistiche in seno ai sindacati; una agitazione fallita potrebbe determinare l’esodo in massa degli iscritti da un sindacato ad un altro. Quando vi sia invece un organo legale permanente che sovraintenda alle discussioni fra le parti e legittimi il contratto stipulato, la cosa è diversa. Il contratto intanto diverrebbe norma inderogabile.

CANEVARI dubita che la discussione possa divenire più aderente alla realtà e dare risultati concreti finché non si abbiano idee chiare sui sindacati.

Ricorda che nella riunione precedente si affermò il principio della libertà di associazione professionale e quindi – venutosi a parlare del contratto collettivo – espresse il suo personale avviso che esso, per poter avere efficacia vincolativa erga omnes, dovesse essere stipulato da un sindacato unico, in rappresentanza degli interessi di una determinata categoria, e dai rappresentanti dei datori di lavoro.

Passando alla proposta in esame, dichiara di concordare sulla opportunità di ricostituire il Consiglio nazionale del lavoro e, ricordandone il funzionamento passato, sottolinea il fatto che in esso non erano rappresentati i sindacati di scarsa importanza, ma solo quelli inquadrati nella Confederazione generale del lavoro. Ricostituendo tale Consiglio gli si dovrebbe affidare non soltanto il compito di legiferare o di fare proposte di legge in materia sociale, ma anche di discutere i problemi del lavoro e stipulare i contratti collettivi. Sarebbe altresì l’organo più idoneo per il riconoscimento dei sindacati qualificati per la rappresentanza di determinate categorie. Le sue decisioni dovrebbero essere bene accette e riconosciute da tutti, in quanto emesse da un organismo composto dalla rappresentanza proporzionale dei lavoratori e dei datori di lavoro e al di sopra di ogni tendenza politica. Per queste considerazioni e per la premessa che, al fine di non rompere la tanto auspicata e finalmente raggiunta unità sindacale, è da caldeggiare il riconoscimento del sindacato unico e libero, propone i seguenti due articoli:

«Art. 1. – L’associazione per la tutela degli interessi economici, professionali e sindacali, è libera».

«Art. 2. – La legge provvederà al riconoscimento dei sindacati professionali, ai quali è attribuito il compito di stipulare contratti collettivi di lavoro, aventi efficacia giuridica per tutti gli appartenenti alla categoria, alla quale ogni contratto si riferisce.

«Per legge sarà costituito il Consiglio nazionale del lavoro, nel quale saranno proporzionalmente rappresentate, con il Governo, le forze produttive della Nazione, per la regolamentazione dei sindacati professionali, il loro riconoscimento, l’eventuale stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, la elaborazione della legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori, nell’interesse generale, e la sua applicazione».

PRESIDENTE nota che la parola «eventuale» non indica con chiarezza in quali casi sarebbe demandata al Consiglio nazionale la regolamentazione delle condizioni di lavoro. Forse l’onorevole Canevari vorrebbe che si lasciasse in un primo momento libertà ai sindacati di contrattare tra di loro, ma in tal caso occorrerebbe specificare, ad evitare conflitti di competenza, quando si verifica l’eventualità dell’intervento del Consiglio.

GIUA considera il capoverso del secondo articolo dell’onorevole Canevari una formulazione peggiorata dell’articolo 5 dell’onorevole Di Vittorio, che legge:

«Ai sindacati professionali è riconosciuto il diritto di contribuire direttamente alla elaborazione di una legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori – e a controllarne l’applicazione – mediante la costituzione di un Consiglio nazionale del lavoro nel quale siano rappresentate, con il Governo, tutte le forze produttrici della Nazione, in misura che tenga conto dell’efficienza numerica di ciascuna di esse».

PRESIDENTE dà lettura di una sua formulazione nella quale ha tentato di tenere conto delle diverse tendenze:

«Il diritto di libera associazione sindacale è garantito.

«Alle associazioni sindacali, democraticamente organizzate, senza distinzioni che escludano frazioni delle categorie interessate, sono riconosciute, a norma di legge, funzioni di rappresentanza di categorie. I contratti di lavoro da esse stipulati nei modi stabiliti dalla legge, hanno efficacia vincolante generale (o, per tutti gli appartenenti alla categoria)».

CANEVARI obietta che così tutti i sindacati che includessero nel loro statuto alcune belle frasi alludenti a principî democratici potrebbero avere il riconoscimento. Viceversa, sarebbe da auspicare il riconoscimento di un sindacato solo per ogni categoria che, oltre ad essere democraticamente costituito, rappresenti la grande maggioranza degli interessati e su ciò basi il potere vincolante delle sue decisioni.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Canevari se non ha niente in contrario a modificare la sua formula in maniera da conferire un carattere di accessorietà, e non di eventualità, all’intervento del Consiglio nazionale del lavoro. In altri termini, ove le parti non riescano a mettersi d’accordo, interviene questo organismo che è al disopra di esse.

CANEVARI rileva che questo appunto si proponeva di stabilire e la formula che ha improvvisato non ha pienamente risposto alle sue intenzioni. Chiarisce altresì che affermando che il Consiglio nazionale del lavoro provvede alla elaborazione della legislazione, non ha inteso escludere il diritto dei sindacati di contribuire direttamente in quest’opera; ma solo che le norme di carattere sociale, anche se d’iniziativa dei sindacati professionali, dovrebbero passare per il tramite del Consiglio.

PRESIDENTE informa che il capoverso dell’articolo 2 dell’onorevole Canevari potrebbe essere modificato nel modo seguente:

«Per legge sarà costituito il Consiglio nazionale del lavoro, nel quale saranno proporzionalmente rappresentate col Governo le forze produttive della Nazione per la elaborazione della legislazione sociale, per la regolamentazione dei sindacati professionali, il loro riconoscimento e la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro nei casi di mancato accordo fra le rappresentanze delle categorie interessate».

PESENTI non trova di suo gradimento l’espressione «la elaborazione della legislazione sociale» per il suo carattere esclusivo. Preferirebbe si parlasse di «contributo alla elaborazione».

CANEVARI suggerisce la formula: «per collaborare alla formazione della legislazione sociale».

FANFANI osserva che qui il Consiglio nazionale del lavoro verrebbe nominato per la prima volta. Della questione non si è parlato prima d’ora, e data la vastità del problema, potrebbero determinarsi lacune considerevoli. Per esempio, si dovrebbe esaminare anche l’opportunità di costituire dei Consigli economici generali per il controllo di tutta l’attività economica delle associazioni professionali.

COLITTO ritiene che non possano essere approvati gli articoli proposti dall’onorevole Canevari. Quanto al primo basta, a suo avviso, affermare che l’associazione professionale è libera; non è necessario aggiungere «per la tutela degli interessi economici professionali e sindacali», perché, a parte la chiara tautologia, è evidente che ogni associazione professionale sorge costituzionalmente con fini di tutela degli interessi professionali, e quindi anche economici, degli associati. Ciò vale anche per il 1° comma dell’articolo proposto dall’onorevole Ghidini.

Quanto al secondo articolo, osserva anzitutto che non è la legge che può provvedere al riconoscimento giuridico dei sindacati; la legge può solo stabilire le condizioni, concorrendo le quali, un’associazione professionale può essere riconosciuta. Leggendolo poi si riporta l’impressione che i sindacati professionali legalmente riconosciuti abbiano il solo compito di stipulare contratti collettivi. È anche erroneo parlare di contratti che si riferiscono ad una categoria, riferendosi essi sempre a due o più categorie. Non ritiene neanche che si possa parlare di Consiglio nazionale del lavoro avente funzioni legislative, sia pure solo in materia di lavoro, perché con ciò si verrebbe ad attuare un sistema tricamerale. Non si oppone a che si crei un Consiglio nazionale del lavoro col compito di preparare o gettare le basi intendendosi così la parola «elaborazione» della legislazione sociale.

Considera altresì errato parlare di stipulazione di contratti collettivi di lavoro da parte di un collegio: ove manchi l’accordo, non può la materia essere disciplinata che da una legge.

Infine, mentre non comprende quale particolare concetto voglia affermare il Presidente con le parole «democraticamente organizzate», riferite alle associazioni sindacali, rileva che, secondo la sua dizione, tutte le associazioni professionali dovrebbero essere giuridicamente riconosciute, laddove il legislatore potrebbe stabilire diversamente.

PESENTI, rilevato che sul principio generate del diritto di associazione tutti sono di accordo, per quel che riguarda la sua attuazione disapprova la concisione della formula Colitto; meglio è abbondare, parlando anche di interessi economici.

Per quanto attiene al riconoscimento, preferisce la dizione Di Vittorio, che è più ampia e rende possibile il riconoscimento di molti sindacati, oltre ad affermare giustamente che la legge ne fisserà le condizioni. Infatti la legge non riconosce, ma può fissare le condizioni per il riconoscimento, che è un atto amministrativo.

Conviene con l’onorevole Colitto sulla opportunità di usare una formula con la quale non si dia l’impressione di voler fare del Consiglio nazionale del lavoro un organo legislativo. Conviene altresì sulla obiezione che un contratto collettivo che fosse imposto da un organo dello Stato non sarebbe più tale, ma diventerebbe un arbitrato o qualcosa del genere. Pertanto suggerirebbe di usare un’espressione che suoni press’a poco così: «concorrerà alla formulazione della legislazione sociale».

RAPELLI, Correlatore, insiste sull’importanza di stabilire in via preliminare chi ha il diritto della rappresentanza unitaria della categoria; in altri termini, chi ha il diritto di firmare. È una specie di verifica dei poteri, di fronte a contratti collettivi firmati da rappresentanti non autorizzati a farlo.

PESENTI domanda se per le associazioni il riconoscimento voglia significare potere di stipulare contratti collettivi. Ha infatti l’impressione che, secondo alcuni colleghi, il riconoscimento potrebbe essere concesso ad una pluralità di sindacati, ma la possibilità di stipulare contratti collettivi soltanto ad alcuni.

RAPELLI, Correlatore, precisa che se tutte le associazioni fossero abilitate a stipulare contratti collettivi, non si potrebbe a questi riconoscere un potere vincolante nei riguardi di tutta la categoria. Bisogna dunque che un solo ente abbia la rappresentanza unitaria di una pluralità di organizzazioni sindacali. All’uopo ritiene accettabile la formula Canevari.

COLITTO osserva che la necessità di creare una rappresentanza – sulla quale concorda – non è soddisfatta dalla formula in esame, che non indica come tale rappresentanza dovrebbe costituirsi. Dovrà perciò essere sempre la legge a stabilirlo.

GIUA insiste sul suo punto di vista. Pur convenendo che la Costituzione debba sancire soltanto i principî generali, ritiene che non debba tuttavia cadere nell’astrazione. Pertanto, per risolvere il problema, una volta ammesso il sindacato plurimo, bisogna accedere alla creazione di un organo al di sopra delle parti, che abbia il potere di stipulare, magari in seconda istanza, i contratti collettivi.

PRESIDENTE replica che in tal caso non dovrebbe più parlarsi di contratto e occorrerebbe precisare il carattere di accessorietà di un tale potere. A suo avviso sarebbe preferibile dire che spetta al Consiglio nazionale del lavoro di stabilire le norme regolatrici delle condizioni di lavoro, e alle categorie interessate di stipulare fra loro i contratti collettivi.

PESENTI osserva che se si adottasse la formula Rapelli occorrerebbe precisare che la legge determina le rappresentanze unitarie delle categorie solo allo scopo della stipulazione dei contratti collettivi.

PRESIDENTE rileva che ormai le idee sono abbastanza chiare e non resta che trovare una dizione che risponda alle esigenze prospettate, salvo a pronunciarsi sulla proposta dell’onorevole Giua di rimettere in via accessoria al Consiglio nazionale del lavoro la stipulazione dei contratti collettivi.

Rinvia quindi il seguito dei lavori alle ore 17 di lunedì 14 ottobre.

La seduta termina alle 12.30.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Merlin Angelina, Marinaro, Molè, Pesenti, Rapelli, Taviani.

Erano assenti: Assennato, Dominedò, Lombardo, Noce Teresa, Paratore, Togni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

25.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Seguito della discussione)

Presidente – Giua – Rapelli, Correlatore – Pesenti – Colitto – Fanfani – Federici Maria – Taviani – Canevari – Merlin Angelina.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

PRESIDENTE, per l’assenza del Relatore, propone di sospendere la discussione dell’articolo 1 e di passare alla discussione degli articoli successivi nel testo proposto dall’onorevole Di Vittorio.

(Così rimane stabilito).

L’articolo 2 è così formulato:

«Il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale.

«Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali.

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti d’interesse collettivo».

Osserva che il primo comma può essere soppresso, perché non indispensabile. Il secondo comma tratta materia che ha formato oggetto di articoli già discussi; quindi pensa che la discussione debba limitarsi al terzo comma.

Ricorda che fu già discusso se il sindacato debba essere unico o plurimo per ogni categoria, se vada riconosciuto come persona giuridica e, in questo caso, se vada considerato persona giuridica di diritto privato o pubblico.

Tutti furono d’accordo che principale attribuzione del sindacato debba essere la stipulazione dei contratti collettivi, e che al sindacato spetti la rappresentanza e la tutela di tutti gli appartenenti alla categoria, siano o no ad esso inscritti.

GIUA propone di conservare il secondo comma e di aggiungervi l’espressione «tanto all’interno che all’estero». In sede di coordinamento anche questo comma potrà essere eliminato, se risulterà che la materia sia già compresa in altri articoli.

RAPELLI, Correlatore, fa notare che il concetto espresso nel secondo comma è compendiato nell’articolo 5 da lui proposto e così formulato:

«Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria ed all’estero, concorrendo alla formazione di una regolamentazione internazionale, che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comuni ai lavoratori».

PESENTI pensa che si possa dire che lo Stato, con disposizioni legislative, curerà i diritti dei propri cittadini anche all’estero, ma non si può, nella Carta Costituzionale, stabilire che lo Stato debba concorrere alla formazione di una regolamentazione internazionale che assicuri i diritti dei lavoratori, anche se questo è uno scopo perseguibile.

RAPELLI, Correlatore, afferma che se per molto tempo alcuni Stati rifiutarono la loro adesione alle convenzioni di Ginevra sulla protezione del lavoro, è un dovere fondamentale per l’Italia favorire una regolamentazione internazionale del lavoro ed impegnarsi ad aderirvi. Solo così possono mettersi su un piede di eguaglianza i lavoratori dei vari Paesi, ricchi o poveri che siano, e possono eliminarsi le conseguenze di una concorrenza che potrebbe riuscire dannosa alla salute degli operai, perché effettuata con l’inosservanza dell’orario di lavoro e con la trascuratezza di determinate norme igieniche. Ricorda che la stessa Costituzione di Weimar stabiliva un tale impegno.

PESENTI chiede perché l’Italia debba assumersi questo obbligo con la Costituzione.

RAPELLI, Correlatore, nota che non si può ignorare che oggi questa regolamentazione internazionale del lavoro è una realtà. Se con essa si adottasse la settimana di 40 ore lavorative, l’Italia ne avrebbe un beneficio interno, perché avrebbe la possibilità di impiegare un maggior numero di lavoratori.

PRESENTI è d’accordo che sarebbe un beneficio, ma fa l’ipotesi che di cinquanta Stati solo trentacinque abbiano aderito alla convenzione delle 40 ore e altri 15 invece adottino la settimana di 48 o 50 ore. L’Italia, impegnata a rispettare la convenzione, potrebbe subire un danno nella sua economia. Per questa ragione non ritiene opportuno stabilire simili impegni nella Costituzione.

RAPELLI, Correlatore, osserva che non è garanzia sufficiente lasciare alla legge di stabilire tale impegno. Se, come avvenuto sotto il fascismo, nel Parlamento si determinasse una situazione di predominio di interessi diversi da quelli dei lavoratori, basterebbe una nuova legge a negare la validità di una convenzione internazionale che provvedesse alla tutela più completa dei lavoratori.

GIUA propone che il terzo comma dell’articolo 2 proposto dall’onorevole Di Vittorio sia così formulato: «Sarà cura dello Stato di favorire una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune a tutti i lavoratori».

COLITTO, poiché lo Stato deve sempre intervenire per proteggere i lavoratori, ritiene inutile tale comma; esso è una ripetizione generica di quanto, in modo specifico, è stato detto in altri articoli.

RAPELLI, Correlatore, obietta che in questi articoli certi problemi, quale ad esempio quello degli infortuni, dell’igiene negli stabilimenti, delle malattie professionali, non sono tenuti nella dovuta considerazione.

FANFANI fa rilevare che sono in discussione due problemi distinti: l’uno adombrato nel secondo comma dell’articolo Di Vittorio e nella prima parte dell’articolo 5 dell’onorevole Rapelli, che è quasi un appunto a quello che la Sottocommissione ha statuito, riconoscendo alcuni diritti generici dei lavoratori, ma non specificando nulla circa la protezione del lavoratore contro tutta una serie di danni diretti o indiretti alla sua salute, che hanno origine da determinate circostanze di lavoro; l’altro, accennato dal Rapelli, e contrastato dal Pesanti, per impegnare lo Stato italiano a collaborare alla stipulazione di una convenzione internazionale per la protezione dei lavoratori, e ad applicare obbligatoriamente in Italia gli eventuali accordi più favorevoli ai lavoratori italiani.

COLITTO riferendosi al primo problema accennato, legge il capoverso dell’articolo 3 approvato: «Ogni cittadino che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale o di contingenze di carattere generale, si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza»; e l’ultima parte del 4°: «Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte od integrate, ove occorra, dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo».

RAPELLI, Correlatore, osserva che qui si parla di problemi assistenziali e previdenziali, mentre la protezione del lavoratore si basa essenzialmente sull’orario, sulla sicurezza e sull’igiene del lavoro; e questa parte della legislazione protettiva non è stata finora considerata.

PRESIDENTE aggiunge che quando si è parlato di istituzioni previdenziali si è fatto particolare riferimento alla protezione della maternità e dell’infanzia. La protezione del lavoratore, oggetto di una vasta legislazione, deve essere consacrata nella Costituzione. Si chiede se a questo risponde completamente la prima parte dell’articolo Rapelli: «Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria e all’estero».

Nella seconda parte, poi, dello stesso articolo si considera una forma speciale di tutela consistente nella collaborazione ad una regolamentazione internazionale di protezione del lavoro. Ritiene che la proposta dell’onorevole Giua ovvierebbe al pericolo accennato dall’onorevole Pesenti, perché lascia al legislatore italiano la valutazione della opportunità di applicare o meno la regolamentazione internazionale.

GIUA dà lettura dell’articolo completo formulato secondo la sua proposta:

«Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali.

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo.

«Sarà compito dello Stato di favorire una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori».

FANFANI fa rilevare la disarmonia dell’articolo, dove si parla di garanzia dei singoli lavoratori e di riconoscimento di sindacati. Propone che i commi ai quali accennava l’onorevole Giua, relativi alla protezione integrale dei lavoratori siano aggiunti, come terzo comma, al primo articolo già approvato; si discuterà poi il problema dei sindacati.

L’articolo risulterebbe così formulato:

«Ogni cittadino ha il dovere ed il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta.

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento.

«Lo Stato curerà la tutela del lavoratore attraverso una protezione legislativa speciale in patria ed all’estero».

A proposito di questo terzo comma, ricorda che la prima Sottocommissione in un articolo, in cui si fa cenno della protezione dei lavoratori, ha specificato il problema delle ferie, dell’orario, ecc.

COLITTO ricorda che la formula adottata dalla prima Sottocommissione è la seguente: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere attività o di esplicare funzioni idonee allo sviluppo economico»; ma rileva che in essa non si parla di protezione dei lavoratori.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Lombardo proponeva la seguente formula: «È compito dello Stato assicurare il rispetto delle condizioni dell’igiene e della sicurezza del lavoro, nonché di provvedere all’organizzazione del servizio di protezione sociale. La legge provvede alla tutela delle condizioni igieniche e morali delle donne e dei minori».

Inoltre l’onorevole Togliatti ha proposto il seguente articolo: «Il lavoro nelle sue diverse forme è protetto dallo Stato, il quale interverrà per assicurare l’assistenza degli invalidi ed inabili. Tutti i cittadini hanno diritto alle assicurazioni sociali. La legislazione sociale garantisce l’assicurazione contro gli infortuni, le malattie, la disoccupazione, l’invalidità e la vecchiaia; protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori; stabilisce la durata della giornata lavorativa, il salario minimo individuale. È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Afferma che queste sono tutte affermazioni esatte che, sia pure in sintesi, dovrebbero essere riprodotte.

Ritiene esauriente la prima parte dello articolo proposto dall’onorevole Rapelli.

COLITTO si dichiara favorevole alla proposta Fanfani di aggiungere un capoverso all’articolo primo approvato, e propone che si dica: «Lo Stato provvederà altresì, con speciali norme, alla protezione del lavoro».

PRESIDENTE aggiungerebbe: «in patria ed all’estero».

GIUA ritiene necessario parlare della regolamentazione internazionale – come propone l’onorevole Rapelli – che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori.

COLITTO propone la formula: «Lo Stato provvederà altresì, con speciali norme, alla protezione del lavoro e favorirà una regolamentazione internazionale che assicuri in tutto il mondo un minimo di diritti comune ai lavoratori».

FANFANI fa rilevare che dire «un minimo di diritti comune» potrebbe far pensare che ci si contenti di molto poco, e potrebbe essere interpretato a svantaggio dei nostri lavoratori. Basterebbe dite «favorirà una apposita regolamentazione internazionale».

FEDERICI MARIA direbbe «la migliore regolamentazione».

FANFANI nota che in tal caso si parlerebbe del massimo, non più del minimo. E poiché nell’articolo si parla del diritto al lavoro, si domanda se la protezione vada accordata al lavoro od al lavoratore.

COLITTO risponde che va accordata all’uno ed all’altro.

FANFANI, siccome si vogliono adombrare i concetti dell’igiene, della sicurezza, della protezione sociale, trova opportuno riferirsi al lavoratore e dire:

«La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore».

PRESIDENTE aggiungerebbe subito dopo: «e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tale scopo».

COLITTO preferirebbe dire soltanto: «e favorirà ogni relativa regolamentazione internazionale», collocandosi la formula alla fine dell’ultimo comma del primo articolo.

PRESIDENTE, a suo avviso, se ne dovrebbe fare il terzo comma del terzo articolo.

FANFANI aderisce alla proposta del Presidente, nel senso che la formula testé discussa diventi il terzo comma dell’articolo 3.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE dà lettura del testo del comma quale risulta dalla discussione fin qui svoltasi: «La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore e favorirà ogni relativa regolamentazione internazionale».

TAVIANI è contrario all’aggettivo «relativa», in quanto potrebbe determinare nel grosso pubblico errate interpretazioni.

COLITTO ritiene che si possa anche dire: «ogni regolamentazione internazionale diretta a tale fine».

PRESIDENTE pone ai voti la formula concordata che diventa il terzo comma del terzo articolo già approvato:

«La Repubblica provvederà, con speciali norme, alla protezione del lavoratore e favorirà ogni regolamentazione internazionale diretta a tal fine».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione il terzo comma dello articolo 2 proposto dall’onorevole Di Vittorio:

«I sindacati dei lavoratori, quali organi di autodifesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo».

Avverte che la discussione dovrà svolgersi in relazione anche all’articolo 2 proposto dall’onorevole Rapelli:

«Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro, aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse».

Ritiene che debba anzitutto essere chiarita la natura giuridica del sindacato, nel senso che, definendo i sindacati enti di interesse collettivo, si intenda dire che sono enti di diritto pubblico, di diritto privato o di diritto misto.

COLITTO ritiene che spetti alla legislazione ordinaria e non alla Costituzione di precisare la natura giuridica dell’associazione professionale. Eventualmente potranno precisarla anche la dottrina e la giurisprudenza.

PRESIDENTE sarebbe d’accordo, se non occorresse rispondere a questa domanda: come rendere obbligatorio il contratto collettivo di lavoro – la cui stipulazione è la funzione preminente del sindacato – anche per i non iscritti, prescindendo da un riconoscimento giuridico delle associazioni professionali?

Secondo il suo avviso, la Costituzione deve consacrare il riconoscimento giuridico del sindacato come premessa indispensabile alla obbligatorietà erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, tralasciando di decidere la questione se debba trattarsi di un ente di diritto pubblico o di un ente di diritto privato.

COLITTO pensa che il problema potrebbe essere risolto, aggiungendosi al comma da lui proposto nella seduta antimeridiana: «l’associazione professionale è liberà» un secondo comma, che stabilisca l’obbligatorietà del contratto collettivo di lavoro nei confronti di tutti gli appartenenti alle categorie per le quali è stipulato.

Non ritiene consigliabile ogni ulteriore specificazione, poiché in questo caso bisognerebbe dettare tutta la disciplina dell’ordinamento sindacale; disciplina che, per la mutevolezza che la caratterizza, va riservata alla legislazione ordinaria.

Non si nasconde che, anche la semplice enunciazione della obbligatorietà erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, presuppone risolti taluni fondamentali aspetti della questione, come l’efficacia dei contratti in relazione alle persone, e la determinazione di quale fra più sindacati coesistenti per una medesima categoria (coesistenza resa possibile dall’affermato principio della libertà associativa professionale) possa stipulare i contratti collettivi di lavoro; aspetti la cui risoluzione, almeno in gran parte, compete alla legislazione ordinaria. Bisognerebbe anche accennare alle formalità da osservare, perché il contratto collettivo regolarmente stipulato tra due associazioni professionali sia obbligatorio.

FANFANI concorda sulla inopportunità di specificare nella Costituzione la natura giuridica del sindacato. È sufficiente sancire il principio del riconoscimento giuridico.

Quanto all’altro principio, quello della obbligatorietà dei contratti di lavoro, avverte che la delicatezza dell’argomento richiede una seria analisi ed una certa prudenza nella scelta delle parole. Ricorda, infatti, come i principî che pare siano accolti dalla maggioranza della Sottocommissione, fino a questo momento, non siano del tutto conseguenti. Si è detto che il diritto di associazione è libero, e ciò presuppone che per una categoria possono esservi più associazioni sindacali; si è quindi detto che a tutte le associazioni sindacali viene riconosciuta la personalità giuridica; si è detto, infine, che ai sindacati giuridicamente riconosciuti è attribuito il compito di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatorio per tutti gli appartenenti alla categoria, siano o non iscritti al sindacato stipulante. Affermati questi concetti, ne verrebbe che per una categoria vi sarebbero tre o quattro contratti collettivi tutti obbligatori.

PRESIDENTE condivide le preoccupazioni degli onorevoli Colitto e Fanfani. Taluni sostengono che, in caso di pluralità di sindacati, il compito della stipulazione dei contratti collettivi debba spettare a quello che raccoglie un maggior numero di iscritti; ma indubbiamente questa soluzione presenta degli inconvenienti.

Comunica che gli è pervenuta la seguente proposta di formulazione dell’articolo:

«L’organizzazione sindacale è libera. I sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso organi del lavoro, locali e nazionali, composti di delegati dei sindacati in proporzione del numero degli iscritti.

«I contratti collettivi di lavoro, stipulati da tali organi, hanno efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono».

COLITTO considera inaccettabile questa formulazione, anche perché, indipendentemente dalla sostanza, non è chiara: si parla infatti di «organi», presso i quali si dovrebbero registrare i sindacati e afferma che tali organi, non i sindacati, avrebbero il compito della stipulazione dei contratti collettivi di lavoro.

PRESIDENTE constata l’accordo sulla opportunità di ammettere il riconoscimento giuridico dei sindacati senza precisarne la natura giuridica. A questo scopo pensa che dovrebbe sopprimersi, perché equivoca, l’espressione «enti di interesse collettivo» e semplificare la norma dicendo che alla associazione professionale viene riconosciuta la personalità giuridica. Senza una personalità giuridica il sindacato non può infatti obbligarsi giuridicamente e di conseguenza stipulare i contratti di lavoro.

Il primo problema da risolvere è pertanto quello proposto dagli onorevoli Colitto e Fanfani, di stabilire come si possa pervenire ad un unico contratto collettivo di lavoro nella coesistenza, consentita dalla libertà sindacale, di più associazioni professionali per una stessa categoria.

FANFANI ritiene che vi sia l’accordo nel fondere la terza parte dell’articolo 2 con la prima parte dell’articolo 3 proposti dall’onorevole Di Vittorio. Ne risulta la seguente formula:

«Ai sindacati dei lavoratori, quali organi di difesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e morali dei lavoratori è riconosciuta la personalità giuridica».

COLITTO dichiara di non essere d’accordo, perché là dove l’articolo afferma che il sindacato ha la tutela dei lavoratori, dice cosa inutile, ciò essendo ovvio. Nega poi la opportunità di affermare nella Costituzione la natura giuridica del sindacato, pensando essere meglio lasciarne la determinazione alla legge, nonché alla elaborazione della dottrina e della giurisprudenza.

PRESIDENTE osserva che a dare il riconoscimento della personalità giuridica basta la registrazione, la quale però non dà carattere pubblicistico all’ente.

COLITTO osserva che questo concetto della registrazione è del tutto nuovo.

Esistono gli uffici provinciali del lavoro, i quali non hanno ancora una disciplina legislativa: solo di recente è stato emanato un decreto, che riguarda il personale. Tali uffici sono sorti in base ad un bando alleato.

Si chiede: quando si dice che deve esserci la registrazione, che cosa si intende dire? E se, invece di registrazione, si ritenesse opportuno il semplice deposito? Trattasi di dettagli, di cui non è assolutamente il caso di fare cenno nella Costituzione.

FANFANI consente che nella Costituzione non vadano fissate le modalità per il riconoscimento, ma non crede che nascerebbero inconvenienti se si stabilisse per tutti i sindacati il riconoscimento della personalità giuridica.

GIUA vorrebbe che fosse specificato il riconoscimento della Confederazione generale del lavoro, che è l’ente giuridico che riunisce i sindacati. Quindi i contratti di lavoro dovrebbero essere stipulati dai sindacali riconosciuti ed aderenti alla Confederazione stessa. O si giunge a questa formulazione, o si accetta una formulazione generica.

Non tenendo conto della Confederazione generale del lavoro, si mostra di ignorare una realtà che esiste da diverso tempo, e si meraviglia come di fronte ai colleghi Di Vittorio e Rapelli, abbia proprio lui dovuto fare questa proposta.

FANFANI osserva che, a suo avviso, non si può, in due o tre articoli, adombrare tutto l’ordinamento sindacale. Conviene fissare alcuni punti badando di non commettere errori.

PRESIDENTE legge gli articoli 30 e 31 del progetto di Costituzione francese che non fu approvato:

«Art. 30. – Ognuno ha il diritto di difendere i propri interessi a mezzo dell’azione sindacale.

«Ognuno è libero di aderire ad un sindacato di sua scelta o di non aderire ad alcuno».

«Art. 31. – Ogni lavoratore ha diritto di partecipare, per tramite dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, così come alle funzioni di direzione e di gestione dell’impresa».

FANFANI osserva che i francesi escono da tutt’altra esperienza della nostra. Vi sono da noi vecchio posizioni che vanno abbattute.

PRESIDENTE ricorda che il contratto collettivo di lavoro, oltre che dalla legge speciale, è anche considerato dal Codice civile.

COLITTO ritiene che, rientrando la stipulazione del contratto collettivo di lavoro tra i poteri dell’associazione professionale, basterebbe dire: «L’associazione professionale è libera; la legge ne preciserà i poteri».

PRESIDENTE vorrebbe però consacrare nella Costituzione la conquista del contratto collettivo di lavoro, perché non possa, in avvenire, una legge abolirlo.

RAPELLI, Correlatore, osserva che si sono fatti articoli nei quali si parla di diritti; poi si ammette che ci possa essere una regolamentazione supplementare attraverso i contratti collettivi di lavoro, i quali, avendo validità per tutti, diventano norme. Perciò la funzione di cui si deve preoccupare la Costituzione non è tanto quella delle associazioni professionali, quanto di dare ai lavoratori la possibilità legale di vedere difesi i loro diritti, sanciti da contralti collettivi, che devono impegnare tutta la categoria degli appartenenti ai sindacati che li stipulano.

COLITTO aggiungerebbe alle parole: «l’associazione professionale è libera; la legge ne preciserà i poteri», le altre: «Il contratto collettivo di lavoro ha valore di legge».

FANFANI, dopo: «L’associazione professionale è libera», inserirebbe una formulazione del tipo dell’articolo 2 della proposta Rapelli, che è così concepito:

«Apposita legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali per la stipulazione dei contratti di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti delle categorie stesse».

In tal modo non sarebbe pregiudicata la questione del riconoscimento dell’unico sindacato al quale è demandata la facoltà di stipulare il contratto collettivo.

COLITTO obietta che «la formazione delle rappresentanze unitarie» può aver luogo anche ad altri fini.

FANFANI precisa che per quanto riguarda la stipulazione del contratto collettivo ci si appella alla legge che disciplinerà le rappresentanze.

PRESIDENTE all’onorevole Colitto, che propone di dire «ha valore di legge», fa notare che il nostro diritto civile ha risolto già la questione.

COLITTO risponde che l’aveva risolta in quanto, allorché fu preparato il Codice civile, il sindacato era unico.

Aggiunge che il termine «rappresentanze» fa pensare a rappresentanti scelti da tutte le associazioni professionali, mentre il contratto collettivo di lavoro deve essere stipulato da quelle associazioni cui la legge riconosce la capacità.

CANEVARI osserva che se la Sottocommissione vuole arrivare ad una conclusione, occorre far precedere la discussione sui sindacati.

Ricorda come era stata concretata in periodo clandestino, d’accordo con la Democrazia Cristiana, l’organizzazione sindacale. Il sindacato era formato dai lavoratori che spontaneamente vi aderivano, ma sostenuto con il contributo obbligatorio di tutti i lavoratori della categoria. Si trattava di sindacato unico, e la legge poteva riconoscergli la facoltà di fare il contratto collettivo di lavoro. Ma sorse opposizione da patte dell’onorevole Di Vittorio per il Partito comunista e si giunse al temperamento che i tre partiti costituissero una commissione di rappresentanti. Nacque così la Confederazione generale del lavoro. Ora occorre stabilire se si deve riconoscere, come egli pensa, un solo sindacato aperto a tutti, e che agisca nei modi indicati.

RAPELLI, Correlatore, fa notare che si giungerebbe ad un sindacato anagrafico, al comune dei lavoratori.

CANEVARI aggiunge che la loro concezione non negava la costituzione di sindacati liberi, ma voleva che la legge ne riconoscesse uno, quello che rappresentava la maggioranza.

GIUA è del parere che, prima di venire ad una soluzione definitiva, occorra conoscere con precisione le direttive del proprio partito. A suo avviso il sindacato plurimo non può essere che causa di incertezze. Se esisterà l’organizzazione sindacale dei datori di lavoro tanto meglio, altrimenti la Confederazione generale del lavoro stipulerà i contratti collettivi con le singole industrie o gruppi di industrie. Ma per far ciò occorre, come già ha detto, inserire nella Carta costituzionale il riconoscimento della Confederazione generale del lavoro.

CANEVARI si associa alla proposta dell’onorevole Giua.

RAPELLI, Correlatore, non ritiene accettabile senz’altro la proposta Giua.

La Confederazione generale del lavoro è un ente associativo volontario e la Costituzione non può inquadrarlo senz’altro nello Stato. La stessa Confederazione può non può avere interesse a questo riconoscimento giuridico.

Uno dei postulati della regolamentazione del lavoro è la libertà sindacale; e anche la lesi dell’onorevole Di Vittorio, che vi debba essere un sindacato maggioritario, è contro il principio della libertà di associazione.

Oggi la Confederazione del lavoro costituisce la rappresentanza unitaria dei lavoratori, appunto perché non vi sono associazioni concorrenti. Il contratto collettivo, poi, potrebbe anche essere opera di legge e c’è una scuola socialista che tende ad assicurare, attraverso la legge, le condizioni generali di lavoro. L’orario di lavoro, ad esempio, è un fatto protettivo del quale deve preoccuparsi lo Stato.

In sostanza la Sottocommissione deve studiare quali sono gli obiettivi che la Costituzione dovrà assicurare; la legge determinerà poi come potrà essere formata la rappresentanza unitaria delle varie categorie.

GIUA ripete che, a suo avviso, il riconoscimento giuridico, stabilito nella prima parte di questo articolo, debba farsi per quei sindacati che aderiscono alla Confederazione generale del lavoro. Nessuno mette in dubbio che vi sia la libertà di organizzazione; possiamo stabilirla nella Costituzione; però la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro deve avvenire attraverso i sindacati che aderiscono alla Confederazione.

Se dal punto di vista giuridico nessuno può negare la possibilità dei sindacati plurimi, dal punto di vista pratico si chiede che cosa succederebbe se vi fossero tre o quattro Confederazioni del lavoro. Risulterebbero svalutati i contratti collettivi e tutte le conquiste delle classi lavoratrici.

I datori di lavoro possono anche non costituire una Confederazione dell’industria. Si possono stabilire con la «Fiat» dei contratti di lavoro, come con ogni altra categoria di datori di lavoro.

PRESIDENTE osserva che nell’ambito di una stessa categoria si avrebbero sperequazioni enormi.

GIUA risponde che i contratti collettivi di lavoro possono anche essere stipulati con i singoli industriali, ma da un organismo nazionale, perché i contratti stessi debbono poi valere per tutta la nazione.

RAPELLI, Correlatore, accetta il concetto di rappresentanza unitaria, ma la Confederazione generale del lavoro ha attualmente un carattere molto diverso da quello che l’onorevole Giua vorrebbe assegnarle.

MERLIN ANGELINA, riconosce tutta l’importanza della discussione, ma chiede che sia rinviata per dar modo a ciascuno di conoscere le direttive del proprio partito in merito.

PRESIDENTE rilegge le tre proposte pervenute alla Presidenza.

La prima dice:

«L’organizzazione sindacale è libera. I sindacati hanno soltanto l’obbligo della registrazione presso gli organi del lavoro locali e nazionali, composti di delegati dei sindacati in proporzione del numero degli iscritti.

«I contratti collettivi di lavoro stipulati da tali organi hanno efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono».

La seconda proposta presentata dall’onorevole Colitto dice:

«L’associazione professionale è libera. La legge ne preciserà i poteri. Il contratto collettivo di lavoro ha valore di legge».

La terza proposta presentata dall’onorevole Rapelli dice:

«L’associazione per la difesa dei propri interessi economici, professionali e sindacali è libera. La legge regolerà la formazione delle rappresentanze unitarie delle varie categorie professionali e le norme per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie stesse».

COLITTO osserva che la Sottocommissione è chiamata a fissare delle linee programmatiche in materia sindacale. Pensa che basti affermare che l’associazione professionale è libera. Provvederà poi la legislazione a determinarne i poteri. Anche la legislazione dirà quali delle associazioni costituitesi nell’ambito delle categorie potranno stipulare il contratto collettivo di lavoro e le formalità da osservarsi perché il contratto collettivo possa dirsi regolarmente stipulato ed efficace. È opportuno però, a suo avviso, fermare fin d’ora nella Costituzione la norma che il contratto collettivo di lavoro dovrà avere valore di legge.

Insiste perciò perché la Sottocommissione approvi l’articolo da lui proposto.

PRESIDENTE ritiene che l’articolo proposto dall’onorevole Colitto non sia in contrasto con la proposta dell’onorevole Rapelli. Comunque, data l’ora tarda, rinvia il seguito della discussione alla seduta del giorno successivo.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Pesenti, Rapelli, Taviani.

Assenti giustificati: Dominedò, Molè.

Assenti: Assennato, Lombardo, Noce Teresa, Paratore, Togni.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

24.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Comunicazioni del Presidente

Presidente

Sui lavori della Sottocommissione

Merlin Angelina – Presidente – Taviani.

Intrapresa economica (Seguito della discussione)

Presidente – Pesenti, Relatore – Paratore – Taviani – Giua – Colitto – Corbi – Merlin Angelina – Marinaro – Fanfani.

Diritto di associazione e ordinamento sindacale (Discussione)

Presidente – Pesenti – Giua – Fanfani – Paratore – Canevari – Colitto – Taviani.

La seduta comincia alle 10.20.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE comunica che è rientrato a far parte della Sottocommissione l’onorevole Pesenti, che era stato temporaneamente sostituito dall’onorevole Corbi.

Sui lavori della Sottocommissione.

MERLIN ANGELINA propone di intensificare al massimo i lavori della Sottocommissione, anche con sedute notturne, diminuendo invece il numero delle giornate di riunione, onde permettere ai componenti della Sottocommissione di partecipare alla campagna per le elezioni amministrative, attualmente in atto, dando così loro il modo di svolgere nel Paese la necessaria opera di persuasione.

PRESIDENTE, premesso che i lavori per la Costituzione devono avere la precedenza su qualsiasi altra attività, non ritiene che il lavoro della Sottocommissione possa intensificarsi ulteriormente, dato che già sono state fissate due sedute giornaliere.

TAVIANI propone che sia limitato a quindici minuti il tempo assegnato ad ogni oratore.

PRESIDENTE non crede che si possano fissare dei limiti di tempo agli oratori, perché la pratica ha dimostrato che tali limiti non si sono mai potuti rispettare.

Seguito della discussione sull’intrapresa economica.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente riunione tutti si erano dichiarati favorevoli, per evidenti finalità, all’intervento dei lavoratori nella gestione delle aziende. Si tratta ora di vedere se questo diritto dei lavoratori debba essere articolato nella Costituzione, in modo da tracciare una via che impegni il legislatore futuro, ovvero possa essere consacrato in linea di principio, lasciando libertà alla legislazione ordinaria di fissarne il contenuto e i limiti.

Invita l’onorevole Pesenti ad illustrare il suo punto di vista.

PESENTI, Relatore, ritiene che la Costituzione debba limitarsi soltanto ad un principio fondamentale, cioè all’affermazione che al lavoratore è riconosciuto il diritto di partecipare alla direzione dell’impresa. Per direzione intende sia il Consiglio di amministrazione, che la direzione generale, o qualsiasi altro organismo dell’impresa. La Carta costituzionale non può, infatti, entrare nel campo della legislazione particolare, senza rischiare da un lato di diventare affetta da elefantiasi e dall’altro di affermare criteri che inevitabilmente, col mutare delle situazioni, saranno soggetti a revisione a breve scadenza.

Il nuovo principio che la Costituzione deve affermare in questo campo è che la direzione dell’impresa non è più affidata esclusivamente al proprietario, ma che in essa viene ammessa la partecipazione delle forze del lavoro. I particolari di applicazione di questo principio saranno di competenza della futura Assemblea legislativa, in seno alla quale ciascuno cercherà di far prevalere il proprio punto di vista.

PARATORE condivide il punto di vista dell’onorevole Pesenti, che la Costituzione debba limitarsi all’affermazione del principio intorno al quale vi è già un consenso unanime. Anche l’uomo più retrogrado deve oggi ammettere che il rapporto fra il lavoratore e la direzione dell’azienda non può limitarsi al salario, ma che è necessario, invece, arrivare alla collaborazione, nell’interesse dell’azienda e dell’economia del Paese. Preferirebbe soltanto che nell’articolo si parlasse di «gestione» invece che «direzione».

PRESIDENTE ricorda le varie proposte in materia. Una è quella contenuta nella relazione dell’onorevole Pesenti così formulata: «Per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione dell’impresa, siano esse aziende private, pubbliche o sotto il controllo della Nazione».

Vi è poi la proposta dell’onorevole Lombardo: «È diritto dei lavoratori di partecipare con propri organi e propri rappresentanti alla conduzione delle imprese in cui prestano la loro opera».

Infine vi è quella della relazione dell’onorevole Di Vittorio, che è del seguente tenore: «Ai lavoratori di aziende di ogni genere, aventi almeno 50 dipendenti, è riconosciuto il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda mediante appositi Consigli di gestione, le cui norme costitutive ed i cui compiti saranno fissati dalla legge».

Tutti questi articoli si trovano nell’ordine di idee indicato dagli onorevoli Paratore e Pesenti: affermare cioè il principio, senza impegnare l’avvenire in particolari determinazioni.

D’accordo con l’onorevole Giua, propone la formula seguente che ritiene riassuntiva del pensiero di tutti:

«È diritto dei lavoratori partecipare con propri delegati alla conduzione delle aziende ove prestano la loro opera.

La legge stabilisce i limiti di applicazione del diritto, la costituzione e le attribuzioni dell’organo a ciò predisposto».

Fa presente che nella formulazione proposta si è evitato di proposito di parlare in modo specifico di consigli di gestione, o di usare altri termini, per non pregiudicare quella che potrà essere fa futura denominazione.

PESENTI, Relatore, osserva che tlte formulazione è soggettiva, in quanto riguarda il riconoscimento di un diritto al lavoratore, mentre quella da lui proposta è oggettiva, riferendosi ad un interesse generale dello Stato e non al diritto del singolo.

TAVIANI concorda sul principio di non scendere nei dettagli, in quanto la situazione nel campo industriale è talmente mutevole da non poter legare un testo costituzionale a fattori contingenti. Riconosce la fondatezza dell’osservazione dell’onorevole Pesenti, perché se da un lato quello che importa è il diritto del lavoratore, dall’altro è evidente che la meta finale deve essere il bene comune. Compito della Sottocommissione sarebbe, in questo caso, di conciliare l’interesse particolare del lavoratore, ed il suo conseguente diritto, con l’interesse generale della collettività.

Accetterebbe quindi la formulazione soggettiva Ghidini-Giua, inserendo nella prima parte anche l’elemento oggettivo dell’articolazione Pesenti, non parlando però né di conduzione, né di direzione, ma semplicemente di gestione. Semplificherebbe, poi, la seconda parte, su cui particolarmente dichiara di concordare, nel modo seguente: «La legge determina i modi e i limiti di applicazione del diritto».

PARATORE dichiara di essere d’accordo.

PESENTI, Relatore, concorda, pur ritenendo che in tal modo si verrebbe ad appesantire il testo della Costituzione.

GIUA ritiene che la prima parte della formulazione proposta dall’onorevole Pesenti non sia adatta per una Costituzione; per questo motivo, d’accordo col Presidente, ha proposto la nuova formulazione che riassume, in sintesi, articoli di altre costituzioni moderne. Concorda, invece, con la seconda parte di tale formulazione e, pur rilevando che il termine «conduzione» potrebbe essere accettato, non si dimostra contrario a parlare di gestione.

PRESIDENTE dichiara di aderire alle osservazioni dell’onorevole Giua.

PESENTI, Relatore, per introdurre un elemento oggettivo nella dizione Ghidini-Giua direbbe: «Lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare, ecc.».

PRESIDENTE concorda.

COLITTO si associa all’onorevole Giua, perché ritiene che non sia il caso di indicare nella Costituzione le finalità per le quali un diritto si afferma. Non vede, poi, una sostanziale differenza fra le formulazioni degli onorevoli Pesenti e Ghidini. Pensa, pertanto, che, eliminata l’enunciazione delle predette finalità, si possa inserire nella Costituzione un articolo in materia, adottandosi o la formula dell’onorevole Ghidini, o quella dell’onorevole Pesenti. Solo sostituirebbe il termine «conduzione» con «gestione».

CORBI preferirebbe «gestione» perché è un termine che è entrato ormai nell’uso comune.

MERLIN ANGELINA si associa all’onorevole Colitto, in quanto non vede la ragione per cui si debba parlare di diritti oggettivi e soggettivi. Ritiene necessario far prevalere il principio che si debbano affermare i diritti del lavoro, comprendendo in essi sia quelli del lavoratore, che quelli della collettività.

MARINARO ricorda che nella penultima seduta fu presentato un ordine del giorno dell’onorevole Fanfani in cui erano fissati i criteri ai quali avrebbe dovuto informarsi la discussione successiva. Si chiede se la Sottocommissione intenda o meno abbandonare tale ordine del giorno.

Ritiene che tutti siano d’accordo sulla opportunità di accordare alle classi lavoratrici il diritto ai rendersi conto dell’andamento delle industrie e di controllarle, ma ritiene parimenti opportuno indicare la forma di tale controllo che, a suo avviso, senza dar luogo ad inconvenienti, potrebbe giovare al consolidamento ed al migliore sviluppo della produzione ed esercitare un’azione regolatrice e pacificatrice fra capitale e lavoro. Ciò premesso, propone il seguente articolo: «Tutte le imprese industriali sono sottoposte a controllo tecnico ed amministrativo da parte dei lavoratori maggiormente interessati e raccolti in sindacati di categoria addetti all’industria. La legge determinerà le forme, i modi ed i limiti di tale controllo».

PRESIDENTE esprime l’avviso che la formulazione proposta dall’onorevole Marinaro, parlando solo di imprese industriali e di un controllo tecnico ed amministrativo da parte dei lavoratori «maggiormente interessati», iscritti nei sindacati industriali, limiti alquanto la portata della disposizione.

COLITTO sopprimerebbe nell’articolo Ghidini-Giua le parole «con propri delegati», essendo già questa una precisazione che dovrebbe essere riservata alla legge ordinaria.

PARATORE si dichiara contrario all’articolo dell’onorevole Marinaro, principalmente perché dalla collaborazione si passa al controllo, che è una forma anch’essa di collaborazione, ma assai pericolosa. Forse l’onorevole Marinaro ha creduto di attenuare la portata della disposizione, mentre, piuttosto che limitarla, si verrebbero a creare infinite complicazioni, specialmente dal punto di vista tecnico.

Ricorda che, nell’altro dopo-guerra, dopo la famosa occupazione delle fabbriche, la Commissione paritetica, istituita da Giolitti, fra la Confederazione del lavoro e la Confederazione dell’industria, non essendo giunta, come era prevedibile, ad un accordo, ognuno dei due organi presentò un progetto con relativa relazione. La Confederazione bianca presentò, a sua volta, un progetto di legge che era il più estremista, arrivando all’azionariato sociale, alla partecipazione agli utili ed alla possibilità per i lavoratori di giungere col tempo anche alla proprietà dell’azienda. Benché questi tre progetti e relative relazioni fossero stati presentati alla Camera, unitamente al progetto del Capo del Governo, nessuna delle parti interessate chiese che il proprio progetto fosse messo all’ordine del giorno. Questo sta a dimostrare la difficoltà e la complessità del problema, tenendo anche presente che qualunque formulazione può rappresentare una limitazione a destra o a sinistra.

Esprime l’avviso che con lo sviluppo industriale di oggi, il problema potrebbe essere utilmente risolto sulla base di una collaborazione nella gestione, da attuarsi anche gradualmente:

Riconosce la difficoltà di fissare il modo; come questa collaborazione possa esplicarsi, ma ritiene che un’utile base possa trovarsi nell’esperienza delle Commissioni interne che hanno già dato risultati favorevoli sia dal punto di vista tecnico, che amministrativo.

I consigli di gestione possono essere utili e dovranno essere liberamente eletti, ma difficilissima cosa sarà fissarne la facoltà e i modi di composizione. Quanto alla partecipazione ai consigli di amministrazione, ricorda che nella migliore delle ipotesi i rappresentanti dei lavoratori hanno fatto la figura di comparse.

Prega il collega Marinaro di considerare queste sue osservazioni, che sono frutto dell’esperienza di un vecchio parlamentare ed anche dell’esperienza industriale quotidiana.

MARINARO è spiacente di trovarsi in disaccordo su questo argomento con un maestro in materia, quale l’onorevole Paratore. In verità, ritiene che la sua formula attenui, piuttosto che aggravare la situazione. Infatti quando si dice che i rappresentanti delle classi lavoratrici hanno il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda, si dà ai lavoratori il diritto di partecipare anche ai consigli di amministrazione, con voto deliberativo; almeno secondo le intenzioni dei democristiani.

La sua formula invece tende a precisare che la collaborazione dei lavoratori debba limitarsi soltanto al controllo tecnico e amministrativo, come del resto era previsto, se non erra, nel progetto di legge presentato dall’onorevole Giolitti dopo l’occupazione delle fabbriche.

Data l’attuale situazione, la quale non consente più di negare ai lavoratori la conoscenza dello svolgimento dell’industria, dei risultati dell’esercizio e delle ultime conquiste tecniche, ritiene che tutti potrebbero essere d’accordo sulla necessità di un controllo tecnico ed amministrativo, per consentire ai lavoratori di intervenire tempestivamente e di dare i necessari suggerimenti, al fine di migliorare l’industria. Invece la partecipazione alla gestione dell’azienda può essere una facoltà di assai più ampia portata, che non era prevista nemmeno dal progetto Giolitti del 1921.

Comunque se, in seguito alle osservazioni dell’onorevole Paratore, la Commissione ritiene che la formula di partecipazione alla gestione attenui, piuttosto che aggravare, la situazione dell’industria, si dichiara anche egli favorevole a tale soluzione. Conferma però il suo punto di vista, che cioè sarebbe stato preferibile precisare, in sede costituzionale, il diritto dei lavoratori al solo controllo tecnico-amministrativo, delimitando così il campo al futuro legislatore per la regolamentazione di tutta questa delicata materia.

PARATORE ribadisce il concetto che nell’interesse di una azienda sia molto più utile la collaborazione che il controllo, il quale, potendo esplicarsi anche col veto, potrebbe causare il caos nell’industria. È necessario, invece, creare, nell’interesse dell’azienda, una collaborazione pacifica che in un domani può anche arrivare alla parte tecnica.

MARINARO non è d’accordo che il controllo si possa risolvere anche in un veto; ma ad ogni modo dichiara di ritirare il suo articolo.

FANFANI è convinto, nonostante le gravi difficoltà alle quali accennava l’onorevole Paratore, che la strada del progresso sociale ed economico sia ancora indicata dal complesso dei progetti presentati nel 1921 ed in base ai quali bisognava allora, e bisogna ora, spianare la strada alla partecipazione integrale dei lavoratori all’azienda.

Per questo motivo nell’ultima riunione aveva prospettato l’opportunità che nella Costituzione non si precludesse la strada ad uno sviluppo della legislazione in quel senso. A tale proposito, l’espressione «gestione» sembrandogli di significato troppo esclusivo, pregherebbe di trovare un termine più lato.

Domanda, infine, se la Commissione ritenga superfluo specificare che trattasi di lavoratori «di ogni categoria».

GIUA non ritiene necessaria tale specificazione.

PARATORE fa presente la difficoltà di trovare una espressione diversa di «gestione». Personalmente è convinto che tale termine sia il più completo.

PRESIDENTE in relazione alle varie proposte, ritiene che l’articolo potrebbe essere così formulato: «Lo Stato assicura il diritto dei lavoratori di partecipare alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera. La legge stabilisce i modi e i limiti di applicazione del diritto».

COLITTO, per euritmia, modificherebbe così l’ultima parte: «La legge stabilisce i modi e i limiti di tale partecipazione».

PRESIDENTE, non variando il significato, preferisce la dizione dianzi proposta. Mette ai voti l’articolo.

FANFANI dichiara di votare l’articolo e di approvarne la terminologia, intendendo, però – (e gli sembra che molti consentano con lui) – che la parola «gestione» non precluda ogni altro modo di partecipazione alla vita attiva delle imprese e che riguardi i lavoratori di ogni categoria.

TAVIANI si associa interamente alla dichiarazione dell’onorevole Fanfani.

(L’articolo è approvato all’unanimità).

Discussione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale.

PRESIDENTE, in assenza del Relatore Assennato e del Correlatore Rapelli, ravvisa l’opportunità di prendere in esame gli articoli proposti degli onorevoli Di Vittorio, già Relatore, e Rapelli, Correlatore.

Il primo articolo proposto dall’onorevole Di Vittorio è il seguente:

«Il diritto di associazione è riconosciuto a tutti i cittadini d’ambo i sessi ed agli stranieri residenti legalmente sul territorio nazionale, senza distinzione di razza.

«Tale diritto è garantito dalla legge e non potrà essere limitato dagli scopi politici, sociali, religiosi o filosofici che persegue l’associazione».

Il primo articolo proposto dall’onorevole Rapelli è il seguente:

«È garantito ad ognuno, ed a tutte le professioni, la libertà di associazione per la difesa ed il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica».

PESENTI formulerebbe così l’articolo:

«Il diritto di associazione è riconosciuto a tutti indipendentemente e senza distinzioni di nazionalità».

GIUA ricorda che sullo stesso argomento la prima Sottocommissione ha approvato il seguente articolo:

«Il diritto di associarsi senza autorizzazione e per fini che non contrastino con la legge penale è riconosciuto a tutti. Le associazioni che perseguono fini politici mediante una organizzazione militare sono vietate».

FANFANI fa presente che, secondo le intenzioni dell’onorevole Di Vittorio, il diritto di associazione sindacale deve essere bensì compreso nel quadro del diritto di associazione in genere, ma con una particolare specificazione, conseguente alle caratteristiche che ne determinano l’essenza.

Propone il seguente comma da aggiungere alla fine dell’articolo già approvato dalla prima Sottocommissione sul diritto di associazione:

«Il diritto di associazione per la tutela dei propri interessi economici e professionali è riconosciuto a tutti coloro i quali partecipano all’attività economica».

Tale norma, non facendo particolari specificazioni, sottintende, a suo giudizio, che il diritto di associarsi sindacalmente è riconosciuto non soltanto ai cittadini italiani, ma anche agli stranieri, e comunque in assoluta indipendenza da presupposti di sesso o di razza.

PARATORE nota che nella formula proposta dall’onorevole Fanfani, non risultando specificato il carattere sindacale, dovrebbe presumersi che la norma potesse applicarsi anche ad associazioni, ad esempio, di esportatori, le quali, pure se rivolte alla tutela di interessi economici collettivi, non rivestono però le caratteristiche di associazioni sindacali.

CANEVARI concorda.

COLITTO afferma che, a suo giudizio, il termine «professionale» equivale a «sindacale». È convinto che il medesimo concetto che l’onorevole Fanfani vuole affermare possa essere reso più sinteticamente mediante la seguente formulazione: «L’associazione professionale (o sindacale) è libera».

TAVIANI non concorda. Le associazioni di utenti, ad esempio, non sono organizzazioni professionali, per quanto perseguano la tutela di interessi economici collettivi. Parlerebbe quindi di associazioni professionali e sindacali.

COLITTO risponde che le associazioni di utenti non sono associazioni professionali.

PESENTI propone: «L’associazione per la tutela degli interessi economici è libera».

TAVIANI, fondendo le proposte Fanfani e Pesenti, l’articolo potrebbe essere così formulato:

«L’associazione per la tutela dei propri interessi economici e professionali è libera».

CANEVARI direbbe: «L’associazione per la tutela dei propri interessi economici professionali e sindacali è libera».

PRESIDENTE assicura che delle varie proposte sarà dato atto a verbale. Deve tuttavia rinviare ogni decisione, data l’assenza dei due Relatori. Apre intanto la discussione sull’articolo 2 della relazione Di Vittorio, di cui dà lettura:

«Il lavoro è la base della vita e dello sviluppo della società nazionale. Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori manuali ed intellettuali. I sindacati dei lavoratori, quali organi di auto-difesa e di tutela dei diritti e degli interessi economici professionali e morali dei lavoratori, sono riconosciuti enti di interesse collettivo».

PESENTI domanda quale sia il significato della espressione «enti di interesse collettivo».

COLITTO esprime l’avvisto che sarebbe più opportuno rimandare la discussione a quando saranno presenti i Relatori. Ad ogni modo ritiene inutile precisare nella Costituzione la natura giuridica delle associazioni professionali, perché le stesse saranno o meno, enti di diritto pubblico, a seconda della legislazione che disciplinerà la materia e, quindi, a seconda dei compiti che avranno e dei controlli cui saranno sottoposte.

PRESIDENTE rinvia la discussione al pomeriggio alle 17.

La seduta termina alle 11.15.

Erano presenti: Canevari, Colitto, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Paratore, Pesenti, Taviani.

Era presente autorizzato l’onorevole: Corbi.

Erano assenti: Assennato, Lombardo, Noce Teresa, Rapelli, Togni.

In congedo: Dominedò, Molè.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

23.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Corbi, Relatore – Togni – Marinaro – Dominedò, Correlatore – Noce Teresa – Presidente.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà e sull’intrapresa economica.

CORBI, Relatore, ritiene che dalla discussione del mattino siano emersi i seguenti cinque punti fondamentali: i consigli di gestione come organi paritetici di direzione tecnica del processo produttivo: immissione dei lavoratori nei consigli di amministrazione; partecipazione dei lavoratori alle sedute dei consigli di amministrazione, con voto consultivo o deliberativo; forme di azionariato operaio; partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali.

Premesso che condivide il punto di vista dell’onorevole Fanfani circa la necessità di far partecipare gli operai, i tecnici e gli impiegati alla direzione tecnica del processo produttivo, dichiara di dissentirne per quanto invece riguarda le altre forme di partecipazione dei lavoratori alla attività dell’impresa nei suoi vari aspetti.

In particolare è molto scettico sui concreti benefici che potrebbero derivare agli operai dall’azionariato e dalla partecipazione agli utili. Qualora questi diritti fossero accolti, i datori di lavoro potrebbero pretendere sia che i miglioramenti salariali fossero subordinati e condizionati alla riuscita della impresa, così come avviene per il capitale, sia di decurtare salari e stipendi, a compenso degli utili concessi, sia che la retribuzione fosse da considerarsi come un anticipo in conto della liquidazione annuale degli utili. I datori di lavoro, inoltre, potrebbero anche pretendere, e non del tutto a torto, che il diritto alla partecipazione agli utili non fosse concesso a tutti i dipendenti ma soltanto a quelli la cui attività rappresentasse un contributo concreto al buon successo dell’impresa. Fatalmente si giungerebbe così a paralizzare l’azione sindacale dei lavoratori, in virtù di un mirifico miglioramento, che il più delle volte potrebbe rivelarsi puramente illusorio, ma che costituirebbe un mezzo efficace per sedare lo spirito di attività sindacale delle masse lavoratrici, che verrebbero col tempo a trovarsi divise in due caste: una di lavoratori privilegiati, vera aristocrazia operaia ligia alle classi padronali, l’altra di lavoratori dimenticati e sfruttati.

Ritiene, comunque, che la questione della partecipazione agli utili possa essere messa in discussione soltanto dopo un più completo esperimento dei consigli di gestione; del pari l’azionariato, il quale offre aspetti ancor più delicati e complessi, potrà essere discusso solo dopo che siano stati constatati i benefici e gli inconvenienti della partecipazione agli utili e dopo che i consigli di gestione si siano sicuramente affermati come strumenti idonei alla formazione di capacità direttive, non soltanto tecniche, ma anche amministrative.

Fa notare che attualmente la partecipazione operaia ai consigli di amministrazione con potere deliberativo non è richiesta né voluta dai lavoratori, i quali, d’altra parte, non si sentirebbero sufficientemente garantiti e soddisfatti da una partecipazione con voto soltanto consultivo, qualora fossero chiamati a partecipare agli utili o all’azionariato. Del resto, se si esaminano gli istituti introdotti nelle legislazioni straniere che presentano caratteri di analogia con i consigli di gestione, si trova che hanno caratteristiche simili a quelle che la Confederazione generale italiana del lavoro vorrebbe attribuire ai consigli di gestione.

TOGNI rileva che la Confederazione generale italiana del lavoro non ha ancora ufficialmente precisato le proprie richieste in merito alla composizione e ai poteri dei consigli di gestione. Su questi elementi gradirebbe dall’onorevole Corbi una precisazione.

CORBI, Relatore, ripete quanto ha esposto nella precedente riunione.

Il consiglio di gestione, premesso che deve essere paritetico, con un presidente eletto dai suoi componenti, il cui parere dovrebbe avere la prevalenza nelle questioni controverse, deve avere un duplice carattere: deliberativo per quanto riguarda l’orientamento e lo sviluppo della capacità produttiva dell’azienda, l’impiego delle materie prime, i problemi dei costi e dei prezzi, le assunzioni e i licenziamenti del personale; consultivo in relazione alla partecipazione dei dipendenti al consiglio di amministrazione.

TOGNI domanda se la partecipazione al consiglio di amministrazione si intende riferita a tutto il consiglio di gestione, e in quali materie si esplichi la sua funzione consultiva; se e quali siano le facoltà di questo consiglio per quanto riguarda il potere esecutivo dell’azienda, rappresentato normalmente dal direttore o dai capi servizio.

CORBI, Relatore, precisa che alle riunioni del consiglio di amministrazione partecipa solo una rappresentanza. Il carattere consultivo del consiglio di gestione si esplica in primo luogo in materia amministrativa ed in secondo luogo per rendersi conto dell’ammontare degli utili, far proposte sul loro impiego, controllare i bilanci, verificare il conto profitti e perdite ecc. Circa il potere esecutivo dell’azienda, il consiglio di gestione interviene su alcuni argomenti con potere discrezionale e su altri con potere consultivo, come ha già spiegato.

TOGNI teme si faccia confusione circa l’ordinamento interno di un’azienda. Rientrano nei compiti del consiglio di amministrazione, che deve considerarsi come il potere legislativo, l’orientamento e lo sviluppo dell’azienda, i problemi dei costi e dei prezzi, le assunzioni e i licenziamenti, mentre la direzione, o potere esecutivo, è costituita da coloro che applicano le disposizioni.

Tenendo presente questa distinzione, qualora si arrivasse all’assurdo di un consiglio di gestione che potesse interferire in quella che è la fase esecutiva dell’ordine, non si farebbe altro che creare una confusione nell’interno dell’azienda ed un continuo intralcio alla sua attività.

CORBI, Relatore, chiede a sua volta all’onorevole Togni quali, secondo lui, dovrebbero essere le funzioni e gli attributi dei consigli di gestione, perché se non ha male interpretato il suo pensiero, gli sembra che sarebbero svuotati di ogni contenuto.

TOGNI risponde che è intenzione del suo gruppo di costituire condizioni tali da portare il rapporto di lavoro da subordinato ad un piano di associazione, negando che ci possa essere una inconciliabilità di interessi tra i così detti datori di lavoro e i così detti lavoratori.

Secondo tale intenzione, i lavoratori dovrebbero partecipare al consiglio di amministrazione, che è la più alta gerarchia dell’azienda, in modo quindi che dividano la responsabilità, dispongano anch’essi della vita dell’azienda stessa, e partecipino alla emanazione di quegli ordini che passano al potere esecutivo, nei riguardi del quale i lavoratori, attraverso i consigli di gestione, dovrebbero avere solo facoltà consultive per non creare duplicazioni di poteri. Data questa premessa, ne viene, come logica conseguenza, una partecipazione anche ai vantaggi e cioè agli utili dell’azienda stessa, che avrebbe, in ultima analisi, come limite la partecipazione alla proprietà.

Se i consigli di gestione non vogliono assumere la loro parte di responsabilità, sarebbe impropria la loro denominazione, mentre, secondo la concezione del suo gruppo, i lavoratori avrebbero un effettivo controllo, una effettiva partecipazione, un effettivo interesse, una effettiva proprietà.

MARINARO desidererebbe conoscere come si concreterebbe la responsabilità dei lavoratori.

TOGNI considera giusta l’osservazione, ma si dichiara convinto che i lavoratori potranno veramente rispondere a questa responsabilità con la loro esperienza e con il loro interesse diretto, perché vivendo in un’azienda e sapendo che essa è già parte della loro vita, nonché delle loro possibilità e dei loro diritti che crescono in ragione dell’anzianità di ciascuno, avranno per l’azienda un attaccamento tale da poter sostituire, in fondo, la normale garanzia che possono dare certi amministratori che, molte volte, hanno più denari che competenza.

MARINARO domanda ancora quale responsabilità assumerebbero i lavoratori in caso di fallimento dell’azienda.

DOMINEDÒ, Correlatore, ritiene che in questo caso non assumerebbero alcuna responsabilità giuridica.

TOGNI precisa però che una responsabilità comincerebbe a sorgere quando questi partecipanti alla amministrazione dell’azienda avessero anche una parte di proprietà. In fondo, non dovrebbe esistere divario tra la posizione di questi amministratori operai e quella dei normali amministratori.

NOCE TERESA, nella riunione del mattino, ha seguito con molto interesse l’intervento dell’onorevole Fanfani, ha ammirato lo spirito con cui egli ha sviscerato tutti gli aspetti della questione, e riconosce che alcune sue preoccupazioni, di carattere sociale ed etico l’hanno trovata pienamente consenziente. Non può però condividere alcuni aspetti da lui trattati e nel rispondergli chiarirà anche, in modo inequivocabile, la divergenza di opinioni esistente fra comunisti e democristiani. Limiterà la sua esposizione alla partecipazione dei lavoratori agli utili ed ai consigli di amministrazione.

I comunisti sono contrari alla partecipazione dei lavoratori agli utili, perché vogliono evitare una divisione non solo all’interno della classe operaia, ma anche tra la classe operaia e la classe lavoratrice. Fa questa distinzione, perché una cosa è la classe operaia ed un’altra è la classe lavoratrice, a cui appartiene anche il datore di lavoro che è un lavoratore allo stesso titolo dell’operaio, senza però appartenere alla classe operaia.

Tale divisione, a suo avviso, sarebbe motivata dal fatto che l’operaio, quando partecipasse agli utili dell’azienda, sarebbe inevitabilmente portato a considerarla come parte di se stesso, arrecando così in seno anche alla classe operaia quella corsa al profitto, che caratterizza la società capitalistica attuale. In concreto, gli operai di una data officina avrebbero interesse a lavorare in modo da ottenere i più alti profitti, anche se questo risultato fosse contrario agli interessi di altri componenti della classe operaia, o di altri lavoratori. Cita l’esempio degli operai tessili che già godono di condizioni di favore e che se fossero ammessi alla partecipazione agli utili, potrebbero essere portati a produrre una accentuazione nella corsa al rialzo dei prezzi, creando così una divisione tra essi e la collettività nazionale.

D’altra parte, se il sistema si estendesse, data la differenza di utili delle varie aziende, si verrebbero a costituire delle aristocrazie operaie che si metterebbero in contrapposizione con altri lavoratori meno favoriti. Oltre a questo motivo, i comunisti sono contrari alla partecipazione agli utili, perché questa, in fondo, è una caratteristica della ideologia corporativa, la quale tendeva alla collaborazione delle classi sul terreno dello sfruttamento, e della corsa al profitto capitalistico, tra operai e datori di lavoro.

L’istituzione dei consigli di gestione, secondo il punto di vista comunista, deve avere invece lo scopo di collaborare coi datori di lavoro in senso produttivo, non per attuare una corsa al profitto capitalistico, ma nell’interesse della collettività. Per profitti capitalistici, oltre quelli di congiuntura, a cui ha accennato l’onorevole Fanfani, si devono intendere anche gli utili che sorpassino un certo livello, i quali oltre che al datore di lavoro, dovrebbero andare a beneficio della collettività sotto forma di riduzione di prezzi. È anche sotto questa forma che va inteso il concetto di solidarietà nazionale, affinché non sia una parola vuota di senso.

Oltre che per la riduzione dei prezzi, tali utili potrebbero essere impiegati per provvidenze di carattere sociale, non circoscritte però ai soli operai di una data industria o officina, come nidi per bambini, scuole professionali, scuole di perfezionamento e scuole tecniche.

Ha voluto precisare il punto di vista dei comunisti perché, rendendosi conto delle preoccupazioni che alcuni aspetti di questo problema potevano determinare nei colleghi democristiani, le pareva che tali aspetti non fossero stati veduti sufficientemente, sotto il profilo specialmente della solidarietà sociale.

Per quanto, poi, concerne i consigli di amministrazione, i comunisti sono contrari ad una partecipazione ad essi dei lavoratori in genere, mentre sono favorevoli a farvi partecipare un rappresentante del consiglio di gestione.

Nel primo caso, infatti, premesso che un consiglio di amministrazione è il consesso dei dirigenti amministrativi che rappresentano il capitale, gli operai, mentre da un lato si renderebbero corresponsabili di fronte ai loro compagni delle decisioni adottate in quella sede, non avrebbero d’altra parte sufficiente voce in capitolo per poter opporsi alle deliberazioni, o per poterne condividere la responsabilità.

Differente è invece la questione se al consiglio di amministrazione partecipa il rappresentante del consiglio di gestione, in quanto egli rappresenta già un collegio in cui sono stati dibattuti quegli stessi problemi che formeranno oggetto di discussione nel consiglio di amministrazione, in seno al quale porterà il parere dell’organo che rappresenta, senza tuttavia impegnarne la responsabilità.

Tale rappresentante naturalmente non deve avere voto deliberativo, perché non può assumersi la responsabilità di eventuali decisioni che siano contrarie agli interessi degli operai. Potrebbe forse accettare il voto deliberativo soltanto se nel consiglio di amministrazione vi fossero tanti rappresentanti operai quanti sono rappresentanti datori di lavoro. Ma poiché si è ancora troppo lontani da questa mèta, e per il momento si può solo fare una questione di rappresentanza, questa non essendo in grado di decidere, non può assumersi la correlativa responsabilità.

Dove, a suo parere, i consigli di gestione dovrebbero avere un’influenza determinante è proprio nei casi di licenziamento e di assunzione; nella migliore utilizzazione delle materie prime, nell’incremento della produzione e in genere in tutti quei problemi in cui veramente possono esprimere un parere ed assumersi una responsabilità. Non parla di consigli di gestione ideali, ma si riferisce a consigli che esistono e che si interessano di tutte le questioni di produzione, di vendita, di importazioni e di esportazioni.

In sostanza gli operai vogliono attuare con i datori di lavoro una collaborazione tecnica e produttiva per il miglior andamento della azienda e non per il suo maggior sfruttamento.

Per questi motivi, ritiene che la Sottocommissione dovrebbe sancire con un articolo breve e sintetico, il diritto della partecipazione degli operai, degli impiegati e dei tecnici a collaborare con i datori di lavoro, nell’interesse della collettività.

PRESIDENTE, tra le due opposte tendenze, si limiterebbe ad affermare il diritto generico dei lavoratori ad entrare nella vita della azienda.

DOMINEDÒ, Correlatore, ritiene che per stabilire la possibilità di giungere ad una conclusione la quale rappresenti un punto di accordo tra le due diverse tendenze, sia necessario approfondire i rispettivi due angoli visuali. A suo giudizio, i cinque punti esposti dall’onorevole Corbi possono essere ridotti ai tre seguenti: 1°) partecipazione alla titolarità; 2°) partecipazione all’esercizio (costituzione di consigli di gestione e immissione nei consigli di amministrazione); 3°) partecipazione agli utili.

Il partecipazionismo alla titolarità, dal punto di vista del suo gruppo, deve essere ritenuto come una mèta fondamentale, poiché, se non si mira ad un collettivismo totale, deve restare aperta la possibilità ai lavoratori di diventare proprietari dell’azienda.

Circa il partecipazionismo all’esercizio, in riguardo alla costituzione dei consigli di gestione, domanda come si concilierebbe il potere deliberativo di questo organo, quale è stato illustrato dall’onorevole Corbi (orientamento e sviluppo produttivo dell’azienda, costi e prezzi, destinazione delle materie prime, assunzione e licenziamento del personale), con la funzione deliberativa ordinaria del consiglio di amministrazione, nonché con la necessità di una correlativa responsabilità anche dal punto di vista giuridico. Poste queste domande, avanza l’ipotesi se non sia il caso di pensare a una diversa struttura dei consigli di gestione, fondata sul concetto che questi consigli potrebbero essere organi di consulenza tecnica per rafforzare l’unità e la solidarietà aziendale: cioè organi di efficienza piuttosto che di gestione.

In riguardo, poi, alla possibile partecipazione al consiglio di amministrazione, ritiene che le contrarie argomentazioni della onorevole Noce siano probanti solo in quanto si consideri isolatamente questa forma di partecipazionismo che invece deve essere inquadrata con le altre due forme.

Infatti, se da un lato si tende alla graduale immissione dei lavoratori nella titolarità oltre che nell’esercizio della azienda, nel medesimo tempo si vengono a creare i presupposti per cui rappresentanti del patrimonio sociale o aziendale diventerebbero gli stessi lavoratori trasformatisi in comproprietari, essendosi favorito l’accesso alla proprietà oltre che alla gestione. Verrebbe così a cadere la sostanza delle obbiezioni sollevate dalla onorevole Noce su questo punto.

Parimenti, per quanto attiene alla partecipazione agli utili aziendali, non gli sembrano probanti le obbiezioni facenti perno sul pericolo di un’eventuale scissione della classe operaia, sia per un motivo analogo al precedente (cioè perché si considera l’innovazione singola, avulsa dalle altre), sia perché, a rigore, se l’affermazione fosse rispondente a verità, sarebbe così grave da ferire non solo il partecipazionismo agli utili ed alla gestione, ma altresì il partecipazionismo alla stessa proprietà. Infatti, anche nel caso in cui il lavoratore fosse immesso nella titolarità delle aziende, si potrebbe verificare egualmente la ipotesi deprecata dalla onorevole Noce, cioè la corsa al profitto capitalistico nell’ambito di una singola azienda, aprendo così un solco fra gli interessi dei lavoratori da essa dipendenti e quelli appartenenti ad altri complessi aziendali. Pertanto, se le obbiezioni poste chiaramente in evidenza dalla discussione, in riguardo alla partecipazione dei lavoratori agli utili, fossero probanti, esse finirebbero per incrinare il fenomeno stesso della elevazione dei lavoratori e della loro partecipazione ad una singola azienda privata, perfettamente degna di essere tutelata in quanto rispondente ad una funzione sociale. Né, a rigore, resterebbe altra soluzione, in ultima analisi, che quella di un collettivismo totale e livellatore, il quale, anche da un punto di vista umano ed etico, non costituirebbe allora la via più idonea per la redenzione del lavoro.

PRESIDENTE, come ha già detto, si limiterebbe ad affermare il diritto generico dei lavoratori di partecipare alla vita dell’azienda. All’incirca formulerebbe così l’articolo:

«È diritto dei lavoratori di partecipare con i propri delegati alla conduzione dell’impresa in cui prestino la loro attività. L’organo formato dai delegati del capitale e dai delegati del lavoro verrà regolato dalla legge nella sua costituzione e nelle sue attribuzioni».

CORBI, Relatore, dichiara di essere d’accordo sulla formulazione proposta dal Presidente.

PRESIDENTE rinvia la riunione a venerdì 11 alle ore 10.

La seduta termina alle 19.30.

Erano presenti: Assennato, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Canevari, Colitto, Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore, Rapelli.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

22.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Togni – Noce Teresa – Presidente – Fanfani – Corbi, Relatore – Assennato – Dominedò, Correlatore – Marinaro.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà e sull’intrapresa economica.

TOGNI propone che, prima di trattare dei consigli di gestione, sia svolta e discussa la relazione Fanfani sul controllo dell’attività economica, in quanto i consigli di gestione rappresentano un elemento di tale controllo.

NOCE TERESA è d’avviso di abbinare le due discussioni sul controllo e sui consigli di gestione.

PRESIDENTE osserva che quello dei consigli di gestione è un problema che ha dei limiti precisi.

FANFANI, pur ritenendo che si possa parlare dei consigli di gestione anche astraendo da ogni altro problema, osserva che, poiché la Commissione dovrà discutere anche il problema del controllo, di cui uno degli strumenti è il consiglio di gestione, sarebbe opportuno abbinare le discussioni.

CORBI, Relatore, concorda con l’onorevole Fanfani nel ritenere che i due argomenti possano essere trattati contemporaneamente.

Per quanto riguarda i consigli di gestione, dichiara di aver poco da aggiungere a quanto ha detto nella sua precedente relazione. Propone quindi che, avendo già egli nelle grandi linee trattato il suo tema, altrettanto faccia l’onorevole Fanfani per la parte che lo riguarda, in modo da porre i colleghi in condizioni di discutere su entrambi i problemi. La discussione dovrebbe fornire l’orientamento per le prossime riunioni.

FANFANI è d’avviso che ciò non sia possibile, in quanto il problema del controllo è un problema finale in relazione a quelli finora discussi. È finale anche rispetto all’organizzazione sindacale, in quanto questa, a seconda che sia impostata in un modo o nell’altro, porterà ad un orientamento che consentirà l’utilizzazione di certi mezzi in un senso o in un altro. Per ragioni di opportunità pratiche, insiste che siano esauriti tutti gli aspetti relativi alla disciplina della vita economica, per poi passare all’esame delle misure relative al controllo generale.

Siccome l’argomento relativo al consiglio di gestione, come argomento che si inquadra nel problema del controllo, potrebbe venire discusso in quella sede, la discussione odierna potrebbe vertere sull’argomento relativo all’azione sindacale.

ASSENNATO fa presente che, non essendo all’ordine del giorno il problema sindacale, del quale egli è Relatore in sostituzione dell’onorevole Di Vittorio, non gli è possibile svolgere la relazione, non avendola ancora portata a termine.

TOGNI ritiene che nell’esaminare i singoli argomenti si debba seguire anche un ordine logico per ridurre al minimo la possibilità di ritornare sulle decisioni prese e per dare un coordinamento logico e giusto alla materia. Dato che nei giorni scorsi si è parlato della proprietà, si dovrebbe ora trattare di quei limiti dell’autonomia della proprietà che riguardano anche il controllo sociale e delle forme per realizzare questo controllo.

A suo avviso, nella seduta odierna si dovrebbe affrontare la relazione sul controllo sociale dell’attività economica e, successivamente, la discussione sui consigli di gestione che, a suo parere, è integrativa, per passare infine alla parte sindacale.

PRESIDENTE fa presente che l’ultimo tema è quello dei controlli economici, ed è stato posto per ultimo a ragion veduta e per decisione presa dalla Sottocommissione, in quanto rappresenta un coronamento degli altri temi.

Ritiene che il tema dei consigli di gestione sia così circoscritto da poter essere trattato anche a parte. Vuol dire che poi sarà ripreso e l’onorevole Fanfani potrà svolgere al riguardo la sua relazione. Per questo motivo ritiene che si possa dare senz’altro la parola all’onorevole Corbi.

CORBI, Relatore, fa presente che nella sua precedente relazione ha già trattato dei consigli di gestione, spiegando le ragioni per le quali ravvisa la necessità che i lavoratori prendano parte attiva alla direzione della azienda. Crede però opportuno sottoporre all’attenzione della Sottocommissione l’articolo proposto, il quale riassume e concreta l’argomento stesso:

«Per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione delle imprese, siano esse aziende private, pubbliche, o sotto il controllo della Nazione».

Ricorda che nel corso della sua precedente relazione, l’onorevole Colitto osservò che sarebbe stato più opportuno togliere la premessa di questo articolo, cioè l’indicazione dei fini e delle ragioni che consigliavano l’istituzione di questo nuovo organo e di dire, in una maniera più semplice, che lo Stato assicurava al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione dell’impresa o usare qualche equivalente espressione.

Osserva che, allo scopo di una maggiore chiarezza, si sono precisati i motivi che consigliano di far partecipare i lavoratori con funzioni direttive all’impresa stessa. Tali premesse sono necessarie anche perché non avvengano equivoci sul carattere e sulla natura di tale partecipazione.

Fu fatta inoltre qualche osservazione sulle parole «direzione dell’impresa», ritenendo più opportuno parlare senz’altro di «consigli di gestione». Non trova difficoltà ad accettare questa dizione, ma ritiene che la parola «direzione» sia più comprensiva e perciò meglio rispondente allo scopo; la dizione «consigli di gestione» limiterebbe lo sviluppo, nell’avvenire, di quelle che possono essere e forme di partecipazione alla direzione dell’impresa. Oggi i consigli di gestione sono cosa ben definita; sono il portato di un’esperienza già fatta in Italia ed è giusto che ad essi ci si riferisca; però fin d’ora si deve prevedere che non costituiscano un punto di arrivo, ma un punto di partenza per raggiungere una maggiore partecipazione e responsabilità dei lavoratori nella vita economica del Paese. Perciò preferisce la parola «direzione», che apre una nuova via e non vincola lo sviluppo conseguente di una maggiore libertà del lavoro.

DOMINEDÒ, Correlatore, riferendosi a quanto già rilevato nella precedente seduta, osserva che, pur sentendo vivamente l’esigenza dell’afflusso dei lavoratori nella funzione amministrativa dell’azienda, tale afflusso dovrebbe tuttavia essere regolato nel modo più idoneo, nell’interesse dell’unità e della forza aziendale e quindi, in ultima analisi, nell’interesse del lavoratore stesso. Ritiene a tal fine che si debba conciliare la duplice esigenza dell’aspirazione della classe lavoratrice a partecipare alla vita interna dell’impresa, con quella dell’unità direttiva da parte dell’imprenditore, cui è affidata la responsabilità aziendale. L’eventuale punto di incontro tra le due esigenze, entrambe socialmente rilevanti, sta, a suo avviso, nel conferire al lavoratore una funzione di consulenza tecnica piuttosto che di deliberazione vincolante: e ciò anche sulla scorta di precedenti esperienze storiche, a cominciare da quella russa, che, con la riforma costituzionale del 1934, ha circoscritto i consigli di gestione nell’interesse dell’unità direttiva entro limiti analoghi o ancora più ristretti di quelli accennati. Sotto questo profilo si potrebbero altresì tener presenti le esperienze dei comitati misti di produzione anglo-americani che possono rispondere alla finalità di rafforzamento della compagine aziendale nell’interesse comune e, quindi, degli stessi lavoratori che vi partecipano, posti così in grado di fruire maggiormente di quel principio di cointeressenza o partecipazione agli utili che socialmente si deve favorire.

TOGNI si rende ben conto dell’esigenza fatta presente nella relazione Corbi e da tempo sentita nei rapporti di lavoro, di una diversa e maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita e alle responsabilità aziendali, esigenza che si identifica nella legittima associazione dei lavoratori ad una diversa e più elevata loro condizione morale, sociale ed anche economica. È però ovvio che tale partecipazione deve essere conciliata con altre esigenze insopprimibili, sia di carattere economico che tecnico. Di carattere economico, perché non si deve perdere di vista l’esigenza della produzione, soprattutto in questa fase prevedibilmente lunga di assestamento dell’economia italiana, tendente ad evitare che la produzione stessa possa essere ritardata o comunque compromessa o pregiudicata da intralci e sovrastrutture, mentre deve essere facilitata dall’apporto di competenze tecniche, che possono derivare anche dalla massa dei normali lavoratori. Di carattere tecnico, cioè quella riguardante l’impossibilità o quanto meno il pregiudizio, che deriva all’azienda da una direzione in condominio. Bisogna su questo intendersi chiaramente, per non fare il danno della produzione e, quindi, della collettività e del Paese e per dare ai lavoratori – intesi nel senso più lato e quindi di tutte le categorie – delle soddisfazioni non puramente teoriche e platoniche, con l’aggravante di un’assunzione di responsabilità che in determinati casi può anche non essere rispondente alle possibilità dei lavoratori stessi.

Con questo intende meglio precisare che occorre tener presente l’esigenza di una direzione unica, pur affiancata dalla collaborazione e dalla consulenza di altri organi che possono essere opportunamente creati, ma che non debbono comunque sostituirsi nella direzione o costituirne un duplicato. Tuttavia ritiene che i lavoratori possano assumere un’utile funzione nella gestione aziendale ed avere la loro parte di responsabilità concretata attraverso la consulenza. Per tali motivi è d’opinione che nella formulazione non si possa usare il termine «consigli di gestione», che è equivoco e che va al di là, sia nella forma che nella sostanza, degli scopi che si vogliono raggiungere. Gestione significa amministrazione, e allora il consiglio di gestione non sarebbe che un doppione del consiglio di amministrazione. Dovrà escogitarsi quindi un’altra formula, come ad esempio, «consiglio di consulenza» o altro.

Osserva, infine, che occorre indirizzare i lavoratori alla ricerca del meglio nel processo produttivo, alla valorizzazione delle loro possibilità e capacità tecniche di competenza e di controllo nel rispetto delle superiori esigenze del complesso aziendale; e per ciò fare, si possono creare organismi che affianchino la direzione della impresa o il datore di lavoro a seconda della organizzazione aziendale esercitando un’opera di controllo, di suggerimento e di consulenza, che deve in certo modo anche consentire alla massa dei lavoratori di potere arrivare anche ai più alti gradi direttivi dell’azienda e nello stesso tempo mantenere nei diretti responsabili della produzione quel prestigio che deriva dall’esperienza e dalla responsabilità. Se il datore di lavoro seguirà i consigli ed i suggerimenti, si avrà, attraverso questa forma di collaborazione, una maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda; in caso contrario il datore di lavoro, discostandosi dai suggerimenti, assumerà una maggiore responsabilità che lo impegnerà maggiormente e comunque lo obbligherà ad un più severo esame dei suoi atti e delle sue iniziative.

NOCE TERESA rileva che l’argomento in discussione è della massima importanza e richiama l’attenzione di tutto il popolo italiano; è quindi pacifico che un articolo su questo tema deve trovar posto nella Costituzione. Non concorda con le affermazioni dell’onorevole Togni e rileva che, se un difetto v’è nella formulazione dell’onorevole Corbi, è proprio l’omissione della dizione «consigli di gestione».

Pensa che non si possa equiparare il termine «gestione» all’altro «amministrazione», rilevando che alla parola «gestione» viene fatta precedere l’altra di «consigli» che, anche da un punto di vista etimologico, sta a indicare una funzione di consulenza.

L’argomento dei consigli di gestione è stato ampiamente discusso insieme con gli interessati – operai, tecnici, impiegati – e si è venuti nella conclusione che i consigli non debbono intervenire obbligatoriamente, ma debbono semplicemente «consigliare» la direzione dell’azienda. Può darsi che il termine non sia esatto, ma il senso è questo: la «gestione» è stata anche estesa dal settore amministrativo al campo tecnico e produttivo. Gli operai, i tecnici, gli impiegati sono tutti d’accordo nel ritenere che nel processo produttivo vi sia qualche manchevolezza e si commettano a volte errori che vanno a danno dei lavoratori; ecco perché viene richiesta l’istituzione dei consigli di gestione. Rileva che attualmente in Italia quegli industriali che hanno aderito alla costituzione dei consigli di gestione ne sono rimasti soddisfatti, mentre dove i consigli sono stati osteggiati, la produzione non va avanti.

Concludendo, propone che all’articolo dell’onorevole Corbi si aggiungano in fine, dopo le parole «sotto il controllo della Nazione», le altre: «mediante l’istituzione di consigli di gestione, dove siano rappresentati operai, tecnici ed impiegati per il controllo della produzione, nell’interesse di tutta la collettività».

PRESIDENTE rileva l’accordo generale sul diritto dei lavoratori ad intervenire nella vita delle aziende. Non vi è accordo invece sulla natura di questo intervento, in quanto taluni temono che una accentuata partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese possa essere di intralcio alla attività dei dirigenti aziendali.

Quanto alla formula proposta dalla onorevole Noce, osserva che essa contiene enunciazioni di carattere programmatico e finalistico le quali, per la loro intrinseca natura, sono sempre incerte e si prestano a più interpretazioni; col pericolo quindi di una limitazione, all’atto pratico, delle finalità desiderate. Certamente colla espressione «Consiglio di gestione» si vuol superare il concetto di semplice funzione consultiva, ma tale dizione può prestarsi a diverse interpretazioni, contenendo in sé una sintesi che da sola non è sufficiente a precisarne il significato.

Ritiene che il compito di determinare le funzioni dei consigli di gestione spetti non alla Costituzione, ma alla legislazione ordinaria. La Costituzione deve limitarsi ad affermare il diritto dei lavoratori di partecipare alla vita aziendale, avendosi di mira un triplice ordine di interessi, cioè quello dei lavoratori, dell’azienda e della collettività. Ma questi interessi, che non è facile armonizzare fra loro in una formulazione sintetica, devono ritenersi finalità presupposte e non essere specificati nella Costituzione, anche perché non è possibile prevedere gli sviluppi futuri della vita delle aziende.

Cita, fra le varie formulazioni, come la più sintetica e meno impegnativa, quella proposta nella relazione dell’onorevole Di Vittorio, così concepita: «Ai lavoratori di aziende di ogni genere aventi almeno 50 dipendenti, è riconosciuto il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda mediante appositi consigli di gestione, le cui norme costitutive ed i cui compiti saranno fissati dalla legge».

Dichiara di preferire tale formulazione alle altre, eccezione fatta per la specificazione del numero minimo di lavoratori, dettaglio che dovrebbe essere determinato a suo tempo dalla legislazione ordinaria.

Segnala inoltre, come degno di essere tenuto presente, l’articolo contenuto nel primo progetto della Costituzione francese, che per altro non trovasi riprodotto nel nuovo progetto: «Ogni lavoratore ha diritto di partecipare, per il tramite dei suoi delegati, alla determinazione collettiva delle condizioni di lavoro, così come alle funzioni di direzione e di gestione delle imprese, aziende private e servizi pubblici».

Propone infine la seguente formulazione, che pensa sia ispirata anche ad un concetto di maggiore libertà democratica: «È diritto dei lavoratori partecipare con i propri delegati alla conduzione delle imprese cui prestano la propria opera».

TOGNI pensa che l’andamento della discussione abbia confermato l’opportunità di prendere come base la relazione dell’onorevole Fanfani. Con i termini di gestione, amministrazione, consulenza, non si esaurisce l’esigenza di partecipazione più intima e socialmente più equa dei lavoratori alla vita aziendale.

La onorevole Noce ha ritenuto di trovare nel termine «consigli» qualche cosa che chiarisse il successivo termine di gestione. Dichiara di non poter accettare questa tesi, in quanto la parola «consiglio» significa un consesso, un collegio, un complesso di individui, non di funzioni.

In merito all’articolo proposto dall’onorevole Corbi, nel quale si parla di funzioni di direzione dell’impresa, osserva che praticamente i lavoratori partecipano già in qualche modo alla direzione, la quale è impersonata da quei lavoratori che la onorevole Noce chiama tecnici ma che, sindacalmente parlando, sono i dirigenti, categoria questa ben definita nel fatto in relazione alle esplicate funzioni, sia sotto il profilo giuridico.

Con l’articolo proposto dall’onorevole Corbi si è invece voluto intendere un condominio di direzione delle aziende. Ora, quale dirigente di azienda, osserva che di questa categoria si preoccupa, non sotto il profilo politico, ma sotto quello tecnico, della possibilità di realizzare un condominio di poteri e quindi di responsabilità. Infatti, sotto il profilo politico, personalmente si dichiara favorevole anche ad una immissione in massa dei lavoratori nei consigli di amministrazione; questo non significa che il consiglio di amministrazione si sostituisca alla direzione vera e propria. Ma sotto il profilo di esigenze tecniche, ritiene che non sia concepibile, né tecnicamente, né socialmente, il condominio di responsabilità in una azienda.

La onorevole Noce ha parlato di taluni consigli di gestione esistenti in Italia. Afferma, in proposito, che di consigli di gestione, esattamente nel senso che vorrebbe l’articolo, non ne esistono in Italia.

A suo avviso, non si deve creare qualche cosa di equivoco, ma di concreto per i lavoratori e dare un apporto costruttivo alle aziende perché escano dalla situazione di incertezza amministrativa interna, per avviarsi verso quella normalità, nella quale tutte le forze del lavoro devono portare la loro esperienza e responsabilità.

FANFANI riconosce che il collega Corbi si è venuto a trovare con le mani legate dalla relazione e dalle proposte dell’onorevole Pesenti. Tutte le critiche che gli vengono fatte dovrebbero tener conto che, per dovere di colleganza, l’onorevole Corbi, sostituendo l’onorevole Pesenti, deve sostenerne la tesi.

Ciò premesso, esaminando la proposta fatta dall’onorevole Corbi, ritiene che gli scopi enunciati nella prima parte dell’articolo non siano ben chiariti. Infatti il diritto riconosciuto in questa norma al lavoratore è un diritto limitato – almeno nella espressione – alla sola direzione, e potrebbe riportare in sede costituzionale una discussione assai lunga, che, in sede politica, fu fatta a partire dal 26 aprile 1945 – il giorno dopo la liberazione – a Milano e poi in altre città d’Italia, quando di fronte all’idea di immettere i lavoratori nella vita intima tecnico-amministrativa dell’azienda, gli imprenditori obiettarono che si sarebbe spezzata l’unità direzionale; polemica che è in parte finita con riconoscimento dell’unità di comando dell’azienda. Pertanto, a suo avviso, converrebbe usare un’espressione che non riportasse all’origine il problema, ma tenesse conto del punto al quale è ora giunto.

Passando a considerare l’articolo nel suo complesso, osserva che se si dedica un intero articolo alla partecipazione dei lavoratori alle sorti dell’impresa, non sia possibile tenersi troppo sulle generali su questi punti in cui si innova, rispetto all’esperienza passata.

Proprio su questo terreno, che è nuovo per la nostra legislazione e per la nostra vita economica, non si possono formulare disposizioni analitiche, ma pur si deve tentare di inquadrare tutto il problema. Invita quindi i colleghi a chiarire bene il loro pensiero; quanto più saranno lunghe ed esaurienti le discussioni in sede di Sottocommissione, tanto più brevi saranno quelle in Assemblea plenaria.

Afferma che proprio in un’economia nella quale finora, per gli articoli già approvati, è riconosciuta anche la proprietà privata dell’impresa, non vede perché non si debbano tener presenti altre forme e altri modi di costringere la proprietà dell’impresa ad esercitare, ad adempiere, od assumere la sua funzione sociale, oltre alla forma, brevemente accennata, della partecipazione alla direzione. Se a metà dell’Ottocento il disagio dei lavoratori poteva ritenersi limitato semplicemente alle deficienti condizioni di trattamento economico, oggi, anche in seguito allo sviluppo e alla divulgazione delle teorie sociali, che hanno dato ai lavoratori la coscienza dei loro diritti di uomini, essi non si sentono tanto menomati dal fatto di non ricevere il giusto salario, quanto dal vedere misconosciuta la loro intelligenza e capacità di compartecipare e decidere delle sorti della impresa dove prestano la loro opera. Questa insofferenza del lavoratore deriva in primo luogo dal fatto che per un ritardo dello sviluppo giuridico, inadeguato rispetto allo sviluppo economico e culturale, si menoma la sua dignità e personalità, togliendogli la decisione delle proprie sorti, che dipendono dallo svolgimento dell’attività aziendale. In secondo luogo, deriva dal timore della discontinuità del lavoro e quindi dalla paura della disoccupazione; quindi, aspirazione ad una certa continuità di lavoro o per lo meno alla formazione di una riserva che entri in funzione nel momento di una crisi e consenta al lavoratore di non trovarsi all’improvviso sul lastrico. Terzo: la corresponsione di retribuzioni, che non si sa quanto rispondano a giustizia; se il lavoratore potesse partecipare alla determinazione delle retribuzioni, si adatterebbe anche alla loro limitazione, se ne riconoscesse la necessità per garantire la continuità del lavoro; oggi invece deve accettare una retribuzione che non sa per quanta parte garantisca la continuità del lavoro e per quanta parte vada ad aumentare i profitti del datore di lavoro. Quarto, l’intima ribellione contro i profitti di congiuntura, incamerati dagli imprenditori e non condivisi dai lavoratori che, poiché si tratta di profitti di congiuntura, dovrebbero avere su di essi gli stessi diritti che hanno gli imprenditori.

Occorre quindi eliminare queste cause di disagio, perché, pur prescindendo da una ragione di giustizia, non è possibile tralasciare le ragioni di utilità e di efficienza. In questa condizione le imprese non raggiungeranno il massimo di produttività, né la società avrà la possibilità di uno sviluppo graduale e progressivo.

Mezzo elementare per assicurare un tenore di vita confacente alla dignità di uomini e per garantire una certa continuità di lavoro è il ricorso alle associazioni sindacali, strumento moderno di lotta, ma anche di garanzia, che la società ha escogitato per far sì che milioni di uomini non restino in balìa di altri uomini. Occorre poi predisporre la coordinazione di tutte le attività economiche per prevenire la disoccupazione e la crisi. La tecnica economica e politica in determinati Paesi ha insegnato che la disoccupazione e la crisi possono essere prevenute ed allora, senza preoccupazione per il colore politico di tali Paesi, si debbono studiare i metodi seguiti, e applicarli se essi rispondono allo scopo. Si dovrebbe inoltre predisporre il modo di accumulo di quelle famose riserve che, nell’eventualità disgraziata che non si riesca a prevenire le crisi e la disoccupazione, entrino in funzione per far sì che la gente non muoia di fame; tali riserve possono essere costituite con i sistemi dell’assicurazione e della prevenzione, o con l’accesso alla proprietà, intesa questa non soltanto nel senso immobiliare, ma soprattutto nel senso mobiliare di disponibilità dei mezzi di acquisto di beni che diano possibilità di vita.

Passando a trattare il problema della partecipazione del lavoratore agli utili dell’azienda, ricorda che fu di moda mezzo secolo fa considerarlo come lo strumento unico e quasi esclusivo di risoluzione della questione sociale; oggi tale infatuazione è svanita. Tuttavia come mezzo sussidiario, in un’economia mista, come quella prevista con la Costituzione, non si può rinunciare a questo espediente della partecipazione agli utili, che può consentire un controllo dell’accumulazione capitalistica, e costituire un riconoscimento del diritto che hanno tutti gli uomini di beneficiare di colpi di fortuna inaspettati.

Per ultimo si pone il problema di riconoscere e rispettare la dignità del lavoratore, in quanto uomo intelligente, che ha un proprio destino terreno del quale è giusto che concorra a determinare lo svolgimento almeno quanto gli altri uomini, che insieme con lui lavorano nello stesso campo.

Per questo motivo, crede che provvedimento decisivo per eliminare questo aspetto intellettuale e spirituale del disagio, sarà quello di immettere al vivo il lavoratore negli organi dirigenti dell’impresa. Il problema sotto questo profilo ha due aspetti: l’aspetto economico-amministrativo, controllato oggi esclusivamente dai consigli di amministrazione (cioè dai rappresentanti dei proprietari), nei quali si dovrebbero immettere anche i rappresentanti dei lavoratori. Vi è poi l’aspetto tecnico-direttivo, di efficienza, di produttività e di razionalizzazione del lavoro. Qui il consiglio di amministrazione misto, come è stato immaginato, nomina un fiduciario, cioè il direttore dell’impresa. Ma questo fiduciario dovrà essere affiancato dal consiglio, dall’aiuto e dall’assistenza di coloro che, se non predispongono i piani, tuttavia ogni giorno, provandone l’efficacia, ne vedono i difetti. Per questo affiancamento l’opera della direzione risulterà più illuminata e più rispettosa non soltanto dei criteri di produttività, ma anche di quelli di rispetto della persona fisica, morale e spirituale del lavoratore.

All’obiezione dell’impreparazione dei lavoratori a partecipare ai consigli di amministrazione, risponde che normalmente il lavoratore ne sa più dei consiglieri di amministrazione stessi; ad ogni modo non è detto che non si possa provvedere alla loro preparazione. Infatti, le scuole aziendali devono servire anche alla preparazione tecnico-amministrativa dei lavoratori che domani entreranno in seno al consiglio di amministrazione. In attesa di una diffusa cultura tecnico-amministrativa dei lavoratori si potrà richiedere per la loro elezione determinate qualifiche, come quelle di aver frequentato dei corsi o di avere una certa anzianità nelle aziende. È un processo logico analogo a quello che ha portato al suffragio universale.

A chi prospetta il pericolo e la paura dei capitali, fa notare che la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione può costituire anziché un pericolo, una garanzia. Questo appare tanto più vero considerando che sinora si sono opposti alla partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione più i rappresentanti della Camera del Lavoro o quelli del Partito comunista che i rappresentanti del capitale.

Osserva che se i rappresentanti dei lavoratori venissero immessi nei consigli di amministrazione solo per fare gli osservatori o in condizione di minorità, la cosa si trasformerebbe in una burla.

Va tenuto anche presente che si è all’inizio, ma che lo sviluppo finale si avrà, a suo avviso, mediante l’istituto della progressiva partecipazione della comunità dei lavoratori alla proprietà dell’impresa; ciò vuol dire che l’immissione dei lavoratori sarà originariamente una partecipazione di minoranza, ma che poi si raggiungerà la parità che avrà, come inevitabile sviluppo, la partecipazione totale dei lavoratori ai consigli di amministrazione.

Altra obiezione che viene fatta a questa partecipazione è la necessità del mantenimento del segreto di fabbrica. In un primo momento tale problema, data l’impreparazione di alcuni elementi, potrà essere delicato, ma poi gli stessi lavoratori rappresentanti si convinceranno che il segreto dell’impresa è il loro segreto e ogni inconveniente sarà così eliminato.

Quanto alla partecipazione del capitale straniero, dichiara di essere convinto che esso non teme il consiglio o la cooperazione dei lavoratori. L’esperienza inglese e quella americana stanno a dimostrarlo. I comitati misti, di cui si è fatto una magnifica esperienza durante la guerra in Inghilterra ed anche prima nel Canada, stanno a dimostrare come il capitale straniero tema i disordini e l’imprevisto, ma non la collaborazione, da qualunque parte essa venga.

Fa presente che una conseguenza della partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione sarà la limitazione degli utili: ma nello stesso tempo si avrà una maggior garanzia di continuità di lavoro ed il capitale straniero preferirà sempre un utile modesto ma di sicuro avvenire, ad un utile alto che possa improvvisamente cessare. Né si deve temere che il capitale straniero sia scoraggiato dal graduale accesso della comunità dei lavoratori alla comproprietà, in quanto i capitalisti stranieri hanno in questo ultimo secolo fatto una grande esperienza, cioè che la vita degli investimenti stranieri in un determinato Paese è brevissima. I Paesi nuovi, non appena si sono irrobustiti, trovano sempre un pretesto giuridico per nazionalizzare ogni cosa. È recente l’esempio del Messico e della Romania. Forse questa è la ragione per la quale i grandi Paesi capitalisti ed investitori cercano sempre di far precedere e far accompagnare l’investimento da garanzie politico-militari.

Ritiene che se si potesse, in un piano ben stabilito alle origini del graduale passaggio della proprietà alla comunità, prospettare la durata di questo investimento e le possibilità di disinvestimento, si offrirebbe al capitale straniero una garanzia molto maggiore di quella che è rappresentata da una disposizione legislativa che può mutare col mutare della maggioranza del Parlamento. Torna ad affermare quindi di non temere la partecipazione dei lavoratori alla vita e alla sorte delle imprese e chiede che essa non sia limitata all’aspetto direzionale. Dato lo stadio di sviluppo dell’economia italiana, propone che questa partecipazione sia estesa all’amministrazione economica (consigli di amministrazione), alla conduzione tecnica (affiancando la direzione con consigli che si possono chiamare di efficienza), agli utili eccezionali delle imprese e alla comproprietà delle imprese stesse.

A conclusione di quanto ha esposto proporrà un ordine del giorno.

MARINARO, prima di passare all’ordine del giorno, chiede di conoscere quale sia il pensiero dell’onorevole Fanfani in merito alla responsabilità che i lavoratori assumerebbero nelle amministrazioni.

FANFANI risponde che la responsabilità delle decisioni che i lavoratori prenderanno nei consigli di amministrazione non si paga solo con perdita di capitale, ma anche mediante la non ricezione di retribuzione o con perdita di lavoro. Quindi i rischi a cui vanno incontro i lavoratori sono molto più gravi di quelli della proprietà. Il problema è grave e va considerato nel suo complesso per evitare gli inconvenienti a cui può dar luogo, prima di prendere una decisione.

Appunto per questo propone il seguente ordine del giorno che non è sospensivo, ma è un invito ad un approfondimento della questione:

«In attesa che sia svolta e discussa la relazione sul controllo sociale dell’attività economica, la terza Sottocommissione, udita la relazione Corbi sui consigli di gestione, chiede che al momento opportuno sia statuita una norma la quale precisi i diritti dei lavoratori (tecnici, impiegati, operai) ed eventualmente degli utenti (per alcune imprese di servizi), a partecipare con rappresentanti democraticamente eletti all’amministrazione delle imprese, ad affiancare con appositi Consigli la direzione tecnica delle aziende, ed infine determini la partecipazione dei lavoratori ed eventualmente degli utenti agli utili delle imprese ed agevoli nei casi favorevoli il passaggio della proprietà delle imprese alle comunità dei lavoratori ed eventualmente anche degli utenti».

ASSENNATO fa rilevare un inconveniente di carattere immorale, quello dei sopraprofitti di guerra. Non gli sembra che sia un modo di risolverlo estendendo il beneficio alla massa dei lavoratori.

FANFANI, premesso che il controllo dell’economia dovrebbe evitare gli extra profitti, qualora però ci siano, dato che l’inconveniente, andando a beneficio in una sola categoria, creerebbe il presupposto di un’alterazione dell’equilibrio sociale, ritiene opportuno che in questo caso si riconosca per legge la necessità di farne partecipi tutti i lavoratori.

Questa distribuzione potrebbe essere operata anche per mezzo di un’imposta; però l’imposta finirà per polverizzare tutto e il lavoratore del gruppo più interessato vedrà che, nonostante l’imposta, parte di questi extra profitti vanno all’imprenditore e a lui non resterà che l’illusione che una parte del beneficio vada ai lavoratori.

TOGNI riconosce che l’onorevole Fanfani ha fatto una esposizione completa e ha esaminato tutti gli aspetti del problema; personalmente poi lo ringrazia perché in modo completo ha accolto e trasformato nella sua formulazione quella che era ed è la sua preoccupazione, ed è lieto che egli abbia parlato di consiglio che affianca la direzione per dare aiuto, assistenza ecc. Però non condivide una responsabilità diretta tecnico-amministrativa, in quanto questa responsabilità è inscindibile e risale in maniera più vasta al consiglio di amministrazione, al quale i lavoratori potranno affluire.

Per ciò che riguarda il rispetto della persona del lavoratore che si attiene alle condizioni del lavoratore dell’azienda, va tenuto presente che questo compito è ormai di fatto, e presto lo sarà di diritto, in gran parte assegnato alle commissioni interne, le quali hanno la funzione di affiancamento della direzione per quanto riguarda le condizioni dei lavoratori nell’ambito aziendale. Si dichiara favorevole ad accogliere l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Fanfani, con talune lievi modifiche. La prima riguarda la dizione «direzione tecnica» che sostituirebbe col termine «direzione», nel senso che la direzione non è soltanto tecnica, ma anche amministrativa e commerciale, cioè la direzione in senso lato, l’organo esecutivo del consiglio di amministrazione. La seconda modifica è relativa alle tre categorie: tecnici, impiegati ed operai, nella quale il termine «tecnico» può trarre in inganno, dato che esistono i tecnici non di categoria, mentre qui ci si riferisce alla categoria dei dirigenti. Sostituirebbe quindi con la parola «dirigenti» il termine «tecnici».

FANFANI fa presente che in tal caso bisognerebbe specificare che i dirigenti non siano i proprietari.

TOGNI a questo riguardo pensa che bisogna riferirsi a quella che è la situazione di fatto.

Una terza modifica si riferisce alla nomina diretta dei rappresentanti nei consigli, i quali dovrebbero essere democraticamente eletti dalle singole categorie. Con questo si porterebbe un elemento di chiarificazione, perché è evidente che le singole categorie debbono proporre la nomina dei propri rappresentanti nel consiglio, nell’ambito dei propri appartenenti.

CORBI, Relatore, poiché l’onorevole Fanfani nella sua ampia, chiara e limpida esposizione ha esposto il suo modo di vedere, dichiara che, in qualità di Relatore, preciserà alcuni aspetti del problema, perché la discussione possa incamminarsi verso una conclusione.

Si riferisce innanzitutto ad un’osservazione dell’onorevole Togni, il quale si è domandato come dovessero essere composti i consigli di gestione, ed ha citato il caso della Fiat di Torino, che presenta il carattere di un consiglio di gestione misto tra datori di lavoro e lavoratori, impiegati, reduci ecc. Dichiara subito che egli intende per consiglio di gestione non un consiglio composto esclusivamente di dipendenti, ma un consiglio del quale facciano parte e dipendenti e dirigenti, e anche rappresenti la classe padronale dell’azienda stessa. Le funzioni di questi consigli di gestione, a suo modo di vedere, debbono avere due aspetti fondamentali: uno deliberativo e uno consultivo. Deliberativo per quanto riguarda l’orientamento e lo sviluppo della capacità produttiva dell’azienda, mentre sul problema dei costi e dei prezzi, sulla assunzione e licenziamento del personale, sull’impiego delle materie prime e, per quanto riguarda la partecipazione al consiglio di amministrazione, ai consigli di gestione dovrebbe essere dato soltanto parere consultivo. Mandato consultivo dovrebbero avere per conoscere gli utili creati dall’azienda e fare proposte sul loro impiego, per controllare il bilancio e il conto profitti e perdite.

Concorda sulla prima parte dell’ordine del giorno Fanfani, dove propone di abbinare la discussione sui consigli di gestione con quella del controllo, ma dichiara di non poter accettare pienamente la seconda, in quanto ritiene che non si sia con ciò conclusa la discussione sui consigli di gestione, e che su alcuni punti e funzioni si debba ancora discutere. È soprattutto la parte riguardante la partecipazione agli utili, alla proprietà e anche il potere deliberativo nei consigli di amministrazione che lo lascia molto dubbioso. Ritiene quindi che la proposta dell’onorevole Fanfani debba essere tenuta presente e discussa, ma che non si possa per ora votare il suo ordine del giorno, perché darebbe come risoluto un problema che dalla risoluzione è ancora lontano.

Osserva che l’onorevole Fanfani ha fatto una premessa molto giusta rilevando come, per dovere di colleganza, egli abbia presentato l’articolo così come era stato formulato dal collega Pesenti. Ma ciò non significa che questo articolo sia intangibile e che non si possa trovare un modo di esprimersi che meglio risponda ai desideri comuni.

PRESIDENTE è d’avviso che l’articolo sia redatto benissimo, meno la parola «direzione» che ritiene troppo limitativa.

FANFANI dichiara che non era nelle sue intenzioni di imporre un articolo sotto forma di ordine del giorno.

Tenendo conto delle osservazioni fatte, propone che nel suo ordine del giorno si dica: «chiede che al momento opportuno sia discussa (e non statuita) una norma la quale precisi i diritti dei lavoratori, ed eventualmente degli utenti, a partecipare all’amministrazione dell’impresa».

CORBI, Relatore, propone un altro ordine del giorno così formulato: «La terza Sottocommissione, udita la relazione Corbi, decide di discutere contemporaneamente il problema dei consigli di gestione e il problema del controllo di cui è Relatore l’onorevole Fanfani».

FANFANI ritiene che sia inutile parlare del controllo, senza prima aver discusso la relazione in materia sindacale.

PRESIDENTE fa presente che si era già deciso di discutere soltanto dei consigli di gestione e che, se si deve votare un articolo, deve riguardare tale argomento.

TAVIANI non crede che si possa fare un solo articolo esclusivamente per i consigli di gestione. Se un tale articolo fosse messo in votazione, egli voterebbe contro. L’argomento può trovare invece posto in un articolo di carattere generale che tratti della partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale e del controllo dello Stato.

PRESIDENTE rileva che molte Costituzioni moderne hanno dedicato un articolo a tale argomento.

DOMINEDÒ, Correlatore, propone che nella seduta pomeridiana si affronti il tema dei consigli di gestione con l’intesa che, se la discussione metta in evidenza che, insieme all’intervento dei lavoratori nella consulenza tecnica dell’azienda, si debba tener conto anche di un intervento nel consiglio di amministrazione o di altre forme di partecipazione, queste materie saranno pure oggetto di discussione.

(Resta così stabilito).

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 13.10.

Erano presenti: Assennato, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Canevari, Colitto, Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo e Paratore.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Taviani, Relatore – Noce Teresa – Fanfani – Togni – Canevari – Federici Maria – Presidente – Dominedò – Marinaro – Assennato – Corbi.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sulla proprietà.

TAVIANI, Relatore, facendo seguito a quanto ha detto nella seduta antimeridiana, dichiara di non essere contrario ad alcune affermazioni contenute nella proposta Ghidini-Fanfani. Tuttavia non userebbe l’espressione «favorisce il concentramento di quelle eccessivamente parcellate», perché non si addice ad alcune regioni, ad esempio la Liguria; non userebbe nemmeno le parole «espropria il latifondo e le terre incolte», perché occorrerebbe un quarantennio per questo esproprio.

Nella Costituzione va inserito un articolo il quale, in sede di discussione sul diritto di proprietà, apra esplicitamente la via alla possibilità di attuare la riforma agraria.

Riconosce la validità dell’obiezione del Presidente, che alla riforma agraria si potrebbe giungere senza fare un apposito articolo, ma preferisce che vi sia un articolo che renda agevole applicare alla proprietà terriera le disposizioni prese per la proprietà in generale. Perciò rimane su questo articolo:

«La Repubblica persegue la razionale valorizzazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo e alte scopo di promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori.

«In vista di tali finalità e per stabilire più equi rapporti sociali, essa, con precise disposizioni di leggi, potrà imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera e impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

Naturalmente, quando in esso si dice territorio, ci si vuol riferire non al solo terreno, ma a tutte le risorse del suolo, miniere, turismo e persino pesca.

Sull’ultima espressione «grandi proprietà terriere private» dichiara di accettare una migliore dizione se sarà proposta.

NOCE TERESA chiede all’onorevole Fanfani se intenda mantenere il suo articolo in opposizione a quello presentato dall’onorevole Taviani, ovvero come articolo integrativo di questo.

FANFANI non intende contrapporlo all’altro, ma solo di inglobarne lo esigenze e svilupparle in quelle determinazioni che l’onorevole Taviani, forse, avrà giudicato eccessive.

TOGNI, per mozione d’ordine, crede che sia ormai tempo di passare alla votazione degli articoli proposti. Poiché il primo articolo è quello dell’onorevole Taviani, propone di discuterlo per primo e metterlo in votazione comma per comma.

CANEVARI ricorda che c’è anche la sua proposta, e ripropone il suo articolo così modificato:

«L’impresa agricola deve mirare al benessere della collettività ed a una più alta possibilità di civile esistenza dei lavoratori della terra.

«La legge promuoverà un movimento di trasformazione che, sviluppandosi nel tempo, determini nel lavoratore, nella economia e nel diritto, le condizioni favorevoli per conseguire un’agricoltura in via di continuo progresso, condotta anche dal lavoro associato, per il maggior benessere dei singoli e della collettività».

Ha aggiunto «condotta anche dal lavoro associato» perché vi possono essere in agricoltura progressi ottenuti anche dal lavoro non associato.

La sua proposta presenta differenze sostanziali dalle altre che non tengono presente che la riforma agraria non deve essere esaminata soltanto nei riguardi del risultato che si può conseguire dai provvedimenti che oggi si prevedono. La trasformazione agraria deve consentire un continuo ulteriore sviluppo e miglioramento dell’agricoltura. Il miglioramento agricolo è ininterrotto; raggiunte certe determinate finalità non può fermarsi. Le trasformazioni agrarie sono anche determinate dai risultati di ricerche scientifiche, e che il loro sviluppo sia indefinito va fissato nella Carta costituzionale.

Inoltre, nelle altre proposte non vi è traccia della conduzione associata. Come socialista tiene a questo concetto per il suo contenuto di ordine sociale.

TOGNI riconosce che l’onorevole Canevari, con la sua proposta, tende a sottolineare la dinamica del progresso agrario, ma gli sembra che questo sia già precisato e contenuto nella frase iniziale dell’articolo Taviani.

Anche la parte relativa alla conduzione collettiva gli sembra compresa nella seconda parte dell’articolo Taviani, a prescindere dal fatto che si può sempre far ricorso all’articolo sulla proprietà in generale già approvato.

Per quanto riguarda l’intervento dello Stato al fine di evitare il formarsi di proprietà terriere che non rispondano né alle esigenze produttive, né a quelle sociali, si chiede quale possa essere il termine da usare per evitare una formula empirica che dia luogo ad incertezze di interpretazione. Tutto è relativo, a seconda della natura del suolo, delle culture, ecc.; perciò, più che parlare di «grandi», termine che dà l’idea di una misura, preferirebbe, nella formula Taviani, dire «eccessive».

Anche questo è un termine poco felice, ma chiarisce meglio il concetto.

Per queste ragioni prega i colleghi di esaminare con particolare serietà l’articolo dell’onorevole Taviani che, a suo avviso, risponde a tutte le esigenze.

FEDERICI MARIA rileva che la seconda parte dell’articolo Taviani potrebbe essere modificata tenendo conto di quanto è stato formulato dalla Commissione del Ministero della Costituente, che ha affrontato questi stessi problemi. Ha avuto l’impressione che quella formulazione rivestisse notevole importanza.

Presenta pertanto un articolo formulato anche con elementi presi dall’articolo Taviani che le pare rimanga, comunque, la base della discussione, formulato nel modo seguente:

«Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione e trasformazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo e per promuovere l’elevazione dei lavoratori.

«A questi scopi la legge impedisce la formazione di proprietà che eccedano un limite di ampiezza tale da costituire impedimento alla migliore loro utilizzazione ed ostacolo allo sviluppo di più equi rapporti sociali».

PRESIDENTE fa rilevare che non è sempre vero che la grande azienda impedisca il miglior rendimento della terra.

CANEVARI modifica la sua formulazione; invece di: «condotta anche con» direbbe: «condotta preferibilmente col lavoro associato».

Ripete che in agricoltura le trasformazioni culturali potranno anche avere un’efficacia lunga, ma sempre limitata nel tempo, perché saranno superate da altre trasformazioni; ed è questo evolversi delle trasformazioni che va favorito.

NOCE TERESA concorda sulla sostanza dell’articolo proposto dall’onorevole Canevari, ma dubita che esso liberi veramente il terreno da ogni ostacolo alle più vaste riforme. Per queste ragioni è favorevole alla formula proposta dall’onorevole Taviani, la quale, del resto, risponde anche alle esigenze fatte presenti dall’onorevole Canevari.

La modificazione proposta dalla onorevole Federici presenta gli stessi difetti di quella dell’onorevole Canevari; è vaga e può lasciare troppa latitudine di interpretazione.

FEDERICI MARIA dichiara di essere anche disposta a rinunciarvi, se dovesse dar luogo a interpretazioni meno chiare di quello che si rilevano dalla proposta Taviani.

DOMINEDÒ propone che la seduta sia sospesa per qualche minuto, onde consentire che siano concordati gli emendamenti all’articolo proposto dal Relatore.

(Rimane così stabilito).

(La seduta, sospesa alle 18.40, è ripresa alle 18.45).

CANEVARI, per mozione d’ordine, chiede che il Presidente dichiari chiusa la discussione.

(La proposta, messa ai voti, è approvata).

NOCE TERESA fa una dichiarazione di voto: non voterà contro la proposta Fanfani, perché condivide le sue preoccupazioni sul problema in discussione, ma siccome è favorevole alla proposta dell’onorevole Taviani che, a suo avviso, precisa la materia in discussione, si asterrà dalla votazione della proposta Fanfani.

PRESIDENTE porrà ai voti prima la proposta dell’onorevole Taviani. Se sarà approvata ritiene inutile passare alla votazione delle altre.

FANFANI ritiene, invece, che debba essere posta in votazione prima la proposta più radicale, quella più vasta, quindi o quella Canevari o la sua.

Del resto pensa che la discussione non possa considerarsi esaurita.

MARINARO dichiara che voterà l’articolo proposto dall’onorevole Canevari che ritiene assicuri sin d’ora, per evidenti finalità sociali, il miglioramento della proprietà fondiaria e lasci nel contempo libera la strada alla più modesta, come alla più radicale riforma agraria.

Inoltre gli sembra chiaro che lo spirito informatore di detto articolo tenda, senza pericolosi turbamenti, a realizzare, in questo essenziale settore della produzione, una reale solidarietà nazionale, da tutti indistintamente auspicata.

PRESIDENTE afferma che si tratta di stabilire quale proposta debba essere messa per prima in votazione.

NOCE TERESA osserva che, per consuetudine, si vota per prima la proposta che si allontana di più dalla primitiva.

PRESIDENTE ritiene che la sua si allontani di più, ma siccome non intende proporre un voto sopra un ordine del giorno, non può metterla in votazione. Effettivamente è stata respinta da una dichiarazione di maggioranza, senza essere messa ai voli.

Nel mettere in votazione gli articoli proposti dichiara che non voterà l’articolo Taviani né quello Fanfani; voterà quello Canevari. Aggiunge che questi articoli gli sembrano inutili, perché la materia in discussione è già compresa nell’articolo sulla proprietà che è stato approvato, col vizio, specialmente nell’articolo Taviani, di specificazioni che contrastano con le esigenze della Carta costituzionale.

Si sarebbe limitato, allo scopo di togliere ogni dubbio in merito all’auspicata riforma agraria, ad una semplice aggiunta al secondo così formulato:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato. La legge ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti, allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». Aggiungerebbe: «e di costituire le premesse della riforma strutturale agraria».

TAVIANI, Relatore, dichiara che l’articolo da lui proposto, e successivamente emendato, non voleva, né vuole essere un articolo sul problema dell’agricoltura. Come articolo su questo problema, in linea di massima, è favorevole all’ultima stesura dell’articolo Fanfani. Il suo lo concepisce come articolo riguardante espressamente l’istituto della proprietà. È d’accordo con il Presidente e con l’onorevole Fanfani che nell’articolo sulla proprietà già approvato è implicita, nella espressione «funzione sociale», la premessa necessaria per attuare la riforma agraria.

ASSENNATO dichiara che voterà contro la proposta Canevari, proprio per le precise ragioni addotte dall’onorevole Marinaro.

DOMINEDÒ dichiara che, pur essendo consenziente con i concetti ispiratori del primo comma dell’articolo Taviani, ha motivo di nutrire delle perplessità sul secondo comma, come ha già espresso ieri proponendo che, fra l’altro, si sostituisse il concetto della trasformazione agraria a quello della ripartizione. Parlare in un articolo costituzionale, che deve aprire la via alla riforma agraria, del frazionamento del latifondo o dell’impedimento alla formazione della grande proprietà terriera, come soli mezzi per raggiungere tale finalità, non risolve il problema. A parte l’insufficienza di ogni criterio meramente quantitativo, non vengono così considerati i problemi della piccola o della media proprietà, ed è discutibile la stessa utilità economica della norma. Sente socialmente e moralmente l’esigenza di affrontare il problema del latifondo incolto, ma concepisce questa esigenza nel quadro ben più vasto di una trasformazione agraria, rispondente a un complesso di finalità tecniche, sociali ed economiche. Perciò dichiara che, avendo il collega Fanfani accettato alcuni suoi emendamenti nella formulazione dell’articolo, voterà in favore di questo.

FANFANI torna a dichiarare che circa lo spezzettamento del latifondo e le limitazioni della proprietà fondiaria, criteri direttivi di massima sono stati già enunciati nel secondo e terzo comma dell’articolo relativo alla proprietà. Ma, poiché ritiene che un articolo esplicitamente dedicato al problema agrario italiano nel suo complesso vada inserito nella Costituzione, propone un articolo che investa in pieno, in tutti i suoi aspetti attuali e prospettici, il problema agrario italiano. Questo si presenta come un problema di deficiente trasformazione fondiaria, di inadeguata distribuzione della proprietà.

Un secondo aspetto del problema agrario italiano è la deficienza di istituzioni ausiliarie – cooperative, consorzi, credito – a sussidio della media e della piccola proprietà.

Terzo punto: poiché non è prevedibile se tutta la proprietà italiana potrà èssere trasformata, si preoccupa – sia proprietario un privato, un ente pubblico od una associazione – che lo Stato sappia affrontare ed incoraggiare la risoluzione o la revisione dei patti agrari, che ancora per un pezzo regoleranno gran parte del lavoro degli addetti all’agricoltura.

Infine, tutte queste trasformazioni, per essere realizzate, vanno accompagnate da un’intensificazione dell’opera di bonifica, intesa non esclusivamente al prosciugamento di paludi, ma alla dotazione di strade, di case coloniche, di concimaie razionali, cioè di tutta quella attrezzatura senza la quale la valorizzazione del fondo è impossibile.

Sviluppando un concetto già accennato dall’onorevole Canevari, ritiene poi, che a questa opera debba accompagnarsi l’opera di bonifica degli uomini, cioè di rinnovamento anche radicale della cultura in materia agraria, se non si vuol fare opera vana.

Per questi motivi propone il seguente articolo:

«Lo Stato, per la migliore valorizzazione della terra, nell’interesse sociale e dei coltivatori, promuove le trasformazioni fondiarie necessarie, favorisce le istituzioni ausiliarie della media e piccola proprietà, dispone l’aggiornamento dei patti agrari, completa la bonifica, agevola la diffusione dell’istruzione agraria».

CORBI dichiara di votare contro l’articolo proposto dall’onorevole Canevari, perché esso, a suo avviso, pecca di generalità e si presta alle più varie interpretazioni che al legislatore piacerà dare.

Non voterà l’articolo Fanfani, perché ritiene che la materia in esso contenuta sia oggetto di sede diversa da quella costituzionale. È favorevole all’articolo Taviani, perché più rispondente ai compiti di una Carta costituzionale e più preciso nei principî fissati.

CANEVARI chiede all’onorevole Corbi se non ravvisa nella sua proposta la possibilità di una più larga e ampia riforma agraria.

CORBI consente; però trova che si presta ad essere interpretato in maniera anche contraria a quelli che sono gli intendimenti dell’onorevole Canevari; quindi non offre la necessaria garanzia.

TOGNI dichiara di votare in favore dell’articolo Taviani, perché risponde alle esigenze di una particolare considerazione del problema agrario nella nuova Carta costituzionale, con tutti i suoi riflessi di evidente ordine politico e sociale. E ciò senza superfluità, senza ripetizioni, mentre gli articoli Canevari e Fanfani, che pure apprezza nelle loro intenzioni, prevedono dettagli e principî già compresi in articoli approvati o in altri successivi.

FEDERICI MARIA dichiara che voterà l’articolo Taviani, pur ritenendo che l’articolo proposto dall’onorevole Fanfani apra ampie prospettive alla riforma agraria e che quello proposto dall’onorevole Canevari sia apprezzabilissimo, in armonia alle soggettive e personali vedute del proponente.

PRESIDENTE indice la votazione nominale sui tre articoli.

Articolo Canevari:

«L’impresa agricola deve mirare al benessere della collettività e ad una più alta

possibilità di civile esistenza dei lavoratori della terra.

«La legge promuoverà un movimento di trasformazione, che sviluppandosi nel tempo, determini nel lavoratore, nell’economia e nel diritto, le condizioni favorevoli per conseguire un’agricoltura in via di continuo progresso, condotta preferibilmente dal lavoro associato, per il maggiore benessere dei singoli e della collettività».

Voti favorevoli: 3 (Canevari, Ghidini, Marinaro).

Voti contrari: 4 (Taviani, Togni, Corbi, Assennato).

Astenuti: 4 (Fanfani, Dominedò, Federici Maria, Noce Teresa).

(L’articolo non è approvato).

Articolo Fanfani:

«Lo Stato, per la migliore valorizzazione della terra, nell’interesse sociale e dei coltivatori, promuove le trasformazioni fondiarie necessarie, favorisce le istituzioni ausiliarie della media e piccola proprietà, dispone l’aggiornamento dei patti agrari, completa la bonifica, agevola la diffusione dell’istruzione agraria».

Voti favorevoli: 2 (Fanfani, Dominedò).

Astenuti: 9 (Assennato, Canevari, Corbi, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Taviani, Togni).

(Non è approvato).

Articolo Taviani:

«La Repubblica persegue la razionale valorizzazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo, allo scopo di promuovere l’elevazione morale e materiale dei lavoratori.

«In vista di tali finalità e per stabilire più equi rapporti sociali, essa, con precise disposizioni di legge, potrà imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera e impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

Voti favorevoli: 6 (Taviani, Federici Maria, Togni, Noce Teresa, Corbi, Assennato).

Astenuti: 5 (Ghidini, Canevari, Marinaro, Dominedò, Fanfani).

(È approvato).

La seduta termina alle 19.30.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Colitto, Merlin Angelina, Molè.

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

20.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà (Seguito della discussione)

Presidente – Taviani – Fanfani – Noce Teresa – Dominedò – Colitto – Corbi – Marinaro – Togni – Canevari – Assennato – Federici Maria.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sul diritto di proprietà.

PRESIDENTE ritiene che nessuno degli articoli presentati nella riunione di ieri possa essere approvato, anche in considerazione che, a suo avviso, è dubbio se nella Carta Costituzionale si possa, sia pure a grandi linee, regolamentare la riforma agraria.

Dato che la Sottocommissione ha già in precedenza espresso il convincimento che la piccola e media proprietà industriale ed agraria devono essere tutelate, ritiene che non vi sia altro da aggiungere ai due articoli, già approvati, sul diritto di proprietà. Infatti il terzo comma del primo articolo dice: «Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità di lavoratori e di utenti la proprietà di singoli beni, ecc.». Con ciò è consacrato il diritto dello Stato di espropriare beni singoli e complessi produttivi e quindi sono già poste le basi di quella che è la riforma agraria, in quanto l’espropriazione di beni non può avere altro esito, se non la riforma stessa. Altrettanto si deve dire per quello che riguarda la riforma industriale, in quanto l’ultimo comma dell’articolo sulle imprese sancisce che: «Allo scopo del bene comune, quando l’impresa per riferirsi a servizi pubblici essenziali, o a situazioni di privilegio o di monopolio, o a fonti di energia, assume carattere di preminenti interessi generali, la legge può autorizzare l’espropriazione mediante indennizzo, devolvendone proprietà ed esercizio diretto o indiretto allo Stato o ad altri enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti». Ora è chiaro che questa espropriazione, questa utilizzazione di una grande proprietà industriale da parte dello Stato o di un altro ente pubblico non può avere altro esito se non quella riforma industriale della quale si è tanto parlato e che rappresenta una delle aspirazioni comuni ed una delle necessità del divenire sociale del popolo italiano. Ritiene quindi che tutto ciò che riguarda il presupposto della riforma industriale ed agraria sia consacrato nei due articoli.

Osserva però che, oltre alla riforma strutturale ve n’è un’altra: quella cioè che si persegue mediante il controllo e l’incrementazione dell’agricoltura da un lato e dell’industria dall’altro, per cui ritiene sia necessario aggiungere i due seguenti articoli:

1°) «Lo Stato, al fine di potenziare il rendimento nell’interesse sociale, ha il diritto di controllare le aziende private industriali ed agrarie».

2°) «Lo Stato, al fine di potenziarne il rendimento nell’interesse sociale e dei singoli, predispone, promuove od integra istituzioni dirette a garantire il credito e l’approvvigionamento dei necessari mezzi di produzione a favore delle piccole e medie aziende industriali ed agrarie».

TAVIANI si dichiara d’accordo sull’impostazione che ha fatto il Presidente; ma, per quanto riguarda i due articoli proposti, ritiene che essi debbano essere rinviati alla discussione sul controllo dell’economia da parte dello Stato.

È d’accordo con l’impostazione del Presidente, perché effettivamente nei due articoli già deliberati sulla proprietà e sull’impresa ci sono tutte le premesse per poter giungere alla riforma agraria, la quale, secondo il pensiero dell’onorevole Fanfani, si manifesta sotto cinque aspetti, ossia: problema fondiario, agrario, di credito agrario, di contratti agrari e istruzione degli uomini.

Non è in questa sede che si deve fare la riforma agraria; ci si deve soltanto preoccupare che essa venga attuata mediante una legge, che gli articoli della Costituzione devono accontentarsi di permettere con le loro statuizioni.

Il dilemma è a suo avviso: o rinunciare a trattare completamente l’argomento, limitandosi ai due articoli già deliberati e rimandando alla discussione del controllo sull’economia gli articoli proposti dal Presidente; o fare un articolo sul problema della proprietà terriera, che lasci aperta la possibilità verso la riforma agraria.

Avendo preso visione, per suggerimento del Presidente onorevole Ruini, di una sintesi del lavoro compiuto in materia dalla Commissione presso il Ministero della Costituente, ha ritenuto, tenendo conto di quelle risultanze e delle esigenze emerse nella discussione del giorno precedente, di formulare su tale base un tipo di articolo, che non è però indispensabile, perché, a rigore, i concetti sono contenuti in articoli precedenti:

«Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale, conservandone e potenziandone l’efficienza produttiva nell’interesse di tutto il popolo, ed a promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori, specie nelle regioni più arretrate, più povere e minacciate.

«A questi scopi, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, esso potrà imporre con precise disposizioni di legge obblighi, limiti e vincoli alla proprietà terriera».

Dichiara che, se si ritenesse che sia detto troppo poco a proposito dei contratti agrari, accetterebbe – quando si tratterà dei contratti di lavoro – di aggiungere una formulazione analoga a quella proposta nel volume della Commissione presso il Ministero della Costituente.

FANFANI, dichiarando di non entrare per ora nel merito della discussione, cioè nella formulazione dell’articolo, fa osservare che la proposta del Presidente di dedicare uno o più articoli al problema del controllo pubblico dello sfruttamento agricolo, anticipa gli argomenti che dovranno essere trattati sul problema del controllo sociale in genere, per quanto riguarda tutte le forme di attività. Prega quindi il Presidente di accantonare la proposta, in attesa che la Sottocommissione abbia affrontato il problema generale, per scendere poi a quello particolare delle imprese agricole.

Per quanto riguarda l’altro aspetto delle proposte dell’onorevole Presidente, concorda nel ritenere che probabilmente la Sottocommissione dovrà fermare nuovamente la sua attenzione sugli articoli dedicati alla proprietà e alla impresa, per vedere se sia possibile l’inclusione di altri termini, che, oltre a rendere più comprensibili gli stessi articoli, estendano la loro efficacia anche al settore dell’agricoltura.

Non nasconde tuttavia la sua perplessità sull’opportunità di non includere nella Costituzione almeno un articolo, sia pur breve, dedicato particolarmente alla questione agraria. La cosa sarebbe forse opportuna da un punto di vista strettamente giuridico, ma sarebbe un errore da quello psicologico e politico. Non si tratta di fare della demagogia, ma bisogna tener presente che la Costituzione non va soltanto in mano a dei giuristi, ma alle più svariate categorie dei cittadini. Una buona metà del popolo italiano cercherà nella Costituzione non qualche inciso sibillino che faccia pensare ad una trasformazione agraria, ma almeno un articolo che parli chiaramente della terra.

PRESIDENTE domanda l’opinione dell’onorevole Fanfani sull’opportunità di fare un accenno alla piccola e media proprietà.

FANFANI ritiene che se ne potrà parlare quando vi sarà un testo completo sul quale discutere.

NOCE TERESA si dichiara d’accordo, in linea di massima, con l’onorevole Fanfani. La Costituzione che si sta elaborando passerà alla storia come la Costituzione del 1946; e siccome attualmente il problema agrario è uno dei più sentiti, non è possibile non dedicare ad esso un apposito articolo, senza il quale la Costituzione sarebbe manchevole anche dal punto di vista politico. Quanto agli eventuali pleonasmi, essi potranno essere eliminati in seguito; per ora la preoccupazione principale deve consistere soprattutto nell’indicare le linee generali che il legislatore dovrà seguire in avvenire.

Osserva che mentre l’articolo già approvato sulla riforma industriale è chiaro, quello sul diritto di proprietà non è altrettanto comprensibile, in quanto occorre essere dei giuristi per capirlo.

PRESIDENTE non condivide questa ultima osservazione, ritenendo che non occorra essere dei giuristi per capire che l’espropriazione del latifondo deve essere fatta in vista del conseguimento di determinate finalità sociali.

DOMINEDÒ, proprio come giurista, avrebbe dovuto formalizzarsi sulla base del testo proposto dal Presidente, che in verità contiene il germe per giungere alle conclusioni desiderate. Conviene tuttavia nel riconoscere che la possibilità di fare discendere dagli articoli proposti tutte le conseguenze alle quali si mira, potrebbe anche essere incerta. Tali finalità sono anzitutto l’incremento della trasformazione agraria nell’interesse della produzione e l’elevazione dei lavoratori della terra. Le disposizioni potrebbero quindi apparire fredde o incomplete, se da esse le suddette finalità dovessero venire faticosamente estratte.

Si associa pertanto alla proposta di un’apposita norma che dimostri l’intendimento di compiere in sede costituzionale il primo passo sulla via della riforma agraria. Quanto alla formulazione, essa potrebbe essere elaborata anche sul testo proposto dall’onorevole Taviani, purché comprensivo delle varie esigenze affiorate nella discussione sia della presente che della precedente seduta.

COLITTO osserva che, come ebbe ieri a rivelare e come ha riconosciuto lo stesso Relatore, le desiderate riforme agrarie e industriali trovano la loro disciplina, in grandi linee, negli articoli già approvati. Le ripetizioni, che si debbono evitare nelle leggi, sono assolutamente da bandire nella Costituzione, che è la legge delle leggi. Ritiene infine che siano da approvarsi i due articoli proposti dal Presidente in materia di controllo, in quanto esprimono concetti esattissimi, già consacrati in altre norme.

CORBI si associa alle considerazioni fatte dagli onorevoli. Fanfani, Dominedò e Noce sulla necessità di parlare nella Costituzione in termini più intelligibili a tutti del problema della terra, fondamentale nella vita economica e politica del nostro Paese. Ritiene soprattutto che ciò sia necessario per le considerazioni fatte dall’onorevole Colitto. Non è un fatto nuovo per nessuno che le sue posizioni divergono sostanzialmente e profondamente da quelle dell’onorevole Colitto in materia di proprietà. Il fatto quindi che l’onorevole Colitto ritenga già sufficientemente trattato, nell’articolo statuito, il problema della terra e quello della proprietà, deve porre in sospetto. È quindi d’avviso che una precisazione sia non solo utile ma necessaria, al fine di non lasciare possibilità di equivoci in avvenire.

Concorda nell’affermare che nell’articolo approvato sulla proprietà è detto tutto; c’è forse troppo e il troppo può significare, in certi casi, anche il poco nella sostanza. Si parla, è vero, di limiti; ma non si stabilisce affatto, ad esempio – come era stabilito in un articolo precedentemente proposto dall’onorevole Taviani – che la Repubblica deve impedire l’esistenza della formazione di grandi proprietà terriere private. Si parla anche delle esigenze e dell’utilità collettiva, ma non si accenna al problema fondamentale di assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra.

Ritiene quindi che gli articoli già approvati sulla proprietà non siano sufficienti, perché il problema della riforma agraria e quello della terra sono problemi di ordine economico e politico, dalla cui soluzione dipendono le sorti della democrazia italiana.

COLITTO chiede la parola per fatto personale per manifestare la sua profonda meraviglia per quanto ha affermato nei suoi confronti l’onorevole Corbi, il quale evidentemente non ha tenuto conto, nei suoi sospetti del tutto infondati, del fatto che la proposta non era stata presentata da lui ma bensì dal Presidente, al quale egli si era soltanto associato.

MARINARO, premesso che la materia in esame va trattata specialmente dal punto di vista del potenziamento della produzione e non da quello del trattamento ai lavoratori della terra, la cui tutela e la cui elevazione morale sono state previste e stabilite in altra sede e saranno ancora oggetto di esame quando si parlerà dei rapporti sindacali, osserva che le disposizioni statutarie riguardanti l’agricoltura devono avere carattere specifico ed essere formulate con speciale riferimento ai beni fondiari rustici. Esse devono garantire in modo particolare sia la consacrazione della proprietà fondiaria, indispensabile ai fini della realizzazione del migliore bene comune, sia le più larghe possibilità di innovazione, segnando, tuttavia, limiti precisi alla legislazione futura.

A suo avviso, pertanto, i principî da fissare potrebbero essere i seguenti: primo, garanzia ai limiti della proprietà terriere: secondo, valorizzazione della proprietà fondiaria, con speciale riguardo alle regioni più arretrate e più povere.

TOGNI parla per mozione d’ordine. Nella discussione svoltasi, si è chiarito che la grande maggioranza è d’accordo sul fatto che la Costituzione deve contenere un articolo relativo alla parte agraria. Ritiene quindi che, superata questa questione di principio, non resti che passare alla discussione: in pratica, sulla proposta dell’onorevole Taviani che sembra raccogliere, salvo eventuali emendamenti e modifiche, una certa unanimità di adesioni.

PRESIDENTE, dato che, in sostanza, tutti riconoscono che nei due articoli già approvati sulla proprietà sono implicite le premesse di una riforma agraria e industriale, non vede la necessità di inserire un nuovo articolo nella Costituzione. Unico scopo attendibile sarebbe che, siccome non tutti le possono comprendere, si debba mettere in luce questa conseguente finalità. Dichiara che se tale è lo scopo, non ha nulla da opporre. Ma al fine di non creare duplicati, ritiene che si possa raggiungere lo scopo formulando il terzo comma dell’articolo già approvato sulla proprietà nel modo seguente:

«Per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica e di costituire le premesse della riforma strutturale nel campo agrario, la legge può attribuire agli enti pubblici e alle comunità dei lavoratori la proprietà della terra».

Ritiene inoltre che si debba aggiungere una frase per quanto riguarda l’incremento, il potenziamento, l’incoraggiamento e la tutela della piccola proprietà e della piccola industria, secondo le promesse che sono state fatte.

CANEVARI, per le considerazioni svolte da diversi colleghi, ritiene indispensabile che la Carta costituzionale contenga affermazioni direttive e impegni per la riforma agraria, attesa da tutto il Paese, e che tali affermazioni possano essere riassunte nella proposta da lui fatta e sulla quale insiste. Ove tale proposta non fosse accettata dalla maggioranza, dichiara di associarsi a quella dell’onorevole Taviani.

TAVIANI dichiara che, se si passa alla discussione dell’articolo proposto sulla base delle risultanze degli studi del Ministero della Costituente, può consentire, a priori, di omettere la frase «conservandone e potenziandone l’efficienza produttiva», in quanto il concetto è compreso nelle parole «valorizzazione del territorio nazionale»; e di tralasciare i due aggettivi «materiale e morale», come pure l’espressione «più arretrate».

COLITTO chiede il significato della frase «nelle regioni più minacciate» contenuta nella proposta dell’onorevole Taviani.

TAVIANI fa presente che l’espressione è usata nel volume compilato dalla Commissione del Ministero per la Costituente e si riferisce soprattutto ai fenomeni metereologici.

CANEVARI si dichiara contrario a considerare tale eventualità.

FANFANI ritiene che al terzo comma dell’articolo sulla proprietà, dove più che ad una ripartizione delle terre si può pensare ad un concentramento, occorrerebbe aggiungere un concetto atto a far intendere che, oltre alla attività concentrativa, ce ne può essere una inversa, ripartitrice.

TOGNI torna ad insistere sulla sua mozione d’ordine.

FANFANI osserva che la mozione d’ordine dell’onorevole Togni non può essere ritenuta contraria ad un tentativo di completamento degli articoli precedentemente approvati, in quanto si è parlato e discusso sulla opportunità di stabilire un articolo unico relativo al problema agrario, previa estensione degli articoli precedenti sulla proprietà e sulla impresa. Ritiene quindi che, prima di passare alla discussione dell’articolo proposto, occorra esaminare l’opportunità di completare i suddetti articoli.

DOMINEDÒ prega l’onorevole Togni di non insistere, solo per ragioni di principio, nel suo atteggiamento, e di ascoltare le argomentazioni dell’onorevole Fanfani, il quale, a suo avviso, pare voglia riprendere in esame anche il criterio della ripartizione.

TOGNI dichiara di non insistere.

FANFANI insiste sulla sua precedente proposta di aggiungere all’articolo sulla proprietà un quarto comma che corregga parzialmente la lettera ed anche lo spirito del terzo. Tale comma aggiuntivo dovrebbe sancire che, per esigenze di utilità collettiva e di coordinamento dell’attività economica, le terre non sufficientemente sfruttate possono essere ripartite fra i coltivatori diretti. Aggiunge che a questo proposito esiste già la legge Gullo, modificata dal Ministro Segni, legge provvisoria che la nuova Costituzione non può trascurare. A grandi linee il nuovo comma potrebbe essere così formulato:

«Per le stesse ragioni e negli stessi modi, la legge può ripartire tra i coltivatori le terre non sufficientemente sfruttate».

ASSENNATO direbbe piuttosto: «Al proprietario fondiario è fatto obbligo di coltivare i suoi beni, pena l’esproprio».

FANFANI rileva che una tale formulazione darebbe la possibilità ad un latifondista di mantenere la sua proprietà passando dalla coltura estensiva a quella intensiva con l’impiego di migliaia di lavoratori.

TOGNI ha l’impressione che la precisazione avanzata dall’onorevole Fanfani tenda a diminuire l’importanza e il significato del terzo comma, in quanto, sottolineando la questione relativa all’esproprio delle proprietà terriere, sorge il problema della grande proprietà immobiliare che qui non viene considerata, ma che oggi rappresenta un problema gravissimo.

FANFANI crede che a tale scopo si potrebbe formulare un quinto comma.

TAVIANI. Le esigenze prospettate dall’onorevole Fanfani sono giuste, ma non crede sia questo il momento opportuno di prospettarle.

L’articolo sulla terra deve soltanto aprire la possibilità alla legge di fare la riforma agraria. Tenuto presente ciò che è stato detto sul diritto di proprietà, questo articolo deve essere un’applicazione, nel campo terriero, del principio dei limiti della proprietà.

FANFANI richiama l’attenzione dell’onorevole Taviani sul suo punto di vista, in quanto non ritiene che questa non sia la sede adatta per una tale discussione, dato che è stato accettato il concetto dei «singoli beni e dei complessi produttivi», fra i quali va inclusa anche la terra coltivata. Occorre evitare che sorga il dubbio che l’articolo crei il fatto compiuto e si trovi in conflitto con un altro articolo: ecco la necessità di una precisazione.

DOMINEDÒ, pur prendendo in considerazione la proposta Fanfani, tendente a inserire il concetto in discussione nel corpo dell’articolo già approvato sulla proprietà, dichiara di dissentire dall’opinione da lui espressa, secondo cui lo spirito e la lettera di quell’articolo mirerebbe essenzialmente ad una concentrazione di beni, nel mentre il conferimento può aver luogo nei confronti dei singoli, di organismi cooperativistici, di comunità, senza portar seco una necessaria concentrazione, in antitesi alla idea della ripartizione. La formula ha una latitudine così vasta, da non essere legittimati ad introdurre una tale restrizione interpretativa. Se tuttavia restasse qualche dubbio su questa portata, che nessun interprete è autorizzato a restringere, si potrebbe ad abundantiam eliminare la parola «singoli» e ritornare alla dizione lata che più tranquillizza. Dichiara di non aver inoltre nessuna difficoltà che vicino ai «beni» si parli di «complessi», anche perché questo è un concetto giuridicamente rilevante, cui è connesso quello di azienda e di avviamento.

Ritiene inoltre che si debba tener presente la portata generale dell’articolo, per cui non è opportuno inserirvi una norma particolare, in quanto esso abbraccia tutta una materia e sarebbe strano che nel corpo di urta norma generale, indifferenziata rispetto ai particolari settori tecnici, si contemplasse poi un determinato settore e non altri.

FANFANI dichiara che l’onorevole Dominedò si è soffermato a considerare la parte dell’articolo in materia di beni o complessi produttivi; ma se avesse attentamente esaminate le parole precedenti si sarebbe accorto come la destinazione stessa a determinati enti o collettività crei il presupposto della concentrazione. Quindi, tenendo presenti tali ragioni, richiama ancora una volta l’attenzione dei colleghi sul fatto che una specificazione relativamente alla ripartizione non correggerebbe nulla.

DOMINEDÒ replica che, anche tenendo conto della prima parte dell’articolo, resta ferma la sua non esclusiva riferibilità all’ipotesi di concentrazione dal momento che, ad esempio, la devoluzione dei beni alle comunità di lavoratori e di utenti, o alle società cooperative, risponde precisamente ad un’ipotesi di frazionamento in materia agraria.

Conferma in secondo luogo che, per armonia legislativa, non è opportuno differenziare un articolo di carattere generale mediante riferimenti ad un dato settore produttivo (agricoltura) e non anche agli altri (industria).

TAVIANI ritiene che sia molto importante precisare e mettere a fuoco l’esigenza posta in rilievo dall’onorevole Fanfani. Che il terzo comma dell’articolo sulla proprietà riguardi piuttosto la concentrazione che la ripartizione risulta effettivamente dall’espressione «attribuire agli enti pubblici ed alle comunità di lavoratori e di utenti», ed è vero che in tale dizione sono comprese le cooperative; ma sta di fatto che viene esclusa la possibilità dell’attribuzione di proprietà di beni a famiglie o a privati. Quindi il problema della ripartizione non è risolto da questo terzo comma.

Prendendo atto che l’onorevole Fanfani è favorevole a trattare della ripartizione, dichiara di sentire profondamente la seconda esigenza prospettata dall’onorevole Dominedò, cioè il fatto che in un articolo riguardante i beni economici si venga a trattare specificamente soltanto della terza. Ritiene perciò che della ripartizione si debba parlare soltanto in sede di proprietà terriera, oppure (ed è forse la soluzione migliore) che si debba aggiungere un quarto comma all’articolo sulla proprietà, parlando della proprietà fondiaria ed usando le espressioni più generiche.

FANFANI dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Taviani di riferirsi a tutte le forme di proprietà fondiaria. Osserva però che la dizione «proprietà fondiaria», nonostante tutta la buona volontà dei giuristi, può prestarsi ad equivoci. Quindi, nel caso specifico, riterrebbe più opportuno parlare di terre o di case, ovvero trovare una dizione più appropriata. Il comma potrebbe essere, grosso modo, così formulato;

«Per le stesse ragioni e nello stesso modo la legge può anche dividere fra i singoli coltivatori ed utenti terre e case».

NOCE TERESA ritiene che, per quanto riguarda le proposte fatte, si possa accettare il principio della terra, ma non quello delle case. Infatti il coltivatore che coltiva la terra può avere un diritto di proprietà sulla terra stessa, mentre l’utente che abita la casa, non è necessario che abbia lo stesso diritto. La terra non è soltanto un uso, ma uno strumento, un bene. Anche la proprietà urbana può essere divisa, ma si tratta di tutt’altro problema, e non ritiene che la Costituzione se ne debba occupare in modo specifico.

MARINARO ritiene utile, ai fini della discussione, ricordare l’articolo formulato dal Comitato di studio del Ministero della Costituente, nel quale sono precisati con criteri veramente ammirevoli i concetti della limitazione di proprietà fondiaria, di espropriazione nel pubblico interesse, di maggiore produttività e di un migliore stabilimento di rapporti sociali. L’articolo dice:

«La Costituzione garantisce in particolare la proprietà della terra. Qualora tuttavia essa ecceda un limite di ampiezza tale da essere di impedimento alla migliore sua utilizzazione e allo stabilimento di sani rapporti sociali o qualora essa non sia gestita in modo da assicurarle la più alta valorizzazione, può essere oggetto di esproprio per pubblica utilità nei modi e nei limiti che le leggi stabiliscono o stabiliranno».

DOMINEDÒ comprende che il Relatore si è proposto, con il comma aggiunto, di non frazionare la disciplina della proprietà, circoscrivendo la norma alla sola proprietà terriera. Ciò è logico, e giuridicamente accettabile, ma non si può ad un tempo ignorare che la riforma agraria è il problema del giorno. Insiste pertanto, per considerazioni di opportunità politica, affinché il problema della proprietà terriera sia affrontato in un articolo a parte.

CORBI si associa, in quanto voler comprendere la questione agraria in un articolo di portata generale significa diminuire l’importanza della norma.

Ritiene pertanto che la Sottocommissione debba riportare la sua attenzione sull’articolo proposto dal Relatore. Preso infatti come base di discussione l’articolo dell’onorevole Taviani, si potrà eventualmente migliorarne la dizione, tenendo soprattutto presente che la Costituzione deve limitarsi ad aprire le porte alla riforma agraria, senza specificare i modi con i quali essa dovrà essere realizzata: compito, quest’ultimo, che sarà assolto dal futuro legislatore.

COLITTO osserva che il Relatore è stato indotto a presentare una nuova formulazione dell’articolo in esame per accedere a giuste considerazioni espresso ieri in seno alla Sottocommissione.

Per parte sua, non trova difficoltà ad accettare tale articolo, salvo la sostituzione ed eliminazione di alcune parole che gli sembrano di significato poco intelligibile o di dubbia utilità pratica.

Propone, ad esempio, di sostituire le parole «conservandone l’efficienza produttiva» con le altre «potenziandone l’efficienza produttiva»; di eliminare l’espressione «nell’interesse di tutto il popolo»; e di togliere infine le parole «più arretrate e minacciate» per dire più semplicemente «nelle regioni più povere».

FEDERICI MARIA dichiara di accettare questa nuova formulazione dell’articolo, in quanto non esclude il concetto già espresso dall’onorevole Corbi di promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori. Nella riforma agraria c’è il concetto economico, prevalente, della maggiore e migliore utilizzazione del suolo; vi è però anche un concetto di carattere etico che, praticamente, è alla radice della riforma, e cioè quello che porta alla considerazione che la classe dei lavoratori ha particolare bisogno di vedere, attraverso questa riforma, finalmente risolto il problema della sua elevazione morale. Non si potrà mai pensare ad una elevazione dei ceti contadini, specie nell’Italia centrale e meridionale, se non attraverso questa riforma che dovrà prendere in considerazione non solo la ripartizione terriera, ma, per esempio, anche le abitazioni, le scuole rurali, ecc.

TOGNI si associa alla collega Federici, in quanto effettivamente, sia nella forma che nella sostanza, l’articolo secondo la formulazione odierna dell’onorevole Taviani è più completo proprio per le considerazioni fatte dall’onorevole Corbi.

Pur ritenendo che il secondo comma sia sufficientemente chiaro perché, quando si parla di limiti alla proprietà è evidente che questi riguardano l’eccesso della proprietà, tuttavia, volendo ricorrere ad una maggiore precisazione, sarebbe dell’opinione di aggiungere il controllo da parte dello Stato affinché non sorgano eccessive proprietà terriere, che sono antisociali e contrarie all’interesse della produzione nazionale. D’altra parte tale riferimento è già incluso nella nuova formulazione. A suo avviso, quindi, non è necessario attardarsi in ricerche o in riesumazioni di articoli già approvati, ma è meglio esaminare la formula definitiva proposta dal collega Taviani.

Per quanto riguarda le modifiche proposte dallo stesso onorevole Taviani, è d’accordo nel togliere l’espressione «conservandone e potenziandone l’efficienza produttiva», che è pleonastica; è evidente che, quando si afferma che lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale, ciò significa conservare e potenziare l’efficienza produttiva, cioè eccitare e convogliare verso le finalità del suolo l’interessamento dello Stato. Però tale interessamento deve avere come fine primario di perseguire principalmente il bene comune, il bene di tutto il popolo. Per quanto riguarda la frase «promuove l’elevazione dei lavoratori» è d’accordo nell’eliminare i nuovi due aggettivi «materiale e morale», che sono pleonastici da un lato e limitativi dall’altro: si deve intendere elevazione completa, anche culturale e spirituale, del lavoratore. È infine d’accordo per togliere le parole «più arretrate» che, se nella sostanza possono essere giuste, nella forma possono dar luogo ad equivoci.

TAVIANI, ritenendo che nella maggioranza tutti siano d’accordo per quanto riguarda il primo comma, dichiara di avere lui stesso dei dubbi sul secondo, che dovrebbe essere meglio precisato. Propone pertanto di mettere in votazione il primo comma e di cercare poi di dare una espressione più robusta al secondo, in modo da venire incontro alle esigenze esposte dall’onorevole Togni sull’eccessiva proprietà terriera.

NOCE TERESA proporrebbe alcune modifiche sul primo comma, tendenti ad includervi taluni concetti mancanti, quale quello della utilizzazione o ripartizione. Il comma dovrebbe quindi essere così formulato: «Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione e utilizzazione (o ripartizione) ecc.».

Per quel che riguarda l’elevazione, proporrebbe «elevazione morale e miglioramento materiale», allo scopo di meglio specificare e distinguere i due concetti.

TOGNI preferirebbe la dizione «mettere i lavoratori in condizioni materiali e morali da elevarsi».

TAVIANI ritiene che la collega Noce tema che nell’elevazione si veda soltanto l’elemento morale.

DOMINEDÒ osserva che anche il miglioramento materiale è strumento di elevazione morale.

NOCE TERESA dichiara di preferire, in ogni caso, la precisazione.

DOMINEDÒ fa presente che il concetto della ripartizione viene nel secondo comma.

NOCE TERESA ritiene allora che sia necessario porre in discussione l’articolo per intero.

Nella seconda parte, lasciando nel primo comma la dizione «ripartizione», farebbe la seguente modifica: «A questo scopo, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, la Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere».

TOGNI sostanzialmente è d’accordo per includere nell’articolo il concetto della ripartizione, ma non nel primo comma, in quanto lo scopo primario dello Stato non deve essere quello della ripartizione della terra, ma bensì della sua valorizzazione e utilizzazione. La «ripartizione» è un mezzo col quale si giunge a realizzare una migliore valorizzazione e utilizzazione. È evidente che anche come logica, si premettano gli scopi e poi si precisino i mezzi con cui essi debbono essere raggiunti. Scopo primo da parte dello Stato deve essere quello di valorizzare al massimo il suolo nazionale e di ottenere una migliore giustizia sociale e una migliore situazione economica, sociale e morale dei lavoratori. A tal fine lo Stato dovrà eliminare tutte le possibilità che possono ostacolare questa valorizzazione ed elevazione, tra cui appunto quella di una eccessiva proprietà terriera. Ma lo Stato non deve avere, come fine principale e immediato, la ripartizione della terra.

TAVIANI chiede all’onorevole Noce se accetta di lasciare nel primo comma la locuzione «si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio nazionale nell’interesse di tutto il popolo ed a promuovere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori».

NOCE TERESA preferirebbe la seguente formulazione: «Lo Stato si impegna a perseguire la razionale valorizzazione del territorio, mediante il controllo della ripartizione nell’interesse di tutto il popolo», osservando che in luogo di «ripartizione» si potrebbe anche dire «distribuzione».

TAVIANI propone che la seconda parte dell’articolo sia così formulata: «In vista di questo scopo, nonché al fine di stabilire più equi rapporti sociali, esso impedirà la formazione e l’esistenza di grandi proprietà terriere private».

DOMINEDÒ, pur riconoscendo che le esigenze prospettate dalla onorevole Noce rispondono ad un problema essenziale, preferirebbe che non si adottasse una formula rigida di opposizione alla grande proprietà fondiaria, anche se industrializzata o industrializzabile: l’adozione di un tale criterio quantitativo è, oltre tutto, troppo empirica nei riguardi di una linea di demarcazione fra grande, media e piccola proprietà. Propone che, al fine di eliminare tale empirismo, si tenga presente la possibilità di adottare un criterio qualitativo oltre che quantitativo.

FEDERICI MARIA, tenuti presenti sia l’articolo dell’onorevole Taviani che le formulazioni fatte in sede di studio dalla Commissione del Ministero della Costituente, propone che il secondo comma sia così formulato:

«A questo scopo, e per stabilire più equi rapporti sociali, esso potrà, con disposizioni di legge, impedire la formazione di proprietà che eccedano limiti di ampiezza tale da essere di impedimento alla migliore sua utilizzazione».

FANFANI dichiara di non essere d’accordo sulla dizione «valorizzazione del territorio nazionale», che è troppo vasta e può addirittura comprendere l’industria turistica. La locuzione «territorio nazionale» dovrebbe essere sostituita dalla parola «terra», poiché evidentemente in tale articolo si ha di mira solo la terra coltivata o coltivabile. Riguardo al concetto dell’elevazione materiale e morale dei lavoratori, osserva che è necessario andar cauti per non suscitare l’impressione negli altri lavoratori che si fanno condizioni di privilegio soltanto a quelli della terra; sarebbe quindi del parere di limitarsi ad affermare che «lo Stato incoraggia la razionale utilizzazione della terra nel rispetto dei diritti e del benessere dei coltivatori».

Per quanto riguarda la seconda parte dell’articolo, osserva che in essa si tiene conto dei problemi relativi al riordinamento dell’agricoltura italiana solo in termini di riforma fondiaria. Si richiama pertanto a quanto ha affermato nella seduta di ieri, ribadendo che non può condividere tale punto di vista. Pur ritenendo che non si possa in una Costituzione affrontare e risolvere tutti i problemi dell’agricoltura, rileva che bisogna dare comunque una guida al futuro legislatore per avviare tali problemi a soluzione. Gli attuali problemi non sono soltanto di divisione, ma anche di concentrazione, ed osserva in proposito che in Liguria, ad esempio, l’86 per cento del territorio è ripartito in 298.000 particelle con reddito annuo inferiore a 1700 lire. Situazioni analoghe si trovano in molte altre zone d’Italia; ciò dimostra che in molti casi si dovrebbe pensare a favorire la concentrazione piuttosto che la divisione. Chiede pertanto che in questa sede si parli sia dell’uno che dell’altro fenomeno e che si tenga conto dell’altro gravissimo problema riguardante l’ignoranza tecnica dei coltivatori, che non può essere risolto né con le scuole elementari, né con un eventuale risorgere delle cattedre ambulanti di agricoltura.

Prospetta quindi l’esigenza, non meno sentita, della bonifica intensiva, perché non si verifichi ciò che già è avvenuto in qualche zona d’Italia dove, ripartite le terre per iniziativa degli stessi grandi proprietari, dopo cinque anni i coltivatori avevano già rivenduto la loro quota per mancanza di strumenti di lavoro e di credito. Si affaccia, così, anche il problema del credito agrario nonché dei consorzi come strumenti determinanti, in vista della trasformazione e del progresso delle colture.

Allo scopo di tener presenti tutte queste esigenze, propone che il secondo comma dell’articolo sia così formulato:

«A questo scopo, diffusa l’istruzione agraria e completata la bonifica, la legge predisporrà la divisione del latifondo e delle terre incolte ed il concentramento di quelle eccessivamente parcellate, e promuoverà il credito agrario cooperativo ed i consorzi per il potenziamento dell’attività dei coltivatori diretti, specie in vista della trasformazione e del progresso delle colture».

CORBI ritiene che la proposta dell’onorevole Fanfani possa essere oggetto di studio. Per quanto riguarda le osservazioni degli onorevoli Togni e Federici osserva che non è esatto che lo Stato abbia solo il compito di favorire e potenziare la produzione e che non debba occuparsi di altri aspetti del problema. Lo Stato ha anche l’obbligo di garantire la libertà economica di tutti i cittadini e di difenderne le libertà politiche. È perfettamente noto che i grandi proprietari hanno creato il fascismo in Italia ed anche oggi essi costituiscono le forze più retrive della Nazione. Ecco perché è necessario limitare l’ampiezza della proprietà terriera e non ritiene che ciò possa eludere una maggiore produzione, poiché i limiti saranno stabiliti dai legislatori, confortati dai tecnici. La Sottocommissione deve soltanto preoccuparsi del fatto che la proprietà terriera non costituisca ancora, come per il passato, una prepotenza ed una potenza politica che si sovrapponga allo Stato e ad una grande massa di lavoratori italiani che rappresentano il 50 per cento della popolazione. Conclude affermando che l’articolo proposto dall’onorevole Taviani risponde meglio ai fini da perseguire e insiste perché in tale articolo sia chiaramente detto che la Repubblica deve impedire la formazione e l’esistenza di grandi proprietà terriere private.

TOGNI deve precisare all’onorevole Corbi che, in merito all’articolo proposto dall’onorevole Taviani, ha parlato di fine primario e non esclusivo dello Stato, nel senso che se lo Stato vuole difendere quella libertà economica, che è conquista della democrazia, deve preoccuparsi di aumentare il più possibile il benessere sociale e generale di tutto il popolo italiano. In questo compito rientra la giusta ripartizione della terra. Ecco perché ha insistito che nel primo comma si parli di valorizzazione e di elevazione sociale e nel secondo di limitazioni alla proprietà della terra.

Fa poi osservare all’onorevole Fanfani che una norma costituzionale deve essere necessariamente sintetica. A ragion veduta, quindi, il Relatore ha usato la dizione «territorio nazionale» e non la parola «terra», in quanto il problema terriero non si esaurisce nella migliore coltivazione dei campi, ma riguarda anche le acque interne, le acque demaniali, le fonti idriche che sono connesse allo sfruttamento della terra.

Quanto al concetto relativo alla elevazione dei lavoratori della terra, ritiene che sarebbe inopportuno, sia dal punto di vista politico che da quello giuridico, voler stabilire in una Carta Costituzionale, che deve contenere affermazioni nel senso più generale ed estensivo, una citazione particolare ad una determinata categoria di lavoratori. Non è inoltre favorevole ad includere il concetto della concentrazione della proprietà terriera, perché considerazioni di ordine sociale ed economico sconsigliano l’intervento dello Stato nella ripartizione, nei limiti inferiori, della proprietà terriera. E invece d’accordo sulla limitazione della eccessiva proprietà terriera, sempre che alla parola «eccessiva» sia data una interpretazione non soggettiva ma oggettiva, nel senso di un riferimento alle grandi proprietà che eccedano le normali possibilità utili di coltivazione. Infatti le grandi proprietà terriere possono consistere in migliaia di ettari di terreno incolto, in determinate zone dell’Italia meridionale, mentre in altre regioni, specie nell’Italia settentrionale, si considera già grande una proprietà di 50 ettari di terreno fertilissimo e ben coltivato. Si dichiara quindi convinto che, salvo qualche perfezionamento formale nel senso di una ulteriore precisazione, l’articolo proposto dall’onorevole Taviani possa essere accolto nella sua prima parte; quanto alla seconda essa potrà venire conciliata con le proposte delle onorevoli Federici e Noce.

PRESIDENTE ritiene che la discussione si sia eccessivamente spezzettata così da far perdere di vista il criterio centrale. E difficile votare contro la proposta dell’onorevole Taviani, in quanto taluni concetti in essa espressi sono accettabilissimi. Tuttavia non può aderire al concetto di includere nella Carta Costituzionale il principio che la Repubblica dovrà impedire l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere private, in quanto non sempre la grande proprietà è dannosa ma anzi, alle volte, è utile.

Ripete che, a suo avviso, l’articolo già approvato sulla proprietà è comprensivo, in grandi linee, di tutti i concetti che dovrebbero essere inclusi in un nuovo articolo. Infatti, essendosi sancito che «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato, che la legge ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti, allo scopo di farle assumere funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», si è già dato al legislatore il modo di contenere entro determinati limiti la proprietà, e si assegna anzi, a questa limitazione, lo scopo preciso di fare obbedire la proprietà alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

CORBI fa presente che nessuno ha sostenuto lo spezzettamento delle terre, che è notoriamente antieconomico.

PRESIDENTE chiede allora che cosa si voglia intendere con la parola «ripartizione».

CORBI risponde che si vuole intendere una migliore distribuzione.

PRESIDENTE fa osservare che la dizione è estremamente pericolosa, in quanto può essere interpretata in modi diversi, a seconda di chi detiene il potere.

COLITTO dichiara di essere d’accordo nel sostenere la necessità di una riforma agraria in Italia, al duplice fine di potenziare la produzione e di stabilire più sani rapporti sociali; ma ritiene che le proprietà terriere non debbano essere toccate in qualsiasi caso eccedano determinati limiti di ampiezza, ma bensì quando la loro ampiezza sia tale o siano gestite in guisa da impedire quella migliore valorizzazione della terra che, diversamente, sarebbe possibile.

FANFANI, d’accordo con il Presidente, propone il seguente articolo:

«Lo Stato, per accrescere il rendimento della terra, nell’interesse sociale e dei coltivatori – diffusa l’istruzione agraria e completata la bonifica – espropria il latifondo e le terre incolte; favorisce il concentramento di quelle eccessivamente parcellate; promuove ed integra istituzioni dirette a garantire il credito e l’utilizzazione di mezzi di produzione a favore della piccola e media proprietà; incoraggia la stipulazione di patti agrari secondo giustizia».

TAVIANI osserva che l’esposizione fatta dal collega Fanfani mette in evidenza che egli intende giungere ad un articolo che tratti della riforma agraria in tutto il suo complesso. Non essendo di tale avviso, dichiara che preferirebbe allora la proposta del Presidente di non aggiungere nuove norme, ma di limitarsi agli articoli sulla proprietà già approvati.

PRESIDENTE avverte che il seguito della discussione avrà luogo nel pomeriggio alle ore 17.30.

La seduta termina alle 13.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Marinaro, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Assenti giustificati: Merlin Angelina, Molè,

Assenti: Giua, Lombardo, Paratore.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

19.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto di proprietà e intrapresa economica (Seguito della discussione)

Presidente – Taviani, Relatore – Canevari – Assennato – Corbi – Colitto – Dominedò – Togni – Fanfani.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sai diritto di proprietà e sull’intrapresa economica.

PRESIDENTE rende noto che l’onorevole Taviani ha dichiarato di mantenere per il suo articolo la seguente formulazione: «Lo Stato ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell’interesse di tutto il popolo.

«In vista di questi scopi lo Stato impedirà l’esistenza e la formazione delle grandi proprietà terriere private».

TAVIANI, Relatore, fa presente che non trattasi punto di una formulazione precisa, volendo prima sentire l’opinione dei colleghi sui due singoli punti.

CANEVARI, desiderando fare anche un’affermazione relativamente alle imprese agricole, ripropone il seguente testo:

«L’impresa agricola deve avere di mira il benessere della collettività nazionale ed una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra.

«La legge dovrà promuovere un movimento di trasformazione che, sviluppandosi nel tempo, determini negli uomini, nella politica e nella economia del Paese le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un’agricoltura in via di continuo progresso, condotta dal lavoro associato per il maggiore benessere dei singoli e della collettività».

TAVIANI, Relatore, accetta la proposta dell’onorevole Canevari quale concetto da inserire nella relazione, come illustrazione dell’articolo sulla proprietà terriera.

PRESIDENTE, salvo il riferimento alle imprese agricole, che potrebbe trovare posto in altra sede, gli sembra che le due formulazioni si equivalgono.

ASSENNATO, premesso che la Costituzione deve contenere anche quelle dichiarazioni che servano ad imprimere un moto propulsivo alla società, propone il seguente testo:

«Allo scopo di assicurare il benessere della collettività ed una più alta possibilità di civile esistenza per i lavoratori della terra, la Repubblica controllerà la ripartizione e l’utilizzazione del suolo, favorendo la trasformazione agraria ed impedendo l’esistenza e la formazione di grandi proprietà fondiarie».

CORBI propone a sua volta la formula seguente, che gli pare più concreta e sintetica di quella proposta dall’onorevole Canevari, abbracciando nel medesimo tempo sia i concetti dell’onorevole Canevari stesso che quelli dell’onorevole Taviani:

«Nell’interesse della collettività e per assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra, la Repubblica ha il diritto di controllare la ripartizione e l’utilizzazione del suolo.

«La Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere private».

Precisa che nella espressione: «interesse della collettività», si deve intendere anche implicitamente il concetto di una maggiore produttività.

PRESIDENTE sarebbe contrario a porre troppo in evidenza il concetto esposto dall’onorevole Corbi, esprimendo il timore di eventuali opposizioni che renderebbero meno agevole l’approvazione dell’articolo. È del parere invece che la formula dell’onorevole Taviani sia semplice e completa, andando nel medesimo tempo incontro alle comuni aspirazioni. Sopprimerebbe però la parola: «ripartizione».

CORBI non condivide il pensiero del Presidente, né sopprimerebbe la parola: «ripartizione», poiché in essa è implicito il concetto di riforma.

PRESIDENTE ritiene che la parola «ripartizione» non esprima il concetto della riforma agraria come egli la intende e che si attuerebbe in due modi: il primo mediante il controllo della produzione, e il secondo mediante lo sfruttamento della terra da parte di organi della comunità.

CORBI insiste sulla necessità del controllo da parte dello Stato della ripartizione del suolo. Esprime poi l’avviso che un articolo che tratta della proprietà terriera deve particolarmente menzionare chi della terra vive e la lavora. Per questo motivo ritiene necessario insistere nel proprio punto di vista, onde evitare di ricadere negli errori del passato, allorché le esigenze dei lavoratori della terra erano totalmente misconosciute.

CANEVARI afferma di non preoccuparsi della grande proprietà terriera che, anzi, preferisce alla piccola, ma della riforma agraria, la quale deve trovare la sua effettiva attuazione in altri provvedimenti, diversi da quelli proposti, come la trasformazione delle colture, la vigilanza dello Stato, l’incremento delle aziende agricole condotte da lavoratori associati, le facilitazioni per l’associazione della piccola proprietà e l’abbinamento all’agricoltura delle industrie ad essa attinenti. Questi dovrebbero essere i criteri base in relazione al problema della riforma agraria.

COLITTO ritiene opportuno, anzi necessario, che si parli nella Costituzione di intervento dello Stato diretto a controllare l’utilizzazione del suolo. Non ritiene, invece, che si debba approvare l’articolo per quanto si riferisce al controllo circa la ripartizione del suolo. Se tale controllo non è semplicemente platonico, ma tende ad una espropriazione, è inutile ripetere quello che s’è già detto in altro articolo. A parte il rilievo che è assurdo parlare ad ogni piè sospinto di espropriazione, egualmente ritiene che non meriti approvazione l’ultima parte dell’articolo, sia perché vi si parla di proprietà terriera e non anche di proprietà urbanistica e non si comprende la ragione del trattamento di favore fatto a quest’ultima nei confronti della prima, sia perché è molto generica la dizione, essendo difficile distinguere la grande dalla media e dalla piccola proprietà, sia infine perché in tanto resistenza o il formarsi della grande proprietà sono da impedire, in quanto ciò rechi pregiudizio alla collettività. Propone, quindi, che almeno di tale rilievo si tenga conto nel comma proposto.

DOMINEDÒ dà lettura della seguente formulazione da lui proposta come base di discussione per una possibile intesa:

«Allo scopo di assicurare il benessere della collettività e di favorire l’elevazione dei lavoratori della terra, lo Stato può controllare l’utilizzazione del suolo nell’interesse nazionale, promovendo la trasformazione agraria a vantaggio della produzione».

Rileva che con questa formulazione, la quale prende come punto di partenza l’articolo formulato dall’onorevole Taviani, si introduce, in relazione alla proposta dell’onorevole Assennato, l’accenno a quella tutela particolare del lavoratore che costituisce una nota dominante rispetto alla tutela dell’interesse generale, mentre si tiene altresì conto dell’accenno fatto dall’onorevole Canevari circa la trasformazione agraria, la quale costituisce un’esigenza sovrastante il singolo problema del latifondo improduttivo.

COLITTO non vede come possa estrinsecarsi un controllo sulla ripartizione.

TOGNI, riprendendo a grandi linee le osservazioni dell’onorevole Colitto riguardanti le grandi proprietà terriere, senza entrare nel merito, osserva che gli interessi che muovono attualmente la Sottocommissione nel volere l’intervento dello Stato sono di far sì chele grandi proprietà non arrivino ad essere, ad un certo punto, per la loro potenza, un pericolo per l’organizzazione dello Stato, e, in secondo luogo, che le grandi proprietà non siano messe in condizioni da non poter essere sfruttate adeguatamente, ma che diano il maggior benessere possibile nell’interesse generale.

Partendo da queste considerazioni, riterrebbe opportuno parlare di questo argomento nella parte che riguarda i monopoli industriali.

TAVIANI, Relatore, non concorda, trattandosi di due differenti questioni.

TOGNI condivide l’esigenza a cui si ispira la Sottocommissione, ma non può fare a meno di domandare perché non dovrebbero essere considerate anche le grandi proprietà edilizie. Ritiene, a suo avviso, altrettanto dannoso all’interesse sociale una proprietà di 700 o 1000 appartamenti che una proprietà di 2000 ettari di terra.

COLITTO, circa l’articolo proposto dal Relatore, sopprimerebbe la parola: «ripartizione» e aggiungerebbe il concetto che la Repubblica impedirà l’esistenza e la formazione di grandi proprietà terriere, solo se siano di danno alla collettività.

TAVIANI, Relatore, dichiara che, se come Relatore dovesse esprimere il suo parere definitivo sulle proposte presentate, non approverebbe neppure la sua.

Non ritiene che abbia valore l’obiezione del Presidente circa il termine: «ripartizione», perché, evidentemente, «controllo e intervento nella ripartizione» non vuol dire soltanto divisione di grandi proprietà in piccole, ma può voler dire anche, per esempio, attribuzione di una proprietà privata ad enti pubblici. Non sarebbe contrario, comunque, a sostituire tale parola con un’altra più chiara, come il termine: «distribuzione»; circa poi l’obiezione sollevata dagli onorevoli Colitto, Canevari ed altri, nel senso che lo Stato non dovrebbe controllare la «ripartizione», ma limitarsi al controllo della utilizzazione, fa presente che, dovendosi formulare un articolo che apra la strada alla riforma agraria, si deve controllare la ripartizione anche fino a giungere alla possibilità di espropriazione. Non si sente, quindi, di rinunziare al termine: «ripartizione» o «distribuzione».

Per quanto riguarda la proposta Canevari, è d’accordo in linea di principio, ma non ravvisa la necessità di inserirla nella Costituzione, nella quale è sufficiente un articolo che valga a precisare quale sarà il comportamento dello Stato nel campo della proprietà terriera. Perciò, pur essendo d’accordo sulla necessità della riforma agraria, considera che la formulazione del collega Canevari possa servire piuttosto come base per la relativa legge.

In relazione, poi, alle proposte dei colleghi Corbi, Assennato, Dominedò e Noce, rileva la quasi identità della espressione: «Nell’interesse della collettività», con la sua: «Nell’interesse di tutto il popolo». Invece la dizione: «per assicurare una migliore esistenza ai lavoratori della terra», pur comprendendone l’importanza e la giustezza, tanto che non sarebbe contrario ad un’affermazione del genere, gli fa sorgere il dubbio che non si possa in un articolo della Costituzione parlare isolatamente dei contadini, senza poi, in quelli successivi, fare un identico accenno alle altre categorie.

Né, a questo proposito, può ritenere valida l’obiezione che i contadini sono in tristi condizioni, mentre gli operai e gli impiegati hanno un tenore di vita più elevato, perché questa, per alcune zone, è la situazione di oggi, mentre la Costituzione deve guardare anche all’avvenire. Nella Costituzione quindi non metterebbe una simile specificazione, ma inserirebbe un’espressione che, in relazione alle esigenze messe in luce dall’onorevole Corbi, precisasse che il controllo dello Stato deve avere di mira il benessere non soltanto della collettività, ma anche di coloro che lavorano la terra.

È d’accordo con l’onorevole Togni che anche la eccessiva proprietà immobiliare urbana non è morale, ma osserva che una limitazione di essa può trovare la sua sede più opportuna nella interpretazione degli articoli sulla proprietà in genere e sull’impresa.

Quanto alla formulazione proposta dall’onorevole Canevari, ritiene che essa troverebbe più adeguata sede in una legge di riforma agraria, anziché nella Carta Costituzionale.

Circa il pericolo di un grave danno che deriverebbe all’agricoltura da una complessa riforma della distribuzione della proprietà fondiaria, non nasconde la sua preoccupazione, ma d’altra parte deve ricordare che qualsiasi progresso sociale implica un costo economico. A tale proposito si domanda se si debba oggi precludere la possibilità di un progresso sociale nell’agricoltura, per il solo fatto di volere eliminare il costo che esso comporterebbe.

Ricorda che quando fu attuato lo spezzettamento del latifondo in Bessarabia, la produzione subì una forte diminuzione e occorsero più di dieci anni per riportarla alle primitive proporzioni. Tuttavia i risultati sociali furono ottimi. I contadini della Bessarabia, prima in continue agitazioni, divennero i migliori cittadini dello Stato rumeno. Dubita infine che il mantenimento della grande proprietà fondiaria sia necessario agli effetti della produzione.

ASSENNATO non ritiene conforme alla struttura economica del Paese la riserva dell’onorevole Taviani circa l’inclusione nella Costituzione di una dichiarazione impegnativa per la elevazione dei lavoratori della terra, le condizioni economiche dei quali esigono invece che si faccia un preciso accenno per il loro miglioramento.

Prende atto che l’onorevole Taviani si dichiara convinto di questa necessità, ma un riconoscimento non espresso e non impegnativo avrebbe un valore puramente platonico. Prega quindi l’onorevole Taviani, quale Relatore, di considerare l’opportunità di una simile dichiarazione statutaria.

La circostanza che in qualche regione la vita del lavoratore della terra è già ad un livello civile tale da non richiedere un’esplicita dichiarazione nella Costituzione, non è sufficiente per sconsigliarla, poiché essa va formulata in vista delle condizioni della generalità della società nazionale. Né d’altra parte può ritenersi che il concetto del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori della terra possa essere sottinteso nella semplice espressione relativa all’interesse della collettività.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Colitto propone, per la prima parte dell’articolo, la seguente formulazione:

«Lo Stato, al fine di potenziare la produzione, ha il diritto di controllare la utilizzazione della proprietà terriera».

CANEVARI ritiene che l’onorevole Taviani non abbia interpretato in senso esatto quello che egli ha voluto dire nei riguardi della grande proprietà. Le osservazioni storiche da lui ricordate non hanno alcun riferimento con la situazione attuale, perché la riforma agraria, in qualunque tempo verrà effettuata, determinerà sempre gravi problemi, rendendo pensosi sulla opportunità di spezzettare o di mantenere unita la proprietà. In alta Italia vi sono grandi proprietà fondiarie condotte industrialmente in modo tale che onorano il Paese. Ricorda il fenomeno avvenuto dopo l’altra guerra, quando speculatori arricchiti, acquistate grandi proprietà, le rivendettero spezzettate, causando un enorme danno all’agricoltura.

Nella provincia di Pavia, ad esempio, esistevano grandi aziende agricole cooperative perfettamente organizzate, con rotazione delle culture e direttori preparati tecnicamente e praticamente per conseguire i migliori risultati, affiancate da tutta una serie di attività attinenti all’agricoltura, come latterie e caseifici, che alimentavano le cooperative dei lavoratori. Tale organizzazione – e questo è il concetto sociale – permetteva che su quei fondi vivesse una popolazione superiore del 30 o 40 per cento di quella che vi vive attualmente.

Quelle aziende cooperative sono state sciolte dal fascismo ed i terreni sono stati venduti a speculatori, e smembrati. Non è vero quindi che sempre la piccola proprietà possa sostituire la grande proprietà.

Dichiara, perciò, di non poter accedere alle proposte degli onorevoli Corbi, Assennato, Noce e Dominedò, perché tutte concordano sullo stesso concetto, del controllo dello Stato sulla ripartizione e utilizzazione del suolo, concetto che non è sufficiente per aprire le porte alla riforma agraria. La riforma agraria deve, invece, essere effettuata lavorando e preparando gli uomini. Ecco la necessità di scuole per poter guidare i contadini ad assumere la responsabilità di utilizzare la terra nel modo migliore.

Lo Stato, a suo avviso, non può intervenire efficacemente, perché l’agricoltura è la cosa più locale che si possa immaginare. Lo Stato può fissare delle linee e delle direttive generali, ma saranno gli organi creati localmente che dovranno interessarsi dei problemi della terra e dettare le norme necessarie per la loro soluzione. Personalmente si dichiara favorevole alla costituzione di comunità provinciali o regionali che rappresentino gli interessi dei lavoratori e dei consumatori. Necessità, quindi, di organi competenti che dovranno occuparsi anche di creare o di favorire il sorgere di industrie particolarmente attinenti all’agricoltura come caseifici, oleifici sociali, enopoli, ecc., iniziative queste che potranno essere assunte direttamente da organi locali appositamente creati, che conoscano i bisogni e le necessità del posto.

Come ha affermato nella sua formulazione, la Costituzione dovrebbe anche contenere il principio che la legge deve promuovere un movimento di trasformazione atto a determinare le condizioni più favorevoli per conseguire come risultato finale un’agricoltura in via di continuo progresso. L’agricoltura, infatti, non si ferma; ma è e sarà in continua trasformazione e nessuno oggi può dire dove avrà fine tale trasformazione agraria per conseguire una sempre maggiore e migliore produzione.

Nella sua proposta vi è poi un’altra affermazione, che non trova nelle altre, relativa ad una agricoltura «condotta dal lavoro associato» che ritiene non possa non essere fatta, perché, se si vogliono dare direttive per una radicale riforma agraria, bisogna dire fin da ora quali fini essa si deve proporre indicandone altresì i mezzi preminenti che fin da ora si ravvisano.

TOGNI, in relazione alla dichiarazione dell’onorevole Assennato, tiene a dichiarare che pur essendo favorevole al riconoscimento della necessità di accennare al miglioramento dei lavoratori in genere, non intende che tale riconoscimento sia per essi né limitativo, nel senso di considerare solo una determinata categoria, né offensivo, nei riguardi dei lavoratori di determinate parti d’Italia.

TAVIANI, Relatore, si associa alle dichiarazioni del collega Togni.

ASSENNATO desidera proporre una modifica alla sua formulazione, sostituendo alle parole «favorendo la trasformazione», le altre «provvedendo alla trasformazione agraria». Infatti, quando si parla del problema della riforma agraria, si sente da tutti rispondere che è un problema che riguarda la Costituente. È indispensabile, quindi, che in sede di Costituzione si stabilisca almeno il fondamento per la riforma. Per questo motivo aderisce ai principio che informa la proposta dell’onorevole Canevari, invitando a studiare una formula che sia comprensiva dei concetti da lui esposti.

PRESIDENTE è perfettamente d’accordo sulla necessità della riforma agraria, ma ripete la sua contrarietà al controllo dello Stato nella ripartizione in cui è inclusa l’esigenza di frazionare la grande proprietà, mentre, come ha già detto, è favorevole allo spezzettamento solo in certi particolari casi.

FANFANI osserva che la Commissione ha tralasciato di considerare le condizioni attuali dell’agricoltura italiana, che non è in grado di garantire la maggior possibile produzione e le migliori condizioni di vita ai produttori e coltivatori.

Dall’esame degli articoli presentati, ad eccezione di quello dell’onorevole Canevari, si potrebbe avere l’impressione che le cause dell’attuale malessere dell’agricoltura siano dovute esclusivamente alla cattiva ripartizione delle terre e alla loro irrazionale utilizzazione, per cui più che di riforma agraria, si dovrebbe parlare di riforma fondiaria. Ma la riforma fondiaria non è sufficiente, a suo avviso, a risolvere né il problema di un maggior benessere dei coltivatori, né a garantire all’agricoltura quello sviluppo che le coedizioni naturali e di territorio e quelle della tecnica, italiana e mondiale, le consentono. Afferma quindi che, più che sulla riforma fondiaria, il problema agricolo italiano si basa attualmente sulla trasformazione agraria. A tale proposito non si nasconde l’immensità dei problemi; basti pensare alla riforma dei patti agrari, a quella del credito agrario e fondiario e – problema importantissimo – alla diffusione dell’istruzione dei coltivatori.

Tutti questi problemi, egregiamente illustrati nel volume edito dal Ministero della Costituente, si presentano in modo così diverso da regione a regione, da provincia a provincia e anche nell’ambito delle singole province, da far rimanere perplessi allorché si pensi di considerarli in un articolo della Costituzione. Le infinite divisioni e sottodistinzioni delle zone italiane (zone alpine, appenniniche, a cultura intensiva o estensiva, appoderate, ecc.) sono tali e tante che indubbiamente non si può pensare di risolvere il problema della trasformazione agraria parlando di controllo sulla ripartizione del suolo e quindi solo di limiti della proprietà. Queste argomentazioni, anziché essere fuori tema, come alcuno potrebbe ritenere, tendono invece a far presenti le estreme difficoltà che si incontrano nella risoluzione del complicatissimo problema ed a segnalare l’imprudenza con la quale la Sottocommissione affronta la questione parlando di ripartizione – cioè di limiti – senza aver dato incarico all’ente regione, o ad altro istituto, di scendere alla determinazione, zona per zona, delle riforme che in ciascuna di esse è necessario attuare. Afferma perciò che una riforma agraria uguale per tutta l’Italia non è concepibile; ed anzi una riforma fondiaria ed agraria, considerate come un tutt’uno – senza tener presenti le esigenze delle singole zone – sarebbero la premessa di una rovina generale. Parimenti ritiene che un controllo dello Stato sulla utilizzazione del suolo potrebbe provocare la paralisi totale dell’agricoltura italiana, perché ogni contadino, prima di procedere a qualche semina, dovrebbe ricorrere all’Ispettorato agrario per conoscere se l’azione che si propone di fare rientri nei criteri generali.

Rileva, tuttavia, che se queste sue considerazioni sono volutamente esagerate per spirito polemico, il suo intendimento è quello di richiamare l’attenzione di tutti sulla necessità di arrivare ad una articolazione che eviti, per quanto possibile, gli inconvenienti delle frasi generiche, e che sia armonizzata con l’affermazione del terzo comma dell’articolo sulla proprietà.

Dopo aver affermato che le esigenze fondamentali sono quelle della massima produzione ai minimi costi e del massimo benessere possibile per tutti coloro che attendono alle trasformazioni nel campo agricolo, conclude proponendo che l’onorevole Taviani, alla luce di tali richieste, affacci la soluzione per le varie questioni, tenendo presente che si tratta di un problema complesso e grave – il più grave di tutti i problemi economici italiani – in quanto il 50 per cento della popolazione italiana vive sulla terra.

PRESIDENTE ritiene che una statuizione si possa fare anche con una formulazione generica, che apra però la strada alla riforma agraria.

TAVIANI, Relatore, riconosce la giustezza delle affermazioni del collega Fanfani. Ritiene implicito che qualsiasi riforma agraria, come qualsiasi limite o vincolo da porsi nel campo dell’agricoltura, debbano avere carattere regionale e tener conto delle diversità della natura dei terreni e delle colture. Ciò risulta già chiaramente dalla sua originaria relazione sul tema ora in discussione. Afferma tuttavia che una Costituzione non può addentrarsi nei particolari della riforma agraria. Ritiene quindi che la Sottocommissione o si dovrà accontentare dell’articolo relativo alla proprietà, che lascia già la possibilità di una qualsiasi riforma agraria, oppure, se vuole formulare un articolo speciale per la proprietà terriera, non potrà entrare in eccessive specificazioni.

DOMINEDÒ rileva che le osservazioni critiche dell’onorevole Fanfani rispondono a esigenze che sono vivamente sentite. Bisognerebbe pertanto che si fondessero insieme le varie esigenze in giuoco, per arrivare ad una formulazione il più possibile sintetica e comprensiva; del che ha inteso dare un primo esempio sostituendo il concetto generale di trasformazione agraria a quello particolaristico di divisione del latifondo.

PRESIDENTE è d’accordo.

La seduta termina alle 20.05.

Erano presenti: Assennato, Canevari, Colitto, Corbi, Dominedò, Fanfani, Federici, Ghidini, Marinaro, Noce, Taviani, Togni.

Erano assenti: Giua, Lombardo, Paratore, Rapelli.

In congedo: Merlin Angelina, Molè.