Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

5.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Comunicazioni del Presidente

Presidente.

Diritto all’assistenza (Seguito della discussione)

Fanfani – Di Vittorio – Marinaro – Presidente – Colitto – Canevari.

La seduta comincia alle 10.15.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Simonini si è dimesso da membro della Commissione per la Costituzione. A sostituirlo nella terza Sottocommissione è stato chiamato l’onorevole Canevari, che già interveniva alle sedute in seguito ad autorizzazione.

Seguito della discussione sul diritto all’assistenza.

FANFANI ritiene che, dopo aver affermato il diritto al lavoro e prima di stabilire il diritto all’assistenza, sia razionale stabilire in un articolo il diritto dei lavoratori ad un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e che tenga conto delle sue necessità personali e familiari.

È questa una giusta aspirazione ormai diffusa nel mondo dei lavoratori ed alla quale, per iniziativa di illuminati imprenditori, e per disposizione di legge, od anche per dettato di Costituzioni, si è cercato di andare incontro. Dopo il riconoscimento del diritto, non sembra superfluo impegnare solennemente lo Stato a dettare norme sulla determinazione di retribuzioni vitali, cioè sufficienti alle necessità dei lavoratori; previdenziali, cioè atte all’accantonamento di premi assicurativi per provvedere ad ogni evento dannoso prevedibile; familiari, cioè atte a fronteggiare le necessità delle madri che attendono alle faccende di casa e dei figli immaturi per l’attività produttiva.

Propone perciò il seguente articolo:

«Ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità dei lavoro prestato e, possibilmente, adeguata alle sue necessità personali e familiari.

«La Repubblica agevolerà il godimento di questo diritto con norme sulla determinazione, nei contratti di lavoro, delle retribuzioni vitali, previdenziali e familiari».

Ricorda che il testo da lui ieri proposto, in luogo della frase «possibilmente adeguata allo sue necessità personali e familiari», diceva «proporzionata alle necessità personali e familiari». Ha ritenuto di dover tener conto di un’osservazione dell’onorevole Marinaro, il quale è d’avviso che la richiesta di proporzionalità alle necessità personali e familiari, nell’attuale sistemazione economica del Paese, non sia forse tale da potersi soddisfare. Appunto per questo, nella prima parte dell’articolo, alla norma con la quale si riconosce il diritto (con una frase che si trova già nella Costituzione russa nel 1936) a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, se ne fa seguire un’altra che cerca di prevedere i carichi eccezionali, personali e familiari.

L’aggiunta della parola «familiari» è stata apportata anche in considerazione delle preoccupazioni espresse dalla onorevole Noce nei giorni passati, e che risultano anche dalle relazioni delle onorevoli Merlin e Federici, nelle quali si domanda se lo Stato non debba andare incontro agli oneri che dovranno sopportare i genitori per il fatto di avere una famiglia, e alla convenienza di creare una situazione possibilmente non disagiata a quelle persone che attendono permanentemente a lavori di casa e che non percepiscono un salario a questo titolo. Di qui la necessità, che in sede assicurativa o in sede retributiva si provveda in qualche modo.

Ricorda, in proposito, che in altri Paesi è stato escogitato il sistema dell’aggiunta di famiglia ai lavoratori e ritiene che nella compilazione di una Costituzione non si possa non tener conto dei progressi ovunque raggiunti.

Ricorda infine che la onorevole Merlin ha osservato che la seconda parte dell’articolo avrebbe potuto essere omessa. Può essere d’accordo, a condizione però che in tutti gli articoli precedenti si faccia la stessa omissione. Infatti, negli articoli già approvati, dopo una dichiarazione dei diritti, si è incluso un solenne impegno per la Repubblica di provvedere, indicandone genericamente la maniera.

DI VITTORIO è d’accordo nel principio informatore dell’articolo e nell’opportunità di riferire la rimunerazione del lavoratore anche ai bisogni della famiglia. Ritiene tuttavia che, con la formulazione proposta, lo Stato invada un campo che è più specifico del sindacato. Desidererebbe che fosse ben chiarito che nell’azione di tutela diretta ad assicurare al lavoratore una remunerazione adeguata ai propri bisogni (che è funzione specifica del sindacato) lo Stato asseconda nei suoi compiti il sindacato.

Manifesta inoltre la sua perplessità circa l’opportunità di inserire nella Costituzione una norma secondo la quale la remunerazione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Questa norma può trovar luogo nella Costituzione sovietica, perché in Russia vige un sistema sociale differente dal nostro; non in Italia, perché col contratto collettivo di lavoro si determina il salario per categoria e per specializzazione, non per quantità o per qualità di lavoro individuale compiuto. In Russia, vigendo il sistema socialista, lavorando cioè tutti i lavoratori per la collettività, è stato introdotto il sistema dell’emulazione, che consiste nel valutare e remunerare individualmente ciascun lavoratore per stimolarlo a perfezionarsi professionalmente.

Non c’è officina che non abbia la scuola professionale per mezzo della quale tutti possono, almeno teoricamente, diventare specialisti.

FANFANI ritiene che le preoccupazioni manifestate dall’onorevole Di Vittorio non abbiano ragione d’essere. Infatti è proprio in vista dell’esistenza del sindacato, e delle funzioni che il sindacato deve esercitare nella stipulazione dei contratti di lavoro che, invece di affermare che la Repubblica determinerà i salari previdenziali, ha proposto di dire che la Repubblica agevolerà il godimento di questo diritto con norme sulla determinazione, nei contratti di lavoro, delle retribuzioni vitali, previdenziali e familiari.

DI VITTORIO propone che si aggiungano le parole: «secondando l’azione dei sindacati».

FANFANI dichiara di non aver nulla in contrario, pur ritenendo che l’argomento troverebbe sede più appropriata nella discussione sulla relazione dell’onorevole Di Vittorio, quando, determinandosi la funzione del sindacato, si potrà fare un richiamo al testo odierno e, in sede di coordinamento dei due testi, rendere esplicito tale concetto.

Quanto alla seconda obiezione, fa rilevare che, quando il contratto di lavoro determina un salario orario, cioè una retribuzione rispetto alla quantità, lo determina per categorie e tiene conto della qualità del lavoro compiuto. Vi sono contratti collettivi, o possono esservi domani, in cui si tenga conto anche di un certo premio ai lavoratori più solerti. Nel nostro sistema ciò esiste e può continuare ad esistere. Non vede quindi una contradizione; né ritiene inopportuna l’adozione della formula proposta, e a lui suggerita dal Presidente della Sottocommissione, che non è in contrasto col sistema dei contratti collettivi, entro i quali è consentito il perfezionamento per stimolare l’emulazione, incoraggiare e spronare i meno solerti.

Quanto all’osservazione che in Russia si è adottato il criterio dell’emulazione, economisti americani, recatisi in quella nazione, hanno constatato come in regimi profondamente diversi per ispirazione e per struttura si applichino formule molto simili, Appunto per stimolare questa emulazione.

Quando si tratterà del funzionamento sindacale saranno tenute presenti le considerazioni dell’onorevole Di Vittorio che, a suo parere, non infirmano la formula proposta.

MARINARO ritiene che non sia il caso di fare riferimento alle istituzioni sindacali, dopo le spiegazioni fornite dall’onorevole Fanfani. Determinare la retribuzione in base alla quantità e alla qualità del lavoro può presentare delle difficoltà e una formula più semplice e più generica si adatterebbe meglio allo scopo. Senza alterare affatto il concetto enunciato dall’onorevole Fanfani, propone la dizione: «Ogni lavoratore ha diritto a una retribuzione corrispondente alla sua prestazione».

FANFANI fa presente che questa dizione corrisponde alla formula originaria da lui proposta, alla quale non ha alcuna difficoltà di tornare.

PRESIDENTE spiega che il suo suggerimento è mosso dal concetto che sia opportuno, nella retribuzione, tener conto della quantità e della qualità del lavoro prestato, oltre che delle condizioni di famiglia.

Quando si tratterà di stipulare i contratti, questi elementi concorrenti alla equa fissazione del salario andranno tenuti presenti.

COLITTO riconosce l’opportunità di mantenere, nella prima parte dell’articolo, l’accenno alla quantità e alla qualità del lavoro prestato; ciò servirà di incitamento al lavoratore. Limiterebbe però la seconda parte alla sola prima frase: «La Repubblica agevolerà il godimento di questo diritto», e ciò per due ragioni: una di sostanza e una di forma; di sostanza, perché ritiene che le parole che seguono «con norme sulla determinazione, nei contratti di lavoro, delle retribuzioni vitali, previdenziali e familiari» impegnino lo Stato a dettare norme disciplinatrici del contenuto del contratto di lavoro, mentre la disciplina di tale contenuto va riservata al sindacato; di forma, perché gli sembra che non si possa parlare di retribuzione previdenziale, dato che quello che si dà a scopo previdenziale non può considerarsi come compenso di un lavoro compiuto.

DI VITTORIO, dopo le spiegazioni date dall’onorevole Fanfani nei riguardi della prima osservazione da lui fatta, dichiara di non insistere perché sia inclusa nell’articolo una frase, della quale si potrebbe tener conto poi nei lavori di coordinamento, da cui risulti che la Repubblica agevolerà il godimento di questo diritto «attraverso l’opera dei sindacati».

Insiste invece nell’altra sua osservazione, perché stima pericolosa la trasposizione meccanica di formule da altre Costituzioni nella nostra. Fa rilevare che la Costituzione russa ha stabilito il principio che, in regime socialista, ciascuno ha diritto al frutto del proprio lavoro. Di qui la necessità di determinare il lavoro di ogni individuo, perché possa goderne il frutto che ne deriva. In Italia, dove è ammesso il sistema del lavoro a cottimo, quello dei premi (e la stessa Confederazione del lavoro non è contraria ad adottare sistemi che possano indurre il lavoratore a migliorarsi ed a produrre di più), sancire nella Costituzione tale principio, significherebbe fare del sistema del lavoro a cottimo individuale il sistema italiano, ed a ciò si dichiara contrario.

Potrebbe accedere all’adozione di questo sistema solo come complemento del sistema del contratto collettivo, che fissa le remunerazioni per tutti i lavoratori della stessa categoria che svolgono le medesime mansioni. Il sistema del lavoro a cottimo vige anche in Italia, ma non per tutte le categorie; per alcune sarebbe pericoloso.

Concludendo, dichiara di essere d’accordo nel concetto della tutela dello Stato sull’opera dei sindacati, ma sopprimerebbe dall’articolo ogni concetto di remunerazione in base alla quantità e alla qualità del lavoro individuale prestato, e la determinerebbe invece in base alle specializzazioni e alle mansioni dei vari operai.

CANEVARI afferma che dire, come propone l’onorevole Fanfani, «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione adeguata alle sue necessità personali e familiari» può ingenerare il dubbio che si pensi ad una retribuzione personale differente da lavoratore a lavoratore della stessa categoria, e ciò in antitesi al contratto di lavoro che stabilisce una remunerazione eguale per tutti i lavoratori di una stessa categoria. Ritiene pertanto necessario chiarire meglio il concetto, dicendo: «adeguata, per necessità personali e familiari».

DI VITTORIO rileva che, perché la formula risulti ben chiara, basterebbe eliminare la parte riferentesi alla quantità ed alla qualità e dire: «retribuzione adeguata alle mansioni e alla specializzazione», insistendo così sul carattere collettivo della norma e non su quello individuale. L’articolo non avrebbe bisogno di ulteriori emendamenti.

FANFANI dichiara di non aver nessuna difficoltà ad ammettere che si faccia un accenno al sindacato, ma quanto all’osservazione fatta dall’onorevole Colitto, in relazione al salario previdenziale, nega che la retribuzione previdenziale non faccia parte del salario. Fu affermato fino da 216 anni fa, dal Cantillon, che il salario deve variare secondo la gravità dei rischi inerenti al lavoro, di qualsiasi genere essi siano. È una economia per l’intiera collettività pagare una quota fissa capace di provvedere alle necessità vitali del lavoratore e della sua famiglia, più una quota, se non pari all’intiera copertura del rischio, pari alla quota-premio ritenuta, nel complesso, sufficiente a coprire il rischio, prevedibile, che va accantonata sotto forma di assicurazione. Questa quota è ancora salario, è parte del salario; solo per ragioni di economia sociale viene prelevata, anziché consegnata al lavoratore e, unita a tutte le altre quote-premio, permette, il giorno in cui se ne manifesta il bisogno, di far fronte al rischio che si è verificato in danno del lavoratore.

Per quanto ha riferimento alla seconda parte dell’articolo, riguardante i contratti di lavoro, non ha difficoltà a modificarla, dato che era sua intenzione di tenere presente il concetto che il salario deve scaturire dal libero accordo delle parti in contrasto. E con ciò ha risposto alle obiezioni dell’onorevole Di Vittorio, il quale insiste perché nel testo dell’articolo si parli di sindacati.

Circa la proporzionalità e la qualità del lavoro, poiché l’onorevole Di Vittorio ha avuto l’impressione che si tratti di una trasposizione del sistema vigente nel diritto russo in quello italiano, obietta che se la ragione umana è giunta in Russia all’affermazione di un principio di corretta scienza economica sul problema del salario, questo non significa che tale principio non possa essere accolto nella Costituzione italiana. D’altronde la formulazione dell’articolo, da lui presentato, è stata suggerita dal Presidente della Sottocommissione, il quale, nel dargli tale suggerimento, non pensava certo alla legislazione russa in materia di lavoro, ma intendeva trovare una formula che tenesse conto del lato qualitativo e di quello quantitativo.

L’onorevole Di Vittorio, nel riferirsi alla qualità, precisa che questa assume diverse gradazioni rispetto alla professione; ma nel testo proposto non soltanto si è tenuto conto di questo aspetto, ma anche dell’altro più generale e più complesso della qualità professionale. Nei riguardi della «quantità» l’onorevole Di Vittorio osserva che adottando tale termine, poiché non esistono da noi certe condizioni che invece si realizzano in Russia, saremmo costretti ad estendere in Italia il sistema del cottimo in tutti i lavori. Le cose però non stanno così: con la parola «quantità» ci si riferisce non solo al salario, ma anche alla possibilità della retribuzione ad ore.

MARINARO osserva che se si parla di un sistema lavorativo ad ore, non si può parlare di un sistema a cottimo.

FANFANI ripete che, a suo avviso, nella parola «quantità» si adombrano sia l’uno che l’altro sistema. Tuttavia dichiara di non aver difficoltà a tornare al testo primitivo.

PRESIDENTE propone che sia sostituito il termine «vitali» che nella frase «retribuzioni vitali» non è molto chiaro.

FANFANI fa presente che il termine «vitali» è strettamente tecnico; in economia per salario vitale si intende quello necessario ad un tenore normale di vita.

PRESIDENTE, per risolvere la questione tanto discussa su «qualità e quantità», propone la dizione: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato».

DI VITTORIO è d’accordo, vorrebbe però che venissero indicate anche le mansioni.

FANFANI obietta che la qualità già indica le mansioni.

DI VITTORIO risponde che la qualità potrebbe essere interpretata in riferimento al lavoro individuale.

FANFANI fa presente che in sede di redazione della Carta costituzionale non è possibile scendere ad una eccessiva specificazione dei vari casi.

DI VITTORIO propone la soppressione dell’avverbio «possibilmente».

PRESIDENTE pone ai voti la prima parte dell’articolo, così formulata: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro e adeguata alle necessità personali e familiari».

DI VITTORIO dichiara che voterà l’articolo, purché sia chiaro che con esso non si sancisce l’adozione per legge del sistema del lavoro a cottimo.

(La prima parte dell’articolo è approvata).

CANEVARI propone di abolire la seconda parte dell’articolo.

DI VITTORIO si dichiara d’accordo, perché trova superflua tale seconda parte.

MARINARO si associa alla proposta Canevari.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di soppressione della seconda parte dell’articolo.

(È approvata).

La seduta termina alle 11.15.

Erano presenti: Ghidini, Marinaro, Canevari, Colitto, Di Vittorio, Fanfani, Federici Maria, Giua, Merlin Angelina, Noce Teresa, Taviani, Canevari.

Assenti giustificati: Dominedò, Lombardo Ivan Matteo, Paratore, Pesenti, Rapelli, Togni.

MERCOLEDÌ 11 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

4.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 11 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

INDICE

Diritto all’assistenza (Discussione)

Presidente – Togni, Relatore – Molè – Noce Teresa – Giua – Merlin Angelina– Fanfani – Canevari –Taviani – Marinaro.

La sedata comincia alle 10.20.

Discussione sul diritto all’assistenza.

PRESIDENTE invita l’onorevole Togni a riferire sul tema dell’assistenza e della previdenza.

TOGNI, Relatore, espone la seguente sua relazione:

«Lo Stato manifesta la propria individualità specifica anzitutto nella Costituzione.

In essa imprime, con l’atto di nascita, le ragioni della sua vitalità, le grandi linee della sua struttura organizzativa, e, più ancora, lo spirito che lo anima, l’indirizzo propulsivo delle finalità sociali cui tende la collettività che lo immedesima.

La Costituzione, perciò, non si esaurisce, né si può esaurire, in espressioni tecnico-giuridiche fredde, le quali, pur complete, riuscirebbero circoscritte, ad esito in un certo senso limitativo, ma deve principalmente contemplare gli aspetti dinamico-politici per rispecchiare la volontà ascensionale di un Popolo, entro l’ambito che la Provvidenza gli ha affidato.

Come ogni individuo nella sua piccola sfera, così il Popolo nello spazio in cui vive, ha la sua missione da compiere per la elevazione della propria vita interiore, per agevolare la convivenza pacifica con gli altri popoli, per raggiungere, grado a grado, una solidarietà umana sempre più intensa, sempre più responsabile.

La nostra Costituzione deve ispirarsi a questi postulati, accentuandoli con particolare concretezza nel settore «assistenza e previdenza». A bella posta riunisco assistenza e previdenza come due aspetti di uno stesso fenomeno, univocamente intesi alla protezione del nostro popolo, per garantire ad esso la sicurezza di vita.

Dagli elaborati delle altre relazioni potrà scaturire un principio del diritto al lavoro e delinearsi la responsabilità dello Stato rispetto alla necessaria predisposizione delle condizioni nelle quali il diritto stesso riesca pienamente e completamente a svilupparsi, ma il postulato, anche avvertito come fonte primaria di un benessere cui si aspira, trova limitati i propri effetti dalle inevitabili circostanze che, temporaneamente o permanentemente, precludono la possibilità di lavoro ai singoli individui.

La preclusione della possibilità, non l’astensione volontaria, entra nella fenomenologia ricorrente, purtroppo a carattere normale, fra le vicende della convivenza collettiva e richiama il concetto della solidarietà, cui tutti i cittadini devono sentirsi legati per dare ciascuno il loro proporzionale contributo di sollievo.

Anche e principalmente sotto questo aspetto, amo ricordare la nobile iniziativa della nuova Costituzione francese approvata dall’Assemblea Costituente il 29 aprile 1946 (art. 27), per cui la Repubblica, proclamando l’eguaglianza, fa appello altresì alla solidarietà di tutti rispetto agli oneri che l’eguaglianza stessa pretende.

Se l’eguaglianza, infatti, comprende il diritto alla vita, come non alimentare tale sacrosanto diritto in maniera concreta, al di là delle nuove formule?

Scendendo al particolare, vediamo come l’iter del lavoratore abbia o possa avere periodi di sosta forzata, per malattia, infortunio, gravidanza della donna, carenza di lavoro e conseguente disoccupazione, ecc., e qui devono soccorrere efficacemente le norme assistenziali, vuoi per fornire i mezzi di riattamento della personalità fisica, vuoi per fornire i mezzi di sostentamento onde supplire al difetto della fonte normale di reddito.

Entra poi in considerazione l’incapacità lavorativa dovuta a cause fisiche e psichiche (infermità fisiche e mentali), costituzionali o sopravvenute, che, senza l’intervento della previdenza, porrebbe l’individuo al di fuori delle garanzie vitali; sicché necessaria si appalesa la manifestazione previdenziale, per esprimere la più squisita solidarietà.

Altro fenomeno inevitabile, la vecchiaia, deve pur essa appoggiarsi ad un sistema assicurativo che coroni una vita di lavoro, allontanando ogni pena altrimenti connessa con l’inabilità e con l’invalidità.

Garanzia di vita, garanzia di sostentamento, si è detto; ma le espressioni non devono indurre a concezioni ristrette, analoghe a quelle che potrebbero scaturire dal concetto di beneficenza o di carità.

La previdenza e l’assistenza, infatti, hanno e devono avere una più elevata e precisa fonte: il diritto, cioè, di tutti e di ciascuno verso l’Ente collettività e non la semplice facoltà discrezionale, più o meno patetica.

L’assistenza e la previdenza debbono avere anche un contenuto più largo: l’indispensabile per i bisogni quotidiani, che comprenda il conforto del minimo di agio e riesca apportatore di sereno amore alla vita e non costituisca, invece, fomite di odio alla vita.

Nel quadro panoramico, l’ordinamento assistenziale-previdenziale, infine, deve apparire come mezzo di perfezionamento morale e fisico della specie, affinché questa risponda ai compiti evolutivi che le sono propri.

Ritorno alla Costituzione francese per ricordare l’articolo 33:

«Ogni essere umano che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale, della situazione economica, si trovi nella impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza».

«La garanzia di questo diritto è assicurata dalla istituzione di organi pubblici di protezione sociale».

Tale formula enuclea in parte i concetti cui sopra ho fatto ricorso e, anche se non li completa, può, quindi, servire di paradigma nel nostro lavoro.

Altra enunciazione, cui faccio volentieri richiamo, è quella contenuta nell’articolo 120 della Costituzione dell’U.R.S.S. (5 dicembre 1936) e successive modifiche:

«I cittadini dell’U.R.S.S. hanno diritto all’assistenza materiale nella vecchiaia e parimenti in caso di malattia e di perdita della capacità lavorativa».

«Questo diritto viene assicurato mediante l’ampio sviluppo della assicurazione sociale a carico dello Stato a favore degli operai e degli impiegati, con l’assistenza medica gratuita e con cessione in uso ai lavoratori di un’ampia rete di stazioni di cura».

Lodevole il testo e completo, la sua essenza meriterebbe di essere trasfusa nella nostra Costituzione, quando pervasa, però, di un senso di humanitas che il clima latino ci suggerisce, vale a dire non trascurando il movente della direttiva: la tranquillità domestica familiare, la promozione del benessere generale e la elevazione anche dello spirito del popolo; sicché la nostra formulazione dia ingresso ad istituti e ad istituzioni che, nel campo previdenziale e assistenziale, contemplino, nonché le carenze materiali, quelle spirituali che dalle comuni vicissitudini possano derivare.

Per concretare e proporre il testo definitivo, sarebbe, forse, desiderabile la preconoscenza dell’elaborato, circa la struttura organizzativa dello Stato. Comunque, sottopongo all’esame una formula che, ubbidendo al canone della necessaria concisione, contiene in germe, a mio avviso, l’indirizzo basilare della nostra evoluzione legislativa, tenendo conto delle nostre tendenze attuali e delle nostre reali possibilità.

Art. …

Al cittadino italiano deve essere assicurata, con la protezione della vita e della libertà, la tranquillità domestica familiare e la elevazione spirituale.

Dal lavoro consegue il diritto all’assistenza materiale in caso di malattia, di infortunio, di perdita della capacità lavorativa, di disoccupazione involontaria.

Ogni essere che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale, della situazione economica, si trovi nella impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza.

Organi pubblici di protezione sociale garantiranno i menzionati diritti, attuando e promovendo ogni forma di assistenza, compresa quella medica gratuita, che deve tendere anche al riattamento fisico della persona minorata.

La formula prospettata deriva dagli insegnamenti di altre Costituzioni cui è opportuno accostarsi per una auspicabile unicità di sistema, ma contiene anche, in implicito, il richiamo ad una solidarietà sociale che risponde alla consapevole generosità dello spirito, prima e spontanea fonte del nostro diritto».

Afferma, in conclusione, che ogni cittadino, pel fatto stesso che esiste e vive, ha diritto di essere messo in condizioni di poter far fronte alle minime esigenze della vita; e queste possono venir soddisfatte attraverso ad una attività diretta, in quanto l’individuo ha la possibilità fisica od intellettuale e l’occasione sociale ed economica di lavorare (nel qual caso ha anche il dovere di farlo), ovvero attraverso l’obbligo che incombe alla collettività, quando il cittadino, indipendentemente dalla sua volontà, non sia in condizioni, o per una crisi sociale, o per causa fisica, intellettuale o psichica, di lavorare.

Dichiara di non aver voluto affrontare il problema molto dibattuto, se l’assistenza e la previdenza debbano essere a carico dello Stato o della produzione, ovvero a carico dell’uno e dell’altra, perché gli sembra che rivesta un carattere secondario che dovrà essere comunque precisato dalle leggi speciali; essenziale è l’affermazione che spetta alla collettività di corrispondere alle esigenze determinate dà particolari situazioni di carenza economica.

MOLÈ trova generica l’espressione «tranquillità domestica», che potrebbe riguardare perfino i rapporti tra marito moglie.

NOCE TERESA, pur essendo d’accordo sulle premesse del Relatore, ritiene opportuna una specificazione circa i concetti di assistenza e di previdenza. Il diritto nei riguardi della previdenza è di natura diversa da quello che si riferisce all’assistenza. Chi lavora e paga i contributi alla previdenza, ha un diritto a questa forma assicurativa; ma c’è poi una categoria di cittadini che non paga contributi, pur avendo diritto ad una assistenza, della quale devono essere precisati i limiti.

Con la formula proposta dal Relatore sorge il dubbio se il legislatore voglia far rientrare una numerosa serie di cittadini tra coloro che hanno diritto all’assistenza o meno. Si tratta di quelle persone che non fanno un lavoro salariato e in modo particolare delle madri di famiglia, delle cosiddette casalinghe, le quali, pur non facendo un lavoro salariato, sono utili alla collettività in quanto hanno cura dell’allevamento dei bambini.

Ritiene quindi che i due concetti vadano distinti e precisati, anche per una questione di dignità umana. Diversa è la condizione di chi lavora e ha sempre lavorato; questi, in caso di malattia, di invalidità, di vecchiaia, ha diritto all’assistenza o alla pensione per quello che ha fatto o per quello che ha pagato; non si tratta qui di una pura e semplice assistenza da parte della collettività.

MOLÈ obietta che il diritto si matura soltanto quando sono pagate le quote per un certo periodo di tempo.

NOCE TERESA insiste sulla opportunità di una specificazione nel senso indicato, che è consigliata sia da ragioni pratiche che da ragioni morali. La distinzione tra previdenza ed assistenza implica la precisazione che l’assistenza va data anche a tutte le persone che non godono della previdenza.

GIUA, pur non dissentendo dai criteri esposti nella relazione dell’onorevole Togni, trova che la formulazione dell’articolo non è sempre felice. Soprattutto non ritiene accettabile l’espressione «tranquillità domestica» che, come è stato già rilevato, è troppo generica.

In realtà si tratta di assicurare un minimo di tranquillità economica attraverso l’assistenza. Questo soltanto la legge può fare.

Propone pertanto che si parli di assistenza materiale degli individui e delle loro famiglie, ovvero che si sopprima quella parte dell’articolo che, per la sua eccessiva genericità, può far cadere in equivoci.

Invita il Relatore a tener conto di tutte le disposizioni riguardanti l’assistenza e la previdenza, alle quali va coordinata la norma in esame.

Insiste nelle sue proposte, perché non si possa muovere alla Commissione l’appunto di avere soltanto fatto delle affermazioni teoriche ed astratte.

MOLÈ è d’accordo sulla necessità di rendere più concreto l’articolo. Quanto alle osservazioni dell’onorevole Noce, ritiene che in questa sede non si debba parlare dell’assistenza ai bambini, che si ricollega piuttosto alla loro educazione e riguarda forme diverse dell’assistenza.

NOCE TERESA chiarisce che ha solo espresso il desiderio che si usi una dizione da cui appaia evidente che hanno diritto all’assistenza coloro che non hanno diritto alla previdenza. Si preoccupa della sorte delle casalinghe e delle vecchie madri di famiglia, che non hanno diritto a pensione, non avendo fatto un lavoro salariato.

MOLÈ osserva che si entrerebbe nel campo della beneficenza, mentre qui si tratta dei diritti che scaturiscono dal diritto al lavoro. L’infanzia va protetta, ma bisogna non ricadere nell’errore del fascismo di sospingere a prolificare con la promessa che lo Stato si preoccuperà dei figliuoli.

Tutto ciò che attiene all’educazione e all’istruzione dei bambini deve costituire argomento di una discussione a parte.

PRESIDENTE rileva che il dubbio sollevato dall’onorevole Noce è implicitamente risolto nel progetto di Costituzione francese, il quale all’articolo 33 dice che «ogni essere umano, che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale, della situazione economica, si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza».

MERLIN ANGELINA è d’accordo con l’onorevole Togni sull’impostazione umana e sociale che ha dato alla sua relazione, ma è in disaccordo per quanto riguarda la formulazione dell’articolo. Ritiene che i concetti formulati nella proposta dell’onorevole Togni siano espressi in modo più preciso nel seguente articolo da lei proposto nella parte riguardante le garanzie economico-sociali per l’assistenza della famiglia: «Lo Stato ha il compito di assicurare a tutti i cittadini il minimo necessario all’esistenza per ciò che concerne, ecc.; in particolare dovrà provvedere all’esistenza di chi sia disoccupato senza sua colpa o incapace al lavoro per età o per invalidità».

PRESIDENTE ritiene che questa disposizione si possa allacciare alla parte che si riferisce al diritto al lavoro; ora però va considerato in modo particolare il solo diritto all’assistenza e alla previdenza.

Riconosce che non c’è contrasto fra quello che ha detto l’onorevole Noce e quello che sostiene l’onorevole Togni; ma la discussione deve rimanere nell’ambito dei problemi dell’assistenza e della previdenza.

FANFANI è d’avviso che, sia nella relazione dell’onorevole Togni, che nei discorsi pronunziati da altri colleghi, vi sia stata la preoccupazione di trovare un ponte fra l’articolo già approvato sul diritto al lavoro e l’articolo proposto sul diritto all’assistenza; e ritiene che sarebbe necessario inserire fra i due articoli una norma che garantisca, oltre al diritto al lavoro, un minimo di retribuzione in relazione allo sforzo e alle necessità del lavoratore. Propone quindi i seguenti due articoli:

Art. 1.

Ogni lavoratore ha diritto ad un reddito proporzionato al suo sforzo ed alle sue necessità personali o familiari. La Repubblica predisporrà il godimento di questo diritto con norme sulle retribuzioni familiari e previdenziali.

Art. 2.

Ogni cittadino che a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale, della situazione economica, si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati per vivere, garantiti dalle assicurazioni sociali e dalle istituzioni di assistenza.

CANEVARI escluderebbe la seconda parte dell’articolo secondo, perché solo in tempi successivi si stabiliranno le norme relative con leggi speciali, a seconda delle condizioni economiche del momento.

TAVIANI riconosce perfetta l’impostazione della relazione; quanto all’articolazione, ritiene opportuno sottolineare i due aspetti del problema: il primo, che il lavoratore va tutelato nei suoi diritti ad un reddito proporzionato, il secondo, che riguarda l’assistenza da dare a coloro che, non per propria colpa, non lavorano, come le madri di famiglia, i bambini, ecc.

Osserva che, trattandosi di due problemi tipicamente diversi, sarebbe necessario dividerli in due articoli.

Dichiara di essere favorevole alla proposta Fanfani, ma concorda con l’onorevole Canevari circa l’opportunità di non insistere sull’ultima parte del secondo articolo proposto e di lasciare soltanto l’accenno alla collettività. Sarebbe anche necessario trovare una frase con la quale si spiegasse che non è sempre lo Stato a soddisfare tali esigenze, ma che vi possono essere altri organismi che possono intervenire in questa garanzia.

È anche d’accordo con l’onorevole Giua sull’opportunità di togliere l’accenno alla tranquillità domestica; prende atto a questo proposito che l’onorevole Giua non riconosce allo Stato l’obbligo di dover intervenire in questo campo.

MARINARO aderisce alla formulazione proposta dal Relatore, tanto nella sostanza quanto nella forma, con l’abolizione, però, di quanto è superfluo ed inutile.

Crede, anzitutto, che il primo comma si possa tranquillamente eliminare. Invece trova molto ben precisato il concetto sostanziale della disposizione enunciata al secondo comma, che è esauriente e si collega con l’affermazione del diritto al lavoro da parte di ogni cittadino. Anche il terzo comma gli sembra ben precisato. Pregherebbe tuttavia l’onorevole Togni di non insistere sul quarto comma, che si riferisce ai mezzi di esecuzione. A questi provvederanno leggi speciali; la Costituzione non può che affermare dei principî.

PRESIDENTE fa presente che, oltre quelli considerati dall’onorevole Togni nella sua proposta, vi sono altri obblighi che incombono allo Stato sotto forma di assicurazione, di garanzia, di tutela e di controllo, ed altri doveri che incombono a protezione del lavoratore contro la possibilità di guai, di infortuni di ogni genere: c’è tutta una legislazione in proposito ed è compito dello Stato assicurare il rispetto di tali obblighi. Tutto ciò può trovar posto o in questa sede o, forse più opportunamente, dove si tratterà dell’azione sindacale.

Prospetta poi l’opportunità di inserire una norma che si riferisca ai danni derivati alle persone o ai beni dalle calamità pubbliche. Nel progetto francese di Costituzione è detto che i danni causati dalle calamità nazionali alle persone o ai beni sono sostenuti dalla Nazione. Gli risulta che su questo tema avrebbe riferito l’onorevole Lombardi, il quale avrebbe prospettato la soluzione nei seguenti termini: «I danni arrecati alle persone e ai loro beni per cause di calamità nazionali sono sostenuti dallo Stato; la legge ne stabilirà la forma e la misura». Crede che un articolo di questo genere debba essere aggiunto alla formulazione suggerita dal Relatore Togni, rientrando anch’esso nel campo dell’assistenza e della solidarietà nazionale.

TOGNI, Relatore, richiama l’attenzione su tre aspetti diversi del problema; la protezione del cittadino in quanto lavoratore o ex lavoratore e la sua tutela giuridica; la previdenza ed infine l’assistenza.

Sono tre aspetti complementari, ma nettamente diversi. Dichiara di non aver preso in considerazione la parte relativa alla tutela, perché parte di un’altra relazione. Intende riferirsi a quel complesso di disposizioni, che sono in continua evoluzione e trasformazione, per la protezione dell’operaio da un eccessivo sforzo fisico, dalle malattie professionali, da tutto ciò che può nuocere alla sua integrità fisica e che costituiscono la parte più nobile dello sforzo delle legislazioni moderne per adeguarsi alle esigenze umane dei lavoratori.

Si è limitato a prendere in considerazione l’assistenza e la previdenza, due aspetti che ritiene cioè molto vicini l’uno all’altro, la cui distinzione è stata sottolineata dall’onorevole Noce. La previdenza deriva dal lavoro effettuato; l’assistenza è una forma generica di intervento della collettività. La prima è volontaria (anche quando la legge la impone), perché vi è il concorso economico diretto del lavoratore; la seconda non è volontaria, ma dipende dalla iniziativa della collettività.

Rileva che la parola «assistenza», di cui al secondo comma, va intesa nel senso di previdenza; ma osserva che sarebbe stato improprio usare questa parola, perché si tratta di assistenza che deriva dal lavoro, dal fatto cioè, che quel determinato individuo ha svolto un’attività lavorativa che in un determinato momento non può più esplicare a causa di malattia, di infortunio, di perdita della capacità lavorativa o di disoccupazione involontaria.

Il terzo comma invece riguarda l’assistenza in genere, e in questo caso la parola «assistenza» significa mezzo per vivere ed è quella che la collettività compie nei confronti di quel notevole numero di persone che sono impossibilitate a vivere col reddito del proprio lavoro, perché non hanno la possibilità di lavorare in quanto costituzionalmente inadatte al lavoro.

È una materia destinata a svilupparsi ampiamente e a diffondersi col progredire della civiltà; perciò egli si è limitato ad affermare questo diritto generale che ritiene ben definito.

L’onorevole Noce ha parlato delle donne casalinghe; osserva che questa categoria è compresa in tutti e due i casi, perché, se si tratta di lavoratrici, beneficeranno dell’assistenza in caso di malattie, infortuni ecc., a norma del secondo comma; se invece sono buone madri di famiglia e non impiegate, rientrano in quanto è stabilito nel terzo comma. Non vede quindi la necessità di stabilire una voce particolare.

NOCE TERESA precisa di non desiderare una formulazione particolare, ma una formulazione dalla quale risulti chiaramente che la seconda parte non dipende dalla prima, così come sembrerebbe.

TOGNI, Relatore, risponde che i due concetti sono nettamente diversi e chiaramente risultano dalla formulazione.

L’onorevole Giua si è preoccupato dell’obbligo fatto allo Stato di assicurare al cittadino anche la tranquillità domestica, familiare. Naturalmente la dizione proposta si riferisce alla tranquillità economica della famiglia.

Il campo dell’assistenza e della previdenza ha una sua particolare influenza non meno nobile, anche nelle relazioni sociali. Infatti questa assistenza e questa previdenza si prefiggono di sottrarre le masse a quella miseria che può essere cattiva consigliera e spingerle a turbare la pubblica tranquillità; si prefiggono di assicurare il diritto ad una certa tranquillità in seno alla famiglia, onde permettere a tutti una elevazione personale e culturale.

È del parere che il primo comma dell’articolo non debba essere soppresso; se la Commissione lo ritenesse opportuno, si potrebbe eventualmente modificare.

Quanto alla proposta di abolire o di coordinare la formulazione con altri articoli di altre relazioni, è d’accordo nel senso di coordinare e non di abolire, poiché tutte le Costituzioni danno un rilievo particolare a questa nota di umanità e di socialità. Riconosce la necessità del coordinamento per evitare ripetizioni, ma intanto si potrebbe passare alla votazione, subordinando il particolare riferimento ai singoli articoli a quella che deve essere l’affermazione di principio e di ordine generale.

L’onorevole Merlin si è preoccupata della formulazione dell’articolo. Se si vuole affrontare il problema dell’assistenza insieme con quello della previdenza nel suo complesso, va tenuta presente la necessità pratica di precisare il meno possibile, in quanto si tratta di materia alla quale devono provvedere leggi speciali, accordi diretti e norme varie che possono essere concordate volta per volta.

Concludendo, per quanto riguarda il primo comma, sarebbe d’avviso di lasciarlo com’è, modificando tutt’al più le parole «la tranquillità o possibilità economica familiare per consentire un’elevazione spirituale», o qualche cosa di simile. Quanto alla proposta di soppressione dell’ultima parte dell’articolo, pur non opponendosi, fa considerare che vi è un’affermazione che deve essere presa in considerazione, se non in questa, in altra sede, in quanto esiste un obbligo da parte dello Stato di assicurare la residua capacità lavorativa a favore degli invalidi ed a favore di coloro i quali, pur non potendo al cento per cento svolgere un lavoro, hanno comunque una possibilità lavorativa.

MARINARO, ritenendo che tale materia riguardi di più la sanità pubblica, propone che si proceda alla votazione dell’articolo del Relatore con la soppressione, da lui già proposta, del primo e dell’ultimo comma.

PRESIDENTE ritiene conveniente accogliere la proposta dell’onorevole Marinaro di porre in votazione il secondo e il terzo comma, essendo con lui pienamente d’accordo nel ritenere superfluo anche il quarto comma, in quanto i due commi centrali mettono a fuoco i due problemi fondamentali dell’assistenza e della previdenza.

TOGNI, Relatore, accetta la proposta dell’onorevole Marinaro; propone però le seguenti modifiche: al primo comma dire «dal diritto al lavoro» invece che «dal lavoro» e «a mezzi adeguati per vivere» al posto delle parole «assistenza materiale».

MARINARO ritiene che al 2° comma la frase «situazione economica» possa ingenerare confusione, non potendosi trattare della situazione economica personale del lavoratore.

TAVIANI chiarisce che deve essere intesa come «congiuntura». Propone, anzi, di sostituire tale parola a «situazione economica».

Aggiunge che la votazione dei due commi lascia insoluto il problema della tutela del lavoro, problema che per altro è già contenuto nelle conclusioni formulate dall’onorevole Colitto ed approvate dalla Sottocommissione.

NOCE TERESA propone di aggiungere che il lavoratore ha diritto all’assicurazione dei mezzi materiali per vivere e per far rientrare in questa enunciazione il concetto della previdenza, suggerisce la formula: «conseguire il diritto all’assicurazione di mezzi adeguati all’assistenza».

TOGNI, Relatore, osserva che l’onorevole Noce è mossa giustamente dalla preoccupazione di assicurare l’assistenza alle donne casalinghe e dichiara di non aver nulla in contrario a modificare il suo enunciato; ma ritiene che in tal modo si perderebbe di vista il concetto della previdenza, perché la disoccupazione involontaria che consegue dal diritto al lavoro non rientra nel campo della previdenza, o almeno non vi rientra sempre. La disoccupazione può essere considerata dal punto di vista della previdenza, quando si tratta di una parentesi dell’attività lavorativa; può essere invece considerata dal punto di vista assistenziale, quando è conseguenza del diritto al lavoro e quindi della mancata capacità, da parte dello Stato, di procurare il lavoro stesso. Ritiene che debba darsi maggior rilievo al caso dell’assistenza, piuttosto che a quello della previdenza, e concorda che per la previdenza si dica: «con mezzi adeguati per vivere». Nel caso dell’assistenza lascerebbe invece la dizione «mezzi adeguati di assistenza».

NOCE TERESA vorrebbe che fosse fatta una differenza nel modo e non nei mezzi, perché non si tratta di assistenza sotto forma di carità pubblica, sia pure sociale, ma di qualche cosa che sorge da un diritto.

TAVIANI afferma che il bambino ha diritto a vivere né più né meno che il lavoratore. Pertanto il diritto è uguale per tutti.

FANFANI fa notare che, pur essendo lo Stato tenuto a combattere la disoccupazione, questa può assumere uno sviluppo imprevedibile e determinare una situazione generale, alla quale non è possibile rimediare.

PRESIDENTE chiarisce che il concetto di disoccupazione involontaria contempla tanto i casi dipendenti dal singolo come quelli dipendenti da una situazione generale. Pertanto non ritiene necessaria una specificazione.

TOGNI, Relatore, per togliere l’equivoco propone di dire che ogni cittadino, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale o per calamità generali, che possono essere di ordine economico (perché in definitiva nel caso della crisi economica si rientra nel primo comma), ha diritto all’assistenza.

MARINARO ritiene preferibile la parola «contingenza» in luogo di «calamità», in quanto è logico che in caso di calamità lo Stato intervenga. Direbbe «contingenze di carattere generale».

TOGNI, Relatore, pensa che l’espressione «ogni cittadino che si trova nell’impossibilità di lavorare» sia giusta nei confronti del caso precedente, ma incompleta. D’altra parte, col termine «adeguati mezzi» si intende che questi debbono essere sufficienti a quelle che sono le necessità fisiche.

MERLIN ANGELINA propone di seguire l’esempio della Carta costituzionale francese, che parla di «mezzi convenienti di assistenza», dicendo pertanto: «mediante opere di assistenza o di previdenza».

MARINARO propone la dizione: «a titolo di ottenere dallo Stato mezzi adeguati di assistenza».

TOGNI, Relatore, vorrebbe tenere distinti i concetti. Assicurare i mezzi adeguati per vivere significa, ad esempio, assicurare un’indennità pecuniaria speciale; quando invece si parla di mezzi adeguati di assistenza si intende che venga data al lavoratore un’assistenza adeguata, tenendo conto delle possibilità dello Stato o della collettività.

MARINARO propone di sostituire alla parola, «collettività» la parola «Stato».

FANFANI osserva che quando si parla di Stato ci si può riferire a quelle assicurazioni centralizzate le quali badano soltanto a costruire dei bei palazzi, ma che non fanno certo l’interesse dei lavoratori. Un sindacato od una fabbrica potrebbero realizzare nel loro interno una forma di assicurazione assai più efficiente dell’odierna assicurazione burocratizzata.

La previdenza, poi, si risolve in un intervento economico, generalmente saltuario. Infatti, salvo che per la vecchiaia, in cui è continuo fino alla morte, negli altri casi l’intervento per malattia, per infortunio, per perdita parziale della capacità lavorativa è temporaneo. Nel caso degli inabili, di coloro che non hanno mai potuto lavorare, l’assistenza si risolve in un complesso di azioni che vanno oltre il fatto economico.

Ci sono istituti di cura, ospedali, orfanotrofi, tutto un complesso che costituisce la grande attività assistenziale dello Stato. È un’attività di protezione fisica ed economica nei confronti dei cittadini minorati; e pertanto, quando si parla dei mezzi adeguati di assistenza, si ha già un concetto preciso e si completa l’idea di possibilità di vita, non solo materiale, ma anche intellettuale.

TOGNI, Relatore, rinuncia, benché a malincuore, al primo comma, ma si riserva di parlare in proposito in altra sede. Circa il secondo comma propone di modificarne la prima parte nel modo seguente: «Dal lavoro consegue il diritto a mezzi adeguati per vivere in caso di malattia, infortunio, ecc.».

Il terzo comma dovrebbe suonare così: «Ogni cittadino che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale, o per contingenze di carattere generale si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza».

Per quanto riguarda il quarto comma, pur dichiarando di aderire alla proposta fatta di sopprimerlo, si riserva di riprenderne la discussione in altra sede.

PRESIDENTE pone ai voti il secondo e il terzo comma dell’articolo proposto dal Relatore che viene così a costituire un articolo così formulato:

Art. …

«Dal lavoro consegue il diritto a mezzi adeguati per vivere in caso di malattia, di infortunio, di perdita della capacità lavorativa, di disoccupazione involontaria».

«Ogni cittadino che, a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale, o per contingenze di carattere generale, si trovi nell’impossibilità di lavorare, ha diritto di ottenere dalla collettività mezzi adeguati di assistenza».

FANFANI propone il seguente articolo aggiuntivo:

«Ogni lavoratore ha diritto ad un reddito proporzionato alla quantità e alla qualità della prestazione e alle sue necessità personali e familiari.

«La Repubblica predisporrà il godimento di questo diritto con norme sulle retribuzioni vitali previdenziali e familiari».

Desidera sia messo a verbale che approva l’articolo proposto dal Relatore, soltanto se preceduto da una formula di questo genere.

TAVIANI si associa. Ritiene indispensabile un articolo del tenore di quello proposto dal collega Fanfani, salvo a mettersi d’accordo sulla forma.

MERLIN ANGELINA ritiene che non sia materia da inserire nella Costituzione quella che forma oggetto del capoverso dell’articolo proposto.

FANFANI dichiara di non avere difficoltà a rinunciarvi. Lo riteneva necessario per il fatto che finora si è seguito il criterio, più o meno discutibile, di fare un’enunciazione di principio ed un invito all’attuazione.

PRESIDENTE rinvia la discussione al giorno successivo.

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Fanfani, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Noce Teresa, Taviani, Togni.

È intervenuto autorizzato: Canevari.

Assenti giustificati: Colitto, Di Vittorio, Dominedò, Federici Maria, Lombardo Ivan Matteo, Paratore, Pesenti, Rapelli, Simonini.

MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

3.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

 

INDICE

Dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro (Seguito della discussione)

Presidente – Colitto, RelatoreCanevari – Togni – Taviani – Di Vittorio – Fanfani – Giua – Marinaro – Molè – Paratore – Merlin Angelina.

La seduta comincia alle 16.15.

Seguito della discussione sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.

PRESIDENTE avverte che si riprende la discussione sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.

COLITTO, Relatore, rileva che altro è il diritto che ogni cittadino ha di lavorare senza che gli si frappongano limitazioni o riducendosi queste all’indispensabile, altro è il diritto del cittadino al lavoro. Nel primo caso il lavoro è già trovato dai cittadini e solo si discute delle condizioni della sua esplicazione, mentre nel secondo il cittadino va alla ricerca di un lavoro che non trova e che, pur ammettendosi il suo diritto, dovrebbe trovare. Ora, poiché è assurdo parlare in una Costituzione, che è un documento soprattutto di carattere giuridico, del diritto del cittadino, senza che si possa insieme parlare di un corrispondente dovere dello Stato a garantirne la soddisfazione, pensa che le formule, proposte non siano da approvarsi, in entrambe proclamandosi il diritto al lavoro del cittadino senza che insieme si proclami il corrispondente dovere dello Stato di assicurarlo. Costituisce per lui una vera irrisione all’enorme massa dei disoccupati che non diminuisce, ma purtroppo aumenta, di inserire nella Carta costituzionale che lo Stato ha il dovere di trovare lavoro ai disoccupati quando è certo che, per tradurre tale dovere in pratica, sono necessari provvidenze e istituzioni estremamente complesse e soprattutto possibilità finanziarie che non l’Italia soltanto, ma la più parte degli Stati, è ben lungi dal possedere.

CANEVARI si dichiara, in linea di massima, d’accordo con la formula proposta ieri del Presidente, che preciserebbe nel seguente modo:

«Il lavoro è un dovere e un diritto da parte di ogni cittadino, conforme alla propria scelta e alla propria idoneità».

Aggiungerebbe poi:

«È compito dello Stato, con le sue leggi, facilitare di collocamento del lavoro, disciplinarne le forme, i limiti e le condizioni affinché esso sia realizzato nel modo più soddisfacente e più vantaggioso per il singolo e per la collettività».

TOGNI adotterebbe una formula più semplice e chiara.

TAVIANI non accetta la tesi sostenuta dall’onorevole Colitto e si domanda perché se questi si preoccupa di non dichiarare il diritto al lavoro, in quanto ne deriverebbe un dovere per lo Stato di dare a tutti il lavoro, non si preoccupa viceversa di dichiarare il dovere al lavoro, per il quale, ragionando allo stesso modo, lo Stato potrebbe obbligare tutti a lavorare.

Rileva che un’affermazione di principio vincola la Stato a una determinata politica, ma non a rispondere caso per caso, sicché è necessario trovare una formula la quale parli appunto di questo indirizzo che deve avere lo Stato nella sua politica economica. A questo proposito si dichiara favorevole alla formula prospettata ieri dall’onorevole Noce o ad altre simili che dicessero che «primo fine della politica economica dello Stato deve essere il pieno impiego», cioè non «garantire a tutti il diritto al lavoro», ma piuttosto «creare condizioni tali perché possa esplicarsi il diritto al lavoro».

DI VITTORIO concorda con le affermazioni dell’onorevole Taviani, aggiungendo tuttavia che sarebbe preferibile precisare maggiormente l’enunciazione del diritto al lavoro. Una Costituzione non è una legge che serve a soddisfare soltanto esigenze immediate, ma segna invece una tappa che si proietta nell’avvenire e indica una prospettiva politica e storica.

Bisogna, pertanto, affermare il diritto al lavoro: ciò significa che lo Stato deve seguire un indirizzo politico-sociale tale da assicurarne l’esercizio, quando le condizioni economico-sociali lo consentiranno.

Si limiterebbe, quindi, a fare la seguente affermazione pura e semplice: «Lo Stato riconosce il diritto al lavoro per tutti i cittadini italiani». Si potrebbe poi aggiungere: «La legislazione deve tendere a realizzare condizioni tali da poter assicurare concretamente questo diritto».

FANFANI in base ai rilievi fatti ieri sera e a quelli fatti nella riunione odierna, pensa di poter proporre una nuova formula così concepita: «Ogni cittadino ha il dovere e il diritto di dedicare la sua opera manuale o intellettuale ad un’attività produttiva conforme alle sue attitudini e nei limiti delle sue possibilità. La Repubblica riconosce al cittadino il diritto ad una occupazione continua e proficua o almeno ad un’assistenza che la surroghi e con norme apposite ne predisporrà il godimento, incoraggiando e coordinando l’attività economica promossa dai privati, svolgendo una politica di pieno impiego, stipulando accordi internazionali per l’emigrazione e determinando le modalità dell’indennizzo ai disoccupati involontari».

DI VITTORIO dichiara di essere contrario a questa formula ritenendola eccessivamente lunga. Fa presente che la Commissione deve fissare i principî generali e non sostituirsi al legislatore.

TOGNI dopo aver constatato che si è di massima d’accordo che lo Stato deve riconoscere il linea di principio il diritto al lavoro, così come si è d’accordo nel riconoscere che per realizzare questo diritto lo Stato deve fare quanto è possibile, propone di aggiungere alla formula proposta dal Presidente: «Lo Stato, riconoscendo il diritto al lavoro da parte dei cittadini, interviene affinché l’ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne assicurino la possibile realizzazione».

GIUA adotterebbe la seguente enunciazione sintetica: «La Repubblica afferma il diritto al lavoro per ogni cittadino ed all’uopo ne assicura l’attuazione pratica».

MARINARO presenta il seguente ordine del giorno:

«La terza Sottocommissione, dopo l’ampia discussione svoltasi, ritiene che le disposizioni da includere nella Costituzione debbano conciliare le giuste esigenze delle classi lavoratrici con la situazione economica generale del Paese ed i compiti essenziali di uno Stato democratico.

«E pertanto, fondendo e precisando gli articoli formulati dai vari oratori, delibera di predisporre la seguente unica disposizione:

«Il lavoro è un diritto e nello stesso tempo un dovere di ogni cittadino, che li esercita in conformità della propria idoneità e della propria scelta.

«Lo Stato creerà, con tutti i mezzi a sua disposizione, le più vaste possibilità di lavoro e ne tutelerà i rapporti in modo da assicurare il maggior vantaggio ai singoli cittadini e alla collettività».

DI VITTORIO è contrario alla formula proposta che, nella sua genericità, non segnerebbe un progresso nel campo sociale.

Ribadisce il concetto che la Costituzione, prendendo la situazione attuale come punto di partenza, deve sforzarsi di indicare una prospettiva storica, e quindi deve tener aperta la via al progresso legislativo. Il valore dell’affermazione risiede nel fatto che lo Stato e la società nazionale italiana devono essere organizzati in modo tale da determinare concretamente le condizioni che assicurino il diritto al lavoro a tutti i cittadini.

In base a questo concetto cade la preoccupazione che lo Stato non possa, nel momento attuale, assicurare il lavoro a tutti i cittadini.

TOGNI è d’accordo con l’onorevole Di Vittorio che lo Stato debba proiettare la sua azione nel futuro; di fronte alle difficoltà pratiche che l’affermazione di un principio impegnativo determina, bisogna graduarne la realizzazione.

DI VITTORIO nota che la formulazione da lui proposta è moralmente impegnativa e demanda al potere legislativo il compito di realizzarne le condizioni.

TAVIANI vorrebbe tener distinti i due problemi. Circa l’enunciazione di carattere generale relativa al diritto, e al dovere del lavoro la Sottocommissione, tranne l’onorevole Colitto, è d’accordo. Si potrebbe, in proposito, adottare la formula proposta nella precedente riunione dal Presidente.

Quanto al secondo punto la dizione proposta dall’onorevole Fanfani è completa, ma forse troppo scientifica, mentre l’altra dell’onorevole Togni, con le parole: «ne assicurino la possibile realizzazione», viene, a suo parere, a limitare troppo il concetto del diritto al lavoro. Si potrebbe, in conclusione, dire: «Lo Stato provvede a porre le condizioni economiche e sociali per assicurare a tutti i cittadini il lavoro», aggiungendo, se del caso: «oppure, ove questo non sia possibile, una assistenza che lo surroghi».

FANFANI fa presente che nella formula da lui proposta ha riprodotto le esigenze manifestatesi nella discussione di ieri. È, peraltro, convinto che nelle Costituzioni non si fanno solo affermazioni di principî generici. Una Costituzione aderisce alla realtà in quanto scende a qualche individuazione di cose fattibili.

DI VITTORIO accetterebbe la formulazione dell’onorevole Fanfani in un progetto di legge, ma non nella Costituzione, per quanto ritenga anch’egli che la Costituzione non debba consistere in una serie di enunciazioni generiche.

TOGNI modificherebbe la sua proposta in questi termini: «Lo Stato, riconoscendo il diritto al lavoro da parte dei cittadini, provvede affinché l’ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne consentano la realizzazione».

Sarebbe contrario ad unire la questione previdenziale a quella del lavoro, trattandosi di affermazioni in campi diversi.

MOLÈ osserva che lo Stato non provvede, ma provvedono i governi. Richiama la Sottocommissione alle considerazioni svolte nella relazione Pesenti.

PARATORE rileva l’enorme importanza dell’argomento in discussione. Oggi lo Stato interviene in questo campo attraverso l’assistenza. Si tratta ora di trasformare l’intervento dello Stato da assistenziale in intervento attivo. Una volta messo avanti il principio di questo diritto, il problema consiste nel vedere se ci si debba limitare a questa affermazione o se si debba fare un passo più avanti.

Poiché ritiene che fare un passo più avanti sia pericoloso, propone la seguente formula:

«La Repubblica riconosce il diritto al lavoro di tutti i cittadini. La politica economica e finanziaria dello Stato tenderà a creare le condizioni che permettano d’assicurare tale diritto».

MERLIN ANGELINA propone la seguente dizione:

«Lo Stato riconosce il diritto ed il dovere dei cittadini al lavoro ed è tenuto a promuovere i piani economici che assicurino il minimo necessario alla vita e, se non è possibile, l’assistenza».

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Togni ha così modificato la formula proposta:

«Lo Stato riconosce il diritto al lavoro da parte dei cittadini ed interviene affinché l’ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne consentano la realizzazione».

TAVIANI assocerebbe il diritto al lavoro al dovere.

Propone, intanto, che si abbassi alla votazione delle proposte fatte.

CANEVARI è anch’egli d’avviso che si adotti una formula in cui si parli del dovere e del diritto al lavoro.

DI VITTORIO osserva che l’affermazione del lavoro quale dovere sociale ha un valore esclusivamente etico, mentre l’affermazione del diritto al lavoro rappresenta una conquista delle masse lavoratrici ed un progresso della legislazione. Se si vuole porre l’accento su questa ultima affermazione bisogna precisare che la Repubblica riconosce il diritto al lavoro a tutti i cittadini italiani. Se poi vi fossero degli scrupoli sulla applicabilità di tale norma, si potrà aggiungere che la legislazione tenderà a creare condizioni economiche e sociali tali che permettano di assicurare questo diritto.

A suo parere, bisognerebbe limitarsi alla prima affermazione.

MOLÈ si associa osservando che sarebbe scorretto, dal punto di vista giuridico, anticipare in un testo costituzionale la materia propria della legislazione e tanto meno di parlare di politica economica e finanziaria.

DI VITTORIO rileva tuttavia che molte Costituzioni moderne si soffermano su tali particolarità.

MOLÈ nota che si tratta evidentemente delle Costituzioni di quei paesi in cui già esiste un’economia statizzata.

COLITTO insiste perché si accetti la formulazione da lui già proposta e cioè: «Ogni cittadino ha il dovere di dedicare la sua opera, manuale o intellettuale, ad una attività produttiva da lui liberamente scelta conforme alle sue attitudini e nei limiti delle sue possibilità».

TAVIANI propone la seguente formula: «Ogni cittadino ha il diritto e il dovere di lavorare conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta».

PRESIDENTE ritiene che quest’ultima formulazione dell’onorevole Taviani possa raccogliere l’unanimità dei consensi.

Si potrebbe porre ai voti, salvo poi ad integrarla con una delle enunciazioni proposte.

COLITTO ritiene che si debba tener presente tutto l’articolo, per fissare una buona coordinazione fra le diverse parti.

PRESIDENTE osserva che vi è un nesso logico fra le varie parti dell’articolo: si vota cioè una prima affermazione sul riconoscimento del diritto e del dovere di lavorare; seguirà una seconda affermazione sul riconoscimento del diritto al lavoro; sarà in seguito posta ai voti una terza parte, sulla quale vi sono già quattro formulazioni, che saranno lette a suo tempo.

Pone ai voti la formula proposta dall’onorevole Taviani: «Ogni cittadino ha il dovere e il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

(È approvata all’unanimità).

Pone ora ai voti la seconda parte dell’articolo:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro».

MARINARO ritiene superflua questa enunciazione.

TAVIANI non è dello stesso avviso, in quanto una cosa è il diritto di lavorare e altra cosa è il diritto al lavoro.

COLITTO dichiara di votare, nonostante quanto ha detto, favorevolmente, perché, in sostanza, il concetto espresso in modo generico nella parte messa in votazione (si afferma un diritto naturale), è precisato sotto forma di tendenza nella parte che si dovrà votare in una delle formulazioni che saranno lette.

MARINARO dichiara di votare favorevolmente, pur ritenendo tuttavia superflua una tale affermazione.

(La formula è approvata all’unanimità).

Per la terza parte sono stati presentati diversi testi di cui dà successivamente lettura.

Marinaro: «Lo Stato creerà, con tutti i mezzi a sua disposizione, le più vaste possibilità di lavoro e ne tutelerà i rapporti in modo da assicurare il maggior vantaggio ai singoli cittadini ed alla collettività».

Togni: « …e provvede affinché l’ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne consentano la realizzazione».

Paratore: «La politica economica e finanziaria dello Stato tenderà a creare le condizioni che permettano di assicurare tale di diritto».

Merlin: « …ed è tenuta a promuovere l’attuazione di piani economici e finanziari che ne consentano l’esercizio».

TAVIANI invita l’onorevole Paratore a sostituire all’espressione «politica economica e finanziaria» la parola «Stato».

PARATORE si tratta di un concetto del tutto differente.

FANFANI propone che alla formula già approvata: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro» siano, aggiunte le parole: «e predispone tutti i mezzi necessari al suo godimento».

GIUA chiede che sia posta in votazione la formula proposta dall’onorevole Fanfani, in quanto più semplice e ampia.

TAVIANI chiede che in luogo di dire: «tutti i mezzi necessari» si dica: «i mezzi necessari».

FANFANI accetta l’emendamento proposto dall’onorevole Taviani.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Fanfani di aggiungere alla formula già approvata: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro» le parole: «e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

PARATORE dichiara di votare contro la formula Fanfani perché ritiene, in base a personale esperienza, che sia equivoca e soverchiamente impegnativa.

COLITTO dichiara di astenersi per le stesse ragioni dette dall’onorevole Paratore. Egli avrebbe preferito l’ordine del giorno Marinaro.

MOLÈ dichiara di astenersi perché desidera una formulazione generica, senza determinazioni, in maniera che sia lasciata la più ampia facoltà di emanare provvedimenti legislativi ai governi repubblicani legittimi che si succederanno.

Votano : Di Vittorio, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Vota no: Paratore.

Si astengono: Colitto, Molè.

(La formula è approvata).

PRESIDENTE. L’articolo approvato risulta così formulato:

«Ogni cittadino ha il dovere e il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta.

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

La seduta termina alle 18.20.

Erano presenti: Colitto, Di Vittorio, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Noce Teresa, Paratore, Rapelli, Taviani, Togni.

È intervenuto autorizzato: Canevari.

Assenti giustificati: Dominedò, Lombardo, Pesenti, Simonini.

LUNEDÌ 9 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

2.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 9 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

 

INDICE

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente – Taviani – Colitto, Relatore – Molè – Noce Teresa – Di Vittorio – Giua.

Dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro (Discussione)

Presidente – Colitto, Relatore – Molè – Taviani – Canevari – Di Vittorio – Togni – Noce Teresa – Fanfani – Giua.

La seduta comincia alle 17.30.

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE comunica che nel corso dell’ultima settimana, i relatori designati dalla Sottocommissione hanno tenuto varie riunioni allo scopo di coordinare le loro proposte e di accertare i punti di convergenza e di divergenza. Quasi tutte le relazioni sono state stampate. Allo stato attuale, il tema sul quale tutte le relazioni sono state già presentate è quello delle garanzie economico-sociali per l’assistenza della famiglia (relatrice Merlin Angelina, correlatrici Noce Teresa e Federici Maria).

Ricorda, peraltro, che alcuni dei temi che la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria attribuì all’esame della terza Sottocommissione furono successivamente avocati a sé anche dalla prima Sottocommissione, la quale ritenne di non poter trattare i problemi delle libertà del cittadino prescindendo da quelle che sono le libertà economiche. Fra i temi assegnati dalla prima Sottocommissione ai propri relatori figurano, pertanto, il diritto di lavorare scegliendo il proprio lavoro, il dovere del lavoro, il diritto di organizzare i mezzi per controllare le condizioni del lavoro, il diritto di associarsi per la tutela degli interessi di categoria, il diritto di sciopero economico, il diritto all’equa remunerazione del lavoro, ad un orario umano, al riposo settimanale e annuale retribuito, il diritto al risparmio e alla proprietà privata, le condizioni per procedere a collettivizzazione: tutti temi che rientrano invece nella specifica competenza della terza Sottocommissione.

Ammette l’opportunità di contatti con la prima Sottocommissione e di eventuali accordi, ma non ritiene che l’interferenza nei temi assegnati alla terza Sottocommissione debba rappresentare un ostacolo ad una discussione anche indipendente, salvo il coordinamento definitivo in sede di seduta plenaria della Commissione.

TAVIANI si dichiara d’accordo e desidera che resti a verbale una protesta per questa invasione della prima Sottocommissione nella materia di studio attribuita alla terza. Ciò ha complicato l’ordine dei lavori. Nella ripartizione della materia i diritti economici e sociali furono espressamente esclusi dalla prima Sottocommissione.

COLITTO, Relatore, manifesta la sua sorpresa nel constatare che la materia del lavoro come diritto-dovere, per la quale fu nominato relatore dalla terza Sottocommissione, è stata trattata anche dall’onorevole Lucifero, della prima Sottocommissione, in una relazione nella quale, in taluni punti, si giunge a conclusioni diverse dalle sue. Di tale altra relazione, comunque, egli terrà conto nei suoi rilievi.

MOLÈ comprende bene che lo stesso lavoro compiuto da due diverse Sottocommissioni dia luogo a doppioni e a contrasti, ma pensa che tali inconvenienti derivino dal modo con cui si procedette alla suddivisione dei temi. Data la materia relativa ai diritti e ai doveri del cittadino assegnata alla prima Sottocommissione, questa ha ritenuto di non poter ignorare i diritti e i doveri nel campo economico e in quello sociale: diritti e doveri indubbiamente preminenti in uno Stato moderno, ove non pare possibile considerare il cittadino prescindendo dai rapporti economici, di lavoro, sociali con la collettività. Sarebbe stato, a suo parere, opportuno prestabilire un’intesa delle due Sottocommissioni su questi particolari temi.

Allo stato attuale converrebbe che i relatori delle due Sottocommissioni esaminassero insieme i temi svolti, in modo da evitare conflitti di competenza.

PRESIDENTE nota che sarebbe, a suo avviso, preferibile che la terza Sottocommissione arrivasse a delle conclusioni in tutti i temi svolti, salvo poi a prendere accordi con la prima Sottocommissione.

NOCE TERESA pensa che sul problema della famiglia potrebbero intanto riunirsi le tre relatrici della terza Sottocommissione con gli onorevoli Corsanego e Iotti Leonilde, relatori della prima.

DI VITTORIO di fronte all’inconveniente che alcuni problemi sono stati trattati dalla prima e dalla terza Sottocommissione, crede che la soluzione più pratica sia quella prospettata dall’onorevole Molè, cioè che si riuniscano i relatori delle due Sottocommissioni.

GIUA ritiene che, ad evitare perdite di tempo, sia opportuno portare il risultato dei lavori delle singole Sottocommissioni dinanzi alla Commissione plenaria per il necessario coordinamento.

TAVIANI è d’accordo col Presidente, nel senso che la terza Sottocommissione prosegua i suoi lavori e prenda le sue decisioni, indipendentemente da interferenze che possano sorgere con la prima Sottocommissione.

(La Sottocommissione concorda).

PRESIDENTE propone che l’ordine degli argomenti da esaminare sia quello stabilito a conclusione della prima seduta della Commissione.

(Così rimane stabilito).

Discussione sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.

PRESIDENTE dà atto che, ai temi trattati, è da aggiungersi la cooperazione, che rientra negli aspetti economico-sociali del diritto di associazione e sul quale è relatore l’onorevole Canevari.

Invita l’onorevole Colitto a riferire sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.

COLITTO, Relatore, a conclusione degli argomenti svolti nella relazione scritta, propone che nella Costituzione siano inseriti tre articoli, dei quali l’uno consacrerebbe l’affermazione che deriva dalla vita economica sociale moderna: il dovere del lavoro, il secondo il suo pensiero in ordine al diritto al lavoro, mentre il terzo si occuperebbe delle garanzie, che lo Stato deve predisporre per la tutela del lavoro.

Il lavoro – come si afferma nella relazione – è un dovere anzitutto individuale, in quanto, considerato l’individuo nella propria autonomia di fronte alla natura e agli altri uomini, costituisce il solo vero mezzo per assicurare il benessere del singolo e la continuità della specie. È uno di quei fondamentali doveri, di cui è intessuta la nostra essenza spirituale e da cui è diretta la nostra vita quotidiana. Esso non vuole essere considerato come uno sforzo od una somma di sforzi isolati, frammentari, episodici, diretti alla soddisfazione di un bisogno immediato, ma come un’attività complessa, sempre rinnovantesi, in potenza ed in atto, tendente a realizzare il dominio della personalità umana su tutte le vicissitudini e in tutte le contingenze. Tale attività, quindi, non si estingue con l’agiatezza raggiunta, ma permane come una necessità dello spirito, una missione inseparabile dalla natura umana, una nobile passione, che non dà tregua e riposo, che piega ad ogni sacrifizio e ad ogni rinunzia.

Il lavoro è anche un dovere sociale, cioè un dovere verso la collettività, essendo il modo con cui l’individuo, nella solidarietà necessaria in tutti i produttori, partecipa o contribuisce alla vita sociale, lo strumento, mediante il quale può realizzarsi il bene comune ed il comune progresso. Il lavoro, in tutte le sue forme e manifestazioni, non è dal singolo, preoccupato del suo egoistico interesse, esplicato solo per sé o per la famiglia o per l’imprenditore, ma per tutta una determinata categoria di persone, perché la Nazione, per essere attiva e potente, ha bisogno che ciascuno lavori.

Nel primo articolo, quindi, egli propone che si dica: «Ogni cittadino ha il dovere di dedicare la sua opera, manuale o intellettuale, ad una attività produttiva, da lui liberamente scelta, conforme alle sue attitudini, nei limiti delle sue possibilità e sotto l’osservanza della legge».

Può sorgere, a proposito di questo articolo, la questione se il dovere del lavoro sia da ritenersi dovere morale od anche un dovere giuridico. È un dovere morale, per cui potrebbe anche di esso non parlarsi in una Costituzione, la quale è un documento essenzialmente giuridico. È opportuno, però, parlarne, perché tutte le Costituzioni, moderne e contemporanee parlano di questo dovere del lavoro, anche ritenendolo soltanto un dovere etico. Pensa che non si possa parlare di dovere giuridico del lavoro. Chi volesse andare più in là dovrebbe attribuire alla società il potere di costringere al lavoro (servizio obbligatorio del lavoro?) e questa è una proposizione che nessuno vorrebbe sostenere, perché significherebbe l’annullamento della libertà umana.

Il secondo articolo si occupa del diritto al lavoro. Al dovere del singolo di lavorare – si dice nella relazione – fa riscontro il dovere della società di garantire al singolo la reale possibilità di svolgere un’attività manuale o intellettuale, in conformità delle proprie attitudini ed in armonia col supremo interesse sociale. Ogni cittadino sano, il quale cerchi lavoro, deve poterlo trovare, per la estrinsecazione della sua personalità, per il suo miglioramento, per il suo maggiore benessere spirituale e materiale.

A fianco del lavoro-dovere si pone così un diritto al lavoro. Esso trova radice in un canone fondamentale di etica sociale, che ad ogni cittadino sia garantito un minimo di esistenza sufficiente e degna, un diritto ad essere liberato dal bisogno, un diritto a conseguire, secondo l’espressione del Leclercq, «dignità ed indipendenza». Assicurare ad ogni cittadino la libertà dal bisogno è una tappa, assicurargli il pieno sfruttamento della propria capacità di lavoro è la meta. Sotto tale aspetto, il diritto individuale al lavoro trova la sua equivalenza nell’interesse collettivo che le esigenze produttive siano soddisfatte dal più gran numero di consociati, sia per l’incremento della produzione, sia per evidenti ragioni di pace sociale.

Nella Costituzione, che è un documento giuridico, ma che deve tendere a fini di ordine pratico, si può, peraltro, inserire un canone il quale, esplicitamente, in modo tassativo dica: «Lo Stato riconosce al cittadino il diritto al lavoro»? Egli ritiene di no, perché potrà anche affermarsi che ogni cittadino ha diritto al lavoro; ma a che giova tale affermazione, che vuol dire impegno da parte dello Stato di effettuare un integrale impiego della mano d’opera, se lo Stato ciò non può poi effettuare? L’affermazione va, quindi, fatta non in modo tassativo, ma piuttosto in guisa da esprimere una tendenza.

Pertanto, propone che il secondo articolo sia così formulato:

«Lo Stato ha tra i suoi fini essenziali che all’attività produttiva concorra il maggior numero possibile di cittadini e si riserva di intervenire, stimolando ed eventualmente integrando l’offerta individuale di lavoro».

Nel terzo articolo si è occupato della garanzia che lo Stato deve dare al lavoro in genere ed ai rapporti di lavoro in ispecie. L’articolo è formulato così: «Lo Stato assume e garantisce la tutela dei rapporti di lavoro e con le sue leggi disciplina le forme, i limiti e le condizioni della prestazione di lavoro, affinché essa sia realizzata nel modo più soddisfacente e più vantaggioso per il singolo e per la collettività».

Nella relazione ha sottolineato che, in sede di coordinazione di questi articoli con quelli che saranno formulati dai colleghi, che si occuperanno del problema sindacale, forse non sarà inopportuno proclamare che più che dello Stato è delle categorie il diritto di regolare le forme, i limiti e le condizioni delle prestazioni di lavoro, in modo che la tutela dello Stato appaia, come deve essere, sussidiaria e integrativa dell’opera delle associazioni professionali e non primaria e soffocante, anche se esplicata a fin di bene.

MOLÈ quanto all’articolo 1°, condivide il concetto del relatore, ma adotterebbe la seguente formulazione più semplice: «Il lavoro manuale o intellettuale costituisce un dovere per ogni cittadino».

PRESIDENTE propone il seguente articolo in sostituzione dei primi due formulati dal relatore:

«Il lavoro, conforme alla propria scelta ed alla propria idoneità, è un diritto e un dovere di ogni cittadino capace».

COLITTO, Relatore, osserva che se il lavoro è conforme alla propria scelta, si può anche prescindere dall’idoneità.

TAVIANI manterrebbe i due criteri di scelta e di idoneità, che, a suo parere, non sono necessariamente in contrasto.

Dichiara di essere favorevole alla affermazione del diritto al lavoro e osserva che, come il relatore onorevole Colitto ammette il dovere di lavorare in senso etico, dovrebbe ammettere nello stesso senso il diritto al lavoro. In sostanza, il fine cui deve tendere lo Stato è quello del pieno impiego, cioè del lavoro per tutti. Si intende che con ciò non si riconosce da parte del cittadino un’azione per costringere lo Stato a dargli lavoro, qualora ne sia privo.

COLITTO, Relatore, non crede che si possa affermare in un documento di carattere giuridico un diritto al lavoro, dal momento che lo Stato non si trova in condizioni da garantirne l’esercizio. Una simile affermazione, di fronte a milioni di disoccupati, appare come una irrisione. Per questo motivo ha proposto la formula: lo Stato ha «tra i suoi fini essenziali» quello di dar lavoro al maggior numero possibile di cittadini.

CANEVARI rileva che l’argomento è di un’importanza enorme. La Sottocommissione è nel complesso d’accordo nel riconoscere il diritto al lavoro dei cittadino. Si prospetta da parte dell’onorevole Colitto una questione di possibilità. È però da osservare che lo Stato ha delle possibilità che fino ad oggi non ha ancora attuato, quali, ad esempio, lo sviluppo delle industrie, dell’agricoltura, l’adozione di turni di lavoro per occupare il maggior numero di cittadini. Approverebbe, pertanto, l’articolo proposto dal Presidente, passando poi al terzo articolo relativo alla tutela dei rapporti di lavoro.

COLITTO, Relatore, pur dichiarando di essere, in via di massima, d’accordo quanto al principio del diritto al lavoro, teme che la sua consacrazione nella Costituzione possa dar luogo a rilievi di carattere giuridico.

DI VITTORIO osserva che la Costituzione segna una tappa storica nella vita di un popolo, pur ispirandosi alla realtà, deve proiettarsi nell’avvenire come un progresso. Pensa che la Costituzione fallirebbe ad uno dei suoi compiti fondamentali, se non affermasse con molta chiarezza il diritto al lavoro dei cittadini. Ciò non vuol dire che domani, ad esempio, un disoccupato possa convenire in giudizio lo Stato. Affermare il diritto al lavoro deve significare un impegno che la società nazionale, rappresentata dallo Stato, assume di creare condizioni di vita sociale tali che il cittadino possa avere lavoro. Non bisogna, pertanto, considerare l’affermazione di questo diritto dal punto di vista delle possibilità pratiche di questo momento, ma come un orientamento generale che la Costituzione dà al Paese.

Del resto, il problema dei disoccupati esiste attualmente; eppure la Confederazione generale del lavoro non chiede allo Stato sussidi, ma chiede che si creino condizioni tali da dare lavoro ai disoccupali. Come dar lavoro? Ecco un esempio concreto: lo Stato non ha denari in cassa, quindi non può occupare questo gran numero di disoccupati. Ma siccome è un dovere della società nazionale di dare lavoro a tutti i suoi figli, lo Stato deve trarre dalle classi abbienti tutte le possibilità, perché i disoccupati siano posti in condizioni di lavorare con beneficio della vita e del progresso della stessa società nazionale.

È, in conclusione, del parere che sia affermato il principio del diritto al lavoro come impegno che la società nazionale assume di fare tutta quello che è possibile per assicurare il lavoro a ciascun cittadino.

TAVIANI ribadisce che è necessario sancire il diritto al lavoro come formula etica, perché non si può pensare che ci sia un dovere a cui corrisponde un diritto e viceversa. Si può essere d’accordo nel dire che questo diritto non ha un valore di impegno giuridico.

TOGNI concorda con l’opinione dell’onorevole Di Vittorio, la quale rappresenta una interpretazione intermedia, con un significato più rispondente alla realtà. Occorre preoccuparsi di non concretare formule che non si possano tradurre nella realtà.

È convinto che occorra affermare il principio etico del diritto al lavoro: diritto sociale nella sua espressione, economico nella sua realizzazione. Questa affermazione ha una importanza che dovrebbe riflettersi al di là delle nostre frontiere ed essere uno degli elementi determinanti della economia internazionale di domani.

Ammesso il principio che lo Stato debba fare quanto è possibile per assicurare il diritto al lavoro, occorre tuttavia formularlo in modo che non sorgano interpretazioni precipitose o esagerate, che facciano pensare ad un impegno giuridico preciso da parte dello Stato di garantire a tutti il lavoro.

NOCE TERESA, riallacciandosi a quanto ha detto l’onorevole Taviani, e cioè che, consacrato nella carta costituzionale il diritto al lavoro, il garantirlo deve essere uno dei fini essenziali del nuovo Stato della Repubblica italiana, propone di far seguire al testo proposto dal Presidente la seguente enunciazione: «Lo Stato ha tra i suoi fini essenziali la garanzia del diritto ai lavoro per tutti i cittadini». Con le parole «fini essenziali» deve intendersi un riferimento non ai fini concreti di oggi, ma a quelli dell’avvenire.

TAVIANI pensa che potrebbe parlarsi di «compiti essenziali».

PRESIDENTE preferisce la parola «fini», che indica uno scopo che si proietta nel futuro.

TAVIANI concorda sulla opportunità che non ci si debba limitare alla formulazione generica del primo articolo, ma che si debba precisare questa tendenza dello Stato verso la realizzazione concreta del principio affermato. Sotto questo punto di vista la formula proposta dall’onorevole Noce è abbastanza ampia. Se si ammette un ordine nella economia, si deve anche ammettere che questo ordine abbia come fine la garanzia del diritto al lavoro.

COLITTO, Relatore, come ha specificato nella sua relazione, ritiene opportuno consacrare nella Costituzione il diritto al lavoro, ma, a suo avviso, occorre guardarsi dall’adoperare una formula tassativa, la quale potrebbe avere, soprattutto in questo momento, ma anche nell’avvenire, il sapore di una dolorosa ironia.

Pensa, pertanto, che non debba, parlarsi di un diritto al lavoro garantito dallo Stato e nota come tutti i Commissari, che hanno parlato prima di lui, hanno finito con l’ammettere di avere un certo timore di usare queste parole. L’onorevole Di Vittorio, infatti, ha detto che la Costituzione si deve proiettare nell’avvenire, ma deve anche ispirarsi alla realtà ed ha parlato di «orientamento», parola il cui significato contrasta con quello di una affermazione tassativa. Lo stesso dicasi per l’onorevole Taviani, che ha parlato di una «tendenza», e dell’onorevole Togni, per il quale lo Stato deve fare «quanto è possibile».

Osserva che secondo le formulazioni proposte si inserisce nel primo articolo il diritto al lavoro per poi diminuirlo e svalutarlo nel secondo articolo. In queste condizioni è meglio evitare un’affermazione categorica.

Per queste ragioni insiste sulla formulazione da lui proposta. Affermare categoricamente il diritto al lavoro di ogni cittadino capace può dar luogo a disillusioni che possono essere penose e che bisognerebbe sforzarsi di evitare.

FANFANI ricorda che i temi assegnati ai relatori Colitto e Togni, seppure distinti, non consideravano che due aspetti di un unico diritto: del diritto alla vita, e quindi delle garanzie che lo Stato deve assumersi affinché di tale diritto ogni cittadino possa pienamente godere. È vero che questo diritto rientra fra quelli assegnati alla prima Sottocommissione; tuttavia, in attesa di coordinare i lavori con quella, ritiene opportuno fissare anzitutto in un articolo questo diritto primordiale, dal quale discendono i diritti al lavoro e all’assistenza.

Propone pertanto di suddividere in questo modo la materia: nel primo articolo affermare il diritto del cittadino alla vita: «La vita dell’uomo è sacra e la Repubblica preverrà o eviterà le guerre; punirà quanti attentino alla vita dei cittadini; predisporrà tutti i mezzi che consentono la sua piena manifestazione, determinando un orario massimo di lavoro, il riposo festivo, le ferie annuali, predisponendo e coordinando le opere di assistenza igienica e sanitaria per tutti».

In un secondo articolo bisognerebbe parlare del diritto-dovere al lavoro: «Ogni cittadino ha il dovere di lavorare, ma ha pure il diritto naturale a una continua occupazione, sia pure liberamente scelta, secondo la vocazione personale».

In un terzo articolo, infine, occorre prendere in considerazione il modo con cui lo Stato può garantire il diritto al lavoro e le circostanze di disoccupazione involontaria: «La Repubblica predispone il godimento dei diritto al lavoro mediante l’incoraggiamento generale e il coordinamento dell’attività economica promossa dai privati, la politica dell’impiego totale, l’attività dei pubblici uffici di collocamento, la stipulazione di accordi sull’emigrazione».

GIUA conviene che le preoccupazioni dell’onorevole Colitto sono del tutto giustificate sotto il profilo giuridico, ma pensa che la Costituzione debba essere un documento che trascende lo stretto diritto per assumere anche un significato politico, programmatico, sociologico. D’altra parte anche dal punto di vista giuridico può osservarsi che, almeno per determinate categorie di cittadini, lo Stato assicura i mezzi di esistenza, indipendentemente dal fatto del lavoro: tale è il caso dei sussidi di disoccupazione.

COLITTO, Relatore, fa notare che questo prova come lo Stato non può dare sempre il lavoro.

GIUA obietta che il sussidio di disoccupazione serve appunto a sostituire i proventi del lavoro, cui si ha diritto. D’altronde il diritto al lavoro è riconosciuto in tutte le moderne costituzioni e non affermarlo significherebbe un arretramento di posizioni.

COLITTO, Relatore, prega il Presidente di rinviare la discussione a domani. Tenendo conto di tutte le osservazioni che sono state fatte, formulerà un nuovo testo degli articoli in esame, che sottoporrà domani al parere della Sottocommissione.

PRESIDENTE accede alla richiesta del Relatore, raccomandandogli di tenere particolarmente presente la formulazione proposta dalla commissaria Noce, in cui si parla di «fine essenziale» e non di un dovere giuridico dello Stato di garantire il diritto al lavoro.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Colitto, Di Vittorio, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Noce Teresa, Paratore, Rapelli, Taviani, Togni.

È intervenuto autorizzato: Canevari.

Assenti giustificati: Dominedò, Lombardo, Pesenti, Simonini.