Come nasce la Costituzione

LUNEDÌ 9 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

TERZA SOTTOCOMMISSIONE

2.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 9 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GHIDINI

 

INDICE

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente – Taviani – Colitto, Relatore – Molè – Noce Teresa – Di Vittorio – Giua.

Dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro (Discussione)

Presidente – Colitto, Relatore – Molè – Taviani – Canevari – Di Vittorio – Togni – Noce Teresa – Fanfani – Giua.

La seduta comincia alle 17.30.

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE comunica che nel corso dell’ultima settimana, i relatori designati dalla Sottocommissione hanno tenuto varie riunioni allo scopo di coordinare le loro proposte e di accertare i punti di convergenza e di divergenza. Quasi tutte le relazioni sono state stampate. Allo stato attuale, il tema sul quale tutte le relazioni sono state già presentate è quello delle garanzie economico-sociali per l’assistenza della famiglia (relatrice Merlin Angelina, correlatrici Noce Teresa e Federici Maria).

Ricorda, peraltro, che alcuni dei temi che la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria attribuì all’esame della terza Sottocommissione furono successivamente avocati a sé anche dalla prima Sottocommissione, la quale ritenne di non poter trattare i problemi delle libertà del cittadino prescindendo da quelle che sono le libertà economiche. Fra i temi assegnati dalla prima Sottocommissione ai propri relatori figurano, pertanto, il diritto di lavorare scegliendo il proprio lavoro, il dovere del lavoro, il diritto di organizzare i mezzi per controllare le condizioni del lavoro, il diritto di associarsi per la tutela degli interessi di categoria, il diritto di sciopero economico, il diritto all’equa remunerazione del lavoro, ad un orario umano, al riposo settimanale e annuale retribuito, il diritto al risparmio e alla proprietà privata, le condizioni per procedere a collettivizzazione: tutti temi che rientrano invece nella specifica competenza della terza Sottocommissione.

Ammette l’opportunità di contatti con la prima Sottocommissione e di eventuali accordi, ma non ritiene che l’interferenza nei temi assegnati alla terza Sottocommissione debba rappresentare un ostacolo ad una discussione anche indipendente, salvo il coordinamento definitivo in sede di seduta plenaria della Commissione.

TAVIANI si dichiara d’accordo e desidera che resti a verbale una protesta per questa invasione della prima Sottocommissione nella materia di studio attribuita alla terza. Ciò ha complicato l’ordine dei lavori. Nella ripartizione della materia i diritti economici e sociali furono espressamente esclusi dalla prima Sottocommissione.

COLITTO, Relatore, manifesta la sua sorpresa nel constatare che la materia del lavoro come diritto-dovere, per la quale fu nominato relatore dalla terza Sottocommissione, è stata trattata anche dall’onorevole Lucifero, della prima Sottocommissione, in una relazione nella quale, in taluni punti, si giunge a conclusioni diverse dalle sue. Di tale altra relazione, comunque, egli terrà conto nei suoi rilievi.

MOLÈ comprende bene che lo stesso lavoro compiuto da due diverse Sottocommissioni dia luogo a doppioni e a contrasti, ma pensa che tali inconvenienti derivino dal modo con cui si procedette alla suddivisione dei temi. Data la materia relativa ai diritti e ai doveri del cittadino assegnata alla prima Sottocommissione, questa ha ritenuto di non poter ignorare i diritti e i doveri nel campo economico e in quello sociale: diritti e doveri indubbiamente preminenti in uno Stato moderno, ove non pare possibile considerare il cittadino prescindendo dai rapporti economici, di lavoro, sociali con la collettività. Sarebbe stato, a suo parere, opportuno prestabilire un’intesa delle due Sottocommissioni su questi particolari temi.

Allo stato attuale converrebbe che i relatori delle due Sottocommissioni esaminassero insieme i temi svolti, in modo da evitare conflitti di competenza.

PRESIDENTE nota che sarebbe, a suo avviso, preferibile che la terza Sottocommissione arrivasse a delle conclusioni in tutti i temi svolti, salvo poi a prendere accordi con la prima Sottocommissione.

NOCE TERESA pensa che sul problema della famiglia potrebbero intanto riunirsi le tre relatrici della terza Sottocommissione con gli onorevoli Corsanego e Iotti Leonilde, relatori della prima.

DI VITTORIO di fronte all’inconveniente che alcuni problemi sono stati trattati dalla prima e dalla terza Sottocommissione, crede che la soluzione più pratica sia quella prospettata dall’onorevole Molè, cioè che si riuniscano i relatori delle due Sottocommissioni.

GIUA ritiene che, ad evitare perdite di tempo, sia opportuno portare il risultato dei lavori delle singole Sottocommissioni dinanzi alla Commissione plenaria per il necessario coordinamento.

TAVIANI è d’accordo col Presidente, nel senso che la terza Sottocommissione prosegua i suoi lavori e prenda le sue decisioni, indipendentemente da interferenze che possano sorgere con la prima Sottocommissione.

(La Sottocommissione concorda).

PRESIDENTE propone che l’ordine degli argomenti da esaminare sia quello stabilito a conclusione della prima seduta della Commissione.

(Così rimane stabilito).

Discussione sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.

PRESIDENTE dà atto che, ai temi trattati, è da aggiungersi la cooperazione, che rientra negli aspetti economico-sociali del diritto di associazione e sul quale è relatore l’onorevole Canevari.

Invita l’onorevole Colitto a riferire sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.

COLITTO, Relatore, a conclusione degli argomenti svolti nella relazione scritta, propone che nella Costituzione siano inseriti tre articoli, dei quali l’uno consacrerebbe l’affermazione che deriva dalla vita economica sociale moderna: il dovere del lavoro, il secondo il suo pensiero in ordine al diritto al lavoro, mentre il terzo si occuperebbe delle garanzie, che lo Stato deve predisporre per la tutela del lavoro.

Il lavoro – come si afferma nella relazione – è un dovere anzitutto individuale, in quanto, considerato l’individuo nella propria autonomia di fronte alla natura e agli altri uomini, costituisce il solo vero mezzo per assicurare il benessere del singolo e la continuità della specie. È uno di quei fondamentali doveri, di cui è intessuta la nostra essenza spirituale e da cui è diretta la nostra vita quotidiana. Esso non vuole essere considerato come uno sforzo od una somma di sforzi isolati, frammentari, episodici, diretti alla soddisfazione di un bisogno immediato, ma come un’attività complessa, sempre rinnovantesi, in potenza ed in atto, tendente a realizzare il dominio della personalità umana su tutte le vicissitudini e in tutte le contingenze. Tale attività, quindi, non si estingue con l’agiatezza raggiunta, ma permane come una necessità dello spirito, una missione inseparabile dalla natura umana, una nobile passione, che non dà tregua e riposo, che piega ad ogni sacrifizio e ad ogni rinunzia.

Il lavoro è anche un dovere sociale, cioè un dovere verso la collettività, essendo il modo con cui l’individuo, nella solidarietà necessaria in tutti i produttori, partecipa o contribuisce alla vita sociale, lo strumento, mediante il quale può realizzarsi il bene comune ed il comune progresso. Il lavoro, in tutte le sue forme e manifestazioni, non è dal singolo, preoccupato del suo egoistico interesse, esplicato solo per sé o per la famiglia o per l’imprenditore, ma per tutta una determinata categoria di persone, perché la Nazione, per essere attiva e potente, ha bisogno che ciascuno lavori.

Nel primo articolo, quindi, egli propone che si dica: «Ogni cittadino ha il dovere di dedicare la sua opera, manuale o intellettuale, ad una attività produttiva, da lui liberamente scelta, conforme alle sue attitudini, nei limiti delle sue possibilità e sotto l’osservanza della legge».

Può sorgere, a proposito di questo articolo, la questione se il dovere del lavoro sia da ritenersi dovere morale od anche un dovere giuridico. È un dovere morale, per cui potrebbe anche di esso non parlarsi in una Costituzione, la quale è un documento essenzialmente giuridico. È opportuno, però, parlarne, perché tutte le Costituzioni, moderne e contemporanee parlano di questo dovere del lavoro, anche ritenendolo soltanto un dovere etico. Pensa che non si possa parlare di dovere giuridico del lavoro. Chi volesse andare più in là dovrebbe attribuire alla società il potere di costringere al lavoro (servizio obbligatorio del lavoro?) e questa è una proposizione che nessuno vorrebbe sostenere, perché significherebbe l’annullamento della libertà umana.

Il secondo articolo si occupa del diritto al lavoro. Al dovere del singolo di lavorare – si dice nella relazione – fa riscontro il dovere della società di garantire al singolo la reale possibilità di svolgere un’attività manuale o intellettuale, in conformità delle proprie attitudini ed in armonia col supremo interesse sociale. Ogni cittadino sano, il quale cerchi lavoro, deve poterlo trovare, per la estrinsecazione della sua personalità, per il suo miglioramento, per il suo maggiore benessere spirituale e materiale.

A fianco del lavoro-dovere si pone così un diritto al lavoro. Esso trova radice in un canone fondamentale di etica sociale, che ad ogni cittadino sia garantito un minimo di esistenza sufficiente e degna, un diritto ad essere liberato dal bisogno, un diritto a conseguire, secondo l’espressione del Leclercq, «dignità ed indipendenza». Assicurare ad ogni cittadino la libertà dal bisogno è una tappa, assicurargli il pieno sfruttamento della propria capacità di lavoro è la meta. Sotto tale aspetto, il diritto individuale al lavoro trova la sua equivalenza nell’interesse collettivo che le esigenze produttive siano soddisfatte dal più gran numero di consociati, sia per l’incremento della produzione, sia per evidenti ragioni di pace sociale.

Nella Costituzione, che è un documento giuridico, ma che deve tendere a fini di ordine pratico, si può, peraltro, inserire un canone il quale, esplicitamente, in modo tassativo dica: «Lo Stato riconosce al cittadino il diritto al lavoro»? Egli ritiene di no, perché potrà anche affermarsi che ogni cittadino ha diritto al lavoro; ma a che giova tale affermazione, che vuol dire impegno da parte dello Stato di effettuare un integrale impiego della mano d’opera, se lo Stato ciò non può poi effettuare? L’affermazione va, quindi, fatta non in modo tassativo, ma piuttosto in guisa da esprimere una tendenza.

Pertanto, propone che il secondo articolo sia così formulato:

«Lo Stato ha tra i suoi fini essenziali che all’attività produttiva concorra il maggior numero possibile di cittadini e si riserva di intervenire, stimolando ed eventualmente integrando l’offerta individuale di lavoro».

Nel terzo articolo si è occupato della garanzia che lo Stato deve dare al lavoro in genere ed ai rapporti di lavoro in ispecie. L’articolo è formulato così: «Lo Stato assume e garantisce la tutela dei rapporti di lavoro e con le sue leggi disciplina le forme, i limiti e le condizioni della prestazione di lavoro, affinché essa sia realizzata nel modo più soddisfacente e più vantaggioso per il singolo e per la collettività».

Nella relazione ha sottolineato che, in sede di coordinazione di questi articoli con quelli che saranno formulati dai colleghi, che si occuperanno del problema sindacale, forse non sarà inopportuno proclamare che più che dello Stato è delle categorie il diritto di regolare le forme, i limiti e le condizioni delle prestazioni di lavoro, in modo che la tutela dello Stato appaia, come deve essere, sussidiaria e integrativa dell’opera delle associazioni professionali e non primaria e soffocante, anche se esplicata a fin di bene.

MOLÈ quanto all’articolo 1°, condivide il concetto del relatore, ma adotterebbe la seguente formulazione più semplice: «Il lavoro manuale o intellettuale costituisce un dovere per ogni cittadino».

PRESIDENTE propone il seguente articolo in sostituzione dei primi due formulati dal relatore:

«Il lavoro, conforme alla propria scelta ed alla propria idoneità, è un diritto e un dovere di ogni cittadino capace».

COLITTO, Relatore, osserva che se il lavoro è conforme alla propria scelta, si può anche prescindere dall’idoneità.

TAVIANI manterrebbe i due criteri di scelta e di idoneità, che, a suo parere, non sono necessariamente in contrasto.

Dichiara di essere favorevole alla affermazione del diritto al lavoro e osserva che, come il relatore onorevole Colitto ammette il dovere di lavorare in senso etico, dovrebbe ammettere nello stesso senso il diritto al lavoro. In sostanza, il fine cui deve tendere lo Stato è quello del pieno impiego, cioè del lavoro per tutti. Si intende che con ciò non si riconosce da parte del cittadino un’azione per costringere lo Stato a dargli lavoro, qualora ne sia privo.

COLITTO, Relatore, non crede che si possa affermare in un documento di carattere giuridico un diritto al lavoro, dal momento che lo Stato non si trova in condizioni da garantirne l’esercizio. Una simile affermazione, di fronte a milioni di disoccupati, appare come una irrisione. Per questo motivo ha proposto la formula: lo Stato ha «tra i suoi fini essenziali» quello di dar lavoro al maggior numero possibile di cittadini.

CANEVARI rileva che l’argomento è di un’importanza enorme. La Sottocommissione è nel complesso d’accordo nel riconoscere il diritto al lavoro dei cittadino. Si prospetta da parte dell’onorevole Colitto una questione di possibilità. È però da osservare che lo Stato ha delle possibilità che fino ad oggi non ha ancora attuato, quali, ad esempio, lo sviluppo delle industrie, dell’agricoltura, l’adozione di turni di lavoro per occupare il maggior numero di cittadini. Approverebbe, pertanto, l’articolo proposto dal Presidente, passando poi al terzo articolo relativo alla tutela dei rapporti di lavoro.

COLITTO, Relatore, pur dichiarando di essere, in via di massima, d’accordo quanto al principio del diritto al lavoro, teme che la sua consacrazione nella Costituzione possa dar luogo a rilievi di carattere giuridico.

DI VITTORIO osserva che la Costituzione segna una tappa storica nella vita di un popolo, pur ispirandosi alla realtà, deve proiettarsi nell’avvenire come un progresso. Pensa che la Costituzione fallirebbe ad uno dei suoi compiti fondamentali, se non affermasse con molta chiarezza il diritto al lavoro dei cittadini. Ciò non vuol dire che domani, ad esempio, un disoccupato possa convenire in giudizio lo Stato. Affermare il diritto al lavoro deve significare un impegno che la società nazionale, rappresentata dallo Stato, assume di creare condizioni di vita sociale tali che il cittadino possa avere lavoro. Non bisogna, pertanto, considerare l’affermazione di questo diritto dal punto di vista delle possibilità pratiche di questo momento, ma come un orientamento generale che la Costituzione dà al Paese.

Del resto, il problema dei disoccupati esiste attualmente; eppure la Confederazione generale del lavoro non chiede allo Stato sussidi, ma chiede che si creino condizioni tali da dare lavoro ai disoccupali. Come dar lavoro? Ecco un esempio concreto: lo Stato non ha denari in cassa, quindi non può occupare questo gran numero di disoccupati. Ma siccome è un dovere della società nazionale di dare lavoro a tutti i suoi figli, lo Stato deve trarre dalle classi abbienti tutte le possibilità, perché i disoccupati siano posti in condizioni di lavorare con beneficio della vita e del progresso della stessa società nazionale.

È, in conclusione, del parere che sia affermato il principio del diritto al lavoro come impegno che la società nazionale assume di fare tutta quello che è possibile per assicurare il lavoro a ciascun cittadino.

TAVIANI ribadisce che è necessario sancire il diritto al lavoro come formula etica, perché non si può pensare che ci sia un dovere a cui corrisponde un diritto e viceversa. Si può essere d’accordo nel dire che questo diritto non ha un valore di impegno giuridico.

TOGNI concorda con l’opinione dell’onorevole Di Vittorio, la quale rappresenta una interpretazione intermedia, con un significato più rispondente alla realtà. Occorre preoccuparsi di non concretare formule che non si possano tradurre nella realtà.

È convinto che occorra affermare il principio etico del diritto al lavoro: diritto sociale nella sua espressione, economico nella sua realizzazione. Questa affermazione ha una importanza che dovrebbe riflettersi al di là delle nostre frontiere ed essere uno degli elementi determinanti della economia internazionale di domani.

Ammesso il principio che lo Stato debba fare quanto è possibile per assicurare il diritto al lavoro, occorre tuttavia formularlo in modo che non sorgano interpretazioni precipitose o esagerate, che facciano pensare ad un impegno giuridico preciso da parte dello Stato di garantire a tutti il lavoro.

NOCE TERESA, riallacciandosi a quanto ha detto l’onorevole Taviani, e cioè che, consacrato nella carta costituzionale il diritto al lavoro, il garantirlo deve essere uno dei fini essenziali del nuovo Stato della Repubblica italiana, propone di far seguire al testo proposto dal Presidente la seguente enunciazione: «Lo Stato ha tra i suoi fini essenziali la garanzia del diritto ai lavoro per tutti i cittadini». Con le parole «fini essenziali» deve intendersi un riferimento non ai fini concreti di oggi, ma a quelli dell’avvenire.

TAVIANI pensa che potrebbe parlarsi di «compiti essenziali».

PRESIDENTE preferisce la parola «fini», che indica uno scopo che si proietta nel futuro.

TAVIANI concorda sulla opportunità che non ci si debba limitare alla formulazione generica del primo articolo, ma che si debba precisare questa tendenza dello Stato verso la realizzazione concreta del principio affermato. Sotto questo punto di vista la formula proposta dall’onorevole Noce è abbastanza ampia. Se si ammette un ordine nella economia, si deve anche ammettere che questo ordine abbia come fine la garanzia del diritto al lavoro.

COLITTO, Relatore, come ha specificato nella sua relazione, ritiene opportuno consacrare nella Costituzione il diritto al lavoro, ma, a suo avviso, occorre guardarsi dall’adoperare una formula tassativa, la quale potrebbe avere, soprattutto in questo momento, ma anche nell’avvenire, il sapore di una dolorosa ironia.

Pensa, pertanto, che non debba, parlarsi di un diritto al lavoro garantito dallo Stato e nota come tutti i Commissari, che hanno parlato prima di lui, hanno finito con l’ammettere di avere un certo timore di usare queste parole. L’onorevole Di Vittorio, infatti, ha detto che la Costituzione si deve proiettare nell’avvenire, ma deve anche ispirarsi alla realtà ed ha parlato di «orientamento», parola il cui significato contrasta con quello di una affermazione tassativa. Lo stesso dicasi per l’onorevole Taviani, che ha parlato di una «tendenza», e dell’onorevole Togni, per il quale lo Stato deve fare «quanto è possibile».

Osserva che secondo le formulazioni proposte si inserisce nel primo articolo il diritto al lavoro per poi diminuirlo e svalutarlo nel secondo articolo. In queste condizioni è meglio evitare un’affermazione categorica.

Per queste ragioni insiste sulla formulazione da lui proposta. Affermare categoricamente il diritto al lavoro di ogni cittadino capace può dar luogo a disillusioni che possono essere penose e che bisognerebbe sforzarsi di evitare.

FANFANI ricorda che i temi assegnati ai relatori Colitto e Togni, seppure distinti, non consideravano che due aspetti di un unico diritto: del diritto alla vita, e quindi delle garanzie che lo Stato deve assumersi affinché di tale diritto ogni cittadino possa pienamente godere. È vero che questo diritto rientra fra quelli assegnati alla prima Sottocommissione; tuttavia, in attesa di coordinare i lavori con quella, ritiene opportuno fissare anzitutto in un articolo questo diritto primordiale, dal quale discendono i diritti al lavoro e all’assistenza.

Propone pertanto di suddividere in questo modo la materia: nel primo articolo affermare il diritto del cittadino alla vita: «La vita dell’uomo è sacra e la Repubblica preverrà o eviterà le guerre; punirà quanti attentino alla vita dei cittadini; predisporrà tutti i mezzi che consentono la sua piena manifestazione, determinando un orario massimo di lavoro, il riposo festivo, le ferie annuali, predisponendo e coordinando le opere di assistenza igienica e sanitaria per tutti».

In un secondo articolo bisognerebbe parlare del diritto-dovere al lavoro: «Ogni cittadino ha il dovere di lavorare, ma ha pure il diritto naturale a una continua occupazione, sia pure liberamente scelta, secondo la vocazione personale».

In un terzo articolo, infine, occorre prendere in considerazione il modo con cui lo Stato può garantire il diritto al lavoro e le circostanze di disoccupazione involontaria: «La Repubblica predispone il godimento dei diritto al lavoro mediante l’incoraggiamento generale e il coordinamento dell’attività economica promossa dai privati, la politica dell’impiego totale, l’attività dei pubblici uffici di collocamento, la stipulazione di accordi sull’emigrazione».

GIUA conviene che le preoccupazioni dell’onorevole Colitto sono del tutto giustificate sotto il profilo giuridico, ma pensa che la Costituzione debba essere un documento che trascende lo stretto diritto per assumere anche un significato politico, programmatico, sociologico. D’altra parte anche dal punto di vista giuridico può osservarsi che, almeno per determinate categorie di cittadini, lo Stato assicura i mezzi di esistenza, indipendentemente dal fatto del lavoro: tale è il caso dei sussidi di disoccupazione.

COLITTO, Relatore, fa notare che questo prova come lo Stato non può dare sempre il lavoro.

GIUA obietta che il sussidio di disoccupazione serve appunto a sostituire i proventi del lavoro, cui si ha diritto. D’altronde il diritto al lavoro è riconosciuto in tutte le moderne costituzioni e non affermarlo significherebbe un arretramento di posizioni.

COLITTO, Relatore, prega il Presidente di rinviare la discussione a domani. Tenendo conto di tutte le osservazioni che sono state fatte, formulerà un nuovo testo degli articoli in esame, che sottoporrà domani al parere della Sottocommissione.

PRESIDENTE accede alla richiesta del Relatore, raccomandandogli di tenere particolarmente presente la formulazione proposta dalla commissaria Noce, in cui si parla di «fine essenziale» e non di un dovere giuridico dello Stato di garantire il diritto al lavoro.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Colitto, Di Vittorio, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Molè, Noce Teresa, Paratore, Rapelli, Taviani, Togni.

È intervenuto autorizzato: Canevari.

Assenti giustificati: Dominedò, Lombardo, Pesenti, Simonini.