ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTO COMMISSIONE
8.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 SETTEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Organizzazione costituzionale dello Stato
(Seguito della discussione).
Presidente – Conti, Relatore – Tosato – Mortati – Perassi – Einaudi – Ambrosini.
La seduta comincia alle 17.15.
Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.
PRESIDENTE invita l’onorevole Conti a fare la sua relazione sul tema del potere legislativo.
CONTI, Relatore, intende limitarsi ad una succinta esposizione, sia perché quella del collega Mortati è stata così ampia da aver toccato tutti gli argomenti che possono essere oggetto di discussione, sia perché, a suo avviso, lo sforzo della Sottocommissione deve esser diretto soprattutto alla formulazione di positive disposizioni per il progetto di Costituzione.
Nella premessa della relazione che ha presentato ha avvertito che le disposizioni contenute negli articoli del testo abbozzato sono in rapporto con la struttura autonomistica dello Stato, perché se non è chiara ed accettata questa premessa, le conseguenze che si possono trarre dal suo progetto sono diverse. Bisogna tener presente l’importanza che egli annette al sistema autonomistico. Costituita la regione e attribuita a questa competenza legislativa, il Parlamento non sarà più quello dello Stato unitario, che si è sperimentato con tutti i suoi pesi e con tutte le sue conseguenze.
Lo Stato accentrato comporta un Parlamento che si occupa dei minimi particolari della vita nazionale, mentre lo Stato autonomista distribuisce alle regioni gran parte del lavoro legislativo con la conseguenza di un sicuro, generalmente neppure intravisto, mutamento di costumi parlamentari. Personalmente non è soddisfatto della modesta estensione delle competenze fissate nella relazione Ambrosini, perché egli è per una più larga competenza. Il Parlamento, quando sarà sgravato da tante competenze, diventerà finalmente quell’alto consesso legislativo al quale accederanno i migliori del paese, e quindi si eleverà di tono.
Questo porta anche ad accennare alla necessità di ridurre al massimo il numero dei membri della prima e della seconda Camera. Fra tutte e due le Camere si dovrebbe arrivare ad una cifra che equivalga a quella della Camera attuale; cinque o seicento deputati e senatori in tutto (e dicendo senatori, non si intende fissare come definitivo questo termine verso il quale si hanno antipatie e che può essere abbandonato volentieri se un altro se ne possa trovare).
Il sistema legislativo che egli propone può considerarsi la realizzazione del sistema misto fra il parlamentare e il direttoriale.
Detto questo, accenna alla sua preferenza assoluta per il sistema bicamerale e passa alla lettura della seguente relazione.
Il Parlamento
Il criterio direttivo, al quale deve ispirarsi la Costituzione nel determinare gli organi ai quali sarà attribuito, come competenza principale, l’esercizio della funzione legislativa, è quello di dare ad essi una conformazione tale da essere per se stessa una garanzia che il procedimento attraverso il quale si forma la legge, cioè l’atto che crea le norme giuridiche regolatrici della società nazionale, abbia ad assicurare un’adeguata considerazione dei diversi interessi, dei quali la legge deve regolare il contemperamento. L’utilità generale che le leggi risultino ponderatamente elaborate e perciò più stabili e più spontaneamente osservate, ha manifestamente un valore più alto che non la velocità del meccanismo che le produce.
Sistema bicamerale
Questo criterio direttivo per la costruzione degli organi legislativi porta a due conseguenze, fra loro connesse.
In primo luogo, esso rende preferibile il sistema bicamerale, lasciando vedere come sia viziato da un evidente semplicismo il noto ragionamento col quale si pretendeva di condannare tale sistema.
D’altra parte quello stesso criterio indica le necessità che i modi di formazione delle due Camere parlamentari siano differenti, perché esso sarebbe fondamentalmente disconosciuto se una Camera non fosse che una seconda edizione dell’altra. Ciascuna di esse, per il modo della sua costituzione, deve dare affidamento di apportare al processo di formazione della legge un concorso ispirato alla considerazione di interessi, esigenze e punti di vista che meritano di essere tenuti in conto per essere composti nell’interesse generale della Nazione.
Il sistema bicamerale, avuto riguardo anche all’esperienza dei diversi Paesi, si raccomanda inoltre come più adatto ad assicurare un conveniente esercizio di quelle funzioni di controllo politico (e specialmente di quelle relative alla gestione finanziaria ed alle relazioni internazionali) che costituiscono l’altro compito, non meno politicamente importante, del Parlamento.
Secondo tali criteri la Costituzione dovrebbe istituire una Camera dei Deputati ed un Senato.
La Camera dei Deputati
La Camera dei Deputati avrebbe il carattere di un organo rappresentativo della Nazione nella sua unità, cioè come collettività dei cittadini. Essa sarebbe eletta, a suffragio universale, diretto e segreto, da collegi elettorali nei quali si distribuiscono territorialmente i cittadini aventi il diritto di voto. Sarebbe composta di 400 membri e nominata per quattro anni.
Il sistema di elezione dei Deputati e la formazione delle liste elettorali e dei collegi elettorali sarebbero regolati dalla legge elettorale, essendo opportuno che i particolari di questa materia non siano pregiudicati da disposizioni aventi la rigidità delle norme costituzionali.
Il Senato
Il Senato avrebbe, invece, il carattere di una camera rappresentativa della Nazione come si presenta differenziata nelle varie forme di organizzazioni ed istituzioni in cui si esplica la vita sociale.
Nel modo di formazione del Senato dovrebbe aversi, anzitutto, uno dei riflessi costituzionali del riconoscimento delle Regioni come enti di diritto pubblico.
Il Senato dovrebbe essere una Camera destinata, in prima linea, a rappresentare l’organo nel quale l’indirizzo dell’attività politica e legislativa dello Stato si determina tenendo conto delle diverse esigenze regionali.
Non è però necessario che il criterio regionale sia adottato come criterio unico ed esclusivo per la formazione del Senato. Sarebbe conveniente attribuire l’elezione di una parte dei senatori ad altri enti, nei quali si concreta sotto altri aspetti la differenziazione della società nazionale.
Secondo tali criteri, la Costituzione determinerebbe il numero dei senatori da eleggersi dalle Regioni e quello da eleggersi da altri enti, quali le organizzazioni sindacali nazionali, le università.
Il numero complessivo dei membri del Senato potrebbe essere fissato a 300.
Il numero dei senatori eletti dalle Regioni, dovrebbe non essere inferiore ai due terzi. Si può considerare se convenga, come in Svizzera e negli Stati Uniti, attribuire a ciascuna regione l’elezione di un numero eguale di senatori o se, invece, non sia più opportuno che la distribuzione dei seggi senatoriali fra le Regioni sia da farsi tenendo conto delle diversità di estensione geografica e di popolazione delle varie regioni. L’elezione dei senatori di questa categoria sarebbe attribuita all’Assemblea della Regione alla quale prenderebbero parte anche delegati dei consigli comunali della regione.
Il criterio indicato come direttivo della formazione del Senato, non esclude, poi, in linea di principio, che si consideri anche la convenienza di attribuire allo stesso Senato od al Capo dello Stato la nomina di un ristrettissimo numero di senatori a vita, in modo da permettere di assicurare al Senato il concorso di personalità eminenti, che per ragioni diverse non sarebbero utilizzate col sistema elettivo.
I senatori sarebbero eletti per 6 anni e si rinnoverebbero per metà ogni 3 anni.
Formazione delle leggi
La Camera dei Deputati ed il Senato concorrerebbero, come organi distinti, alla formazione delle leggi, le quali sarebbero sanzionate e promulgate dal Capo dello Stato.
La Costituzione dovrebbe stabilire che il Capo dello Stato, quando ritenga di rifiutare la sanzione, deve rinviare il disegno di legge alle Camere con messaggio motivato: se ciascuna di queste approva di nuovo il disegno di legge a maggioranza dei due terzi, il Capo dello Stato sarebbe obbligato a promulgare la legge.
Procedura d’urgenza
A questa procedura normale per la formazione delle leggi la Costituzione potrebbe prevedere una deroga per il caso di urgente necessità.
In questo caso l’approvazione di ciascuna delle due Camere su un disegno di legge sarebbe data da una Delegazione permanente nominata annualmente da ciascuna di esse nel suo seno con sistema proporzionale. Se l’urgente necessità non è preliminarmente riconosciuta dalla Delegazione di una Camera, la procedura normale di approvazione della legge dovrebbe essere osservata.
Con questa disposizione, la Costituzione, mentre escluderebbe la facoltà del Governo di emanare decreti-legge, istituirebbe un procedimento accelerato, che assicura la possibilità di una pronta emanazione di provvedimenti legislativi che fossero richiesti da una effettiva urgente necessità.
Limiti costituzionali della legge ordinaria
La legge ordinaria, quanto al suo contenuto, deve essere subordinata alla Costituzione, nel senso che essa non può creare norme che modifichino la Costituzione o che siano contrarie a principî costituzionali. È questa un’esigenza essenziale, imposta da due ordini di considerazioni.
In primo luogo il riconoscimento costituzionale delle Regioni, la cui competenza è determinata dalla Costituzione, esige la garanzia che la legge ordinaria dello Stato non possa modificare lo stato giuridico delle Regioni. Senza questa garanzia costituzionale l’autonomia delle Regioni sarebbe malsicura.
In secondo luogo, la Costituzione deve avere un valore superiore a quello della legge ordinaria, per assicurare, da un lato, che l’ordinamento costituzionale sia più stabile e le modificazioni siano attuate con un procedimento speciale adeguato all’importanza della materia, e dall’altro, che alcuni principî enunciati nella Costituzione come guarentigie dei cittadini siano muniti di effettiva efficacia giuridica, che si concreta nel funzionare come limiti la cui osservanza è causa di invalidità non solo degli atti della pubblica amministrazione, ma anche delle leggi ordinarie dello Stato.
Leggi costituzionali
Tale esigenza fondamentale importa che la Costituzione, sottraendo se stessa al potere della legge ordinaria, istituisca un procedimento speciale per la formazione delle leggi costituzionali.
Sul modo di differenziare il procedimento di formazione delle leggi costituzionali da quello delle leggi ordinarie si possono considerare diversi sistemi.
Così potrebbe ritenersi sufficiente stabilire che le leggi costituzionali devono essere approvate dalla maggioranza dei due terzi dei membri in carica delle due Camere. La garanzia risultante dall’esigenza di una maggioranza qualificata potrebbe essere sostituita ovvero rafforzata prescrivendosi che le leggi costituzionali siano sottoposte all’approvazione delle Assemblea delle Regioni, assicurandosi con ciò particolarmente una garanzia per lo stato giuridico costituzionale delle Regioni.
Si può anche considerare se non convenga sottoporre le leggi costituzionali alla votazione diretta dei cittadini, esigendosi per l’approvazione la maggioranza dei votanti calcolata sia nazionalmente sia per regioni.
L’Assemblea nazionale
La Costituzione, poi, prevederebbe che per talune attribuzioni, da essa determinate, la Camera dei Deputati ed il Senato funzionerebbero riuniti insieme, costituendo l’Assernblea nazionale, che sarebbe presieduta dal Presidente del Senato.
Dopo questa esposizione dei principî informatori del testo, dà lettura dei seguenti articoli che propone, senza peraltro considerarli definitivi, e anzi ritenendoli come spunti per la stesura del progetto di Costituzione:
I POTERI DELLO STATO
Art. …
Il potere legislativo è esercitato dalla Camera dei Deputati e dal Senato.
La Camera dei Deputati e il Senato riuniti costituiscono l’Assemblea Nazionale.
L’iniziativa delle leggi è riconosciuta al Presidente della Repubblica, al Governo, ai Senatori ed ai Deputati e al Popolo.
Il potere esecutivo è attribuito al Presidente della Repubblica che lo esercita per mezzo di ministri.
Il potere giudiziario è esercitato da una magistratura indipendente retta da un Supremo Consiglio di magistrati eletto dai giudici di tutti i gradi.
LA CAMERA DEI DEPUTATI
Art. …
La Camera dei Deputati è composta di cittadini d’ambo i sessi, dell’età di almeno 25 anni, eletti per quattro anni a suffragio universale uguale, diretto e segreto.
Art. …
Per l’elezione della Camera dei Deputati lo Stato è suddiviso in collegi elettorali a norma di legge speciale.
Sarà eletto un Deputato ogni 150 mila abitanti.
(Il Relatore rileva che la riduzione del numero dei deputati deve essere considerata in relazione all’ordinamento regionale, che comporta la costituzione di assemblee con competenza legislativa. I deputati eletti ogni 150 mila abitanti sarebbero circa 300).
Art. …
I requisiti per la eleggibilità e i casi di incompatibilità sono fissati dalla legge elettorale. La Camera verifica la validità dell’elezione dei Deputati.
(Il Relatore dichiara di ammettere la possibilità del Tribunale elettorale menzionato dal relatore onorevole Mortati).
Art. …
I Deputati sono rappresentanti della Nazione. Esercitano liberamente la funzione legislativa e, durante l’esercizio del mandato, non possono essere arrestati se non in flagranza di reato. Non possono essere arrestati neppure in esecuzione di sentenza di condanna, né possono essere sottoposti a procedimento penale senza autorizzazione della Camera.
Art. …
La Camera dei Deputati deve riunirsi appena eletta e in ogni caso non oltre venti giorni da quello della proclamazione degli eletti.
Nel quadriennio si riunirà senza alcuna convocazione nella prima decade del marzo e dell’ottobre di ogni anno, e terrà le sedute che saranno necessarie allo svolgimento della opera legislativa. Può essere convocata in via straordinaria dal Presidente della Repubblica, con messaggio motivato al Presidente della Camera, dalla sua Presidenza, o, da questa, a richiesta motivata del Capo del Governo.
La convocazione a richiesta di Deputati deve essere fatta su domanda di un decimo dei componenti la Camera.
Art. …
La Camera dei Deputati può essere sciolta prima della scadenza del termine per deliberazione propria a maggioranza assoluta di voti. Può essere sciolta dal Presidente della Repubblica in seguito a voto della Camera e del Senato.
Art. …
La Camera elegge nel suo seno il Presidente, due Vicepresidenti, i Questori, i Segretari e le Commissioni, a norma del proprio regolamento. Elegge ogni anno, all’inizio della sessione di primavera, con votazione a maggioranza assoluta, una Giunta permanente, presieduta dal Presidente della Camera, composta di 30 Deputati con il mandato di procedere nella vacanza del Parlamento congiuntamente con la Giunta del Senato all’esame e alla approvazione in via di urgenza di progetti di legge del Governo.
Art. …
La Giunta permanente della Camera si riunisce con la Giunta permanente del Senato nei casi previsti dalla Costituzione, dalle leggi e dai regolamenti.
Art. …
La Camera delibera il proprio regolamento e provvede alla propria amministrazione disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato.
IL SENATO
Art. …
Il Senato è composto di rappresentanti d’ambo i sessi di età non inferiore ai 40 anni, eletti dalle Assemblee delle Regioni, dai Consigli accademici, dalle Università, dalle Organizzazioni sindacali nazionali, dagli Ordini professionali e dal Presidente della Repubblica, riconosciuti gli uni e le altre dallo Stato e chiamati all’elezione da legge rinnovabile ogni dieci anni.
Art. …
Le Assemblee Regionali eleggono un Senatore per ogni cinquanta Deputati regionali. Le Assemblee Regionali composte di un numero di Deputati minore dei cinquanta eleggono anche esse un Senatore.
Le Organizzazioni sindacali, le Università, gli Ordini professionali eleggono ciascuno un numero di Senatori pari a un quarto del numero dei Senatori eleggibili dalle Regioni.
Spetta al Presidente della Repubblica la nomina di dieci senatori nelle seguenti categorie:
- a) magistrati;
- b) …………
- c) …………
Art. …
I Senatori sono eletti per sei anni.
Ogni tre anni si deve procedere alla rinnovazione della metà dei membri del Senato. La cessazione del mandato allo spirare del triennio, deve essere rimessa al sorteggio. I sorteggiati sono rieleggibili. I Senatori nominati dal Presidente della Repubblica restano in carica durante l’esercizio della loro funzione pubblica.
Art. …
I Senatori hanno i medesimi diritti e doveri dei Deputati e godono le immunità previste dall’articolo …
Il Senato delibera il proprio regolamento e provvede alla propria amministrazione disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato.
Art. …
Il Senato concorre all’opera legislativa con la Camera dei Deputati e col Governo di propria iniziativa e coll’esame e l’approvazione delle leggi votate dalla Camera dei Deputati.
Art. …
Il Senato si riunisce e funziona nei modi e nei termini previsti per la Camera dei Deputati.
Art. …
Il Senato elegge nel suo seno una Giunta presieduta dal Presidente del Senato, composta di 30 Senatori, con i poteri previsti dall’articolo … per la Giunta permanente della Camera dei Deputati.
Art. …
La legge ordinaria deve osservare i limiti della Costituzione; non può creare norme che la modifichino e che siano contrarie a principî costituzionali.
Art. …
Le leggi di iniziativa della Camera dei Deputati debbono essere approvate dal Senato.
Art. …
Le leggi di iniziativa del Senato debbono essere approvate dalla Camera dei Deputati. Le approvate leggi dalla Camera dei Deputati, non approvate dal Senato, sono rinviate con relazione motivata per nuovo esame alla Camera.
Se la legge sarà dalla Camera nuovamente approvata con due terzi dei voti, dovrà essere presentata al Presidente della Repubblica per la sanzione e la promulgazione.
(A proposito del Senato si dovrà esaminare il quesito della sua dissoluzione).
Art. …
Le leggi costituzionali dovranno essere sottoposte alla votazione diretta dei cittadini elettori, per l’approvazione a maggioranza dei votanti.
(Questo articolo, osserva il Relatore, dispone un’applicazione del diritto ad referendum, che per le leggi deliberate dal Parlamento nazionale non avrebbe altre applicazioni, mentre il referendum dovrà essere previsto per molti casi di legislazione regionale).
L’ASSEMBLEA NAZIONALE
Art. …
L’Assemblea Nazionale elegge il Presidente della Repubblica, ne revoca l’elezione per alto tradimento, per violazione della Costituzione dichiarata con i voti di due terzi dei componenti le due Camere; delibera la dichiarazione della guerra; conclude i trattati di pace e i trattati internazionali.
(Il Relatore rileva che un testo completo dovrà stabilire quale regolamento – se quello della Camera o del Senato – dovrà adottare l’Assemblea Nazionale).
Art. …
L’Assemblea Nazionale è presieduta dal Presidente del Senato.
DIRITTO DI PETIZIONE E DI INIZIATIVA
Art. …
Tutti i cittadini hanno diritto di petizione e di iniziativa.
Art. …
Per una legge di iniziativa popolare si richiede la presentazione della proposta da parte di 25 mila cittadini nel pieno godimento dei diritti civili.
Art. …
Proposte di legge e petizioni sono portate all’esame di Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato per la formulazione di progetti legislativi.
PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione ha nominato l’onorevole Rossi Paolo relatore sul terna «revisione della Costituzione»; ma pensa che si potrebbe discutere a parte questo argomento, cominciando ora senz’altro la discussione sopra le due relazioni Mortati e Conti.
Circa l’ordine della discussione, ritiene che sarebbe opportuno affrontare intanto il tema pregiudiziale del tipo del sistema presidenziale, o parlamentane, o misto del genere di quello prospettato ieri dall’onorevole Mortati.
TOSATO aderisce al criterio di procedere alla discussione distinguendo i temi e seguendo un ordine logico. Facendo parte del gruppo dei Relatori sul potere esecutivo, ritiene impossibile delimitare una relazione su questo tema se non si è stabilito in linea di massima se è esclusa o meno la forma di governo presidenziale e se si intenda adottare il sistema bicamerale; ed in tal caso se si ha intenzione di porre le due Camere in una posizione di parità o meno. Questi due punti sono assolutamente pregiudiziali per una qualsiasi impostazione e delimitazione completa della struttura del Governo. Propone perciò che si discuta prima sulla forma del governo presidenziale, sul sistema bicamerale e poi sui rapporti fra le due Camere.
MORTATI, Relatore, ritiene superata la questione da quando si è deciso di fare una parte introduttiva sulla Costituzione dello Stato. In questa parte introduttiva, svolta ieri, vi sono elementi relativi al potere esecutivo. Quindi la discussione sarebbe utile se affrontasse nelle sue linee generali questa parte relativa ai principî fondamentali della struttura dello Stato, per scendere poi nei dettagli circa la composizione del potere esecutivo e di quello legislativo. Naturalmente in questi argomenti, generali e fondamentali, entra l’argomento di struttura indicato dall’onorevole Tosato, relativo al sistema unicamerale o bicamerale, che incide sul tipo di Governo.
PERASSI, dopo la discussione abbozzata ieri, crede che converrebbe cominciare con lo stabilire se scegliere o scartare il tipo di governo presidenziale; ed allo scopo di precisare i punti di vista ed affrettare i lavori, propone la seguente decisione:
«La Seconda Sottocommissione, udite le relazioni degli onorevoli Mortati e Conti, ritenuto che né il tipo del governo presidenziale, né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l’adozione del sistema parlamentare da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo».
EINAUDI desidera fare alcuni rilievi sulla contrapposizione che si è voluta fare del sistema presidenziale a quello parlamentare.
Nella sua relazione l’onorevole Mortati si è riferito, sovratutto e molto approssimativamente, a precedenti di Costituzioni, le quali hanno avuto una lunga durata e delle quali, per conseguenza, si conoscono il funzionamento e gli effetti e quindi si può dare un giudizio ponderato. La maggior parte dei suoi riferimenti sono stati fatti al sistema presidenziale degli Stati Uniti ed a quello parlamentare della Gran Bretagna. Non sono i soli che si potrebbero fare per il problema della scelta fra il sistema presidenziale e quello parlamentare, perché anche in Italia abbiamo uno statuto che è durato quasi un secolo e che ha dato luogo ad esperienze molto interessanti.
Non è dalla lettera di una Costituzione che occorre ricavare gli elementi più fecondi: la lettera è stata scritta in altri tempi, quando i bisogni erano diversi: più interessante è vedere quale uso si è fatto di quel sistema creato tanti anni fa.
Lo Statuto albertino aveva presentato nelle sue varie applicazioni successive qualche nota abbastanza interessante. Esso, per esempio, supponeva che il senatore fosse di nomina regia, mentre la realtà è stata del tutto diversa. Il re, infatti, non nominava alcun senatore, ma questi erano nominati in secondo o terzo grado, indirettamente dagli elettori, perché questi eleggevano la Camera, che aveva finito per designare il Gabinetto, e questo il Capo del Governo, il quale nominava di fatto i senatori. Così nello Statuto niente si diceva, salvo per la precedenza nel tempo dei progetti tributari a favore della Camera, intorno alle prerogative di una Camera rispetto all’altra; ma lo Statuto fu profondamente modificato circa i diritti del Senato quando, avendo il Senato emesso un voto di sfiducia al gabinetto di Agostino Depretis, questi si alzò e pronunciò cinque semplici parole: «Il Senato non fa crisi». Da allora il Senato non ha avuto più l’autorità di determinare crisi di governo. Ancora: quello che era in realtà il Governo cosiddetto costituzionale, nominato dal re, finì per trasformarsi, prima del 1922, in un Governo parlamentare, il quale aveva la fiducia della Camera dei Deputati e non occorreva che avesse la fiducia del Senato.
Quello che importa sostanzialmente, dunque, nell’esaminare le Costituzioni che possono fornire esempi, non è la loro lettera, ma la loro vita. Qui si può osservare che i due sistemi, presidenziale e parlamentare, nella loro vita effettiva, si sono andati avvicinando l’uno all’altro e stanno avvicinandosi ancor più, cosicché noi assistiamo già e assisteremo sempre più quasi al fenomeno di obliterazione della distinzione tra l’un sistema e l’altro.
È evidente che il sistema presidenziale presenta dei difetti grandissimi: può dar luogo ad abusi da parte del Presidente, il quale ha una grande autorità. A tale proposito è stato detto che questi abusi hanno negli Stati Uniti d’America scarsa importanza inquantoché esiste il federalismo. Ma si deve aggiungere che coloro che negli Stati Uniti si occupano di questo argomento non mettono in evidenza una connessione diretta tra il sistema federativo e la riduzione della possibilità di abusi da parte del Presidente. Negli Stati Uniti, Presidente nazionale e governatori statali possono abusare, ciascuno nel proprio campo, senza freni reciproci. E, del resto, negli Stati del Centro e del Sud America, che hanno pure un ordinamento federativo, il sistema presidenziale dà luogo a dittature che si succedono l’una all’altra nonostante il federalismo.
Se negli Stati Uniti il sistema presidenziale non ha dato luogo a quegli abusi che si possono temere fondatamente in altri Paesi, ciò deriva da altre circostanze e soprattutto dall’esistenza di un potere giudiziario indipendente, il quale in fondo trova la sua forza anche qui in due o tre parole inserite nella Costituzione, per cui il Congresso può fare soltanto delle leggi per l’applicazione della Costituzione. Su queste poche parole si è eretto tutto il sistema giudiziario, il quale si contrappone ed agisce come freno tanto per il Congresso quanto per il Presidente. Ma anche questo potere giudiziario si è creato per virtù di uomini, soprattutto per virtù di un grande giurista che ha presieduto per trent’anni la Corte degli Stati Uniti – il giudice Marshall – che ha impresso per un secolo la sua personalità preminente su l’interpretazione della legge costituzionale. Se alle origini del sistema del potere giudiziario nord-americano ci fosse stato un altro uomo, che avesse interpretato diversamente i rapporti fra i poteri, forse anche questo controllo costituzionale non ci sarebbe stato. In sostanza, non la Corte Suprema, ma tutto l’ordine giudiziario esercita sulle leggi il controllo costituzionale, che finisce per essere imperniato sull’idea che i nove giudici della Corte Suprema si fanno non di quello che è scritto nella Costituzione, ma di quello che, a loro avviso, deve intendersi scritto, secondo l’interpretazione che essi ne dànno. È il criterio della giusta legge, il criterio della legge comune – della common law – che si è introdotto attraverso i giudici.
Non si può nemmeno dire che il freno agli abusi del regime presidenziale negli Stati Uniti derivi dalla forza dei partiti, perché non si deve credere che in realtà i due partiti tradizionali, repubblicano e democratico, siano delle forze che esercitino quell’influenza che taluno suppone. Sono le persone che vengono presentate agli elettori: sono stati Roosevelt e i suoi avversari, domani saranno Truman, MacArthur, o il Senatore Taft; e la battaglia elettorale si combatte sulle persone dei candidati alla presidenza o, nelle singole circoscrizioni, alla carica di deputati o senatori. E poi nella formazione della legge non intervengono soltanto i partiti, ma intervengono molte altre organizzazioni sezionali che non hanno niente a che fare con i due grandi partiti fondamentali: intervengono le organizzazioni di interessi, le organizzazioni regionali e molte volte accade che le leggi più importanti siano votate non da un partito contro l’altro, ma da un gruppo di maggioranza formato da appartenenti ad ambedue i partiti, contro altri raggruppamenti pure di ambedue i partiti. Per esempio, il trattato recentemente concluso tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra per il prestito di 4.400.000.000 di dollari è stato votato da una maggioranza composta da democratici e da repubblicani contro una minoranza composta pure da democratici e repubblicani. Vi sono state, cioè, persone che hanno «tradito» i loro partiti; fatto abbastanza normale, soprattutto nei casi che eccitano le passioni interne. Non si può nemmeno dire che il sistema dei partiti abbia influenza nell’impedire o accrescere le possibilità di abusi da parte del Governo presidenziale, perché il Presidente non è veramente sicuro del suo partito se non nel primo anno della sua vita presidenziale, quando avviene la distribuzione delle spoglie. Nel primo anno di nomina, il Presidente dispone di una grandissima parte dei posti governativi (non di tutti, perché i maggiori, i più importanti, quelli del servizio civile, sono stati da leggi particolari sottratti all’arbitrio presidenziale) e di cariche che servono a tacitare la massa degli elettori: per esempio, attraverso il Post-master, il Ministro delle Poste, dispone di una grande massa di posti e finché non li ha tutti distribuiti tiene a freno il proprio partito: ma dopo, compiuta la distribuzione delle spoglie, i membri del partito possono cominciare a ribellarglisi e spesso gli si ribellano. Infatti accade sovente che molte votazioni fondamentali non avvengono secondo la linea distintiva dei partiti, ma secondo altri criteri che sono economici o sociali, ma soprattutto di interesse regionale: basta ricordare il caso dei tre o quattro senatori degli Stati produttori di argento, i quali riescono ad ottenere permanentemente la votazione di leggi in favore dell’argento. Proprio ieri negli Stati Uniti è stato aumentato il prezzo dell’argento da 75 a 90 cents per oncia, per influenza di questi senatori; e non è possibile liberarsi da questa influenza, perché, altrimenti, costoro creerebbero ostruzionismi in altri campi.
Il sistema presidenziale eccita negli Stati Uniti critiche continue, di cui la più importante è stata rilevata dal relatore Mortati, ed è che non esiste in esso una comunicazione tra potere esecutivo e potere legislativo. È vero che i segretari di Stato possono presentarsi dinanzi ai comitati, ma questa loro presentazione si rileva quasi sempre poco efficace, in quantoché tradizionalmente i comitati sono moltissimi. Tra le due Camere del Congresso vi sono più di cento comitati, i quali si occupano dei diversi gruppi di leggi e sono indipendenti gli uni dagli altri. Per tradizione secolare questi comitati sono importantissimi, inquantoché in essi si insediano gli anziani, ossia vi si fa carriera: un rappresentante senatore comincia da zero e, via via, procede in uno o due comitati, fino a diventarne Presidente di diritto per anzianità: altra consuetudine dalla quale non si riesce a liberarsi. Diventando presidenti per anzianità, essi dispongono della legislazione e fanno sì che i disegni di legge «raccomandati» dall’amministrazione (il Governo non presenta direttamente i disegni di legge, ma li fa raccomandare dai propri amici, che sono distribuiti nei diversi comitati) siano più o meno presto discussi ed approvati. Se il Presidente fa ostruzionismo alla discussione ed alla approvazione di un disegno di legge in un comitato, quel disegno di legge non va avanti. Può darsi che, per anzianità, i presidenti dei singoli comitati appartengano a partiti diversi da quello al quale appartiene il Capo dello Stato, ed allora la legislazione risulta di una lentezza straordinaria; ed è molto facile per il potere legislativo mettere pastoie all’opera del potere esecutivo. Né si sa mai se un disegno di legge presentato dal potere esecutivo possa essere approvato, a causa della gelosia tra potere legislativo e potere esecutivo e della varia composizione dei cento e più comitati, in cui si dividono i due rami del Congresso, ognuno dei quali, attraverso il Presidente, determina la data alla quale si devono esaminare i disegni di legge, la durata della discussione, e se debbano essere o no discussi.
Un altro elemento che rende difficile la collaborazione tra potere esecutivo e potere legislativo nel sistema presidenziale americano – se si vuole costruire un sistema presidenziale, bisogna evidentemente tener conto di questo difetto – è quello della diversa durata delle Camere e del potere presidenziale. Quando è eletto il nuovo Presidente, si elegge una parte delle Camere, e quindi può darsi che il nuovo Presidente non abbia neppure la maggioranza nelle due Camere. Questo poi si verifica più frequentemente nel secondo biennio, perché è più facile allora che, per l’oscillare del pendolo elettorale, il corpo elettorale nomini senatori contrari alla politica del Presidente, il quale nel secondo biennio della durata del suo potere si trova spesso dinanzi ad una fronda, che nelle due Camere legislative rende impossibile la legislazione. Infatti, una conclusione alla quale sono arrivati tutti coloro che si sono occupati di questo argomento negli Stati Uniti è che il potere presidenziale in quel Paese funziona bene soltanto in tempo di guerra; ma all’infuori di quel periodo, subisce non di rado, anche con presidenti di grande autorità, una dopo l’altra delle sconfitte sui punti essenziali della sua politica, per il continuo dissidio fra potere esecutivo e potere legislativo. In tempo di guerra funziona, solo perché le due Camere abdicano ai propri poteri, conferendo i pieni poteri al Presidente.
Quindi, non solo sono frequenti le proposte, ma c’è un avviamento alla modificazione del sistema presidenziale negli Stati Uniti, ed uno dei passi più importanti in questo senso è stato compiuto dal Segretario di Stato, Ministro degli esteri, Cordell Hull, durante la guerra. Egli si è posto questo quesito: «cosa accadrà quando il Congresso sarà chiamato ad approvare il trattato di pace? Avremo la ripetizione dell’esperienza di Wilson?». Wilson si trovò alla fine della prima guerra mondiale senza pieni poteri, contro una minoranza irriducibile del Senato, dove, per approvare il trattato, occorreva una maggioranza di due terzi; onde quella minoranza rese impossibile l’approvazione del Covenant per la Società delle Nazioni e del trattato di pace tra le Nazioni alleate ed i Paesi vinti. Cordell Hull pensò che era necessario creare un organo di collegamento tra l’amministrazione ed il Senato: non solo è andato ripetutamente dinanzi al Senato, che è l’organo decisivo per i trattati internazionali, ad esporre e difendere la sua politica di intervento degli affari mondiali, la sua politica anti-isolazionista, ma ha creato un comitato, che durante la guerra era composto di membri di ambo i partiti, il quale approvasse preventivamente le sue idee, che erano poi quelle della costituzione e dell’organizzazione delle Nazioni Unite e di un trattato di pace unitario, così da assicurarsi il consenso preventivo da parte del Senato. Questo è il primo organo di collegamento che è stato istituito senza bisogno di una modificazione costituzionale, perché è compatibile con la Costituzione esistente, e che si pensa di perfezionare e rendere permanente.
Molti accennano all’idea, pur rimanendo il Gabinetto un complesso di segretari di Stato di nomina puramente presidenziale, di allargare questo Gabinetto ad un numero equipollente di rappresentanti delle grandi commissioni parlamentari. Invece di avere quel numero strabocchevole di commissioni, che sono padrone della legislazione (di cui ha parlato prima) se ne dovrebbe, cioè, avere un numero più ridotto. Poiché i segretari di Stato sono nove, si dovrebbero avere nove commissioni per il Congresso e nove per la Camera dei rappresentanti, che potrebbero costituire commissioni miste; ed i relativi presidenti farebbero parte del Gabinetto: nominati dal Presidente, ma sostanzialmente di emanazione parlamentare. Così, il Parlamento potrebbe conoscere in precedenza ciò che il Governo vuol fare. Oggi, data la separazione dei poteri (questo è l’inconveniente gravissimo del sistema presidenziale), il Gabinetto preordina i disegni di legge, ma le due Camere non ne sanno niente, perché non hanno propri rappresentanti nel Governo, e quindi non possono preventivamente darne un proprio giudizio. I disegni di legge arrivano per interposte persone, i cosiddetti amici del Presidente, alle due Camere i cui comitati hanno verso di essi un atteggiamento di sospetto, perché sono disegni provenienti dal potere esecutivo, su cui le due Camere non hanno alcuna influenza e con cui non hanno nessun collegamento. Se, invece, nel Gabinetto, accanto ai ministri segretari di Stato, che governano le singole amministrazioni, ci fossero altri nove segretari di Stato rappresentanti delle due Camere, questi interverrebbero nella formulazione dei disegni di legge, che arriverebbero alle due Camere sotto l’aureola dell’accettazione da parte dei delegati di queste.
Si osserva, dunque, negli Stati Uniti la necessità di un avvicinamento del sistema presidenziale al sistema parlamentare, la necessità di far sì che il Parlamento abbia voce nella formazione dei disegni di legge preventivamente alla loro presentazione ai due rami del Congresso. Tutti sono d’accordo nel ritenere che, se questo non si fa, il sistema presidenziale, anche quando una forte personalità è a capo del Governo, può agire soltanto in circostanze straordinarie, quando il nemico batte alle porte. Fuori di questi casi eccezionali anche un uomo forte, che si trovi a capo del potere esecutivo, anche un Presidente che emani indubbiamente dal popolo, si trova nell’impossibilità di sormontare, salvo nel primo anno dopo la sua elezione, l’opposizione gelosa del Congresso. Onde una specie di stasi, di impossibilità di funzionamento. Questa è l’opinione – pare – prevalente in quei Paesi, della quale già si comincia a tener conto di fatto e per la quale si vogliono cercare dei rimedi.
Il sistema presidenziale americano, dunque, ha funzionato nei momenti di emergenza del Paese, e nei momenti in cui a capo del Governo si trovavano personalità molto eminenti. Ma questo negli Stati Uniti avviene molto raramente: la norma è quella di presidenti ordinari, i quali vanno benissimo per i tempi di pace, ma vanno incontro all’inconveniente che non possono esercitare una influenza sulla legislazione e si trovano bloccati dall’eterno contrasto col potere legislativo.
D’altro canto, non si può dire che il sistema parlamentare, così come oggi tende ad evolversi, sia così differente dal sistema presidenziale, come si può immaginare. L’esperienza ricordata dal Relatore onorevole Mortati mette in luce la evoluzione che si è andata verificando nel sistema parlamentare, perché sempre di più nei Paesi d’origine del sistema parlamentare, quello che acquista importanza prevalente, al di sopra del Gabinetto, al di sopra della Camera dei comuni – non parliamo della Camera dei Lords, che ha una funzione prevalentemente ritardatrice – è il Primo Ministro. Questa figura del Primo Ministro nelle leggi non era neppure conosciuta di nome trent’anni fa; era uno qualunque dei membri della Camera dei comuni, il quale, quando si doveva presentare alla sbarra della Camera dei Lords per sentire il discorso della Corona, era confuso insieme con tutti gli altri membri della Camera dei comuni, e non era nemmeno il più alto nelle precedenze tra i membri del Gabinetto. Allora il Lord presidente del Consiglio, che oggi non è niente, aveva, invece, teoricamente, dignità molto maggiore di quella del Primo Ministro. Adesso, da una trentina di anni, questa figura è almeno ricordata nelle leggi. Ma la realtà è che il vero capo della legislazione è il Primo Ministro, che non è di fatto scelto dalla Camera dei comuni, la quale non lo designa neppure. La forma può essere quella della designazione della Camera, ma è pura forma; la realtà è del tutto diversa, ed è quella stessa che si verifica negli Stati Uniti. Nello stesso modo come negli Stati Uniti, ogni quattro anni, la popolazione nel suo complesso nomina il Presidente, che è il capo ispiratore del potere esecutivo, e che tende anche ad essere – e lo è nei momenti supremi – l’ispiratore della legislazione, in Inghilterra è il popolo che designa il Primo Ministro, è il popolo che lo elegge. Non è il partito laburista che abbia designato Attlee; non è il partito conservatore che abbia designato Churchill: è il popolo che ha indicato, nelle elezioni, Churchill e Attlee, come capi dei partiti mandati al potere. Le masse dei due partiti hanno seguito questi due capi. La legge è quella che è (e in Inghilterra non c’è nemmeno la legge); il costume è quello che è; ma quello che di fatto esiste è che nessun partito oserebbe ribellarsi a colui che è designato dal corpo elettorale come capopartito: questi è il vero padrone del partito, è il vero padrone della distribuzione dei posti.
In Inghilterra il numero dei posti ministeriali è enorme: tra ministri ed altri personaggi variamente denominati, si hanno settanta o ottanta membri del governo, i quali hanno minore o maggiore importanza secondo l’importanza che dà ad essi il Primo Ministro. È il Primo Ministro che li sceglie e stabilisce quali sono quelli con cui si deve consultare di volta in volta, secondo le deliberazioni che intende prendere. Il vero capo, colui che veramente forma il Governo e lo ispira, è il Primo Ministro. I Ministri e i Sottosegretari sono uomini di fiducia del Primo Ministro: perciò si dà il caso, che in Italia non si può dare, che un Governo di coalizione funzioni, in quanto i membri di esso non sono designati dai vari partiti; i membri di un Gabinetto di coalizione sono uomini di fiducia del Primo Ministro, che hanno accettato di diventare membri di un Governo di coalizione in quanto nominati da lui, e sanno che la loro vita ministeriale dipende dal Primo Ministro e non dal proprio partito. È questa convinzione che fa sì che i Governi di coalizione – che si hanno però soltanto in tempo di guerra – possano durare. E anche i partiti non possono esercitare una influenza molto grande sul Capo del Governo, perché non sono i partiti che dominano il Gabinetto, ma è il Capo del Governo il quale ha avuto la fiducia dal corpo elettorale ed è sicuro di esser seguito, mentre invece, se avesse la fiducia dei deputati, potrebbe anche ad un certo momento vederla venir meno.
Il sistema parlamentare inglese funziona in quanto è congegnato in quella maniera, in quanto cioè la figura dominante è quella del Primo Ministro, il quale può anche – ove creda che si siano verificate delle ribellioni nel suo partito, o che la coalizione non possa più funzionare – presentare al Sovrano la proposta di scioglimento. Questa facoltà di scioglimento, che esiste in Inghilterra, non esiste invece negli Stati Uniti; circostanza che vi è considerata come uno dei difetti più gravi del sistema presidenziale; onde le proposte si moltiplicano allo scopo di dare al Presidente della Confederazione la facoltà di scioglimento.
Naturalmente per il caso di uso della facoltà discioglimento delle due Camere, coloro i quali avanzano questa proposta, la fanno coincidere con l’altra: che lo scioglimento del Congresso implichi anche nuove elezioni presidenziali, cosicché gli elettori manifestino contemporaneamente la propria opinione sul dissidio che si è manifestato tra il presidente e le due Camere. Si reputa da molti negli Stati Uniti che il sistema presidenziale, se potrà superare i pericoli che lo minacciano e che, oltre a quelli internazionali, possono essere anche interni a causa della complicazione sempre crescente della vita sociale e politica del Paese, non potrà comunque funzionare se non con questo correttivo. Il quale avvicinerebbe il sistema presidenziale a quello parlamentare, mentre il sistema parlamentare tende a sua volta ad evolversi in senso opposto.
Termina dicendo che ha creduto bene di fare queste osservazioni per evitare che, discutendosi della scelta tra il sistema presidenziale e quello parlamentare, si configurino questi due sistemi come qualche cosa di rigido, come nettamente differenziati l’uno dall’altro. È opportuno tener conto dell’evoluzione che si è verificata nell’uno e nell’altro sistema, per la quale il primo tende già – e molti affermano che deve tendere ancora di più – ad avvicinarsi al secondo, con una comunicazione tra le due Camere e il potere esecutivo, con la presenza nel Gabinetto di membri eletti dai due rami del Congresso, col diritto da parte del Presidente di promuovere nuove elezioni dei due rami del Congresso e sue proprie contemporaneamente; e d’altra parte, il secondo tende ad avvicinarsi al primo col dare una figura preminente nel governo del Paese al Primo Ministro; il quale è in realtà il vero padrone della legislazione. Teoricamente in Inghilterra, ai singoli membri della Camera spetta sempre il diritto di presentare disegni di legge; ma è un diritto puramente astratto, perché in realtà nessun disegno di legge ha probabilità di essere approvato se non è presentato dal Governo, non solo per le materie finanziarie (e questo è un principio indiscusso, perché il disordine delle finanze sarebbe la conseguenza logica del diritto di iniziativa dei membri delle due Camere in questa materia), ma di fatto anche nelle altre materie. Per ogni legislatura inglese si potrà trovare forse un deputato che sia riuscito a fare approvare un suo disegno di legge; e quel deputato diventa famoso, perché è riuscito in una cosa difficilissima, in quanto il tempo concesso per la discussione dei disegni di legge presentati dai singoli membri della Camera è minimo, cosicché praticamente la loro approvazione, salvo casi rarissimi, è impossibile.
AMBROSINI ritiene essere ormai opinione generale che fra le varie forme di governo che vengono oggi in esame, la più adatta al nostro paese sia quella parlamentare.
Il regime presidenziale non si confà alla nostra tradizione ed alle esigenze della nostra vita politica. Il principio della separazione dei poteri con la conseguente non diretta ed efficiente comunicazione e collaborazione fra potere legislativo ed esecutivo – che si ha, quantunque non spinto alle estreme conseguenze, in tale regime – causerebbe da noi inconvenienti maggiori di quelli che a volte si lamentano negli Stati Uniti, giacché le necessità attuali della vita del Paese richiedono più che mai una collaborazione attiva fra i due poteri, in modo che le esigenze segnalate dall’esecutivo e le proposte relative di leggi da esso avanzate siano subito prese in esame dagli organi legislativi. Il che è molto più facile col funzionamento proprio del regime parlamentare.
Occupandosi dell’evoluzione del sistema statunitense l’onorevole Einaudi ha parlato della tendenza che si va manifestando affinché siano immessi nel gabinetto i rappresentanti di nove commissioni parlamentari, ed ha inoltre accennato alla richiesta da taluno avanzata che si dia al Presidente la facoltà di scioglimento della Camera dei rappresentanti.
Ma questi non sono che sintomi dell’affermazione di nuove esigenze costituzionali, che non può sapersi se e quando verranno concretamente soddisfatte. Comunque può osservarsi che, se effettivamente si arrivasse all’adozione delle suaccennate misure, non potrebbe allora più parlarsi di regime presidenziale, perché questo ne risulterebbe così profondamente trasformato da perdere una delle sue caratteristiche principali, che va riguardata anche sotto l’aspetto dei poteri del Presidente e della composizione del ministero.
L’elezione del Presidente statunitense si basa sulla competizione di due partiti. L’eletto è il rappresentante del partito di maggioranza, ed assume l’esercizio di tutto il potere esecutivo, oltre che una indiretta interferenza nel legislativo col diritto di veto, sia pur di efficacia limitata, alle leggi votate dal Congresso. Ma l’esecutivo lo ha tutto nelle sue mani non solo come titolare, ma anche come capo effettivo. Negli Stati Uniti non c’è un primo ministro.
I segretari di Stato, cioè i ministri, sono nominati liberamente dal Presidente, all’infuori delle Camere. Occorre l’assenso del Senato. Ma dopo di ciò non si ha alcuna ingerenza degli organi legislativi. I ministri debbono seguire ed applicare le direttive del Presidente e sono responsabili soltanto di fronte a lui, e non di fronte alle Camere, le quali non possono quindi costringerli a dimettersi con la votazione di mozioni di sfiducia.
Un simile congegno, che è caratteristico del regime presidenziale, non sarebbe tollerato nel nostro Paese, perché il Parlamento non rinuncerebbe mai al diritto di sindacato politico sul Governo.
Passando al regime direttoriale rileva che deve considerarsi anch’esso non adottabile, nemmeno parzialmente, giacché in tale regime il Governo non ha un carattere preminentemente politico, nel senso che non ha una propria personalità autonoma di fronte all’Assemblea; il che non corrisponde alla nostra tradizione ed alle nostre esigenze che postulano la necessità di un Governo forte, che sia responsabile del suo operato, ma che abbia il diritto di iniziativa e, finché resta in carica, la piena padronanza della condotta dell’esecutivo; attribuzioni indispensabili in un grande Stato, e specie nella complicata e difficile situazione odierna del nostro Paese.
Non resta quindi che adottare il regime parlamentare. L’onorevole Einaudi ha prospettato incisivamente l’evoluzione che negli ultimi tempi ha subito questo regime in Inghilterra, con la designazione del Premier fatta sostanzialmente dal corpo elettorale nelle elezioni generali, e con l’assunzione da parte del Premier di una somma di poteri tali, che possono indurre a ritenere che il regime parlamentare quasi si avvicini in questo punto a quello presidenziale. L’osservazione è interessante e giusta. Per quanto ci riguarda c’è da domandarsi se questo tipo speciale di regime parlamentare sarebbe applicabile in Italia. Purtroppo non se ne ha la possibilità, almeno nella situazione attuale.
Il sistema inglese presuppone l’esistenza di due grandi partiti, uno di maggioranza e l’altro di minoranza, che si alternano al potere; cosicché è agevole e naturale che al momento stesso in cui si conosce il risultato delle elezioni generali si sappia chi sarà nominato Primo Ministro, ed è agevole e naturale che questi scelga i ministri suoi collaboratori nel seno del suo partito, quello di maggioranza, e conseguentemente si venga ad avere un Gabinetto unitario, omogeneo.
Ora ciò non è possibile in Italia e in altri Paesi, per la semplice ragione che, esistendo molti partiti, nessuno dei quali ha la maggioranza assoluta, non si può dire al momento in cui si conoscono i risultati delle elezioni quale partito e più precisamente quale uomo politico assumerà la direzione del Governo; né tanto meno si può arrivare alla costituzione di un Gabinetto unitario ed omogeneo.
La formazione del Governo è più difficile ed è il risultato di una serie spesso necessariamente non breve di consultazioni e di intese. Da questo travaglio non può nascere infine che un Governo di coalizione.
Ciò presenta molti inconvenienti, ma è il risultato fatale della situazione politica.
In tale stato di cose, sembra che non sia possibile altro che ricorrere al regime parlamentare del tipo più adatto alla situazione suddetta, e col mantenimento di alcuni istituti collaudati dall’esperienza, ed anzitutto di quello della stabilità del Capo dello Stato.
Bisogna evitare che si affacci in qualsiasi modo la prassi costituzionale della Terza Repubblica francese, che diminuiva il prestigio ed i poteri del Presidente col sistema di costringerlo a dimettersi, quando non fosse più gradito alla maggioranza, prima ancora della scadenza del periodo di tempo previsto dalla Costituzione.
Non potendosi ottenere la stabilità del Capo del Governo, occorre, per il buon funzionamento del potere esecutivo, che sia mantenuta la stabilità del Capo dello Stato, salvo soltanto nel caso eccezionalissimo in cui egli sia posto in stato di accusa per delitto o per violazione della Costituzione.
Bisogna inoltre evitare che il Capo dello Stato venga ridotto ad una figura puramente rappresentativa.
Nel regime parlamentare, il potere esecutivo spetta a due organi: il Capo dello Stato ed il Governo. L’iniziativa, la condotta del Governo e la conseguente responsabilità, sono in concreto del primo Ministro e degli altri ministri; ma questi, e specie il Primo Ministro, debbono mantenersi in continuo contatto col Capo dello Stato per arrivare ad una proficua collaborazione.
Il Capo dello Stato non va estraniato dalla condotta del Governo; in altri termini, non va ridotto ad un puro organo di rappresentanza e di registrazione. Né è a temere che possano derivare danni dall’attribuzione di adeguati poteri al Capo dello Stato, specie quando si tenga presente che egli deriva la sua funzione dalle elezioni, qualunque sia il sistema che sarà per essere scelto.
Riguardo al Governo, deve considerarsi interessante la proposta dell’onorevole Mortati di adozione di un sistema con cui si cercherebbe di assicurare in via di massima la permanenza al potere, cioè la stabilità del Governo, per due anni. Tutto sta nel vedere se il sistema può riuscire applicabile ed efficiente non solo nei riguardi dei contrasti fra Parlamento e Governo, ma anche in caso di contrasti o di divergenze di vedute che insorgano nel seno del Governo. In questo secondo caso, che non è da escludere, dato il carattere di coalizione che avrà il Governo, il funzionamento del proposto sistema appare molto difficile. L’argomento merita la più attenta considerazione e verrà ripreso quando si passerà a trattare in modo specifico del Governo.
Per le considerazioni esposte, ritiene che il regime che naturalmente viene in considerazione sia quello parlamentare, con i temperamenti e gli accorgimenti che le condizioni del Paese possano consigliare specialmente per garantire una maggiore stabilità al Governo ed evitare la degenerazione del sistema nel parlamentarismo.
La seduta termina alle 19.10
Erano presenti: Ambrosini, Amendola, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.
In congedo: Rossi Paolo, Vanoni.
Assenti: Maffi, Targetti.