Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 3 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

7.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 3 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Discussione)

Presidente – Mortati, Relatore – Tosato – Uberti – Porzio – Lussu – Cappi – Piccioni.

Sull’ordine della discussione

Finocchiaro Aprile – Presidente.

La seduta comincia alle 17.

Discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE avverte che i Relatori, in una loro riunione, hanno riconosciuto l’opportunità che l’onorevole Mortati, Relatore sul tema: «potere legislativo» faccia una premessa sulle questioni della forma del Governo e dei rapporti fra i poteri, come introduzione alla trattazione specifica dei tre poteri.

MORTATI, Relatore, comunica di avere compilata una relazione che sarà distribuita in bozza ai membri della Sottocommissione, e premette che, per procedere ad una scelta, bisogna cominciare col fare alcune classificazioni generalissime così da fissare qualche primo orientamento. Ed un primo orientamento potrebbe prendersi su questo punto: fare una Costituzione in cui al popolo sia affidata una funzione di preposizione alla carica dei titolari degli organi costituzionali elettivi, oppure una Costituzione in cui il popolo abbia il potere di designare anche gli indirizzi politici, e sia quindi organo di espressione di una concreta volontà politica? Questo sembra sia ormai un punto superato: la tendenza delle democrazie moderne è nel senso che il popolo non è più inteso, come nel secolo scorso, come organo di decisione politica. Comunque è questo un primo punto da sottoporre alla discussione, e che, ad avviso del Relatore, si dovrebbe risolvere affermando la necessità di una Costituzione non meramente rappresentativa, ma di una Costituzione in cui il popolo abbia un potere operante.

In sostanza il problema delle forma dello Stato è il problema dei rapporti fra potere legislativo e potere esecutivo. Ora, la schematizzazione più generale che si può fare in proposito, conduce ad una bipartizione. Vi sono alcune Costituzioni che fanno derivare direttamente dal popolo sia gli organi esecutivi che gli organi legislativi, e questi organi sono fra loro in «rapporto di separazione», nel senso che l’uno non dipende dall’altro; tutti originano dal popolo, ma con forme e direzioni diverse, di modo che l’uno dall’altro è diviso. Questo regime, attuato negli Stati Uniti d’America, porta ad una separazione di funzioni, nel senso che i titolari dell’esecutivo non possono dipendere, né per la loro origine né per il loro funzionamento, dai titolari dell’organo legislativo e viceversa. Sono indipendenti l’uno dall’altro per realizzare il fine che questa forma di governo si propone e cioè che l’un potere impedisca possibilità di abuso da parte dell’altro.

In contrapposto a questo sistema sta il regime parlamentare, che presenta, rispetto al precedente, il vantaggio di stabilire un nesso di omogenizzazione fra l’un potere e l’altro, di modo che non dovrebbero sorgere possibilità di antitesi, di squilibri, di disarmonie fra i due poteri, nel senso che l’uno è derivante dall’altro. L’azione dello Stato dovrebbe procedere con maggior fusione, senza il pericolo di disarmonie e di contrasti.

Queste sono le due forme fondamentali, perché, nella realtà, bisogna differenziare tanti tipi diversi.

Visto che si tratta di concetti generalmente acquisiti, domanda se sia il caso di scendere a dettagli e precisazioni, oppure di iniziare senz’altro la discussione su questi punti, tenendo presente che in questa sede non deve farsi una esposizione di carattere scientifico, ma debbono aversi presenti degli scopi politici che si vogliano raggiungere.

PRESIDENTE ricorda che, quando si è trattato dei problemi delle autonomie, si è richiesta una esposizione anche degli elementi che possono sembrare i più semplici, esposizione che è apparsa utile. Crede quindi opportuno seguire lo stesso sistema, contenendo l’esposizione nei limiti necessari.

MORTATI, Relatore, prosegue rilevando che una scelta di questo genere, fatta in sede politica, implica la conoscenza dei presupposti di carattere giuridico e sociale per cui una forma, in un dato ambiente storico, può apparire preferibile ad un’altra.

Di questi presupposti uno, rispetto alla forma presidenziale, è l’accentramento della funzione esecutiva nel Presidente, il quale deriva la sua origine direttamente dal popolo. Questo importa il pericolo che si accentri in tale organo un complesso di poteri tale che esso possa abusarne. Nel regime nord-americano non esistono controlli alla funzione esplicata dal Presidente: gli organi legislativi si occupano semplicemente della funzione legislativa, e l’attività di controllo sull’esecutivo non esiste, appunto perché si vuole attuare una separazione netta di poteri. Il pericolo di abuso da parte del Presidente importa che il potere dell’esecutivo non sia eccessivamente esteso: si suol dire che un regime di vasto decentramento, o un regime federale, è il presupposto di questo ordinamento di Governo ché, altrimenti, senza questa limitazione derivata dalla struttura decentrata dello Stato, potrebbe dar luogo a gravi inconvenienti.

Una riprova del pericolo di dare allo Staio una tale forma, quando mancano questi presupposti, può trovarsi nella cattiva prova fatta dal Governo presidenziale in Stati che presentavano un assetto accentrato, anziché decentrato.

Un altro inconveniente che può derivare da questo regime è che il potere esecutivo e quello legislativo non siano collegati da nessi che possano armonizzarli. Allora, il potere esecutivo, che deriva da una investitura diversa, segue una politica diversa da quella delle Camere e può verificarsi che il Capo dello Stato, destinato ad imprimere l’indirizzo politico allo Stato, si trovi nell’impossibilità di assolvere a questa sua funzione quando sia in presenza di Camere non omogeneizzate con la tendenza di cui egli è espressione; onde un arresto nel funzionamento dello Stato. Negli Stati Uniti questo pericolo è stato neutralizzato anzitutto dall’esistenza di quella struttura di due partiti che consente quei collegamenti fra i vari organi che non troverebbero altro modo di realizzarsi nelle istituzioni giuridiche. Sono gli istituti politici che suppliscono a questo che potrebbe essere un elemento negativo della struttura giuridica. Un altro mezzo per compenetrare i due poteri è poi l’uso delle Commissioni parlamentari, cui partecipano anche i Ministri che, in America, non hanno veste istituzionale.

Il regime parlamentare presenta, rispetto a quello presidenziale, una maggiore compenetrazione di poteri, compenetrazione che può arrivare, in certe forme, fino alla confusione di poteri. In Inghilterra, il Gabinetto è formato dal partito di maggioranza: in virtù della struttura ben definita dei partiti inglesi, è di fatto il partito di maggioranza che assume il potere e il Capo di tale partito diventa automaticamente Capo del Governo. Naturalmente, questo Capo del Governo, che ha il suo prestigio come dirigente del movimento vittorioso, ha una notevole libertà in ordine alla composizione del Governo, ed ha nel contempo il dominio della Camera, perché, attraverso la sua maggioranza, riesce a far valere la politica di cui è espressione. Vi è quindi compenetrazione fra potere legislativo e potere esecutivo, in modo che la separazione dei poteri viene praticamente meno.

Naturalmente, il funzionamento di questo regime è diverso là dove non sussistono le condizioni che esistono in Inghilterra, specialmente dove si ha una molteplicità di partiti, e dove manca la disciplina in seno a questi partiti. Dove non si hanno chiare designazioni da parte del corpo elettorale, la formazione del Governo è frutto di un complesso di accordi fra le varie correnti che si sono manifestate nelle elezioni e i Governi sono, per lo più, di coalizione e risentono di questa debolezza alla base; donde il danno della instabilità dell’indirizzo politico del Governo e la mutabilità dei Ministeri. Quindi la scelta di un regime o dell’altro è subordinata all’accertamento della esistenza di queste condizioni, che possono farlo funzionare in un modo anziché in un altro.

Vi sono stati dei tentativi per avvicinare queste due forme di Governo, e vi sono avvicinamenti che derivano dal fatto stesso della esistenza di condizioni analoghe.

È stato osservato che il funzionamento del regime parlamentare inglese si avvicina al regime presidenziale perché, in sostanza, l’investitura del potere esecutivo è data dal popolo, direttamente negli Stati Uniti, indirettamente nell’ordinamento inglese, in quanto il Capo del partito che ha ottenuta la maggioranza diventa il Premier. Rimane però sempre la differenza già accennata, nel senso che in Inghilterra avviene quella compenetrazione fra esecutivo e legislativo, che in America si realizza solo quando il partito che ha la maggioranza in sede di elezione del Capo dello Stato è lo stesso partito che ha la maggioranza nelle due Camere.

Ma vi sono dei punti di avvicinamento fra queste due forme contrapposte, anche in via di diritto istituzionale.

Una forma di Governo che contiene elementi dell’uno e dell’altro è il regime direttoriale attuato in Svizzera. Questo fa, allo stesso modo del regime parlamentare, derivare il Governo dal Parlamento, dalle due Camere, che eleggono il Gabinetto; ma ha un elemento differenziale in quanto il Gabinetto è eletto dal Parlamento per un periodo fisso, irriducibile. Il Parlamento, cioè, è vincolato dal voto attraverso cui si forma il Gabinetto e, per tutto il periodo di durata stabilito dalla Costituzione, non vi è possibilità di revocare il Governo.

Occorre ben precisare questo punto differenziale: mentre nel regime presidenziale o direttoriale vi è la certezza di durata, viceversa nel regime parlamentare, in forme varie, possono farsi venir meno gli organi elettivi, sciogliere le Camere e consultare il popolo, per accertarsi della rispondenza degli orientamenti di questi organi con quelli popolari.

Un altro regime che si può chiamare intermedio è quello assembleare, in cui manca il potere di dissoluzione della Camera. Le Camere eleggono, direttamente o indirettamente, il Governo e possono sempre revocarlo in base al principio che il Governo deve riscuotere la fiducia dell’Assemblea, la quale non può essere sciolta prima del periodo fissato. Questa rigidezza avvicina il regime assembleare a quello presidenziale, mentre la dipendenza del Gabinetto dalle Camere lo avvicina al regime parlamentare.

Una discussione, ad avviso del Relatore, potrebbe vertere precisamente su questo punto generalissimo: se scegliere un regime presidenziale o un regime parlamentare; e forse, in via ancor più generale: se adottare il sistema della nomina diretta da parte del popolo per un periodo stabile, fisso, senza possibilità di revoca, ciò che dovrebbe garantire una certa stabilità di indirizzo politico, o se invece adottare l’altro sistema, allo scopo di controllare in ogni momento l’aderenza degli indirizzi rappresentati dagli organi sia esecutivi che legislativi a quelli popolari.

Naturalmente, la scelta implica una conoscenza più particolare del modo di funzionare di questi ordinamenti; e la scelta dovrebbe muovere soprattutto da questo quesito: quale è il fine politico che si intende raggiungere? In questo momento, data la situazione italiana, date le esigenze che si sono manifestate attraverso quella che è stata chiamata la crisi dello Stato, che è un fenomeno di carattere generale, ma che ha avuto influenze speciali, quale è l’interesse politico maggiore che può spingere alla scelta dell’uno o dell’altro sistema?

Se dovesse essere il principio della separazione dei poteri, bisognerebbe affidarsi a quelle forme che garantiscano di più la realizzazione di questa finalità; se, invece, dovesse essere l’assicurazione di una stabilità di indirizzo del Governo, che nello stesso tempo non offra gli inconvenienti che offrono i regimi presidenziali – possibilità di disarmonia fra gli organi esecutivi e gli organi legislativi – bisognerebbe orientarsi verso un regime parlamentare. Ma non potrebbe essere un regime parlamentare puro, simile a quello inglese, o a quello francese del 1875, perché mancano in Italia i presupposti necessari per un buon funzionamento di un tal regime (manca la dualità di partiti; manca la disciplina di partito) e il popolo non potrebbe fare designazioni nette che orientassero nella scelta del Governo, né si potrebbe contare sulla stabilità dell’azione di Governo, perché la stabilità sarebbe compromessa dalle possibilità di crisi derivanti dalla fluidità della situazione politica. Basta infatti il ritiro di un gruppo, anche piccolo, dalla coalizione che ha dato vita al Governo, perché questo Governo debba cadere, con le conseguenze dolorose che si sono constatate nell’altro dopoguerra e che hanno portato a quel discredito delle forme democratiche, di cui si sono subite le conseguenze. Quindi, se si dovesse adottare un regime di indole parlamentare e si dovesse escludere perciò quella rigidezza assoluta che è caratteristica dei regimi presidenziali, bisognerebbe ricorrere ad un sistema misto, ad un sistema, cioè, che avvicinasse le due forme, allo scopo di realizzare l’intento, tenuto conto della situazione italiana.

Personalmente il Relatore pensa che il contemperamento fra le due forme di regime si possa ottenere e ne espone il modo.

Bisogna anzitutto tener presenti tutti gli elementi che debbono entrare in gioco in questa struttura costituzionale. Fra questi elementi dovrebbe essere anzitutto un Capo dello Stato; si dovrebbe, cioè, rinunciare a quelle forme dii Governo che prescindono dall’esistenza di un Capo dello Stato, che a suo avviso è essenziale per gli scopi che esporrà. Quindi: un Capo dello Stato; poi un Governo; Camere – e si vedrà se dovranno essere una o due – e il popolo. Naturalmente bisogna ricondursi al principio democratico, il quale vuole che il popolo sia la fonte di tutti i poteri, non solo, ma anche il mezzo di riequilibrazione nel caso di dissidio tra questi poteri.

La Camera elettiva, o le Camere elettive, dovrebbero esprimere l’indirizzo politico che emerge dalle elezioni. Naturalmente, in quanto manchino le possibilità, i requisiti, i presupposti di fatto perché questo indirizzo politico si manifesti in modo esplicito – poiché, in altri termini, non è possibile fare come si fa in Inghilterra, dove la designazione del Governo emana direttamente o implicitamente dalle stesse elezioni – bisognerà pensare che questa valutazione della situazione politica quale emerge dalle elezioni e dai riflessi nelle assemblee legislative, sia fatta dal Capo dello Stato. Cioè il Capo dello Stato deve valutare quella che è la situazione politica in relazione alle elezioni e deve designare per la composizione del Governo la persona che si suppone più adatta ad esprimere questo indirizzo o gli indirizzi dominanti nei gruppi espressi dalle elezioni popolari.

La designazione da parte del Capo dello Stato, in virtù del principio proprio del regime parlamentare per cui il Governo deve riscuotere la fiducia delle Camere, deve essere in un certo modo controllata e approvata dalle Camere; cioè le Camere non si devono limitare a prendere atto della costituzione di questo Governo, o meglio della designazione di questo Capo del Governo, ma devono discutere, appena il Governo si presenti ad esse, l’indirizzo politico di cui il Governo stesso è l’espressione e che deve rendere esplicito attraverso l’enunciazione di un programma preciso; e devono esprimere un voto di fiducia. Quindi dovrebbe sancirsi espressamente nella Costituzione che il Governo può effettivamente rimanere in carica ed esercitare le sue funzioni in quanto abbia un espresso voto di fiducia sulla base del suo programma politico, che sia motivato dal consenso dato a questo programma.

I dettagli circa il modo della designazione; se debba avvenire solo nei riguardi del Capo del Governo o anche dei Ministri; se il Governo, per ottenere la fiducia debba presentarsi alle Camere solamente nella veste del Presidente o anche in concorso coi singoli Ministri, potranno essere esaminati in un secondo momento. Per una esposizione in termini generali bastano gli elementi accennati.

L’innovazione rispetto al regime parlamentare dovrebbe consistere nel prescrivere che il voto di fiducia esplicito, motivato sulla base di un programma concreto, debba vincolare la Camera a mantenere in vita il Governo per un certo periodo di tempo, che il Relatore propone in due anni, ma che potrebbe variare in base ad altre considerazioni. Si avrebbe così una specie di regime direttoriale, quale si ha in Svizzera, ove il periodo coincide con quello di vita dell’Assemblea nazionale. Questo elemento che si assume dal regime direttoriale, corrisponderebbe all’esigenza preminente dei regimi democratici moderni di dare forza, stabilità e autorità al potere esecutivo, perché la instabilità dei Governi è il danno peggiore che possano lamentare i vari paesi, in quanto ne deriva l’impossibilità di seguire una linea logica, di svolgere un programma coerente che risponda alle esigenze del Paese; e quindi il discredito della democrazia.

Naturalmente, v’è da porsi questo quesito: che cosa avviene se in questo periodo di due anni – o quale potrà essere determinato – si verifichino delle disarmonie fra Camere e Governo? Ma perché questo regime possa riuscire proficuo, bisogna superare la mentalità parlamentaristica. È un regime che si formerà col costume, e in ogni caso dovrà intervenire il popolo come giudice del dissidio. Ma quando il dissidio si riveli tale da non poter essere in nessun altro modo eliminato, bisogna contare anche su questo fattore psicologico, cioè su un superamento della mentalità parlamentaristica che pone il Governo alla mercé della Camera; si deve far penetrare nell’animo, nel pensiero, nel costume dei parlamentari la concezione che il Governo deve avere una sua autonomia; deve godere la fiducia della Camera, ma, una volta concessa questa fiducia sulla base di un consenso motivato, la Camera deve dare al Governo la necessaria autonomia, affinché esso possa adempiere la funzione che gli è propria.

Ammesso che si realizzi questo presupposto, bisogna pur attenuare l’eccessiva rigidezza del regime direttoriale; e la presenza del Capo dello Stato, che viceversa in Svizzera non esiste, potrebbe precisamente dare la possibilità di questo temperamento. Si dovrebbe accordare al Capo dello Stato la possibilità di intervenire in qualche modo per sanare il dissidio che può verificarsi tra questi organi.

Quali possono essere le cause del dissidio? Può essere anzitutto l’inadempimento, o meglio, per andare all’ipotesi più semplice, le manchevolezze nell’azione di governo delle persone designate: può il Capo di un Governo sforzarsi di attuare il programma, essere fedele a questo programma, ma non avere la capacità politica necessaria per realizzarlo. Può, insomma, aversi crisi di uomini. Ma può verificarsi invece una ipotesi più complessa, cioè che il dissidio politico sorga dal fatto che il programma già approvato non goda più il consenso di quella maggioranza che si era raccolta intorno ad esso: ipotesi facile a verificarsi, quando si pensi che nel caso di un Gabinetto di coalizione basta il ritiro di uno dei gruppi che lo appoggiano perché la maggioranza venga meno. Poi vi può essere una terza ipotesi: cioè che l’armonia tra le Camere e il Governo sussista, ma si tratti di approvare misure di carattere eccezionale che non sono state oggetto di valutazione politica. Infine, per un mutamento verificatosi nello spirito pubblico in seguito ad avvenimenti eccezionali può venir meno la concordanza fra Corpo elettorale ed organi elettivi.

Queste sarebbero le ipotesi-tipo la cui valutazione dovrebbe spettare al Capo dello Stato. L’impegno di rispettare la vita del Governo per un periodo determinato dalla Costituzione dovrebbe far sì che il dissenso su misure particolari non portasse necessariamente al ritiro del Governo o alle dimissioni dei Ministri proponenti; ma dovrebbe esservi un potere discrezionale del Capo dello Stato. Un giudizio sfavorevole su singole misure non dovrebbe produrre la crisi; non dovrebbe consentirsi alle Camere di revocare la fiducia in qualsiasi momento e su qualsiasi punto, come, ad esempio, col rifiuto del bilancio, col rigetto di una determinata misura legislativa, ecc.; insomma, la Camera non dovrebbe avere il potere di esigere il ritiro del Governo quando si manifestassero dissensi su particolari, ed unico organo idoneo a valutare la possibilità di una modificazione o di una riduzione del periodo fissato dalla Costituzione per la vita del Governo, dovrebbe essere il Capo dello Stato, con potere discrezionale.

Il Capo dello Stato, quando constatasse che il contrasto fra Assemblea e Governo è sistematico, tale cioè da escludere la possibilità di una conciliazione, dovrebbe esigere – e questo è un punto fondamentale in un simile sistema di ordinamento dei poteri – un voto esplicito delle Camere circa le ragioni del dissenso; e quando vi fosse un voto motivato di dissenso della Camera dalla politica del Governo, egli dovrebbe valutare la convenienza di revocare il Ministero, oppure di procedere allo scioglimento della Camera.

Affidando indiscriminatamente al Capo dello Stato il potere di regolare i conflitti tra Camera e Governo si correrebbe però il rischio di dar vita a degenerazioni in senso presidenziale; il Capo dello Stato, cioè, potrebbe indursi ad esercitare un potere personale: pericolo da evitare, presso di noi, per ragioni presenti a tutti.

I poteri del Capo dello Stato sono appunto perciò strettamente legati alla procedura della sua nomina. Quella plebiscitaria gli darebbe un prestigio assai forte di fronte alle Camere; d’altra parte deferire la nomina del Capo dello Stato alla Camera o alle Camere riunite non pare opportuno, in quanto scemerebbe l’autorità del Capo dello Stato, che deve essere l’arbitro dei conflitti fra Governo e Camera. Anche il temperamento di stabilire una durata in carica del Capo dello Stato più prolungata di quella della Camera non eliminerebbe gli inconvenienti e non assicurerebbe la necessaria indipendenza del Capo dello Stato nei confronti del Parlamento. Perciò il Relatore propone di fare eleggere il Capo dello Stato da gruppi sociali che siano particolarmente interessati al mantenimento di quell’equilibrio di cui il Capo dello Stato è in certo modo il tutore, in virtù della sua funzione moderatrice e, come si dice in Francia, neutra, che lo pone al disopra dei partiti.

Queste forze sociali in uno Stato che debba essere organico, che debba, cioè, riconoscere giuridicamente i gruppi sociali e farli intervenire nel funzionamento degli organi dello Stato, sono i partiti, i gruppi territoriali e i gruppi economici, di professione, di categoria. In una struttura statale così organizzata, si potrebbero fare intervenire gli organi più rappresentativi dei gruppi sociali in un collegio speciale nel quale dovrebbero essere rappresentati anche gli enti territoriali e soprattutto le regioni, e questo collegio dovrebbe eleggere il Capo dello Stato.

Prima di addentrarsi nella illustrazione dei particolari di questo progetto, chiede se la Sottocommissione desideri discutere anzitutto la questione pregiudiziale, e cioè il carattere parlamentare o presidenziale della Repubblica.

TOSATO è di tale avviso.

UBERTI concorda, perché, se la Sottocommissione decide in maggioranza di adottare quella forma di Stato, diventa inutile esaminare le modalità delle altre forme. La minoranza potrà presentare all’Assemblea un proprio testo ed una propria relazione.

PRESIDENTE crede che l’onorevole Mortati dovrebbe portare a termine la sua relazione, affinché la Sottocommissione possa giudicare a ragion veduta.

PORZIO ritiene che dovrebbe essere decisa innanzitutto la questione pregiudiziale. Crede che l’opinione prevalente nella Sottocommissione sia favorevole alla forma della repubblica parlamentare, sicché non vi sarebbe molto da innovare rispetto allo stato presente. Le novità di maggior rilievo proposte dal Relatore concernono la funzione del Capo dello Stato e di conseguenza la procedura per la sua nomina. Ma, per decidere quale è la forma di repubblica da adottare, non crede necessaria una discussione particolareggiata, perché tutti conoscono le caratteristiche delle forme presidenziale e parlamentare: basta tener presente l’accenno fatto dal Relatore alla Costituzione francese del 1875, perché con quella in Francia si stabilì la repubblica parlamentare dopo cinque anni di terribili lotte alle quali parteciparono i più insigni parlamentari francesi.

LUSSU dissente dall’onorevole Porzio e crede che il Relatore debba proseguire la sua esposizione fino in fondo.

PRESIDENTE, poiché è noto che la grande maggioranza aderisce all’idea di una repubblica parlamentare e si può prevedere che la discussione si avvierà verso questa soluzione, trova opportuno che l’onorevole Mortati prosegua l’esposizione del suo pensiero su questo particolare problema.

PORZIO osserva che il Relatore espone tutte le ipotesi, ma la Sottocommissione non può discuterle che una alla volta. Poiché essa è, in maggioranza, favorevole alla repubblica parlamentare, potrà qualcuno che sia favorevole alla tesi della repubblica presidenziale, sostenerla, senza alcun bisogno di una discussione su tutta la relazione, che espone con molta obiettività tutte le ipotesi possibili.

CAPPI, affinché la scelta per la forma di repubblica parlamentare possa essere consapevole, crede opportuno che l’onorevole Mortati precisi le conseguenze concrete e dettagliate che dall’una e dall’altra forma possono derivare.

PICCIONI ricorda che l’onorevole Mortati è stato incaricato di fare una relazione generale e osserva che la parte da lui svolta finora non esaurisce tale relazione. Non vede per quale motivo si dovrebbe lasciare il compito del Relatore a metà.

MORTATI, Relatore, avverte che i Relatori, incaricati di esaminare separatamente il potere legislativo, l’esecutivo e il giudiziario, in una riunione preliminare hanno constatato la scarsa possibilità di procedere in questo esame per compartimenti stagni e l’opportunità di far precedere la discussione particolareggiata dell’organizzazione dei singoli poteri da una discussione preliminare sulla struttura generale dello Stato. La sua relazione consta pertanto di tre parti, di cui la prima esamina il problema fondamentale della forma di Governo nelle sue linee essenziali, per passare poi all’esame dettagliato del potere legislativo come organizzazione e come funzionamento. La prima parte ha quindi una sua autonomia concettuale.

LUSSU osserva che il Relatore ha fatto una esposizione generale: ma, accennando a vari problemi, su due punti ha espresso una sua opinione personale. Crede che questo dovrebbe essere il sistema da seguire per tutti i problemi che egli ha affrontato.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che il Relatore continui la sua esposizione.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, passando al problema dell’unicameralismo e bicameralismo, osserva che, per risolverlo, bisogna chiedersi quali sono i fini politici che si vogliono raggiungere con l’esistenza di due Camere anziché di una sola. Tali fini possono essere molteplici e si tratta di vedere come si possano realizzare.

Un primo fine è quello di esercitare una funzione ritardatrice, di controllo dell’operato della prima Camera. Si osserva che il meditare su una deliberazione presa dalla prima Camera, l’approfondire il problema e il ripetere la discussione, possono agevolare così la valutazione della convenienza politica della legge come il suo perfezionamento tecnico. Questo scopo può essere raggiunto da una seconda Camera qualsiasi: anche una seconda Camera formata con la stessa struttura della prima può esercitare questa funzione ritardatrice, questa ripetizione dell’esame. Il caso-tipo di una seconda Camera formata esclusivamente con questo intento è offerto dalla Costituzione norvegese, l’unica che forma la seconda Camera dallo stesso seno della prima: il corpo elettorale norvegese elegge, infatti, un certo numero di Deputati, i quali eleggono nel loro seno un numero più ristretto di membri che vanno a formare la seconda Camera; e si dice che il risultato di questo sistema sia assai soddisfacente, il che significa che non è esatta la tesi che quella seconda Camera non sia che un duplicato della prima.

Ma, accanto a questo scopo ve ne è un altro più particolare e che esige forme specifiche di realizzazione: quello dell’integrazione della rappresentanza. Ammessa una rappresentanza generale del popolo, indifferenziato, può apparire utile accompagnare la prima Camera con una seconda, la quale sia formata in modo diverso, pur essendo sempre di origine popolare. Bisogna partire dal presupposto che questa seconda Camera debba essere capace di decisioni politiche, cioè di manifestazioni di volontà e non di pure espressioni di pareri o manifestazioni di desideri. Questa seconda Camera, posta in posizione di parità con la prima, potrebbe realizzare meglio il suo fine quando fosse espressione di una integrazione del suffragio.

Richiama l’attenzione della Sottocommissione sul fatto che, comunque si decida la questione dell’organizzazione del suffragio, la Costituente dovrà tener presenti certe linee essenziali dell’ordinamento del suffragio, perché vi sono istituti che con determinati regimi elettorali funzionano in un certo modo, con altri regimi funzionano diversamente.

Ammessa una rappresentanza formata in un dato modo, si domanda se, insieme o accanto a questa rappresentanza politica che esprime gli orientamenti dei vari partiti fra cui si divide il corpo elettorale, non vi sia posto per un’altra forma di rappresentanza, la quale esprima la volontà dello stesso popolo, che sia quindi anche espressione del suffragio generale, ma in una veste diversa. Naturalmente queste forme di costituzione della seconda Camera hanno una funzione in quanto portano ad uno spostamento del peso politico che emerge dalla prima Camera. Questo è il risultato pratico.

Qualunque Senato tende a modificare il peso politico dei cittadini quale potrebbe essere espresso attraverso il suffragio universale e la rappresentanza di partiti. Il sistema francese del 1875, modificato nel 1884, si basa sulla rappresentanza territoriale: la legge francese dà una rappresentanza eguale a comuni o a organismi territoriali diversamente composti nel loro rapporto demografico; e la conseguenza politica che ne deriva è che i comuni piccoli hanno una influenza maggiore delle grandi città, onde una impronta speciale che deriva al Senato da questa rappresentanza, la quale sposta il rapporto realizzato nella prima Camera con il suffragio universale.

Vi possono essere altre forme per una diretta integrazione del suffragio, ed una di queste è quella della rappresentanza di categoria. Le categorie si possono intendere con due significati: o col significato economico, in cui le categorie rappresentano gli interessi delle professioni che intervengono nella vita economica come fattori della produzione e del consumo; o col significato super-economico, e quindi culturale, assistenziale, o, se si vuole anche dire, professionale, in cui però la parola «professionale» va intesa in senso generico. Naturalmente l’accettazione di una rappresentanza di questo genere solleva problemi numerosi e di varia natura e presupporrebbe o l’organizzazione di queste categorie in gruppi determinati o il realizzarsi delle categorie anche indipendentemente dalle organizzazioni di questo genere, sulla base di una semplice anagrafe delle popolazioni nei vari settori delle attività economiche o culturali. In questo secondo caso l’attribuzione di un numero di seggi a ciascuna categoria verrebbe fatta avendo soltanto in vista il quadro di ripartizione, indipendentemente da una organizzazione delle singole categorie in sindacati appositamente riconosciuti. Si potrebbe, cioè, pensare ad una terza forma, la quale non considerasse le categorie nelle loro specializzazioni, ma che abbracciasse gruppi di categorie sulla base di certi interessi sociali più eminenti e più importanti: per esempio la cultura, la giustizia, il lavoro, l’industria, l’agricoltura. E sarebbe, questo, un tentativo di dare alla rappresentanza una maggiore organicità e di eliminare o attenuare l’influenza strettamente proporzionale degli interessi, per allargare la visuale verso forme di valutazione più propriamente politica. Non si deve, infatti, dimenticare che, se si vuol dare alla seconda Camera una funzione politica, si debbono anche creare i presupposti perché i rappresentanti possano elevarsi a questa più ampia valutazione politica.

Si può sospettare che una seconda Camera fondata su una base strettamente professionale possa essere espressione di interessi troppo limitati e quindi costituire un ostacolo a che assurga ad una visione generale e inquadri l’interesse particolare nell’interesse generale, ciò che è caratteristico degli organi politici. Un tale inconveniente si potrebbe attenuare, dunque, attraverso questa concezione più larga delle categorie.

Naturalmente, o si scelga un tipo o si scelga l’altro, bisogna preoccuparsi di dosare il peso politico attribuito a ciascuna categoria, preoccuparsi cioè di proporzionare il numero dei seggi alla rilevanza delle categorie, che non si può desumere soltanto dal rapporto numerico, ma che bisogna desumere da criteri più comprensivi, perché non è detto che il peso numerico sia il preminente in una rappresentanza di questo genere destinata a fare emergere la capacità politica di esprimere interessi generali.

Questo è un problema da risolvere in sede politica.

Qualcuno dice che sarebbe arbitrario attribuire un certo numero di seggi ad una categoria piuttosto che ad un’altra; ma, dal punto di vista di una logica astratta, tutto è arbitrario; anche, per esempio, l’età fissata per l’attribuzione del diritto di elettorato, l’attribuzione dell’elettorato alle donne, ecc. Il criterio di risoluzione si può trovare in sede politica, secondo quello che si ritiene più opportuno di realizzare, secondo la rappresentanza che si ritiene necessaria in una certa situazione.

Naturalmente le difficoltà non si fermano a questi risultati.

Si può osservare che, dovendo essere consacrato questo peso nella Costituzione, l’inserire questa determinazione di peso in una Costituzione rigida, porterebbe ad una cristallizzazione della situazione di un determinato momento, onde la determinazione potrebbe modificarsi soltanto con la procedura piuttosto lenta della revisione costituzionale. Ma a questo inconveniente si potrebbe ovviare stabilendo una revisione periodica da fare in forma più semplice della comune revisione costituzionale.

Qualche altro osserva che, nel caso di scelta di questo sistema, bisogna pensare al modo di presentazione delle candidature e al modo di esercizio del voto nel seno di ogni gruppo. Tutte difficoltà che bisognerebbe affrontare e risolvere per decidere l’accettazione dell’uno o dell’altro sistema.

Ma oltre alla forma che si basa sul concetto territoriale e a quella che si basa sul principio delle categorie, si potrebbe pensare ad un’altra che abbinasse l’uno e l’altro sistema. L’abbinamento si potrebbe ottenere giustaponendo la rappresentanza di categoria a quella territoriale, così da avere una percentuale di rappresentanti delle regioni e dei comuni sulla base territoriale, e un’altra percentuale sulla base delle categorie. L’integrazione potrebbe essere più soddisfacente se si fondessero le due rappresentanze e si ripartisse il numero dei seggi della seconda Camera fra le regioni (e si vedrà in un secondo tempo se la rappresentanza debba essere proporzionale o raggiunta in altra forma). Attribuito un numero di seggi alle varie regioni, l’elezione nel seno di ciascuna avverrebbe sulla base delle categorie, con un risultato più organico.

Questi sono i sistemi diretti a risolvere il fine di integrare il suffragio attuato per la formazione della prima Camera.

Senza soffermarsi sui vantaggi dell’uno o dell’altro sistema, dichiara di essere favorevole a questa forma di rappresentanza che integra quella basata sul principio territoriale.

A chi obietta che questa è materia di legge elettorale, osserva che, se anche si volesse rimandare l’esame del sistema elettorale, non si potrebbe in nessun caso prescindere dal prenderne in considerazione i punti basilari. La decisione sulla legge elettorale potrà essere rinviata per quanto riguarda i particolari, ma il tipo della seconda Camera deve essere stabilito nella Costituzione, e deve essere precisata la quantità dei voti che spettano a ciascuna categoria, perché è di rilevanza costituzionale conformare la seconda Camera ad un metodo o ad un altro. Personalmente accede al sistema di fissare un numero pari di rappresentanti, qualunque sia il numero dei rappresentati. Comunque, il sistema influisce sul funzionamento dell’Assemblea e deve perciò essere assunto come punto fondamentale nella Costituzione. Ma, per evitare la cristallizzazione delle situazioni che si verificano in determinati momenti, occorrerà appunto stabilire la revisione periodica.

Anche la legge elettorale politica che serve alla formazione della prima Camera è un elemento troppo essenziale perché si possa considerarlo di dettaglio o di carattere soltanto esecutivo: i particolari si possono rimandare ad una legge speciale; ma il sistema che si vuole adottare dovrà essere fissato nella Costituzione, perché l’accoglimento di uno o di un altro sistema porta a conseguenze diverse nel funzionamento dell’organo.

Ma la formazione di una seconda Camera può tendere anche ad un altro scopo, cioè a quello di selezionare particolari capacità e competenze; e allora bisogna affrontare il problema della competenza, che vale anche per la prima Camera, ma che per la prima Camera si risolve più difficilmente, appunto perché ad essa si vuol dare un carattere di rappresentanza politica generale.

Nella seconda Camera, per lo meno storicamente, si è realizzata la tendenza a delimitare la scelta degli eleggibili per assicurare la presenza nell’assemblea legislativa di certe competenze individuali che il sistema dei regimi rappresentativi di per se stesso non assicura. Questo terzo scopo a cui si può tendere nella costituzione della seconda Camera, formata nell’ambito di certe categorie, cioè prescrivendo che gli eleggibili siano scelti nell’ambito di determinati gruppi, che si suppone abbiano una certa competenza, è molto importante, perché uno dei fattori che ha contribuito a determinare la cosiddetta crisi della democrazia è precisamente il difetto di competenza, tanto più sensibile nello Stato moderno che ha visto estendersi la sua sfera di attività in settori sempre nuovi e sempre più tecnici. Questo fine politico particolarmente importante può essere soddisfatto con la costituzione di una seconda Camera in cui si faccia una selezione degli eleggibili. Naturalmente se si stabilisce una rappresentanza di categoria, per evitare la forma di rappresentanza fascista, in cui alla Camera delle Corporazioni un poeta o un filosofo rappresentava, per esempio, gli ortofrutticoli, bisogna esigere che i rappresentanti appartengano alle categorie rappresentate, determinando certi requisiti di capacità: età, appartenenza a certe attività, aver fatto parte di certi corpi od uffici, ecc.

Vi sono poi forme di composizione della seconda Camera che tendono a conciliare i vantaggi di vari sistemi, cioè forme di composizione che, insieme agli elementi elettivi, comprendono anche elementi scelti in altro modo. Così, ci sono costituzioni che adottano un contemperamento del sistema elettivo con quello della nomina da parte del Capo dello Stato, ammettendo che un certo numero di membri del Senato sia nominato dal Capo dello Stato; ciò che può avere una ragione di essere, in quanto ci sono delle capacità che è opportuno assicurare alla seconda Camera, mentre non è opportuno siano scelte attraverso le elezioni: magistrati, membri dell’esercito o dell’amministrazione, ecc. Un altro sistema misto è quello della così detta cooptazione, per cui lo stesso Senato sceglie parte dei suoi membri. Vi è il sistema della nomina da parte della Camera, oppure da parte delle due Camere: sistema misto, che tende ad integrare la rappresentanza elettiva con una rappresentanza elettiva di secondo grado, per assicurare il concorso di certe competenze.

Un altro punto da affrontare a proposito del sistema bicamerale è quello della parità, o meno, da concedere alle due Camere: parità piena, semipiena, o non parità. Questa ultima pone la seconda Camera in una situazione di inferiorità di fronte alla prima, limitandone la competenza all’emissione di pareri o alla sospensione dell’attuazione di certe misure. Uno dei casi è quello della Camera dei Lords inglese che, dopo la riforma del 1911, non è più una Camera legislativa in senso proprio, ma ha una funzione sospensiva di certe misure; ed anzi, nella materia finanziaria non ha neanche questa funzione. Questo era il caso del Reichsrat della Costituzione di Weimar. A suo avviso, il sistema bicamerale non può consentire forme di seconda Camera con questi limiti; la seconda Camera dovrebbe avere non solo piena parità di diritti in materia legislativa, ma anche piena parità in ordine alla fiducia da accordare al Governo. Egli, anzi, aveva proposto di formare un organo misto, una riunione plenaria delle due Camere per votare sulla fiducia al Governo, in modo che fosse meglio attuata una compenetrazione dei vari punti di vista attraverso la discussione e la votazione. In considerazione del fatto che la prima Camera ha un valore politico di fatto, non di diritto, preminente, si potrebbe escogitare un sistema che desse una preminenza numerica alla prima Camera in modo da metterla nella sua giusta posizione.

Quindi, egli è per la piena parità anche nel campo finanziario, perché, evidentemente, quei limiti che sono valsi per diminuire l’efficienza in questo campo della seconda Camera negli ordinamenti in cui questa ripeteva la sua origine non dal popolo ma dal Sovrano, non hanno più ragione d’essere in un ordinamento nel quale l’origine della seconda Camera è anche essa popolare, e manca la ragione di un trattamento diverso alle due Camere anche in questo campo.

Da questa impostazione dei rapporti fra le due Camere nascono problemi molto gravi. Uno è quello della durata da attribuire alle due Camere ed il Relatore ritiene che le due Camere dovrebbero essere elette contemporaneamente e durare per lo stesso periodo di tempo; né vede la ragione perché dovrebbe essere stabilito altrimenti. Questa parità di formazione può evitare l’inconveniente che potrebbe sorgere dalla formazione delle due Camere in momenti diversi, quello, cioè, di rispecchiare due orientamenti politici, diversi.

Esaurito così l’argomento del bicameralismo, sono da esaminare argomenti più particolari per esaurire la materia dell’organizzazione: numero dei componenti, durata del mandato, requisiti per la nomina, procedimento elettivo, ecc. Vale la pena di soffermarsi sul problema della verifica dei poteri.

Il modo di verifica dei poteri attuato in quasi tutti i Paesi continentali, salvo poche eccezioni, è quello di affidare la verifica alle stesse Camere; modo che è stato attuato in relazione al principio dell’autonomia delle Camere, per garantire questa autonomia. In contrapposto a questo è il sistema inglese, adottato poi dalla Costituzione di Weimar e da quella cecoslovacca, che sottrae il giudizio dei titoli dei membri alla Camera per affidarlo ad un organo giurisdizionale di formazione speciale composto anche di rappresentanti della Camera stessa. Si tratta di sapere se è opportuno seguire il sistema tradizionale, oppure modificarlo, e il Relatore ritiene che sarebbe opportuno introdurre il sistema del tribunale costituzionale, sottraendo alle Camere la verifica dei poteri. È questa una esigenza particolarmente sentita nelle strutture politiche simili a quella italiana, in cui non esiste un costume politico che possa garantire il rispetto dei diritti delle minoranze, mantenendo quel presupposto del leale gioco politico che è un caposaldo del regime democratico parlamentare. In queste condizioni occorre trovare un sistema di mezzi tecnici i quali tendano a garantire le minoranze; e su questa esigenza fondamentale egli richiama l’attenzione della Sottocommissione.

Uno dei mezzi di tutela del diritto delle minoranze potrebbe consistere appunto nel sottrarre alle Camere la verifica dei poteri per attribuirla ad un tribunale elettorale, che sarebbe naturalmente da costituire e che dovrebbe essere oggetto di una apposita legge costituzionale.

Un altro argomento importante è quello del potere di auto-organizzazione.

Questo potere è spontaneo in tutti i corpi costituiti e, quindi, spetta alle Camere. Il problema consiste nel sapere se vi sono principî che debbano essere posti nella Costituzione a garanzia di certi interessi che si vuole sottrarre all’arbitrio delle Camere. Anche qui può rientrare il concetto della tutela delle minoranze. Per esempio, si potrebbe stabilire che il regolamento della Camera debba essere approvato con una maggioranza qualificata, in modo da rendere meno facile che sia fatto a vantaggio di certe maggioranze o per imporre certi metodi.

Anche l’obbligo dell’emanazione del regolamento potrebbe essere uno dei punti da fissare nella Costituzione, per evitare che l’Assemblea ometta di emanarlo. Si potrebbero sottrarre al potere regolamentare determinati rapporti, oppure dare efficacia di legge al regolamento per quanto riguarda determinati rapporti. Qualche Costituzione stabilisce che il regolamento deve essere approvato per legge.

Altro argomento particolare: le modalità della prima riunione della Camera dopo le elezioni. Nelle Costituzioni monarchiche è previsto il discorso della Corona; in quelle presidenziali il messaggio del Presidente. È ammissibile il messaggio presidenziale quando al Presidente si assegni una funzione di moderatore dei poteri; ma ove egli abbia funzioni di intervento attivo, il messaggio potrebbe non essere consigliabile, per rispettare l’indipendenza del Parlamento.

Altre questioni di dettaglio molto importanti sono quelle relative alla convocazione e all’aggiornamento delle Camere. Vi sono sistemi rigidi di convocazione e di aggiornamento, sistemi che prevedono l’autoconvocazione, soprattutto a tutela delle minoranze che richiedono la convocazione dell’assemblea; sistemi che rimettono la convocazione alla iniziativa del Capo dello Stato o del Presidente della Camera, con poteri illimitati, oppure limitati, come nel caso in cui si precisi che nel provvedimento di aggiornamento deve essere indicata la data della riconvocazione, non oltre un determinato periodo di tempo.

La Costituzione dovrà inoltre risolvere il problema della durata delle legislature e delle sessioni. Il Relatore ritiene che le prime non dovrebbero superare i quattro anni, e per le seconde se ne dovrebbe fissare almeno una all’anno. Occorre inoltre stabilire l’organo che può prorogare le sessioni e prevedere l’ipotesi di mutamento del Governo a Camera chiusa.

Vi sono poi le questioni della retribuzione o meno delle prestazioni dei Deputati, delle immunità e delle guarentigie (con particolare riguardo alla insindacabilità delle opinioni, alla libertà dall’arresto, alla sottrazione al giudizio dei tribunali ordinari) e della disciplina di partito, tanto nella procedura elettorale che nella esplicazione del mandato. Dovrebbe determinarsi il modo di intervento dei partiti, nel periodo elettorale, nella scelta e nella presentazione delle candidature. Potrebbe farsi luogo ad una base popolare nella presentazione delle liste, sollecitando l’intervento anche dei non iscritti ai partiti, in modo da determinare le preferenze in ragione al numero degli elettori presentatori e non già a quello dei voti di preferenza. Trattasi di problemi molto scabrosi.

Accolto il sistema proporzionalistico e considerati i Deputati come rappresentanti dei partiti, sorge il problema se l’espulsione di un Deputato dal partito faccia cessare il rapporto elettorale, cioè la qualità di Deputato, in considerazione del presupposto dell’equilibrio politico, onde è composta l’assemblea, equilibrio determinatosi in seguito alla espressione della volontà popolare e che potrebbe venire turbato dalla espulsione da un partito di Deputati che si sottraggano alla disciplina. La Costituzione cecoslovacca ha portato alle estreme conseguenze logiche l’impostazione della lotta politica sulla base delle organizzazioni di partito, sancendo la decadenza dalla carica in caso di dimissioni o di espulsione dal partito: decadenza che deve però venire accertata da uno speciale giudice, competente anche ad accertare legittimità dei titoli per essere investiti della carica di Deputato. Si potrebbe anche pensare alla opportunità di ammettere una revoca tacita del mandato da parte del corpo elettorale al Deputato dimissionario o espulso.

Altro punto di particolare interesse è quello relativo agli organi legislativi misti, straordinari o interinali. Talune Costituzioni, prevedendo che si possano verificare conflitti tra i due rami del Parlamento, tanto per quel che riguarda la fiducia al Governo, quanto per la approvazione delle leggi, hanno stabilito organi misti interparlamentari, che possono essere formati tanto dalla riunione delle due Camere quanto dalla istituzione di un terzo organo, composto da Deputati eletti in pari numero nelle due assemblee. Può prevedersi un solo organo, oppure più commissioni interparlamentari, alle quali può anche essere deferito lo studio preliminare dei progetti di legge, allo scopo di prevenire il verificarsi dei conflitti fra i due rami del Parlamento. E si può pensare a questo organo misto anche per altri compiti, uno dei quali – secondo quanto è desumibile dalla legislazione comparata – è quello di supplire le Camere nel caso di sospensione delle sessioni, o – come ammette anche qualche Costituzione – nel caso di scioglimento o di fine della legislatura: cioè, quando sia sciolta la legislatura, questi organi dovrebbero permanere in carica allo scopo precisamente di supplire la Camera mancante, nel senso di far partecipare questo organo misto, rappresentativo delle Camere che non esistono più perché sciolte, all’emanazione dei provvedimenti d’urgenza. Non sembra al Relatore che questo espediente possa essere utile, perché, quando le Camere sono svuotate di prestigio politico, o perché sciolte o per decadenza del mandato, sarebbe inopportuno, dal punto di vista politico, farle in qualsiasi modo interferire. Si finirebbe, in sostanza, per attenuare quella responsabilità che in tale occasione è meglio far assumere in pieno dal Governo, dato che si tratta comunque di una competenza di carattere eccezionale, poiché durante le elezioni il Governo che rimane in carica non può emettere che atti di ordinaria amministrazione.

Esaurita la parte relativa all’organizzazione del potere legislativo, bisogna passare alla fase del suo funzionamento.

(La seduta è sospesa alle 19.30, ed è ripresa alle 19.45).

MORTATI, Relatore, circa l’organizzazione del potere legislativo, ricorda, perché non è un dettaglio secondario e potrebbe anche influire sul funzionamento, i modi di intervento della Camera nella discussione e nell’esame delle leggi: il modo di lettura, il funzionamento degli Uffici e delle Commissioni. È noto quale influenza abbia avuto in Francia sull’atteggiamento del Governo parlamentare il sistema delle Commissioni permanenti, le quali avevano un largo potere sull’esame delle leggi e sul loro controllo. Attraverso questo metodo la Camera francese è riuscita ad asservire a sé il Governo, diminuendo l’indipendenza e l’influenza della sua azione e compromettendo la forza del potere esecutivo nei confronti di quello legislativo. Quindi, anche nella trattazione della disciplina di questa materia, bisognerebbe tener conto delle ripercussioni che le commissioni permanenti possono esercitare nei rapporti fra legislativo ed esecutivo.

Per passare alla parte relativa al potere legislativo visto nel momento del funzionamento, sono da esaminare vari punti e innanzitutto a chi spetti la iniziativa. Vi sono in proposito varie tendenze: una tendenza che si potrebbe chiamare demagogica, la quale vorrebbe escludere la iniziativa del potere esecutivo in generale, mentre, se si vuole creare un regime che dia al potere esecutivo il giusto posto che gli spetta, bisogna pensare che la libera iniziativa parlamentare non deve escludere quella governativa, perché il Governo, se è responsabile, deve avere una pienezza di mezzi, uno dei quali è la iniziativa. Viceversa si può pensare ai limiti della iniziativa parlamentare ed uno di questi, che la esperienza del funzionamento dell’iniziativa parlamentare ha dimostrato particolarmente utile, è in materia di spese. Si è invertita storicamente la posizione dei due poteri rispetto al passato. Mentre prima i Deputati influivano nel senso di limitare le spese, anzi la loro funzione storicamente era quella di intervenire, su richiesta del Capo dello Stato, per stabilire l’entità delle contribuzioni e limitarla, adesso nei regimi parlamentari è il Governo che deve limitare la tendenza eccessiva di iniziativa in materia finanziaria da parte dei Deputati. Perciò si è pensato a limitare in qualche modo l’esercizio di questo potere di iniziativa da parte di organi non responsabili, i quali, non avendo nelle mani il funzionamento dell’assetto finanziario, sono portati a eccedere nelle spese senza pensare al modo come farvi fronte. Si è pensato, cioè, di limitare la iniziativa parlamentare alla determinazione delle entrate sufficienti a coprire le spese e precisamente ad inquadrare questa posizione reciproca dei due poteri.

Oltre alla iniziativa vi sono poi altri argomenti. In merito all’esame dei progetti di legge, si tratta di vedere se vi possa essere una regolamentazione più penetrante, soprattutto nell’intento di riparare all’inconveniente che si è verificato e si verifica tuttora di una deficienza di formulazione tecnica, di una mancanza di coordinazione nella redazione dei progetti di legge. Qualcuno proporrebbe (e vi è qualche esempio nella legislazione comparata) la costituzione di un consiglio legislativo, presso il Parlamento, col compito della revisione tecnica dei progetti per rendere le leggi più idonee ad assicurare la certezza del diritto, evitando disarmonie nel complesso della legislazione, affermando meglio le esigenze sistematiche.

Bisognerebbe poi stabilire le norme sul numero legale, sui procedimenti di votazione, ecc. Per quanto riguarda gli effetti del rifiuto dell’approvazione di una legge, si è già parlato delle possibilità che possono essere offerte per sanare il dissidio. Più importante in questa sede è esaminare la funzione che può attribuirsi al Capo dello Stato in sede di formazione di leggi. Al Capo dello Stato può essere attribuita una funzione di intervento attivo, che si esplica con la sanzione, oppure può attribuirsi una funzione diversa, che non è più di intervento attivo, ma di arresto temporaneo dell’entrata in vigore della legge, una funzione di veto. Ammesso un sistema in cui il Capo dello Stato abbia attribuzioni di carattere prevalentemente moderatore, un intervento attivo nella funzione legislativa non si potrebbe considerare se non come elemento di disarmonia nel sistema e quindi si potrebbe pensare ad una funzione di veto, che assume una rilevanza notevole, ove si prescelga un sistema parlamentare con la permanenza per un certo periodo di tempo del Governo che abbia ottenuto la fiducia della Camera, perché «l’arresto» da parte del Capo dello Stato con il conseguente obbligo della Camera di un ulteriore esame della legge e l’approvazione con una maggioranza qualificata, potrebbe almeno in parte ovviare ad un possibile inconveniente: se nel periodo fisso di durata in carica del Governo, si verificasse un dissenso col Parlamento e se il Parlamento, appunto nella espressione di questo dissenso, approvasse delle misure in disarmonia con la politica generale del Governo, l’intervento del Capo dello Stato potrebbe tentare di ricondurre questa armonia. Ma in ogni caso è da escludere assolutamente un intervento del Capo dello Stato sotto forma di sanzione. Viceversa, al Capo dello Stato potrebbe spettare il potere di promulgazione, che è un potere esecutivo, che però si potrebbe anche affidare al Governo, se il Governo si distaccasse dal Capo dello Stato con una funzione propria autonoma, lasciando al Capo dello Stato una attività semplicemente di controllo politico.

La Costituzione deve poi regolare la posizione delle leggi nel sistema delle fonti, stabilire la efficacia delle leggi, in armonia di queste fonti e pertanto stabilire la potestà di interpretazione autentica della legge, stabilire i limiti di questo potere, limiti che sono di varia natura. Uno, più generale, nasce dalla legge costituzionale. Oltre alla questione del diritto naturalistico come fonte autonoma, del rispetto del principio di giustizia e di uguaglianza, del rispetto delle norme del diritto internazionale, si deve anche esaminare il problema del principio di giustizia e di eguaglianza, del rispetto del giudicato.

Ma un punto importante in materia è quello delle delegabilità del potere legislativo. In regime di Costituzione rigida non vi è dubbio che il silenzio della Costituzione su questo punto importa ovviamente la non delegabilità della funzione legislativa, e quindi, se si vuole delegare il potere legislativo ad altro organo, bisogna dirlo esplicitamente. Nello Statuto nostro il silenzio è stato ammesso come non capace di portare il divieto, perché è una Costituzione non rigida. Il Relatore ritiene opportuno stabilirlo, in quanto crede eccessivo adottare il principio della Costituzione francese che escludeva la delegabilità, potendo ben sorgere il bisogno di affidare al potere esecutivo, tecnicamente più preparato per certe leggi, il compito di esaminarle sia pure dopo aver deliberato i principî fondamentali che lo impegnano. Senza scendere nel dettaglio, accenna alla esclusione di una delega geniale, ma con l’attribuzione di poteri su compiti e punti particolari.

Vi è poi il problema del divieto della subdelegazione, il divieto del potere di delegabilità ai Ministri e quindi l’esclusione di decreti ministeriali delegati.

Un problema delicato è quello di sapere a chi bisogna attribuire il potere di sindacare i limiti della delegazione e se si debba affidarlo al potere legislativo stesso. Qualcuno propone di creare un sistema misto, cioè di controllo interno da affidare a determinate commissioni della Camera, che dovrebbero accertare preventivamente il mantenimento della legislazione delegata nei limiti della delegazione.

Un limite particolare alla efficacia della volontà legislativa del Parlamento che si può collegare a quello delle esigenze della protezione delle minoranze, può essere costituito dal diritto attribuito a certe minoranze, cioè alle minoranze che raggiungono una certa percentuale (un terzo o un quinto), di attuare un veto sostanziale della legge dichiarata non urgente dal legislatore.

Anche la possibilità di sospendere l’entrata in vigore della legge s’inquadra nel problema della tutela delle minoranze e nel complesso delle misure che potranno predisporsi a questo scopo.

Non si sofferma sul problema dei decreti-legge, perché rientra nei compiti specifici del potere esecutivo. Accenna invece ai punti più importanti relativi alle funzioni non legislative che spettano al potere legislativo in deroga al principio della separazione dei poteri.

L’approvazione dei trattati deve essere sottoposta al potere legislativo, in vista dei rapporti di diritto interno e di diritto internazionale.

Quanto ai bilanci, la Costituzione dovrà occuparsene ed affermare la possibilità di apportarvi variazioni entro determinati limiti.

Per quanto riguarda la funzione di controllo, il punto più importante è il potere di inchiesta. Bisogna vedere se sia opportuno un regolamento e stabilire i particolari di questo potere e i particolari circa i rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e i vincoli che i poteri pubblici possono imporre nei rapporti con la Commissione d’inchiesta.

Sulla funzione costituzionale, non pare sia il caso di attribuire alla Camera funzioni in materia di giudizio di responsabilità dei propri membri. È questo un concetto che non troverebbe ragione di essere in una Costituzione moderna. Gli elementi di accusa per la responsabilità dei Ministri potrebbero essere portati o ad una delle Camere o, ad avviso del Relatore, ad un tribunale speciale, che potrebbe essere una sezione del Tribunale costituzionale.

Si deve infine accennare alla funzione da attribuire al popolo come organo del potere legislativo. La tendenza moderna è quella di condurre il popolo, da una funzione limitata alla scelta dei suoi rappresentanti, ad una funzione più ampia, di attiva partecipazione politica, e il mezzo adoperato a questo scopo è il referendum, che ha una efficacia diversa a seconda del modo in cui sono congegnati i poteri pubblici.

Il referendum ha una funzione più penetrante, più importante di quella che ha nella Costituzione del primo tipo, in cui si ammette una assoluta rigidezza nella formazione degli organi costituzionali che hanno un periodo fisso di durata. Si presenta allora l’esigenza di risolvere i conflitti eventuali, di sentire il parere del popolo; e questa esigenza può essere più viva che non nel regime parlamentare, in cui esistono congegni più elastici, che consentono ad ogni momento di tornare al popolo attraverso lo scioglimento della Camera.

Il referendum, destinato a sentire il giudizio del popolo su determinate questioni, è più intensamente usato in Svizzera e negli Stati Uniti, che rappresentano i due più importanti sistemi rigidi degli organi fondamentali dello Stato. Ma il ricorso al popolo può essere opportuno anche in regime parlamentare, specialmente in quello di tipo temperato, perché può intervenire utilmente nel risolvere i conflitti fra Governo e Parlamento nel periodo di durata della fiducia accordata a un dato Governo.

In ogni caso, anche a prescindere dalla considerazione di questi particolari sistemi, e riferendosi in genere al regime parlamentare, crede che l’intervento del popolo possa sempre avere una funzione equilibratrice, nel senso che potrebbe anzitutto avere l’effetto utile di promuovere l’educazione politica del popolo, predisponendolo a queste consultazioni, e quindi di promuovere una certa idoneità vantaggiosa alla progressiva elevazione dell’attitudine politica popolare nell’apprezzamento dei programmi politici. Un altro effetto utile dell’intervento del popolo è quello di influire sui partiti, di costringerli ad un maggiore contatto col popolo per problemi concreti, con un temperamento di quella che si è chiamata l’onnipotenza dei partiti.

In pratica si è visto che il ricorso al popolo ha portato talvolta ad una redistribuzione di voti. Non sempre le maggioranze rappresentate in parlamento sono state vittoriose nelle questioni sottoposte al referendum: in alcuni casi il corpo elettorale si è mostrato dissenziente.

D’altra parte si può parlare di un lato negativo del ricorso al popolo, quello di introdurre un elemento di disarmonia nell’unità dell’indirizzo politico; ed è proprio questo il rimprovero che gli avversari del referendum fanno all’istituto.

In ogni caso quello che bisognerebbe curare, ove si introducesse l’istituto del referendum, sarebbe di congegnarlo praticamente in modo che possa dare il massimo rendimento. È questo un punto molto delicato, che implica particolarità di dettaglio che influiscono sulle funzioni dell’istituto stesso. Bisogna aver cura che il popolo risponda nel referendum come entità organizzata, e non come popolo indifferenziato. La realtà costituzionale anteriore alla istituzione del suffragio universale può essere in proposito di ammaestramento.

Le assemblee primarie francesi, per esempio quelle anteriori alla Rivoluzione francese, possono offrire un esempio utile di quello che potrebbe essere una eventuale organizzazione del referendum. Queste assemblee primarie, nelle quali il popolo interveniva non per dire un od un no, ma per partecipare al dibattito delle questioni, in modo che a tutti era consentito di esprimere il proprio punto di vista, potrebbero essere un modello da seguire, così il popolo chiamato a dire il suo o il suo no, fosse raccolto in determinati organismi da delimitare, per giungere al voto attraverso un dibattito, che potrebbe essere integrato dalla facoltà di proporre emendamenti.

Vi è una prassi nord-americana che può essere tenuta presente. L’esempio della ratifica all’introduzione di dati emendamenti è qualcosa di utile, che neutralizza le obiezioni che si muovono contro il referendum. Il popolo, costretto a votare con un o con un no, ha la possibilità di subordinare il suo consenso all’accoglimento di certe modifiche. E questo è un modo di rendere più congrua l’interpellazione popolare.

Poi bisognerebbe curare che la formulazione dei quesiti sia fatta in modo tale da mettere il popolo in condizioni di valutarne l’importanza, e quindi, trattandosi di quesiti subordinati, di ben inquadrarli nel loro ordine logico per ottenere un sicuro orientamento generale. In pratica sono tutte cose difficili da realizzare, ma l’esigenza relativa non può non esser tenuta presente.

Conclude rilevando che è inutile affannarsi a creare congegni tecnici per ottenere una maggiore stabilità di Governo, se prima non si tengono presenti gli elementi politico-sociali che sono necessari per dare a questa stabilità una effettiva realizzazione. Tutti questi congegni saranno validi se si creerà un assetto sociale approssimativamente stabile, e se si terranno presenti gli interessi sociali che sono il presupposto necessario perché questi congegni funzionino a dovere. I risultati a cui nel frattempo sono giunte le altre Sottocommissioni potranno dare, in sede di studio, qualche orientamento per rendere omogenea questa società politica e creare quei presupposti.

Quando si dice che l’ordinamento anglosassone funziona bene per costume politico, si accenna solo ad una parte della realtà, perché il costume politico si forma sulla base di una omogeneità di struttura. È da questa stabilità dell’assetto sociale che deriva la stabilità dell’organismo giuridico e costituzionale. Il costume politico non è una causa, ma un effetto. Quindi le forze politiche italiane dovranno cercare di realizzare questa finalità, senza di che qualunque congegno renderebbe vano il funzionamento pacifico degli ordinamenti democratici.

Sull’ordine della discussione.

FINOCCHIARO APRILE osserva che la relazione diligentissima fatta dall’onorevole Mortati investe tutto il problema costituzionale e che, per l’ordine della discussione, questa dovrebbe farsi ed esaurirsi argomento per argomento. È stato detto che bisogna stabilire inizialmente se si vuole la Repubblica presidenziale o una Repubblica parlamentare. Occorrerà definire questo punto, per passare poi al Parlamento, al sistema bicamerale, ecc. Altrimenti la discussione diverrebbe troppo confusa.

PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione ha nominato tre Relatori. Crede quindi necessario sentire anzitutto la esposizione degli altri due, dopo di che si potrà stabilire l’ordine della discussione.

Erano presenti: Ambrosini, Amendola, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Conti, De Michele Luigi, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

Assenti: Codacci Pisanelli, Maffi, Targetti.

Assente giustificato: Rossi Paolo.

In congedo: Fuschini, Vanoni.

(Alla seduta del 26 luglio era presente l’onorevole Bozzi; a quella del 1° agosto l’onorevole Mannironi).

La seduta termina alle 20.40.