Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 13 MAGGIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXXIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 13 MAGGIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Per le popolazioni terremotate:

Musolino                                                                                                          

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Republica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

                                                                                                                          

Bozzi                                                                                                                 

Di Vittorio                                                                                                       

Ruini, Presidcente della Commissione per la Costituzione                                    

                                                                                                                          

Cingolani                                                                                                         

Corbino                                                                                                            

Colitto                                                                                                             

Mortati                                                                                                            

Arata                                                                                                               

Taviani                                                                                                             

Cortese                                                                                                            

Parri                                                                                                                 

Einaudi                                                                                                             

Lucifero                                                                                                           

Dominedò                                                                                                         

Marina                                                                                                             

Perlingieri                                                                                                       

Bibolotti                                                                                                          

Targetti                                                                                                           

Perrone Capano                                                                                              

Grassi                                      Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione      

Bruni                                                                                                                

Nobili Tito Oro                                                                                                

Cappi                                                                                                                 

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La sedata comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole Garlato.

(È concesso).

Per le popolazioni terremotate.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

MUSOLINO. Vorrei proporre che si inviasse un telegramma a Catanzaro esprimente la solidarietà dell’Assemblea verso quelle popolazioni terremotate; nello stesso tempo propongo all’Assemblea che sia disposto l’invio di soccorsi.

PRESIDENTE. Posso assicurare l’onorevole Musolino, che il Governo ha già provveduto in questo senso.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Riprendiamo l’esame del Titolo III.

Gli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti, hanno proposto il seguente articolo 36-bis:

«Ai sindacati è riconosciuto il diritto di contribuire direttamente alla collaborazione di una legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori e di controllarne l’applicazione mediante la costituzione di un Consiglio nazionale del lavoro elettivo, nel quale saranno rappresentati il Governo e le categorie produttrici in misura che tenga conto della loro efficienza numerica».

BOZZI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Vorrei proporre che si esaminasse questo articolo quando si parlerà degli organi legislativi e degli eventuali organi ausiliari della funzione legislativa.

Ora non potremmo fare altro che una delibazione, la quale ci farebbe perdere del tempo; mentre questo problema si inquadra nel sistema degli organi legislativi ausiliari, fra i quali è previsto un Consiglio economico.

PRESIDENTE. Onorevole Di Vittorio, quale è il suo parere?

DI VITTORIO. Desidererei conoscere in proposito l’avviso della Commissione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione ha preso in esame la proposta dell’onorevole Di Vittorio, relativa alla costituzione di un Consiglio nazionale del lavoro, ed ha ritenuto che possa essere, in massima, accolta, ma debba essere esaminata e messa in rapporto con la questione dei consigli economici.

La proposta dell’onorevole Di Vittorio è infatti che del Consiglio del lavoro facciano parte tutte le categorie produttive; è lo stesso concetto su cui è basato il sistema del Consiglio economico; i due temi debbono dunque essere considerati unitariamente.

PRESIDENTE. Onorevole Di Vittorio, accede al criterio della Commissione?

DI VITTORIO. Ringrazio la Commissione di aver accolto il concetto che abbiamo espresso in quest’articolo aggiuntivo da noi proposto ed accolgo il suggerimento di rinviarne l’esame al momento in cui verrà decisa la questione dei consigli economici.

CINGOLANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI. Il mio Gruppo si associa alla dichiarazione del Presidente della Commissione onorevole Ruini e si riserva di approfondire il problema, che è molto più complesso di quanto non possa apparire alla prima enunciazione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Condividiamo il punto di vista del Presidente della Commissione. Anche noi siamo convinti che il tema è di tale importanza e così strettamente collegato all’ordinamento costituzionale dello Stato che aderiamo all’idea di rimandarne l’esame in sede opportuna.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi associo, a nome del mio Gruppo, alla proposta di rinvio.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni rimane stabilito che l’esame e la decisione definitiva sull’articolo aggiuntivo presentato dall’onorevole Di Vittorio avranno luogo nel momento in cui si entrerà nel merito della discussione degli organi ausiliari del potere legislativo.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’esame dell’articolo 37:

«Ogni attività economica privata o pubblica deve tendere a provvedere i mezzi necessari ai bisogni individuali ed al benessere collettivo.

«La legge determina le norme ed i controlli necessari perché le attività economiche possano essere armonizzate e coordinate a fini sociali».

L’onorevole Gabrieli ha già svolto la sua proposta di sopprimere l’articolo.

L’onorevole Cortese, che ha pure proposto la soppressione dell’articolo 37, non è presente. S’intende quindi che abbia rinunciato a svolgere il suo emendamento.

Un emendamento soppressivo dell’intero articolo è stato pure presentato dagli onorevoli Marina, Colitto, Rodinò Mario e Puoti.

L’onorevole Colitto, secondo firmatario dell’emendamento, ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Noi abbiamo chiesto, onorevoli colleghi, la soppressione dell’articolo 37 del progetto e insistiamo su questa nostra proposta.

L’articolo 37 è composto di due commi.

Il primo di essi dispone:

«Ogni attività economica privata o pubblica deve tendere a provvedere i mezzi necessari ai bisogni individuali ed al benessere collettivo».

Tale affermazione sembra a noi del tutto pleonastica. Si parla in questo comma di attività privata e di attività pubblica. Ora, fattività privata trova la sua precisa disciplina nel successivo articolo 39, in cui si parla appunto dell’iniziativa economica privata, nei confronti della quale si afferma non soltanto che è libera, ma anche che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale. È fissato, quindi, secondo il nostro avviso, con molta precisione, il binario entro il quale l’attività privata è libera di muoversi. Non ci sembra, perciò, che vi sia altro da aggiungere. Qualunque cosa si aggiungesse, non gioverebbe – secondo noi – né alla torma, né alla sostanza. Non alla forma, perché in un articolo si parlerebbe di attività economica privata e nell’altro di iniziativa economica privata. Mi rendo conto che l’iniziativa è, per così dire, la volontà di fare, e la attività è la realizzazione di tale volontà. Ma non è opportuno, a mio avviso, in un testo costituzionale chiaro, semplice, preciso, parlare indifferentemente or dell’una or dell’altra cosa. Non alla sostanza, perché, ove si legga il primo comma dell’articolo 37, si riporta l’impressione che l’attività privata, dovendo muoversi in una determinata precisa direzione, non goda più della libertà, ed ove si legga l’articolo 39, si riporta l’impressione che quella volontà di fare, di cui ho parlato, possa realizzarsi liberamente senza tener conto del binario da noi indicato.

Quanto poi all’attività pubblica, è appena il caso di osservare essere evidentissimo che essa non può mai essere contraria all’interesse pubblico. È del tutto inutile, quindi, a nostro avviso, consacrare ciò in tavole statutarie. Non è nel desiderio di nessuno di fare di questa nostra Costituzione anche una discreta e poco simpatica collezione di formulazioni inutili. Ieri l’altro abbiamo approvato che l’arte e la scienza sono libere e ieri che l’assistenza privata è libera: non credo che sia proprio il caso di aggiungere che l’attività pubblica deve tendere all’interesse collettivo.

Il secondo comma dispone: «La legge determina le norme ed i controlli necessari, perché le attività economiche possano essere armonizzate e coordinate a fini sociali».

Si pone anche, qui, con accenno molto discreto, senza una formale qualifica, il problema della pianificazione. In sede di terza Sottocommissione, l’onorevole Fanfani si espresse così a questo proposito: «È una novità della nostra Costituzione stabilire la creazione di un organo, che coordini le attività economiche, che pianifichi o programmizzi le attività economiche».

Ora, in proposito, a noi pare che l’Assemblea si sia già pronunciata, disapprovando l’emendamento proposto all’articolo 31, in cui si parlava appunto di intervento dello Stato diretto a coordinare, dirigere, armonizzare, orientare le attività economiche a fini sociali.

In quella occasione l’Assemblea disse di no, forse perché pensò che è molto difficile mantenere un controllo dell’attività economica negli schemi dell’attività politica.

Nessuna ragione vi è ora per essere di contrario avviso.

Insistiamo perciò per la soppressione dell’articolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato un emendamento che propone di fondere l’articolo 37 nell’articolo 39, con la seguente dizione:

«L’iniziativa economica privata è libera.

«La legge pone le norme necessarie perché le attività economiche siano coordinate a fini sociali, non rechino danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, né contrastino altrimenti con l’utilità comune».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORTATI. Quanto ha detto il collega che mi ha preceduto mi esime da troppe illustrazioni della prima parte del mio emendamento. Mi pare che si possa essere d’accordo nel chiedere che sia soppresso il primo comma dell’articolo 37, perché, per quanto riguarda l’attività pubblica, esso è evidentemente tautologico. Per l’attività privata poi è chiaro che l’unica ragion d’essere dell’articolo sta nell’attribuzione che esso vuol fare dal carattere funzionale della medesima, carattere che è messo bene in rilievo dagli articoli che seguono. Quindi non mi pare possa sorgere dubbio sulla necessità di questa soppressione.

Non sono d’accordo invece con l’onorevole Colitto per quanto riguarda la soppressione del secondo comma. Mi pare che il secondo comma debba essere conservato e coordinato con l’articolo 39. I due articoli hanno in comune l’obiettivo, che è quello di armonizzare l’attività economica privata con i fini pubblici. La differenza fra i due articoli è questa: mentre l’articolo 39 ha per oggetto un fine negativo, cioè impedire che l’attività economica privata possa recare danno all’utile pubblico, viceversa l’articolo 37 – secondo comma – ha per scopo di promuovere il coordinamento dell’attività privata con i fini pubblici: quindi ha una finalità positiva. A me pare che questo intervento dello Stato, onde coordinare l’attività economica verso un fine unitario, nella situazione attuale dell’economia non sia eliminabile. Esso è già in atto oggi, e non si può pensare che una Costituzione interventista in tantissimi campi dell’attività privata, come quella che risulta dalle disposizioni già approvate, possa prescindere dai controlli e dagli interventi a fini positivi di coordinamento, quali sono previsti dall’articolo in esame. Al fine però della semplificazione e della riduzione del numero degli articoli appare opportuno fonderlo con l’articolo 39. Per quanto riguarda la dizione da me proposta faccio osservare che la soppressione della parola «controlli» che si legge nel testo del progetto è stata effettuata non perché pensi che controlli non debbano esserci ma perché penso che il riferimento alle norme comprende tutti i vari provvedimenti (piani, programmi, controlli) che formano il contenuto possibile delle medesime. Mi pare che non sia il caso di limitare questo contenuto in via preventiva, e che sia meglio lasciare indeterminate tutte le possibili forme d’intervento a questo fine della coordinazione. Ho poi soppresso la parola «armonizzate», perché quando si dice «coordinate», si esprime lo stesso concetto ed essa appare quindi una ripetizione inutile. Insisto pertanto nell’accoglimento della mia proposta di emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Arata, Piemonte, Preti, Carboni, Persico, Segala, Cairo, Momigliano, Lami Starnuti, Ruggiero Carlo, Longhena, Fietta e Pignatari hanno presentato il seguente emendamento:

«Coordinare gli articoli 37 e 39 come segue:

«Trasferire il testo dell’articolo 39 nell’articolo 37, in sostituzione della sua prima parte, che rimane pertanto soppressa.

«Modificare, come segue, la seconda parte dell’articolo 37, la cui dizione completa viene ad essere la seguente:

«L’iniziativa economica privata è libera.

«Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

«La legge stabilisce le norme, i controlli e i piani opportuni perché le attività economiche pubbliche e private siano dirette e coordinate a fini di utilità sociale».

L’onorevole Arata ha facoltà di svolgerlo.

ARATA. Onorevoli colleghi, l’emendamento che ho l’onore di svolgere ha un primo fine comune con altri emendamenti: con quello ad esempio svolto dall’onorevole Mortati, il quale pure, in primo luogo, mira a sopprimere l’articolo 37. Come ha anche osservato l’oratore che mi ha preceduto, questo testo nel suo palese andamento tanto logico dà l’impressione di correr dietro alla propria coda. Esso, infatti, afferma che l’impiego di ogni attività economica, pubblica o privata, deve tendere a provvedere i mezzi necessari ai bisogni individuali ed al benessere collettivo. Dire questo è come dire che ogni attività economica deve essere economica, perché il contenuto finale e fondamentale dell’economia è appunto quello di provvedere ai bisogni individuali ed a procurare il benessere collettivo.

Chiediamo anche noi la fusione dell’articolo 39 con la seconda parte dell’articolo 37. L’articolo 39 vuole regolare l’iniziativa economica privata e stabilisce norme che suonano un poco come altrettante obbligazioni di non fare. La seconda parte dell’articolo 37 riguarda l’attività economica in genere.

E allora è evidente che l’ambito contrattuale più largo della seconda parte dell’articolo 37 comprende in qualche modo anche il contenuto del testo dell’articolo 39, per cui i due testi possono essere fusi in un unico ambito giuridico, il che costituisce un vantaggio per la semplicità, o come diciamo noi avvocati, per l’economia della materia.

Vi è poi una terza modificazione importante che noi chiediamo di introdurre nel progetto, e cioè l’accenno ai piani. Noi infatti chiediamo che la legge stabilisca le norme, i controlli e i piani opportuni perché le attività economiche pubbliche e private siano dirette e coordinate a fini di utilità sociale.

Dico subito, onorevoli colleghi, che non volendo noi fare rientrare dalla finestra quello che è stato cacciato dalla porta, il che costituirebbe una sfida all’Assemblea e al buonsenso, siamo disposti, ove ci venisse qualche suggerimento, a modificare anche qualche termine del nostro emendamento, perché, se è nostra intenzione che sia salva la sostanza, non vogliamo neppure che si crei oggi l’atmosfera nella quale è stato emesso il voto di venerdì.

Premetto a questo proposito che se vi è un ambito giuridico, sociale e politico, nel quale deve essere inibita ogni pragmatistica avventatezza di formulazione, questo è l’ambito costituzionale, e se vi è una materia nella quale deve essere eliminata ogni avventurosa leggerezza, questa è proprio la materia economico-sociale.

Assicuro l’Assemblea che questi concetti erano chiari allo spirito di coloro che hanno redatto l’emendamento che ora sto svolgendo.

Diceva l’onorevole Ghidini che una Costituzione è come un ponte lanciato verso l’avvenire: immagine verissima ed esattissima.

Ma, appunto perché è un ponte, noi siamo profondamente convinti che esso non deve essere agganciato soltanto alla sponda di arrivo, perché in tal caso occorrerebbero voli per arrivarci, sempre pericolosi fuor che in poesia, ma deve essere agganciato anche alla sponda di partenza, e cioè a criteri radicati di serietà, di realtà e di praticità.

È verità, dunque, che noi non vogliamo lanciare nessuna sfida all’Assemblea, e non vogliamo fare rientrare dalla finestra quello che è stato espulso dalla porta, ma è anche verità, onorevoli colleghi, che, secondo noi, inesattamente, certa stampa si è precipitata a conclamare che l’Assemblea, col suo voto di venerdì, aveva sdegnosamente respinto ogni principio, ogni accenno alla pianificazione; inesattamente, diciamo, perché è vero che l’Assemblea ha respinto il concetto della pianificazione quale risultava dall’emendamento Montagnana, ma è anche vero che quel voto è stato formulato con una riserva: cioè con la clausola sic rebus stantibus. E quali fossero queste res stantes ce lo hanno spiegato, coi loro discorsi, gli onorevoli Einaudi, Corbino, Belotti e Labriola. Essi hanno dato la precisa impressione di voler sì respingere la rosa della pianificazione, ma soltanto per il timore di pungersi colle spine del suo gambo. Si sono, cioè, preoccupati, a nostro avviso, non tanto di eliminare dalla Costituzione ogni accenno alla pianificazione, quanto di impedire che la Costituzione potesse ospitare di straforo un principio, che essi ritenevano inammissibile: il principio del servizio obbligatorio del lavoro.

Disse, infatti, l’onorevole Corbino: «Piani, sì, finché se ne vuole; ma si vada adagio coi piani dell’onorevole Pajetta». Ora, quei piani, che gli onorevoli oppositori ritenevano che costituissero i presupposti e i sottintesi dell’emendamento Montagnana, non figurano e non possono figurare più nel nostro emendamento; figura ed emerge soltanto il concetto della possibilità e della legittimità di determinati piani economici, a seconda delle esigenze economiche e sociali che possano prospettarsi e giustificarne la formazione.

Onorevoli colleghi, portato il tema in questa sfera concettuale, mi sembra che, a voler troppo ragionarci sopra e a voler creare contrasti di indole puramente polemica e dottrinale, si dia l’impressione di chi vada compiendo grandi sforzi per tirare su, con una carrucola, una mosca morta.

E mi sembra anche che si pecchi di poca memoria, perché l’Assemblea vorrà pur ricordare che poche ore prima del suo voto sulla cosidetta pianificazione, aveva emesso un altro voto, concernente l’intervento dello Stato nell’industria cinematografica; voto che, a nostro parere, altro non è se non un esempio pratico di pianificazione.

È facile immaginare che si ritornerà ad opporre che ogni accenno, anche larvato, anche attenuato, alla pianificazione è inutile ed equivoco, in quanto, o si riferisce semplicemente allo intervento dello Stato nell’economia privata, con la limitata finalità di costituirne un indirizzo, un orientamento, una regola – ed in tale caso l’accenno è inutile, perché tutto questo è già nella prassi e nei metodi dell’economia capitalistica e dello Stato liberale – oppure si vuole arrivare più in là, cioè alla introduzione d’un vero socialismo di Stato entro l’economia liberale e l’attività economica privata, e cioè all’introduzione di una pianificazione integrale e centralizzata, con la sostituzione dell’imprenditore privato col burocrate di Stato – ed allora si obietta che ciò è inammissibile sia perché la sostituzione dell’impresa privata col burocrate ha costituito sempre un disastro economico, sia perché il concetto di pianificazione è un concetto irrazionale ed antitetico con la economia privata e capitalistica.

Onorevoli colleghi, io darò brevissime risposte a queste obiezioni, risposte che se non hanno la orgogliosa pretesa di persuadere persone di tanto superiori a me in questa materia, varranno almeno a dimostrare la buona fede e la sicurezza morale che ha ispirato i presentatori di questo emendamento.

Alla prima obiezione posso rispondere che lo scandalizzarsi per un accenno ad un concetto, a un metodo, ad una prassi, che hanno un legame così stretto con tutta la nostra vita economica, alla quale vogliono dare solo un orientamento, un indirizzo; lo scandalizzarsi per questo, mi pare che sia un fuor d’opera, dopo che purtroppo questa Assemblea ha già votato una serie di norme e di dichiarazioni ancora vaganti nel cielo incerto della astrattezza e del divenire, e che comunque con la Costituzione e con la materia costituzionale vera e propria non hanno, forse, neppure una lontana parentela.

Quanto invece alla obiezione più profonda e cioè che si voglia tendere ad introdurre nella nostra Costituzione un socialismo di Stato, e a sostituire l’impresa privata con una burocrazia centralizzata, e che si tenda a creare una forma integrale e massiccia di pianificazione, mi sembra che si vogliano creare dei fantasmi per prendersi il gusto di combatterli.

Mi si consenta di dire che il fatto che la nostra Costituzione consacri il principio che il regno beato del beatissimo e totalitario laisser faire è finito per sempre, mi sembra non soltanto costituzionalmente legittimo ed esatto, ma anche praticamente opportuno.

E in quanto agli altri eventuali sottintesi che dovrebbero essere alla base del nostro emendamento, voglio formalmente precisare che l’inserzione dell’accenno ai piani nel nostro emendamento non ha mai avuto e non avrà mai lo scopo di volere porre all’Assemblea una perentoria alternativa fra sistema liberale e socialista, fra iniziativa economica privata e coercizione burocratica di Stato, fra capitalismo nella sua forma pura e pianificazione integrale.

La portata del nostro emendamento ha un valore che supera questa alternativa (la quale dividerebbe, automaticamente, l’Assemblea in due settori, il che noi vogliamo evitare): esso invece vuol soltanto portare il tema sopra un piano di praticità, di realtà, di attualità e di attuabilità.

Vogliamo cioè portare il dibattito in quella sfera concettuale nella quale lo stesso Von Hayek, che da molti è rappresentato come il campione della antipianifìcazione, ammette delle forme parziali di pianificazione, là dove scrive, testualmente: «Una pianificazione parziale può essere razionale ove la si intenda come il prodotto di una permanente architettura giuridica, architettata in modo da fornire all’iniziativa privata gli incentivi necessari per compiere gli adattamenti richiesti da ogni variazione della vita economica e sociale».

Pertanto, e mi avvio alla fine, nessuna alternativa è posta all’Assemblea tra libertà economica e vincolismo esasperato di Stato, ma soltanto disciplina di quegli interventi od interventismi di Stato che oggi campeggiano in tutti i paesi, tanto da far dire allo stesso Von Hayek che il mondo è oggi un caos di interventismi.

Assumere quindi, onorevoli colleghi, il socialismo come lo spauracchio, o come un voluto sottinteso, contro o a favore della pianificazione, è inesatto. Ci può essere molta pianificazione e poco socialismo, come può darsi molto socialismo e poca pianificazione. Tutto consiste nel saper distinguere i fini cui si tende, ed i mezzi che sono stati proposti come necessari a raggiungere lo scopo. È sul piano dei fini (che nel socialismo sono fini etici) e dei mezzi posti alla base di ogni pianificazione, che si può stabilire un parallelo tra socialismo e pianificazione. Senza questo aspetto fondamentale, si ha soltanto un metodo, onorevoli colleghi, ed è precisamente un metodo che abbiamo voluto fissare col nostro emendamento. Un metodo che balza dalla stessa impostazione del problema fondamentale, che è uguale in tutti gli ambienti giuridici sociali, e cioè in tutte le parti del mondo odierno, e che si enuncia in questi termini: distribuire un complesso limitato di risorse tra i vari possibili impieghi, in modo che i bisogni degli individui siano soddisfatti nel miglior modo possibile. Sono i fatti, sono le esigenze nazionali ed internazionali, sono i bisogni, le privazioni, le sofferenze degli uomini e delle comunità organizzate, che hanno imposto questo metodo. Non è qui la sede per esaminare se tutto questo sia frutto della guerra o di quel tracollo della economia liberale di cui, con la sua riconosciuta e simpatica onestà scientifica, parlava l’onorevole Corbino, o forse di entrambi insieme. Certo è, onorevole Corbino, che il tracollo dell’economia liberale sovrasta come un’ombra questi nostri dibattiti sul Titolo terzo.

Può darsi che sulle rovine di questo tracollo già cominci a spuntare la nuova economia di domani, e non sarà un male se sarà la pianificazione a tenerla a battesimo.

PRESIDENTE. L’onorevole Parri ha già svolto il seguente emendamento:

«Dopo il primo comma aggiungere il seguente:

«Spetta alla Repubblica, a raggiungere questo fine pubblico, indirizzare e coordinare le attività economiche del Paese».

Sono stati così svolti tutti gli emendamenti. Avverto ora che all’emendamento dell’onorevole Arata è stato proposto dagli onorevoli Taviani, Dominedò, Moro, Ambrosini, Belotti, Cremaschi Carlo, Castelli Avolio, De Palma, Martinelli e Valenti il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: le norme, i controlli ed i piani, le altre: le norme ed i controlli; alla parola: dirette, l’altra: orientate; alle parole: a fini di utilità sociale, le altre: a fini sociali».

L’onorevole Taviani ha facoltà di svolgerlo.

TAVIANI. Dirò brevissime parole. Noi aderiamo all’iniziativa dell’onorevole Arata, di fondere l’articolo 39 col 37, non fosse altro per l’economia del progetto, come ha proposto anche l’onorevole Mortati. Ritengo che, oltre al primo e secondo comma dell’articolo 39 debba mantenersi il secondo, che diventa terzo, dell’articolo 37, in quanto esso prospetta un’azione positiva di orientamento da parte dello Stato nei riguardi dell’economia.

Quanto allo spostamento di parole, noi siamo per la parola «orientate» che ci sembra più esplicita che non quella «dirette», che può far pensare ad una economia integralmente diretta; siamo per l’espressione «fini sociali» anziché «fini di utilità sociale», sia per evitare la ripetizione già insita nel primo comma, sia perché l’espressione «fini sociali» è più comprensiva di quella «fini di utilità sociale». Infine, circa l’inserzione della parola «piani», noi aderiamo a molte delle cose che ha detto l’onorevole Arata. Effettivamente, non è concepibile una economia orientata socialmente senza un sia pur minimo indirizzo prestabilito; evidentemente, deve esserci una visione unitaria dell’intervento dello Stato nell’economia. Ma non vediamo per quali motivi questa parola «piani» debba essere inserita nel testo costituzionale dal momento che nell’espressione «le norme e i controlli» si prevede appunto un intervento dello Stato, e non è detto che questo intervento debba essere sempre fatalmente empirico.

PRESIDENTE. Onorevole Arata, la prego di dire se accetta la proposta Taviani.

ARATA. Mi riporto a quanto ho già dichiarato all’inizio. Poiché non vogliamo qui rifare la questione della pianificazione nei termini in cui è stata già fatta, svolta e decisa, e neppure creare l’atmosfera in cui fu emesso il voto, propongo un nuovo emendamento che spero potrà trovare questa volta – poiché la questione della parola «piani» dovrebbe trovare, penso, l’approvazione anche da parte del gruppo dell’onorevole Taviani – il consenso da parte di tutti.

Propongo, quindi, che si dica:

«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica privata e pubblica possa essere indirizzata e coordinata a fini di utilità sociale».

PRESIDENTE. Onorevole Taviani, è d’accordo?

TAVIANI. Accettiamo la proposta Arata di parlare di programmi e di controlli, per quanto io insisterei ancora sull’espressione «fini sociali», anche per evitare la ripetizione.

PRESIDENTE. Onorevole Arata, accetta la formulazione: «a fini sociali»?

ARATA. Sì, accettiamo.

PRESIDENTE. L’articolo 37, coordinato con l’articolo 39, risulta, pertanto, del seguente tenore:

«L’iniziativa economica privata è libera.

«Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, privata e pubblica, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Invito la Commissione a esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione si è occupata dei vari emendamenti che sono stati presentati sino ad ora.

Il primo è un emendamento soppressivo. Abbiamo ascoltato l’onorevole Colitto che ha dichiarato i motivi della sua proposta. La Commissione non può accoglierla, almeno integralmente.

L’articolo 37 si divide in due commi; il primo comma aveva questo intento: di chiarire che l’attività economica pubblica non deve perdere di vista anche gli interessi privati, e che ogni attività economica privata deve tendere anche all’interesse collettivo generale. Si raggiungono, per diversa via, le stesse mete. Il comma non era veramente ozioso; e poteva presentarsi come un atrio e come una prima introduzione alle norme costituzionali che riguardano la impresa e la proprietà. Ad ogni modo la Commissione non ha difficoltà a togliere questo comma perché non è assolutamente necessario, e potrebbe essere da taluno inteso come ovvio, pleonastico.

Il secondo comma invece è difeso dalla Commissione, che è concorde nel dargli un valore, che anche l’onorevole Colitto vorrà riconoscere. L’idea base è quella del coordinamento. È l’esigenza e l’aspirazione generale, con tanti germi di dissolvimento e discrasia nel momento che noi viviamo. Chi può negare che vi sia bisogno di coordinare le attività economiche pubbliche fra loro e quelle private con le pubbliche? Non vi possono essere a questo riguardo dubbi sopra nessun banco dell’Assemblea.

L’onorevole Corbino, qualche giorno fa, ha riconosciuto che nessuna economia può prescindere da attività dello Stato. Il comunismo puro ed il liberismo puro, sono due ipotesi e schemi astratti che non si riscontrano mai concretamente nella realtà. Si è avuto e si avrà sempre intervento dello Stato (anche nelle fasi più libere) e sfere di attività ed impresa privata (sia pure limitatissime, come in Russia). La realtà è sempre una sintesi, una risultante della vita economica e negarla è negare la vita stessa. Si possono spostare di qua e di là le linee d’incontro; ma vi saranno sempre.

Io qualche volta sono stato rimproverato di eclettismo perché ritengo appunto che il vero problema è di trovare la giusta linea di incontro fra due esigenze contrapposte.

La disposizione proposta risponde a questo concetto; e faccio notare ai pavidi d’ogni interventismo statale che è per essi una garanzia, nel senso che il coordinamento non potrà avvenire per semplice decisione o capriccio di autorità e di Governo, ma soltanto per legge.

Risorge, a proposito di questo comma, la questione dei piani. Vorrei osservare all’onorevole Colitto che quanto egli ha detto non è del tutto esatto: la votazione che avvenne qui qualche giorno fa, non ha compromesso assolutamente la questione dei piani. Vi sono state dichiarazioni esplicite di coloro che, come gli onorevoli Parri e Taviani, hanno votato contro la proposta di innestare l’idea di «piano» sopra il diritto al lavoro. È parso anche a me che questa impostazione fosse incompleta e facesse perdere al «piano» la sua generalità. È parso inoltre che l’inserimento particolare potesse prestarsi ad una diversa interpretazione, sostituendo al concetto dell’utilizzazione delle forze economiche di un paese quello di voler dare a tutti i costi del lavoro e di imporre, occorrendo, anche il lavoro obbligatorio. È stato un insieme di considerazioni che ha determinato quel voto. Però anche coloro che hanno votato contro hanno dichiarato che la questione del piano non veniva con ciò compromessa.

Veniamo alla sostanza. La parola «piano» è per alcuni un feticcio, per altri uno spauracchio. Non deve essere né l’uno né l’altro. Voler negare che vi siano niella vita economica piani è un assurdo. Leggevo questa mattina che gli incaricati della «Import Export Bank» che vengono in Italia chieggono un piano. Questo avviene tutti i giorni.

Piano non significa soltanto piano integrale, coattivo, alla russa, che sopprima l’iniziativa privata. Nella nostra Costituzione abbiamo messo che l’iniziativa economica privata è libera. Evidentemente un piano che sopprimesse l’iniziativa privata non è ammissibile. Perché allora vi deve essere una fobia a mettere nella Costituzione anche la parola «piano»? Sono possibili piani che consentano le iniziative private, che ne prevedano lo sviluppo, che diano direttive ed indirizzi? Un metropolitano che diriga l’attività privata (l’esempio è nei libri recenti di neoliberisti come l’Hayek) non compie niente che non sia liberale, anzi assicura la libertà della circolazione. Un piano, naturalmente, può e deve essere qualcosa di più che la bacchetta d’un metropolitano. Vi sono interventi ed attività economiche pubbliche inevitabili, lo ha ammesso anche l’onorevole Corbino; il piano sorge al loro punto di incontro e di coordinamento.

I piani vi saranno sempre anche se non si mette la parola nella Costituzione. Poiché questa riconosce la libertà dell’iniziativa privata, i piani non possono far paura nemmeno ai più sospettosi. Del resto, fra parentesi, vi sono neoliberisti che, per introdurre e garantire la libera concorrenza, compromessa dal suo stesso giuoco spontaneo che produce deviazioni e monopoli, propongono… piani di intervento statale… neoliberista più macchinosi di altri piani.

Rifiutare in ogni modo la parola piano mi sembra un errore, se non altro, perché si dà un significato di vittoria della tendenza antiliberale, se non comunista, ogni volta che si fa, e si deve fare un piano.

Credo che non vi dovrebbe essere difficoltà ad accogliere la proposta dell’onorevole Arata, nel testo concordato con l’onorevole Taviani, che per dissipare un’atmosfera di equivoci e di dubbi, anche se non giustificati, sostituisce alla parola «piano» quella di «programma».

Ed ecco un’altra e minore questione: la fusione dell’articolo 37 e dell’articolo 39 che è stata proposta dall’onorevole Mortati, ed anche dall’onorevole Arata. La proposta Mortati potrebbe essere accolta, ma ormai che siamo avviati con l’emendamento Arata-Taviani ad una formula di accordo, è meglio che l’onorevole Mortati non insista, anche perché nella sua formula il concetto di coordinamento e di piano è un po’ annacquato. Con il testo Arata-Taviani si ha una struttura ed un’espressione logica; affermata nel primo comma la libertà dell’iniziativa e dell’impresa privata, vengono in luce nel secondo comma i limiti, per così dire passivi, di principî e criteri che l’iniziativa deve rispettare, e nel terzo comma i limiti attivi, e cioè quelli che la legge può imporre ai fini del coordinamento e del piano.

Con l’emendamento da noi accettato si ottiene la diminuzione di un articolo, e cioè, sia pure in proporzione minima, quello snellimento della Costituzione, che è stato mio ardente desiderio, e che purtroppo non ottiene successo di solito, qui, con le aggiunte che si fanno.

PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Non essendo presente l’onorevole Gabrieli, il suo emendamento soppressivo si intende decaduto.

Onorevole Cortese, mantiene il suo emendamento soppressivo?

CORTESE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento soppressivo?

COLITTO. Vorrei chiarire il mio pensiero.

PRESIDENTE. Chiarire, ritirando l’emendamento?

COLITTO. Sì. Sono perfettamente convinto che né lo Stato né gli enti né i singoli si possono muovere senza programma. Ed è per questo che io, occupandomi dell’articolo 39, avevo proposto all’Assemblea un articolo sostitutivo dello stesso, così redatto:

«La iniziativa e la impresa privata sono libere, nei limiti che lo Stato stabilisce per coordinare e dirigere le attività economiche ai fini di aumento della produzione e del benessere sociale».

Discutendo in sede generale, io dissi che, approvandosi l’articolo 39, sarebbe diventato del tutto inutile il secondo comma dell’articolo 37. Dissi allora, cioè, quello che, con maggiore autorità e chiarezza, ha detto questa mattina l’onorevole Mortati. Intanto questa mattina ho insistito sulla soppressione del capoverso dell’articolo 37, in quanto mi sembrava che l’Assemblea avesse già manifestato il suo pensiero in proposito, in una delle precedenti sedute, respingendo l’emendamento proposto all’articolo 31.

Ma, dati i lucidi chiarimenti che sono stati offerti all’Assemblea ed a me poco fa dall’onorevole Ruini, dichiaro di non insistere sull’emendamento soppressivo dell’articolo 37, tanto più che, in sostanza, sembra che sarà soppresso nella coordinazione che pare abbia luogo dello stesso con il successivo articolo 39.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene l’emendamento?

MORTATI. Poiché, nella sostanza, l’emendamento da me proposto coincide con quello degli onorevoli Arata e Taviani, lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Parri, mantiene l’emendamento?

PARRI. Lo ritiro, in quanto aderiamo all’emendamento concordato dell’onorevole Arata, con le precisazioni che egli ha esposto e che corrispondono alle nostre vedute.

PRESIDENTE. All’ultimo comma dell’emendamento concordato dell’onorevole Arata e Taviani l’onorevole Corbino propone di sopprimere la parola «controlli».

Restano ora soltanto da porre in votazione la proposta soppressiva dell’onorevole Cortese e poi la formulazione concordata dell’onorevole Arata, salvo la proposta modificativa dell’onorevole Corbino.

CORTESE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTESE. Mettendo in votazione l’articolo secondo la proposta dell’onorevole Arata, si viene già a sopprimere l’articolo 37, trattandosi appunto di una fusione dell’articolo 37 con l’articolo 39.

PRESIDENTE. Onorevole. Cortese, la sua proposta è di sopprimere puramente e semplicemente l’articolo 37.

La pongo in votazione.

(Non è approvata).

Passiamo alla votazione dei primi due commi dell’emendamento concordato dell’onorevole Arata, salvo poi a porre in votazione il terzo comma con la proposta soppressiva dell’onorevole Corbino.

EINAUDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI. Ricordo di aver proposto due emendamenti all’articolo 39, il quale verrebbe ora fuso con l’articolo 37. Tali emendamenti decadrebbero, senza che avessi avuto modo di svolgerli.

PRESIDENTE. Onorevole Einaudi, lei ha proposto due emendamenti all’articolo 39:

«Sopprimere le parole: in contrasto con l’utilità sociale o»;

«Aggiungere il seguente comma:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

Ritengo che possano essere considerati come emendamenti al testo concordato dell’articolo 37 e quindi ha facoltà di svolgerli ora.

EINAUDI. Il primo emendamento all’articolo 39 da me presentato si limitava a togliere le parole: «in contrasto con l’utilità sociale o». Ma poiché vedo che l’Assemblea è propensa ad introdurre nei testi legislativi parole le quali non hanno un significato preciso e su cui i commentatori avranno in avvenire ampio campo a discutere, su questo punto preciso non insisto. Avevo già imparato che nelle Costituzioni di oggi si usano indicare principî ed additare indirizzi per l’azione successiva del legislatore. Apprendo ora che, oltre ad indicare principî ed indirizzi per il legislatore futuro, si formulano anche auguri, che in avvenire si riesca a scoprire il significato delle parole che oggi non si conosce.

E passo quindi all’emendamento, all’aggiunta che ho proposto. Questa aggiunta deriva dalla necessità, da me sentita, di cercare di scoprire cioè quale era il vero contenuto di tutte queste norme, sia dell’articolo 37 congiunto coll’articolo 39, sia dell’emendamento dell’onorevole Arata, accettato da tanta parte dell’Assemblea.

Le disposizioni contenute in quegli articoli non segnavano in realtà alcun indirizzo al legislatore; non dicevano al legislatore ciò che egli doveva fare; dicevano semplicemente che il legislatore in avvenire farà tante belle cose e darà tanti indirizzi, e stabilirà dei controlli e dei programmi e dei piani. Io credo che fra programmi e piani nel dizionario dei sinonimi del Tommaseo non vi sia alcuna differenza: le due parole esprimono lo stesso concetto.

MALAGUGINI. Una parola fa paura e l’altra no.

EINAUDI. Sono parole che esprimono il medesimo concetto. In nessuno di questi due articoli è espresso il concetto che principalmente il legislatore deve enunciare.

Ora, ciò che il legislatore principalmente deve dire e proporsi come scopo è la lotta contro quello che è il male più profondo della società presente: e il male più profondo della società presente non è la mancanza di programmi e di piani – ché ne abbiamo avuti fin troppi – ma è invece l’esistenza di monopoli. Cento anni fa Proudhon ha detto che «la propriété c’est un vol», proposizione gravemente erronea allora come adesso, e testimonianza della incompetenza in cui egli versava intorno alle conquiste della scienza di quel tempo. Dieci anni prima era infatti stato pubblicato da Agostino Cournot un libro fondamentale sui principî della scienza della ricchezza dove Proudhon avrebbe appreso che non è la proprietà un furto, ma è il monopolio il furto, è il monopolio il danno supremo dell’economia moderna. Noi, in questa Costituzione, del monopolio non ne parliamo affatto. Ne parliamo solo all’articolo 40 incidentalmente, per dire che lo Stato deve farsi seguitatore e quasi complice dei monopolisti nel senso dello assumere esso quei monopoli con cui i monopolisti privati riescono a fare il danno della collettività. È come se dinanzi al ladrone pubblico che svaligia i viandanti, noi si dicesse al carabiniere: tu non arresterai il ladrone, ma anzi ti convertirai in ladrone e a tua volta spoglierai coloro che camminano per le strade. Questo è in sostanza quello che abbiamo detto nell’articolo 40 a seguito dei principî posti negli articoli 37 e 39, trascurando la novità fondamentale dell’economia moderna, il frutto maggiore degli studi che in un secolo sono stati compiuti per vedere qual è l’origine dei mali sociali. L’origine più profonda e vera dei mali sociali è il monopolio e noi nel testo costituzionale non diciamo niente, non facciamo niente per combattere, per lottare contro il monopolio.

Chiedo perciò che nella Costituzione sia sancito il principio che la legge non deve creare il monopolio e che quando i monopoli esistono, questi monopoli devono essere controllati. La legge non deve istituire essa i monopoli, non deve farsi essa stessa strumento di creazione di monopoli.

Monopolio che cosa vuol dire? Monopolio vuol dire semplicemente rialzo, ad opera del monopolista, dei prezzi al di sopra di quelli che esisterebbero in regime di libera concorrenza, e se i prezzi sono alti i consumatori devono rinunziare ad una parte dei beni che altrimenti avrebbero consumato, mentre altri che avrebbero potuto essere invogliati a produrre quei beni non li possono, per la mancanza di domanda, produrre. Di qui la disoccupazione. L’origine più profonda della disoccupazione è nell’esistenza dei monopoli che riducono la quantità dei beni, che aumentano i prezzi del resto dei beni che ancona si producono, che aumentano i profitti dell’imprenditore al di sopra di quello che sarebbe dovuto quale compenso normale al capitale investito, al di sopra di quello che sarebbe il compenso normale dell’opera dell’imprenditore. Il monopolio crea quelle disuguaglianze sociali che in tanti articoli della Costituzione si vorrebbero eliminare, e noi non diciamo nulla, non stabiliamo neppure il principio che la legge non deve operare in modo che sorgano i monopoli, vera fonte della disuguaglianza, vera fonte della diminuzione dei beni prodotti, vera fonte della disoccupazione delle masse operaie. Non dicendo nulla creiamo una profonda lacuna del nostro sistema legislativo. Io non affermo che nello statuto fondamentale dello Stato si debbano indicare le norme con le quali la legge debba cessare dal creare dei monopoli, perché cadremmo nel vizio del legiferare senza adeguata meditazione. Affermo soltanto che è necessario che nella Costituzione sia stabilito il principio che la legge non deve creare i monopoli.

Purtroppo da noi la legge ha creato e sta creando monopoli. Li crea quando stabilisce un sistema di brevetti così congegnato da non attribuire soltanto il dovuto premio agli inventori, ma da non consentire alla collettività di utilizzare per un periodo di tempo indefinito e troppo lungo le invenzioni. Crea i monopoli, in quanto rende possibile la esistenza non solo delle società anonime che sono uno strumento utile, ma ne consente la degenerazione, quando esse si svolgono a catena. La legge, stabilendo limitazioni ai nuovi impianti industriali, crea monopoli a favore degli stabilimenti già esistenti. La legge, decretando protezione doganale, la quale non sia strettamente limitata nel tempo – e quasi nessuna protezione doganale è limitata nel tempo – crea i monopoli di coloro che non hanno più timore della concorrenza straniera, e sono liberi di taglieggiare congruamente i consumatori.

Noi dobbiamo perciò stabilire, per lo meno, il principio che la legge non debba essere essa stessa a creare dei monopoli. Quando poi i monopoli esistono, indipendentemente dall’opera della legge, noi dobbiamo chiedere che siano soppressi ed eliminati; quando esistono, noi dobbiamo affermare, in generale, che opportuni metodi siano adottati per controllare i monopoli medesimi.

Non è necessario che nella Costituzione siano stabilite le modalità precise del controllo. Nell’emendamento, dopo aver detto che la legge non è strumento di formazione di monopoli economici, si aggiunge che, ove questi esistano, essa li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazioni pubbliche delegate o dirette.

I mezzi per controllare i monopoli sono infiniti e vari. Non dobbiamo adesso stabilire quali devono essere, ma dobbiamo dire che vi debbono essere mezzi per controllare i monopoli. Il controllo deve effettuarsi sempre per via di una amministrazione pubblica ma il compito può essere anche delegato. Esempi numerosi ed antichi di delegazione si possono citare. Tutti i consorzi dei porti italiani non sono forse delegazioni a speciali enti pubblici per controllare una gestione che, se lasciata ai privati senza limiti, darebbe luogo al monopolio dell’esercizio di un determinato porto? Il legislatore italiano ha sottoposto alcuni principali porti a controllo unitario, ossia, secondo un piano o programma od ordinamento (quante parole per esprimere il medesimo concetto!), fin da un mezzo secolo, e l’esempio può essere continuato ed allargato. Quando noi abbiamo stabilito che l’istituto di emissione sia un ente pubblico e non vi debbano essere più azionisti privati, ma soltanto partecipanti pubblici, quando abbiamo detto che i dirigenti degli istituti di emissione devono essere nominati e graditi dal Governo, non abbiamo forse noi creato un’amministrazione pubblica e sottoposta al controllo da parte dello Stato?

Quando si creano dei consorzi di irrigazione, quando si regolano le casse di risparmio, in fin dei conti, noi costituiamo amministrazioni pubbliche delegate dallo Stato ad esercitare una funzione alla quale per il suo carattere eventualmente monopolistico o per altre ragioni noi attribuiamo carattere pubblicistico.

Può darsi sia conveniente usare anche altre forme e le abbiamo usate anche in Italia. Vi sono società anonime, il cui azionista, l’unico azionista, è lo Stato. Talvolta, lo Stato è solo un azionista preponderante. Che male c’è? Se ci sono delle brave persone le quali affidano il proprio capitale allo Stato sotto forma di sottoscrizione alle azioni di una società anonima e lasciano che lo Stato, che ha il pacchetto della maggioranza, regoli i criteri dell’amministrazione, distribuisca o non dividendi, abbiamo creato, con un costo bassissimo per lo Stato, una collaborazione, non certo dannosa alla cosa pubblica, fra risparmiatori privati e lo Stato.

Nella Costituzione non deve certamente essere affermato debba darsi la prevalenza all’uno o all’altro sistema concreto; può anche darsi si passi da un sistema all’altro. Le circostanze di ogni momento ed industria monopolistica consiglieranno la soluzione più opportuna.

In Italia il monopolio delle ferrovie, il monopolio che sino adesso è stato il più importante e perfetto che esistesse – ora non è più perfetto, perché contro il monopolio dei trasporti da parte delle ferrovie sono sorti i trasportatori privati con autocarri e automobili – ha dato luogo ai sistemi più diversi: dall’esercizio di Stato puro, siamo passati nel 1886 ad un sistema misto di tre società delegate private. Nel 1906 siamo tornati all’esercizio di un’amministrazione autonoma statale. Oggi siamo praticamente in regime d’amministrazione diretta di Stato delle ferrovie. I metodi di esercizio delle imprese monopolistiche pubbliche sono infiniti. Forse, fra i diversi metodi, quello dell’amministrazione delegata a un ente pubblico è preferibile a quello dell’amministrazione diretta. Ma in questa sede non dobbiamo dare soluzioni concrete; dobbiamo soltanto affermare il principio fondamentale che la legge non deve creare monopoli e quando questi monopoli esistono, essi devono essere controllati per via d’una amministrazione pubblica o privata. La mia aggiunta coincide con le norme che sono state proposte da altre parti dell’Assemblea. Specifico però e indico quale è in realtà il male fondamentale, la causa dei mali sociali odierni. Ove non ci si rendesse conto dell’importanza del problema noi mancheremmo al nostro dovere che è di combattere il fondamentale fra i mali sociali.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i primi due commi dell’emendamento Arata-Taviani:

«L’iniziativa economica privata è libera».

«Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

(Sono approvati).

Passiamo alla votazione del terzo comma. Poiché l’onorevole Corbino ha proposto di sopprimere le parole: «ed i controlli» devo porre in votazione il comma nel seguente testo:

«La legge determina i programmi opportuni perché l’attività economica privata e pubblica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. La votazione del testo senza la frase che l’onorevole Corbino propone di sopprimere mette in imbarazzo chi, come me, vorrebbe votare contro il testo, ma che, subordinatamente, voterebbe a favore dell’emendamento soppressivo dell’onorevole Corbino. Credo quindi che bisognerebbe porre in votazione la sola soppressione.

PRESIDENTE. Poiché ella è contrario al terzo comma, potrà votare contro le due formulazioni, sia con la soppressione Corbino, sia nel testo integrale.

LUCIFERO. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma emendato dall’onorevole Corbino.

(Non è approvato).

Pongo ai voti la formulazione concordata Arata-Taviani:

«La legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica, privata e pubblica, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

(È approvata).

Passiamo alla votazione del comma aggiuntivo presentato dall’onorevole Einaudi:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

CORTESE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTESE. Avevo presentato e svolto il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 39, emendamento che voleva, appunto, orientare il legislatore futuro ad una legislazione antiprotezionista:

«La legge regola l’esercizio dell’attività economica al fine di tutelare gli interessi e la libertà del consumatore».

Aderisco, ora, all’emendamento Einaudi, ritirando il mio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dire rapidamente le ragioni per le quali, pur apprezzando l’emendamento presentato dall’onorevole Einaudi, non siamo favorevoli ad accoglierlo.

L’onorevole Einaudi ha qui, con un’interessante esposizione contro il monopolio, ribadito concetti che ha sempre sostenuto con grande nobiltà e dignità scientifica. Il suo atteggiamento contro il monopolio risponde ad una concezione profondamente liberale; ma non presuppone l’ipotesi di una libera concorrenza, che spontaneamente ed automaticamente divide ogni monopolio. Su quest’ipotesi è sorta – due secoli fa – la scienza allora nuova dell’economia politica. Tutta una fase del pensiero scientifico, in economia, riteneva che bastasse la libertà e la concorrenza, perché l’optimum si verificasse e non vi fossero monopoli. Si è constatato invece che questo non avviene; che la libera concorrenza fa sorgere deviazioni, approfìttamenti, monopoli, ed allora la corrente liberale o neoliberista, di cui l’onorevole Einaudi è autorevole campione, vuole che, per combattere il monopolio, si restauri la libera concorrenza, una libera concorrenza che sarebbe non dirò artificiale, ma non spontanea e naturale. Occorrono interventi dello Stato per ristabilire e mantenere la libera economia di mercato: ed io ho avuto occasione, poco fa, di accennare che in alcuni casi si richiederebbero interventi, a fine di libertà, macchinosi come gli interventi che spaventano i liberisti.

È una posizione legittima, ma non così semplice… Dopo aver premesso questo rilievo, con tutta riverenza per un maestro come l’onorevole Einaudi, osservo che la direzione al suo emendamento è molto accentuata, e può giungere appunto alle ingerenze che ho ricordato. Dice da un lato: «La legge non è strumento di formazione di monopoli economici»; ma non sembra probabile che una legge dichiari apertamente che vuol introdurre un monopolio a favore di privati; e non è facile colpire se lo fa indirettamente o nascostamente. L’emendamento sottopone poi a pubblico controllo i monopoli a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta. Ed è qui che si dispiega la macchina antiliberista dei controlli. Controlli di squisita essenza interventista, con uffici, organi, burocrazia di vigilanza.

Vi è infine un’altra osservazione che mi parrebbe decisiva. Il nostro progetto di Costituzione consente già armi sufficienti contro il monopolio. Nell’articolo che ora abbiamo votato, che ammette il coordinamento ed i controlli a fini sociali vi è la facoltà di impedire la formazione dei monopoli. Nell’articolo 40 si prevede che quando si sono formati i monopoli, si può intervenire per nazionalizzarli. Lo scopo dell’onorevole Einaudi può essere raggiunto senza una formula, che presuppone una concezione economica discutibile. Ad ogni modo, lo ripeto, c’è già nella Costituzione quanto basta per combattere i monopoli.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Noi siamo profondamente sensibili alla esigenza di aggredire il monopolio. Pensiamo che l’esistenza di monopoli, naturali o volontari, sia il maggiore ostacolo perché la democrazia economica irrompa negli schemi della democrazia politica.

Ma, ciò premesso, dobbiamo osservare, dopo le considerazioni del professore Einaudi, che il problema dei monopoli, materia centrale della Costituzione in sede sociale ed economica, risulta affrontato di proposito nell’articola 40, dove il sistema monopolistico, oggi in fatto operante, è affrontato sotto più aspetti ai fini della trasformazione dell’impresa monopolistica in impresa socializzata. Cosicché, si arriva quivi alla ipotesi estrema: l’avocazione, in forza della quale il monopolio privato passa allo Stato o alla collettività. Resta l’ipotesi minore, laddove eventualmente non si possa giungere alla tesi della trasformazione dell’impresa monopolistica privata in impresa socializzata pubblica.

Ora, per tale caso, opera pienamente l’articolo che abbiamo testé votato, il quale contempla la possibilità o la necessità dei controlli nei confronti di ogni formazione non rispondente ad utilità sociale, fra le quali in primo luogo sono da considerare quelle monopolistiche. Posto tale spirito di tutta la Carta costituzionale, la quale affronta il problema dei privilegi e dei monopoli giungendo sino alla loro socializzazione, appare evidente che resta così assorbita anche la prima parte dell’emendamento Einaudi, laddove si vorrebbe espressamente che la legge non possa creare sistemi monopolistici: a fortiori questa eventualità sarà normalmente preclusa, una volta che la Costituzione già si cura, nei confronti di quelli esistenti, di arrivare al loro controllo o addirittura alla loro soppressione.

Per tutto ciò noi, pur comprendendo e condividendo lo spirito al quale si informa l’emendamento Einaudi, siamo formalmente contrari al suo accoglimento, ritenendo che i criteri da esso espressi siano esplicitamente od implicitamente contenuti nello schema delle disposizioni votate o votande. (Approvazioni al centro).

EINAUDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI. Volevo osservare soltanto che la configurazione storica che è stata posta innanzi dal Presidente della Commissione, che la concorrenza crei i monopoli, è una configurazione non conforme ai fatti. (Interruzione dell’onorevole Ruini).

Non occorre fare in questo momento valutazioni intorno all’importanza storica relativa delle varie cause dei monopoli. La importanza relativa dei monopoli creati dalla legge è minore di quella dei monopoli sorti da altre cause? Lasciamo la soluzione del problema storico agli storici dell’economia. Affermo soltanto che, laddove il monopolio è creato dalla legge, si debbono stabilire norme che facciano sì che l’indirizzo del legislatore sia quello di non creare nuovi monopoli. Quando poi i monopoli sono nati, bisogna affermare il diritto dello Stato ad esercitare controlli sui monopoli medesimi. L’inclusione, nell’articolo 40, della norma che i monopoli saranno nazionalizzati, non è sufficiente ed è simile, ripeto, a quella norma che stabilisse che il custode della pubblica sicurezza si faccia lui svaligiatore dei viandanti in luogo dei delinquenti. Se non vogliamo rendere lo Stato complice dei monopolisti, noi dobbiamo stabilire il principio che la legge non debba creare monopoli, e se questi sono creati, debba sottoporli a pubblici controlli. Se noi non stabiliremo questo principio fondamentale, noi non avremo adempiuto in questa materia al nostro ufficio essenziale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Einaudi:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

(Non è approvato).

L’articolo 37 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«L’iniziativa economica privata è libera.

«Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, privata e pubblica, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Passiamo all’articolo 38:

«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati.

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittimi e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità.

«La legge autorizza, per motivi d’interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo».

L’onorevole Bruni ha già svolto il seguente emendamento:

Sostituire gli articolo 38, 39, 40, 41, 42 e 43 coi tre seguenti:

I.

«II diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.

«Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune».

II.

«I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.

«Nell’ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione».

III.

«La proprietà dei beni d’uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».

L’onorevole Colitto ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La proprietà privata è garantita entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi che l’ordinamento giuridico stabilisce anche allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Può essere espropriata per motivi di interesse generale, dichiarati con legge, contro indennizzo».

L’onorevole Marina ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La proprietà è pubblica o privata.

«La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata, salvo l’indennizzo».

Ha facoltà di svolgerlo.

MARINA. Il mio l’emendamento ha lo scopo di rendere più raccolto l’articolo 38 anche in relazione a quanto si è fatto per l’articolo 37, che riassume quanto è detto nell’articolo 39.

Dice l’articolo 38, nella seconda parte del primo comma, che «I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati». Se si ammette, come assioma, che la proprietà è pubblica o privata, a me sembra che sia, in un testo costituzionale, inutile specificare che i beni che costituiscono la sostanza della proprietà appartengano allo Stato, ad enti od a privati, e pertanto questa specificazione, a mio avviso, dovrà trovare posto nella legge che regolerà la proprietà.

È perciò altrettanto pleonastico, anzi oserei dire un rafforzativo inutile, il dire che la proprietà privata è riconosciuta e garantita, perché ammesso nella Costituzione che la proprietà, oltre che pubblica, è anche privata, è ovvio che questa sia riconosciuta e garantita.

Pare al proponente semplicemente assurdo il pensare che se si ammette la proprietà privata questa abbia ad essere garantita. Dire successivamente che la legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, è pure inutile. Che la legge, parlando di proprietà privata, abbia a determinarne i modi di acquisto e di godimento, mi sembra ovvio, perché la legge non può non fare oggetto dell’esame e della specificazione di questi modi per cui il privato acquisisce e può godere questa proprietà.

Ma dove l’articolo in esame pone il principio del limite e della funzione sociale, per renderla accessibile a tutti, occorre fare alcune considerazioni. Si è detto, approvando l’articolo 37, quali dovrebbero essere le funzioni della proprietà privata. Ripeterlo nell’articolo 38 mi sembra pleonastico. Circa i limiti, quali possono essere? Essi possono essere di grandezza massima e di grandezza minima. Per la grandezza massima, a me pare che, poiché l’articolo 38 dice che «la legge autorizza, per motivi di interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo», una volta che il limite di grandezza sia tale per cui si abbia un danno alla collettività, si possa adoperare l’arma dell’espropriazione per limitare questa grandezza di proprietà. I limiti minimi possono essere, ad esempio, quelli della proprietà terriera, la quale può essere polverizzata da limiti troppo ristretti. D’altra parte, come possiamo noi stabilire oggi un limite alla proprietà terriera se questa proprietà non è operante, essendo troppo ristretta? Ecco perché col mio emendamento tolgo l’espressione: «i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti» perché l’espressione è troppo vaga.

Anche l’espressione: «Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità» mi sembra pleonastica, perché sarà la legge che dovrà stabilire norme al riguardo.

PRESIDENTE. L’onorevole Perlingieri ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati.

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge regola i modi di acquisto e l’esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione.

«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria.

«La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata contro giusto indennizzo».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERLINGIERI. Poche considerazioni, in forma breve. Sul primo comma: è quello del testo e non c’è nulla da aggiungere. C’è una proposta soppressiva dell’onorevole Mortati, alla quale io potrei prestare in anticipo la mia adesione, ma faccio considerare che noi abbiamo fino ad oggi scritto una Costituzione, che – sia detto senza irriverenza – è una specie di Divina Commedia alla quale «han posto mano e cielo e terra», e quindi nessuna difficoltà che venga inserita nel testo una dichiarazione che non è meno significativa di altre precedenti dichiarazioni inserite.

Sul secondo comma: questo è stato da me considerato in maniera particolare.

Dice il testo; «La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». Si pone così una relazione fra la legge e la proprietà, nel mentre deve porsi fra la legge (ius agendi) e il diritto di proprietà (facultas agendi).

Giacché, se è vero che il «diritto di proprietà» è il diritto per eccellenza, assoluto, e, come tale, finisce per identificarsi con la cosa, è pur vero, sul terreno giuridico, sul quale noi muoviamo, che la «proprietà» non è altro che una relazione, che intercede fra la persona e la cosa, ossia un rapporto giuridico espresso esattamente dal termine «diritto». Ecco perché io propongo di sostituire la dizione del testo: «La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», con quest’altra: «La legge regola i modi di acquisto e l’esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione».

Seconda osservazione: quando il testo demanda al futuro legislatore il compito di determinare il godimento della proprietà, a mio avviso demanda un compito impossibile, a cui non potrà assolversi.

Perché, se c’è un diritto il cui contenuto è indeterminato e indeterminabile, questo è appunto il diritto di proprietà; il quale per la sua caratteristica di «elasticità» può ridursi alla espressione minima, se compresso, ed espandersi nuovamente allo stato primiero di assolutezza, cessata la causa della compressione.

La legge, quindi, può statuire quello che il proprietario non può fare, non quello che il proprietario può fare, perché altrimenti si entrerebbe in una casistica innumerevole ed infinita, e come tale impossibile. D’altra parte, anche a voler considerare il contenuto del diritto di proprietà, non è possibile considerare un solo aspetto, ossia soltanto la facoltà di godimento perché attributi del diritto di proprietà sono e la facoltà di godimento ed il potere di disposizione. E poiché la legge tutela non soltanto la possibilità in astratto di godere e di disporre della cosa, ma anche l’effettivo godimento e l’effettiva possibilità di disposizione della cosa, nel che si concreta l’esercizio del diritto, a me pare che la dizione più esatta ed appropriata che prescinde anche da qualsiasi definizione del diritto di proprietà (che le fonti romane si guardarono bene dal tramandarci) sia quella da me proposta, nel senso che si debba sostituire alla dizione: «La legge determina i modi di acquisto, di godimento, ecc.» l’altra: «La legge regola i modi di acquisto e l’esercizio del diritto, ecc.».

Potrebbe preoccupare qualche collega la soppressione del termine «i limiti» racchiuso nel testo del progetto. È soppresso il termine, ma resta la sostanza.

I limiti sono impliciti: quando si parla di regolamento è implicita la limitazione. Infatti la legge regola l’esercizio concorrente del diritto, ponendo limiti e nell’interesse privato e nell’interesse pubblico. Altro limite si desume dalla funzione sociale che noi conferiamo al diritto di proprietà. La funzione sociale rappresenta appunto il limite estremo di applicabilità della tutela giuridica. Infatti, se il diritto viene esercitato in maniera antisociale, non riceve più tutela giuridica. Esistono dunque limiti che agiscono sulla sfera esterna del diritto e limiti inerenti al suo intimo contenuto. Nessuna preoccupazione dunque può derivare dalla soppressione della parola «limiti». A me pare inoltre che non si possa far luogo ad osservazioni di altro genere sulla parola «limiti». L’articolo 38 contempla infatti la proprietà in genere, mobiliare e immobiliare, e non può quindi trattarsi, puramente e semplicemente, che di limiti giuridici. I limiti di estensione alla proprietà terriera sono posti dal progetto all’articolo 41 e di essi sarà discusso nella sede opportuna.

Un’altra osservazione debbo fare a proposito di questo secondo comma. Nella formulazione del testo della Commissione troviamo affermato lo scopo di rendere la proprietà accessibile a tutti. Ora, a me pare che questa affermazione, in sostanza accettabile, sia troppo generosa e irreale. «La proprietà a tutti», «tutti proprietari» è uno slogan che non ritengo realizzabile.

E pertanto, pur accettando lo spirito del testo, vorrei adottare la formula più realistica: «allo scopo di favorirne la diffusione».

Sul terzo comma. Dice il testo:

«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità».

Anche qui, nel mio emendamento, è soppressa la parola «limiti», ma anche qui sarebbe infondata qualsiasi preoccupazione di carattere sociale, essendo sempre nel campo giuridico. Valgono le considerazioni precedenti. Se la legge regola la successione, nel regolamento della legge è implicita la limitazione.

L’altra soppressione che ha luogo nella formulazione da me proposta riguarda l’espressione «e i diritti dello Stato sulle eredità». Che cosa significa questa espressione? Se la legge regola la successione legittima e testamentaria, è ovvio che essa la regolerà nei rapporti di tutti i soggetti aventi diritto alla successione e quindi anche del soggetto Stato.

Già dalla nostra legislazione vigente è riconosciuto allo Stato il diritto alla successione dopo un certo grado; nessuna preoccupazione quindi di tale genere.

Ma, se per diritti dello Stato sull’eredità si dovesse intendere il diritto da parte dello Stato di compiere un prelievo in natura sull’eredità, io debbo dichiarare francamente e chiaramente il mio aperto dissenso. Le conseguenze di una tale ingerenza dello Stato sarebbero infatti incalcolabili nel campo economico, in quanto le eredità, nel loro complesso omogeneo ed unitario, verrebbero ad essere frazionate, a tutto danno dell’economia.

Quale necessità avrebbe, d’altra parte, questo intervento? Lo Stato può intervenire altrimenti sul valore dell’eredità; attraverso l’imposta successoria, proporzionale o progressiva, con la quale si compie ugualmente un prelievo, sia pure non in natura, ma in denaro. E di denaro è il comune denominatore dei valori, è l’equivalente del bene, nel quale ogni bene si può commutare. Se quindi questa frase dovesse intendersi in tal senso, io manifesto apertamente il mio dissenso e la mia preoccupazione per le conseguenze economiche a cui una simile affermazione potrebbe condurre. Questa è la ragione del mio emendamento soppressivo del comma.

Ultimo comma:

«La legge autorizza, per motivi d’interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo», dice il testo. Io vorrei aggiungere e modificare: «contro giusto indennizzo». Faccio in proposito pochissime considerazioni. Leggendo i verbali della Commissione ho rilevato che si è proposto di abolire la parola «giusto», in quanto la proprietà dovrebbe essere indennizzata con moneta riportata al suo valore prebellico. Il che significherebbe che se si dovesse espropriare un bene del valore di 50 mila lire prebelliche, e attuale di un milione, l’indennizzo sarebbe determinato sulla base di 50 mila lire e non di un milione. In questo caso, potremmo dire più lealmente che la proprietà verrebbe espropriata senza indennizzo. Siamo sinceri! Se questa poi non fosse la ragione della proposta, è evidente che l’indennizzo deve essere commisurato al valore attuale del bene; al momento cioè in cui si compie il trasferimento coattivo, in cui si determina la stima, si fa cioè la commisurazione in denaro. Questa è la ragione del mio emendamento.

Se, d’altra parte, la Commissione potesse rassicurarmi che la soppressione della parola «giusto» non è dovuta alle considerazioni suesposte, ricavate dalla lettura dei verbali della Commissione stessa, non avrei nessuna difficoltà a ritirare l’emendamento.

Non ho altro da aggiungere. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha proposto di sopprimere il primo comma. Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgere il suo emendamento.

La stessa proposta è stata fatta dall’onorevole Mazzei, che, non essendo presente, s’intende abbia rinunciato a svolgerla.

Gli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La proprietà è pubblica, privata e di uso civico. (Diritti e usi civici, demani popolari, ademprivi, vagantivi, ecc.)».

Gli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega hanno dichiarato di mantenere il loro emendamento, ma di rinunciare a svolgerlo.

Seguono gli emendamenti degli onorevoli Barbareschi, Carmagnola, Mariani, Vischioni, Costantini, De Michelis, Merlin Lina, Merighi:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I beni economici possono essere di proprietà privata o collettiva».

«Al secondò comma sostituire la parola: garantita, con la parola: tutelata».

«Sostituire il terzo e quarto comma col seguente:

«Le successioni legittime e testamentarie e le espropriazioni per motivi di interesse generale sono regolate per legge».

L’onorevole Barbareschi ha dichiarato di ritirarli.

Gli onorevoli Corbino, Quintieri Quinto, Perrone Capano, Condorelli, Lucifero, Bonino hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I beni economici appartengono allo Stato, ad enti ed a privati».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti dì godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla più facilmente accessibile a tutti».

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«La legge stabilisce le norme della successione legittima e testamentaria».

«Fare del quarto comma un articolo a sé».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerli.

CORBINO. Illustrerò molto brevemente gli emendamenti da me presentati congiuntamente ad altri onorevoli colleghi.

Il concetto del primo emendamento è in sostanza quello di sopprimere il primo periodo del primo comma, in cui viene data la classificazione della proprietà, in quanto dice che la proprietà è pubblica o privata. A mio avviso, è inutile un’affermazione di questo genere.

Il secondo ha un contenuto un po’ più importante, perché con esso si tende a spostare il significato della parola «limiti» che nel testo proposto dalla Commissione si vorrebbe riferire allo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà privata, mentre noi proporremmo che i limiti si riferissero al diritto di godimento e di uso oltre che allo scopo.

Il terzo concorda quasi con quello dell’onorevole Perlingieri, in quanto propone la soppressione della parte che concerne il diritto dello Stato, rimettendosi alla legge.

Col quarto emendamento, che concerne il quarto comma dell’articolo, per l’espropriazione per pubblica utilità, si propone di farne un articolo separato. Infatti è questa una materia così complessa che dovrebbe formare, a mio giudizio, un articolo a sé: si tratta quindi di un problema di collocamento.

Il fine animatore dei tre emendamenti è quello di togliere dalla Costituzione tutto ciò che può influire decisamente sulla formazione del risparmio come effetto di una situazione psicologica del risparmiatore. Non si tratta di risolvere qui il problema più generale dei limiti della proprietà privata, ma di affrontare invece il problema dell’interesse che ha la società a non ostacolare la formazione del risparmio. Evidentemente poi diventa un problema di tecnica finanziaria la scelta del punto in cui l’interesse privato si armonizza con l’interesse generale in materia di imposizione di tributi.

PRESIDENTE. L’onorevole Bibolotti ha facoltà di svolgere il suo emendamento, che è del seguente tenore:

«La proprietà è pubblica, cooperativa e privata. I beni economici possono appartenere allo Stato e agli Enti pubblici, alle cooperative, ai privati individualmente o collettivamente».

BIBOLOTTI. Onorevoli colleghi, noi stiamo prendendo in esame in sede costituzionale il problema dei vari tipi di proprietà.

Permettete che io mi soffermi un po’ e che richiami la vostra attenzione su un tipo di proprietà che nella situazione di fatto già da vari decenni è una realtà che nessuno contesta. Tuttavia è nei nostri occhi ancora, è nelle nostre menti il ricordo dell’accanimento col quale le prime azioni dello squadrismo fascista si abbatterono contro la proprietà cooperativa. Noi ricordiamo che le prime azioni di violenza, di saccheggio contro le istituzioni dei lavoratori presero come bersaglio precisamente le cooperative dei lavoratori, vale a dire un tipo di proprietà che era il frutto del risparmio, dell’iniziativa e dello spirito solidaristico dei mutualisti italiani, di quei mutualisti e cooperatori che inseguendo un loro sogno ideale avevano creduto che nell’Italia dei primi decenni di questo secolo fosse possibile avviarci verso una forma superiore di convivenza civile creando spontaneamente e con il loro sacrificio le istituzioni cooperative. Quella proprietà trovava la sua consacrazione giuridica in una legislazione ancora imprecisa ed imperfetta. Ma nessuno pensava allora di contrastare ai lavoratori italiani, operai, contadini, impiegati ed artigiani, questa magnifica realizzazione che faceva, ad esempio, di Torino, la culla della mutualità italiana, la culla dell’Alleanza Cooperativa Torinese; un fortilizio di emancipazione dei lavoratori. Vi erano grandi edifici, stabilimenti destinati alla produzione dei generi di consumo, dai medicinali al pastificio, al panificio, al laboratorio enologico. E poi ancora le cooperative della Venezia Giulia, le grandi cooperative operaie di Trieste e del Friuli, le grandi realizzazioni del molinellese, le grandi realizzazioni del reggiano! Tutta l’Italia al lavoro sulla via della cooperazione aveva quindi creato una realtà, la realtà di un tipo nuovo di proprietà, di una proprietà collettiva sui generis ma di una proprietà indivisibile, di una proprietà che i cooperatori classici affermavano essere ormai un patrimonio indivisibile di tutti i lavoratori ed artigiani. Era la consacrazione di un principio cooperativistico che anche in quest’Aula aveva avuto i suoi pionieri e i suoi assertori di grande valore: cito fra tutti il nome di Luigi Luzzatti. I cooperatori italiani videro allora abbattersi sui loro fortilizi e sulle loro istituzioni la furia fascista. Il fascismo divenuto Governo non lasciò la preda. Distrusse la cooperativa trasformandola in società anonima, in associazione puramente commerciale, dedita soltanto a fini di speculazione. Ora noi assistiamo al pullulare di molte iniziative nel campo della cooperazione. Purtroppo in questo campo – come da altri è stato posto in rilievo – si fa del nome cooperativa e cooperazione un uso indebito ed oggi possiamo affermare esservi una cattiva stampa sul nome della cooperazione e dei cooperatori, ma i veri cooperatori, quelli che videro appunto distrutte le loro organizzazioni nel 1920 e nel 1921, affermano la loro volontà di ridar vita a quelle libere istituzioni che segnano un notevole apprezzabile progresso nella via del lavoro sociale e nella via del lavoro cooperativo. È quindi, onorevoli colleghi, direi quasi una giustizia che noi rendiamo ai lavoratori italiani consacrando in un articolo della Costituzione come tipo di proprietà la proprietà cooperativa. Quando si discuterà l’articolo sulle funzioni delle cooperative, noi troveremo modo, onorevoli colleghi, e speriamo con largo consenso, di ben definire e precisare le funzioni della cooperativa e le sue attribuzioni. Ma intanto io invoco da parte dei colleghi di accettare questa nostra formulazione che vuole essere appunto la codificazione e la consacrazione in un articolo costituzionale di una realtà incontestabile e su scala nazionale e su scala internazionale. Questa proprietà cooperativistica che oggi risorge, che oggi deve avere restituiti i beni che le vennero violentemente e fraudolentemente sottratti dal fascismo, è una realtà che deve trovare la sua consacrazione in questo articolo e nell’emendamento che io presento alla vostra approvazione.

Io non mi diffondo di più perché so che in questa Aula vi sono molti amici della cooperazione in quanto il problema va al di là dei diversi settori e dei diversi partiti e penso quindi che questo emendamento, anche se patrocinato da questi banchi e da un deputato comunista, debba essere accolto come espressione di una volontà e di una aspirazione di tutti i lavoratori italiani che vedono nella cooperazione uno strumento della loro emancipazione e che vedono nella proprietà cooperativa una forma più avanzata della proprietà così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Dominedò e Moro:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I beni economici appartengono allo Stato, ad istituzioni, a privati».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Onorevoli colleghi, il mio emendamento concerne il primo comma dell’articolo, a proposito del quale ha già parlato l’onorevole Bibolotti, sottolineando l’opportunità che tra la proprietà privata e pubblica sia fatta menzione della proprietà cooperativa.

Ed in realtà, io ricordo dai lavori della terza Sottocommissione che nella stesura originale del progetto si contemplava appunto questo trinomio: proprietà privata, proprietà cooperativa, proprietà pubblica. In tal caso l’articolo avrebbe avuto un senso specifico, poiché la mera menzione «proprietà privata e pubblica» non pare la più confacente ad un testo costituzionale. Dice poco concretamente, quando rivanghi una distinzione secolare che ci viene dal diritto civile e romano; dice troppo genericamente, quando pretenda esprimere qualche cosa di nuovo.

Tuttavia, secondo me, oggi la proprietà cooperativa non è ancora raffigurabile giuridicamente come un vero e proprio «tertium genus», rispetto alle figure tradizionali di proprietà. Io penserei che la sede più opportuna per venire incontro a tali esigenze, giuridiche, sociali e politiche, sia quella dell’apposita disciplina del fenomeno della cooperazione: mi pare l’articolo 43. Se là si credesse di inserire un inciso, nel quale si parlasse dei caratteri e della struttura della proprietà cooperativa, domani raffigurabile come nuova figura di proprietà collettiva, la norma sarebbe costituzionalmente più appropriata e più aderente alle esigenze così della realtà speciale come della sistematica generale.

È questo il motivo per cui si propone di depennare dal progetto la prima parte del comma. Con il duplice vantaggio di eliminare ogni definizione, che in sede costituzionale mal si addice, e di superare l’ulteriore obiezione per cui, posta una menzione della proprietà privata e pubblica nel primo comma, non si spiegherebbe, o mal si spiegherebbe, come poi nel secondo si riconosca e si garantisca solamente la proprietà privata.

Per quanto riguarda la seconda parte del comma, siamo dinanzi ad una formulazione casistica e descrittiva che lascia perplessi: «i beni economici appartengono allo Stato, agli enti o ai privati». A tacere che gli enti possono essere anche privati e che i privati possono essere anche enti, come è dimostrato da tutta la gamma degli enti oggi concepibili, converrebbe forse adottare una terminologia più significativa. E si potrebbe scegliere fra due vie: o rinunciare del tutto alla prima parte del comma, ovvero sostituire all’espressione «enti» una formula che possa rappresentare un punto di partenza per l’evoluzione giuridica e politica della materia.

Se allora si parlasse di «istituzioni» anziché di enti, si otterrebbe il risultato di contemplare, dal punto di vista giuridico, ogni organizzazione sociale che abbia carattere superindividuale, costituendo una sfera a sé di diritto obiettivo. La dottrina della pluralità dell’ordinamento giuridico si ricollega infatti, col Romano, al concetto di istituzione.

Inoltre, dal punto di vista economico, se si consideri la forza espansiva dello stesso concetto di «istituzione», recentemente estesa dal Greco anche alla nozione di impresa, potremmo, sotto tale profilo, venire incontro alle nuove esigenze, ritenendo implicitamente inclusa nella menzione costituzionale la stessa ipotesi della impresa cooperativa. Ammessa la riconducibilità dell’impresa al concetto di istituzione, noi inseriremmo nella Costituzione un termine, che potrà essere il fulcro su cui lavorare nel futuro, allo scopo di inquadrare sistematicamente le nuove ipotesi che appare opportuno tener presenti, se si vuole che la nostra Costituzione, pur esprimendo la volontà comune, sia sanamente proiettata nell’avvenire, come da più parti sembra invocarsi.

Queste sono le ragioni ispiratrici dell’emendamento, che qui si sottopone al giudizio dell’Assemblea (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Gabrieli:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita.

«Essa è accessibile a tutti. La legge ne determina i modi di acquisto e ne assicura il godimento nei limiti compatibili con la sua funzione sociale».

Poiché l’onorevole Gabrieli non è presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento degli onorevoli Targetti, De Michelis, Mancini:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: «e di renderla accessibile a tutti».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Rinunzio all’emendamento.

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Perrone Capano:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«La legge stabilisce le norme per la successione legittima e testamentaria».

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«La legge autorizza l’espropriazione della proprietà privata per motivi di pubblico interesse, contro giusto indennizzo».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerli.

PERRONE CAPANO. Vi rinunzio, associandomi a quelli dell’onorevole Corbino.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega:

«Dopo il terzo comma, aggiungere il seguente:

«Ovunque il bisogno delle popolazioni rurali lo richieda, saranno ricostituite, nei modi da stabilire con legge speciale, le soppresse proprietà collettive destinate al soddisfacimento delle più essenziali necessità di vita e di lavoro nei naturali, sotto la disciplina di Dominî collettivi, Università, Comunanze, partecipazioni agrarie, nonché di Cooperative di lavoro ed agricole».

Non essendo presente l’onorevole Nobili, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Grassi ha proposto di sopprimere il terzo comma.

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GRASSI. Se l’Assemblea permette io farei una proposta molto semplice: sopprimere il terzo comma dell’articolo 38, il quale si riferisce esclusivamente ad uno dei modi di acquisto della proprietà, ossia alla successione legittima e testamentaria, quella che tecnicamente si dice successione mortis causa. Non mi rendo conto in maniera sufficiente perché la Costituzione debba considerare in forma particolare questo modo di acquisto della proprietà, quando nel comma precedente è detto che la legge determina tutti i modi di acquisto e i limiti, allo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà privata.

Se fra le varie e molteplici forme d’acquisto che il diritto ha regolato e disciplinato nel Codice civile c’entra anche quella della successione mortis causa, bisogna considerare che ce ne entrano anche altre, e siccome la legge stabilirà i modi di acquisto della proprietà in tutte le varie forme, non si comprende la ragione, per la quale dobbiamo fare un precetto particolare per la successione legittima e testamentaria.

In questa forma di trasferimento della proprietà non è considerata un’altra forma, che non è a titolo oneroso, ma a titolo liberale, ma si avvicina nello scopo, ed è la donazione: perché le donazioni e le successioni formano un complesso, per cui in occasione della morte o per contratti tra vivi, vengono trasferiti i beni mobiliari e immobiliari.

Ora, non mi rendo conto della necessità che la Costituzione si occupi soltanto di una parte, ossia soltanto delle successioni legittime e testamentarie e non delle donazioni. Vi fo rilevare che nessuna Costituzione si è occupata di questa questione, all’infuori di due. Una – e questo è logico – la russa che con l’articolo 10 ha disposto che la successione è garantita: ma questa è una conseguenza del sistema economico, in quanto nel sistema economico russo non è consentita la proprietà privata se non nei limiti stabiliti dall’articolo 10. L’articolo 10 della Costituzione russa stabilisce la possibilità di un risparmio individuale in casi limitatissimi ed è logico che si occupi della successione di questo risparmio. Se n’è occupata anche la Costituzione di Weimar, quella Costituzione razionalista a cui spesso facciamo riferimento. Anch’essa si è trovata in una posizione tutta particolare. Ha stabilito di garantire il risparmio in un momento in cui poteva essere dubbio se il risparmio accumulato dall’individuo potesse essere trasferito, e quindi ha voluto affermare questo diritto, che non si sente il bisogno di affermare nelle Costituzioni che hanno come base il rispetto della proprietà privata. E nella Costituzione di Weimar è riconosciuto il diritto di successione, in quanto è affermato con l’articolo 154 il diritto dello Stato ad un prelievo sulle eredità.

L’onorevole Ghidini ha risposto a diverse preoccupazioni che ho visto manifestate da diversi settori dell’Assemblea. Gli emendamenti presentati da altri non sono soppressivi come il mio; essi stabiliscono che la legge deve occuparsi della successione legittima e testamentaria, togliendo la parte che si riferisce ai diritti dello Stato. Ora io dico che è meglio non parlare delle successioni, sopprimendo l’intero comma. Dal momento che l’onorevole Ghidini ha detto che non si intende che il diritto dello Stato consista in un prelievo, ma nel diritto di successione oltre il sesto grado e questo la legge civile prevede, non capisco perché la Costituzione debba parlarne in questa occasione. Né comprendo perché dobbiamo occuparci dei diritti fiscali dello Stato sulle eredità, quando lo Stato interviene in tutti i trasferimenti della proprietà. D’altra parte vi lascio considerare quale pericolo sarebbe se il fisco dovesse diventare coerede nelle successioni; noi faremmo entrare il fisco nei rapporti familiari più stretti. Non vi parlo delle grandi successioni, che sono statisticamente poco numerose, ma delle innumerevoli successioni di modesti patrimoni! Volete fare intervenire il fisco in questi rapporti familiari? Lo Stato si mantenga come terzo, richieda dei prelievi sul valore dell’asse ereditario; ma non come compartecipe: aumenteremmo i dissidi e le divergenze, in occasione delle successioni, e scompagineremmo l’unità della famiglia.

Penso sia molto più semplice sopprimere senz’altro il comma e lasciare al legislatore il compito di regolare le successioni ed i diritti fiscali dello Stato sulle eredità.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione, di esprimere il parere della Commissione per la Costituzione sugli emendamenti presentati all’articolo 38.

GHIDINI, Presidente della terza Sottocommissione. L’onorevole Colitto col suo emendamento propone di sopprimere la prima parte dell’articolo 38. Inoltre l’onorevole Colitto propone:

«La proprietà privata è garantita entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi che l’ordinamento giuridico stabilisce anche allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Può essere espropriata per motivi di interesse generale, dichiarati con legge, contro indennizzo».

L’espressione: «anche allo scopo di assicurarne la funzione sociale» ha uno scopo. Mentre nel testo la funzione sociale della proprietà ha un posto di primo piano ed è l’obiettivo principale, invece stando all’emendamento l’interesse privato appare preminente sopra la funzione sociale. In ciò non siamo d’accordo, perché tutte lo spirito del testo è informato a diverso concetto: che cioè l’interesse sociale è o alla pari o preminente sull’interesse individuale e particolare. L’emendamento dice inoltre: «La proprietà privata è garantita entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi che l’ordinamento giuridico stabilisce».

In esso, come in altri di cui dirò dopo, il concetto di limite è riferito agli obblighi che la legge impone, mentre nel testo della Commissione il concetto di limite è riferito alla proprietà. La cosa è profondamente diversa e non è necessario che lo dimostri. Quindi si tratta di una modificazione di carattere sostanziale, in contrasto col concetto informatore del testo accettato, salvo rare eccezioni, dalla Commissione dei settantacinque indipendentemente dai particolari orientamenti politici dei suoi componenti.

Per questa ragione la Commissione è del parere che non debba essere accolto l’emendamento Colitto.

Viene successivamente l’emendamento dell’onorevole Marina: «La proprietà è pubblica o privata». E qui si sopprime l’inciso: «I beni economici appartengono allo Stato, ad Enti od a privati».

Il che può essere un male o un bene; ma di questo diremo dopo.

«La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata, salvo l’indennizzo».

L’emendamento non parla di modi di acquisto, né di modi di godimento; ma sopratutto non parla di «limiti», abolendo in tal guisa ciò che l’articolo aveva di caratteristico; abolendo anzi la ragione stessa della sua esistenza. Rimane soltanto l’ultimo inciso, quello che si riferisce alla «espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo per motivi di interesse generale», che lascia immutata la situazione legislativa esistente la quale consente, colla legge del 1865 e successive, l’espropriazione per ragione di pubblica utilità.

Vi è poi un emendamento che per verità precede ma che avevo dimenticato. È l’emendamento sostitutivo degli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43, presentato dall’onorevole Bruni.

Sono tre articoli costituenti un unico emendamento. Mi limito a leggere solamente il primo:

«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale».

Ci troviamo di fronte alla proposta di una rivoluzione completa dell’ordinamento economico del nostro Paese. Non è il comunismo statale, che vi si propone, ma il comunismo delle associazioni, il comunismo delle collettività.

Io non voglio dire che il pensiero dell’onorevole Bruni non sia un pensiero elevato e non possa in un domani, più o meno prossimo, diventare una realtà, ma devo dire che noi non abbiamo inteso col progetto di Costituzione di mutare essenzialmente il sistema economico vigente.

Diamo atto che l’attuale è una situazione di transizione, ma non è tale da consentire una rivoluzione così profonda, come questa che egli ha suggerito nel suo emendamento.

È per questa ragione di acronisticità che la Commissione non ritiene di potere accogliere l’emendamento dell’onorevole Bruni.

C’è un emendamento dell’onorevole Perlingieri, del seguente tenore: «La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad Enti od a privati».

E questo lascia intatto il primo comma del testo. L’emendamento continua: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita. «La legge regola»… (invece che «determina», che secondo noi è dizione più esatta) «…i modi di acquisto e l’esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione». Secondo l’onorevole Perlingieri la frase che propone è più propria ed accenna a qualcosa che praticamente si può meglio raggiungere. Io penso che si tratta di una modificazione di carattere formale e ritengo che il testo della Commissione sia migliore anche dal punto di vista letterario. La proposta di Perlingieri è manchevole inoltre perché esclude i «limiti» mentre è proprio questo il punto centrale, caratteristico e innovativo della disposizione. Per questo credo non potersi accogliere l’emendamento. 

«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria». E questo rientra nell’ambito di altri simili emendamenti di cui parleremo dopo. «La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata contro giusto indennizzo». Abbiamo eliminato l’aggettivo «giusto». C’è stata su questo attributo «giusto», prima in seno alla terza Sottocommissione e dopo in sede di coordinamento e poi di Commissione plenaria, una lunga discussione. Abbiamo eliminato l’aggettivo «giusto» perché il concetto di giusto è implicito nel concetto di indennizzo. Anche la più recente giurisprudenza è di questo avviso: l’indennizzo, perché sia tale, non può essere ingiusto. Siamo d’accordo che la Costituzione non è un telegramma per doversi risparmiare le parole; ma il superfluo lo dobbiamo eliminare.

C’è poi l’emendamento degli onorevoli Mortati e Mazzei che propongono di sopprimere il primo comma. L’onorevole Mortati, mi dice il signor Presidente, non era presente al momento di svolgerlo. Ad ogni modo la Commissione mantiene il testo. Personalmente potrei avere una qualche simpatia per questa soppressione, ma qui non debbo esprimere opinioni personali.

C’è poi un emendamento degli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega: sostituire il primo comma col seguente: «La proprietà è pubblica, privata e di uso civico». Osservo che non ci sembra utile l’aggiunta «e di uso civico» perché non si tratta di una specie particolare di proprietà ma di una forma di godimento o di uso della proprietà pubblica. Ritengo cioè che con «il diritto di proprietà pubblica e privata» si esaurisce tutto quello che può essere detto in proposito.

C’è poi un emendamento dell’onorevole Corbino: «I beni economici appartengono allo Stato, ad enti ed a privati», sopprimendo la prima parte del secondo comma. La Commissione mantiene il testo perché ritiene utile l’enunciazione, sia pure di carattere elementare, che la proprietà è pubblica o privata. Non sarà necessaria, ma neppure nuoce, e può giovare in quanto porge un addentellato ai commi che seguono.

Segue l’emendamento dell’onorevole Bibolotti che dice: «La proprietà è pubblica, collettiva e privata».

Nel testo abbiamo detto che la proprietà è pubblica o privata, non «collettiva», perché la parola, dal punto di vista giuridico, ci sembra impropria. Con l’espressione «collettiva» si coglie l’aspetto economico dell’istituto della proprietà, piuttosto che l’aspetto giuridico. E poiché noi facciamo un testo giuridico ci sembra più esatto il dire soltanto che la proprietà è «pubblica o privata».

Dice ancora l’onorevole Bibolotti che «I beni economici possono appartenere allo Stato e agli Enti pubblici, alle cooperative, ai privati individualmente o collettivamente». La dizione proposta non ci sembra tecnicamente esatta. Come giustamente osservava l’onorevole Dominedò, non si può ancora dire che la cooperativa rappresenti un tertium genus nel campo del diritto di proprietà. È bensì un qualche cosa di intermedio fra la proprietà pubblica e quella privata sotto il profilo economico, ma non sotto il profilo giuridico. Indiscutibilmente la cooperativa è di diritto privato. Ad ogni modo, siccome la cooperazione ha una funzione importantissima, tanto importante che noi abbiamo dettato per essa un apposito articolo, vuol dire che potremo tornare allora sull’argomento. Non credo che l’onorevole Bibolotti possa avere ragioni per non aderire a questa proposta. Quindi, la Commissione si riserva di prendere in esame la proposta dell’onorevole Bibolotti, per quanto attiene al diritto di proprietà nei riguardi delle cooperative, quando si discuterà dell’articolo 42.

L’onorevole Gabrieli si è associato all’emendamento dell’onorevole Corbino, che così dice:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti di godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla più facilmente accessibile a tutti».

Qui ricordo le osservazioni che ho fatto dianzi, a proposito dell’emendamento Colitto. In questi emendamenti il concetto di «limite» è riferito in modo chiaro, espresso e preciso all’uso e al godimento, mentre invece il testo lo riferisce alla proprietà. La cosa è diversa, e noi non possiamo accogliere l’emendamento che è in contrasto con lo spirito del testo come è stato elaborato e approvato dalla Commissione.

Vi è poi l’emendamento Barbareschi, del tenore seguente:

«Al secondo comma sostituire la parola: garantita, con la parola: tutelata».

Osservo che la tutela è qualcosa di più della garanzia. E se di tutela si può parlare nel caso della piccola e media proprietà (come è già detto nell’articolo 41) non ci sembra che sia il caso di parlarne a proposito di quella che eccede i limiti della media. Anche per questa ragione noi manteniamo il testo con la parola «garantita» invece che «tutelata».

L’onorevole Corbino propone di sostituire il terzo comma col seguente:

«La legge stabilisce le norme della successione legittima e testamentaria».

Nello stesso ordine di idee vi è un successivo emendamento a firma dell’onorevole Barbareschi ed altri così formulato:

«Le successioni legittime e testamentarie e le espropriazioni per motivi di interesse generale sono regolate per legge».

Tutti questi emendamenti hanno di comune che parlano di successioni legittime e testamentarie, senza far cenno ai diritti dello Stato.

L’onorevole Grassi a sua volta chiede la soppressione completa del terzo comma.

Io debbo rispondere a tutti che la ritenzione del diritto successorio è stata fatta per volontà e desiderio espresso di coloro che volevano fosse messo l’accento sul diritto di proprietà privata appunto perché tale diritto trova la sua espressione più caratteristica nel diritto successorio.

Ma dove l’opposizione è più generale è per quanto riguarda i diritti dello Stato. A questo riguardo debbo dire che è verissimo che nella legislazione civile attuale, come in quella precedente, il concetto era contemplato in duplice forma: sotto la forma dello Stato legittimario (nel caso che non vi siano parenti sino al 6° grado), come sotto il profilo della tassa di successione (che non è una vera e propria tassa ma è piuttosto un prelievo sul capitale).

Con questa disposizione, che potrebbe apparire ultronea, la Commissione ha voluto lasciare adito alla possibilità di innovazioni anche nel campo del diritto successorio, specialmente per quanto riguarda lo Stato. La Commissione non ignora che vi è una tendenza diretta ad aumentare i diritti dello Stato sulle eredità ed il meno che potevamo fare era di lasciare aperta la strada ad eventuali innovazioni.

Resta ancora l’emendamento degli onorevoli Dominedò e Moro, i quali hanno proposto di sostituire il primo comma col seguente: «I beni economici appartengono allo Stato, ad istituzioni, a privati».

Io ricordo – e lo ricorderanno certamente anche gli onorevoli Dominedò e Moro – che, a proposito della parola «istituzioni», vi è stata una vivace discussione, prima in seno alla prima Sottocommissione e poi in sede di commissione di coordinamento; discussione alla quale ho partecipato io stesso da un lato e colleghi democristiani dall’altro.

Che con la parola «istituzioni» si possa significare tutto quello che ha dianzi spiegato l’onorevole Dominedò, nessun dubbio. Ma le parole non hanno soltanto il significato che si legge nel dizionario; esse hanno anche un significato che si desume dalle intenzioni che animano coloro che le usano.

Qual è infatti lo spirito e lo scopo di questa modificazione? Non vi è bisogno di possedere un particolare spirito di penetrazione per capirlo. Mi basta ricordare le discussioni che avvennero prima davanti alla prima Sottocommissione fra gli onorevoli Moro e Dossetti da un lato e l’onorevole Togliatti dall’altro, e dopo fra me e l’onorevole Dossetti in sede di coordinamento.

Con la parola «istituzioni» si è voluto affermare il diritto di proprietà delle congregazioni religiose. Ci fu chi ha parlato (l’onorevole Togliatti se non m’inganno) di manomorta. Intervenne allora, per placare gli animi, l’onorevole Tupini e dobbiamo a lui se alla parola «istituzioni» fu sostituita la parola «enti».

A me pare insomma che questa parola «istituzioni», secondo lo scopo che si propone l’emendamento, rappresenti una pretesa eccessiva.

Io vorrei pertanto suggerire ai democristiani di abbandonarla. Abbiamo già in questa Carta costituzionale molto che possa soddisfare il loro amor proprio di parte: vorrei dire, anche troppo!

Con questo ho inteso d’esprimere la mia opinione personale, persuaso che sia conforme a quella della maggioranza della Commissione.

PRESIDENTE. Chiederò ai presentatori di emendamenti se, dopo le dichiarazioni della Commissione, intendano mantenerli. L’onorevole Bruni ha presentato un nuovo testo integrale che dovrebbe sostituire sei articoli del testo. Intende mantenere, onorevole Bruni, la sua proposta?

BRUNI. La mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Non lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Marina?

MARINA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Perlingieri?

PERLINGIERI. Ritiro il mio emendamento relativo al quarto comma, perché mi dichiaro soddisfatto delle dichiarazioni del Presidente della terza Sottocommissione.

Per quanto riguarda l’emendamento relativo al secondo e al terzo comma, insisto, e ne chiedo la votazione.

PRESIDENTE. Poiché gli onorevoli Mortati e Mazzei non sono presenti, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene i suoi emendamenti?

NOBILI TITO ORO. Li ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, mantiene i suoi emendamenti?

CORBINO. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Bibolotti, mantiene il suo emendamento?

BIBOLOTTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò mantiene il suo emendamento?

DOMINEDÒ. Non avrei difficoltà a rinunciare alla formulazione proposta, a patto di tener fermo e di porre nella dovuta evidenza che il concetto ispiratore dell’emendamento non poteva né doveva ricondursi – mi consenta il Presidente Ghidini – a quegli schemi circoscritti e impropri, da lui richiamati con interpretazione affatto personale.

Ciò è comprovato, se occorresse, anche dal fatto che le discussioni sorte nella prima Sottocommissione e nel Comitato di coordinamento in relazione agli aspetti richiamati dall’onorevole Ghidini, riguardavano non tanto questo testo, quanto quello dell’articolo 15 della Costituzione.

Riaffermando così la vera portata dell’emendamento, nella latitudine del suo significato giuridico e sociale, non insisto in una formulazione che pur ritengo teoricamente e praticamente ineccepibile.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo fare una breve e semplice dichiarazione. L’onorevole Ghidini ha riferito sugli sviluppi di una discussione che si è svolta in seno ad una Sottocommissione esattamente nel senso che egli ha detto. Aggiungo – e sono certo di concordare col suo pensiero – che l’atteggiamento della Commissione in questo momento di fronte all’emendamento dell’onorevole Dominedò, che, accogliendo la nostra preghiera, egli ha ritirato, prescinde dalle considerazioni svolte allora, e si basa soprattutto sul criterio di non entrare in specificazioni particolari che, qualunque caso si prevedesse, sarebbero sempre incomplete e non esatte.

GHIDINI, Presidente della terza Sottocommissione. Ho già dichiarato che ho inteso di esprimere il mio pensiero, nella fiducia che sia tale anche il pensiero della Commissione.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Gabrieli, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Grassi, mantiene il suo emendamento?

GRASSI. Per le ragioni che ho esposto, dovrei mantenerlo, ma se si intende che, con le dichiarazioni fatte dal Relatore, quelle preoccupazioni non hanno più ragione di sussistere, posso anche ritirarlo, associandomi a quello proposto dall’onorevole Perlingieri ed altri.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bruni:

«Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42, e 43 coi tre seguenti:

I.

Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.

Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune.

II.

I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.

Nell’ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione.

III.

La proprietà dei beni d’uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».

Questi articoli rappresentano un complesso che non è possibile suddividere in parti corrispondenti alle disposizioni dell’articolo 38.

Occorre perciò che io chieda all’Assemblea se accetta di assumere i tre articoli proposti dall’onorevole Bruni come eventuale base di una discussione sui problemi che abbiamo esaminato in quest’ultima ora e su quelli che dovremo esaminare prima di concludere l’esame del Titolo III. Pongo pertanto ai voti questa questione generale di principio.

Nel caso che la proposta fosse accettata dall’Assemblea, dovremmo esaminare nel loro complesso tutte le disposizioni dei sei articoli considerati dall’onorevole Bruni; altrimenti riprenderemo la strada che abbiamo percorsa fino ad ora.

(Non è approvata).

Pongo in votazione il primo periodo del primo comma dell’articolo 38, che è soppresso nel primo emendamento Corbino:

«La proprietà è pubblica o privata».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo periodo del primo comma che è identico al primo emendamento Corbino:

«I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».

Per questo secondo comma è stato mantenuto l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Perlingieri, del seguente tenore:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge regola i modi di acquisto e l’esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione».

È stato anche mantenuto l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Corbino:

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti di godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla più facilmente accessibile a tutti».

La prima proposizione è uguale al testo della Commissione: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita». La pongo in votazione.

(È approvata).

Dei due emendamenti ritengo che si allontani maggiormente dal testo della Commissione quello dell’onorevole Corbino, per l’espressione: «anche allo scopo».

Pongo in votazione la prima parte del secondo periodo dell’emendamento dell’onorevole Corbino poiché la seconda parte si discosta meno dell’emendamento Perlingieri dal testo della Commissione:

«La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti di godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la prima parte del secondo periodo dell’emendamento Perlingieri:

«La legge regola i modi di acquisto e l’esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la prima parte del secondo periodo nel testo della Commissione:

«La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte del secondo periodo dell’emendamento Perlingieri: «ed allo scopo di favorirne la diffusione».

(Non è approvata).

Metto in votazione la seconda parte del secondo periodo dell’emendamento Corbino: «e di renderla più facilmente accessibile a tutti».

(Non è approvata).

Metto ai voti la seconda parte del secondo periodo del testo della Commissione: «e di renderla accessibile a tutti».

(È approvata).

Passiamo al terzo comma:

«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità».

Vi sono due emendamenti sostitutivi. Il primo, dell’onorevole Perlingieri, è del seguente tenore:

«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria».

Il secondo, dell’onorevole Corbino, dice:

«La legge stabilisce le norme della successione legittima e testamentaria».

Ritengo che sia da votare in precedenza l’emendamento Perlingieri.

CAPPI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Parlo a nome strettamente personale. Voterò l’emendamento Perlingieri soppressivo della frase «ed i diritti dello Stato sulle eredità».

Non ripeto le ragioni già esposte da altri. E, contro facili accuse che sono state mosse, mi conforta il pensiero che anche da parte socialista era stato proposto questo emendamento soppressivo delle parole «ed i diritti dello Stato sulle eredità».

Ai colleghi del mio Partito ricordo che nel congresso del partito popolare di Napoli del 1920 un uomo che non può essere certo accusato di conservatorismo, Don Luigi Sturzo, insorgendo contro un ordine del giorno estremista proposto da due persone, una delle quali finì gerarca fascista (questi movimenti pendolari non sono rarissimi), Don Luigi Sturzo dichiarò che, sia pure nei limiti della funzione sociale, il diritto di proprietà e il diritto di trasmissione ereditaria dovevano intendersi essenziali alla dottrina sociale cristiana. Fermo il diritto dello Stato di succedere oltre un certo grado di parentela e il diritto dell’imposta di successione, il di più sarebbe un esproprio senza indennità.

Per queste ragioni io dichiaro che voterò l’emendamento soppressivo dell’onorevole Perlingieri.

TAVIANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TAVIANI. La maggioranza del Gruppo democristiano ha aderito al testo della Commissione proposto da commissari democristiani come espressione del pensiero cristiano sociale.

Certo, vi possono essere delle differenze di interpretazione che, a parer mio, riguardano dei particolari tecnici e punti di vista di dettaglio.

Nel complesso non si può mettere in dubbio che con questo terzo comma, mentre si stabilisce chiaramente il diritto naturale all’eredità sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, si stabilisce anche che quella parte, che lo Stato preleva sotto forma di imposta di successione, ha uno scopo sociale oltre che fiscale. Un pensiero di questo genere è sancito dal Codice sociale di Camaldoli che dichiara esplicitamente:

«Nei casi in cui motivi di giustizia sociale esigano di correggere la ripartizione dei beni privati, una conciliazione di interessi di ogni singolo proprietario con l’interesse sociale può essere ottenuta rinviando tale correzione al momento in cui la proprietà dei beni si trasferisce per successione o donazione. Molteplici elementi legittimano quindi il trasferimento alla comunità di una parte dei beni che sono oggetto di trapasso a titolo gratuito».

Per questi motivi noi riteniamo, votando il terzo comma dell’articolo 38, di essere sulla linea integrale del pensiero sociale cristiano.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Rinunzio al mio emendamento per associarmi a quello Perlingieri.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Perlingeri alla quale l’onorevole Corbino ha dato la sua adesione:

«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria».

(Non è approvata).

Pongo in votazione il testo della Commissione:

«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità».

(È approvato).

Sull’ultimo comma vi è la proposta dell’onorevole Corbino di farne un articolo a sé.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Trasformo la mia proposta in raccomandazione perché se ne tenga conto in sede di coordinamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione il quarto comma nel testo della Commissione:

«La legge autorizza, per motivi d’interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo».

(È approvato).

L’articolo 38 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati.

«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità.

«La legge autorizza, per motivi d’interesse generale, l’espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo».

Il seguito della discussione, se l’Assemblea consente, è rinviato alla seduta pomeridiana.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Ai Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, chiede se di fronte alle notizie sempre più preoccupanti sulla gravità dei danni provocati dal terremoto di Calabria il Governo non creda di rassicurare l’Assemblea Costituente sulla organicità, efficienza e sufficienza dell’opera di soccorso.

«Parri».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, e al Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti intendano prendere a favore delle popolazioni calabresi, gravemente colpite dai recenti terremoti.

«Musolino, Silipo».

Chiederò ai Ministri competenti quando intendano rispondere a queste interrogazioni.

La seduta termina alle 13.10.