ASSEMBLEA COSTITUENTE
CXIX.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 10 MAGGIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Congedi:
Presidente
Presentazione di disegni di legge:
Scelba, Ministro dell’interno
Presidente
Gullo, Ministro di grazia e giustizia
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Colitto
Gabrieli
Foa
Bibolotti
Meda
Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione
Morelli Luigi
Persico
Puoti
Corbino
Taviani
Perrone Capano
Gronchi
Corbi
Cingolani
Federici Maria
Bubbio
Merlin Angelina
Cortese
Barbareschi
Moro
Condorelli
Mattei Teresa
Medi
Andreotti
Laconi
Interrogazioni con richiesta di risposta urgente (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 10.
MOLINELLI. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Congedi.
PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Bertone, Castelli Avolio, Di Giovanni, Ferreri, Restagno, Rubini.
(Sono concessi).
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. Mi onoro di presentare all’Assemblea Costituente il disegno di legge: «Elezione dei membri della Camera dei deputati».
PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro dell’interno della presentazione di questo disegno di legge. Sarà trasmesso alla Commissione competente.
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Riprendiamo la discussione del progetto con l’esame dell’articolo 32:
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di un’esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia.
«Il lavoratore ha diritto non rinunciabile al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».
L’onorevole Nitti ha già svolto un emendamento soppressivo dell’intero articolo.
L’onorevole Colitto ha proposto di sostituire l’articolo col seguente:
«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro, adeguati ad un dignitoso tenore di vita ed alle possibilità dell’economia nazionale».
L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
COLITTO. L’emendamenti da me proposto mira a dare all’articolo 32 del progetto di Costituzione – lasciando immutata la sua sostanza – una formulazione che a me sembra più precisa ed anche più snella.
Nel mio emendamento si parla infatti ancora di retribuzione proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro, così come se ne parlava nella Costituzione tedesca del 1919 (articolo 163), in quella spagnola del 1931 (articolo 46) e in quella russa del 1936 (articolo 118). Non è forse inopportuno affermare che la determinazione della retribuzione dovrà aver luogo per categoria, senza discriminazioni fra lavoratori che prestano lo stesso lavoro, pur non escludendo che possano essere stabiliti premi per lavoratori più solerti degli altri ed anche per stimolare l’emulazione.
Si afferma anche, nell’emendamento da me proposto, che deve la retribuzione essere adeguata alle necessità di un dignitoso tenore di vita, con la quale frase, naturalmente, si esprime per lo meno una grande ansia di progressivo, continuo superamento delle condizioni di vita della classe lavoratrice in un determinato periodo.
Parmi, invece, piuttosto vago ed incerto, e sopratutto, pleonastico, parlare di retribuzione adeguata alle necessità di un’esistenza libera, perché mi sembra evidente che, se la retribuzione deve assicurare un tenore dignitoso di vita, terrà implicitamente conto, come si dice nel progetto, delle necessità di un’esistenza libera.
Non mi sembra, poi, che sia il caso di stabilire che la retribuzione debba essere commisurata alle esigenze oltre che del lavoratore, anche della sua famiglia, perché una norma siffatta imporrebbe di certo discriminazioni fra lavoratori, che pure prestano lavoro della stessa qualità e nella stessa quantità, il che mi sembra sia da escludere. E poiché anche in una affermazione programmatica non si può prescindere da quella che in ogni momento è la realtà della situazione economica della nazione, io ho parlato nell’emendamento anche di retribuzione che comunque deve essere adeguata «alle possibilità dell’economia nazionale». Ove l’Assemblea fosse di contrario avviso, porrebbe, secondo me, le basi di una economia ab initio tarata, con grave danno degli stessi lavoratori.
Mi sembra, infine, che possa essere soppresso il secondo comma dell’articolo. Si parla, in esso, di riposo settimanale e di ferie. Ora, a me sembra che tale materia meglio costituisca il contenuto di contratti collettivi di lavoro e di una legge sul lavoro, anziché di una norma costituzionale, sebbene non manchino Costituzioni, come quelle della Jugoslavia, della Lituania, del Nicaragua, dell’Uruguay e del Venezuela, che se ne occupano. Sono, in ogni caso, da eliminare le due parole «non rinunciabile», non perché io intenda propugnare che il diritto alle ferie debba considerarsi un diritto cui si possa rinunciare, ma perché una simile affermazione non è stata fatta per la retribuzione e non vorrei che in avvenire si potesse sostenere che il lavoratore alle ferie non può rinunciare, ma può ben rinunciare, ad esempio, ad un aumento di salario. Io penso che irrinunciabile sia non soltanto il diritto alle ferie, ma anche, e a maggior ragione, il diritto alla retribuzione. Ora l’affermazione di tale irrinunciabilità fatta soltanto per le ferie e non per la retribuzione, potrebbe far sorgere dubbi, che è opportuno fin da questo momento eliminare.
PRESIDENTE. L’onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il primo comma col seguente: «La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro fornito e adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa».
L’onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgerlo.
GABRIELI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento non ha lo scopo di modificare la sostanza dell’articolo. Appartiene alla tradizione della dottrina sociale cristiana l’affermazione del salario familiare: ebbe la sua prima affermazione nell’enciclica di Leone XIII «Rerum novarum», e parte anche dal Codice di Manin. Quindi noi della Democrazia cristiana intendiamo affermare che il lavoratore debba avere una retribuzione proporzionata alle esigenze sue e della sua famiglia. L’emendamento che propongo attiene ad una maggiore precisazione tecnica dell’articolo. Quando si dice che il lavoratore deve avere una retribuzione adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa, s’intende affermare che la retribuzione debba essere adeguata alle necessità della famiglia. Se la retribuzione non pone il lavoratore nella condizione di far fronte alle necessità della famiglia, viene meno la condizione che la retribuzione possa essere adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa. Ritengo quindi che la formula da me proposta, per una maggiore sintesi, per un maggior tecnicismo giuridico, sia da preferirsi a quella della Commissione.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Cappugi, Pastore Giulio, Morelli Luigi:
«Al primo comma, dopo la parola: lavoro, inserire le parole: capace di coprire gli oneri previdenziali ed assistenziali».
Non essendo presenti l’onorevole Cappugi e gli altri firmatari s’intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.
Segue l’emendamento degli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali:
«Al primo comma, alle parole: e in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e la famiglia, sostituire le altre: in ogni caso adeguata alle necessità personali e familiari».
Non essendo presenti l’onorevole Persico e gli altri firmatari s’intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.
Segue l’emendamento dell’onorevole Foa:
«Al primo comma, sopprimere l’inciso: per sé e per la famiglia».
L’onorevole Foa ha facoltà di svolgerlo.
FOA. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Seguono due emendamenti dell’onorevole Puoti, del seguente tenore:
«Aggiungere alle ultime parole del primo comma le seguenti: anche in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».
«Al primo comma, aggiungere il seguente:
«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».
Non essendo presente l’onorevole Puoti, si intende che abbia rinunziato a svolgerli.
Segue l’emendamento degli onorevoli Bibolotti e Bitossi:
«Al primo comma aggiungere il seguente: «Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».
L’onorevole Bibolotti ha facoltà di svolgerlo.
BIBOLOTTI. All’articolo 32, là dove dice: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia», io propongo il seguente emendamento aggiuntivo: «Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge». Questa mia proposta tende a rendere sempre più effettive le norme della nuova vita democratica del nostro Paese. Il concetto di salario minimo è estensivo, indubbiamente, al concetto di assistenza al lavoratore. Per quanto noi oggi pensiamo all’assistenza con criteri non più elemosinieri, ma partendo da un punto di vista di giustizia e di diritto sociale, tuttavia il salario minimo individuale e familiare viene a costituire oggi nella società moderna la garanzia dell’eliminazione, nel campo del lavoro, del pauperismo, della miseria nera, viene cioè a sancire un principio nuovo e moderno, secondo il quale non è lecito ad alcuno di sfruttare l’opera del lavoratore senza assicurargli un minimo di retribuzione, retribuzione che non deve essere lasciata all’arbitrio dell’assuntore d’opera, ma che appunto propongo sia stabilita dalla legge.
Risponde tale mia proposta allo stesso criterio che ispira il legislatore là dove esso sancisce la durata massima del lavoro. La lotta del lavoratore, attraverso decenni e decenni per la conquista delle otto ore, è oggi consacrata dalle regole, dalle consuetudini e dalle leggi; ma è bene che nella Costituzione della nuova Repubblica italiana tanto il principio del salario minimo, quanto quello della limitazione della giornata lavorativa, trovino consacrazione in una affermazione di principio.
E d’altra parte, riferendosi a disposizioni da inserirsi nella legge, esse non cristallizzano questa richiesta, non costituiscono dei punti di impedimento al legislatore, ma gli danno, come vuol ogni buona norma costituzionale, un’indicazione abbastanza precisa, pur senza costituire, come appunto dicevo, un impedimento o una cristallizzazione.
Io propongo quindi che al primo comma sia aggiunta la seguente dizione:
«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».
Io spero che questa mia proposta venga accettata da tutti coloro che si sono schierati per l’inserimento nella nostra Costituzione repubblicana di quelle garanzie di ordine sociale che costituiscono la fondamentale caratteristica del nostro progetto di Costituzione, cioè i diritti del lavoro.
Ora, a me pare, onorevoli colleghi, che appunto questo inserimento nell’articolo 32 conferisca all’articolo stesso una consistenza ed una concretezza tali da tranquillizzare le famiglie dei lavoratori, nel senso che, compiuto il loro dovere sociale di partecipare al processo della produzione, essi non potranno essere mai più oggetto di quello sfruttamento inumano e senza limiti che oggi, in determinate circostanze e in determinati rapporti di forze, sarebbe ancora giuridicamente possibile.
Dobbiamo soprattutto impedire che ciò possa accadere a proposito della mano d’opera infantile e femminile.
Lo spirito del mio emendamento è pertanto questo: che non sia commesso all’arbitrio del privato lo stabilire sia la durata del lavoro, sia la retribuzione del lavoro stesso.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Meda Luigi, Cappugi, Codacci Pisanelli, Malvestiti, Clerici, Zerbi, Giordani, Belotti, Colonnetti, Carbonari, Bosco Lucarelli, Martinelli, Bubbio, Micheli, Montini, Perlingieri, Merlin Umberto, Balduzzi, Guerrieri Filippo, Cavalli, Benvenuti, Togni, Manzini Raimondo, Fuschini, Mortati, Cappi, Andreotti, Cremaschi Carlo, hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Lo Stato riconosce e garantisce ai lavoratori il diritto al riposo festivo».
L’onorevole Meda ha facoltà di svolgerlo.
MEDA. L’emendamento proposto da me e da altri deputati al primo capoverso dell’articolo 32 non presenta carattere di eccezionalità, ma mira soltanto a ricondurre ad una esatta formulazione l’affermazione del principio del riposo settimanale che, per i lavoratori italiani, non può che identificarsi col riposo festivo.
In realtà, quando, alla fine del secolo scorso, si iniziò il movimento per ottenere il riposo settimanale ai lavoratori, tutti furono d’accordo che questa giornata di riposo dovesse essere la giornata di festa, e precisamente per i paesi latini di culto, di fede religiosa cattolica, la domenica.
Nel 1897, al primo congresso per le difese degli operai, indetto dall’Arbeiterbund a Zurigo, si affermò questo principio, sostenuto da un grande sociologo cristiano, Padre Beck, e che ebbe anche il conforto di tutti i rappresentanti degli altri congressisti e particolarmente dei socialisti, i quali ritennero che per ragioni sociali, ed anche per ragioni igieniche, la giornata di riposo non avrebbe potuto ottenere la sua completa efficacia se non fosse stata disposta nel giorno di festa. Per ragioni di carattere sociale; perché giustamente si diceva che, per raggiungere la sua efficacia, il riposo deve essere pubblico, cioè non deve essere soltanto degli individui, ma della società, perché non facendosi così si ingenererebbe il più stridente pericoloso contrasto. Infatti nulla concorre di più a far sentire all’operaio la inferiorità della sua situazione quanto quello di dovere egli andare la domenica, in abito di fatica, al lavoro, quando i cittadini delle classi più agiate si recano con gli abiti di festa alle manifestazioni di carattere religioso oppure al passeggio. C’è uno stridente contrasto che si deve togliere, che non si deve permettere.
Vi sono poi le ragioni igieniche: il bisogno che il giorno di riposo sia giorno di tranquillità, di serenità, il che evidentemente non avviene quando l’operaio riposa in giornata nella quale gli altri lavorano, oppure lavora in giornata nella quale gli altri riposano.
La legislazione italiana a questo proposito ha seguito la corrente assunta al Congresso di Zurigo dai sociologhi e l’onorevole Cabrini, nel 1902, presentò una proposta di legge tendente appunto alla codificazione del riposo festivo. Il progetto Cabrini portò ad una lunga ed interessante discussione: si approvarono gli articoli, ma poi, alla votazione segreta, avvenne (anche allora il segreto delle urne talvolta riservava delle sorprese), che la legge risultasse bocciata, perché le destre si schierarono contro, pur avendo nella discussione degli articoli favorito ed appoggiato la proposta Cabrini.
Ma, ripeto, il problema era vivo. Nel 1906 – secondo quanto riportano le cronache parlamentari – Filippo Turati chiese al Governo che fosse ripresa in esame la legge del riposo festivo. Il Governo promise di mantenere l’impegno che si era assunto e nel 1907 venne presentato un disegno di legge che portò alla legge del 7 luglio 1907 che codifica e regolamenta il riposo domenicale.
Questa legge è ancora vigente, perché le trasformazioni avvenute con la legge del ’36 non hanno mutato sostanzialmente lo spirito e la sostanza della legge del 1907. Infatti anche nella legge del ’36 si specifica e si precisa che il giorno di riposo settimanale deve coincidere con la domenica.
Anche nel campo internazionale il principio del riposo festivo venne propugnato nel 1921; infatti in occasione della terza sessione della Conferenza internazionale del lavoro tenutasi a Ginevra fu proposto un quesito a tutti gli Stati che avevano aderito alla Conferenza stessa circa l’opportunità che il giorno di riposo coincidesse colla domenica.
Le risposte furono affermative da parte degli Stati cattolici e negative da parte degli Stati non cattolici.
Ma, in definitiva, anche queste ultime risposte sostenevano la tesi del riposo festivo, in quanto che – cito l’India ed alcuni Paesi protestanti – chiedevano che la giornata di riposo coincidesse colla giornata festiva delle particolari religioni: così le comunità ebraiche avevano domandato che la giornata festiva coincidesse col sabato. In relazione a tale indagine il Bureau international du Trovail predispose un progetto di convenzione nel quale, al secondo capoverso dell’articolo 1, si stabiliva il principio che il giorno di riposo settimanale dovesse essere la giornata consacrata festiva dalla tradizione o dagli usi dello stato e della regione.
In Italia la tradizione religiosa è cattolica e quindi noi non possiamo concepire che la Costituzione abbia ad affermare il principio del riposo settimanale, senza precisare che questo riposo deve coincidere colla domenica.
Né, onorevoli colleghi, si pensi che io sia qui a chiedere che si costringano tutti i cittadini a compiere alla domenica atti di culto; certo però è che tutti i cittadini debbono essere garantiti nel libero esercizio della loro religione. Un grande sociologo, che voi certamente ricordate, Windthorst, diceva: «Io non voglio introdurre a forza l’operaio in chiesa, ma voglio che egli abbia la possibilità di andarci, se lo vuole».
Orbene, onorevoli colleghi, il tollerare il lavoro domenicale che altro non è se non impedire all’operaio di adempiere ai suoi doveri religiosi? Perché – intendiamoci bene – la libertà di coscienza e di culto non può venire interpretata nel senso di libertà di essere irreligiosi, ma deve essere libertà di avere convinzioni religiose e di uniformarvi i propri atti.
Ora, vi è un comandamento di Dio che impone la «santificazione della festa».
Ed il padrone o lo Stato, che obblighino o tollerino che l’operaio lavori anche in questi giorni, violano la coscienza cristiana ed offendono la libertà religiosa.
Una voce. Per gli ebrei è il sabato.
MEDA. In Italia, la stragrande maggioranza dei lavoratori è cattolica. In uno Stato, dove la maggioranza fosse costituita da ebrei, il riposo coinciderebbe col sabato.
Oggi la situazione italiana è quella che vi ho esposta. (Interruzioni – Commenti a sinistra).
In ogni modo, onorevoli colleghi della sinistra, non capisco le vostre meraviglie, specie quando l’atteggiamento dei vostri uomini migliori del passato è stato favorevole al riposo festivo. (Interruzioni a sinistra).
Oltre Cabrini e Turati, potrei ricordarvi Vandervelde.
TONELLO. In Italia la libertà religiosa esiste.
MEDA. Onorevole Tonello, lei dichiara di essere d’accordo sull’esistenza della libertà religiosa. Benissimo. Evidentemente lei come me ricorda che tutti i partiti proprio in questa aula hanno dichiarato, si sono anzi solennemente impegnati, a rispettare la libertà religiosa convinti evidentemente che là dove non vi è libertà religiosi non esiste democrazia.
PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti presentati. Prego l’onorevole Ghidini di esprimere l’avviso della Commissione.
GHIDINI, Presidente della terza Sottocommissione. C’è innanzi tutto un emendamento Nitti per la soppressione dell’articolo 32. Noi riteniamo che la questione della retribuzione sia fondamentale per quanto attiene al diritto al lavoro e quindi non crediamo che l’articolo possa essere soppresso.
L’onorevole Colitto, a sua volta, ha proposto di sostituire l’articolo col seguente:
«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro, adeguata ad un dignitoso tenore di vita ed alle possibilità dell’economia nazionale».
L’emendamento è sostitutivo di tutto l’articolo 32, ma richiama solo il contenuto del primo comma. La sua prima parte: «La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro», è conforme al testo proposto dalla Commissione.
La differenza è nel periodo successivo: «adeguata ad un dignitoso tenore di vita».
La Commissione propone: «ed in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia».
È più breve «dignitoso tenore di vita». Ma la differenza è che si riferisce soltanto alla vita del lavoratore e non anche alle sue necessità familiari.
Ho già detto, in sede di discussione generale, le ragioni per le quali riteniamo necessario che il salario corrisponda, oltre che alle esigenze personali del lavoratore, anche alle sue esigenze familiari.
Non è possibile che sia considerato soltanto il bisogno suo se lui solo lavora; bisogna che siano considerati anche i bisogni della famiglia.
La Commissione mantiene il suo criterio e ritiene che alla giusta retribuzione possano concorrere anche gli assegni familiari che appunto servono ad adeguare alle necessità della famiglia il salario base.
L’emendamento aggiunge: «ed alle possibilità della economia nazionale». L’aggiunta è nuova nel senso che non ha precedenti, sebbene sia tale che potrebbe condizionare espressamente tutti i diritti di cui al progetto, essendo chiaro che tutte le esigenze sono subordinate alla possibilità di attuarle. Ma appunto per questo motivo l’aggiunta è inutile.
Osservo ancora che la retribuzione da corrispondere al lavoratore deve essere considerata più specialmente in rapporto alle condizioni del datore di lavoro, che alle possibilità nazionali.
Infine, l’emendamento Colitto tende ad eliminare il capoverso dell’articolo: «Il lavoratore ha diritto non rinunziabile al riposo settimanale ed a ferie retribuite».
Se ho ben compreso, l’onorevole collega non è contrario, in sostanza, al concetto espresso nel testo, ma ha piuttosto una preoccupazione: che cioè la facoltà di rinunzia, espressa unicamente in rapporto alle ferie annuali, sia interpretabile nel senso che invece al salario si possa rinunziare. In verità non credo che questa possibilità esista, per quanto nel campo del possibile tutto si possa immaginare quando si dispone di una fantasia così viva come quella del collega onorevole Colitto; ma credo che sia tanto remota da potersi senz’altro escludere una interpretazione come quella che paventa il collega.
Per queste ragioni la Commissione ritiene doversi mantenere nella sua integrità l’articolo 32.
Poi c’è l’emendamento dell’onorevole Gabrieli:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro fornito e adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa».
La parola «fornito» rappresenta un mutamento di carattere soltanto formale; invece avrebbe valore sostanziale quest’ultimo inciso: «adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa». Se ho ben capito l’illustrazione che egli ha fatto di questo secondo inciso del suo emendamento, saremmo d’accordo. L’onorevole Gabrieli è invece in disaccordo coll’onorevole Colitto perché ritiene che nell’esistenza libera e dignitosa si comprendano non soltanto le esigenze del lavoratore, ma anche della famiglia. Ma allora il non dirlo diventa pericoloso, tanto è vero che l’onorevole Colitto intende precisamente di limitare la portata di questo nostro articolo escludendo la considerazione del bisogno famigliare. Se avessi l’autorità di dare un consiglio all’onorevole Gabrieli gli direi di rinunziare all’emendamento.
Gli emendamenti degli onorevoli Cappugi, Persico, Puoti non sono stati svolti; quello dell’onorevole Foa è stato ritirato: non mi soffermo su di essi.
Veniamo ora all’emendamento degli onorevoli Bibolotti e Bitossi i quali propongono di aggiungere al primo comma il seguente:
«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».
A questo proposito devo osservare che prima le due Sottocommissioni (1a e 3a) e poi la Commissione dei settantacinque hanno ritenuto indispensabile, quando è stato redatto l’articolo, di fissare i due criteri fondamentali che stanno alla base della determinazione del compenso al lavoratore: la quantità e la qualità del lavoro e le necessità personali e familiari. La Commissione non è andata oltre, cioè non ha ritenuto che fosse necessaria una determinazione maggiore. Oggi per verità, di fronte all’emendamento, la Commissione non ha preso una decisione specifica; ma, dalle rapide intese corse fra noi, sono in condizione di dire che i concetti espressi nell’emendamento ci appaiono giusti. Resta a vedere se sia opportuno e necessario che tali concetti vengano inclusi nella legge costituzionale, o se invece la loro sede migliore non sia nella legislazione speciale, come del resto accennava lo stesso onorevole Bibolotti quando, illustrando l’emendamento, spiegava che leggi speciali avrebbero determinato tutti i minimi di salario. Comunque, come ho detto dianzi, la Commissione si rimette alla decisione dell’Assemblea.
C’è poi l’emendamento dell’onorevole Meda: «Lo Stato riconosce e garantisce ai lavoratori il diritto al riposo festivo».
Mi consenta, onorevole Meda, che non entri in merito alla sua discussione. Io qui rappresento l’intera Commissione, e non volendo entrare nel merito mi limito ad una enunciazione di carattere generale. La frase: «riposo settimanale», è consacrata dall’uso più ancora dell’altra «riposo festivo», quantunque quest’ultima abbia avuto i sostenitori ai quali Ella ha dianzi accennato.
Del resto la frase non potrà modificare ciò che di fatto avviene, che cioè – salvo eccezioni – il riposo settimanale coincide coi giorni di festa. Ed ora vorrei fare qualche rilievo sugli emendamenti dell’onorevole Puoti, che vedo presente.
Si tratterebbe, secondo il primo emendamento, di aggiungere alle ultime parole del primo comma le seguenti: «anche in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».
Avverto l’onorevole Puoti che questo inciso che vorrebbe aggiunto a coronamento del 1° comma dell’articolo 32, fa già parte dell’articolo 34.
PUOTI. Lo volevo spostare all’articolo 32, dove si parla di retribuzione.
GHIDINI, Presidente della terza Sottocommissione. A noi pare molto più armonico lasciarlo all’articolo 34, perché ivi sono considerati tutti i casi nei quali lo Stato sovviene ai bisogni del cittadino e del lavoratore sotto le forme dell’assistenza e della previdenza, Quindi, staccando dall’articolo 34 una sua parte essenziale, ne sarebbe sconvolta l’armonia della disposizione. Credo pertanto che la Commissione sia contraria al trasferimento che propone l’onorevole Puoti.
Il secondo emendamento Puoti è del seguente tenore:
«Al primo comma, aggiungere il seguente:
«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».
«Sempre che sia possibile», e su questo possiamo essere d’accordo.
«La retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili». È la determinazione di una speciale modalità che potrebbe assumere la «retribuzione» ma che noi non possiamo oggi prevedere. Non è conveniente che queste modalità eventuali siano fissate a priori nella Carta costituzionale.
Pertanto, ritengo che la Commissione sia dell’avviso di mantenere integro il testo che ha proposto.
PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li conservano.
L’onorevole Nitti ha presentato un emendamento per la soppressione dell’articolo 32. Poiché l’onorevole Nitti non è presente, il suo emendamento si intende decaduto.
L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro, adeguata ad un dignitoso tenore di vita ed alle possibilità dell’economia nazionale».
Lo conserva?
COLITTO. Dopo i chiarimenti, dati brillantemente dall’onorevole Ghidini, non insisto sul mio emendamento. Mi riservo, però, in occasione della votazione sul secondo comma, di chiedere la votazione per divisione.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Gabrieli:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro fornito e adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa».
Onorevole Gabrieli, lo conserva?
GABRIELI. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Cappugi, Pastore Giulio, Morelli Luigi:
«Al primo comma, dopo la parola: lavoro, inserire le parole: capace di coprire gli oneri previdenziali ed assistenziali».
MORELLI LUIGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORELLI LUIGI. Dichiaro che mantengo l’emendamento, di cui sono firmatario, perché ritengo necessario, nello stabilire la retribuzione, di garantire gli oneri previdenziali e assistenziali.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali:
«Al primo comma, alle parole: e in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e la famiglia, sostituire le altre: in ogni caso adeguata alle necessità personali e familiari».
Onorevole Persico, lo mantiene?
PERSICO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Seguono due emendamenti dell’onorevole Puoti:
«Aggiungere alle ultime parole del primo comma le seguenti: anche in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».
«Al primo comma aggiungere il seguente:
«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».
Onorevole Puoti, li mantiene?
PUOTI. Ritiro il primo e mantengo il secondo.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Bibolotti e Bitossi:
«Al primo comma aggiungere il seguente:
«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».
Onorevole Bibolotti, lo mantiene?
BIBOLOTTI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Meda Luigi, Cappugi, Codacci Pisanelli e altri:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Lo Stato riconosce e garantisce ai lavoratori il diritto al riposo festivo».
Onorevole Meda, lo mantiene?
MEDA. Pur non essendo convinto dei chiarimenti dati dall’onorevole Ghidini, non insisto.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 32. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo:
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro».
(È approvata).
Passiamo alla votazione dell’emendamento Cappugi, Pastore Giulio e Morelli Luigi:
«Al primo comma, dopo la parola: lavoro, inserire le parole: capace di coprire gli oneri previdenziali ed assistenziali».
CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Dichiaro che voterò contro questo emendamento perché penso che gli oneri della previdenza ed assistenza debbano essere interamente affrontati dallo Stato con le imposte normali.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Giustissimo.
MORELLI LUIGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORELLI LUIGI. Non insisto nell’emendamento Cappugi di cui sono firmatario.
PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte del primo comma dell’articolo nel testo della Commissione: «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro».
(È approvata).
Passiamo alla seconda parte del comma:
«ed in ogni caso adeguata alle necessità di un’esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia».
Su questa seconda parte del primo comma è stato presentato dagli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali, il seguente emendamento:
«Al primo comma, alle parole: e in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e la famiglia, sostituire le altre: in ogni caso adeguata alle necessità personali e familiari».
PERSICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Vuol dichiarare pure come voterà per il suo emendamento? (Si ride).
PERSICO. Non posso più svolgere l’emendamento e non intendo svolgerlo, ma desidero dire le ragioni per le quali mi sono indotto a presentarlo.
PRESIDENTE. Questo equivale a svolgerlo e lei in questo momento non può svolgerlo. Soltanto se lo ritirasse, potrebbe motivare le ragioni del suo ritiro.
PERSICO. Dichiaro di ritirarlo.
PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la seconda parte del primo comma nel testo proposto dalla Commissione:
«ed in ogni caso adeguata alle necessità di un’esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia».
(È approvata).
Vi è ora l’emendamento dell’onorevole Puoti:
«Al primo comma, aggiungere il seguente:
«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».
TAVIANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TAVIANI. Noi votiamo contro, perché riteniamo che eventualmente questo argomento debba essere affrontato in sede di articolo 43.
PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERRONE CAPANO. Dichiaro che voterò contro per la stessa ragione esposta dall’onorevole Taviani.
PRESIDENTE. Onorevole Puoti, mantiene il suo emendamento?
PUOTI. Lo ritiro, riserbandomi di ripresentarlo in sede di articolo 43.
PRESIDENTE. Sta bene. Segue ora l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Bibolotti e Bitossi:
«Al primo comma aggiungere il seguente: «Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».
GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. A noi pare, nel merito, che il salario minimo individuale e familiare non possa essere stabilito dalla legge. Mi pare che praticamente si miri, in tal modo, a disciplinare una materia estremamente varia e diversa a seconda dei settori produttivi. È un compito contrattuale questo, che è difficile ridurre a compito legislativo.
PRESIDENTE. Onorevole Bibolotti, insiste sul suo emendamento?
BIBOLOTTI. Insisto perché si voti l’emendamento; non si tratta, infatti, qui di stabilire oggi il minimo del salario, ma di dare una norma al legislatore di domani perché sia sempre garantito ai lavoratori questo minimo. (Commenti).
Oggi già i contratti collettivi stabiliscono in modo differente questi minimi: si tratta di proteggere il bambino e la donna, sopratutto, che non sempre sono protetti dai contratti collettivi. Bisogna che la legge provveda. È un’affermazione di carattere sociale. Mi pare che anche secondo la vostra dottrina sociale, onorevole Gronchi, questo concetto possa essere affermato nella Costituzione.
GRONCHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Trovo che se si tratta di stabilire una linea di principio, il primo comma è sufficientemente largo per comprendere anche questo, perché dice: «…una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di un’esistenza libera e dignitosa».
Osservo, peraltro, che volendo introdurre nella Costituzione dei concetti prevalentemente particolari, ne snaturiamo il carattere che deve essere normativo. Non vi è contrarietà da parte nostra; ma riteniamo superfluo l’emendamento.
BIBOLOTTI. Chiedo che l’emendamento sia votato per divisione.
PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la seguente proposizione: «Il salario minimo individuale e familiare è stabilito dalla legge».
GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Preferiamo astenerci, perché noi non possiamo votare contro un concetto che è anche nostro.
(Non è approvata).
PRESIDENTE. Pongo in votazione la seconda proposizione:
«La durata della giornata lavorativa è stabilita dalla legge».
(È approvata).
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del secondo comma dell’articolo 32: «II lavoratore ha diritto non rinunciabile al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».
COLITTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO. Mi sono riservato di chiedere la votazione per divisione, non perché il diritto alle ferie sia da me ritenuto un diritto cui si possa rinunciare, ma perché, essendosi approvato il primo comma, in cui si parla di diritto alla retribuzione, senza che lo si sia qualificato «non rinunziabile», potrebbe sorgere il dubbio che il diritto al riposo ed alle ferie non sia rinunciabile e, per esempio, il diritto ad un eventuale aumento di salario sia rinunciabile.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il comma senza l’inciso: «non rinunciabile»:
«Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».
(È approvato).
Pongo in votazione l’inciso: «non rinunciabile».
(È approvato).
L’articolo 52 risulta, nel suo complesso, così approvato:
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia.
«La durata della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
«Il lavoratore ha diritto non rinunciabile al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».
Gli onorevoli Corbi, Pajetta Giuliano, Mattai Teresa e Bitossi hanno proposto il seguente articolo 32-bis:
«È proibito il lavoro salariato dei minori di anni 16. La Repubblica tutela il lavoro dei minori di anni 21 con speciali norme di legge e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».
L’onorevole Corbi ha facoltà di svolgerlo.
CORBI. Onorevoli colleghi, desidero richiamare la vostra attenzione su una lacuna, a parer mio grave, che si riscontra in questo progetto di Costituzione che altri colleghi hanno invece criticato perché ad essi sembrava che esso troppo indulgente fosse stato nell’accogliere questioni di dettaglio, sicché questo progetto – più che una Carta costituzionale – parrebbe una raccolta di leggi ordinarie.
Infatti questo progetto di Costituzione, non si occupa in nessun modo dei giovani lavoratori. È vero che dei giovani si è parlato quando si è trattato della scuola, ma si sa che non tutti i giovani in Italia hanno la possibilità e la fortuna di essere studenti – anche quando lo vorrebbero – e che vi sono in Italia su sei milioni di iscritti ai sindacati, circa un milione e mezzo di giovani lavoratori. Di qui l’urgenza, la necessità, di disciplinare e di garantire il lavoro dei giovani così come si è fatto per gli adulti, così come si è fatto per le donne.
Il problema dei giovani – si sa – non è un problema di oggi, non è un problema solo di questo dopo guerra, poiché è noto come il capitalismo nella sua ascesa sia passato su milioni di corpi tutto proteso verso il profitto egoistico che non conosce scrupoli e che non conosce ostacoli anche quando questi ostacoli siano costituiti da giovani vite. Basta rifarsi, per rendersi conto di ciò, alla letteratura, abbondante in materia, italiana e straniera. È certo che i giovani lavoratori, insieme alle donne, hanno sempre costituito quella riserva da cui il capitalismo…
VERONI. C’è la legge sul lavoro dei minori!
PRESIDENTE. Onorevole Veroni, non interrompa. È da supporre che l’onorevole Corbi conosca l’esistenza di quella legge.
CORBI. …da cui il capitalismo attingeva per aumentare i suoi profitti e per fiaccare la resistenza del fronte dei lavoratori.
Orbene, io credo che se ai giovani non vengono riconosciuti certi diritti, gli stessi diritti che sono stati riconosciuti alle donne lavoratrici diverrebbero inefficaci, perché gli imprenditori troverebbero il modo di utilizzare i lavoratori giovani, anziché sottomettersi a quelle disposizioni che garantiscono il lavoro delle donne.
Quindi è necessario rendere giustizia ai giovani lavoratori. Esiste una legge che protegge il lavoro dei giovani, ed è la legge del 26 aprile 1934, ma chi osa negare che essa è la più arretrata fra quelle esistenti in tutti i paesi capitalistici? E purtroppo questa legge, nonostante tutte le sue imperfezioni, non viene neppure rispettata. Basta andare nelle nostre campagne, e sopratutto nel Mezzogiorno, dove più acuto è il problema, per rendersene conto. Guardate i salari che si pagano in Italia. Oggi gli spazzini di Bari hanno 11 lire al giorno; i dipendenti del commercio hanno 55 lire al giorno, più 76 di contingenza. I giovani lavoratori delle miniere, che compiono un lavoro faticosissimo e pericolosissimo, un lavoro che distrugge la loro vita fin dai primi anni, nel periodo dai 16 ai 18 anni di età hanno un salario di 55 lire. Così avviene per i chimici e per altre numerosissime categorie di giovani che lavorano nelle risaie, nelle campagne e nelle fabbriche.
Bisogna migliorare le condizioni di lavoro e di vita che vengono fatte a questi lavoratori, anche per salvarli dalla tubercolosi. Pensate che il 72 per cento dei giovani tubercolotici, dalle recenti statistiche, risulta appartenere a giovani lavoratori. È un fatto doloroso, triste, ed è un’altra delle eredità lasciate dal fascismo. Ma non solo, badate, questa è conseguenza del fascismo; è la conseguenza di un sistema sociale, che dobbiamo mutare non solo nell’interesse di tante giovani vite, ma nell’interesse nazionale, perché questi giovani sono i futuri lavoratori, i futuri dirigenti del nostro paese. E potrei fare un lungo elenco di dolori, di miserie e di ingiustizie, riferendomi per esempio ai braccianti di Andria, di Minervino, di Cerignola. Giovani che mai si accorgeranno di essere stati tali, che hanno disimparato a sorridere a nove, a dieci anni di età; giovani che restano per ore intere accosciati lungo le strade, nell’attesa e nella ricerca del lavoro; nella speranza che un padrone venga a «comprarli». Strumenti di lavoro, considerati come animali, come bestie da soma. Così accade anche nelle fabbriche, così accade ad esempio nelle vetrerie, nelle acciaierie della Terni, nella Borsalino. In tutte le fabbriche questi giovani lavoratori sacrificano non soltanto quanto ad essi compete per il lavoro che compiono, ma anche la possibilità di vivere come cittadini; sacrificano la loro gioia, la loro gioventù, il loro diritto alla vita. Dobbiamo affrontare questo problema e dobbiamo risolverlo, per tutti: per i giovani operai, per i contadini e per le mondariso che non conoscono condizioni di vita degne di una società civile, moderna. So che solo in seguito sarà possibile fare leggi apposite per disciplinare la materia; aprire numerose scuole professionali per dare a questi giovani un mestiere e farne cittadini e lavoratori rispettati. Ma io credo che per ora noi possiamo accontentarci di questo articolo aggiuntivo che io, assieme ad altri colleghi, ho proposto; e che vuole essere un impegno, un dovere per i legislatori che dovranno rendere giustizia, non soltanto ai giovani, ma alla nostra, alla loro propria coscienza. Questo deve essere, io credo, il compito dei costituenti di oggi. Il fascismo ha usato per lunghi anni uno slogan, che diceva: «largo ai giovani»; ma abbiamo visto come questo largo intendeva farglielo nelle trincee d’Africa e d’Europa, nei cimiteri, nei tubercolosari. Noi dobbiamo dimostrare con i fatti che la Repubblica vuole aprire ai giovani le vie della fabbrica, della scuola, della vita. Per questo, o colleghi, mi auguro che questo articolo aggiuntivo non raccolga soltanto l’adesione di una parte dell’Assemblea, ma raccolga l’adesione entusiasta della totalità dei deputati. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. All’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Corbi è stato presentato il seguente emendamento dagli onorevoli Cingolani, Taviani, Moro, Medi, Dominedò, Valenti, Colonnetti, Jacini, Ferrarese, Rescigno:
«1°) Trasferire l’articolo 32-bis proposto dagli onorevoli Corbi, Pajetta Giuliano, Mattei Teresa e Bitossi all’articolo 33 come secondo comma;
«2°) Sostituire all’espressione: «È proibito il lavoro salariato dei minori di anni 16» la seguente: «La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato».
L’onorevole Cingolani ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
CINGOLANI. Onorevoli colleghi, veramente sono un po’ titubante a prendere la parola per un motivo di carattere generale. Io vedo con molto dolore rotta una consuetudine di correttezza parlamentare e giornalistica per la quale nel passato quelle che erano le nostre deliberazioni qui dentro e le impostazioni che davamo alle nostre discussioni venivano dalla stampa riprodotte, grosso modo, fedelmente, pur con la intonazione politica differenziata di ciascun gruppo politico. Dopo la discussione di ieri, l’eco di alcuni organi della stampa è stata tale da trasformare quello che è stato qui dentro un conflitto ideologico e pratico insieme. Ma nessuno dei votanti, pro o contro l’ultima mozione Pajetta-Montagnana, ha inteso negare quelli che sono i diritti del lavoro, come è stato affermato in alcuni giornali, mentre l’Assemblea tutta è stata unanime nell’affermare a suo tempo i diritti del lavoro. E dico ciò perché anche in questo argomento noi, che dissentiamo dall’onorevole Corbi nel dettaglio del suo emendamento, non vogliamo che domani si dica che siamo stati contro la regolamentazione del lavoro dei minori. Tutti invece qui dentro abbiamo inteso il patos che ha riscaldato la parola dell’onorevole Corbi.
Non possiamo dimenticare che l’inizio della legislazione sociale in tutto il mondo si è avuto proprio per questo grido di dolore, che veniva da tutti quei luoghi di produzione, nei quali era occupata la mano d’opera minorile e femminile.
Il lavoro della donna e del fanciullo è stato il primo oggetto delle cure e delle premure di quanti si sono dedicati alla redenzione del popolo lavoratore.
Fin dalla fine del secolo XIX sempre si sono uniti insieme il tentativo di tutelare il lavoro delle donne e quello di tutelare il lavoro del fanciullo.
Chi di noi ha partecipato, sia pure come pubblico plaudente e fremente, alla propaganda per una legislazione sociale nel nostro Paese, sente ancora gli echi nella propria coscienza, prima che nell’orecchio, della terrificante rievocazione di quanto accadeva nelle grandi vetrerie della Francia e del Belgio, dove bambini di 7-8 anni venivano a consumarsi, prima che il vetro potesse essere plasmato dalla fiamma divoratrice della loro salute e della loro innocenza. Tutti abbiamo sentito e sentiamo il grido di dolore del famoso «canto della camicia», fin dall’inizio della legislazione sociale per la protezione della donna; esso ha pervaso di sentimento tutta l’attività sociale degli uomini politici e degli organizzatori sindacali. Quindi, siamo, lo dico subito, toto corde colle preoccupazioni espresse dall’onorevole Corbi.
Noi abbiamo presentato la proposta di trasferire l’articolo 32-bis proposto, come comma aggiuntivo, all’articolo 33. Siccome sempre si è parlato, in modo univoco, della protezione della donna e del fanciullo, crediamo che sarebbe bene parlare del lavoro dei minorenni in coda all’articolo 33, che vuole tutelare il lavoro della donna. Per quanto riguarda l’emendamento all’articolo 32-bis, proponiamo di non precisare l’età, proprio nell’interesse dei giovani lavoratori.
Chi conosce come si è composta – è la parola esatta – la legislazione della protezione del fanciullo dalla prima espressione fino a la legge del 1934, sa che è bene non precisare l’età.
Ci sono grandi industrie a fuoco continuo, nelle quali 16 anni rappresentano un’età ancora pericolosa, non matura per i giovani lavoratori. Io vengo dall’industria, come modesto chimico. Ho vissuto in fabbriche di acido solforico, di zucchero e di concimi, nelle quali, in determinate fasi, non dovrebbero essere adibiti al lavoro ragazzi di 16 anni. In altre attività, per esempio artigianali o agricole, quello di 16 anni si può considerare una età limite da potersi abbassare.
D’altra parte, c’è un principio molto interessante che va diffondendosi in tutto il campo della istruzione professionale.
Proprio ieri ho avuto occasione di visitare insieme con l’onorevole Gasparotto una scuola operaia a Città di Castello, fondata da un vostro antico compagno, Pierangeli, 30 anni fa. In quella scuola è stato introdotto il sistema della fabbrica: gli allievi hanno la medaglietta di presenza, hanno la retribuzione in funzione del lavoro compiuto.
Il concetto di unire le scuole alla fabbrica, con la fruttificazione del lavoro, pervade tutta questa attività.
Quindi fissare l’età in un campo, in cui sarà bene stabilire delle differenze con una serie di provvedimenti appassionatamente studiati e discussi, mi pare che non sia il caso.
Questo è lo spirito, onorevole Corbi, della mia osservazione, della mia proposta di modificazione.
Per quanto riguarda poi la seconda parte dell’articolo 32-bis, cioè la garanzia «a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione» sono d’accordo.
Io veramente avevo proposto ai miei amici di mettere la vecchia frase che era uno slogan del mio buon tempo antico. I miei amici anziani si ricorderanno di quando si iniziò la legislazione sociale alla Camera italiana.
Lo slogan era questo: «a uguale lavoro, con uguale rendimento, retribuzione uguale», per impedire che si speculasse; per escludere le donne e i fanciulli dalla attività lavorativa, sull’eventuale minore rendimento, preso anche a pretesto per escludere da una forma di attività una parte così cospicua – le cifre dell’onorevole Corbi sono esatte – del nostro nascente piccolo mondo operaio.
Ad ogni modo però mi hanno assicurato i colleghi che è ormai una prassi accettata quella che, quando si parla di parità di lavoro, si intende parlare anche di parità di produzione. Quindi non insisto sul ritorno alla vecchia formula del tempo della mia giovinezza.
Comunque, il nostro atteggiamento, per riassumere, è questo: siamo favorevolissimi alla regolamentazione del lavoro dei fanciulli. Non riteniamo che sia opportuno fissare la età, perché in alcune forme di attività produttiva questa deve essere anche inferiore ai 16 anni per riguardo allo sviluppo biofisiopsichico del fanciullo.
Quindi pregherei l’onorevole Corbi di accettare il nostro emendamento ed accettare anche di porre l’articolo 32-bis in coda all’articolo 33. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Onorevole Corbi, accetta la proposta dell’onorevole Cingolani?
CORBI. Accetto la formula dell’onorevole Cingolani e prego di porla in votazione ora, con la riserva di trasferirla all’articolo 33.
PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?
GHIDINI, Presidente della terza Sottocommissione. La Commissione non si oppone.
PERSICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Nell’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Corbi invece che: «a parità di lavoro» preferirei che si dicesse: «a parità di opera lavorativa».
PRESIDENTE. L’onorevole Persico preferirebbe questa nuova formala. È accettata dall’onorevole Corbi?
CORBI. Non credo che sia necessario apportare altre modifiche, perché l’onorevole Cingolani ha già precisato bene il comune pensiero.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Corbi con la modificazione proposta dall’onorevole Cingolani, restando inteso che, in caso di approvazione, esso verrà trasferito alla fine dell’articolo 33:
«La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
«La Repubblica tutela il lavoro dei minori di anni 21 con speciali norme di legge e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».
(È approvato).
Presentazione di un disegno di legge.
GULLO, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GULLO, Ministro di grazia e giustizia. Mi onoro di presentare all’Assemblea Costituente il seguente disegno di legge a nome del Presidente del Consiglio dei Ministri: «Revoca dall’impiego per mancata fede al prestato giuramento».
PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ministro di grazia e giustizia della presentazione di questo disegno di legge. Sarà inviato alla Commissione competente.
Si riprende la discussione del progetto di costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del progetto di Costituzione.
Passiamo all’articolo 33:
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare».
A questo articolo sono stati presentati diversi emendamenti. L’onorevole Colitto ha già svolto il suo, del seguente tenore:
«Sostituirlo col seguente:
«Quanto al lavoro, la donna ha gli stessi diritti dell’uomo. La madre ed il bambino hanno diritto ad una speciale protezione».
Segue l’emendamento degli onorevoli Federici Maria e Medi:
«Sostituirlo col seguente:
«La donna ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
«Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna».
La onorevole Federici ha presentato anche il seguente emendamento:
«Al secondo periodo, dopo le parole: funzione familiare, aggiungere le parole: e il sano svolgimento della maternità».
L’onorevole Federici Maria ha facoltà di svolgere i due emendamenti.
FEDERICI MARIA. Onorevoli colleghi, l’articolo 33 riguarda la donna lavoratrice e certi suoi particolari problemi. Questo articolo è un riflesso vivo delle gravi ingiustizie che ancora si registrano nella vita italiana. Da qui a pochi anni, noi dovremo perfino meravigliarci di aver introdotto questo articolo nel testo costituzionale; non perché esso non riguardi materia puramente costituzionale – da questo punto di vista dovremmo meravigliarci d’aver introdotto troppi articoli del genere – ma piuttosto per aver dovuto sancire nella Carta costituzionale che a due lavoratori di diverso sesso, ma che compiono lo stesso lavoro, spetta un’uguale retribuzione. Così pure ci dovremo meravigliare di aver dovuto stabilire come norma costituzionale che le condizioni di lavoro, per quanto riguarda la donna, debbano consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e – io aggiungo – materna. Cioè dovremo meravigliarci di aver dovuto introdurre una norma così naturale ed umana. Eppure, se tanto dobbiamo fare, lo dobbiamo fare per le ragioni che permangono, che regolano e che influenzano il lavoro femminile. Ragioni che hanno anche il loro peso, che risalgono non solo alla domanda del lavoro, ma anche all’offerta del lavoro. Molto spesso è la stessa donna lavoratrice a svalutare in qualche modo il suo lavoro. C’è una tendenza all’autosvalutazione, perché la donna ritiene secondario, semplicemente integrante, il lavoro suo e quindi il guadagno che le spetta, di fronte al salario del marito o del capo famiglia. Da parte della domanda di lavoro c’è la giustificazione che il salario più basso stabilito per la donna si ripercuote naturalmente sui costi e quindi sulle vendite, influenzando il mercato e favorendo, in ultima analisi, una maggiore produzione. C’è quindi una giustificazione economica. Non è questa la sede per esaminare sino a che punto rispetto all’offerta e alla domanda di lavoro, sia ingiusta questa situazione. Pensiamo che tutto ciò sia ormai acquisito dalla coscienza ma non dalla pratica. (In questi giorni stiamo faticosamente cercando di ottenere che alle donne sia riconosciuto il diritto di fruire di uguale indennità di contingenza, nei confronti dell’uomo lavoratore). Dunque, non dalla pratica, ma dalla coscienza comune, è oggi acquisito che il compenso spettante all’uomo lavoratore – intendo dire non il vero e proprio salario, ma anche tutti i benefici e le provvidenze che al salario siano eventualmente connesse – non debba essere superiore al compenso stabilito, per pari lavoro, alla donna lavoratrice.
L’emendamento da me presentato tende dunque a rendere umane le condizioni di vita alla lavoratrice, considerando due gruppi di interessi distinti, ma ugualmente importanti: uno che si riferisce alla funzione familiare della lavoratrice, l’altro alla funzione materna. Noi crediamo che il figlio della donna lavoratrice abbia diritto alle insostituibili cure materne, come tutti gli altri bambini. Noi affermiamo che questo bambino ha bisogno di cure non solo materiali, ma anche morali. Infatti il sano allevamento di un bambino non consiste tutto e solamente in possibilità di ordine materiale. La madre è insostituibile presso il bambino, per quanto riguarda la sua formazione interiore, la sua crescita spirituale, il formarsi del suo mondo morale.
Qui si riaffaccia la nostra esigenza particolare; esigenza che è ormai consacrata nell’articolo che abbiamo testé approvato, e cioè che veramente il salario sia tale per cui il lavoratore possa, col provento del suo lavoro, vivere non solo dignitosamente, ma anche dignitosamente formare, allevare, educare, mantenere una famiglia.
Tuttavia noi crediamo che non si possa arrivare presto a godere i benefici di una tale riforma legislativa, che non si giungerà tanto facilmente al salario familiare ed allora chiediamo almeno che le disposizioni generali, gli orari, la durata del lavoro, i permessi ed i congedi, tengano presente che la donna lavoratrice, oltre al suo lavoro, dinanzi alla macchina, dinanzi allo scrittoio, o in qualsiasi altra occupazione di carattere materiale o intellettuale, ha anche una grande funzione da svolgere: quella di formare, di allevare, di educare la famiglia. Funzione «essenziale». Non mi pare sia presente l’onorevole Calosso, il quale vorrebbe sopprimere col suo emendamento la parola «essenziale». Io avrei voluto pregare l’onorevole Calosso, almeno nello spazio di tempo che gli è concesso, prima di svolgere il suo emendamento, di riflettere ancora se non sia veramente essenziale, non dico per la famiglia, ma per la società intera, il lavoro della donna nella famiglia. Essenziale sì, la funzione familiare della donna. Io credo che appartenga alla esperienza di tutti, e quindi non solamente a quella dell’onorevole Calosso, che la donna dispieghi nella famiglia un complesso grandioso di attività, il cui valore è notevolissimo anche dal punto di vista economico.
L’aggiunta della parola «materna» all’articolo 33, cioè l’aggiunta che farebbe leggere il secondo comma in questo modo: «Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna», si ispira ai principî che ho esposto. Avevo proposto prima un altro emendamento che figura sul fascicolo successivo, che però rimane soppresso da questo che sto svolgendo ora, e che aggiungeva le parole «e il sano svolgimento della maternità» alla fine dell’articolo. È parso a taluni miei colleghi ed a me stessa, che la formulazione fosse forse un po’ forzata e che nella parola «materna» si potesse intendere benissimo «il sano svolgimento della maternità». Comunque, con l’aggiunta «materna» io mi riferisco – (perciò si tratta di un altro gruppo di interessi ben distinto da quello che riguarda la funzione familiare) – alla tutela igienico-profilattica della donna gestante, puerpera e nutrice. Come si può ottenere questo? Evidentemente con due procedimenti: uno di carattere negativo ed uno di carattere positivo.
Quello negativo riguarda evidentemente il divieto dei lavori che incidono sull’attività e sulla funzione della maternità, e quindi, sulla integrità della prole. Ed allora ci riferiamo al divieto dei lavori pesanti, del trasporto dei pesi ecc. Quello positivo è ricchissimo di intenzioni e di possibilità: per esempio, migliorare le condizioni ambientali, allontanando i fattori di nocività connessi con l’occupazione, intensificando la tutela igienica con un numero maggiore di visite mediche, soprattutto per le lavorazioni a rischio tossico o infettante, per i materiali che contengono piombo, mercurio o benzolo.
È necessario modificare tecnicamente gli impianti, specialmente laddove le stesse lavorazioni portano ad eccessivi sbalzi di temperatura, oppure sprigionano polvere o vapori tossici. Bisogna valutare la grande portata dell’atteggiamento coatto del lavoro, specialmente nei confronti della donna gestante o puerpera, per esempio, per determinate lavorazioni come la monda o il trapianto del riso e la raccolta delle ulive. Le statistiche ci dicono che gli aborti per queste forme coatte di lavoro femminile sono elevatissimi. Poiché per la donna, specialmente in particolari condizioni fisiche, taluni lavori si dimostrano particolarmente nocivi, sarà necessario ampliare e perfezionare i limiti della tutela igienica e sanitaria oggi ristretti solo alle cause di insalubrità.
Le sale di allattamento, i nidi e gli asili per i piccoli ospiti delle fabbriche siano cosa reale ed efficiente ovunque e non simbolica come accade ora.
È necessario, infine, promuovere tutte quelle provvidenze e quelle forme di assistenza che hanno una base ed un valore economico, elevando da sei a dieci settimane il riposo della donna prima e dopo il parto, facendo sì che questo riposo sia totalmente pagato. Altrimenti la donna, che non può rinunziare alla retribuzione corrisposta per intero, molto spesso si ripresenta alla fabbrica, dicendo che è in condizioni di poter riprendere il lavoro, e rinuncia così al riposo, per avere la corresponsione intera del suo lavoro. Ora noi dobbiamo evitare che la legge possa essere frodata dalla stessa persona interessata a essere protetta. Io arrivo a pensare col mio emendamento non soltanto alla madre lavoratrice, ma anche alla tutela delle giovanette che attraverso lavori faticosi vedono molto spesso sfiorire ed appassire la speranza della maternità, perché il lavoro incide profondamente e nefastamente sul loro fisico.
Vi è un emendamento, a proposito di questo stesso articolo, quello dell’onorevole Colitto, che dice che la madre ed il bambino hanno bisogno di una speciale protezione. Ora, questo non è sufficiente, perché già nell’articolo 25 abbiamo detto che l’infanzia e la maternità debbono essere protette. Ma qui sono le condizioni del lavoro che debbono garantire la protezione della madre. Si tratta di una cosa ben diversa.
Onorevoli colleghi! Facciamo sì che siano rese umane le condizioni di vita della donna lavoratrice, e meditiamo che la civiltà non è frutto solamente di fatiche, ma purtroppo anche di sofferenze nascoste e crudeli che spesso logorano la vita. In molti paesi ancora e specialmente nelle campagne la donna è assoggettata a lavori esageratamente gravosi. Un peso eccessivo, in qualche posto, è chiamato peso da donna. Di qui sofferenze lunghe e nascoste, di qui la vecchiaia precoce, il deperimento continuo, ed infine la morte. Togliamo al lavoro femminile questo velo funesto, tuteliamo la donna con leggi costituzionali, cioè con leggi solenni e definitive che debbono apportare un miglioramento decisivo alle condizioni di vita della madre lavoratrice e della sua prole! (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Gabrieli:
«Sostituire il primo periodo col seguente:
«La donna, nei rapporti di lavoro, ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro e di rendimento, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».
L’onorevole Gabrieli ha facoltà dì svolgerlo.
GABRIELI. Mi riferisco all’inciso: «a parità di rendimento» e dichiaro che il significato letterale e logico di questa frase ne valorizza l’interpretazione. Siccome la Costituzione deve essere fatta anche per coloro che verranno dopo di noi e deve trovare nelle parole l’unico mezzo per l’interpretazione migliore del pensiero che si esprime, io insisto perché questo inciso: «a parità di rendimento» sia aggiunto nel testo dell’articolo che stiamo esaminando.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Romano:
«Sostituire il primo periodo col seguente:
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro sia per qualità che per quantità, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».
Non essendo presente l’onorevole Romano, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Cortese:
«Dopo le parole: a parità di lavoro, aggiungere le altre: e di rendimento».
Segue l’emendamento dell’onorevole Bubbio:
«Alla fine del secondo periodo, sostituire alle parole: adempimento della sua essenziale funzione familiare, le seguenti: adempimento delle sue essenziali funzioni materne e familiari».
L’onorevole Bubbio ha facoltà di svolgerlo.
BUBBIO. Onorevoli colleghi, il mio emendamento coincide perfettamente con quello che, con tanta eloquenza, è stato testé sviluppato e sostenuto dalla onorevole collega Federici alle cui argomentazioni e considerazioni, io debbo ovviamente e completamente associarmi. Mi permetto soltanto di ricordare che il richiamo contenuto nel mio emendamento alla funzione della madre, va considerato non soltanto sotto un profilo unicamente naturale e fisiologico, ma sotto un profilo etico-sociale, in rapporto cioè ai diritti e più ai doveri che una madre ha verso la propria creatura e che riguardano anche, e, diremo, soprattutto, il campo dell’educazione dell’infanzia e della gioventù, in cui la missione della madre sarà sempre insostituibile.
È soltanto con questa piccola chiosa che io mi associo a quanto ha detto la onorevole Federici. E così anche il problema della madre ed il suo santo nome saranno ricordati nella Costituzione. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Le onorevoli Gallico Spano Nadia, Noce Longo Teresa, Mattei Teresa, Pollastrini Elettra, Montagnana Togliatti Rita, Merlin Angelina, Rossi Maria Maddalena, Bei Adele, Iotti Leonilde, Minella Angiola, hanno presentato il seguente emendamento:
«Dopo le parole: funzione familiare, aggiungere: ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale, adeguata protezione».
In assenza delle altre firmatarie, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Merlin Angelina, la quale, insieme con gli onorevoli Barbareschi, Carmagnola, Mariani, Vischioni, De Michelis, Costantini, Merighi, ha anche proposto di sopprimere, alla seconda proposizione dell’articolo, la parola: «essenziale».
MERLIN ANGELINA. Abbiamo chiesto la soppressione della parola «essenziale» per una duplice considerazione.
Se i redattori dell’articolo proposto non hanno voluto dare alla parola un significato particolare, si sopprima come uno dei tanti pleonasmi che infiorano la nostra Costituzione. E si sopprima pure, se i redattori hanno voluto usare quel termine con il significato limitativo che noi gli attribuiamo e che consacrerebbe un principio tradizionale, ormai superato dalla realtà economica e sociale, il quale circoscrive l’attività della donna nell’ambito della famiglia.
Tanto più pericoloso è adottare questa formula, quanto più oscuro è il primo comma: «La donna ha tutti i diritti».
Tutti, ma quali? Ed in rapporto a chi ed a che cosa?
Continua l’articolo: «e a parità di lavoro, ecc.».
Il lavoro non può essere sempre pari, tanto più che le diversità fisiologiche, specie nel campo dell’attività manuale, fanno sì che la donna sia più atta a certi lavori e meno a certi altri.
«A parità di rendimento» sarebbe stata l’espressione più propria, perché la valutazione del rendimento può essere pari, pur se il lavoro si esplica in campi diversi, campi ai quali la donna può accedere e deve accedere, nell’interesse della collettività, anche se la natura l’ha consacrata ad essere madre; il che non esaurisce, né circoscrive la sua attività. Se si voleva, nella nostra Costituzione, porre l’accento sulla funzione della maternità, la Commissione di coordinamento avrebbe dovuto accettare la formula proposta dalla terza Sottocommissione, cioè l’articolo corrispondente a quello che oggi si discute.
«La Repubblica riconosce che è interesse sociale la protezione della maternità e dell’infanzia. In particolare le condizioni di lavoro devono consentire più completo adempimento delle funzioni e dei doveri della maternità».
L’articolo fu redatto dopo ampia ed appassionata discussione, e non fu il frutto di un compromesso, ma di un accordo pieno e completo.
Dinanzi all’augusta funzione della maternità, tacquero le divisioni di parte e sentimmo tutti che, se la Costituzione deve essere quell’atto fondamentale e solenne per cui si traducono in norme i rapporti fra le esigenze etiche, sociali, economiche e gli ordinamenti giuridici, non potevamo che dar valore di legge ad una rivoluzione già compiuta nella nostra coscienza di donne. Noi sentiamo che la maternità, cioè la nostra funzione naturale, non è una condanna, ma una benedizione e deve essere protetta dalle leggi dello Stato senza che si circoscriva e si limiti il nostro diritto a dare quanto più sappiamo e vogliamo in tutti i campi della vita nazionale e sociale, certe, come siamo, di continuare e completare liberamente la nostra maternità.
Nell’articolo proposto dalla terza Sottocommissione si proponeva: «Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte o integrate dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo».
Questa parte fu soppressa dalla Commissione di coordinamento. Perciò, insieme a molte altre colleghe, abbiamo chiesto di aggiungere all’articolo in discussione: «ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale, adeguata protezione».
Pensate alle condizioni nelle quali si svolge la vita della donna madre, che, non da capriccio, ma dallo sviluppo delle forme di produzione, è stata tratta fuori della casa.
La onorevole Federici vi ha ampiamente descritto quali pericoli insidino la salute e la vita della donna e quella della sua creatura nei diversi e gravosi lavori extra-domestici, e quanto sia necessario articolare, su norme stabilite dalla presente Costituzione, leggi protettive. Ma la onorevole Federici non ha detto che anche nella casa, in troppe case, la funzione della maternità si svolge contemporaneamente al lavoro ed in condizioni inumane.
Non soltanto nella Sicilia, nell’Italia meridionale e centrale ma anche nelle progredite regioni dell’Italia settentrionale, vi sono case nelle quali le donne svolgono un lavoro senza avere per sé e per i loro bambini una speciale, adeguata protezione. Nessuna assistenza sanitaria viene loro prodigata nel periodo delicato ed importante della maternità, né vi sono nidi, scuole, istituti sanitari per i bimbi, per sorvegliarli ed accoglierli nel tempo in cui la madre è impegnata nel suo lavoro.
Io penso che la Costituzione, assicurando una adeguata protezione alla madre ed al bimbo, avrebbe garantito la difesa alla società tutta intiera e si sarebbe data un suggello di nobiltà, includendo la parola più bella e più santa nella quale si compendia la vita, la parola: «Madre».
PRESIDENTE. L’onorevole Calosso ha proposto di sopprimere la parola «essenziale» nell’ultima riga dell’articolo 33.
Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgere l’emendamento.
Gli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali, hanno presentato il seguente emendamento:
«Dopo le parole: funzione familiare, aggiungere le altre: e dei suoi doveri di madre».
L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere l’emendamento.
PERSICO. Onorevoli colleghi, dirò brevissime parole perché gran parte di quello che avrei voluto dire è stato già detto dalle colleghe Federici e Merlin. Il mio emendamento ha lo scopo di distinguere l’adempimento della essenziale funzione familiare dall’adempimento dei doveri di madre. Potrebbe sembrarvi la stessa cosa, ma non è. Ed ecco perché non aderisco alla proposta della onorevole Federici di aggiungere la parola «materna» a «familiare». Sono due specie di attività diverse. L’attività, la funzione familiare può essere infatti esercitata sia dalla moglie senza figliuoli, sia dalla sorella. Non dimentichiamo quante volte in una famiglia la sorella maggiore è la vera madre, la vera direttrice della casa e non sono d’accordo sulla abolizione della parola «essenziale» proposta dalla onorevole Federici, perché «essenziale» non vuol dire esclusiva; vuol dire precipua, vuol dire funzione che è insita nella vita familiare; vuol dire che la donna è la regina della casa, colei che tiene in pugno l’unità familiare: la madre, la sorella, la donna della famiglia.
Il dovere della madre è invece insito nella maternità: è nel periodo della gestazione, dell’allattamento, nel periodo dell’infanzia del bambino, nel periodo della prima educazione del fanciullo, quando non è ancora possibile mandarlo né a scuola, né all’asilo. Quindi è bene distinguere la funzione di madre da quella familiare. Ecco in brevi parole le ragioni del mio emendamento.
PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo avviso.
GHIDINI, Presidente della terza Sottocommissione. Il primo emendamento è dell’onorevole Colitto e dice: «Quanto al lavoro, la donna ha gli stessi diritti dell’uomo». Sono cambiate le parole ma la sostanza della prima parte dell’articolo 33 resta immutata.
L’emendamento continua:
«La madre ed il bambino hanno diritto ad una speciale protezione».
Ritengo che anche la seconda parte dell’emendamento Colitto voglia rappresentare, nel suo pensiero, un cambiamento solamente formale, direi un’abbreviazione della disposizione per darle quel carattere lapidario che si vuole debbano avere le Costituzioni.
Devo però osservare che l’enunciazione dell’onorevole Colitto: «La madre ed il bambino hanno diritto ad una speciale protezione» non fa riferimento alle condizioni di lavoro. Noi abbiamo voluto che in questo articolo 33 il lavoro della donna sia garantito in modo da non compromettere la sua funzione essenziale specialmente in riguardo alla maternità. La condizione di madre richiede che il lavoro sia disposto in modo che non ne debba soffrire nell’adempimento del suo altissimo ufficio. Riteniamo che possa essere mantenuta la forma che abbiamo adoperato, solo per questo motivo e non perché vi sia una differenza sostanziale.
Vengo agli altri emendamenti: a quello degli onorevoli Federici Maria e Medi, e agli altri che sul medesimo tema rappresentano lievi variazioni dello stesso concetto. Sono gli emendamenti dell’onorevole Bubbio, della stessa onorevole Federici Maria, dell’onorevole Calosso, dell’onorevole Barbareschi ed altri e degli onorevoli Persico, Cairo ed altri. C’è finalmente un emendamento che raccoglie le firme di altre nostre valorose colleghe.
Direi che l’Assemblea si potrebbe fermare ad uno solo di questi emendamenti, come quello che è più ampio degli altri pur risolvendo la questione nel medesimo senso.
Non si tratta di un emendamento sostitutivo, ma semplicemente aggiuntivo. È l’emendamento Gallico Spano, Noce, Mattei, Pollastrini, Merlin Angelina e di altre, in base al quale sarebbe anzitutto mantenuto il testo nella sua integrità nella parte che detta: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione famigliare». L’aggiunta è questa: «ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale adeguata protezione».
Veramente io preferirei sostituire alla parola «fanciullo» la parola «bambino», perché trattandosi di regolare le condizioni del lavoro, non se ne può parlare in relazione al «fanciullo», mentre la cura del bambino rientra immediatamente nella funzione della maternità.
Per queste ragioni mi pare che tanto l’emendamento della signora Federici Maria come anche l’emendamento dell’onorevole Bubbio, e l’emendamento dell’onorevole Persico, possano tutti essere ritirati, nel senso di riconoscere che sono tutti inclusi in quello della onorevole Gallico Spano Nadia, che raccoglie le firme di una diecina di altre colleghe. Questa è stata la decisione della Commissione.
C’è una parola che dovrebbe essere tolta secondo gli emendamenti dell’onorevole Calosso e Barbareschi. Sarebbe la parola «essenziale». Su questo ha insistito anche la nostra egregia collega Merlin Angelina. La Commissione è del parere che debba essere mantenuta. Se ne è discusso largamente, anche nella prima Sottocommissione, e ve ne è traccia nei verbali. Si era proposto, invece della parola «essenziale», un altro aggettivo: «speciale». In sostanza si vuol dire questo: la funzione familiare che si deve proteggere è la funzione familiare intesa nel senso che non tutto quello che deve fare la donna debba condizionare il lavoro cui essa adempie, ma solo quello che è veramente importante e caratteristico. Se così non fosse, rientrerebbero nel concetto di «funzione familiare» tutte le faccende domestiche che incombono alle nostre massaie. È questa la ragione per cui fu mantenuta la parola «essenziale». La Commissione è del parere che l’articolo debba essere approvato nella sua integrità, salvo aggiungere la frase «ed assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione». Se le proponenti credono di poter sostituire alla parola «fanciullo» la parola «bambino», la Commissione accetta l’emendamento.
Debbo, da ultimo, dire una parola sugli emendamenti degli onorevoli Gabrieli e Cortese, coi quali si propone di aggiungere alla frase «a parità di lavoro» le parole «e di rendimento». La Commissione ha deciso di mantenere l’articolo come nel testo. Infatti ci sembra che la frase «a parità di lavoro» sia così lata e comprensiva da rendere inutile qualunque specificazione.
PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori degli emendamenti se intendono mantenerli.
Onorevole Colitto, mantiene l’emendamento?
COLITTO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Onorevole Federici, mantiene i due emendamenti?
FEDERICI MARIA. Mantengo il primo, considerando assorbito il secondo.
PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli?
GABRIELI. Dopo le dichiarazioni della Commissione, non insisto.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Romano, l’emendamento si intende decaduto.
Onorevole Cortese, mantiene l’emendamento?
CORTESE. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Bubbio?
BUBBIO. Lo ritiro, in quanto coincide con quello dell’onorevole Federici Maria.
PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Gallico Spano Nadia, Noce Longo Teresa e di altre, svolto dall’onorevole Merlin Angelina, è accettato dalla Commissione, con la sostituzione della parola: «bambino» alla parola: «fanciullo».
Onorevole Merlin Angelina, accetta tale sostituzione?
MERLIN ANGELINA. L’accetto.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Calosso, il suo emendamento si intende decaduto.
Onorevole Barbareschi, mantiene l’emendamento?
BARBARESCHI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene l’emendamento?
PERSICO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo 33:
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».
(È approvata).
L’onorevole Cortese ha proposto di aggiungere, dopo le parole «a parità di lavoro» le parole «e di rendimento».
Pongo ai voti questa proposta.
TAVIANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TAVIANI. Il nostro gruppo voterà contro la proposta aggiuntiva presentata dall’onorevole Cortese per le ragioni dichiarate dall’onorevole Cingolani ed ammesse esplicitamente dal relatore della Commissione; e cioè, che «la parità di rendimento» si intende implicita nel concetto «parità di lavoro».
CORTESE. Dopo questo chiarimento, ritiro l’emendamento.
PRESIDENTE. Passiamo alla seconda parte dell’articolo:
«Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare».
L’onorevole Barbareschi ha presentato un emendamento che è stato svolto dalla onorevole Merlin Angelina, per la soppressione della parola «essenziale».
Lo pongo in votazione.
MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE: Ne ha facoltà.
MORO. Voteremo contro la soppressione della parola «essenziale». A noi sembra importante che nell’atto, nel quale si garantiscono alla donna idonee condizioni nel lavoro, si ricordi la funzione familiare e materna che essa assolve, e che è ad essa connaturata. Ci sembra che questo riferimento alla «essenzialità» della missione familiare della donna sia un avviamento necessario ed un chiarimento per il futuro legislatore, perché esso, nel disciplinare l’attività della donna nell’ambito della vita sociale del lavoro, tenga presenti i compiti che ne caratterizzano in modo peculiare la vita.
(L’emendamento non è approvato).
PRESIDENTE. Pongo ora in votazione la seconda parte dell’articolo nel testo della Commissione:
«Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare».
(È approvata).
Le onorevoli Gallico Spano Nadia, Noce Longo Teresa, Mattei Teresa, Pollastrini Elettra, Montagnana Rita, Merlin Angelina, Rossi Maria Maddalena, Bei Adele, Iotti Leonilde, Minella Angela hanno proposto alla fine dell’articolo 33 le parole: «ed assicurare alla madre ed al fanciullo una speciale, adeguata protezione».
La Commissione ha accettato l’emendamento, sostituendo la parola: «fanciullo» con l’altra: «bambino».
Pongo in votazione l’emendamento con questa sostituzione.
FEDERICI MARIA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDERICI MARIA. Io mi trovo nella strana situazione di dover votare contro questa formulazione mentre il contenuto era stato concordato insieme con le colleghe dell’altro settore. Intanto, ci eravamo trovate d’accordo su questo fatto: che nell’articolo dovesse essere ben chiara una espressione che volesse suonare protezione alla madre ed al bambino, considerando specialmente che qui il bambino, molto spesso, segue la madre nella fabbrica, nelle sale d’allattamento, oppure nei nidi e negli asili. Però la formulazione presentata dalle onorevoli colleghe non mi pare che abbia anche, vorrei dire, una forma grammaticale esatta, in quanto che qui si parla di condizioni di lavoro che devono consentire l’adempimento di qualche cosa. Di che cosa? Della funzione materna, esempio: allattamento e cura del bambino. Non possono le condizioni di lavoro di per sé stesse svolgere una funzione protettiva del bambino. Questa mi pare sia una ragione non sostanziale, ma abbastanza importante per quanto riguarda la formulazione dell’articolo.
Per quanto riguarda poi il contenuto, la protezione del bambino è già stata oggetto di un articolo e come tale noi abbiamo già riconosciuto la necessità che a tutta la maternità, a tutta l’infanzia si debbano particolari cure protettive.
Ora le cure protettive saranno uguali per tutti i bambini, in quanto all’alimentazione, pulizia, igiene ecc. Qui invece le condizioni particolari che si auspicano riguardano la madre come tale. Non possono di per sé essere queste condizioni protettive del bambino, in quanto che sono condizioni di lavoro.
Però riconfermo il principio: siamo stati d’accordo sin dal primo momento nella Sottocommissione, nella Commissione plenaria e siamo d’accordo anche qui con le colleghe degli altri settori, che noi intendiamo di affermare che le condizioni di lavoro siano favorevoli per la lavoratrice madre e quindi anche per il suo bambino. Per questi motivi io non posso votare l’emendamento delle colleghe, ma era necessario che esprimessi questo chiarimento, ché altrimenti si potrebbe generare un equivoco che non c’è stato in nessun momento.
CONDORELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. Su questo problema, io voterò gli emendamenti più larghi, perché ritengo che sia indispensabile affermare nella nostra Costituzione la più ampia protezione della donna, non soltanto nelle sue espressioni essenziali, familiari, non soltanto nella maternità, ma anche nella sua femminilità, che deve essere preservata nelle condizioni di lavoro.
La mia civilissima Sicilia ha atavicamente provveduto a ciò col costume creando alla donna una situazione di vera e propria preminenza nella casa e proteggendola nel santuario di essa da tutti i pericoli che le potessero venire dall’esterno. (Commenti – Applausi).
MATTEI TERESA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MATTEI TERESA. Noi insistiamo sull’emendamento che abbiamo presentato e che è stato accettato dalla Commissione. Insistiamo perché pensiamo che questo è il terzo Titolo che riguarda i rapporti economici, e in questa sede appunto deve essere affermato il dovere di protezione della madre lavoratrice e del figlio della lavoratrice. È una cosa ben diversa della protezione che lo Stato deve assicurare indistintamente a tutte le madri e a tutti i fanciulli, che è stata già considerata nel Titolo II. Se noi vogliamo assicurare qui questa forma protettiva alle madri lavoratrici ed ai loro fanciulli, dobbiamo esplicitamente dichiararlo; e non comprendo perché vi sia qualcuno che sollevi eccezioni di forma quando sia d’accordo nella sostanza. Non mi pare poi che sia in contradizione con la formula della onorevole Federici e con altre proposte di emendamento a questo articolo; anzi, credo che lo completi e sia la forma migliore, più concreta, affinché questo sentimento, questo desiderio che è in tutti noi di assicurare le migliori condizioni di lavoro e di vita alle donne lavoratrici e ai bambini, sia veramente attuato.
(L’emendamento aggiuntivo è approvato – Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Ritengo che, con la votazione avvenuta, anche il primo emendamento della onorevole Federici Maria possa considerarsi assorbito nella formulazione approvata.
FEDERICI MARIA. Sono d’accordo.
PRESIDENTE. L’articolo 33 risulta, pertanto, nel suo complesso, così approvato:
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro debbono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una speciale, adeguata protezione».
Ricordo che, per decisione in sede di esame dell’articolo 32-bis, occorre aggiungere all’articolo 33 i seguenti commi:
«La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
«La Repubblica tutela il lavoro dei minori di anni 21 con speciali norme di legge e garantisce loro, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».
L’onorevole Medi ha proposto e già svolto il seguente emendamento tendente ad aggiungere un articolo 33-bis:
«Ogni cittadino che non abbia la possibilità di provvedere alla propria esistenza, conforme alla dignità umana, ha diritto ad adeguate forme di assistenza».
MEDI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Medi, ella ha già svolto l’emendamento. Può dichiarare se lo mantiene o lo ritira.
MEDI. Perfettamente; intendo chiarire che l’articolo può essere considerato come sostitutivo del primo comma dell’articolo 34.
PRESIDENTE. Passiamo, allora, all’esame dell’articolo 34:
«Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari alla vita ha diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale.
«I lavoratori in ragione del lavoro che prestano, hanno diritto che siano loro assicurati mezzi adeguati per vivere in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
«All’assistenza ed alla previdenza provvedono istituti ed organi predisposti ed integrati dallo Stato».
ANDREOTTI. Chiedo di parlare per una mozione di ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREOTTI. Vorrei chiedere, onorevole Presidente, di sospendere la seduta perché il nostro gruppo avrebbe necessità di riunirsi per una discussione non collegata al progetto di Costituzione.
PRESIDENTE. Vorrei immediatamente aderire alla sua richiesta, ma, dato che all’articolo 34 sono stati presentati numerosissimi emendamenti, credo che i colleghi del suo gruppo potrebbero anche assentarsi, con la certezza che non si procederà a votazione prima del termine della seduta antimeridiana. Per loro tranquillità, disporrò che gli emendamenti proposti da appartenenti al gruppo, qualora venissero di turno, non siano dichiarati decaduti. Credo che così potremo conciliare le varie esigenze.
Potrebbe, intanto, l’onorevole Laconi svolgere il seguente emendamento presentato insieme con gli onorevoli Cevolotto, Targetti, Moro, Taviani:
«Sostituirlo col seguente:
«Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari ha diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale.
«I lavoratori hanno diritto che siano loro assicurati mezzi adeguati per vivere in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
«Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale. A tali compiti provvedono organi ed istituti predisposti od integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera».
LACONI. Accedo al desiderio manifestato dal Presidente, di poter continuare i lavori fino all’ora regolamentare svolgendo il mio emendamento; ma di fatto, avrei potuto anche astenermi dallo svolgere questo emendamento, sia per le firme che esso raccoglie, e che fanno supporre un consenso quasi generale o sufficientemente vasto dei diversi Gruppi politici, sia per il fatto che le modificazioni contenute in questo emendamento sostitutivo non incidono in questioni sostanziali.
Desidero innanzi tutto fare osservare ai colleghi che noi abbiamo creduto di sopprimere nel primo comma dell’articolo in questione un inciso che testualmente diceva: «in ragione del lavoro che prestano». Abbiamo creduto di dover sopprimere questa parte in quanto essa avrebbe supposto che la legislazione in materia di previdenza e assicurazione sociale, domani, dovesse orientarsi in un determinato senso, senso in cui attualmente è diretta e indirizzata, e ciò avrebbe fatto supporre un riferimento a quei criteri di assistenza mutualistica che oggi sono in vigore. Noi desideriamo invece che il legislatore futuro abbia una libertà più ampia e possa adottare i criteri che gli appariranno più adatti alla situazione e più efficaci.
Un’altra modificazione consiste nell’introduzione, dopo il secondo comma, di una parte riguardante gli inabili ed i minorati. I colleghi ricorderanno che di questa questione si è fatto già cenno in altro momento di questa discussione. La richiesta è venuta particolarmente da determinate categorie di invalidi, di inabili e di minorati, come i ciechi, che si trovano in una situazione particolarmente difficile e penosa e che chiedono alla Repubblica democratica una particolare assistenza.
Noi abbiamo creduto di dover accogliere questa richiesta che riscuoteva, d’altra parte, in forma diversa, il consenso dei più diversi settori dell’Assemblea. Ricordo che anche l’onorevole Colitto presentò una richiesta in questo senso e che già colleghi di altri settori vi avevano acceduto. Per questa ragione noi abbiamo introdotto questa parte. Crediamo di averla introdotta con una precisione maggiore in quanto abbiamo fatto riferimento non soltanto agli inabili ma anche ai minorati, ed abbiamo fatto cenno dell’educazione e dell’avviamento professionale invece che della semplice rieducazione. È indubbio che nell’accezione comune la parola «rieducazione» ha un suo preciso significato, ma questo significato non avrebbe probabilmente la parola inserita in questo articolo. E penso che sia più semplice e chiaro il parlare di educazione e di avviamento professionale.
Finalmente, per quanto riguarda l’ultima parte, io vorrei accedere a una proposta di modifica all’emendamento, che mi è stata suggerita da qualche parte. Si è notato che dicendo: «A tali compiti provvedono ecc.» e lasciando l’attuale formulazione, lasciando cioè che la frase continui senza punto e a capo si può essere indotti in confusione, cioè si può ritenere che per «tali compiti» si intendano solo quelli di cui si fa cenno nel terzo comma. Dato che questo non è il nostro pensiero, perché noi riteniamo che per «tali compiti» si devono intendere quelli di cui si fa menzione in tutti e tre i commi, io pregherei il Presidente di voler intendere l’emendamento modificato in modo che con le parole «A tali compiti ecc.» si vada a capo.
PRESIDENTE. Allora, i commi sarebbero quattro.
LACONI. Esatto. Inoltre, invece che «A tali compiti», si dica «Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ecc.».
Ultima modificazione è quella che riguarda la libertà dell’assistenza privata. Fra gli stessi presentatori dell’emendamento, non tutti erano convinti della necessità di questa affermazione, in quanto si poteva ritenere che già nella formulazione dell’articolo fosse implicitamente ammessa la libertà dell’assistenza privata. Lo spirito dell’articolo pare a noi che sia un altro, sia quello di garantire le affermazioni contenute nei suoi primi tre commi attraverso l’intervento dello Stato che ha il dovere di provvedere con i suoi enti, organi ed istituti. Indubbiamente però una qualche sfumatura di dubbio poteva rimanere. Quindi noi abbiamo accettato l’aggiunta: «L’assistenza privata è libera».
Si è osservato che non si garantisce la libertà della previdenza privata. Ciò dipende dal fatto che il termine «previdenza» non ricorre neanche nelle altre parti dell’articolo. L’articolo così formulato noi pensiamo risponda alle esigenze che sono state prospettate da tutte le parti della Camera e quindi ne raccomandiamo l’accettazione.
PRESIDENTE. L’onorevole Foa ha presentato i seguenti emendamenti:
«Al secondo comma, sopprimere l’inciso: in ragione del lavoro che prestano».
«Al terzo comma, sopprimere le parole: ed integrati».
Ha facoltà di svolgerli.
FOA. Ritengo che gli emendamenti siano ormai assorbiti dall’emendamento concordato di cui ha parlato l’onorevole Laconi, con la formulazione adottata nell’emendamento concordato è venuta a cadere la mia preoccupazione che si potesse determinare costituzionalmente un impegno misto di assistenza. Dichiaro quindi di ritirare entrambi gli emendamenti da me proposti per associarmi all’emendamento proposto dall’onorevole Laconi.
PRESIDENTE; L’onorevole Puoti ha proposto due emendamenti soppressivi del secondo e del terzo comma. Ha facoltà di svolgerli.
PUOTI. Dichiaro di ritirare l’emendamento soppressivo del secondo comma. Quanto alla proposta di sopprimere il terzo comma, la mantengo, riservandomi di ritirarla qualora la ritenga superflua dopo lo svolgimento degli altri emendamenti.,
PRESIDENTE. Il seguito della discussione e rinviato alla seduta pomeridiana.
Interrogazione con richiesta di risposta urgente.
PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:
«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quale criterio ha seguito nello stanziare 90 milioni di lire per una strada che dovrà servire un paese di 400 abitanti, trascurando tuttora l’esecuzione di opere importantissime e indispensabili, specialmente sotto il profilo igienico, tra le quali il progettato acquedotto di Castelnuovo di Conza (Salerno), che dovrebbe dar da bere a diverse migliaia di persone, che nella prossima estate saranno ancora costrette ad «abbeverarsi» in acque stagnanti, distanti dall’abitato alcuni chilometri; acquedotto la cui spesa è prevista in 15 milioni di lire.
«De Martino».
Domanderò al Ministro competente quando intende rispondere.
La seduta termina alle 12.55.