ASSEMBLEA COSTITUENTE
CIII.
SEDUTA DI GIOVEDÌ 24 APRILE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Progetto di Costituzione delia Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Sullo
Caronia
Maffi
Camangi
Merighi
Martino Gaetano
De Maria
Tupini, Presidente della prima Sottocommissione
Codacci Pisanelli
Andreotti
Arata
Gronchi
Corbino
Avanzini
Cavallotti
Leone Giovanni
Franceschini
Rossi Paolo
Treves
Bettiol
Camposarcuno
Fabriani
Codignola
Bianchi Bianca
Rescigno
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
Per la presentazione di una relazione:
Presidente
Sul risultato di una votazione a scrutinio segreto:
Presidente
Interrogazioni con richiesta d’urgenza:
Presidente
Macrelli
Merlin, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 11.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Si passa all’esame dell’articolo 26, il quale è del seguente tenore:
«La Repubblica tutela la salute, promuove l’igiene e garantisce cure gratuite agli indigenti.
«Nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per legge. Sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana».
Il primo emendamento è quello a firma degli onorevoli Sullo, Valenti, Mastino Gesumino, Castelli Avolio, Reale Vito, Geuna, Caccuri, inteso alla soppressione dell’intero articolo.
L’onorevole Sullo ha facoltà di svolgerlo.
SULLO. La ragione per cui è stata presentata da noi questa proposta di soppressione, è costituita dal desiderio di venire in concreto incontro a quelle critiche che sono state fatte più volte in quest’Aula da molti oratori circa la superfluità di taluni articoli o di talune affermazioni che non debbono trovar posto in una Carta costituzionale.
In linea specifica, si può affermare che, in questa prima parte del progetto di Costituzione, vi siano due categorie di diritti: i diritti di libertà e i diritti sociali.
I diritti di libertà sono riaffermati più per un valore polemico nei riguardi delle violazioni che si sono avute da parte del fascismo dei diritti stessi che per altre ragioni che sono ormai nella coscienza del mondo moderno.
I diritti sociali, invece, costituiscono delle innovazioni e dei germi che potranno avere uno sviluppo nella legislazione ordinaria.
Ma questo articolo 26 non afferma in realtà né diritti di libertà, né diritti sociali. Non afferma diritti di libertà, perché quello che potrebbe essere un diritto di libertà, nel secondo comma che dice testualmente: «Nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per legge; sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana», non ha invece quel valore polemico che presentano altri articoli della nostra Costituzione, in quanto non v’è stata alcuna violazione in Italia che possa essere contemplata da questo secondo comma ed è, pertanto, inutile che si parli di ciò, perché anche la sola menzione può essere un’offesa alla tradizione nostra in questo campo.
Per quanto riguarda poi i diritti sociali, non si parla, nell’articolo 26, di diritti sociali nuovi. In realtà, in Italia, nei limiti dei bilanci e degli accorgimenti della tecnica amministrativa, è stata sempre tutelata la salute ed è stata sempre promossa l’igiene.
Si vedrà in concreto se questi mezzi ci saranno; ma non mi pare si possa far luogo ad alcuna affermazione di principio sotto questo riguardo. Se, pertanto, questo articolo non deve contemplare che interessi di qualche classe, io ed i miei colleghi pensiamo che sia bene sopprimerlo, anche per ragioni di euritmia.
Insieme con altri colleghi, ci siamo anche resi promotori di un’altra proposta di soppressione: quella dell’articolo 29.
Anche le affermazioni contenute in questo articolo sarà bene che siano tolte. Noi abbiamo interesse che la Carta costituzionale sia formata di articoli che veramente dicano qualche cosa, e non che rappresentino dei riempitivi.
Ho visto, per esempio, emendamenti che modificano e forse in parte possono avere qualche ragione di essere, ma ho visto emendamenti che adombrano la necessità della costituzione di un Ministero della sanità. Non credo, per esempio, che in questa sede occorra che noi stabiliamo se debba essere un centro unitario o non unitario quello che riguarda la sanità e l’igiene.
Per questo ritengo, a nome dei colleghi che hanno presentato l’emendamento, che occorra insistervi per dimostrare che non siamo tra coloro che in astratto affermano la superfluità e in concreto non sanno trovare il punto superfluo. Noi riteniamo che questo sia un punto superfluo; richiamo perciò l’attenzione dei nostri colleghi, perché approvino questa soppressione.
PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato all’articolo 29 il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Maffi, Lettieri, Cotellessa, Spallicci, Fornara, Merighi, Borsellino, Coppa Ezio, Capua, Del Curto, Marconi, De Maria, Martino Gaetano.
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica si propone la tutela della salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività.
«Lo Stato assolve tale compito attraverso istituzioni coordinate intorno ad un unico organo centrale ed autonomo.
«Nessun cittadino può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale, però, mai potrà superare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
Poiché egli successivamente ha apportato delle modifiche a questo emendamento, io invito a svolgerlo dandone lettura nel suo testo definitivo.
CARONIA. Proprio in questo momento ho presentato qualche modifica all’emendamento, concordata con tutti i firmatari dell’emendamento stesso. Do lettura del nuovo testo:
«La Repubblica tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività.
Lo Stato assolve tale compito attraverso istituzioni coordinate intorno ad un unico organo centrale ed autonomo.
Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale inoltre garantisce il rapporto di fiducia fra medico ed ammalato».
Lo illustrerò brevemente, dopo aver dato meritata lode alla Commissione dei settantacinque che non ha dimenticato di consacrare nella Costituzione i principî fondamentali riguardanti la tutela della salute, dando così una preventiva risposta all’onorevole Sullo, che vorrebbe escludere dalla Costituzione ogni cenno ad una delle più alte funzioni dello Stato e ad uno dei diritti più sacrosanti del cittadino.
Il nostro emendamento, sostanzialmente, non importa modifiche notevoli all’articolo 26 proposto dalla Commissione, apporta qualche modifica di forma e vuol colmare qualche lacuna.
Noi proponiamo che il primo comma, cioè «La Repubblica tutela la salute, promuove l’igiene e garantisce cure gratuite agli indigenti», sia sostituito dalla formula: «La Repubblica tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività».
La «tutela della salute», implica anche la prevenzione delle malattie. Quindi ci pare superfluo aggiungere: «promuove l’igiene». Un articolo di Costituzione deve essere sintetico. Mirabile esempio di sintesi, che in quattro parole tutto esprime, è la norma di diritto sancita da Roma antica: salus publica suprema lex.
Crediamo opportuno eliminare anche la dizione «e garantisce cure gratuite agli indigenti», perché ci sembra limitativa della prima affermazione. Lo Stato, secondo noi, a tutti deve assicurare i mezzi di prevenire e curare le malattie. Certi mezzi di prevenzione e di cura sono così complessi e costosi da poter riuscire difficile procurarseli anche al cittadino più facoltoso, con le sue sole disponibilità. L’organizzazione sanitaria deve essere tale, che a tutti deve essere data la possibilità di usufruirne. Stabilirà poi la legge le norme che assicurino ai non abbienti la gratuità.
Quella frase «garantisce cure gratuite agli indigenti» sa troppo di congregazione di carità, senza dire che, se teniamo presenti tutte le provvidenze di uno Stato moderno, quali del resto sono tracciate nei vari articoli della Costituzione, dovrebbe scomparire la figura dell’indigente, cioè del miserabile, se non quella del povero.
Il secondo comma da noi proposto, non è compreso nell’articolo proposto dalla Commissione. Esso però scaturisce quale conseguenza del primo. Se viene affermato il principio che la Repubblica tutela la salute di tutti i cittadini, è bene che sia stabilita la modalità per l’applicazione di tale compito.
Ci si potrebbe opporre che l’argomento non è materia di Costituzione. L’obiezione ce la siamo posta anche noi, ma ce l’ha fatta sorpassare la considerazione che, nel momento in cui la Nazione si appresta a darsi una più razionale ed efficace organizzazione sanitaria, non è male affermare nella Costituzione il principio di creazione di un organo centrale ed autonomo che coordini e disciplini la complessa e delicata materia.
L’assistenza sanitaria più di ogni altra richiede unità di direttive e coordinamento di mezzi. Nell’ambito della sanità oggi si tende addirittura all’organizzazione unitaria internazionale. In Italia la unificazione parzialmente riconosciuta dalla legislazione non ha avuto applicazione. Ne è derivata una grande confusione nel campo sanitario per dispersione di mezzi, costose interferenze ed inevitabili deficienze. Per brevità non mi dilungo in esemplificazioni. Dirò soltanto che mentre l’Alto Commissariato per la Sanità ha alle sue dipendenze soltanto 14 o 15 istituti sanitari, circa un numero doppio di istituti sanitari è alle dipendenze di altri enti pubblici o privati, con direttive diverse, se non in contrasto.
L’organo unico centrale, che noi auspichiamo, è definito anche autonomo. Qualcuno ci ha chiesto cosa intendiamo esprimere con la qualifica autonomo. Noi intendiamo dire con questo che l’organo sanitario sia ben distinto dalle altre amministrazioni dello Stato. Sino ad oggi l’amministrazione sanitaria in Italia è stata ed è alle dipendenze del Ministero dell’interno o di altri Ministeri. Ne deriva, per esempio, che un provvedimento sanitario in una provincia non viene emanato dal medico provinciale, capo della sanità, ma dal Prefetto, cioè da un’autorità incompetente. Non è chi non veda gli inconvenienti di simili interferenze.
Noi, sull’esempio di altri Paesi tra i più progrediti, desideriamo affermare che anche l’amministrazione sanitaria sia autonoma, ed abbia carattere tecnico, così come quella militare, quella delle comunicazioni, ecc.
Altro motivo ci induce a chiedere che sia consacrato nella Costituzione il principio della creazione dell’organo coordinatore centrale ed autonomo.
Come si rileva da varie applicazioni già in atto e dallo stesso progetto di Costituzione, lo Stato italiano si avvia verso una struttura decentrata regionalistica. Per la sanità ciò potrebbe costituire un danno, se dal solo decentramento amministrativo si dovesse arrivare a quello normativo, donde l’opportunità di affermare in sede costituzionale il principio unitario dell’indirizzo sanitario, principio che è la base essenziale per un’efficace tutela della salute pubblica.
Sul comma terzo non spenderemo molte parole. È ovvia la sua opportunità e crediamo che da tutti esso venga accettato, perché rispondente al sacrosanto principio della libertà e del rispetto della personalità umana.
In una prima dizione noi avevamo espresso un principio limitativo dei poteri della legge, principio anche contenuto nell’articolo proposto dalla Commissione, dove alla parola «dignità», che riguarda la figura morale dell’individuo, avevamo sostituito la parola «personalità». Ma abbiamo, dopo più ponderato esame, rinunciato alla enunciazione, perché non vogliamo pensare che possano mai affermarsi nel nostro Paese pratiche che comunque possano ledere la personalità umana, quali la sterilizzazione obbligatoria, l’obbligo della visita prematrimoniale e simili aberrazioni.
Abbiamo piuttosto, in connessione al terzo comma, voluto affermare il principio che la legge garantisca i rapporti di fiducia tra medico e ammalato, perché ci sembra ciò opportuno per il rispetto alla libertà dell’esercizio professionale ed alla volontà di scelta da parte dell’ammalato. Il principio riguarda anche la delicata questione del segreto professionale che è bene sia garantito.
Pongo fine al mio dire chiedendo alla Commissione di voler far proprio l’emendamento, che tutti i sanitari d’Italia, attraverso la voce del Gruppo medico parlamentare, propongono, e pregando l’Assemblea di volerlo approvare. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Maffi, che figura firmatario dell’emendamento Caronia, ha presentato un emendamento all’emendamento Caronia, nel senso di sopprimere la frase che si riferisce al rapporto di fiducia tra assistito e medico e di ridurre l’articolo 26 esclusivamente al primo comma.
L’onorevole Maffi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
MAFFI. L’ampiezza della discussione svoltasi su questo argomento, la molteplicità degli elementi apportati da tutti i rappresentanti del campo medico, e non soltanto medico, perché ciò che non è campo medico è virtualmente campo dell’assistito, hanno messo in vista due elementi.
Il vecchio testo Caronia conteneva la frase «limiti imposti dal rispetto della personalità umana», frase che, per accordo unanime, abbiamo creduto di sopprimere, perché sappiamo a quante sfumature di interpretazione, fra cui molte pericolosissime, potrebbe prestarsi una simile dizione. Potrebbero entrare in giuoco elementi razzisti ed elementi chiesastici, in un senso o nell’altro, il pietismo ed una specie di persecuzione razziale, con atteggiamenti diversi, ma altrettanto dannosi.
La questione è puramente umana e medica e non può essere oggetto di questa nostra trattazione; è materia troppo ampia e pericolosa.
Vi è un’altra questione. Si dice nell’emendamento Caronia: «Lo Stato assolve tale compito attraverso istituzioni coordinate intorno ad un unico organo centrale ed autonomo».
Gli argomenti portati dall’onorevole Caronia mi hanno convinto che è utile considerarla come questione, non di Costituzione, ma di legiferazione dello Stato italiano.
L’argomento riferentesi alle autonomie regionali mi ha confortato in questo mio concetto della utilità della soppressione, e di rinvio ai compiti legislativi del nuovo Stato.
La stessa cosa devo dire per ciò che riguarda la fiducia tra medici ed ammalati.
Questa fiducia o sfiducia è connessa con una quantità di questioni, che hanno per fondamento una imperfetta organizzazione assistenziale.
Guai, se dovessimo ammettere un criterio di questo genere, il quale turberebbe tutti i servizi sanitari, che sono ora intaccati dalla esperienza triste, fatta da una legislazione imperfetta nelle sue origini, qual è il complesso delle istituzioni, cosidette assistenziali, fasciste; le cosidette «mutue», le quali funzionano in un modo non corretto, insufficiente, immorale; perché la retribuzione dei medici è tale, che viene artificiosamente creato un metodo di funzionamento che compensa la indecorosa retribuzione fatta ai medici.
Se noi abbiamo delle condotte veramente buone e bene organizzate, dei buoni ospedali, dei buoni ambulatori e sanatori, bene organizzati e bene sostenuti, questo problema diventa un problema incidentale e che deve essere oggetto di una grande vigilanza.
Nessuno, naturalmente, escluderà il concetto del consulto, ma sostenere ora qui, in sede costituzionale, la soluzione di un problema che è così intimamente tecnico, per conto mio, è un errore, è un azzardo. Ed io credo che il carattere di una Costituzione deve essere questo: impegnare a ciò che è sostanziale, evitare le ipoteche di dettaglio sulla nuova legislazione.
Perciò io ho presentato il mio emendamento che riduce l’articolo 26 a questa formulazione:
«La Repubblica si propone la tutela della salute, come fondamentale diritto dell’individuo e come generale interesse della collettività».
Ritengo tutto il resto non sufficientemente fondato, non sufficientemente studiato, troppo tecnico, materia di legiferazione, e affermazione pericolosa.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Cappa e De Maria hanno presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere al secondo comma dell’emendamento Caronia il seguente comma:
«La legge garantisce la libertà di scelta nei rapporti tra medico ed assistito.
«In caso di reiezione dell’emendamento Caronia, aggiungere il comma al testo dell’articolo».
Dopo le modificazioni apportate all’emendamento Caronia, l’emendamento Capua si intende assorbito.
L’onorevole Camangi ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire l’articolo col seguente:
«La difesa e la cura della salute fisica dei cittadini è compito della Repubblica.
«Lo Stato assolve tale compito direttamente e attraverso gli Enti locali in modo da assicurare in materia a tutti i cittadini la maggiore parità di condizioni.
«Nessun cittadino può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, la quale, però, mai potrà superare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
Ha facoltà di svolgerlo.
CAMANGI. Ero e sono tuttora dell’opinione che molti argomenti che stiamo infilando nella Costituzione non dovrebbero esservi infilati. È per questo che ieri ho votato l’ordine del giorno Orlando.
Tuttavia, se questa opportunità di affrontare certi problemi nella Costituzione viene riconosciuta dalla maggioranza dell’Assemblea, ritengo che questi problemi debbano essere affrontati con una visione più ampia di quello che si è fatto, per esempio, nell’articolo 26, per quanto riguarda la pubblica salute.
Se si deve trattare di questo argomento, a me pare che l’articolo 26 sia molto poco. Non è per una ostinata smania del nuovo, ma io credo che si abbia diritto di pretendere che, se si affronta questo problema, non si possa minimizzarlo e ridurlo a qualche cosa di così poco e, soprattutto, di così vecchio come si fa all’articolo 26; ma bisogna vederlo nella sua grandiosità, nella grandiosità per la quale la pubblica salute deve essere veramente – come ho sentito dire – la suprema legge della Repubblica; suprema legge per la tutela di quel patrimonio fondamentale della Repubblica che è la salute fisica dei cittadini. E allora, se così è, affrontiamo il problema con il coraggio consapevole, meditato, necessario e sufficiente per dire anche su questo problema una parola nuova e per mirare, per lo meno, ad un ordinamento nuovo.
Il concetto informatore del mio emendamento – e in questo credo che si distacchi da quello dei colleghi che mi hanno preceduto, che a me pare, in certo senso, troppo generico – è questo: stabilire il principio che l’assistenza sanitaria, intesa nel senso più completo, quindi medici, medicine, analisi, ospedali ecc. deve essere una funzione dello Stato, dei suoi organi centrali e periferici, e deve essere una prestazione alla quale devono aver diritto tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro condizioni economiche; stabilire, naturalmente, il principio per fare qualcosa di nuovo e per eliminare – soprattutto in applicazione immediata e pratica di quello che abbiamo già precedentemente stabilito – una delle più dolorose disparità, una delle più dolorose ineguaglianze che attualmente vi sono tra i cittadini italiani.
Noi abbiamo stabilito, al secondo comma dell’articolo 3, che: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della persona umana…». È questa, io credo, una delle più importanti applicazioni di questo principio che noi abbiamo già sancito. Stabilire un principio, dicevo, non per amore di affermazioni utopistiche o, peggio, per fare della retorica, o, peggio ancora, per fare della demagogia, ma per tradurlo in atto. Se io pensassi soltanto lontanamente ad una impossibilità di questa traduzione in atto, mi vergognerei di parlare di questo argomento e in questo senso. Io invece ho la convinzione, direi matematica, della possibilità di una traduzione in atto; la convinzione che la cosa non soltanto non sia impossibile, ma non sia nemmeno troppo difficile.
Naturalmente non penso di entrare troppo nel dettaglio, anche perché non sarebbe questa la sede per una analisi di dettaglio. Io credo che basti accennare a voi, onorevoli colleghi, il problema per darvi un’idea di massima di questa possibilità ed esporvi alcune considerazioni. Pensate, per esempio, alla enorme molteplicità di istituti, enti, associazioni di ogni genere che si riferiscono a questa materia; pensate a quella che è l’attività dei Comuni in questo campo: condotte mediche, enti comunali di assistenza ecc.; pensate all’attività delle provincie: ospizi, manicomi, istituti antimalarici ecc.; pensate, per esempio, alla Croce Rossa; pensate alla parte che riguarda questo argomento nell’attività dell’Istituto della previdenza sociale; pensate soprattutto a quell’Istituto assistenza malattie ai lavoratori, ex mutue, del quale i lavoratori sanno il funzionamento, e sanno di che lacrime grondi questo funzionamento, a questo istituto che si vanta di assistere ben 16 milioni di unità in Italia; pensate a tutto questo complesso – non mi dilungo in questa elencazione – pensate a tutto questo complesso e voi arriverete per lo meno a questa constatazione: che tutto questo complesso di attività si risolve in un altissimo costo specifico delle prestazioni.
Se si potesse fare una somma esatta delle spese che si fanno da tutto questo complesso di attività per quei fini, noi arriveremmo probabilmente ad una cifra che ci sorprenderebbe, perché credo che nessuno di noi abbia la possibilità di avere un’idea, sia pure di massima, dell’ordine di grandezza di queste spese. Allora, io dico: se noi pensiamo soltanto alla opportunità di spendere una cifra, che certamente è enorme, in maniera un po’ più razionale, un po’ più organica, un po’ più metodica, noi dovremo certamente concludere nel senso della possibilità e della convenienza di metterci sulla via che io ritengo sia quella giusta. Vi saranno certamente mille difficoltà da superare, molti problemi particolari da risolvere, molti aspetti di dettaglio, anche importantissimi, da esaminare e da tener presenti, primo fra tutti il problema della posizione del medico in questo nuovo ordinamento. Io penso, fra parentesi, che il medico dovrebbe diventare qualcosa di simile al magistrato. Ma tutto questo non è e non può essere materia di questa discussione. Noi dobbiamo per ora soltanto affermare una norma generale, un fine da raggiungere, un progresso da realizzare sulla via della civiltà.
Io non penso che quanto auspicato possa realizzarsi rapidamente. Molti altri postulati della nostra Costituzione richiederanno del tempo per attuarsi completamente. Quello che importa è affermare il principio e iniziarne volonterosamente l’attuazione.
D’altra parte è certo che, se è vero, come io penso, che l’attuazione sia possibile, per le considerazioni di carattere statistico ed economico alle quali ho accennato, è anche vero, onorevoli colleghi, che tutte le realizzazioni, specie quelle di carattere sociale, presuppongono due cose: una possibilità materiale in potenza e la volontà da parte di chi deve attuarle di volerle attuare. È a questo secondo presupposto che noi dobbiamo riferirci oggi: la volontà di andate avanti, di vincere tutte le difficoltà, soprattutto la volontà di dimostrare al mondo e anche a noi stessi, che, pure nelle angustie del nostro tempo, noi guardiamo avanti e guardiamo lontano e che non facciamo una Costituzione soltanto perché abbiamo perduto una guerra – come con dolore ho sentito affermare – ma perché vogliamo con essa non soltanto rifarci una vita, ma creare al di sopra delle contingenze, anche le più dure e le più gravi, un mondo migliore. E la Repubblica è, io credo, e deve essere soprattutto, un mondo migliore e più giusto. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Merighi ha apposto la sua firma all’emendamento dell’onorevole Caronia, e ritengo, quindi, che sia decaduto l’emendamento che egli ha presentato in nome proprio.
MERIGHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che proposito desidera parlare?
MERIGHI. Ho anch’io proposto un articolo sostitutivo dell’articolo 26.
PRESIDENTE. Lei ha presentato, è vero, il suo emendamento sostitutivo, ma stamane, quando ho ricevuto il testo del nuovo emendamento sostitutivo firmato dall’onorevole Caronia, ho visto che vi figura anche la sua firma. Ora, io non giungo a poter pensare che un collega presenti contemporaneamente due articoli sostitutivi sullo stesso articolo. Lei quindi può rinunciare o alla firma che ha apposto all’emendamento Caronia, o al suo emendamento.
MERIGHI. C’è un piccolo equivoco, signor Presidente. In effetti io ho firmato l’articolo sostitutivo che porta, per prima, la firma del professor Caronia e avevo per questo rinunciato a parlare in sede di discussione generale, anche per aderire al di lei desidero di abbreviare la discussione. Però, rileggendo l’articolo, ho compreso che, soprattutto da un punto di vista particolare del mio Partito, sarebbe stato conveniente dare qualche delucidazione, aggiungere qualche specificazione: così avevo desiderato di presentare due piccoli emendamenti all’articolo sostitutivo del professor Caronia che portava anche la mia firma, e che portava anche quella del collega Maffi. Ma mi è stato detto che presentare un emendamento all’emendamento non era perfettamente corretto, e allora ho pensato di proporre l’articolo sostitutivo, al quale però manca l’aggiunta contenuta nell’emendamento Caronia, in cui si parla di garanzia del rapporto di fiducia tra medico ed ammalato. Questa aggiunta era stata in realtà discussa in sede di gruppo medico parlamentare, ma ritenevo fino a questo momento, che fosse stata presentata da altri colleghi e non fosse stata accettata dal professor Caronia. Sono, quindi, a questo punto ed è per questo che – se lei me lo consente, signor Presidente – ho il dovere di parlare per specificare il mio atteggiamento che risponde anche al pensiero del gruppo parlamentare socialista.
PRESIDENTE. Onorevole Merighi, io le do facoltà di parlare, ma la prego di precisare se lei conserva la sua adesione all’emendamento Caronia.
MERIGHI. No, bisogna che ritiri tale adesione.
PRESIDENTE. Allora s’intende senz’altro che ella conserva il suo emendamento, che è del seguente tenore:
«Sostituire l’articolo col seguente:
«La Repubblica si propone la tutela della salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività. A tale diritto corrisponde, nell’individuo stesso, il dovere di tutelare la propria sanità fisica, anche pel rispetto della stessa collettività.
«Lo Stato assolve tale compito (compito che è di cura e di assistenza dell’uomo infermo, di difesa preventiva della sua salute e di miglioramento della stirpe umana) a traverso istituzioni coordinate intorno ad un unico organo centrale ed autonomo.
«Nessun cittadino può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale, però, mai potrà superare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
Ha facoltà di svolgerlo.
MERIGHI. Sarò ad ogni modo breve. Come ho rinunciato a parlare in sede di discussione generale, così sento il dovere di essere breve e conciso anche in questa sede.
Intendo anzitutto fare una precisazione; debbo respingere un sospetto dell’oratore che ha parlato a favore della soppressione dell’articolo 26, il quale ha accennato ad una ipotesi che non corrisponde a realtà; cioè che questo articolo 26 nasconda un particolarismo di determinate classi. Ciò non è vero. Noi medici socialisti – e l’onorevole Maffi è un collega anziano e sa quali sono le tradizioni dei medici socialisti in campo sanitario – abbiamo sì combattuto in origini molto lontane, per delle rivendicazioni di dignità e di interesse di classe; ma abbiamo sempre contemperato questo pensiero di dignità e di interesse della nostra classe con altri interessi: soprattutto con gli interessi delle classi lavoratrici, perché noi medici – e specialmente noi medici socialisti – che esaminiamo i problemi della sanità attraverso le condizioni miserande di una grande quantità di cittadini italiani, abbiamo sempre considerato questi problemi come insiti nelle stesse nostre rivendicazioni.
Quindi, non è un particolarismo di classe che noi oggi affermiamo con questo articolo 26; vogliamo semplicemente che il problema sanitario sia considerato come facente parte del complesso dello Stato italiano, sotto il punto di vista della sua importanza fondamentale per la nostra costituzione sociale.
Inoltre vi è un’altra affermazione che ho sentito fare: cioè che in questo articolo non possono essere considerati né diritti di libertà né diritti sociali. A me pare invece che sia intuitivo che le condizioni sanitarie della popolazione devono essere considerate come realmente dei diritti sociali. Ma c’è anche un’altra cosa che bisogna considerare a proposito della libertà: cioè che per me – e forse per molti di noi – la salute è il primo requisito essenziale per la libertà dell’individuo. Un individuo malato o minorato nelle sue capacità fisiche e intellettuali, indubbiamente non è più un uomo libero.
Ecco perché noi, volendo che il problema sanitario entri nella Costituzione italiana, intendiamo anche attenerci ad un principio di libertà fondamentale dell’individuo.
Non mi soffermo, perché ne ha già parlato il collega Caronia, sulla questione degli indigenti. Noi respingiamo il concetto di indigenza consacrato nella Costituzione italiana. Oggi che tutti tendono alla solidarietà sociale, non possiamo pensare ad una categoria di cittadini che siano considerati indigenti e che, quindi, continuino ad avere bisogno della carità: non c’è più carità; c’è la solidarietà sociale.
Ma per venire alle mie aggiunte, ho creduto opportuno – e in seno al mio Gruppo non mi è stata negata la facoltà di sostenere questo principio – che insieme al diritto del cittadino di essere tutelato nella sua salute dalla Repubblica italiana o, per meglio dire, dallo Stato italiano, si potesse anche per contrapposto – o anzi, ad integrazione di questo principio – stabilire che vi è anche un dovere da parte del cittadino di collaborare con la collettività, nel senso di promuovere per se stesso tutti quei mezzi, tutte quelle iniziative che tendono a tutelare la sua stessa salute. E questo per un principio, diremo così, anche di socialità che noi dobbiamo inserire nella futura etica del cittadino italiano. Questo principio, in fondo, è già un pochino sancito dall’articolo 10, il quale, a proposito della facoltà di circolare, di dimorare in qualsiasi parte della Repubblica italiana, stabilisce che il cittadino ha il dovere però di rispettare le leggi sanitarie: e quindi vincola la sua libertà. Mi si dice che questo principio di tutela della propria salute non è perfettamente giuridico, in quanto che ad un dovere deve essere sempre fatta corrispondere una sanzione quando a questo dovere si sia venuti meno. Ma qui siamo in un campo morale.
Può essere anche d’altra parte sancito negli ordinamenti scolastici un principio sull’insegnamento dell’igiene ed io me lo auguro. Si dovrebbe anzi incominciare fin dalle scuole primarie. Perciò, illustrando qualche concetto della nuova Costituzione si potrebbe illustrare anche il dovere di difendere la propria salute per il bene della collettività.
Noi sappiamo inoltre quanto incidano sulle condizioni della nostra umanità le malattie sessuali. Anche, quindi, dal punto di vista educativo si potrebbe trovare l’appiglio per insegnare alla gioventù a difendersi da queste malattie sempre molto gravi per la nostra stirpe.
Passo poi al secondo comma che è molto discusso – e mi dispiace che anche il collega Maffi lo combatta – vi si vorrebbe stabilire, da parte nostra, che tutti gli organismi sanitari facciano capo ad un unico organo coordinatore ed autonomo.
MAFFI. Tengo a dichiarare che non lo combatto; solo non credo che sia materia da trattarsi in questa sede.
MERIGHI. E io invece credo, collega Maffi, che sia bene stabilirlo qui. Noi ci troviamo infatti di fronte a tante istituzioni sanitarie – lo ha spiegato efficacemente anche il collega onorevole Caronia – ognuna delle quali marcia per proprio conto, così da rendere i risultati che si conseguono ben più miseri di quelli che dovrebbero essere, specialmente nell’interesse delle classi lavoratrici.
Noi vorremmo, quindi, pur fondandoci su quello che in atto esiste nel mondo sanitario, puntare anche verso l’avvenire, perseguendo la mira di un coordinamento di queste istituzioni.
Auspichiamo non un centro soffocatore di tutte le energie, ma soltanto un centro coordinatore, un centro tecnico che sappia dare soprattutto un unico indirizzo in cui sia armonicamente fusa l’assistenza e la previdenza.
Istituto per la previdenza sociale, Mutua malattie dei lavoratori, Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro: sono tre organismi diversi e distinti. E sapete voi come uno scrittore che si occupa di questi argomenti li ha qualificati? Le tre lupe che, dopo il pasto, hanno «più fame che pria».
Noi sappiamo infatti che questi istituti spendono il 75 per cento delle loro rendite per le sole funzioni amministrative.
Ecco quindi, la necessità di coordinare, mediante un organo tecnico che sopprima quella infinità di bardature che vanno a tutto danno dell’assistenza. Il mio inciso vuole precisamente questo ed è inteso a semplificare ed a spiegare questo concetto, perché i problemi sanitari anche dentro questa Assemblea, che è composta di cittadini che sanno molte cose, i problemi dell’assistenza sanitaria non sono completamente e perfettamente conosciuti. Ed è per questo che cerco di esemplificare il concetto con questo inciso: Lo Stato assolve tale compito, che è di assistenza dell’uomo infermo (l’assistenza comprende anche il danno economico prodotto dalla malattia); di difesa preventiva della sua salute (e siamo in un campo igienico vastissimo) e di miglioramento della specie umana (avevo scritto «stirpe», ma mi si dice che è una brutta parola e la sostituisco con «specie»).
Mi si è detto anche che questo inciso ricorda un po’ troppo quanto fu fatto dal fascismo; faccio osservare che il fascismo tendeva sì al miglioramento della specie umana, ma aveva esasperato questo concetto riferendosi alla pura materialità, cioè, esclusivamente al miglioramento della natura fisica dell’uomo, senza pensare al miglioramento della natura psichica, mentre il miglioramento della specie umana che noi auspichiamo è un miglioramento completo: il miglioramento della salute fisica e morale dei cittadini.
D’altra parte, noi sappiamo, per esempio, che un quinto dei bambini nati hanno bisogno di interventi per correggere i difetti del loro organismo: vista, udito, deambulazione, favella e tante altre cose. Non vogliamo arrivare alla eugenetica pura, all’esame chimico dei cromosomi, ma in tutti i modi vogliamo coordinare questo concetto a tutto quello che è contenuto nella difesa della salute e della integrità e perfettibilità dell’uomo. Ricordo a questo proposito l’assistenza prenatale e post-natale già in atto.
Né va trascurato il concetto, che è stato sostenuto principalmente dal collega Pajetta, riguardante il dovere della Repubblica di promuovere e perfezionare tutti quegli organismi che possono tendere al miglioramento della gioventù. E per questo io insisterei nel mantenere questo mio emendamento.
Sono contrario poi all’ultima parte dell’emendamento relativa alla reciproca fiducia fra medico e malato. La reciproca fiducia è una cosa molto importante; ma noi in primo luogo riteniamo che la fiducia, il medico se la deve conquistare per le sue virtù personali: virtù di sapere e virtù di carattere. In secondo luogo la reciproca fiducia vorrebbe significare il segreto professionale da un lato ed il rapporto diretto fra medico e ammalato. Sul segreto professionale non mi soffermo: ma se vogliamo codificare il rapporto diretto fra medico e malato, noi andiamo ad infirmare una quantità di cose già esistenti. Si potrebbe arrivare persino ad infirmare la stessa condotta medica, in quanto il medico condotto è scelto dall’amministrazione, non per la fiducia che è stata data a questo medico dalla popolazione, ma perché egli ha raggiunto la possibilità di conquistarsi la condotta attraverso i suoi meriti professionali.
Quindi non dobbiamo entrare in questo argomento, come diceva il collega Maffi. Noi vogliamo essenzialmente modificare, migliorare quelli che sono gli istituti attuali, senza la menomazione della dignità professionale. E saremo perciò perfettamente d’accordo nel difendere i diritti dei medici di fronte agli istituti attualmente esistenti.
Ma questo non significa che noi possiamo sopprimere la facoltà delle amministrazioni o di altri organismi di potersi scegliere con concorsi e con tutte le garanzie necessarie i relativi sanitari. Qui sì che possono entrare gli affari particolaristici di una classe, ma in tutti i modi noi non possiamo, dal punto di vista delle organizzazioni che si stanno creando, accettare il principio così nettamente sancito. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano così formulato:
«Nel secondo comma sopprimere le parole: Sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana».
L’onorevole Martino Gaetano ha facoltà di svolgerlo.
MARTINO GAETANO. Per giustificare la mia richiesta di soppressione della norma con la quale vengono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana, basterà dire che questa manca di quel requisito di cristallina chiarezza che da tutti i giuristi è stato in questa Assemblea affermato come una esigenza assoluta delle norme costituzionali. Infatti che cosa vuol dire «pratiche sanitarie lesive della dignità umana»? Si potrebbero fare parecchie ipotesi; ma è meglio per brevità riferirsi senz’altro a quanto ha affermato l’onorevole Moro nella seduta della Commissione del 28 gennaio. Si tratterebbe della «sterilizzazione e di altri problemi accessori». Ma quale sterilizzazione? Sterilizzazione terapeutica, sterilizzazione profilattica, sterilizzazione eugenica? Questo non si è detto da nessuno finora. Ora, chi domani volesse interpretare questa legge e tenesse presente che col suo brillante discorso introduttivo l’onorevole Tupini ebbe ad elencare tale norma fra quelle che rappresentano conquiste della democrazia cristiana in sede costituzionale, potrebbe pensare che qui si tratti della sterilizzazione profilattica ed altri problemi accessori, ai quali non può restare indifferente un partito cattolico.
Infatti la sterilizzazione profilattica, l’aborto terapeutico, le operazioni embriotomiche che, in casi per fortuna rarissimi, ammettono la nostra deontologia clinica e la nostra morale corrente, non sono ammessi in nessun modo dalla Chiesa. A questo proposito è molto esplicita la medicina pastorale. Si tratta, per esemplificare, di questo: in casi particolari una donna gravida non può essere salvata altrimenti che, per esempio, mediante l’aborto e, qualora non venisse questa operazione praticata, morrebbe la donna e morrebbe per conseguenza anche l’embrione o il feto. L’ostetrico si sente autorizzato dalla sua coscienza a praticare l’aborto, ma la Chiesa lo proibisce. Non sunt facienda mala ut veniant bona: si legge nella medicina pastorale. Altrettanto esplicita è pure l’Enciclica sul matrimonio cristiano di Pio XI «Casti connubi». Il contrasto è davvero insanabile; ed anche l’allocuzione recente di Pio XII (del 12 dicembre 1946) ai membri dell’Unione medico-biologica San Luca ribadisce ancora il punto di vista della Chiesa.
Io non intendo discutere qui la questione né dal punto di vista della Chiesa né da punto di vista della deontologia clinica perché, a parer mio, si tratta di uno di quei problemi che ognuno deve risolvere secondo la propria coscienza. Non avrò nemmeno il cattivo gusto di propormi il quesito: quanti di noi sarebbero capaci di trovare in sé la forza eroica per assistere inerti alla morte inevitabile della propria moglie o della propria figlia o della propria sorella, sapendo che uno di questi interventi proibiti dalla Chiesa basterebbe a salvare con sicurezza la vita della persona amata. Non avrò questo cattivo gusto. Però un quesito mi propongo e vi sottopongo: questa Costituzione ha da servire soltanto ai credenti, anzi agli eroi della religione, o anche ai credenti tiepidi, ai non credenti, ai miscredenti, ai non cattolici? Ecco il problema.
Mi direte: ma i proponenti di questa norma non intendevano di considerare tutti questi casi; essi intendevano piuttosto riferirsi alla sterilizzazione eugenica. Ma allora bisogna dirlo chiaramente. Bisogna dire: «È vietata la sterilizzazione eugenica». Altrimenti domani chi dovrà interpretare il nostro pensiero quando noi non saremo più qui, quando non sarà più qui la Commissione e dei membri di essa non resterà che quel ricordo marmoreo che i posteri certamente vorranno loro dedicare (Si ride), si potrà pensare che noi ci si volesse riferire alla sterilizzazione profilattica e problemi accessori. Badate, onorevoli colleghi, che una norma simile non esiste in nessuna Costituzione del mondo, nemmeno in quella più permeata di spirito cattolico, cioè nella Costituzione irlandese, la quale comincia con l’invocazione alla SS. Trinità, «da cui discende ogni potere ed a cui sono da ricondurre, come al fine supremo, tutte le azioni degli uomini e degli Stati».
E se pure voi voleste, modificando il testo proposto dalla Commissione, vietare esplicitamente la sterilizzazione eugenica, ugualmente vi pregherei di sopprimere questa norma. La sterilizzazione eugenica è infatti contraria alla nostra morale, non è ammessa dalla nostra coscienza. È vero che essa è stata praticata in altri paesi in determinate condizioni. Ma allora, se noi dovessimo proibire quello che Hitler fece in Germania, perché non inserire pure nella Costituzione la proibizione dei campi di concentramento, delle camere a gas, dei plotoni di esecuzione per gli avversari del regime?
Credetemi, questa norma non ha senso. Se pure si voglia prevedere il caso di un dittatore che si impadronisca del potere e pensi di ricorrere, per un sogno razziale, alla sterilizzazione o ad altri crimini riprovati dalla nostra coscienza, questa norma non ha senso. Perché allora è il caso di ricordarsi delle parole di Benedetto Croce e del biglietto di Ninon de Lenclos. Niente di quello che noi ora facciamo, nessuna nostra norma costituzionale avrebbe valore qualora un pazzo criminale diventasse il dittatore della Repubblica italiana. (Applausi).
PRESIDENTE. Gli onorevoli Codacci Pisanelli, De Maria, Capua, Caso, Del Curto, Cotellessa hanno presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere il seguente comma:
«Nessuno può disporre del proprio corpo in maniera incompatibile con la dignità umana».
DE MARIA. Quale firmatario chiedo di svolgere l’emendamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE MARIA. Invero io non sono né un medio né un piccolo calibro dell’Assemblea, quindi non posso sperare che mi sia concesso di parlare a lungo. Cercherò di esser breve, nei limiti del possibile, in relazione all’importanza degli argomenti cui voglio accennare.
Fra i giornali di questa mattina ve n’era uno che annunziando l’esito della votazione di ieri sera metteva a caratteri di scatola questo titolo: «No ai clericali». Ebbene è ancora un clericale che propone alla vostra attenzione uno di quei problemi che dal lato morale e sociale hanno tanta importanza, che non dovrebbero sfuggire agli anticlericali, né trovare la loro opposizione.
E diciamo subito che tutta la nostra Costituzione, che tende tanto a valorizzare la dignità della persona umana, rimarrebbe inefficace, quasi lettera morta, se sancisse ancora, o comunque non provvedesse ad eliminare un fenomeno sociale che costituisce la più grave menomazione della persona umana e della sua dignità.
Intendo parlare alla prostituzione ufficialmente riconosciuta dallo Stato e me ne occupo come medico dal lato sanitario, accennando alle sue terribili conseguenze sociali.
Dal lato biologico la prostituzione è l’abuso dell’istinto sessuale, è il distogliere l’uso degli organi sessuali dal loro fine, anzi è il potenziare degli elementi secondari, che accompagnano quell’uso stesso, facendoli fine a se stessi.
Mentre il matrimonio risponde ai postulati biologici della riproduzione della specie, la prostituzione tradisce e rinnega questi postulati stessi. Ed a proposito di quel che si è detto del matrimonio in questi giorni, aggiungerò che dal lato biologico, le cause di infelicità e disarmonie dipendono in genere da ragioni individuali, spesso perché si giunge al matrimonio, non come a naturale meta della maturità sessuale, ma dopo una viziata e disordinata esperienza sessuale, che non trova più sufficiente soddisfazione nel matrimonio. Dal lato del problema sessuale, contro la prostituzione si pronunziano moltissimi clinici; e, per citarne qualcuno, lo Schittenhelm, professore di clinica medica all’Università di Monaco, l’Elliot, professore di clinica medica all’Università di Londra, l’Hurst, anche dell’Università di Londra, il Pilcy, professore di psichiatria all’Università di Vienna, l’Holmes, lo Walche dell’University College di Londra; per gli italiani citerò il professore Tommasi, Direttore della Clinica dermosifilopatica dell’Università di Roma, uno dei più illustri maestri in materia, ed il Flarer, Direttore della Clinica dermosifilopatica di Padova, che in questi giorni ha scritto in riviste mediche diversi articoli sull’argomento.
Dal lato sociale, la prostituzione porta alla creazione di esseri inferiori socialmente, se non fisicamente, e costituisce uno dei più tragici e desolanti aspetti della vita sessuale collettiva, dando luogo ad un vasto e sterminato campo d’infinite miserie. Per mille motivi non è né sarà possibile mai sopprimerla completamente; dovremmo però almeno attenuare ed eliminare alcune forme particolarmente obbrobriose e infami, vietando che essa sia quasi una professione legale. L’inganno sessuale costituisce la base biologica della prostituzione, si associa poi alle finalità venali e lucrative dell’inganno stesso. Ed è nella istituzione inammissibile delle case di tolleranza che l’uomo trova con scarso sacrificio finanziario dei surrogati amorosi (come si esprime il Flarer): sono questi i veri fattori e non ipocrite preoccupazioni sanitarie, che consentono la florida esistenza di questi istituti. Viene sancita così in forma legale una vita coatta, da cui l’essere umano non potrà più sottrarsi, vita che qualora rientri nella figura di una prestazione di lavoro, è inammissibile e indescrivibile, vita che è una forma di schiavitù.
Nel primo articolo della nostra Costituzione abbiamo sancito che la Repubblica è fondata sul lavoro e non si può ammettere che vi sia gente che, sotto forma di preteso lavoro, rinnega e vende se stessa. Viene così coperta una attività lucrativa abietta, legata a tutte le forme di delinquenza.
Sarebbe troppo lungo passare in rassegna i delitti che sono connessi a questa triste attività, da quando nel 1886 si scoprì una società segreta che compiva la tratta delle bianche in Europa, per inviarle nell’America del Sud. Da allora è stata tutta una triste serie di episodi, poco narrabili, tutta una triste serie di delitti connessi a questo fenomeno.
E questa infame tratta delle bianche si verifica ancora ai giorni nostri, praticamente con il tacito consenso dello Stato, che interviene in maniera assolutamente insufficiente.
PRESIDENTE. Onorevole De Maria, tenga presente che sono trascorsi 10 minuti.
DE MARIA. Cercherò di essere breve.
PRESIDENTE. Non è un tentativo, direi che è un dovere morale, in questo momento.
DE MARIA. Qual è l’atteggiamento sociale delle varie civiltà? A seconda delle razze e dell’educazione, si assumono atteggiamenti diversi di fronte a questo fenomeno ritenuto erroneamente inevitabile. Attualmente la prostituzione è quasi ovunque abolita.
In Inghilterra ed in Svezia non è mai esistita; la Svizzera ha abolito la prostituzione con il secondo articolo della legge federale il 30 maggio 1925; la Norvegia l’ha soppressa nel 1888; la Danimarca nel 1901; la Finlandia nel 1907; l’Olanda nel 1911; l’Estonia nel 1916; l’U.R.S.S., la Cecoslovacchia e la Polonia nel 1922; la Lettonia nel 1926; l’Ungheria nel 1928; la Spagna (paese mediterraneo, e faccio notare ciò in rapporto a delle particolari obbiezioni che vengon fatte) ed il Belgio nel 1932; la Francia nel dicembre del 1945.
Fuori d’Europa la prostituzione è stata abolita nel Sud Africa, in Australia, nel Canadà, nel Cile, negli Stati Uniti ecc.
E gli inconvenienti che si temevano, come un aumento della percentuale di malattie veneree, o un aumento di pericoli per le persone oneste, non si sono verificati (rapporto della «Commissione della Società delle Nazioni contro la tratta delle bianche» che riporta statistiche riguardanti i maggiori centri d’Europa, come Amsterdam, Anversa, Berlino ecc.). Inoltre, abolendo la prostituzione ufficiale, intendiamo contemporaneamente intensificare la profilassi contro le malattie veneree.
L’Unione internazionale contro il pericolo venereo, nell’Assemblea generale di Parigi, nel 1926, cui intervennero 21 Nazioni, contro tali malattie adottò, come primo rimedio «la soppressione della regolamentazione della prostituzione» e come secondo «l’applicazione di misure dirette alla totalità della popolazione, ispirate in larghissima misura al principio della libertà individuale».
Il controllo attuale è irrisorio e purtroppo questa regolamentazione oggi più che impedire il diffondersi delle malattie veneree serve solo ad autorizzare un commercio infame.
L’unica statistica riguardo alla diffusione delle malattie veneree che abbiamo in Italia, è del 1936, pubblicata dal professore Tommasi negli Annali della Società italiana di dermatologia e sifilografia. Essa dà il numero di 800 mila luetici presenti nel Regno, con un totale di perdite umane, in rapporto alla mortalità ed alle natalità mancate per queste malattie, di 120 mila unità annue. Se poi ci riferiamo alle perdite economiche per diminuita capacità lavorativa dei malati, e per le spese che gli enti ospedalieri devono sostenere, abbiamo una cifra di 500 milioni all’anno. Questo nel 1936. Volendo fare un rapporto attuale arriviamo ad un complesso di circa 15 miliardi. Statistiche per il periodo post-bellico non ne abbiamo. Lo Stuart, capo dei servizi sanitari dell’UNRRA, ne ha pubblicate alcune, ma sono incomplete: secondo queste la percentuale di tali ammalati è aumentata da tre a quattro volte da quella che era nell’anteguerra.
Dicevo che il controllo attuale contro tali malattie è irrisorio. Noi vogliamo porre la lotta contro le malattie veneree sullo stesso piano con cui facciamo la lotta contro le altre malattie sociali.
PRESIDENTE. Onorevole De Maria, mi pare che lei esuli non solo dalla materia dell’articolo, ma anche dal testo del suo emendamento. Io la prego vivamente di volersi attenere all’articolo ed alla sua proposta e di voler concludere.
DE MARIA. Concludo. Non credo però di essere andato fuori argomento.
PRESIDENTE. Lei ha presentato un emendamento e deve attenersi a questo.
DE MARIA. Desideriamo perciò che sia praticata la reazione sierologica (Wassermann) su larga scala, particolarmente in rapporto a particolari periodi od occasioni della vita individuale e collettiva (frequenza scolastica, vita militare, matrimonio, ecc.). Inoltre desideriamo che siano aumentati i dispensari ed estese ed intensificate le cure da praticare per conto dello Stato, togliendo loro qualsiasi carattere coattivo o poliziesco e dando loro invece una vera fisionomia igienica e sanitaria.
Concludendo: in quasi tutte le nazioni di Europa, dall’estrema destra all’estrema sinistra, non esiste più la prostituzione ufficiale. In Italia essa costituisce ancora una piaga sociale e soprattutto un marchio per cui la nostra civiltà si può dire ancora arretrata di fronte ad altre nazioni.
Voglio augurarmi che la nuova Costituzione, segnando un inizio di vera vita nuova per il popolo italiano, voglia contemplare anche questo lato così grave della sua vita sociale e voglia provvedere in modo che l’Italia torni ad essere maestra di quella vita morale, che costituisce la base insurrogabile di ogni vera civiltà. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo avviso sugli emendamenti svolti.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Onorevoli colleghi, la Commissione non ha avuto tempo né modo di consultarsi e, quindi, non sono in grado di esprimere un pensiero comune in ordine ai vari emendamenti presentati all’articolo 26.
Conseguentemente la Commissione mantiene la formula del progetto.
Farò comunque alcune osservazioni di carattere personale ai vari emendamenti. A proposito di quello dell’onorevole Caronia, io ho l’impressione che la prima parte di esso, siccome si esprime in termini alquanto più generali e quindi anche più propri per una Costituzione, possa avere la mia preferenza personale. Ma è l’Assemblea che deve votare. Per la Commissione si tiene fermo naturalmente l’articolo così come lo abbiamo presentato. Un’osservazione però devo fare, e in questo interpreto anche il pensiero dei miei colleghi: che il secondo comma dell’emendamento dell’onorevole Caronia sembra un po’ troppo grave per la questione che involge, al fine di potere senz’altro addivenire ad una votazione a conclusione della discussione. In fondo qui si tratta di un problema che è di natura amministrativa; sarà da vedere domani in qual modo questo principio e queste iniziative di carattere sanitario debbano essere coordinate e come debbano essere coordinate. Anticipare fin da ora una soluzione di questo genere sembra, per lo meno, abbastanza azzardato, per cui la Commissione – e in questo siamo tutti d’accordo – sottopone all’Assemblea questo suo apprezzamento perché ne tenga il conto che meglio crederà. Del resto mi pare di aver capito, attraverso l’illustrazione che ne ha fatta l’onorevole Caronia, che egli insiste nel suo emendamento fino ad un certo punto per cui, in sede di votazione, dirà se le riserve che egli stesso ha fatto, siano tali da fargli abbandonare senz’altro questo primo comma del suo emendamento.
L’onorevole Martino Gaetano ha domandato la soppressione del comma in cui si dice che sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana ed ha illustrato con opportune ragioni quello che è in sostanza il suo pensiero. Io mi debbo riferire a quel che ho detto da principio, cioè che noi manteniamo la nostra formula. Veda l’Assemblea quello che crederà più opportuno di fare, anche in ordine a questa proposta di soppressione dell’onorevole Martino Gaetano.
Per gli onorevoli Merighi e Camangi valgono in modo specifico le considerazioni di insieme che ho fatto a proposito delle formule che, a mio avviso, almeno in linea generale non hanno che questo valore: cioè di sostituire con una migliore espressione, con una maggiore perfezione, secondo il loro punto di vista, quella che è la formula presentata dalla Commissione.
Gli onorevoli Codacci Pisanelli e De Maria, il quale ultimo ha illustrato il comune emendamento, mi consentano di dire che il problema sollevato è un problema troppo grave perché possa essere in questo momento deciso e risoluto da un’Assemblea la quale si trova di fronte a problemi costituzionali molto più qualificati è molto più delineati. Comprendo le loro preoccupazioni; dal mio punto di vista personale le posso anche condividere; ma il fatto stesso delle ragioni da essi portate a sostegno dell’emendamento in merito anche a quello che è avvenuto in altre nazioni circa la risoluzione o meno di questo problema pone, accentua e sottolinea la gravità delle riserve che io, almeno a titolo personale, debbo fare perché un emendamento così grave possa essere risoluto dall’Assemblea in queste condizioni, e soprattutto sul terreno costituzionale.
Gli onorevoli Codacci Pisanelli e De Maria mi possono dare atto che in campo legislativo di questa materia potrà agevolmente parlarsi se e quando il problema sarà divenuto maturo e tale da imporsi alla pubblica attenzione e soprattutto all’attenzione dei legislatori. Per cui mi permetterei di dire, sempre a titolo personale, che il problema in questo momento è prematuro, e prego pertanto gli onorevoli proponenti di voler ritirare il loro emendamento.
Mi pare di avere risposto ai presentatori di tutti gli emendamenti. Se taluno fosse stato dimenticato, lo prego di segnalarmelo, affinché possa rispondere anche a lui.
PRESIDENTE. Prego gli onorevoli presentatori di emendamenti di dichiarare se li conservano. Onorevole Sullo, conserva il suo emendamento?
SULLO. Poiché la mia proposta soppressiva è stata male interpretata, pur ritenendo l’articolo inutile e superfluo, ritiro l’emendamento. Mi asterrò dalla votazione.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Malgrado avessi pregato gli onorevoli colleghi dimenticati di richiamarmi a dire la mia parola in ordine a qualche emendamento da essi presentato, trovo ora che c’è quello dell’onorevole Capua, che in parte è stato inserito, nell’ultima modifica del suo emendamento, in quello dell’onorevole Caronia.
Io personalmente sono d’accordo. Non tutta la Commissione si è pronunciata a questo riguardo. Ho interpellato qualcuno dei membri della Commissione, il quale si è mostrato favorevole a questo emendamento. Io devo porre la questione in termini obiettivi; se l’onorevole Capua vi insiste, penserà l’Assemblea a dare all’emendamento quel risultato che essa riterrà più opportuno.
PRESIDENTE. Lei, onorevole Caronia, conserva il suo emendamento?
CARONIA. Lo conservo e propongo che sia votato per divisione.
PRESIDENTE. Sta bene.
Onorevole Camangi, mantiene il suo emendamento?
CAMANGI. Lo mantengo con una modifica. Sono d’accordo circa la soppressione dell’ultima parte dell’ultimo comma: «la quale, però, mai potrà superare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
PRESIDENTE. Onorevole Merighi, mantiene il suo emendamento?
MERIGHI. Sono disposto a rinunziarvi, associandomi all’emendamento dell’onorevole Caronia, con la riserva però che sia esclusa la parte che riguarda la reciproca fiducia fra medico ed ammalato.
PRESIDENTE. Onorevole Martino Gaetano, mantiene il suo emendamento?
MARTINO GAETANO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, lei e gli altri firmatari mantengono il loro emendamento?
CODACCI PISANELLI. Pur non condividendo perfettamente l’opinione dell’onorevole Tupini, giacché mi pare che in questa forma l’emendamento potesse essere introdotto nella Carta costituzionale, tanto più che in esso ci si riferisce a diversi problemi, rinunzio comunque al mio emendamento.
PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione dell’articolo 26. A questo articolo sono stati presentati degli emendamenti sostitutivi di tutti i commi e che nel loro allineamento, corrispondono approssimativamente ai commi del testo proposto. Fanno eccezione gli emendamenti sostitutivi che hanno tutti un terzo comma aggiuntivo.
Prendiamo pertanto in esame il primo comma dell’articolo 26 nel testo della Commissione: «La Repubblica tutela la salute, promuove l’igiene e garantisce cure gratuite agli indigenti».
A questo testo si contrappongono quelli dell’onorevole Camangi e dell’onorevole Caronia.
Il testo dell’onorevole Camangi ha la precedenza nella votazione, come quello che più si allontana dal testo della Commissione. Ne do lettura.
«La difesa e la cura della salute fisica dei cittadini è compito della Repubblica».
ANDREOTTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREOTTI. Dichiaro che il gruppo democristiano voterà, per questo primo comma, l’emendamento proposto dall’onorevole Caronia.
PRESIDENTE. Sta bene. Metto in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Camangi.
(Non è approvato).
Passiamo alla votazione del testo proposto dall’onorevole Caronia.
«La Repubblica tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività».
Sottolineo, perché i colleghi lo abbiano presente, che in questo testo viene soppressa l’espressione del testo della Commissione: «promuove l’igiene e garantisce cure gratuite agli indigenti».
ARATA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ARATA. Noi dichiariamo di votare contro l’emendamento Caronia e per il comma proposto dalla Commissione, per due ragioni: in primo luogo perché il dovere dello Stato verso la salute dei cittadini è espresso nel testo della Commissione in termini sobri, senza riferimenti particolaristici, che per se stessi diventano automaticamente limitativi, o letterari e talvolta precostituenti; in secondo luogo perché questo primo comma dell’articolo 26 sancisce appunto il dovere dello Stato di garantire le cure gratuite agli indigenti. Mi duole di non essere d’accordo con il collega Merighi su questo punto. Noi accettiamo la sua opposizione a questa frase come un augurio che nella Repubblica italiana non vi saranno prossimamente più indigenti, ma siccome per il momento vi sono degli indigenti, noi riteniamo di votare il testo della Commissione per questo dovere dello Stato di dare loro cure gratuite.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Io credo che possa trovarsi un terreno d’intesa fra la formula della Commissione e la prima parte del comma proposto dall’onorevole Caronia, nel senso che potremo votare, se l’Assemblea crede, tutta la prima parte dell’emendamento Caronia, dove è detto: «La Repubblica tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività», ed aggiungere quello che sta a cuore della Commissione, e credo stia a cuore dell’Assemblea, e precisamente quest’ultimo inciso dell’articolo 26: «garantisce cure gratuite agli indigenti».
In questo modo potrebbe raggiungersi l’unanimità dell’Assemblea nell’approvazione di questa prima parte dell’articolo. (Approvazioni).
GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Noi siamo favorevoli al testo proposto dall’onorevole Caronia perché riteniamo che anche il concetto di garantire cure gratuite agli indigenti sia chiaramente incluso, quando si dice che la Repubblica tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo. È evidente che ove all’individuo manchino i mezzi perché questo diritto sia riconosciuto, il concetto della cura gratuita è sufficientemente indicato e mantiene nello stesso tempo nell’articolo quel carattere normativo che è il più adatto in un articolo di Costituzione.
CARONIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARONIA. Mantengo il comma nella sua dizione uniformandomi a quanto ha dichiarato in questo momento l’onorevole Gronchi, perché nel testo così come è formulato è implicita anche la cura gratuita per gli indigenti.
PRESIDENTE. Porrò in votazione la formulazione dell’onorevole Caronia accettata dalla Commissione e successivamente la seconda parte del primo comma dell’articolo 26, così come proposto ora dalla Commissione. È evidente che se non passerà la formulazione dell’onorevole Caronia, si voterà anche nella sua prima parte il primo comma dell’articolo 26.
Pongo dunque in votazione il testo formulato dall’onorevole Caronia: «La Repubblica tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività».
(É approvato).
Pongo in votazione le seguenti parole aggiuntive, che erano già contenute nel testo della Commissione e che la Commissione mantiene: «e garantisce cure gratuite agli indigenti».
(Sono approvate).
Vi è ora la proposta di un comma aggiuntivo contenuto sia nell’emendamento dell’onorevole Caronia che nell’emendamento dell’onorevole Camangi.
L’onorevole Caronia ha proposto questa formulazione: «Lo Stato assolve tale compito attraverso istituzioni coordinate intorno ad un unico organo centrale e autonomo».
L’emendamento Camangi invece dice: «Lo Stato assolve tale compito direttamente ed attraverso gli enti locali in modo da assicurare in materia a tutti i cittadini la maggiore parità di condizioni»
CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Sono dolente di non condividere il punto di vista dell’amico Caronia. Credo che noi non possiamo vincolare l’ordinamento sanitario del Paese per tutta la durata della Costituzione alla determinazione di un organo centrale e alla determinazione della competenza degli organi locali. In qualsiasi compito dello Stato sorge un problema di coordinamento al centro e di distribuzione capillare alla periferia. Quindi sono costretto, per la concezione che ho dell’attività dello Stato, a votare contro l’emendamento.
GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. L’onorevole Corbino mi ha preceduto e non ripeterò quanto egli ha detto.
Di conseguenza preghiamo l’onorevole Caronia di voler cortesemente rinunziare a questo secondo comma; e se l’onorevole Camangi insistesse nella sua proposta, noi voteremmo contro.
CARONIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARONIA. A seguito delle dichiarazioni degli onorevoli Corbino e Gronchi ritiro il mio emendamento.
PRESIDENTE. E lei, onorevole Camangi?
CAMANGI. Lo ritiro anch’io.
PRESIDENTE. Passiamo al secondo comma del testo della Commissione:
«Nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per legge. Sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana».
L’onorevole Maffi ha proposto la soppressione di questo secondo comma. Onorevole Maffi, ella mantiene il suo emendamento?
MAFFI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione della proposta dell’onorevole Maffi di sopprimere il secondo comma, dell’articolo 26. Se fosse accettata questa proposta, gli emendamenti al secondo comma decadrebbero tutti.
ARATA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ARATA. Noi voteremo a favore dell’emendamento Maffi per la soppressione della seconda parte dell’articolo 26. Nella frase: «Nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per legge», noi vediamo, oltre una superfluità, una contradizione in termini, perché non vi può essere un trattamento sanitario che sia obbligatorio senza una legge. Se così fosse diventerebbe un reato. Quindi la dizione è superflua e contradittoria in se stessa.
Noi votiamo l’emendamento Maffi anche per quel che riguarda la seconda parte del comma, per le ragioni illustrate dall’onorevole Martino.
AVANZINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AVANZINI. Accettiamo il terzo comma dell’emendamento Caronia e voteremo contro l’emendamento Maffi.
MAFFI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAFFI. Stimerei opportuno, per maggiore chiarezza, ed anche perché ognuno sia più tranquillo nella sua coscienza – pur riconoscendo che in fondo è vero che il dire «nessun trattamento può essere reso obbligatorio se non per legge» è superfluo e contradittorio – precisare che siccome in fondo bisogna riferirsi alla realtà delle cose, e qui troppe volte ci siamo persi in parole dimenticando la realtà della vita quotidiana, non si possono dimenticare provvedimenti sanitari come la vaccinazione. L’individuo può essere sottoposto ad una vaccinazione che, per quanto egli possa esser contrario a subirla, gli viene imposta per legge. In tal caso la frase in discussione non è più impropria, e allora se vogliamo essere aderenti al concetto della vita sanitaria, bisogna che sia votata.
Si entra poi nel campo delle possibilità di abuso là dove si fa cenno alla dignità della persona umana. Date le molteplici interpretazioni, di cui ormai ognuno ha potuto farsi un’idea precisa, secondo la sua mentalità morale, religiosa e politica, io propongo che si metta prima in votazione la prima parte: «Nessun trattamento sanitario può esser reso obbligatorio se non per legge» e si metta in votazione, in un secondo tempo, il divieto delle pratiche sanitarie lesive della dignità umana.
PRESIDENTE. Onorevole Maffi, ella non mantiene, dunque, la proposta di soppressione dell’intero secondo comma?
MAFFI. Riconosco che, presentando affrettatamente la mia proposta, ho commesso un errore.
La mia proposta è di votare per divisione il secondo comma.
CARONIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARONIA. Per quanto riguarda questo secondo comma, sono d’accordo con l’onorevole Maffi, di votare prima la prima parte, però nella formulazione da noi proposta, che ritengo più precisa di quella della Commissione:
«Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge».
PRESIDENTE. Non c’è dubbio che il suo emendamento, onorevole Caronia, abbia la precedenza rispetto al testo della Commissione.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione accetta l’emendamento proposto dall’onorevole Caronia perché lo ritiene migliore nella forma.
PRESIDENTE. Siccome la Commissione ha fatto proprio il testo proposto dall’onorevole Caronia, invito l’onorevole Camangi a dichiarare se insiste nella sua formulazione.
CAMANGI. Non insisto.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Caronia, accettata dalla Commissione:
«Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge».
(È approvata).
Vi è ora la seconda parte dell’emendamento Caronia: «la quale inoltre garantisce il rapporto di fiducia tra medico ed ammalato».
CAVALLOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAVALLOTTI. Nel mio intervento di ieri l’altro, ho sostenuto la tesi della tutela del rapporto di fiducia fra medico e assistito, però ho abbinato a questa tesi una seconda, che non può andare disgiunta dalla prima, secondo me; e cioè l’estensione della assistenza assicurativa alle più larghe masse di lavoratori, ai lavoratori dipendenti, indipendenti e alle loro famiglie, cioè ad una percentuale della popolazione che si aggira intorno al 90 per cento.
Io intendo la tutela del rapporto di fiducia soltanto in questo senso: che, per garantire l’assistenza ad una così grande maggioranza della popolazione, occorre evidentemente anche un gran numero di medici e che fra questi medici e questi assistiti sia tutelato il rapporto di fiducia.
I due concetti non possono andare, per me, disgiunti, ma la questione dell’estensione dell’assistenza assicurativa – come ho già detto nel mio intervento – riguarda il Titolo terzo e precisamente l’articolo 34. Quindi, il gruppo comunista entrerà in discussione, a proposito della tutela del rapporto di fiducia, quando si discuterà l’articolo 34; voterà ora contro questo inciso, perché non lo trova nella sede adatta.
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Onorevole Presidente, poiché a me sembra che dalla lettura del testo definitivo dell’emendamento Caronia sia caduto un concetto che era nell’articolo 26 della formulazione iniziale ed era nel terzo comma della prima formulazione dell’emendamento Caronia pubblicato nel fascicolo a stampa, fo mio, anche a nome dei miei amici di gruppo, l’inciso finale così modificato: «la quale, però, non può violare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
PRESIDENTE. Onorevole Leone, di questo emendamento ci occuperemo quando sarà messa in votazione l’ultima parte del secondo comma della Commissione, che contiene lo stesso concetto.
CARONIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARONIA. Tenendo conto delle dichiarazioni dell’onorevole Cavallotti, rinuncio all’inciso del mio emendamento concernente il rapporto di fiducia tra medico e ammalato, rimandandone la discussione all’articolo 34, che anche a me pare la sede più adatta.
PRESIDENTE. L’ultima parte dell’articolo 26 proposto dalla Commissione è del seguente tenore:
«Sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana».
L’onorevole Martino Gaetano ha proposto di sopprimere quest’ultima parte.
Pongo ai voti tale proposta.
(L’emendamento soppressivo, votato per divisione, non è approvato).
Vi è ora la formula, che era contenuta nel primo testo dell’emendamento dell’onorevole Caronia e che l’onorevole Leone Giovanni ha fatta propria con lievi modifiche: «la quale, però, non può violare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
Qual è il pensiero della Commissione?
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. La Commissione è favorevole alla proposta dell’onorevole Leone Giovanni.
PRESIDENTE. Pongo allora in votazione tale formula.
(È approvata).
L’articolo 26 risulta nel suo complesso così formulato:
«La Repubblica tutela la salute come un fondamentale diritto dell’individuo e come un generale interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
«Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale però non può violare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana».
È stata presentata la seguente proposta di un articolo 26-bis a firma degli onorevoli Franceschini, Bianchini Laura, Lazzati, Cremaschi Carlo, Gortani:
«Ogni cittadino ha diritto a ricevere istruzione ed educazione adeguate allo sviluppo integrale della propria personalità e all’adempimento dei propri compiti sociali».
Onorevole Franceschini, le faccio osservare che l’articolo da lei proposto tratta problemi attinenti all’educazione e non problemi attinenti alla sanità e alla salute pubblica.
FRANCESCHINI. Tale articolo dovrebbe precedere immediatamente la trattazione dell’argomento scolastico.
PRESIDENTE. Sta bene. Invito la Commissione ad esprimere il suo parere.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Domando all’onorevole Franceschini se non ritenga più opportuno – perché anche a me ha fatto la stessa impressione che ha fatto all’onorevole Presidente – che la sede del suo emendamento sia dopo l’articolo 28. Si potrebbe, cioè, fare di questo articolo l’articolo 28-bis, senza pregiudicarne il merito in questo momento. Io pregherei pertanto l’onorevole Franceschini di voler rimandare la trattazione di questo problema a dopo che sarà esaminato l’articolo 28.
FRANCESCHINI. Il collocamento definitivo dell’articolo si potrà se mai vedere nel prosieguo della discussione.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Siccome a noi sembra che il collocamento più adatto sia quello, tanto vale, senza pregiudicarne il merito, rimandare, fin da questo momento, la discussione dell’emendamento a quella sede. Questo è il nostro pensiero.
FRANCESCHINI. Veda, onorevole Tupini, il contenuto dell’articolo che si propone come aggiuntivo, è di precedenza rispetto agli altri, perché a carattere giuridico, pedagogico, introduttivo; e quindi, per forza deve essere posto prima degli altri articoli.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Va bene, non abbiamo difficoltà.
PRESIDENTE. Così chiarita la questione, l’onorevole Franceschini ha facoltà di svolgere l’articolo.
FRANCESCHINI. Onorevoli colleghi, l’articolo 28 proclama solennemente che «la scuola è aperta al popolo». Questa dichiarazione lapidaria ha un valore prevalentemente sociale e politico e comunque relativo ai successivi commi presentati; ma non offre, secondo noi, nella sua genericità e vaghezza, bastevole precisione né giuridica, né pedagogica. Una vera e propria dichiarazione di diritto è invece quella che fu già approvata in sede di prima Sottocommissione e che io oggi ripropongo sostanzialmente all’Assemblea, anche a nome dei colleghi Bianchini Laura, Lazzati, Cremaschi Carlo e Gortani.
In verità non si potrebbe capire il motivo per cui essa sia caduta al vaglio della Commissione di coordinamento. Infatti il dire: «Ogni cittadino ha diritto a ricevere istruzione ed educazione adeguate allo sviluppo integrale della propria personalità e all’adempimento dei propri compiti sociali» ci pare formula di tale valore e di tale portata, da dover costituire senz’altro l’introduzione migliore a tutti i commi relativi all’insegnamento.
Non si dica, onorevoli colleghi, che parlare di propria personalità e di proprî fini sociali, generi equivoco: l’equivoco, cioè, che la determinazione di ciò che è proprio a ciascun uomo debba o possa venire affidata all’arbitrio dello Stato, o di singole correnti ideologiche, o di singoli educatori, quasi a ripresentare il pericolo della formazione di caste chiuse o di categorie chiuse, come nella Repubblica di Platone. A me pare chiaro, al contrario, nella dizione stessa dell’articolo che pone come soggetto il soggetto stesso dell’insegnamento, che è l’individuo ad offrire, secondo le attitudini e le capacità che gli sono naturali, il criterio dell’orientamento dell’insegnamento e i limiti della sua educabilità.
Ora, l’articolo, nei termini che ho già letto, stabilisce in primo luogo, e scandisce, il riconoscimento di un diritto assolutamente fondamentale ed originario; in secondo luogo, lo estende a tutti indistintamente, di là da ogni preoccupazione di ingiustificati quanto ingiustificabili privilegi. Ma sopra tutto – e qui permettete che parli un uomo della scuola – soprattutto esso determina chiaramente la duplice inseparabile finalità della scuola: che è la libertà individuale e la solidarietà sociale.
Quest’ultimo motivo sembra così importante da doversi dire essenziale; perché, se è vero che ogni Costituzione democratica ha per suprema esigenza quella di raggiungere e di mantenere l’armonia del rapporto tra singolo e collettività, di assicurare l’accordo fra i diritti della persona libera e i diritti dello Stato sovrano, consegue di necessità che la scuola italiana, destinata appunto a creare questa coscienza democratica nelle giovani generazioni, deve essere essa stessa impostata su tale concezione, in via assolutamente pregiudiziale; e ne consegue la necessità di una garanzia, che lo Stato deve pretendere mentre riconosce i diritti dell’individuo all’istruzione.
Fine ultimo di ogni opera d’istruzione e di educazione non è già, infatti, quello di mortificare i liberi aneliti della persona singola per omogeneizzarli e confonderli nel vasto anonimo d’una brulicante vita statale né quello di giungere al greco modello di un’aretè gelosamente individualistica, la quale, per elevata e compiuta che fosse, finirebbe pur sempre con il rinchiudere il soggetto singolo in un’egoistica ed ermetica quanto esclusivistica soddisfazione di sé.
No, onorevoli colleghi: la scuola deve tendere congiuntamente a fare e l’uomo e il cittadino: ciò che implica, secondo noi, l’esigenza di porre ben chiaro, fin dall’inizio, queste supreme direttive, cui deve ispirarsi ogni sano criterio pedagogico. La scuola deve essere lasciata perfettamente libera nella scelta dei suoi mezzi; ma essa è tenuta a rispettare la cosciente norma di un progresso che noi possiamo ben dire la conquista più significativa della nostra ammirevole tradizione. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il suo parere.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Per le ragioni che ho esposte in precedenza, dato che l’onorevole Franceschini ha insistito nell’illustrare il suo emendamento, dichiaro che gli risponderò alla fine, quando gli altri presentatori avranno illustrato i loro emendamenti relativi alla scuola, perché questo emendamento dell’onorevole Franceschini non ha nessun riferimento con la materia precedentemente votata, ma invece fa parte contestuale degli articoli che riguardano l’istruzione, l’educazione e la scuola.
PRESIDENTE. Onorevole Franceschini, lei mantiene il suo emendamento?
FRANCESCHINI. Lo mantengo.
TUPINI, Presidente della prima Sottocommissione. Preciso che non ho invitato l’onorevole Francescini a ritirare il suo emendamento. Ho detto che mi riservo di rispondere quando risponderò a tutti gli onorevoli colleghi che hanno trattato il problema della scuola.
PRESIDENTE. Resta allora inteso che l’emendamento Franceschini sarà preso in considerazione in sede di esame dell’articolo 27, di cui do lettura:
«L’arte e la scienza sono libere; e libero è il loro insegnamento.
«La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione; organizza la scuola in tutti i suoi gradi mediante istituti statali; riconosce ad enti ed a privati la facoltà di formare scuole ed istituti d’educazione.
«Le scuole che non chiedono la parificazione sono soggette soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica.
«La legge determina i diritti e gli obblighi delle scuole che chiedono la parificazione e prescrive le norme per la loro vigilanza, in modo che sia rispettata la libertà ed assicurata, a parità di condizioni didattiche, parità di trattamento agli alunni.
«Per un imparziale controllo ed a garanzia della collettività è prescritto l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale e per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole indicati dalla legge».
Su questo articolo ha presentato il seguente emendamento, già svolto, l’onorevole Tumminelli:
«Sostituirlo col seguente:
«Le manifestazioni e le creazioni dell’arte, della scienza, del pensiero sono libere, e libero è il loro insegnamento.
«La scuola è libera nel metodo e nell’interiore respiro, entro i lineamenti generali sull’istruzione dettati dalle leggi.
«L’educazione fisica è organizzata e impartita in armonia e in correlazione a principî auxologici, con finalità esclusive di sanità, igiene e attività ginnico-sportiva.
«Lo Stato favorisce e istituisce gli organi idonei a tale scopo.
«Lo Stato detta i lineamenti generali sull’istruzione e organizza la scuola, in tutti i suoi gradi, mediante istituti statali.
«La scuola di Stato, presidio della cultura e della continuità della tradizione spirituale del popolo italiano, favorisce e appaga tutte le esigenze tecniche, professionali e scientifiche per la specializzazione dei lavoratori e il conseguente incremento della produzione industriale e agricola del Paese».
Allo stesso articolo gli onorevoli Rossi Paolo, Binni, Preti, Mazzei hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«L’arte e la scienza sono libere in ogni loro manifestazione, e libero è il loro insegnamento.
«L’istruzione, di qualunque grado, è tra le precipue funzioni dello Stato, che detta le norme generali, organizza la scuola statale in tutti i suoi gradi e tipi e riconosce ad enti ed a privati la facoltà di istituire scuole e istituti d’educazione. La legge ne determina i diritti e gli obblighi.
«Spetta allo Stato il conferimento dei titoli legali di studio nei vari ordini e gradi di scuole e dei diplomi di abilitazione all’esercizio professionale».
L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgerlo.
ROSSI PAOLO. Il testo dell’articolo 27, quale ci viene sottoposto dagli onorevoli Commissari, si apre con l’affermazione, dovuta, credo, all’onorevole Marchesi, che «l’arte e la scienza sono libere». Immagini l’onorevole Marchesi se non siamo d’accordo! Ma si tratta di una mera affermazione: infatti o l’arte e la scienza sono libere, o non sono né arte né scienza; l’arte di Stato, contenuta e costretta nello stivaletto malese di una qualsiasi dottrina maggioritaria, è tutto fuori che arte; la scienza piegata alle tesi prestabilite di una qualsiasi politica viene a negare se stessa, a contraddire al proprio fine e alla propria essenza, determinando la più stridente delle antinomie.
L’arte e la scienza sono la libertà stessa nella sua forma più alta: dire che arte e scienza sono libere è come dire che la libertà è libera!
Ci è sembrato più esatto affermare, come è scritto nel nostro emendamento, che sono libere le manifestazioni della scienza e dell’arte, come è libero il loro insegnamento.
Più preciso e puntuale del nostro, su questo primo comma, l’emendamento che sarà svolto dall’onorevole Treves e al quale dichiariamo a priori di ssociarci, se egli, come speriamo, lo manterrà.
Quanto all’istruzione, il nostro emendamento, a differenza del testo, vuole affermare in modo categorico il principio che l’istruzione, di qualunque grado, è precipua funzione dello Stato.
A nostro avviso lo Stato non può fermarsi, come si legge nel testo della Commissione, a riconoscere la facoltà nei privati di aprire scuole e istituti d’educazione, ma deve dettare le norme generali anche per le scuole private, determinandone con legge gli obblighi e le sostanziali garanzie e ciò anche nel caso che non sia chiesta la parificazione. Lo Stato mancherebbe al proprio compito se restringesse la sua attività ad una pura tutela di polizia e cioè a sorvegliare che le scuole private non si pongano in conflitto con la morale pubblica e il diritto comune: posizione agnostica e puramente negativa quella che risulta dal testo della Commissione; affermazione di un diritto-dovere eminente dello Stato, quella che emerge dal nostro emendamento sostitutivo.
E ciò senza che il principio fondamentale della libertà in ogni manifestazione dell’arte e della scienza, che informa tutto l’articolo, sia minimamente scalfito. Dichiariamo, infatti, di accettare l’emendamento Marchesi laddove suona: «La scuola privata ha pieno diritto alla libertà d’insegnamento».
Una cosa sono la libertà della scienza e la libertà dell’arte e del loro insegnamento, che vogliamo ampiamente, sinceramente, profondamente, non meno, certo, di qualsiasi altro gruppo politico qui dentro; altra cosa sono l’ordinamento generale dell’istruzione elementare, media, tecnica, universitaria: regolamentazione e ordinamento a cui lo Stato non potrebbe rimanere estraneo senza abdicare alla più gelosa e doverosa delle sue prerogative.
Infine l’ultimo capoverso dell’articolo da noi proposto ci sembra avere, rispetto al testo ufficioso, il pregio di una maggiore e più stringente concretezza. Nelle parole: «Per un imparziale controllo ed a garanzia della collettività è prescritto l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale e per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole indicati dalla legge» è diluito un concetto e viene espressa piuttosto una finalità che non formulata una disposizione. Il nostro emendamento: «Spetta allo Stato il conferimento dei titoli legali di studio nei vari ordini e gradi di scuole e dei diplomi di abilitazione all’esercizio professionale», non si presta a discussioni e contiene un nitido precetto.
Tra lo Stato spettatore, in tema d’istruzione, e lo Stato negatore delle libertà d’insegnamento di cultura, o tendenzioso, c’è posto per uno Stato che eserciti imparzialmente e onestamente il suo altissimo ufficio, rendendosi esso stesso garante dell’intrinseca libertà – che vuol dire anche serietà ed efficienza – dell’insegnamento. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Treves ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«Libero è l’insegnamento dell’arte e della scienza».
Ha facoltà di svolgerlo.
TREVES. Veramente, dopo quanto ha detto il mio amico onorevole Paolo Rossi, ho rimorso di intrattenere per qualche minuto questa stanca ed affamata Assemblea (Commenti); ma poiché il mio emendamento può sembrare restrittivo riguardo al testo proposto dalla Commissione, reputo che sia mio dovere di dire molto brevemente le ragioni di esso.
Io credo di aver compreso lo spirito che ha animato la Commissione nel redigere il primo comma di questo articolo, spirito di reazione alla situazione in cui si sono trovate l’arte e la scienza in un passato recente, quando in realtà poco restava di arte e di scienza, e queste eccelse attività dello spirito erano degradate ad una inferiore forma di propaganda. Ho anche sentito dal mio dotto amico onorevole Marchesi parlare di «enfasi», dicendo che alle volte vi è un’enfasi non cattiva, e che egli giudica enfasi non cattiva quella che si nota nelle prime parole di questo articolo, parole che io modestamente propongo di sopprimere. Non certo perché abbia la minima obiezione di principio al concetto che l’arte e la scienza debbono essere libere, ma perché mi sembra proprio di recare offesa alla dignità dell’arte e della scienza dicendo una cosa simile nella nostra Costituzione. Ma l’arte e la scienza sono la libertà medesima, sono libere per definizione. Non può esservi scienza, se la scienza non è libera in tutte le sue forme ed esplicazioni; ugualmente si dica dell’arte; e mi sembra, signori, che l’arte e la scienza si deprimano e si umilino garantendo in qualche forma sulla carta la loro libertà, quando la libertà dell’arte e della scienza sono insite e connaturate alla loro stessa esistenza, poiché altrimenti non esistono né arte né scienza degne di tal nome.
Questo è stato soprattutto lo spirito con cui ho presentato il mio emendamento.
A me pare che siamo in presenza di uno dei tipici casi, di cui purtroppo abbonda questo progetto di Costituzione, nei quali la parola libertà è generosamente usata, ma sempre in un contesto che non supera l’ambito delle pure affermazioni astratte; a scapito di troppo scarse immissioni di libertà effettiva, quando veramente libertà significa qualche cosa nella legislazione costituzionale italiana.
In questo caso, credo che questa smania di adoperare la parola libertà non aggiunga niente, ma se mai diminuisca quella che è la vera, grande dignità dell’arte e della scienza.
Al contrario, ha senso parlare di libertà d’insegnamento dell’arte e della scienza, in tutte le forme e con tutti i mezzi, l’insegnamento di tutti i veri in cui esiste inevitabilmente dell’errore, e di tutti gli errori in cui esiste una parte di vero.
Questo è dunque l’emendamento che io raccomando all’attenzione e alla benevolenza dell’Assemblea, proprio per riaffermare la dignità dell’arte e della scienza, che per essere libere non hanno bisogno di una dichiarazione di libertà nella Carta costituzionale. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Rodi:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La Repubblica assicura e garantisce il libero esercizio e il libero insegnamento dell’arte e della scienza».
Segue l’emendamento degli onorevoli Di Gloria, Malagugini, Codignola:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«L’arte e la scienza sono libere in ogni loro manifestazione: e libero è il loro insegnamento».
Poiché nessuno dei proponenti è presente, l’emendamento s’intende decaduto.
Il seguente emendamento è già stato svolto:
«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:
«Le istituzioni di alta cultura, Accademie ed Università, sono politicamente indipendenti e funzionalmente autonome.
«Rivera, Montemartini, Gortani, Ermini, Firrao, Caso».
Segue l’emendamento degli onorevoli Leone Giovanni, Bettiol e Medi:
«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:
«Per assicurare la libertà dell’insegnamento universitario i professori di ruolo delle Università statali sono inamovibili dalle funzioni e dalla sede».
L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.
BETTIOL. Noi proponiamo questo emendamento come riconoscimento della importanza della funzione che la categoria dei professori universitari assolve.
Noi chiediamo che, in un clima di libertà, proprio per assicurare piena libertà di insegnamento, sia sancito nella Carta costituzionale che i professori di ruolo, ordinari e straordinari, siano dichiarati inamovibili dalle funzioni e dalla sede.
Ritengo che, nel nuovo clima politico italiano, questo emendamento non abbia bisogno di ulteriori chiarimenti.
Si tratta di un’opera di giustizia distributiva.
La categoria dei professori universitari chiede trattamento analogo a quello dei magistrati, ai quali la Carta costituzionale riconosce l’indipendenza e la inamovibilità.
PRESIDENTE. L’onorevole Pignedoli ha già svolto il suo emendamento:
«Dopo il primo comma aggiungere il seguente:
«La Repubblica protegge e promuove, con ogni possibile aiuto, la creazione artistica e la ricerca scientifica».
Anche l’onorevole Colonnetti ha svolto il suo emendamento:
«Dopo il primo comma aggiungere il seguente:
«Le istituzioni di alta cultura, Università ed Accademie, sono autonome».
Gli onorevoli Martino Gaetano, Labriola, Della Seta, Caronia, Lucifero, Corbino hanno presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere dopo il primo comma:
«La legge garantisce l’autonomia funzionale delle Università dello Stato e l’inamovibilità dei professori universitari di ruolo».
L’onorevole Martino Gaetano ha facoltà di svolgerlo.
MARTINO GAETANO. Ritengo non sia necessario svolgere questo emendamento, perché, per quanto riguarda la necessità dell’autonomia funzionale delle Università, basta riferirsi a quanto è stato detto dall’onorevole Colonnetti; per quel che riguarda l’inamovibilità dei professori universitari di ruolo, ha testé parlato l’onorevole Bettiol.
Io quindi mi associo, per la prima parte, a quanto ha detto l’onorevole Colonnetti, e per la seconda, a quello che ha detto l’onorevole Bettiol.
PRESIDENTE. È stato già svolto l’emendamento presentato dagli onorevoli Bernini, Basso, Cevolotto, Calamandrei:
«Sostituire il secondo e il quarto comma col seguente:
«L’istruzione, di qualunque grado, è tra le precipue funzioni dello Stato, che detta le norme generali, organizza la scuola statale in tutti i suoi gradi e tipi e riconosce ad enti e a privati la facoltà di istituire scuole e istituti d’educazione. La legge ne determina i diritti e gli obblighi, graduandoli eventualmente secondo diverse possibili forme di autorizzazione».
Gli onorevoli Camposarcuno, Delli Castelli Filomena, Colombo Emilio, Lazzati hanno presentato il seguente emendamento:
«Sopprimere, al secondo comma, le parole: riconosce ad enti ed a privati la facoltà di formare scuole ed istituti d’educazione; e sostituire il terzo e quarto comma coi seguenti:
«Enti e privati hanno diritto di aprire scuole ed istituti d’educazione soggetti soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica.
«La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parificazione, deve assicurare ad esse una libertà effettiva e garantire ai loro alunni parità di trattamento con gli alunni dogli istituti statali».
L’onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerlo.
CAMPOSARCUNO. Avrò cura di non ripetere quanto è stato detto da altri onorevoli colleghi sull’importante e vitale problema che si agita, con tanta passione, in questa Assemblea, in merito alla libertà della scuola ed ai rapporti fra scuola pubblica e scuola privata e scuola statale e scuola parificata.
Noi democristiani siamo, per tradizione e per convinzione, per la libertà della scuola e nella scuola.
E poiché nell’articolo in discussione tale principio è affermato, espongo ora le ragioni del mio emendamento.
Si propone la soppressione del secondo comma solo per disciplinare in modo migliore e più razionale le varie disposizioni in esso contenute.
Per quanto riguarda la sostanza delle disposizioni del primo e secondo comma non ho dissenso alcuno con la Commissione per la Costituzione, ma chiedo che siano soppresse, in questo ultimo comma, le parole: «riconosce ad Enti ed a privati la facoltà di formare scuole ed istituti di educazione». Chiedo altresì che siano sostituiti il terzo e quarto comma coi seguenti:
«Enti e privati hanno diritto di aprire scuole ed istituti di educazione, soggetti soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parificazione, deve assicurare ad esse una libertà effettiva e garantire ai loro alunni parità di trattamento con gli alunni degli istituti statali».
È evidente che io sono perfettamente di accordo con coloro i quali sostengono che debba essere lo Stato a dettare le norme generali sulla istruzione, ad organizzare le scuole in tutti i suoi ordini e gradi ed a vigilare le scuole non statali.
Ma, in omaggio al principio della libertà della scuola – così solennemente affermato in questo articolo, proclamato dagli esponenti di tutte le tendenze politiche dell’Assemblea Costituente in seno alla Commissione dei settantacinque, ed infine esaltato da tutti gli oratori di ogni fede politica in quest’aula – è incontrovertibile che lo Stato non può negare ad Enti e privati il diritto di aprire scuole ed istituti di educazione.
È superfluo rilevare che detti istituti e scuole devono essere soggetti alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica. Si rispetta, in tal modo, il principio dei diritti primordiali e delle libertà essenziali dell’uomo e del cittadino, si evitano le forme di monopolio, si eliminano tutti gli esclusivismi, tutti i sistemi di privilegio, e si conferisce agli studi quella dignità che è un bisogno assai vivo e sentito dei nuovi tempi.
Per quanto riguarda le scuole private che chiedono la parificazione, va osservato che è sempre lo Stato che fissa i diritti e gli obblighi delle scuole private che detta parificazione chiedono, ed è sempre lo Stato che deve esercitare il controllo sullo svolgimento degli studi nelle scuole parificate.
Detto controllo è da stabilirsi principalmente con l’esame di Stato, a condizioni di assoluta e reale parità per tutti gli alunni, quelli delle scuole pubbliche e quelli delle scuole private, e con esaminatori di indiscusso valore e di assoluta probità, tratti dalle scuole statali e dalle scuole private.
Per quanto riguarda gli alunni delle scuole parificate, è fuor di dubbio che ad essi – poiché le scuole che li ospitano sono soggette a controllo statale – deve essere assicurata una libertà effettiva e garantita una parità assoluta di condizioni didattiche e di trattamento con gli alunni delle scuole statali.
È solo alla luce di tale libertà che si formano i caratteri, al di fuori e al di sopra di ogni pregiudizio di partiti, di caste e di sette.
Solo nella libertà della scuola è possibile ritrovare gli elementi necessari per la ricostruzione spirituale e morale del popolo italiano ed i segni certi del suo immancabile avvenire.
Non saranno, adunque, mai abbastanza invocate e difese la effettiva indipendenza, la libertà e la conseguente dignità della scuola.
La parificazione, è evidente, non deve significare che possono sorgere scuole private a carattere di mera speculazione commerciale, con conseguente abbassamento del livello degli studi.
Essa dev’essere invece il mezzo per una gara feconda di elevazione della scuola, in un concorde fervore di attività da parte di discepoli e di docenti.
Sono d’accordo con l’onorevole Marchesi che «alla scuola deve essere ammesso qualunque principio, qualunque metodo di insegnamento, purché non contravvenga ai principî elementari e fondamentali dell’educazione».
Ma sono con lui ancora più di accordo quando osserva che «la scuola pubblica non esclude affatto il sorgere e il prosperare di istituti privati; che in tempi di florida civiltà, come in Grecia e in Roma, non esisteva una scuola di Stato e che lo Stato può essere il più prepotente violatore delle coscienze».
Io ho letto con vero piacere quanto è stato detto, con vivo senso di responsabilità, dai componenti della Commissione per la Costituzione in merito all’importante e decisivo problema della scuola; ho notato con soddisfazione gli sforzi da essi compiuti per giungere ad eliminare ogni sospetto fra scuola di Stato e scuola privata.
Io ed i miei amici riaffermiamo sempre più decisamente quanto è stato detto autorevolmente dall’amico onorevole Moro e cioè che le iniziative dell’istruzione e dell’educazione privata confluiscono con quelle che fanno capo allo Stato e che lo Stato controlla, vigila e garantisce.
Con le modificazioni proposte all’articolo 27, contenute nell’emendamento che sto svolgendo, si intende riaffermare questo sano principio di libertà della scuola e nella scuola, principio di libertà che solo può essere il sicuro presidio del rinnovamento culturale e spirituale del nostro Paese. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Fabriani e Federici Maria.
«Alla fine del secondo comma, dopo la parola: educazione, aggiungere: favorendone il funzionamento».
L’onorevole Fabriani ha facoltà di svolgerlo.
FABRIANI. A questo emendamento proponiamo di aggiungere dopo le parole: «favorendone il funzionamento» anche le altre «e lo sviluppo».
Nell’illustrare l’emendamento so di urtare la suscettibilità di alcuni colleghi, taluni dei quali si sono scatenati con veemenza eccezionale verso la scuola privata, considerata come l’antagonista della scuola di Stato, come qualcosa che debba uccidere addirittura la scuola di Stato. E in questo si sono distinti particolarmente gli onorevoli Binni, Bernini e Codignola. I loro timori consistono in questo: la scuola privata ucciderà la scuola di Stato; occorre che lo Stato non sovvenzioni le scuole private. L’onorevole Bernini diceva che «si conferiscono alle scuole private diritti che non si potevano maggiori». Interpretava il comma 4° dell’articolo 27, dove si parla di parità di trattamento, come una richiesta formale di una sovvenzione dello Stato, «in proporzione delle spese sostenute dallo Stato per ogni alunno che frequenta la scuola statale». E l’onorevole Bernini aggiungeva che la frase: «libertà della scuola» si dovrebbe trasformare in «libertà nella scuola». L’onorevole Codignola diceva che sovvenzionando la scuola privata «si conferirebbe ad essa un privilegio, in quanto nessuna scuola pubblica potrebbe reggere alla concorrenza».
Ma, è strano – e l’ha notato anche la collega Bianchini – che tutte le volte che si parla di libertà, quando si è davanti ad un problema concreto si recalcitra come davanti a qualcosa di spaventoso. E così, qui, in tema di libertà della scuola, rileviamo un timor panico che incombe su questa Assemblea. La scuola privata non è l’antagonista, come sottolineava con l’elevatezza della sua parola l’onorevole Moro, della scuola pubblica. Noi dobbiamo partire dal concetto che lo Stato non può assolutamente provvedere, per conto suo, (Interruzione dell’onorevole Tonello) all’esigenza dell’educazione nazionale. Sarebbe come se si volesse risolvere il problema della disoccupazione con la politica esclusiva del Ministero dei lavori pubblici e non suscitando l’iniziativa privata. Ne abbiamo visto qualcosa nei lavori a regìa nei dintorni di Roma, dove si è speso, per lavori improduttivi e diseducativi, la bellezza di 17 miliardi. Così è anche per la scuola. Dobbiamo metterci su un piano realistico. Possiamo pensare che lo Stato possa provvedere all’educazione di tutti i cittadini? Certamente no; quindi è necessario appellarsi all’iniziativa privata non solo per un concetto di opportunità ma anche per un concetto di realtà.
Ora, quando si parla di istruzione e di istituti privati e della libertà che si dà di poter aprire e formare istituti di educazione, noi partiamo dal concetto non solo dell’impossibilità dello Stato di esaurire da solo il problema, ma partiamo anche dal concetto che queste scuole ubbidiscono a preoccupazioni di delicata utilità sociale. Ed allora, se assolvono questa funzione, bisogna che lo Stato intervenga, non solo come diceva il collega Calosso con ispezioni che si risolvono molte volte in sole ispezioni di registri o di programmi svolti.
Ma bisogna che ci sia qualche cosa di più adeguato alla scuola e all’insegnamento, qualche cosa che rappresenti un aiuto non solo morale ma anche materiale perché queste scuole possano adempiere alle loro funzioni. Occorre cioè che esse siano attrezzate in modo che possano funzionare nell’interesse dei figli del popolo, perché escano da esse dei cittadini formati.
In passato si era modificato il titolo del Ministero dell’istruzione chiamandolo Ministero dell’educazione nazionale, titolo che non era poi neanche molto originale in quanto era copiato dalla denominazione che detto Ministero ha in Inghilterra. È stata poi ripristinata la vecchia denominazione di Ministero della pubblica istruzione. Si è voluto, cioè, accentuare la parola «istruzione», cosa che è puramente esteriore e non include il concetto formativo di cui abbiamo bisogno specialmente nel momento che attraversiamo. Abbiamo bisogno di formare cittadini che si avvezzino alla abnegazione e al sacrificio per superare la crisi attuale; abbiamo bisogno di formare il carattere dei giovani, soprattutto dopo un regime di servilismo e di schiavitù.
Questi istituti privati di educazione che, in tutti i Paesi sono derivati da un senso vivo di apostolato, non si possono creare che quando una verità ha bisogno di manifestarsi. Lo Stato non può assolvere da solo questo compito particolare che è nell’interesse di tutti i figli del popolo.
Sarà bandito in questi giorni un concorso che sembra un concorso monstre per le scuole medie, un concorso straordinario perché si tratta di ben quattromila posti; ma noi sappiamo che ci sono attualmente non meno di otto o novemila posti vacanti. Si mettono a concorso 20.000 posti per la scuola elementare, ma sappiamo che ne occorrerebbe un numero infinitamente maggiore. Oltre a questa necessità di personale dobbiamo tener conto dall’edilizia scolastica che è stata molto trascurata.
La collega onorevole Federici parlerà degli asili infantili. Oggi, per le contingenze belliche e post-belliche, l’asilo infantile è stato considerato come un luogo puramente assistenziale e si è perduto di vista quel concetto a cui noi avevamo accennato specialmente riferendoci all’apostolato delle sorelle Agazzi. Il concetto moderno di formazione e di preparazione proprie dell’asilo infantile non è dovunque seguito e gli asili in genere sono rimasti ancora delle sale di custodia. In questo periodo sono sorti, specialmente in Alta Italia, un’infinità di questi asili infantili, talvolta anche per interesse di partito, ma essi rivestono tutti quel carattere che ho detto di sale di custodia con compiti assistenziali quando invece essi dovrebbero anche rivolgersi all’educazione dell’anima e alla formazione del carattere. Queste scuole, questi asili infantili voi sapete come vivono; sono basati principalmente sulla carità veramente generosa di persone particolarmente votate alla missione educativa. La massima parte degli asili infantili vivono oggi con 300, 500 lire al mese di sussidio. I Provveditorati agli studi generalmente li ignorano. Abbiamo perfino dei casi, specialmente nella provincia, in cui i Provveditorati rifiutano perfino ospitalità nelle scuole pubbliche a questi asili pur essendoci disponibilità di locali. E quando i Provveditorati dànno degli aiuti, questi oggi si aggirano sulle 1500, 2000 o 3000 lire all’anno. E sembrano una straordinaria generosità da parte del Governo! Pensate: 3.000 lire all’anno per tenere una scuola!
E non parliamo del numero dei ragazzi. Perché una scuola assolva il suo compito non dovrebbe aumentare il numero degli alunni a più di 25-30 per classe. L’onorevole Bernini ha reso un omaggio caloroso alla legge Casati, in cui è contemplata la scuola che arriva ai sessanta alunni. E non si è potuto districare da questa limitazione neanche l’onorevole Ministro Gonella, quando ha dato il via alla divisione delle scuole elementari in sezioni. Un insegnante non può compiere un lavoro veramente formativo con una scolaresca che vada al di là dei venticinque-trenta alunni. Oggi gli unici asili statali sono quegli annessi agli Istituti magistrali governativi mentre non c’è abitato che non abbia bisogno di raccogliere e di educare tanti bambini del popolo.
E non si pensa affatto all’attrezzamento! Chi conosce che cosa deve essere una scuola materna sa che, se si riduce soltanto alle quattro pareti e al sacrificio dei polmoni dell’insegnante essa non può veramente formare dei fanciulli, formare dei cittadini come li vorremmo noi. Ed il nostro paese ha specialmente bisogno di cittadini di carattere.
PRESIDENTE. Onorevole Fabriani, lei ha superato il tempo, ed è ancora assai lontano dal tema del suo emendamento.
FABRIANI. Parlavo appunto dell’obbligo da parte dello Stato di favorire l’esistenza di questi istituti privati. Noi riconosciamo l’utilità di questi istituti privati, che devono in definitiva assolvere un compito di utilità pubblica. Occorre quindi che lo Stato si preoccupi anche del funzionamento e dello sviluppo di questa Scuola privata. Dalla scuola privata, noi lo sappiamo, sono usciti addirittura dei geni, da Dante a Pascoli. Da una scuola di Stato come la concepisce l’onorevole Bernini, alla Gentile, in cui ci sia una serie fredda, numerica, di nozioni, senza una convinzione, poco possiamo aspettarci.
Appunto per queste ragioni io chiedo che venga approvato questo emendamento, perché siamo, credo, tutti compresi della necessità che le scuole funzionino non solo, ma funzionino bene e si incrementino, in modo da assolvere questo grande compito di creare dei cittadini, di formare delle coscienze veramente illuminate, che siano utili a sé e al proprio Paese. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Gli onorevoli Codignola e Foa hanno proposto di sopprimere il terzo comma.
L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere l’emendamento.
CODIGNOLA. Mi limiterò a brevissime considerazioni.
Il terzo comma dell’articolo 27 dichiara: «Le scuole che non chiedono la parificazione sono soggette soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica».
Questo comma, a nostro giudizio, o è pleonastico, o vuol dir troppo. Se vuole indicare infatti che deve essere assicurata la libertà dell’insegnamento anche nella scuola privata, questa dichiarazione è già compresa nel primo comma dell’articolo 27, il quale stabilisce esplicitamente la libertà dell’insegnamento.
Ma noi pensiamo che, nella sua attuale formulazione, questo comma voglia invece stabilire dei limiti che possono diventare arbitrarî a codesta stessa libertà, quando esso sancisce che queste scuole sono soggette alle norme del diritto comune e della morale pubblica. È evidente infatti che questa dichiarazione può essere interpretata in modo tale da impedire una effettiva libertà di insegnamento, quale noi chiediamo anche per le scuole private.
È per questa ragione che noi avevamo proposto la soppressione pura e semplice del comma. Successivamente però è stato presentato dall’onorevole Marchesi un emendamento inteso ad aggiungere il seguente comma: «La scuola privata ha pieno diritto alla libertà d’insegnamento».
Poiché questa nuova formulazione non è soggetta alle interpretazioni arbitrarie cui va invece soggetta, come ho detto ora, quella proposta dalla Commissione, noi dichiariamo di ritirare il nostro emendamento e di aderire a quello presentato dall’onorevole Marchesi.
PRESIDENTE. Segue un emendamento, già svolto, dell’onorevole Bruni:
«Sostituire il quarto comma col seguente:
«Le scuole, che ottengono il riconoscimento giuridico dei loro titoli, acquistano nella libertà del loro particolare indirizzo educativo gli stessi diritti e si sottopongono agli stessi obblighi di quelle statali. La legge determina le condizioni di tale riconoscimento».
Segue l’emendamento:
«Al quarto comma, sostituire alle parole: la parificazione, le parole: il pareggiamento.
«Allo stesso comma, alle parole: parità di trattamento, sostituire: parità di trattamento scolastico agli alunni.
«Bianchi Bianca, Tega, Cevolotto, Arata, Pistoia, Momigliano, Giua, Calamandrei, Fornara, Costa, Caldera».
L’onorevole Bianchi Bianca ha facoltà di svolgerlo.
BIANCHI BIANCA. Onorevoli colleghi, dirò poche cose concrete a sostegno dell’emendamento che abbiamo presentato al quarto comma dell’articolo 27, dove si parla di parificazione e di parità di trattamento fra scuole pubbliche e scuole private.
La parificazione o parifica è uno degli istituti più recenti della nostra legislazione scolastica. Nel 1925, fu contenuta in termini ristretti nell’articolo 51 del Regolamento; nel 1929, fu applicata a benefìcio di scuole dipendenti da comuni, o province o associazioni.
Fu abolita l’anno seguente e ripristinata poi nel 1938, con la creazione dell’E.N.I.M.S., l’Ente nazionale per l’insegnamento medio. Agli istituti gestiti dall’E.N.I.M.S. fu accordata la parificazione che comportava il riconoscimento del valore legale degli studi e degli esami alle corrispondenti classi degli istituti governativi e all’esame di maturità e di abilitazione, con dispensa dalla presentazione del titolo inferiore.
Dal 1938 fino ad oggi, molte scuole private si sono costituite associandosi all’E.N.I.M.S. per avere la parificazione dalla quale provengono molti benefìci.
E la parificazione fu ottenuta con troppa facilità, in seguito ad ispezioni sommarie, da parte di persone cui mancava la competenza necessaria nel campo scolastico, o disposte ad usare molta indulgenza per amore di quieto vivere. In molti casi fu data la parificazione, anche quando il Commissario aveva riscontrato l’assoluta inefficienza scolastica ed aveva espresso parere nettamente sfavorevole. Ora la parificazione ha portato sì alla scuola privata il beneficio di una enorme quantità di alunni ma l’ha ridotta ad una gestione mercantile. Perché il gestore, il Preside della scuola, ha tutto l’interesse di mantenere una fitta frequenza dei propri alunni, ai quali si concedono con troppa benevolenza i diplomi e i titoli.
Ora proprio per la serietà della scuola, della libertà nel suo valore concreto, noi stiamo qui a discutere di questo problema educativo e diciamo: la Carta costituzionale deve essere intesa non soltanto quale specchio delle condizioni dell’attuale momento, ma porta aperta ad eventuali progressi, ad eventuali realizzazioni di esigenze spirituali vive nella nostra coscienza contemporanea. Proprio per questo amore di libertà siamo contro la parificazione, perché contrari al mercantilismo e alla depravazione della cultura, alla leggerezza, alla faciloneria che sono una degenerazione della libertà. La libertà è serietà di vita e di insegnamento, sincerità di propositi e di azione. In altri termini la libertà è l’affermazione di una personalità, non è la corsa ai diplomi, ai titoli, come è stato fatto dal 1939 ad oggi. Guardate alle statistiche. I dati tratti dall’Istituto centrale di statistica relativi al 1938, indicano che nel 1937-38 la concessione dei diplomi era ancora normale. Per la maturità classica si conferirono 9.526 diplomi, mentre nel 1939-40, per la stessa maturità classica, se ne diedero 21.871.
Andiamo alla abilitazione magistrale. Nel 1937-38 vi furono 14.474 diplomi; nel 1939-40 i diplomi furono 28.855.
Una voce al centro. Ma c’era l’esame di Stato!
BIANCHI BIANCA. Queste sono cifre che potrete esaminare. Le cifre hanno un particolare valore. Che cos’è questa corsa verso i titoli e verso i diplomi e questo svilimento della cultura, del titolo stesso, questa inefficienza, questa impreparazione?
Non è in discussione il problema politico. Non è in discussione neppure un problema confessionale. È in discussione un problema educativo. Lasciate le questioni di parte: qui abbiamo di fronte la questione della serietà degli studi, della formazione della nostra classe dirigente. Lo sappiamo tutti, in intimo corde, che non siamo preparati, che la nostra classo dirigente non è preparata, che i nostri alunni non sono preparati, che i loro titoli non corrispondono a nessuna maturità spirituale perché la loro personalità non è formata, che non ci sono le premesse per la libertà, per la civiltà, per la democrazia.
Volete continuare nel formulare vaghi concetti di libertà e di democrazia? Continuate pure per la vostra strada. Ma se volete dare un contenuto veramente vitale, un contenuto concreto alle parole di libertà, dovete concludere nel senso di non inserire nella Carta costituzionale non solo una delle più illiberali e più leggiere istituzioni della giurisdizione fascista, ma anche, ai fini pratici, un qualche cosa che ha dato dei risultati spaventosamente negativi nella nostra cultura. Perché non dobbiamo sostituire la parificazione, per esempio, con l’istituzione prefascista che aveva dato buoni risultati, cioè il pareggiamento?
Noi non vogliamo creare disparità tra la scuola pubblica e la scuola privata; non vogliamo mettere gli insegnanti o gli alunni delle scuole private in condizioni di inferiorità o di minorità rispetto a quelli delle scuole pubbliche. Noi diciamo: Va bene, la scuola pubblica fiorisca libera in tutti i paesi d’Italia; ma fiorisca in maniera da dare allo Stato una garanzia di efficienza, di serietà perché lo Stato è sempre l’educatore dei suoi cittadini. Il compito dell’istruzione o, per lo meno, la vigilanza sull’istruzione privata appartiene direttamente allo Stato. È uno dei doveri e dei diritti dello Stato e non se ne può fare a meno.
Adesso, il pareggiamento offre molte garanzie. Vedete, l’istituzione delle scuole parificate è molto aleatoria. Il regolamento, per esempio, non è stabile, è provvisorio. Gli insegnanti sono assunti senza un regolare concorso. Molto spesso gli insegnanti delle scuole parificate sono quei medesimi che non hanno trovato posto nelle graduatorie degli incaricati e dei supplenti delle scuole pubbliche; non hanno abilitazione, hanno una laurea scadente o non hanno neppure la laurea; sono studenti del terzo o del quarto anno dell’Università. Non potrebbero essere assunti nelle scuole parificate ma i Presidi li assumono perché ci fanno un guadagno, una speculazione economica. Adesso questi medesimi insegnanti sono alla mercé dei Presidi, senza nessun ordinamento giuridico che li protegga e possono essere mandati fuori della scuola per un capriccio del gestore della scuola medesima. Anche maestri di ottima preparazione culturale, quando l’insegnamento privato rappresenta l’unico modo di vivere alla giornata, devono sottostare alla direzione dei Presidi per la promozione degli alunni impreparati e incapaci, alla direzione dei Presidi che vogliono quel particolare orientamento didattico, quella particolare scelta dei libri di testo, che influiscono insomma su tutta la condotta dell’insegnamento.
Il pareggiamento ci offre invece garanzie migliori.
Gli insegnanti devono essere assunti mediante concorsi ed hanno un determinato trattamento economico: soltanto lo Stato dà garanzia che gli interessi della cultura vengano rispettati.
Oggi dobbiamo proporci questo unico problema: del come riuscire a dare una migliore preparazione ai nostri giovani, a formare una classe dirigente più idonea di quella attuale. È un problema che non si risolve col prendere posizioni partigiane, col sostenere una tesi piuttosto che un’altra, ma col trovare l’accordo negli intenti comuni.
Un altro punto vorrei trattare…
PRESIDENTE. Onorevole Bianchi, tenga presente che è un quarto d’ora che parla. Prosegua.
BIANCHI BIANCA. L’altro punto che vorrei trattare è in riferimento al quarto comma, là dove si parla di parità di trattamento tra scuola pubblica e scuola privata. Questa formula che assicura parità di trattamento agli alunni della scuola privata in confronto di quelli della scuola pubblica, venne fuori, dopo lunga discussione ed elaborazione, dalle proposte fatte dall’onorevole Moro.
Egli assicura che né lui né i suoi colleghi democristiani pensano a parità di trattamento economico, e ci possiamo anche credere. Ma ci fanno pensosi certe dichiarazioni sia dell’onorevole Moro, sia dell’onorevole Dossetti, sia dell’onorevole Colonnetti e certe pubblicazioni, come quelle dell’Università Cattolica là dove si dice esplicitamente che lo Stato ha l’obbligo di provvedere con tutti i mezzi anche economici al mantenimento e al funzionamento della scuola privata. E noi diciamo subito che siamo contrari a queste sovvenzioni alla scuola privata. Siamo contrari non solo da un punto di vista astratto, ma anche da un punto di vista concreto perché, onorevoli colleghi, lo Stato può riconoscere l’utilità della scuola privata, ma non ne può riconoscere la necessità. Altrimenti distrugge la propria funzione educativa, l’efficienza della propria missione, di promotore dell’organizzazione della educazione nazionale. Lo Stato non può delegare ad altri questa sua attività preminente, non la può spezzettare suddividendola così fra tutte le scuole private. Che la scuola privata fiorisca, ma che non chieda sussidi ed aiuti allo Stato, perché lo Stato non può accettare questo principio. (Commenti).
C’è un altro concetto che ci spinge a sostenere questa tesi.
Voi, colleghi della democrazia cristiana, siete contrari alla scuola di Stato perché avete paura di totalizzare la scuola. Voi temete che lo Stato faccia un monopolio dell’educazione. Ma non si tratta di fare monopoli, si tratta di educare; si tratta di capire che il monopolio lo farebbe la scuola privata qualora venisse ad avere le sovvenzioni che voi domandate, perché si metterebbe sullo stesso piano della scuola pubblica e la distruggerebbe. La scuola privata è in condizioni molto vantaggiose. E quindi è questione di lucro, di interesse, di mercantilismo.
Del resto, se non avete pensieri riposti negli angoli più o meno oscuri del subcosciente, potete aggiungere una paroletta, a chiarificazione; perché le formule generiche sono sempre equivoche, e si prestano ad interpretazione false e sbagliate.
Proprio per non incorrere in queste interpretazioni, vogliamo precisare il concetto. Se non volete la parità del trattamento economico, non è niente di male accettare di aggiungere a «trattamento» la parola «scolastico».
Così si riesce a chiarire la situazione e si mette in luce quello che si vuole; e si impedisce agli educatori ed ai capi-istituto di fare della scuola un affaruccio, una gestione più o meno privata.
Pensate cosa sarebbe negli anni futuri della Repubblica Italiana, quando ad un Governo succederà altro Governo. Mettendo nella Costituzione questo comma così male espresso («trattamento», senza specificazione), ogni Governo aiuterà la propria scuola di parte e non ci sarà più libertà e serietà nell’educazione.
Si correrà proprio il rischio di avere quei monopolio, contro cui state lottando.
A termine di queste considerazioni, a nome anche del mio gruppo parlamentare, dico a tutti i colleghi: qui non è in giuoco, per noi almeno, né un fine politico, né tanto meno, un fine confessionale; ma solamente un problema educativo.
Faccio appello agli onorevoli colleghi di tutti i settori di voler togliere dal proprio animo ogni preoccupazione, che non sia di carattere educativo; perché, di fronte a questo compito, che è compito di civiltà e di democrazia, in senso veramente concreto, ogni altra preoccupazione non è una cosa seria. (Vivi applausi a sinistra – Congratulazioni).
PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:
«Al quarto comma, alle parole: parità di trattamento agli alunni, sostituire le altre: parità di trattamento agli insegnanti e agli alunni».
Ha facoltà di svolgerlo.
RESCIGNO. Il mio emendamento consiste nell’aggiunta d’una sola parola, ma in questa parola è tutto il problema, vorrei dire tutto il dramma della scuola parificata, alla quale ha accennato la onorevole Bianchi.
Alla quale, però, vorrei dire, in ordine al suo rilievo circa il fatto che la nostra scuola non risponde a quelle che dovrebbero essere le sue finalità, cioè di fare l’uomo, innanzi tutto (perché la nostra scuola forma il funzionario, l’impiegato, il magistrato, ma non l’uomo, accompagnando il giovane nel suo passaggio dalla scuola alla vita) che la ragione non è nei regolamenti o nel pareggiamento o nella parificazione: tutto questo è struttura della scuola, ma non l’anima dell’insegnamento e delle scuola. L’anima della scuola e dell’insegnamento sono (consentite che lo dica un uomo che da 30 anni vive nella scuola) sono gli insegnanti, e il difetto della nostra scuola è nel suo carattere esclusivamente quantitativo, esclusivamente ricettizio, che io vedo, dolorosamente, riconsacrato in questi articoli della Costituzione; perché da noi la cultura, l’istruzione valgono ancora come numero di cognizione, noi comunichiamo ai nostri giovani più notizie che idee.
Una voce a destra. Non è vero!
RESCIGNO. Qui si riconsacra, si riafferma questo carattere, vorrei dire, di monologo, quasi, a cui si riduce l’insegnamento tra un uomo che dà ed una folla di giovani che ricevono, mentre l’insegnamento dovrebbe essere un dialogo vibrante fra il maestro che deve guidare ed i giovani che devono collaborare con lui. Quindi problema, onorevoli colleghi, che concerne soprattutto gli insegnanti, ed io quello che in questo progetto non vedo né accennato né ricordato è appunto un pensiero per loro: gli insegnanti; e il dramma della scuola parificata è appunto il dramma degli insegnanti.
Non parlo delle scuole parificate tenute dai religiosi. Ho avuto già occasione di parlarne in questa aula: le scuole tenute dai religiosi sono al di sopra di ogni dubbio e di ogni sospetto, per il loro disinteresse economico, per la fiamma di ardore che essi pongono nell’insegnamento. (Rumori – Interruzioni a sinistra). Parlo appunto delle scuole cui accennava l’onorevole Bianchi, parlando di quelle scuole parificate a scopi di speculazione, dove il lavoro degli insegnanti è considerato come una merce qualsiasi; e questo è doloroso, soprattutto perché si tratta del lavoro intellettuale, il quale viene pagato con stipendi di fame. Questa è la condizione degli insegnanti nelle scuole parificate a carattere di speculazione commerciale.
Ora si spiega perché tutti gli insegnanti, fino a che dura questo stato di cose, non vogliono andare negli istituti parificati e premono, sempre, alle porte dello Stato, perché ritengono che quello sia il minor male.
E se ne volete una prova, vi dirò che appena si è saputo, si è letto nel progetto di Costituzione dagli insegnanti, agli articoli 109 e 110, che l’istruzione artigiana, che l’istruzione tecnico-professionale possono essere o saranno oggetto di legislazione da parte delle regioni, vi è stata una preoccupazione, un fermento tra gli insegnanti stessi, i quali si preoccupano di dover dipendere non più dallo Stato, ma dalla regione.
Questo è lo stato d’animo degli insegnanti privati; perché? Perché gli insegnanti delle scuole parificate non hanno, effettivamente, nessuno stato giuridico ed economico. Ora, è appunto questo che lo Stato deve fare: assicurare anche agli insegnanti delle scuole parificate uno stato giuridico ed economico. E questo io chiedo con l’emendamento da me proposto.
Onorevoli colleghi, la scuola parificata, anzi la scuola privata, prima che ci fosse l’istituto della parificazione, ha avuto il suo periodo aureo, specialmente nel Mezzogiorno nostro. Ora, perché possa questa nuova scuola parificata, questa libera scuola – la cui libertà, consentite che ve lo dica, non consiste tanto nella conquista della libertà di costituzione, quanto nella coscienza della propria responsabilità, mentre qui… più che la libertà vera della scuola e dell’insegnamento si è sancita la libertà di aprire scuole, – possa rifiorire e ritorni il periodo aureo dell’insegnamento parificato, noi dobbiamo riaccostare il popolo alla scuola. Purtroppo la nostra Nazione è una Nazione proletaria. Noi abbiamo sancito nella Costituzione che la scuola è aperta al popolo; ma, confessiamolo, il popolo non ama questa scuola. Facciamogliela amare e soprattutto in quelli che sono l’anima e il fulcro della scuola, cioè gli insegnanti. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:
«Sostituire il quinto comma col seguente: «Spetta allo Stato il conferimento dei titoli legali di studio; la legge garantisce, attraverso gli esami che saranno da essa prescritti, parità di trattamento a tutti i candidati, da qualsiasi scuola provengano.
«Bernini, Basso, Cevolotto, Calamandrei».
«Aggiungere il seguente comma:
«Le scuole di qualsiasi tipo compiono un servizio pubblico, e sono tenute ad impartire un insegnamento ed un’educazione civica d’ispirazione democratica e nazionale.
«Bruni».
«Aggiungere alla fine dell’articolo il seguente comma:
«La scuola privata ha pieno diritto alla libertà d’insegnamento.
«Marchesi».
L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento:
«Alla fine del 5° comma sopprimere le parole: e per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole indicati dalla legge».
L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.
CORBINO. L’emendamento che propongo tende a sopprimere quella parte dell’articolo che conserva, o vorrebbe conservare per l’eternità, quegli esami che voi conoscete sotto il nome di esami di maturità, che sono il tormento degli alunni, delle famiglie, dei professori e che soltanto un filosofo come Gentile poteva introdurre nella nostra legislazione scolastica.
Come professore, con 25 anni di insegnamento, mi sono sempre rifiutato di presiedere le Commissioni di esami di maturità, perché mi sarei trovato in questa alternativa: o di bocciare tutti i candidati, o di promuoverli tutti, per l’impossibilità di pretendere dai giovani quello che bestialmente dalle istruzioni ministeriali era prescritto che ai giovani si dovesse domandare. (Commenti a sinistra).
Il problema dell’esame di maturità voi lo dovete considerare non soltanto dal punto di vista scolastico, perché da questo punto di vista non serve a niente. E ne è una prova l’esame dei documenti che si trovano nelle scuole di ordine superiore. Le tesi di laurea che arrivano alle Università, da quando imperversa l’esame di Stato, meriterebbero, per il 95 per cento, di trovare dei traduttori in italiano, perché non solo vi abbondano gli errori di sintassi, ma sono frequentissimi gli errori di ortografia che gli asini candidati metodicamente attribuiscono alle dattilografe, ma che io, talvolta, controllando, ho trovato proprio nel testo manoscritto della tesi di laurea presentata.
Non è, quindi, da questo lato soltanto che deve essere studiato il problema dell’esame dì Stato; ma dal lato del turbamento che arreca alle famiglie e alla stessa struttura della scuola, perché, a partire dal mese di giugno, fino al mese di ottobre, comincia la caccia ai nomi dei Commissari e dei Presidenti delle Commissioni, di tutti coloro che conoscono l’uno o l’altro, il cognato, il portiere, il nipote, il padrone di casa o l’inquilino e via di seguito; ed è uno stormo di lettere di raccomandazioni avvilenti che tutti obbligano a rivolgere ora ad un collega, ora ad un altro, per impetrare che la maturità sia data ad un giovane che non la merita. (Commenti).
Ora, perché si deve mantenere tutta questa struttura che costa tormento alle famiglie? E che, badate bene – lo dico proprio a voi delle sinistre – vi dà la prova che lo Stato non crede a se stesso? (Commenti).
Una voce a sinistra. Perfettamente: ha sfiducia.
CORBINO. Questo Stato che ha una scuola che prende i giovani appena entrati nella prima elementare, e poi, quando arrivano alla quinta, non ha fiducia negli uomini che hanno fatto cinque anni di insegnamento e pone i giovani sotto l’esame di altri; che poi li fa passare alla scuola media e, al momento degli esami, dubita ancora della serietà dei propri professori e li affida al controllo di altri? Ma con quale diritto questo Stato pretende poi di fare tutte le altre cose che noi gli vorremmo affidare e che con la Costituzione gli stiamo affidando, in lungo e in largo, quando, proprio in quella parte della sua attività in cui esso è padrone assoluto, dall’inizio alla fine, non ha fiducia nei propri organi?
Probabilmente l’esame di maturità fu approvato da Gentile come primo gradino per arrivare a quello sviluppo successivo di politica che noi abbiamo sanzionato con l’articolo 7. Ma io credo che, al punto in cui siamo, si possa conciliare l’esigenza della libertà dell’insegnamento in tutti gli ordini di scuole, con la soppressione dell’esame di maturità. Basta che le scuole ritornino ad essere il luogo dove si deve insegnare veramente e non dove si deve soltanto promuovere. Basta che gli alunni sappiano che nelle scuole debbono studiare e non imparare soltanto il metodo di domandare il sei o il diciotto con le dimostrazioni di massa, che sono alla base di quel salto delle statistiche di cui ha parlato la onorevole Bianchi; perché probabilmente la nostra collega non ha tenuto presente che quel passaggio da 9.500 a 19.000 maturità classiche, da 14.000 a 28.000 maturità magistrali nel giro di un anno, fu il risultato delle pressioni indecorose che, dopo l’autorizzazione partita dal Ministero della pubblica istruzione per rendere popolare una guerra che non lo era, si esercitarono su di noi nella forma più indegna dal punto di vista morale, che talvolta raggiunse persino la violenza fisica.
Bisogna quindi che noi per raggiungere lo scopo che la nostra collega Bianchi giustamente ha richiamato, di formare cioè una classe dirigente degna della nuova democrazia italiana, ritorniamo alle nostre tradizioni scolastiche del buon tempo antico, nel quale si passava anche senza esame, si passava anche senza licenza, ma quando si usciva dalle scuole, si usciva con un complesso di cognizioni che facevano di ciascuno di noi nella vita un uomo veramente utile.
Ecco perché io chiedo all’Assemblea che si pronunzi sulla questione dell’esame di Stato per gli ordini di scuole medie, riconoscendo una certa opportunità di conservarlo per l’esercizio professionale; e propongo che per gli ordini di scuole medie l’esame di Stato sia completamente abolito. (Applausi a destra).
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti presentati all’articolo 27.
Bisognerebbe adesso dare facoltà di parlare al rappresentante della Commissione per sentire il suo avviso sopra questi emendamenti; ma, data l’ora, penso che si possa per oggi sospendere la nostra discussione.
Non è una cosa troppo piacevole, lo confesso; perché significa che il problema del quale tante volte si è parlato permane sempre insoluto, cioè il problema della non saggia utilizzazione del nostro tempo.
Resta comunque inteso che nella prossima seduta anzitutto chiederò alla Commissione di esprimere il suo avviso sugli emendamenti all’articolo 27 svolti e mantenuti. Dopo di che procederemo alla votazione.
Per intanto desidero far presente ai colleghi che il deposito preventivo, a lunga scadenza di tempo, di domande di votazione per appello nominale o per scrutinio segreto non è ammesso. Le domande di questo genere devono essere presentate nel momento stabilito dal Regolamento. E pertanto non posso tenere in considerazione quelle che, sin dall’inizio di questa seduta, in forma del tutto generica ed indeterminata, sono state presentate alla Presidenza.
E poiché nella prossima settimana incominceremo l’esame del Titolo III, prego gli onorevoli colleghi che desiderano presentare emendamenti, di farli pervenire prima della giornata di sabato.
Il seguito della discussione è rinviato a lunedì 28 alle 15.
Per la presentazione di una relazione.
PRESIDENTE. Chiedo all’Assemblea l’autorizzazione a ricevere la relazione della Commissione finanze e tesoro sul disegno di legge per l’imposta straordinaria sul patrimonio, anche durante la breve sospensione dei nostri lavori, in modo che possa essere al più presto stampata e distribuita.
(Così rimane stabilito).
Sul risultato di una votazione a scrutinio segreto.
PRESIDENTE. Ora desidero dare una informazione all’Assemblea.
Ieri sera, dopo la chiusura della votazione a scrutinio segreto, l’ufficio di Presidenza constatò che vi era la differenza di un’unità fra il numero dei votanti registrato da tutti i Segretari e il numero delle palline depositate nelle urne.
Non potendo accertare chi non avesse depositato il voto nell’urna, l’Ufficio eseguì il computo soltanto in base al numero delle palline effettivamente depositate.
Si è ora accertato che l’indicazione in più di un votante sugli elenchi corrisponde al nome dell’onorevole D’Agata, defunto, il cui nome, essendo stato cancellato su tutti gli elenchi nel momento in cui la notizia della sua morte è pervenuta all’Assemblea, appariva già cancellato su quel foglio di chiama che ieri sera fu impiegato per registrare i votanti. Ora, nel corso della votazione, il nome dei deputati viene man mano cancellato dai Segretari, sul foglio di chiama volta a volta che essi depongono il voto nell’urna.
Così la cancellatura del nome dell’onorevole D’Agata è andata confusa con le successive, mano a mano che si votava, ed è stata conteggiata al momento dello scrutinio.
Tuttavia il computo della maggioranza è stato fatto in base ai voti realmente dati e cioè alle palline depositate nell’urna. Infatti la maggioranza è stata fissata in 193 votanti, e cioè in rapporto a 385 voti depositati effettivamente, e non già in rapporto ai 386 nomi che erroneamente apparivano cancellati nell’elenco.
Come appare chiaro, il risultato della votazione non si presenta mutato per questo motivo. Mi pare pertanto che ogni dubbio, ogni riserva, ogni preoccupazione, sulla votazione di ieri risultino infondati e sarei lieto che questi dubbi non dovessero avere più alcun riflesso neppure in colloqui tra i colleghi. Penso così di aver chiarito la questione. (Approvazioni).
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono state presentante le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per i quali, dopo avere attribuito un sussidio straordinario nelle feste pasquali ai mutilati, ai reduci, ai combattenti della provincia di Napoli, dopo avere fatto preparare, alle rispettive Associazioni, l’elenco degli appartenenti bisognosi, dopo aver fatto attendere per una settimana questi bisognosi alle porte dei vari uffici dell’E.C.A. di tutta la provincia, si sia, con una incomprensibile decisione, in primo luogo sospesa la distribuzione, già iniziata, del sussidio, e in un secondo momento ritirato i fondi, provocando così la logica, umana reazione di quanti avevano sperato in un minimo sollievo delle loro sofferenze.
«Si chiede se non si ritenga doveroso annullare l’inumano provvedimento adottato, prima che esso determini gravissimi incidenti.
«Mazza».
«Al Ministro della pubblica istruzione, in merito al mancato pagamento del soldo delle borse di studio – già regolarmente predisposte – agli studenti giuliani profughi e agli studenti reduci e partigiani iscritti all’Università di Padova, i quali da lunghi mesi ormai sono privi dell’unico mezzo di sostentamento e si trovano in pietosissime condizioni economiche, esposti molti di loro alla fame e alle malattie.
«Bettiol, Gui, Costa, Marchesi».
«Ai Ministri dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere se sia vero che industriali, dirigenti e specialisti vadano allontanandosi dall’Italia, per trapiantare altrove la loro attività ed esplicare in terra straniera le proprie competenze. Essendo questo fatto gravemente pregiudizievole per il lavoro, l’interrogante domanda ai Ministri competenti se possano indicare le cause che lo hanno determinato, onde si cerchi la via di eliminare od attenuare l’esodo.
«Rivera».
«Al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere quali provvedimenti intende adottare in via d’urgenza, di fronte allo stato di disagio morale e materiale in cui versa la Magistratura italiana.
«Macrelli, Sardiello, Conti».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze e tesoro, intorno alla convenienza economica, politica e sociale di utilizzare nel modo più profittevole le cospicue somme che vengono e verranno destinate ad opere pubbliche per alleviare la disoccupazione; e alla conseguente necessità di non assegnare tali somme in misura preminente o esclusiva al Ministero dei lavori pubblici, ma di ripartirle così da favorire non meno le opere dipendenti dal Ministero dell’agricoltura e foreste, con particolare riguardo:
- a) al ripristino dei fabbricati rurali e degli impianti distrutti dalla guerra;
- b) alle bonifiche e irrigazioni, e in genere alle opere di miglioramento fondiario, con le necessarie elevazioni dei contributi statali massime nelle zone di montagna;
- c) alla sistemazione di bacini montani, che la legge assegna allo Stato come opere di importanza nazionale.
«Gortani, Monterisi, Franceschini, Sartor, Clerici, Sullo, Codacci Pisanelli, Tambroni, Rumor, Bellato, Bianchini Laura, Conci Elisabetta, Quintieri Adolfo, Rivera, Bosco Lucarelli, Pallastrelli, Garlato, Lizier, Marzarotto, Stella, Guariento, Marconi, Bubbio, Cappelletti, Ferrario, Pat, Bertola, Schiratti, Carbonari, Liberti, Fantoni, Scotti Alessandro, Balduzzi, Mannironi, Gotelli Angela, Delli Castelli Filomena, Firrao, Micheli, Di Fausto, Tessitori, Bonomi Paolo».
Chiederò al Governo, nella prossima seduta, quando intende rispondere.
MACRELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MACRELLI. Mi permetto far presente che l’agitazione nel ceto dei magistrati continua ancora, sia pure in una forma attenuata. Ora sarebbe bene che il Governo dicesse una buona volta una parola decisiva in materia. Essendo presente nell’aula il Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia, potrebbe dichiarare quando sarà in grado di rispondere alla mia interrogazione.
MERLIN, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Posso comunicare all’Assemblea che è stato già dato ordine di sospendere l’agitazione, perché il Governo ha dichiarato che se i magistrati non avessero sospesa l’agitazione le loro richieste non avrebbero potuto essere prese in considerazione. (Commenti).
Una voce. Non è democratico!
MERLIN, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. È perfettamente giusto per uno Stato democratico e per un Governo che vuole farsi rispettare. Comunque, il Governo si riserva di rispondere nella prossima settimana, e di dimostrare che si era già fatto molto per i magistrati e che si è disposti a fare di più appena le condizioni di bilancio lo consentano. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. La Commissione legislativa ha esaminato il problema relativo all’aumento d’indennità di toga ai magistrati, approvandolo con la proposta al Governo di un ulteriore aumento, entro certi limiti, di quella indennità. Penso che il Governo non potrà trascurare una indicazione che è stata data dall’Assemblea Costituente e pertanto su questa base le rivendicazioni troveranno forse un’adeguata soddisfazione.
La seduta è rinviata a lunedì alle 15.
Una voce. Alle 16!
PRESIDENTE. Desidero esprimere chiaramente ai colleghi la mia determinazione ferma, in quanto ho la responsabilità dei lavori dell’Assemblea, di non trascurare nulla perché noi possiamo condurre a compimento il nostro dovere. Vi sono certamente dei mezzi por modificare questo mandato che m’è stato conferito, ma finché esso non sarà modificato io agirò in conseguenza.
Confermo pertanto il rinvio della seduta a lunedì alle 15.
Interrogazioni.
PRESIDENTE Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se e come negli accordi col Governo francese per la tutela degli emigranti si sia provveduto ad assicurare il pagamento delle indennità spettanti agli operai colpiti da infortunio sul lavoro.
«La presente interrogazione è determinata dal caso dell’operaio Isidoro Damonte di Diano Marina che, lavorando in una saponeria a Nizza nel 1916, perdette la vista. Fino a che rimase in Francia, cioè fino ai primi del gennaio 1944, gli fu corrisposta la pensione di indennità fissata, negli ultimi tempi, in franchi diciottomila annui.
«Nel gennaio 1944 il povero vecchio cieco trasferì la sua residenza nel paese natio, e da allora non gli venne più corrisposta somma alcuna, e tutte le pratiche svolte per ottenere il pagamento della pensione non sortirono esito.
«Canepa».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quando sarà ultimato il pagamento del premio di lire 1000 (mille) al quintale dovuto a tutti quei risicoltori, che alla data del 30 giugno 1946 hanno conferito ai «Granai del Popolo» un quantitativo di risone superiore ai 25 quintali per ettaro, al netto delle trattenute per usi aziendali e famigliari.
«La concessione del premio è dovuta in base all’articolo 7 del decreto-legge 8 maggio 1946, n. 339.
«Gli interroganti hanno avuto modo di rilevare di persona lo stato di malcontento e di agitazione che si manifesta fra la massa non indifferente dei risicoltori, i quali, pur avendo conferito un quantitativo di risone superiore ai 25 quintali per ettaro, come è contemplato nel decreto-legge anzidetto, non hanno a tutt’oggi percepito il premio di lire 1000 al quintale.
«Si chiede di conoscere se si intende dar corso integralmente alla disposizione di cui trattasi e ciò per evitare differenziazioni di trattamento fra produttori e produttori, che abbiano conferito più dei 25 quintali per ettaro. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bertola, Pastore Giulio».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quale programma intende adottare per le coltivazioni di granoturco di primo e secondo raccolto in quanto al prezzo, alle trattenute ed alla assegnazione di fertilizzanti, in considerazione che tale coltura rappresenta, per importanti ed estese zone di montagna ed anche irrigue, la principale attività colturale, stante la particolare natura dei terreni alluvionali e morenici, con impiego di maestranze immigrate dalle finitime zone prealpine:
- a) nei confronti del prezzo: è indispensabile sia prontamente adeguato e ragguagliato proporzionalmente a quello del frumento, come venne sempre praticato nel passato. Questo per riparare al danno subìto nella decorsa campagna da parte dei produttori di tale cereale per l’imposizione di un prezzo politico non remunerativo;
- b) le trattenute aziendali e familiari, siano comprensive del corrispettivo in natura concesso ai braccianti che prestano la loro attività unicamente dietro compenso in natura. Sia inoltre concessa la trattenuta del 60 per cento sul secondo raccolto del granoturco, come è stato sempre fatto nel passato, ciò allo scopo di salvaguardare e incrementare il patrimonio zootecnico, segnatamente per quanto riguarda la produzione dei grassi e della carne;
- c) sia assegnato un congruo quantitativo di fertilizzanti azotati, anche per tale coltura, particolarmente per invogliare i produttori ad estendere la medesima, e ciò anche in considerazione che il granoturco è stato ed è largamente impiegato nella panificazione per la miscela ed in sostituzione della razione stessa di pane; quindi deve essere senz’altro annoverato tra «i cereali da pane».
«Gli interroganti fanno presente che la mancata accettazione di quanto forma oggetto della presente, ridurrà notevolmente l’investimento di tale cereale, essendo vivo il malumore che anima queste masse agricole, che si ritengono ingiustamente trascurate. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Pastore Giulio, Bertola».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se è a conoscenza che, mentre gli Enti, i Comitati, i Consorzi agrari e gli uffici preposti alla assegnazione e distribuzione dei fertilizzanti azotati riescono con molto ritardo a distribuire ai produttori percentuali minime ed assolutamente insufficienti alle necessità di coltivazione dei «cereali da pane» e del riso – trascurando completamente le altre colture, quali il granoturco e le foraggere, con grave danno per la produzione dei grassi e della carne – da altre fonti vengono invece offerte e messe a disposizione le più svariate qualità di concime da parte di ditte, di concessionari, di commissionari, sia presso i centri di produzione, quanto sulle piazze dei capoluoghi dell’alta Italia, particolarmente nei giorni di mercato, creando così uno stato di irritazione e di malumore tra i produttori, che debbono sottostare, oltre che a prezzi onerosi e ad esose pretese, anche a inganni e sofisticazioni di qualità, quando non sono addirittura soggetti a mancate consegne della merce pattuita e pagata in anticipo e ciò in evidente, stridente contrasto con quella disciplina degli ammassi messa in atto per soddisfare le superiori esigenze alimentari del paese. Si domanda di conoscere quali provvedimenti sono posti in atto per impedire lo scandaloso commercio nero dei predetti concimi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Pastore Giulio, Bertola».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga necessario ed urgente dar corso al voto dell’A.N.A.S. per classificare fra le statali alcune strade delle provincie di Udine e Belluno (strade Udine-Maniago-Cimolais-Longarone, Villasantina-Sappada-Santo Stefano di Cadore, Udine-Cervignano-Grado, Bivio Coseat-Bivio Taboga), aventi la lunghezza complessiva di 318 chilometri; tanto più che tale passaggio non porterebbe nuovi sensibili aggravi al bilancio dell’A.N.A.S., cui viene tolta la manutenzione delle strade pertinenti al territorio della Venezia Giulia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Gortani, Fantoni, Tessitori, Piemonte, Garlato, Pat, Schiratti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’interno, per conoscere se sia vero che l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica abbia affidato alla Federazione degli Ordini dei farmacisti la distribuzione dello zucchero assegnato alle farmacie, nonostante che detta Federazione pretenda dai farmacisti un notevole sopraprezzo fuori fattura; se, inoltre, tale incarico sia stato concesso, malgrado che i farmacisti proprietari, ai quali spetta lo zucchero per i bisogni delle loro aziende, abbiano costituito un consorzio cooperativo, che non ha scopo di lucro, per provvedere appunto alla distribuzione dello zucchero e sottrarsi, quindi, al pagamento del sopraprezzo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Marinaro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere in base a quali norme legislative l’Alto Commissariato per l’alimentazione richiede ai cittadini dati ed elementi che vanno molto al di là di un semplice accertamento delle tessere annonarie e, comunque, delle facoltà attribuite allo stesso Alto Commissario. L’interrogante chiede pure di conoscere se e quali enti tecnici l’Alto Commissariato abbia interpellato per la compilazione di un modulo tanto oscuro da ingenerare equivoci e duplicazioni di dichiarazioni e tanto mal congegnato da intaccare lo stesso prestigio dell’Amministrazione dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Marinaro».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per conoscere quali ostacoli si frappongano ancora alla integrale ricostruzione della ferrovia Sangritana che, dopo quattro anni dalla sua distruzione, in realtà è rimasta così come era allorché in quella zona si svolgeva il fronte di combattimento.
«In effetti il piccolo tratto già ripristinato, che va da San Vito Città a Guardiagrele, non potrà soddisfare ai bisogni industriali e al movimento di Lanciano, fiorente centro industriale, e degli altri comuni limitrofi, fino a quando non venga rimesso in esercizio il tratto tra la ferrovia dello Stato e San Vito Chietino, e tra Lanciano-Castel di Sangro-Archi-Atessa-Guardiagrele ed Ortona, anche essi cospicui centri agricoli e industriali.
«Tale incuria è in contrasto col programma governativo di ricostruire innanzi tutto le vecchie linee danneggiate dalla guerra, e suscita il più vivo fermento di numerose popolazioni, che invocano invano l’unico mezzo vitale di comunicazione a loro consentito, mentre la ricostruzione di dette linee, oltre a dare lavoro ai numerosi disoccupati della zona e riattivarne il commercio e l’industria, agevolerebbe efficacemente la ricostruzione dei paesi funestati dalla guerra, che, come è noto, in quella plaga sono fra i più danneggiati d’Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Lopardi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non intenda procedere ad una modificazione del decreto-legge 14 maggio 1940, n. 384, che dispone il collocamento nella riserva e nella posizione ausiliaria di ufficiali generali e superiori delle forze armate, dato che detto provvedimento pone in una ingiusta condizione di inferiorità di trattamento economico proprio quegli ufficiali che non vollero servire dopo 1’8 settembre 1943 nell’esercito repubblicano fascista. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Binni, Preti».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se voglia considerare l’opportunità di accordare anche ai coltivatori diretti produttori di riso, la concessione di chilogrammi 1 (uno) giornaliero pro-capite a favore di tutti i componenti la famiglia addetti ai lavori aziendali durante il periodo della monda, trapianto e taglio del riso, come viene praticato per gli avventizi agricoli.
Si fa presente che i coltivatori diretti ed i loro famigliari compiono i lavori agricoli unitamente agli avventizi, per cui è necessario un trattamento, nel campo alimentare, identico. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bertola, Pastore Giulio, Sampietro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze e tesoro, per conoscere se e come intendano provvedere a risarcire gli agricoltori d’Abruzzo che dai tedeschi furono depredati del bestiame da lavoro e se non ritengano opportuno – anche per incrementare la ripresa dell’agricoltura in quelle zone e tanto più che fino ad oggi è stato inspiegabilmente negato qualsiasi indennizzo per danni ad aziende agricole – assegnare, ad essi, animali da lavoro provenienti dai soccorsi UNRRA o da importarsi espressamente da altre regioni o dall’estero. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Paolucci».
«II sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati o intenda di adottare per favorire il collocamento di tutta quella maestranza disoccupata che, a causa della guerra, non ha potuto formarsi una capacità lavorativa specifica.
«Risulta infatti che mentre molti disoccupati semplici manovali non riescono a trovare occupazione dopo tanti anni di sacrifici, l’industria richiede mano d’opera specializzata che non trova.
«Si chiede inoltre che venga reso noto l’impiego fatto degli 800 milioni stanziati nel bilancio per l’esercizio 1946-47 dal Ministero dell’assistenza post-bellica per l’addestramento professionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Balduzzi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se siano state assunte informazioni dirette e sicure sulla serietà del giornalista americano che con lettera datata da Cabul e pubblicata sui giornali Il Buonsenso di Milano e l’Unione Monsegalese di Mondovì, ha affermato che esistono confinati in Siberia sedicimila prigionieri italiani; quali informazioni, specialmente in provincia di Cuneo che ha dato decine di migliaia di alpini all’Armir, ha suscitato rinnovate speranze in tante famiglie, sollecitanti e imploranti una soluzione al loro dubbio angoscioso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bubbio».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere perché – nonostante le continue richieste ed insistenze – non ancora si è provveduto alla modifica del testo sulla pesca con l’aggravamento delle sanzioni, e se si ritiene urgente disporre provvedimenti particolari per la tutela della pesca nel porto di Napoli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Riccio Stefano».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se intenda – data la particolarissima situazione in cui vengono a trovarsi i coltivatori della canapa – emanare un provvedimento per la revisione del canone di fitto in natura a favore dei contadini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Riccio Stefano».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per chiedergli se approva i seguenti criteri seguiti nella Università di Napoli:
1°) di tenere coperte per incarico cattedre di materie fondamentali con annessi istituti e musei;
2°) di sdoppiare alcune cattedre di materie biennali, assegnando come incarico il secondo corso a professori di ruolo;
3°) di assegnare incarichi presso altre facoltà a professori di ruolo per la stessa materia che insegnano ufficialmente;
4°) di assegnare incarichi, in contrasto con l’ordine di preferenza, segnato dall’articolo 9 del testo unico sull’istruzione superiore. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Riccio Stefano».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 15.
Ordine del giorno per la seduta di lunedì, 28 aprile 1947.
Alle ore 15:
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.