Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI SABATO 15 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LXIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 15 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Cappa, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio                               

Martino Gaetano                                                                                            

Canepa                                                                                                              

Rodi                                                                                                                  

Partecipazione dell’Italia agli Accordi firmati a Bretton Woods, New Hampshire, U.S.A., il 22 luglio 1944, dai rappresentanti delle Nazioni Unite, per la costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Seguito e fine della discussione):

Foa                                                                                                                    

Pesenti                                                                                                              

Marinaro                                                                                                         

La Malfa, Relatore                                                                                           

Campilli, Ministro delle finanze e del tesoro                                                       

Presidente                                                                                                        

Perassi                                                                                                              

Bonomi Ivanone, Presidente della Commissione                                                

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                     

Richiesta di svolgimento di interpellanza:

Gortani                                                                                                            

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                     

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati: Lucifero, Dossetti, Colonnetti, Fiore, D’Amico Diego, Spataro.

(Sotto concessi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Volpe, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere i motivi dell’esclusione degli insegnanti orfani di caduti nella prima guerra mondiale dal beneficio di preferenza nelle supplenze di cui usufruiscono gli insegnanti orfani dell’ultima guerra; e per chiedere provvedimenti di riparazione a questo stato di stridente ingiustizia».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Martino Gaetano, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se risponde a verità che l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica abbia disposto, con sua circolare ai Prefetti ed agli Uffici sanitari provinciali, che venga sospesa la rigida applicazione delle norme del Codice penale e del testo unico delle leggi sanitarie, le quali vietano l’esercizio abusivo della professione di medico odontoiatra. E per conoscere, nel caso affermativo, quali ragioni abbiano ispirato tale provvedimento

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di parlare.

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Rispondo per l’Alto Commissario all’igiene.

L’esercizio abusivo di una professione sanitaria è perseguibile a norma del Codice penale e può dar luogo, in sede amministrativa, a provvedimenti di polizia in base all’articolo 101 del testo unico delle leggi sanitarie, che conferisce ai Prefetti la facoltà di disporre la chiusura del locale ed il sequestro del materiale destinato all’esercizio abusivo di dette professioni. Con circolare 23 dicembre 1946, allo scopo di reprimere il dilagante abusivismo nell’esercizio dell’odontoiatria, questo Alto Commissariato ritenne opportuno richiamare i Prefetti alla piena e rigorosa applicazione delle norme vigenti in materia. Tale rigore, dopo molti anni di tolleranza, ha dato luogo a risentimenti, agitazioni collettive e minacce gravi contro i denunzianti, nonché ad un autorevole intervento da parte della Confederazione generale italiana del lavoro presso l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica.

Allo scopo di ovviare all’acuirsi di tale situazione ed in considerazione che tutto l’annoso e complesso problema è al riesame dell’Alto Commissariato stesso, si è ritenuto necessario segnalare ai Prefetti l’opportunità di applicare le istruzioni con tatto e moderazione, onde evitare spiacevoli incidenti. In tale senso è stata diramata una circolare, alla quale naturalmente non può in nessun caso attribuirsi carattere sospensivo delle disposizioni in materia di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie.

Pertanto, continuano ad avere vigore le disposizioni sulla disciplina giuridica delle professioni sanitarie, alle quali, com’è ovvio, non potevano apportarsi limitazioni o sospensioni con le raccomandazioni contenute nella predetta circolare.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARTINO GAETANO. Mentre ringrazio l’onorevole Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per la cortese risposta alla mia interrogazione gli do atto ben volentieri delle buone intenzioni che, a quanto pare, hanno ispirato l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità. Di queste peraltro io non ho mai dubitato e se questa interrogazione ho presentato, non è certo per muovere garbato appunto alle intenzioni, bensì, piuttosto, al provvedimento che è stato adottato. Gli occhi del nostro intelletto sono muniti di lenti colorate e il mio colore non è analogo a quello dell’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. Dove questi vede una questione sindacale, io vedo invece un problema di morale e di pubblico interesse.

Evidentemente la visione sindacale del problema legittimerebbe e l’intervento della Confederazione generale del lavoro e il provvedimento conseguente dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità. Ma, né quell’intervento, né questo provvedimento possono giustificarsi, se si pensa – come io penso – che lo scopo dell’articolo 348 del Codice penale e dell’articolo 101 del testo unico delle leggi sanitarie non è già quello della difesa degli interessi di una categoria di professionisti, ma è quello della difesa della sanità dei cittadini, della difesa della società. Ma dirò di più: il vero problema è quello di ordine generale, se, cioè, possa essere consentito in un ben ordinato sistema politico ad un Ministro o ad un Alto Commissario di tentare di sospendere con una sua circolare gli effetti di leggi repressive di un reato o anche solo di tentare di attenuarne o limitarne l’applicazione.

Questo è, a parer mio, il vero problema, problema che supera evidentemente il significato del fatto specifico da me denunziato.

Devo dichiarare se sono soddisfatto? Ebbene, evidentemente no.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Canepa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’interno, «per sapere, in seguito alla risposta scritta all’interrogazione sul tema «Alberghi e Turismo», tenuto conto della scarsa efficienza dei due decreti legislativi 29 maggio 1946, quali siano in Italia le reali condizioni del turismo e che cosa si faccia per imprimere a questa industria lo sviluppo necessario all’economia nazionale».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

CAPPA. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Data la grave situazione in cui versa l’economia nazionale, i due decreti legislativi n. 452 e n. 453 del 29 maggio u.s. hanno un’importanza che non si deve sottovalutare e costituiscono un primo passo verso la ricostruzione alberghiera. Coi contributi di cui al decreto n. 452, infatti, si dà ai privati la possibilità di effettuare lavori di costruzione e di ricostruzione di alberghi, stabilimenti e rifugi di carattere turistico, per l’importo di oltre tre miliardi e mezzo. Istanze di contributi a fondo perduto o rateali sono cominciate a pervenire ai competenti uffici del Governo; ed il loro numero crescerà man mano che sarà possibile agli interessati corredare le domande stesse dei richiesti documenti.

Altra concessione non trascurabile prevista dal citato decreto, è l’esenzione dalla normale imposta fabbricati e dalle relative sovrimposte comunali e provinciali, per un periodo di venticinque anni, a favore di tutti gli esercizi ricettivi costruiti, ampliati o ricostruiti entro cinque anni. Si fa riserva di chiedere al Tesoro una maggiorazione degli stanziamenti, al fine di aumentare la consistenza del patrimonio ricettivo, ed è allo studio una modifica alle norme procedurali del decreto legislativo luogotenenziale n. 452 tendente a facilitare le concessioni dei contributi.

Il movimento turistico è stato finora limitato, a causa degli avvenimenti bellici e delle devastazioni che ne sono derivate all’economia generale del Paese. Per l’anno in corso si delinea, peraltro, una ripresa del flusso turistico, ad incoraggiare la quale serviranno: la riattivazione delle ferrovie e delle altre linee di comunicazione; la propaganda svolta a nostro favore – d’intesa con l’E.N.I.T. – da riviste straniere; l’opera di agenti all’estero, i quali hanno il compito di richiamare l’attenzione dei turisti stranieri sui valori turistici dell’Italia; l’appoggio che viene dato alle manifestazioni d’arte e di cultura, ecc.

Così, in attesa di maggiori possibilità, l’attività turistica – il cui sviluppo è connesso con la ricostruzione nazionale – può segnare al suo attivo le prime premesse per un ritorno graduale, ma costante, al livello dell’anteguerra.

Sono stati portati a termine gli studi per la riorganizzazione degli uffici centrali del Turismo. I due schemi di legge, uno relativo alle attribuzioni dell’organo di Governo, l’altro, riguardante un Ufficio centrale tecnico, principalmente di propaganda in Italia e all’Estero, e di coordinamento fra i vari enti ed associazioni di categoria che interessano il turismo, sono già stati trasmessi dalla Presidenza ai ministeri competenti per il parere e le osservazioni del caso e saranno in una delle prossime riunioni presentati al Consiglio dei Ministri per l’approvazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Canepa ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CANEPA. Prendo atto con soddisfazione della risposta dell’onorevole Sottosegretario alla Presidenza, in quanto annunzia l’imminente decreto costitutivo del Commissariato del turismo. È la risposta che mi aspettavo dopo che il Presidente del Consiglio ha accettato l’ordine del giorno che ho svolto nella tornata del 24 febbraio u.s. E la sua risposta sarà gradita anche da quanti hanno partecipato al congresso di Palermo, che ha avuto luogo in questi giorni e che ha ripetuto appunto questa istanza.

Non posso peraltro non insistere per quanto riguarda la questione delle riparazioni degli alberghi lesionati dalla guerra. Non è che io sottovaluti i decreti del 24 maggio 1946, con cui, invece di accogliere la mia proposta di devolvere il compito ai Comuni, si è stanziato una lieve somma per la riparazione degli alberghi lesionati dalla guerra. Non è, dicevo, che io sottovaluti questa disposizione, e specialmente la buona intenzione che essa dimostra, ma purtroppo questo decreto non ha prodotto un risultato apprezzabile, perché il contributo era del tutto inadeguato. Infatti i danni mobiliari e immobiliari prodotti dalla guerra agli alberghi si calcolano in 12 miliardi, cifra che forse è inferiore ancora al vero.

Ora mi pare che lo Stato dovrebbe partecipare con almeno il 3 per cento non il 2 e mezzo in riduzione della quota annua comprensiva dell’interesse e dell’ammortamento presso la Banca del Lavoro, sezione credito alberghiero.

Ammesso che lo Stato intervenga soltanto fino alla concorrenza del 50 per cento, cioè per 6 miliardi, ne risulta 6 moltiplicato 3, un minimo stanziamento venticinquennale di 180 milioni, mettiamo 200 in cifra tonda.

Con questo stanziamento il problema sarebbe risolto e in breve ripristinato l’assetto alberghiero.

Non mi obiettate le condizioni dell’erario. Dico che nessuna spesa potrebbe essere più di questa utile all’erario, in quanto salverebbe la lira, e senza la salvazione della lira non si va avanti. È proprio così. Perché i forestieri non domandano di meglio che di tornare in questa Italia ad essi tanto gradita. Leggete l’ultimo numero del Joumal de Genève che è in sala di lettura dei giornali esteri. C’è un bellissimo articolo su Taormina e dice che già 100 svizzeri sono tornati a stare a Taormina, e che altre centinaia sono pronti a seguirli, purché trovino alloggio negli alberghi. Questo per quanto riguarda la Sicilia, ma altrettanto posso dire – perché mi consta personalmente – per quanto riguarda la Riviera Ligure.

Devo, oltre a questo, insistere perché il soggiorno degli stranieri non sia limitato. Qualcosa si è fatto. Sono stati dati ordini alle questure perché facciano un discrimine fra forestieri desiderabili e forestieri indesiderabili. Qualche cosa si è fatto, ma non ancora abbastanza. È insensato per sterili preoccupazioni poliziesche disseccare una fonte di vantaggi morali e monetari. Prego, pertanto, il rappresentante del Governo di volere, per mezzo del Ministero dell’interno, dare ordini espliciti. Bisogna abolire i «visti». Bene ha fatto il Ministro degli esteri a ordinare ai consoli di non voler sottoporre a interminabili formalità burocratiche il rilascio dei passaporti. Auguro che il Governo prenda tali provvedimenti, per cui il grande Congresso nazionale del turismo che si terrà in maggio a Genova, abbia a dargli un voto di plauso.

Concludo dicendo che ho letto in questi giorni che l’Inghilterra ha proposto all’Italia l’abolizione dei passaporti tra l’Italia e la Gran Bretagna. Io spero che il Ministro degli esteri accoglierà questa proposta e confido che tale accordo tra la Gran Bretagna e l’Italia segnerà davvero l’inizio di un’era nuova, di un’era in cui siano eliminali gli ostacoli che oggi impediscono alla gente di muoversi e la tengono inchiodata al suolo. È appunto questo avvenire in cui l’umanità possa almeno camminare, almeno svolgere la propria attività, è questo avvenire che sarà inaugurato da tale soppressione dei passaporti tra l’Italia e l’Inghilterra. (Applausi).

CAPPA. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Assicuro l’onorevole Canepa che le sue osservazioni sono in gran parte condivise dal Governo e che terremo nel maggior conto i rilievi ulteriori che egli ha fatto nel corso della sua replica.

PRESIDENTE Segue l’interrogazione dell’onorevole Rodi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere le ragioni per le quali è stata ripristinata l’efficacia del decreto-legge 14 gennaio 1944, n. 13, riguardante la disciplina della stampa, considerato che: 1°) il provvedimento è stato preso dal Consiglio dei Ministri subito dopo l’aggiornamento dell’Assemblea Costituente, che doveva essere consultata in proposito; 2°) l’articolo 4 del decreto in questione, imponendo l’obbligo agli editori dei giornali di richiedere ogni tre mesi una nuova autorizzazione, pone praticamente la stampa alla discrezione delle autorità competenti e di eventuali interferenze di natura politica; 3°) l’articolo 7 dello stesso decreto dispone che le norme ivi contenute vanno applicate per tutta la durata della guerra, il cui stato è ora ufficialmente cessato; 4°) il provvedimento in parola non trova giustificazioni plausibili nell’eccessivo esercizio della libertà di stampa, perché ogni licenza può e dev’essere punita con le leggi ordinarie».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Data l’importanza della legislazione sulla stampa, che deve trovare il suo fondamento nei diritti di libertà sanciti nella Costituzione, il Governo non ha ritenuto di poterla emanare di sua iniziativa, ed ha nominato una Commissione di studio per la redazione di un progetto, da sottoporre all’Assemblea Costituente.

La Commissione ha ultimato i suoi lavori, nei quali ha tenuto largamente conto dei principî che sono stati accolti dalla prima Sottocommissione della Costituente in questa materia.

A tali principî fondamentali si ispira la disciplina della stampa contenuta nel progetto definitivo ieri stesso rassegnato al Consiglio dei Ministri che, giusta l’impegno assunto dal Presidente del Consiglio nelle sue recenti dichiarazioni, sarà prossimamente presentato all’Assemblea Costituente.

Nel frattempo è stato necessario prorogare, ancora per breve termine, le disposizioni provvisorie del decreto Badoglio del 1944, la cui efficacia era limitata alla durata dello stato di guerra.

È da rilevare che il decreto non prevede particolari sanzioni per i reati di stampa, i quali continuano ad essere puniti secondo le disposizioni penali vigenti.

Inoltre l’articolo 4, che impone agli editori l’obbligo di chiedere una nuova autorizzazione ogni tre mesi, non è stato mai praticamente applicato, mentre per quanto riguarda la concessione delle autorizzazioni il Governo può assicurare che l’azione dei competenti organi amministrativi è stata sempre ispirata a criteri assolutamente obbiettivi ed al rispetto della maggiore libertà, evitando qualsiasi interferenza di natura politica.

PRESIDENTE. L’onorevole Rodi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

RODI. Sono spiacente di non potermi dichiarare soddisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario alla Presidenza, perché il problema della libertà di stampa è diventato, specialmente oggi, alquanto scottante.

La mia interrogazione fu presentata nello scorso agosto, vale a dire sette mesi fa. Ma ora sono intervenuti fatti nuovi, per cui è necessario che di questa libertà di stampa si parli. Fra questi fatti nuovi io non voglio citare, per esempio, una circolare che prescrive la censura sui copioni teatrali, perché anche questa circolare potrebbe essere di carattere provvisorio; ma penso che una censura oggi sulla libertà del pensiero riesce dannosa non soltanto perché ricorda tempi ormai tramontati, ma anche perché è chiaro – psicologicamente chiaro – che ogni divieto induce ad usare astuzie per raggiungere quell’intento nel campo artistico che non si può raggiungere con vie legali.

Inoltre, qualche giorno fa, in questa Assemblea è stata discussa un’interpellanza da parte dell’onorevole Grilli, il quale ha fatto una distinzione fra stampa onesta e stampa disonesta. Che la stampa disonesta debba essere punita è chiaro, ma l’onorevole Grilli – poiché lamentava che nei processi che riguardano i reati di stampa la magistratura è generalmente lenta e generosa – invocava che le punizioni dei colpevoli della stampa disonesta fossero attuate in un modo singolare, cioè impedendo che vi sia una stampa disonesta. Ora non è possibile impedire che una determinata stampa diventi in un certo determinato momento una stampa disonesta. Quindi noi pensiamo che, essendo soltanto la magistratura competente in questo campo, nella peggiore delle ipotesi il Governo provvederà a che la magistratura sia meno lenta e meno generosa e provveda a colpire chi attraverso la stampa ha dimostrato di essere disonesto.

E lo strano è questo: che alle proposte dell’onorevole Grilli si associava il Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale, annunziando che la legge sulla stampa sarebbe stata rigorosa, pregava l’Assemblea di renderla ancora più rigorosa. Ora, io comprendo benissimo i sentimenti dai quali è stato mosso il Presidente del Consiglio dei Ministri, perché tutti quanti sentiamo la necessità di una stampa onesta; specialmente nella stampa noi desidereremmo che tutti attuassero un criterio di superiore moralità: ma è chiaro che per ovviare a questo inconveniente le leggi speciali sono controproducenti. La legge speciale induce sempre a cercare una via sotterranea, perché alla disonestà si giunga in maniera diversa. Del resto, la preoccupazione dell’onorevole Grilli e dell’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri si riferiva alla calunnia e alla diffamazione. È ben doloroso per un amministratore, per un Ministro, essere accusato di qualche cosa che egli non ha commesso; ma noi pensiamo che la legge speciale, anche in questo caso, è negativa, poiché contro le calunnie si combatte con l’onestà della vita pubblica e privata. Sono convinto che nessuno insiste sulla calunnia quando si tratta di esponenti onesti. Anzi, credo che l’unica arma per salvaguardarsi dalla calunnia e dalla diffamazione attraverso la stampa sia proprio quella della onestà della vita pubblica e privata, e quando la calunnia e la diffamazione dovessero estendersi, provvederà a questo la magistratura ordinaria.

Ad ogni modo, poiché in questi giorni è stato dato un allarme per quanto riguarda la libertà di stampa, prego il Governo di tener presente che, specialmente in questo periodo, che chiamiamo democratico, sia lasciata la massima libertà alla stampa, e che tutti i reati di stampa siano legalmente puniti con la massima severità. Ma l’importante è che si conservi sempre e soprattutto la libertà del pensiero umano.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Ne ha facoltà.

CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Debbo replicare a mia volta perché non sono soddisfatto della replica dell’onorevole interrogante. Negare che attualmente esista una delle, maggiori libertà di stampa nel nostro Paese è negare la realtà. Noi abbiamo a Roma ventitré giornali politici quotidiani e nessuno di questi (almeno da otto o nove mesi, cioè da quando io sono alla Vicepresidenza del Consiglio) ha avuto, nonché il minimo disturbo, la minima osservazione. Può l’interrogante eccepirmi che, anche di recente, una qualsiasi richiesta di autorizzazione di amici dell’interrogante non abbia avuto liberamente corso e soddisfazione?

Ad ogni modo, c’è un disegno di legge sulla stampa all’esame del Consiglio dei Ministri che sarà prossimamente presentato all’Assemblea Costituente. Vedranno i colleghi delle varie parti dell’Assemblea se questo disegno di legge poteva essere ispirato a criteri di più perfetta libertà di stampa. La censura teatrale, contro cui ha parlato l’onorevole interrogante, procede con una tale prudenza, con una tale moderazione, che la Presidenza del Consiglio riceve osservazioni da destra e da sinistra perché non agisce abbastanza severamente.

Il Governo cerca di contemperare le esigenze degli uni e degli altri, le esigenze cioè della libertà di pensiero e le esigenze della opinione pubblica in materia di rispetto del buon costume e dei nuovi ordinamenti repubblicani.

Ritengo, insomma, che gli organi competenti hanno dimostrato in questo senso un criterio di moderazione che deve essere apprezzato anche dai colleghi dell’estrema destra.

L’onorevole interrogante ha polemizzato con l’onorevole Grilli. Non spetta a me rispondere su questo, ma faccio presente che nessuna legge speciale avrà ragione di prevalere di fronte alla legge sulla stampa, nel senso che questa disciplinerà questa speciale materia; e sarà una legge ispirata ai principî della libertà di propaganda del pensiero, perché sopprime il bisogno di autorizzazione, perché lascia largo limite alla polemica politica e si riferisce, per quello che è repressione dei reati, al Codice penale.

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato allo svolgimento delle interrogazioni.

Seguito della discussione del disegno di legge: Partecipazione dell’Italia agli Accordi firmati a Bretton Woods, New Hampshire, U.S.A., il 22 luglio 1944, dai rappresentanti delle Nazioni Unite, per la costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. (6).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Partecipazione dell’Italia agli accordi firmati a Bretton Woods, New Hampshire, U.S.A., il 22 luglio 1944, dai rappresentanti delle Nazioni Unite, per la costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. (6).

È iscritto a parlare l’onorevole Foa. Ne ha facoltà.

FOA. Voterò, con gli amici del mio Gruppo, a favore del disegno di legge. E poiché sono anche persuaso che l’approvazione da parte di questa Assemblea non mancherà, avrei voluto rinunciare a far sentire la mia parola in questo dibattito, tanto più che sono rimasto io stesso leggermente impressionato dall’atmosfera di premura, di urgenza che, a mio giudizio, si è voluta creare attorno alla discussione di questo disegno di legge.

Ritengo, tuttavia, di non poter rinunciare alla parola e sento come un dovere di coscienza di richiamarvi ancora una volta alla responsabilità di questa Assemblea nell’atto in cui essa darà l’adesione al disegno di legge proposto dal Governo, alla responsabilità di questa Assemblea circa le conseguenze che sono implicite nell’accettazione del disegno di legge.

Il Governo aveva, a mio giudizio, la facoltà costituzionale di decidere da solo l’adesione a Bretton Woods. In quanto esso ha rimesso all’Assemblea Costituente la decisione, io non penso che il Governo abbia voluto assicurarsi una adesione plebiscitaria, più o meno arricchita da dichiarazioni di voto: credo che il Governo abbia voluto giustamente trasferire all’Assemblea Costituente la responsabilità di un atto che impegna tutta la politica futura.

Avvertiva il Governo questa responsabilità? Può darsi; però a mio giudizio esso non ne ha dato dimostrazione. La preparazione degli accordi si è svolta in un modo quasi clandestino. Delle eccellenti inchieste che il Ministero del Tesoro e il Ministero della Costituente avevano fatto sulle questioni monetarie e sui problemi del risanamento monetario non hanno avuta alcuna diffusione nel Paese. E soprattutto, a mio giudizio, è grave che il Governo, nell’atto di presentare all’Assemblea Costituente un provvedimento che implica un preciso impegno non solo di fronte all’estero, ma anche di fronte al popolo italiano, un preciso impegno di politica monetaria, di politica finanziaria, di politica economica generale, non abbia sentito il bisogno di dire una sola parola. Io comprendo che questo non è forse il momento e la sede di un ampio dibattito sulla situazione finanziaria ed economica; tuttavia il Governo aveva, a mio giudizio, il dovere di far comprendere all’Assemblea che esso avvertiva la responsabilità del fatto per il quale si chiede la nostra approvazione. Noi abbiamo sentito, invece, semplicemente accennare ai possibili e più lo meno grandi vantaggi immediati che possono derivarci dalla nostra adesione al Fondo ed alla Banca internazionale di Bretton Woods.

Ritengo, soprattutto, che in seno a questa Assemblea si debba dissipare una impressione che può essere stata data nel Paese da parte di quelle pochissime sporadiche manifestazioni di stampa, nel quasi generale disinteresse dell’opinione pubblica per questo problema. In un giornale economico del mattino dell’altro giorno ho visto enunciato questo pensiero: che non bisogna prendere sul serio l’impegno di stabilizzazione; che, in fondo, oggi si tratta di richiedere vantaggi e benefici immediati attraverso la nostra adesione al Fondo e alla Banca; ma che, in fondo, l’Assemblea Costituente dovrebbe onestamente far comprendere che questi impegni di stabilizzazione nel mondo attuale non contano più nulla.

Ora io credo che se può essere logico che a qualcuno venga in mente o interessi di svalutare gli impegni di stabilizzazione e di richiamarsi al fallimento di tutte le conferenze e di tutti i tentativi di organizzazione economica internazionale dopo l’altra guerra, credo che l’Assemblea Costituente italiana non possa accettare questo punto di vista, il quale sarebbe puramente e semplicemente una truffa. Se noi sottoscriviamo all’impegno di stabilizzazione, siamo responsabili della sua esecuzione e dobbiamo richiedere al Governo di eseguirlo con la massima serietà.

Questo è lo spirito che dovrebbe presiedere da parte dell’Assemblea Costituente nella sua approvazione agli Accordi di Bretton Woods.

Dirò subito che noi dobbiamo dare atto al Governo delle condizioni specifiche dell’accordo. Quando il Governo è andato a Bretton Woods e ha chiesto di entrare, l’alternativa era semplice: o prendere, o lasciare. Così pure non possiamo far carico al Governo di alcuni degli aspetti particolari, pur molto importanti, che sono insufficienti, a nostro giudizio, per garantirci l’esiguità della quota, la mancanza, per il momento, di nostri elementi nell’amministrazione esecutiva dell’Istituto internazionale, ecc. Sotto questo punto di vista è chiaro che il Governo non ha potuto finora fare di più di quello che ha fatto. Sarà bene, tuttavia, che l’Assemblea Costituente faccia sentire il suo stimolo, faccia sentire la sua insistenza presso i nostri uomini di Governo perché essi, quanto più rapidamente possibile, riescano a migliorare queste nostre condizioni.

Noi dobbiamo anche dare atto al Governo, in modo essenziale, di una circostanza, cioè che esso ha deliberatamente deciso di anteporre un’esperienza di stabilizzazione monetaria ad una stabilizzazione finanziaria ed economica del Paese. A nostro giudizio, questa anticipazione di una esperienza di stabilizzazione monetaria rispetto al risanamento del bilancio, che è lungi da venire, e al risanamento dell’economia e della produzione italiana, che è lungi da venire, questa anticipazione è giusta e valida ad una sola condizione, che la stabilizzazione monetaria, cioè, appaia e sia veramente uno degli elementi strettamente connessi ad un proposito costruttivo coordinato di risanamento finanziano ed economico. Perché se la stabilizzazione monetaria è nella mente dei nostri uomini di Governo ed in generale di tutti i responsabili della politica economica italiana come un provvedimento isolato, essa è destinata al fallimento.

Ha il Governo coscienza di questo? Io credo che se il Governo ne ha coscienza, ce lo deve dire nella sede più appropriata. Ma allora deve ricordarsi che questo impegno di stabilizzazione è emanato da una legge dello Stato italiano e vale perciò anche rispetto ai cittadini dello Stato italiano. E noi sappiamo che cosa comporta l’impegno di stabilizzazione, quali rischi, quali sacrifici, quali deliberate volontà. Io credo veramente che, sotto questo punto di vista, sia stato detto troppo poco da parte del Governo. Un accenno, un buon accenno, un misurato accenno di questa responsabilità noi l’abbiamo trovato soltanto nella eccellente relazione dei colleghi La Malfa e Lombardo, relatori per le Commissioni riunite. Io credo che questo accenno dovrebbe e potrebbe essere utilmente sviluppato, perché bisogna che l’Assemblea Costituente, nell’atto di decidere, mostri al Paese di conoscere le conseguenze della sua decisione e dell’impegno che assume.

In secondo luogo, dobbiamo dare atto al Governo di una circostanza fondamentale. Con questa adesione noi dichiariamo di rinunciare alla manovra monetaria nazionale e dichiariamo di volerci inserire nel quadro della cooperazione economica internazionale. Sotto questo punto di vista, però, io credo che non sia il caso oggi di fare né della retorica, né di abbandonarsi a del lirismo sul problema della cooperazione internazionale, soprattutto a due giorni di distanza dal messaggio di Truman; cioè a due giorni di distanza da un atto che ha messo in rilievo come questa cooperazione può anche avere un senso diverso da quello che noi ci auguriamo.

Tuttavia sta il fatto preciso che con il nostro provvedimento noi, Assemblea Costituente italiana, rinunciamo alla manovra monetaria nazionale. E questo, a nostro giudizio, è una cosa importante. Noi abbiamo fatto una dura, tragica esperienza di quella che è la manovra monetaria sul terreno nazionale.

Abbiamo ascoltato ed ascoltiamo con deferenza i richiami storici, l’apologia commossa che si fa del regime aureo, del paradiso perduto del secolo fra il 1814 e il 1914, e quando ci rendiamo conto lucidamente della situazione catastrofica che è susseguita colla prima guerra mondiale e dopo la prima guerra mondiale, dobbiamo aver lucida in mente questa circostanza e cioè che il sistema monetario che si è susseguito al sistema aureo era strettamente connesso ad un sistema economico che era figlio legittimo del sistema economico precedente. Non è stata la malizia degli uomini, non la volontà soggettiva di questo o quell’uomo politico, e di questo o di quel partito, che hanno determinato il passaggio dal sistema aureo al sistema delle monete manovrate in regime autarchico o semi-autarchico; è la logica situazione, è la logica conseguenza di quel regime di cui abbiamo ieri, con commozione e con deferenza, ascoltata la rievocazione da parte dell’onorevole Einaudi.

Però, questo sistema della moneta manovrata sul terreno nazionale, noi sappiamo che è un sistema fallito, è un sistema che tutte le nostre forze devono tendere a superare, e sappiamo che era connesso a precisi interessi che potevano a volte essere interessi indiscriminati di una politica imperiale e militare, che erano spesso gli interessi di quelle classi che lo sviluppo normale dell’economia aveva posto in una delicata situazione di decadenza. La manovra sul terreno nazionale salvava i profitti di quelle categorie, e, indubbiamente, non si sviluppava, a vantaggio degli interessi generali.

Anche per questa ragione specifica, cioè che lo strumento monetario di manovra nazionale aveva ed ha dimostrato di essere uno strumento di carattere privilegiato ed oligarchico, noi crediamo che debba essere risolutamente abbandonato. Ma quale è il sistema al quale noi andiamo incontro? Credo che in questa Assemblea Costituente non si debba fare della dottrina, fare della teoria sul sistema monetario, ma si debba valutare chiaramente quale può essere la conseguenza pratica alla quale il Governo italiano potrà andare incontro col fatto della sua adesione agli accordi di Bretton Woods.

Vorrei aggiungere ora una circostanza di carattere tecnico. L’onorevole Dugoni, molto opportunamente, ieri, ha posto una domanda relativa al modo come sarà pagata la quota al Fondo e alla Banca. Io credo che vi è un’altra domanda da fare: come sarà determinato il criterio di parità? È evidente che questo non è un problema che possa essere discusso in un’Assemblea politica. Questo problema spetta al Governo. Tuttavia, siccome grossissimi interessi sono coinvolti in questa questione, siccome è un problema che non può essere risolto unicamente con determinati dati statistici, attraverso la valutazione degli indici di inflazione interna o attraverso un’analisi comparativa dei costi attuali interni ed esteri, ma è un problema che coinvolge la previsione del ritmo degli incassi e delle spese di tesoreria, la previsione delle finalità dello strumento fiscale, la previsione della nostra politica commerciale, ed anche la previsione che abbiamo sentito ieri in quest’aula e sul cui contenuto io credo che qualche riserva debba essere fatta, dei possibili sconvolgimenti monetari esteri, che possono avvenire in un prossimo domani, e che avranno influenze decisive anche rispetto alla determinazione della nostra parità monetaria, questo significa che anche la questione della parità, che si può rinviare di qualche settimana o di qualche mese, ma che fatalmente dovrà venire all’ordine del giorno della politica del Governo, è una questione che implica delle previsioni, che non può essere, perciò, meccanicamente risolta, ma richiede una prospettiva chiara di azione su quello che si intende fare per il risanamento finanziario ed economico. Questo mi pare un punto decisivo, sul quale l’attenzione dell’Assemblea Costituente e l’attenzione del Governo dovrebbe essere energicamente richiamata.

Si è citata, a vantaggio del nostro Paese, una circostanza che può agevolare in un certo senso la nostra esecuzione degli Accordi, in risposta ai dubbi di coloro che suggeriscono di non porci nella difficile situazione che oggi andiamo ad assumere, perché tra qualche mese saremo costretti ad uscirne e saremo posti nella condizione di uno Stato che non mantiene fede ai suoi impegni; si è citata una garanzia di carattere statutario; e cioè la possibilità della svalutazione successiva del 10 per cento e del 20 per cento.

Ora io credo che è una questione di ordini di grandezza, e credo di non dover dire di più. La nostra esperienza monetaria, la nostra esperienza economica sa che i problemi di svalutazione che si pongono a noi hanno un ordine di grandezza, che non è quello previsto dagli statuti di Bretton Woods, ed hanno anche un ordine di grandezza che è diverso da quello possibilmente previsto per le tempeste monetarie che possono avvenire nei paesi anglosassoni.

Per questo credo che noi non possiamo dormire i nostri sonni tranquilli. Questo provvedimento ha un’importanza capitale che impegna tutte le nostre energie e, a questo proposito, vorrei dire che in questa sede non dobbiamo discutere la situazione del bilancio, né la situazione del tesoro. Però credo che si possa fare all’onorevole Ministro – sulle cui spalle grava veramente questa pesantissima responsabilità, di cui tutti ci rendiamo conto – un invito, rivolgergli un consiglio che è questo: noi crediamo che sarebbe veramente opportuno che la futura politica finanziaria e in generale la politica economica trovi modo di appoggiarsi più di quanto non abbia fatto fino ad oggi sui consensi, sulla collaborazione pratica delle forze politiche, delle associazioni economiche, della stampa, dell’opinione pubblica in generale; esca da quella clandestinità nella quale continua a trovarsi.

Si parla oggi, a ragione, del problema tragico delle spese pubbliche. Credo che nessun Ministro del tesoro, neanche Quintino Sella, o un uomo della durezza di Quintino Sella, se oggi sedesse al banco occupato dall’onorevole Campilli, potrebbe trovare l’energia di resistere a pressioni che tutti sentiamo profondamente giustificate dalle condizioni di vita del nostro Paese, quando noi sappiamo inoltre che troppo spesso, purtroppo, in altre amministrazioni, gli stessi Ministri, anziché resistere di persona a queste richieste, scaricano tutto sulle povere spalle del Ministro del tesoro; e rinviando la responsabilità alla sua persona, in un certo senso, accrescono la pressione. Ora io credo che questa questione delle spese pubbliche trovi una sua ragione profonda e giustificata e che il Ministro del tesoro con le sole sue forze e con la forza dei suoi funzionari non potrà resistere. Questo mi pare evidente. Noi potremo fare tutti gli ordini del giorno che vogliamo, tutte le pressioni che vogliamo, ma il compito è superiore alle sue forze. Quello che invece deve rendersi possibile al più presto, camminando passo passo, è un’altra cosa: i sacrifici che tutti dobbiamo affrontare, tutti i ceti sentiranno di doverli affrontare e li affronteranno se si hanno le garanzie di dove si va. Perché nelle attuali circostanze nessuno si sente in grado di poter rispondere di no a richieste che siano materialmente e moralmente giustificate, quando non si può dire: «guardate che questo sacrificio porterà un certo frutto comune domani» se lo spettacolo che ci sta di fronte si traduce invece, in realtà, in benefici per le categorie privilegiate.

Questo è il primo punto sul quale richiamo l’attenzione: se il Governo continua nell’attuale via, in questa situazione veramente di disordine, senza fare delle proposte, senza fissare una pianificazione, senza fare un appello e dare una motivazione profonda agli interessi del Paese, il Governo non può riuscire, qualunque sia la sua buona volontà. E questo argomento, mi permetto di ricordarvi, è strettamente congiunto agli impegni che ci assumiamo di fronte all’Italia e di fronte all’estero. Questo mi pare che sia veramente importante da ricordare.

Un secondo punto è questo: la gente non crede più alle promesse del Governo, non crede più ai programmi del Governo. Mi permetto di citare, a questo riguardo, un indice significativo: l’indice dell’andamento delle quotazioni del prestito redimibile. La caduta iniziale del redimibile 3.50 per cento era evidentemente dovuta, a mio giudizio, alla mancata esecuzione del cambio della moneta. L’ascesa successiva, che impegna grossissime partite di acquisti, rivela una circostanza interessante e cioè i capitali di fuga che all’atto dell’emissione non hanno sottoscritto, o hanno sottoscritto dopo per mettersi al coperto dall’imposta patrimoniale. Questo dimostra che la parola dei Governo non è più creduta, sia quando il Governo promette, sia quando il Governo minaccia. Bisogna quindi che il Governo si metta in condizioni di farsi credere.

Vi è un’altra circostanza interessante ed è la fenomenologia, la manifestazione di scivolamento della nostra valuta. Vi è oggi un fenomeno diverso da quello che avveniva prima: mentre prima vedevamo salire rapidamente il dollaro libero e successivamente i titoli industriali, assistiamo ora invece al fenomeno inverso: ciò significa che, nonostante tutti i divieti, tutti i limiti che sono stati stabiliti, nel campo industriale, la gente di affari non crede più a questi impegni; sa benissimo che il Governo può scrivere sul suo programma questo o quel provvedimento, ma non crede alla sua esecuzione. Sotto questo punto di vista, per la serietà dell’impegno, che dobbiamo assumere, nei rispetti fiscali ed economici, in generale, credo che l’adesione da parte dell’Assemblea Costituente ai Patti di Bretton Woods deve significare una svolta, un mutare strada.

Dobbiamo avere coscienza che, se approviamo gli accordi di Bretton Woods, con l’idea di continuare così come abbiamo fatto finora, noi sottoscriviamo un documento con la convinzione di non potere mantenere gli impegni.

Allo stato attuale, devo personalmente dichiarare che, se sapessi con precisione che il Governo e l’Assemblea Costituente non trovano una occasione per mutare decisamente strada, non darei la mia adesione, dovrei scindere la mia responsabilità da quella dell’Assemblea.

Credo che occorra chiarire un altro punto, senza fare della dottrina monetaria, ma prendendo sul serio queste cose.

Cosa significa il sistema di Bretton Woods, come funzionerà nei nostri confronti questo impegno di carattere internazionale, questo nuovo sistema monetario?

Credo veramente che oggi non è più il caso di porre l’alternativa: moneta manovrata o sistema aureo.

Il paradiso perduto del sistema aureo è veramente perduto. Ricordo le conferenze internazionali susseguitesi dopo la prima grande guerra, da quella di Bruxelles del 1920 a quella di Londra del 1933, attraverso quelle di Ginevra, di Stresa e dell’Aja, quelle Conferenze che si illudevano di poter riaffermare i principî del sistema aureo in confronto del protezionismo e dell’autarchia, che stava prendendo piede. Quella alternativa non esiste più.

Oggi per noi esiste un’altra alternativa: o moneta manovrata nazionale, o moneta regolata su scala supernazionale.

È chiaro anche che, nonostante le analogie che il sistema di Bretton Woods presenta rispetto al sistema aureo (che sono notevoli) i riaggiustamenti che conseguono a squilibri temporanei della bilancia dei pagamenti e la tecnica di questi riaggiustamenti prevista nello statuto del Fondo non possono basarsi su forze spontanee.

Intanto, in primo luogo, credo che le remore stabilite dallo statuto del Fondo (impegno di riscatto per la valuta eccedente, provvigioni crescenti per l’eccesso di valuta detenuto) non siano elementi sufficienti, quando lo Stato è dissestato, per poterlo fermare sulla china in cui si trova.

Credo che, anche nella ipotesi di normale funzionamento del Fondo, non possiamo più contare sulle forze spontanee di aggiustamento, per il fatto che gli elementi di rigidità, economici e sociali, nell’interno delle economie nazionali, non sono più il frutto d’un uomo o d’un partito; sono dati che si possono modificare soltanto in sede politica.

Questo per me è convincimento preciso: sono convinto che il giorno in cui vedessimo veramente funzionare il Fondo e dovessimo, per un caso di squilibrio d’una situazione debitoria nostra, riaggiustare il sistema dei prezzi nel nostro interno, per recuperare la posizione di equilibrio, non potremo affidarci alle forze spontanee e che i vecchi strumenti classici della manovra bancaria siano ormai organi insufficienti.

Quindi, anche per il normale funzionamento del Fondo, che dobbiamo auspicare, sotto questo aspetto penso che la previsione del Governo dovrebbe disporsi ad una politica di intervento, cioè disporsi veramente, nel caso in cui sorgesse la necessità, a modificare con interventi pubblici gli elementi di rigidità, che, altrimenti, farebbero saltare il sistema; se non ci si dispone, con visuale unitaria, a colmare le lacune che possono derivare da situazioni momentanee di squilibrio, ci troveremo in condizione di essere posti fuori del Fondo o di esservi ancora ammessi in una situazione incerta, in una situazione cioè già fallimentare.

Se ciò dovesse avvenire, preferirei che non dessimo la nostra adesione oggi, ma fra un anno. Credo che anche sotto l’aspetto del funzionamento normale del Fondo il Governo debba disporsi a pensare non ad una politica di automatismo, di spontaneità, ma di diretto intervento. Questa è la realtà che mi suggerisce la lettura degli accordi di Bretton Woods e delle polemiche che li hanno accompagnati nei vari paesi.

Voglio concludere con una osservazione di carattere più strettamente politico. Si dice oggi spesso che questo è il primo atto che ci pone sul piede di parità in sede internazionale, e cioè noi andiamo per la prima volta a testa alta in sede internazionale, ed assumiamo impegni di natura reciproca con gli altri Stati. Si aggiunge che ciò significa veramente che noi facciamo un primo passo verso la cooperazione internazionale. Ora io ripeto qui: non lasciamoci sedurre dalla bellezza delle parole. L’onorevole Corbino, con realismo e crudezza, ci ha dato una rappresentazione vivacissima della lotta feroce che i grandi capitalisti mondiali stanno conducendo l’uno contro l’altro, della lotta del dollaro contro la sterlina, ed egli ha fatto benissimo a richiamare su ciò la nostra attenzione. Noi dobbiamo comprendere questo richiamo alla realtà. Noi dobbiamo cioè comprendere che l’abbandono da parte nostra di una politica monetaria autonoma non significa per nulla la nostra adesione ad un sistema o di forze spontanee o di una economia regolata con criteri di giustizia. Criteri di giustizia in questa materia non esistono ancora nella realtà delle cose.

L’onorevole Corbino ci ha spiegato benissimo, e noi gliene siamo grati, la posizione di forza che all’economia ed alla politica degli Stati Uniti è fatta nel Fondo internazionale. Sotto questo riguardo dunque dobbiamo valutare il problema, soprattutto dopo il messaggio di Truman, dopo la manifestazione politica dell’altro giorno che è passata sopra le nostre teste come una ventata di tempesta, che purtroppo potrebbe anche abbattersi su di noi.

Dobbiamo tener gli occhi bene aperti. Non possiamo continuare una politica monetaria nazionale, e noi siamo quindi nettamente contrari a qualunque forma di nazionalismo economico.

Bisogna però che ci rendiamo conto che l’organizzazione economica internazionale di cui entriamo a far parte sarà ancora per lungo tempo dominata da forti gruppi particolari, ed è questo un pericolo per il nostro Paese. Perché è chiaro che se noi ci presentiamo a questa cooperazione economica internazionale nella situazione di anarchia economica feudale in cui ci troviamo, noi saremo fatalmente ridotti al rango coloniale. Ci presenteremmo, infatti, lasciando intatte le forze politiche ed economiche screditate, sempre state bisognose di protezione e fallite sul terreno politico ed economico, forze che rialzano la testa. E allora fatalmente, nei confronti dei nostri feudi economici, si svilupperebbe una politica analoga a quella che è stata la politica imperiale inglese nei riguardi dell’India, dove i principotti feudali erano sostenuti per assicurare il dominio sul Paese.

Un’altra alternativa è che l’Italia si dia un determinato ordine basato su prospettive pianificate. Allora io ritengo che i pericoli di essere asserviti si ridurrebbero notevolmente. Io credo che a queste condizioni, alle condizioni cioè che noi diciamo apertamente quale è l’ordine economico interno che ci vogliamo dare, tutti gli aiuti saranno i benvenuti e tutte le collaborazioni internazionali saranno proficue.

Quello che chiedo al Governo è moltissimo: so molto bene che qualunque uomo sieda oggi al Governo può fare invece pochissime cose. Nessuno, neppure noi che siamo all’opposizione, pretendiamo che il Governo possa fare miracoli; ma noi non chiediamo se non una modestissima cosa: che, invece di stare fermi e di fare passi indietro, si faccia qualche passo avanti. A questa sola condizione, noi crediamo che il Governo possa assumere un impegno internazionale di questa portata. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Pesenti. Ne ha facoltà.

PESENTI. Onorevoli colleghi, il disegno di legge che viene presentato alla nostra discussione propone di accedere agli accordi firmati a Bretton Woods il 22 luglio 1944 per la costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale di ricostruzione e di sviluppo. Esso pone di fronte al problema di accettare o meno, cioè, un accordo internazionale costituito senza la nostra partecipazione. Onorevoli colleghi, riconosciamolo subito; l’alternativa è puramente teorica, perché, data la nostra posizione internazionale, politica ed economica, è da escludere qualsiasi convenienza a rifiutare l’invito ad accedere agli Accordi in parola. Non è su questo punto, quindi, che può vertere la discussione dell’Assemblea, che ha infatti dimostrato di raggiungere a questo proposito l’unanimità. Ma è invece necessario che l’Assemblea dimostri al Paese di avere piena e precisa coscienza del carattere e dell’importanza degli accordi di Bretton Woods, nel loro aspetto di strumento internazionale e della posizione che verrà ad avere il nostro Paese in seno ai nuovi organismi economici internazionali. Ha assolto l’Assemblea a questi compiti?

Dal punto di vista del gruppo che io rappresento, credo di no.

L’onorevole Corbino ha illustrato egregiamente e con precisione, come in una lezione universitaria, il funzionamento del sistema aureo, l’instabilità monetaria succeduta dopo la prima guerra mondiale e il meccanismo istituito a Bretton Woods, esaltando la cooperazione internazionale che si intende raggiungere;

È stata una descrizione esauriente, che mi libera, tra l’altro, dal dovere di ripeterla, ma che a mio parere non ha reso il vero spirito, l’origine intima e il prevedibile sviluppo degli accordi che oggi discutiamo.

E l’onorevole Einaudi, ricordando i tempi della sua gioventù, ha magnificato con immagini brillanti il mitico oro, l’età aurea, lamentandosi che il mondo poi abbia tralignato, cambiato strada e vedendo negli accordi di Bretton Woods un grande passo per avvicinarci alla vecchia via, alla normalità.

Onorevole Einaudi: posso apprezzare la sua commozione, ma è inutile prendersela col mondo perché ha cambiato strada: quello che è necessario è comprendere perché il mondo ha cambiato strada, e, se può o non può ritrovare la vecchia via. Questo è il punto su cui credo necessario dire la mia opinione.

La moneta manovrata ha avuto la scomunica del professor Einaudi come una eresia, un’aberrazione del mondo moderno.

Ma è la moneta manovrata proprio una eresia o un elemento fondamentale costitutivo del mondo capitalistico, giunto nella sua fase di decadenza definitiva? È questa la domanda che io pongo, e se la risposta è affermativa, quale significato hanno gli accordi di Bretton Woods?

Dopo la prima guerra mondiale noi abbiamo visto, infatti, venire chiaramente alla ribalta questo nuovo fenomeno che, per semplificazione, possiamo chiamare «moneta manovrata». In questo termine noi vogliamo indicare tutti quei fenomeni monetari, deliberatamente voluti, che si sono verificati nelle stabilizzazioni monetarie del primo dopo guerra, ma più ancora quelli che abbiamo visto verificarsi durante e subito dopo la grande crisi del 1931-1933, anche se nella dottrina economica il termine di moneta manovrata abbia un significato più ristretto.

Cioè, dopo un lungo periodo di stabilità monetaria durato quasi un secolo – il secolo d’oro dell’età capitalistica – noi abbiamo avuto un fenomeno nuovo, la rottura di questa stabilità: inflazioni, deflazioni, svalutazioni, monete manovrate.

Gli economisti hanno osservato, è vero, che la tanto decantata stabilità del secolo scorso, basata sulla moneta aurea, era una stabilità apparente ed hanno rilevato i mutamenti di tendenza dei prezzi in rapporto al valore dell’oro. Questo fatto, anzi, è stato particolarmente studiato ed è stata un’arma teorica in favore di coloro che hanno sostenuto l’opportunità di abbandonare la base aurea per poter compiere una politica di espansione attraverso la manovra monetaria.

Comunque, la base aurea rappresentò effettivamente una condizione di stabilità economica, sia perché i mutamenti del livello generale dei prezzi avvenivano con una certa lentezza, sia perché, dato lo sviluppo delle relazioni economiche tra i vari Stati capitalistici, data la base aurea mondiale (per paesi già sviluppati capitalisticamente), essi si riflettevano subito in tutti i paesi capitalistici che si facevano la concorrenza reciproca. Il «trend» come dicono gli anglosassoni, era unico per i prezzi mondiali ed anche nella struttura economica interna questo mutamento si rifletteva lentamente, a lunga scadenza, tra le varie categorie sociali che intervenivano nella produzione, senza provocare subitanei eccessivi spostamenti di redditi o senza esercitare una influenza particolare, cioè come causa particolare, sulla dinamica del saggio del profitto.

La guerra 1914-1918 distrugge il sistema aureo e introduce una fase di instabilità monetaria.

Mi si può dire: nella storia ciò non rappresenta una novità: ogni grande rivolgimento storico ed economico ha portato a periodi di instabilità dei prezzi: vi sono state nella storia tante svalutazioni, altri annullamenti quasi totali delle monete.

Sembra, perciò, a prima vista, non corretto considerare sotto una luce tanto diversa i fenomeni monetari che si sono verificati in seguito alla prima guerra mondiale e giusto considerarli invece come fa il professor Einaudi «aberrazioni dalla retta via»; ma, se noi esaminiamo dialetticamente i problemi e non ci fermiamo alla superficie dei fenomeni, per cui tutti sembrano uguali, ne scopriamo la diversità.

La diversità è profonda: la politica di moneta manovrata che si è iniziata dopo il 1914, apre un nuovo periodo della storia economica del sistema capitalistico, capitolo che non prevede ritorni.

Vi sono nelle instabilità monetarie del dopo guerra dei caratteri nuovi, particolari, che si legano alla specifica struttura della società capitalistica, ormai dominata dal monopolio e dal capitale finanziario; per cui un fenomeno economico che inizialmente sembra imporsi come necessità, per leggi economiche superiori e che si sono imposte in altri momenti storici, diventa uno strumento cosciente nelle mani della classe dominante, uno strumento di sfruttamento, di cui la classe dominante fa uso «regolare».

Questo ci dice la pratica e la dottrina degli ultimi anni.

La guerra mondiale del 1914-1918, causata dai contrasti dei paesi capitalistici in lotta per la conquista dei mercati, intesa, assieme alle altre misure, ad arrestare la caduta del saggio del profitto, comporta delle spese che causano un deficit finanziario. Tale deficit non può essere colmato se non con prestiti ed emissioni di carta-moneta-imposta indifferenziata, di semplicissima esazione e che grava sui lavoratori a reddito fisso, sui piccoli risparmiatori.

Questo è un fatto inevitabile, date le spese e le distruzioni della guerra, benché la diversa misura con cui si ricorre a questo strumento sia un fatto cosciente; prova ne sono le violente discussioni sulla misura da dare ai prestiti, alle imposte e infine alla carta-moneta.

Ma ad un certo momento la cosa cambia di aspetto: ciò che era inevitabile diventa cosciente; strumento di lotta di classe all’interno, strumento di lotta nei contrasti di interessi con i capitalisti paesi stranieri. E noi possiamo seguire questa seconda fase in tutta la politica di stabilizzazione monetaria nel 1924-1928, e con maggiore chiarezza negli esperimenti monetari succedutisi durante e dopo la crisi 1931-34.

Chi ha studiato le vicende della politica monetaria dei vari paesi capitalistici dopo la guerra 1914-1918, non può non essere conscio della importanza che ha rappresentato l’arma monetaria nelle mani di gruppi di interessi per spogliare ceti sociali e provocare comunque trasferimenti di ricchezze e, nella concorrenza internazionale, come arma di penetrazione. Il dumping monetario si sviluppa allora.

L’arma monetaria diventa prevalente rispetto alle altre meno efficaci e politicamente più pericolose, tenuto conto dell’accresciuto senso di classe della massa lavoratrice e della vigilanza dell’avversario straniero.

Il ritorno alla parità aurea del 1925, che rappresenta la vittoria dei money interests della potentissima City, come direbbe il Marx, di fronte agli industriali interests, risente ancora della vecchia mentalità del capitalismo regolare, per così dire, che non è ancora ben conscio dell’importanza dell’arma monetaria, benché essa sia già stata usata nel continente e studiosi come il Keynes l’abbiano illustrata (Monetary Reform, 1923).

Ma quando la situazione del capitalismo industriale inglese si rende difficile, quando la forza organizzativa della massa operaia inglese mostra con lo sciopero del 1926 che non è possibile decurtare direttamente i salari, come può avvenire, per esempio, in Italia, quando l’industria carboniera tedesca e polacca, l’industria siderurgica e tessile degli altri paesi riduce le esportazioni e i profitti del capitalismo inglese e minaccia i mercati, allora, deliberatamente, il capitalismo britannico ricorre alla svalutazione della sterlina, alla moneta manovrata, alla creazione dell’area della sterlina in cui tutti i paesi economicamente tributari subiscono l’azione del centro economico capitalistico dominante. Il rapporto Mac Millan del 1931, preceduto del resto da articoli del Keynes, del Gregory e d’altri, è significativo.

Gli effetti dimostrano chiaramente gli scopi che si volevano raggiungere. All’interno: aumento di profitti, passaggio di ricchezze da categorie sociali ad altre, diminuzione relativa dei salari; all’estero: caduta dei costi inglesi in confronto di competitori stranieri, miglioramento delle esportazioni.

Negli Stati Uniti, quando nel 1933 vi è la svalutazione, questa avviene con un preciso scopo, che viene illustrato anche nella teoria della «reflazione» (Fisher The Theory of the Debt Deflaction). Ridurre il peso dei debiti, aumentare i prezzi, cioè i profitti, creare un trasferimento di ricchezza – cioè di frutto di lavoro – da categorie sociali ad altre.

In Germania, dopo la politica inflazionistica (che si chiuse nel 1924 e che fu fatta deliberatamente dal Paese vinto per riversare i pesi della guerra sulle masse lavoratrici e della piccola borghesia, e per sottrarsi agli impegni internazionali), abbiamo, nel tempo della crisi del 1929-1934, una diversa politica monetaria. Essa corrisponde alla diversa situazione di paese debitore – che si avvantaggia del non pagamento dei debiti (moratoria e trasformatoria) e di Paese in cui la punta reazionaria del capitalismo può, prendendo il potere con il nazismo, raggiungere gli scopi ottenuti altrove mediante le svalutazioni formali, con metodi diretti, controllando i prezzi nei vari settori, agendo all’interno attraverso la politica autarchica, i piani capitalistici, mentre nei riguardi dei competitori stranieri può ricorrere all’aggressione diretta o indiretta, di cui sono esempio i contratti di clearings jugulatori verso paesi agrari fascisti dell’Europa sud-orientale.

Ad una politica simile tenta di avvicinarsi l’Italia, che però, per la minore forza economica, non può compierla conseguentemente, come fa la Germania, e nel 1936 mescola i due sistemi: la svalutazione, l’attacco diretto ai salari e la conquista diretta dei mercati.

La Francia, che possiede una composizione sociale più equilibrata, e mercati relativamente sufficienti per la sua industria, segue una via diversa nella prima stabilizzazione. Questa viene attuata sotto la guida di quell’intelligente reazionario che era il Poincaré, tenendo conto degli interessi dei produttori industriali ad un livello che sconta il «coefficiente di inflazione», cioè il normale aumento dei prezzi durante il processo produttivo in una fase inflazionistica. Ciò provoca una forte svalutazione dei debiti, ma nello stesso tempo stabilizza una situazione di fatto che altrimenti, peggiorando, sarebbe andata a danno ulteriore dei risparmiatori.

Quando con la grande crisi e l’acutizzarsi della competizione internazionale la situazione interna e internazionale muta, le forze del mur d’argent tentano la prima via: l’attacco diretto inteso a mutare i rapporti tra le categorie economiche attraverso la politica di deflazione del Gabinetto Doumergue e di Laval. Di fronte alla resistenza delle classi popolari, si apre deliberatamente la seconda fase: la svalutazione sistematica, il trasferimento di redditi e l’aggressione indiretta contro le classi popolari attraverso la politica monetaria.

Risparmio per brevità l’analisi per gli altri paesi e giungo alla conclusione: dove il capitalismo finanziario è più accentrato e, soppresse le libertà popolari, ha gettato la maschera, la moneta manovrata rimane sempre come arma, ma si attua con forme particolari, con diversi aspetti: il controllo dei prezzi, la costituzione di diverse monete nei riguardi dell’estero (marco, lira-turistica, per il cotone, per il grano, ecc., rapporti diversi nei vari clearing). In questi paesi, del resto, è più facile controllare anche direttamente il mondo economico e il mercato in particolare con altri sistemi. Si possono assicurare profitti ai monopolisti anche direttamente in danno della media e piccola industria e dei lavoratori (limitazione degli impianti industriali – piani capitalistici – soppressione delle libertà sindacali – decurtazioni di salari). Nei paesi dove ciò non è completamente possibile, perché esistono altre condizioni generali rispetto all’interno del paese ed all’estero, si ricorre più chiaramente a quella che viene in certi casi chiamata col suo vero nome di «moneta manovrata»: manovrata, cioè, per raggiungere i seguenti scopi: impedire od attenuare la caduta del saggio di profitto, rialzando i prezzi di vendita e riducendo i costi; esercitare il dumping monetario, legare mercati diversi (area della sterlina).

Un fatto è certo: dopo la prima guerra mondiale non si vuol ritornare al sistema prebellico: il gold bullion standard non esiste più. Anche il gold standard e il gold exchange standard, fase intermedia, scompare di fatto quasi ovunque con la crisi del 1931; la moneta manovrata timidamente o apertamente in forme diverse, si instaura dovunque, apertamente difesa dalle teorie «reflazioniste», dalla prosperità attraverso mezzi monetari del Fisher, del Keynes, dell’Hagek.

Che significato hanno allora, dopo questa seconda guerra mondiale, gli accordi di Bretton Woods? È forse un ripudio definitivo della moneta manovrata e il ritorno al sistema aureo? Come costruzione tecnica può essere una via intermedia, ma come fatto politico-economico è la pace dopo la guerra, è la tregua consentita, è la Società delle Nazioni del 1919 (più che O.N.U.) nel campo economico con diritto di recesso, con regole vaghe, piene di tollerate eccezioni, cioè la disciplina, l’introduzione delle regole del gioco, nella lotta monetaria.

Vi è, è vero, la parità delle monete con l’oro, seguendo nel complesso la proposta nord americana (il progetto White prevedeva la Unitas di 10 dollari di fronte al Bancor di Keynes) con la possibilità di svalutare tutte le monete di fronte all’oro, quando i due maggiori Stati capitalistici, Stati Uniti e Inghilterra, che hanno più del 10 per cento dei voti, lo credono opportuno, e ciò per evitare che una caduta dei prezzi possa essere dovuta a deficienza di oro, ma sono ammesse svalutazioni, sia pure controllate di singole monete, sono ammesse sospensioni temporanee di parità monetarie, controlli per regolare le esportazioni dei capitali (fenomeno caratteristico dell’imperialismo e via maestra attraverso la quale si è introdotta la moneta manovrata); sono ammessi in certi casi limitazioni valutarie per i normali pagamenti correnti.

E poi… poi se ne parla fra qualche anno, perché su richiesta dell’Inghilterra che si trova nelle note difficili condizioni, per cinque anni, cioè fino al 1950 è possibile e qualche volta anzi consigliato, mantenere le restrizioni dei cambi. Così, tra le pieghe dei vari articoli, si insinua la moneta manovrata.

Del resto è opportuno che sia così, che gli accordi di Bretton Woods tengano conto della realtà odierna, delle necessità del sistema capitalistico di produzione giunto a questo stadio, tenga conto della esperienza tra le due guerre.

Riuscirà questa tregua economica stabilita dagli accordi di Bretton Woods a mantenere una certa stabilità nei rapporti monetari internazionali, a regolare la lotta monetaria o gli interessi particolaristici dei singoli Stati si imporranno a tutte le norme? A questa domanda risponderà l’avvenire. È opportuno porla per metterci in guardia dall’illusione che si vada decisamente e sicuramente verso un’era di spontanea cooperazione internazionale e di sistema aureo, che non ammetta ritorni al recente passato.

In modo particolare il futuro del sistema internazionale creato a Bretton Woods dipende dai rapporti tra i due maggiori Stati capitalistici, Stati Uniti e Inghilterra. Essi hanno una posizione preminente nel Fondo. Gli Stati Uniti da soli hanno il 31 per cento dei voti. L’Inghilterra da sola il 15,1 per cento, e il 25 per cento se si computano i voti assegnati agli altri Paesi dell’impero Britannico, esclusa l’Australia e la Nuova Zelanda, che non hanno ancora ratificato gli accordi. Ora i contrasti di interessi tra i due Paesi sono notevoli ed è per questo che gli accordi di Bretton Woods derivano da un compromesso tra il piano Keynes ed il piano White. È per questo anche che su richiesta dell’Inghilterra, per i primi cinque anni è possibile mantenere le limitazioni agli scambi e al commercio monetario che si ritengono necessari per raggiungere un assestamento definitivo.

Infine è da tener conto del gruppo di quei paesi che sono già fuori degli accordi; gruppo che può arricchirsi nel futuro per eventuali recessioni. Oggi questo gruppo non è omogeneo. V’è l’Unione Sovietica, paese importante e socialista, la Svizzera, paese a moneta forte, la Spagna a moneta debole. Domani questo gruppo può essere diverso e più omogeneo.

Onorevoli colleghi, quanto abbiamo detto se serve a dare una coscienza realistica della importanza e del significato dagli accordi di Bretton Woods, riguarda scarsamente il punto fondamentale che noi oggi siamo chiamati ad esaminare: gli eventuali vantaggi o svantaggi, cioè, che la nostra adesione procura al nostro Paese. Occorre di esaminare la convenienza della nostra partecipazione agli Accordi, anche non avendo praticamente possibilità di scelta.

Gli svantaggi sono determinati dagli obblighi che ci sono imposti. Gli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto, e quanto io stesso ho detto nella parte generale, hanno constatato che l’unico obbligo consiste nel versamento della nostra quota, la quale espressa in oro è per il Fondo di 45 mila dollari e per la Banca di 36 milioni. All’atto del deposito dello strumento dobbiamo pagare 1’1 per cento della nostra quota, cioè 1,8 milioni di dollari. Per quanto riguarda gli altri problemi, possiamo mantenere la regolamentazione dei cambi, dato che siamo Paese già occupato dal nemico; non è necessario che fissiamo subito una parità della nostra moneta e in particolare una parità con carattere abbastanza definitivo.

A questo riguardo, alcuni onorevoli colleghi hanno colto l’occasione per accennare alla politica monetaria e finanziaria del Governo e al problema di una eventuale stabilizzazione. Io credo che non sia questo il momento opportuno di discuterne, per quanto siano state molto giuste in proposito le osservazioni che ha fatto or ora l’onorevole Foa sugli obblighi che assumiamo di preparare la stabilizzazione. Certo il Governo non potrà compiere un atto così importante senza il parere di quest’Assemblea e in quell’occasione sarà da esaminare a fondo l’importante problema. A mio parere, comunque, non esistono oggi le condizioni per una seria stabilizzazione.

Obblighi, quindi, veri e propri immediati non ci sono, tranne quelli derivanti dalla partecipazione ad accordi che limitano la sovranità di tutti i partecipanti. Certo la nostra posizione in seno al sistema non corrisponde alla nostra importanza economica.

Per quanto Stati Uniti e Inghilterra da soli abbiano il dominio dei due Istituti, sicché anche un sindacato degli altri partecipanti non prevarrebbe, la posizione relativa dei membri ha sempre importanza, in particolare se si tiene conto anche dei Paesi fuori dell’accordo. All’epoca della formazione degli accordi fra le due tesi, quella sostenuta dal Keynes perché corrispondente agli interessi inglesi (che, per determinare il peso dei Paesi nella nuova organizzazione internazionale, intendeva basarsi sul volume degli scambi internazionali) e quella americana (White) che si basava principalmente sul volume delle riserve del reddito nazionale e delle fluttuazioni del commercio estero, è prevalsa nel complesso la tesi americana. La nostra quota di 180 è comunque inferiore al nostro peso economico (se pur inferiore alle nostre riserve!) e dovrebbe essere di almeno 300.

Quali sono i vantaggi che ci procura la nostra partecipazione?

Evidentemente il progressivo inserimento della nostra economia nell’economia mondiale è già un vantaggio, benché non sia misurabile e ciò ci imponga un serio esame di tutta la nostra organizzazione economica e possa anche porci di fronte a dure conseguenze.

Più concreti sono invece i vantaggi che gli accordi stabiliscono per gli aderenti. Il Fondo agisce come un serbatoio di divise per far fronte a temporanei sbilanci monetari.

È possibile acquistare divise pregiate (come dollari) contro moneta nazionale per una somma pari alla quota da versare: cioè, nel nostro caso, 45 milioni di dollari. Ciò in un anno e per 4 anni di seguito fino a raggiungere il 200 per cento della quota riservata al nostro Paese, cioè 180 milioni.

Se si confronta questa cifra col deficit della nostra bilancia di pagamento che si aggira, secondo i calcoli più recenti, fra i 6 e 700 milioni di dollari all’anno, si comprende l’esiguità del vantaggio.

La Banca internazionale può fare 1600 milioni di dollari di prestito diretti ed 8 miliardi di garanzie. Ma non c’è solo l’Italia a chiedere. Purtroppo ora il nostro Paese non è quello che offre le maggiori garanzie di buon investimento.

Onorevoli colleghi, l’impostazione realistica, salvo le divergenze di interpretazione che è stata data a questa discussione nei vari settori di questa Assemblea, è di buon auspicio.

Il popolo italiano, affronta la sua strada per la ricostruzione ed il progresso economico e sociale senza false illusioni, esaminando e prendendo coscienza della realtà.

Con queste premesse anche noi, gruppo comunista, riteniamo opportuno per il nostro Paese aderire agli accordi di Bretton Woods. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Marinaro. Ne ha facoltà.

MARINARO. Dopo quanto è stato detto dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto, mi limiterò a fare alcune brevi considerazioni, che, se non si trattasse di una legge tecnica, costituirebbero una semplice dichiarazione di voto.

Il disegno di legge in esame adombra due preoccupazioni: la prima concerne l’esiguità della quota assegnata all’Italia – 180 milioni di dollari – tanto più esigua se si pensi che uno dei mezzi principali per riequilibrare la nostra economia, cioè per adeguare quello di cui disponiamo con quello di cui abbiamo bisogno, è lo sviluppo del commercio con l’estero.

L’Italia è un superbo cantiere di lavoro, in potenza, avente una forza che gli altri Paesi ci possono invidiare. In realtà, uno dei problemi più urgenti che si impongono in Paesi come l’Inghilterra, la Svizzera e la Francia, è la scarsità di mano d’opera che, invece, in Italia abbonda. E se la nostra mano d’opera, con l’afflusso di capitali stranieri, potesse essere adibita a produrre non solo i beni indispensabili all’interno, ma anche molti beni e servizi indispensabili ad altri Paesi, il problema economico e sociale italiano potrebbe rapidamente avviarsi ad una felice soluzione.

Perciò l’approvazione al disegno di legge non può esser data se non coll’augurio che la quota di partecipazione dell’Italia venga sollecitamente riveduta, con maggiore aderenza alla realtà, della nostra situazione e dei suoi immediati sviluppi.

La seconda preoccupazione è stata ieri indicata dall’onorevole Dugoni, che ha voluto sottolineare le difficoltà di una dichiarazione di parità monetaria per quanto concerne la nostra lira.

Sono d’accordo con i relatori, onorevoli La Malfa e Lombardo, circa la necessità per l’Italia di mantenere talune restrizioni nei pagamenti e nei trasferimenti relativi ad operazioni internazionali e circa l’opportunità di tornare al più presto ad un regime di libertà dei cambi, con la consapevolezza delle nostre direttive politiche e soprattutto con i magnifici sforzi del nostro popolo, dedito al lavoro.

Tuttavia, fin da ora dovrebbe essere chiaro il proposito che al momento della dichiarazione di parità, non si cada nell’errore così funesto, verificatosi nel passato, di attribuire alla lira un contenuto aureo non rispondente a quello che tutte le condizioni del mercato sembrano determinare. Dovrà, invece, ricercarsi un contenuto aureo che permetta facile sbocco a tutte le nostre esportazioni.

Solo in questo modo, anche se i risparmiatori possano apparire sacrificati, si può mettere decisamente in moto il meccanismo riequilibratore dell’economia del Paese, vale a dire, nel nostro caso, l’intensificata corrente di scambi con l’estero. Diversamente, anche nella generosa illusione di salvare una parte del reddito e del risparmio, si finirebbe con il nuocere ad essi, bloccando le esportazioni.

Poiché una cosa è certa, e mi sembra non sia stata fin qui accennata dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto, questa: che gli accordi di Bretton Woods costituiscono uno degli aspetti del problema del riequilibramento delle economie dei Paesi devastati dalla guerra, l’aspetto cioè monetario. Ma l’efficienza degli accordi stessi sarà tanto maggiore, quanto più altri organismi internazionali riusciranno a consentire il libero giuoco delle importazioni e delle esportazioni, il vero e solo meccanismo capace di riequilibrare le economie dei paesi, il vero e solo meccanismo che può permettere ai vari paesi una durevole stabilità monetaria.

Da un punto di vista tecnico gli accordi di Bretton Woods rappresentano soltanto uno sforzo di amplificazione del sistema dei fondi di stabilizzazione; ma sono anch’essi, come questi fondi, destinati a svolgere azione limitativa se non vengono integrati da altri accordi internazionali, che provvedano a consentire una maggiore intensità di traffici fra paesi ricchi e paesi poveri.

Oserei dire che la portata degli accordi in discussione, almeno per il momento, è più morale e politica, in quanto tende a stringere tutti gli Stati in un poderoso intento di collaborazione internazionale.

In questo intento l’Italia non può essere seconda ad alcun paese, purché abbia ben chiare davanti a sé le vie da battere per una reinserzione della propria economia nella vita internazionale, non solo sotto l’aspetto monetario, ma altresì sotto l’aspetto sostanziale di mettere i risultati fecondi del proprio lavoro a servizio anche degli altri paesi, con le proprie esportazioni. Con questo intento e con questa speranza noi daremo la nostra approvazione al disegno di legge in esame. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale, riservando la parola al Relatore e al Governo.

Ha facoltà di parlare l’onorevole La Malfa, Relatore.

LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi, desidero ringraziare, a nome delle Commissioni dei Trattati e delle Finanze e Tesoro, tutti gli onorevoli colleghi, che hanno parlato prima di me, per le dotte argomentazioni, con le quali hanno accompagnato la loro adesione agli accordi di Bretton Woods.

Devo dire che è stato di particolare interesse per me il dibattito di principio, che, dalla seduta di ieri a quella di oggi, ha avuto luogo nell’Assemblea.

Ieri, attraverso il discorso dell’onorevole Corbino e soprattutto attraverso la commossa rievocazione dell’età dell’oro dell’insigne collega e maestro, onorevole Einaudi, abbiamo sentito l’esaltazione del liberismo. Con i discorsi degli onorevoli Treves e Dugoni, col discorso odierno, notevole, del collega ed amico Foa, col discorso infine dell’onorevole Pesenti, noi abbiamo visto svilupparsi, nei vari gradi di pensiero, le posizioni opposte, fino, dico, al discorso dell’onorevole Pesenti, che ha significato una manifestazione della più pura ortodossia marxista sul terreno monetario.

Non vorrei entrare molto nei presupposti ideologici di questo dibattito, e mi tengo piuttosto alla esposizione obiettiva che, nonostante le sue simpatie liberiste, ha fatto il collega Corbino. Il quale, secondo me, col suo brillante discorso, ha dato all’Assemblea una precisa, sebbene rapida idea, del cosiddetto dramma monetario (sotto la vita monetaria c’è la vita economica e sociale del mondo) che turba l’umanità dall’età dell’oro dell’onorevole e amico Einaudi all’età molto disgraziata di questo dopo guerra.

Dal discorso dell’onorevole Corbino abbiamo visto anzitutto prendere rilievo la cosiddetta età dell’oro, l’epoca della maggiore delicatezza e sensibilità dello strumento monetario, dello strumento economico.

Abbiamo visto, attraverso la sua arte oratoria notevole, delinearsi il mercato prima del 1914, quale esso era nei suoi valori, di benessere, di ricchezza, di pace per l’umanità.

L’onorevole Einaudi, che ha esaltato da par suo quest’epoca, ha detto che gli uomini hanno voluto guardare dentro questo sistema di orologeria, come i fanciulli che si dilettano a guardar dentro il congegno, e l’hanno sfasciato. No, mi permetta l’onorevole collega, questo strumento non è stato sfasciato da uomini che si sono dilettati a guardarvi dentro, da bambini desiderosi di avventure, ma da due grandi catastrofi mondiali, che, esse stesse, appartengono alla storia del mondo, alla seria e drammatica storia del mondo.

L’onorevole Corbino ha poi trattato della seconda fase, che va dal primo al secondo dopoguerra, e ci ha parlato della svalutazione della sterlina (di quella sterlina che ha tentato di riprendere la posizione di moneta del mondo che aveva prima della guerra), della svalutazione del dollaro e della serie di gravi problemi monetari connessi.

Su questo secondo tratto io non avrei nulla da aggiungere. Chi, come me, ha vissuto come studioso questo tormento dei cambi multipli dei vari tipi di marco, dei vari tipi di lira, della lira turistica, della lira cotone, della lira lana e così via, si è trovato di fronte ad un congegno spaventoso e diabolico, dal quale ha sempre sperato di poter uscire un giorno o l’altro.

La sola cosa che vorrei. osservare all’onorevole Corbino su questo argomento è che egli ha attribuito al riguardo una responsabilità troppo forte alla Francia.

CORBINO. È stata la prima a cominciare.

LA MALFA, Relatore. La Francia ha molte e gravi responsabilità nel mondo, ma non questa. Se non ricordo male, i sistemi di clearing, di cambi multipli, ecc., sono nati prima nei paesi danubiani e balcanici e sudamericani, e poi altrove. Ma questo non ha importanza, e può interessare solo i tecnici.

Veniamo piuttosto alla terza fase. Attraverso il discorso dell’onorevole Corbino abbiamo rivissuto, sia pure fugacemente, prima l’età dell’oro, poi il ritorno all’età della pietra, e infine, dopo la seconda catastrofe mondiale, questo tentativo di uscire dalle difficoltà, di riprendere una strada, che è Bretton Woods.

Dicevo, non voglio entrare nella disputa ideologica tra liberismo e marxismo, ma questa terza fase che si apre con Bretton Woods che valore ha? Questo è, in fondo, il problema che sta dinanzi a noi.

Bretton Woods, come risultato di molti studi, come risultato di molte proposte, di molti piani, del contributo di molti uomini d’ingegno, rappresenta un punto di partenza. Che valore ha questo punto di partenza? Certamente non dobbiamo dimenticare che, a scopo ultimo, a punto finale di questi accordi, c’è l’ambizione di restituire all’umanità la libertà – la libertà di commercio, la libertà di movimento, la libertà di trasferimento di capitali e di uomini – e, con queste libertà, che sono il fondamento stesso della stabilità e dell’ordine monetari del mondo, restaurare tale stabilità e tale ordine.

Questo è Bretton Woods; Bretton Woods è questa mèta, è la mèta di una libertà per il mondo, della libertà economica che ne coinvolge molte altre: quella cioè che i lavoratori vadano dove c’è il lavoro, quella che i capitali vadano dove c’è la possibilità di investimento produttivo, quella che tutto si muova come si muoveva nell’età dell’oro.

Ma se questa è la mèta ultima, a mio giudizio Bretton Woods rappresenta un’altra cosa. Che cosa rappresenta? Ecco il punto in cui ci possiamo avvicinare e insieme distaccarci dagli onorevoli Einaudi e Corbino. Che cosa rappresenta, dunque? Questo: che l’esperienza ha detto ai popoli, ai Paesi, ai governanti, che bisogna sapere dove si va. Non è vero che la spontaneità possa regolare ancora le faccende di questo mondo, perché, se questa spontaneità è venuta meno per un fatto della storia e non già perché gli uomini vi abbiano voluto guardar dentro, ciò vuol dire che anche questa spontaneità rappresenta un’epoca finita, un’esperienza superata.

Mi ricordo che, nel discorso da me pronunciato, in occasione della cosiddetta crisi Cordino – torniamo sempre a queste posizioni – io dicevo: badate che la disputa che noi facciamo tra libertà e intervento è, a mio giudizio, una disputa astratta. Il fatto nuovo è questo per i governanti: il dovere di conoscere le vie attraverso le quali, e in regime di libertà economica e in regime di intervento, si realizzino determinati fini per la società.

Bretton Woods vuol dire, dunque, che noi dobbiamo conoscere innanzi tutto come i popoli si muovono per ricostruire la loro economia, quali sono le condizioni reali in cui essi vivono, che cosa bisogna fare per orientarli ad uscire dalla miseria e dalle ristrettezze economiche di questo dopoguerra.

Solo attraverso questa conoscenza noi possiamo avviare l’umanità ad un sistema di vita che io chiamerei razionale. Siamo al di qua della discussione sulla libertà o sull’intervento in materia di economia; siamo al punto che oggi qualsiasi governo, qualsiasi Stato, qualsiasi popolo e qualsiasi collettività devono conoscere la sostanza dei problemi e il significalo che i problemi stessi hanno per la vita collettiva. Senza questa conoscenza, i popoli vanno verso la libertà o verso i monopoli e gli interventi nel buio, e vanno quindi verso il disastro.

Vorrei proprio fissare questo punto; e lo fisserei anche fino a dire all’onorevole Einaudi che non si tratta nel sistema di Bretton Woods di limitare le sovranità. No! Quando questo congegno, che è il Fondo monetario e la Banca internazionale si occupano dei problemi dei Paesi aderenti, si occuperanno anche dei problemi dei Paesi non aderenti, state sicuri. E se si autolimitano come Paesi, si autolimitano nel senso che ciascuno di questi Paesi che partecipa al Fondo e alla Banca deve tener conto delle condizioni in cui stanno tutti gli altri Paesi, e tutti gli altri Paesi devono tener conto delle condizioni in cui sta quel determinato Paese.

Perciò, quando i nostri rappresentanti saranno nel fondo o nella Banca, avranno la responsabilità di presentare a queste due grandi istituzioni la situazione del nostro Paese, e presentarla su un piano di reale conoscenza e di serietà; ma avranno altresì il diritto di giudicare la situazione degli altri Paesi in condizioni di perfetta parità. Se vogliamo chiamare questa una limitazione di sovranità – forse non si tratta ancora di sovranità – chiamiamola pure; ma non si tratta che di una collaborazione in cui ciascuno mette la conoscenza e la responsabilità delle cose che più direttamente conosce, ed ha diritto di vedere anche chiaramente nelle faccende altrui. E in questo senso do ragione all’amico Foa quando parla di rinunzia alla manovra monetaria nazionale. Non nel senso che non esistano problemi di manovra monetaria per ogni Paese, ma nel senso che questa non sarà mai una manovra che ciascun Paese farà in maniera anarchica e, direi, trascurando gli interessi di tutti gli altri Paesi, ma una manovra che sarà sempre inquadrata in quello che è un organismo di responsabilità internazionale.

Non entro nel giudizio di chi comanda o comanderà in questi grandi organismi. Debbo esprimere personalmente il mio rincrescimento – e credo che tutta l’Assemblea debba esprimere il suo disappunto – che in questo consesso non ci sia un grande Stato a cui la civiltà del mondo deve molto: l’Unione Sovietica.

Nella relazione noi, quasi a toglierci da una specie di cruccioò, abbiamo trovato, se volete, un sollievo, osservando che, a Bretton Woods, ci sono Paesi come la Polonia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, che in definitiva sono in una situazione, se volete, di maggiore responsabilità nei riguardi dell’Unione sovietica. Il che vuol dire che, almeno da un punto di vista politico, noi non facciamo nulla che alteri la nostra posizione politica e il dovere di essere obiettivi.

Tuttavia non possiamo nasconderci il fatto che nei consensi di Bretton Woods dominano le grandi potenze finanziarie. Ma anche in questa Assemblea, noi, che facciamo parte delle piccole potenze, sentiamo la presenza delle grandi potenze. Questa è la vita del mondo, ed in definitiva devo dare atto che il sistema delle grandi potenze, dà in questa Assemblea a noi sufficiente libertà di movimento per difendere la nostra posizione. Così, entrando a Bretton Woods, credo che anche lì potremo trovare una situazione di piena dignità e di piena indipendenza per noi. E d’altra parte, se dovessi esprimere un augurio, è appunto che i conflitti di cui si è parlato in questa Assemblea (e l’onorevole Corbino ne ha parlato brillantemente) i conflitti fra le due maggiori potenze finanziarie del mondo siano risolti nel seno delle due grandi istituzioni internazionali.

Non è nulla di male per noi se i problemi esistono. Esiste, per esempio, il problema del grande indebitamento in valute dell’Inghilterra e così pure il problema del rapporto fra sterlina e dollaro, esiste a tal punto che questo problema (mi permetta il Ministro del tesoro se faccio una indiscrezione a questo riguardo) pesa un po’ troppo sul nostro stremato Paese. Siamo al punto che questa povera Italia, che ha tante cose edi cui occuparsi, è costretta ad occuparsi anche del rapporto fra dollari e sterline. È bene che questo problema sia affrontato, se sarà affrontato, a Bretton Woods, poiché ciò rappresenta una garanzia per noi. E, magari, il Fondo monetario ci desse una indicazione, in un problema che è delicato per la nostra politica e si presenta superiore alle nostre forze. Avremo tutto da guadagnarci.

D’altra parte in uno dei progetti, in quello Keynes, mi pare, c’era una disposizione che riguardava la liquidazione dell’indebitamento di guerra, che è spaventoso ed enorme; nel progetto Keynes, cioè, si cercava, attraverso una ratizzazione, facendo assorbire l’indebitamento del Fondo monetario, di non fare pesare sulle sorti monetarie del mondo una questione, la cui liquidazione sarà uno dei più gravi grattacapi della vita monetaria internazionale di questo dopoguerra.

Quindi, anche su questo punto, non vi debbono essere preoccupazioni. Assisteremo al grande conflitto tra i colossi in quella sede, ed è bene, del resto, che i grandi conflitti si affrontino in una conferenza a quattro o a cinque. Peggio sarebbe se invece di tenere conferenze, si preparassero le armi.

Passando ad altro aspetto della questione, quei colleghi che hanno osservato che i mezzi del Fondo monetario e della Banca internazionale sono relativamente modesti, hanno ragione. Effettivamente, i mezzi di cui il Fondo e la Banca si possono servire per questa grande opera non sono molto vistosi, molto ingenti, sono piuttosto limitati. Tuttavia io credo che dobbiamo avere più fiducia in un punto di partenza limitato e tecnicamente ben definito, che non in una imponente creazione, esistente solo in astratto. Si tratterà di vedere se, nel corso del funzionamento, si troverà modo di adeguare i mezzi all’ordine dei problemi e delle necessità che si pongono.         

Adesione dell’Italia. Qui è sorto un problema fondamentale, e cioè: il momento scelto per l’adesione è un momento felice, o no? Questo naturalmente si riduce, in concreto, a stabilire se noi siamo in grado di fissare una parità. Siccome l’adesione al Fondo ci pone questo problema specifico, siamo oggi nelle condizioni economiche e finanziarie, monetarie, di rapporti di prezzi e costi, tali che possiamo fissare la nostra parità, oppure no?

Vorrei premettere ai colleghi che dei Paesi che aderiscono al Fondo – e sono 39 (43 tenendo conto dell’Italia e dei nuovissimi) – alla data del 18 dicembre 1946, in cui fu fatta la prima tabella delle parità, avevano denunziato la parità solo 32 Paesi. Cioè 7 Paesi, pur aderendo al Fondo, si sono riservati, in base alle norme del Fondo stesso, la facoltà di fissare la parità un po’ più tardi. Questo vuol dire che anche noi potremo prendere, su questo grave problema, il tempo necessario.

Ma il problema vero della parità quale è? È quello cui si riferiva particolarmente l’amico Foa: nel momento in cui sceglieremo la parità, dobbiamo avere una precisa idea della nostra reale situazione economica e finanziaria e stabilire se la situazione economica e finanziaria sostenga la parità scelta.

Occorre naturalmente risolvere alcune questioni pregiudiziali, prima che la parità sia fissata la questione del bilancio dello Stato, quella dei cambi e delle valute. Noi abbiamo un sistema di cambi multipli; dobbiamo stabilire se mantenere questo sistema o passare al sistema del cambio unico.

Le Commissioni dei Trattati e delle Finanza e Tesoro hanno discusso ampiamente questi aspetti, in presenza e con la partecipazione dello stesso Ministro del tesoro. Esse hanno concluso tuttavia che la fissazione della parità, e quindi la determinazione di una nostra politica prima della fissazione della parità stessa, non potesse essere una pregiudiziale all’adesione agli accordi di Bretton Woods. Le Commissioni hanno ritenuto che questo fosse un problema di politica economica interna, che dovesse essere discusso in opportuna sede, e, d’accordo col Ministro, hanno nominato un Comitato che su questo punto prenderà precisi accordi col Governo.

L’Assemblea Costituente può essere pertanto sicura che il Governo non assumerà impegni su questo terreno se non dopo avere consultato il Comitato, e quindi le Commissioni delle quali il Comitato è emanazione.

La scarsità del tempo e l’urgenza della votazione non mi consentono di dilungarmi più oltre. Tuttavia, è necessario che io dica che, a partire dal momento in cui aderiamo a Bretton Woods, la nostra politica economica e finanziaria deve avere una direzione e uno scopo. Muovo un appunto al Governo di non avere determinato da tempo questa direzione e di non avere costretto la situazione economica e finanziaria italiana entro i necessari binari. Ma anche di questo avremo occasione di discutere.

Mi pare, con quel poco che ho detto, di aver chiarito molti dei dubbi che potevano essere negli onorevoli colleghi. Da un punto di vista ancora più strettamente tecnico, vorrei dire all’amico Dugoni che non vedo nessun pericolo nel fatto che la Banca d’Italia si dovrà impegnare a versare un forte ammontare di moneta nazionale al Fondo. Anzitutto si tratta di un’apertura di conto e poi la stessa Banca d’Italia potrà fare questa apertura nella forma più conveniente. Potrà accreditare, ad esempio, buoni infruttiferi.

Concludo, onorevoli colleghi, dicendo che senza farsi nessuna illusione, la ricostruzione economica e finanziaria del nostro Paese dipende in grandissima misura dal nostro lavoro e dal nostro senso di responsabilità; tuttavia l’Italia darà prova di grande maturità politica e di grande senso di responsabilità aderendo pienamente agli accordi di Bretton Woods. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze e del tesoro.

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. La relazione delle Commissioni e la partecipazione alla discussione di colleghi insigni per prestigio e competenza esonerano il Governo dall’aggiungere altre dichiarazioni a quanto è già stato esposto nella relazione che illustra il disegno di legge e più ancora a quanto è stato messo in luce nell’ampio dibattito che su è svolto in questa Assemblea.

Con l’adesione agli accordi di Bretton Woods l’Italia assume l’obbligo di adeguare la sua politica economico-finanziaria alla linea direttiva degli istituti che da quegli accordi sono contemplati. E poiché l’adesione ha avuto come premessa un atto di formale ammissione, occorre sottolineare – pur senza sopravalutarlo – il significato di questo atto che è il primo riconoscimento – come ha osservato l’onorevole Corbino – del contributo che l’Italia può portare – su un piano di assoluta parità – alla riorganizzazione economica mondiale.

L’epoca del mito aureo – ha detto l’onorevole Einaudi – si è chiusa con la guerra del 1914. L’esperienza successiva poggiata sulle monete manovrate, sulle cinture doganali, sulle esasperazioni autarchiche, ha sconvolto l’economia mondiale, approfondendo tra Paese e Paese i fossati che dovevano invece essere colmati.

La guerra ha posto in tragica evidenza come sia vano per ogni Paese alzare delle cinture di sicurezza per difendere il proprio benessere o la propria prosperità in mezzo ad un mondo immiserito ed agitato.

L’interdipendenza delle economie è una realtà che si impone, così come la collaborazione fra i popoli è una esigenza insopprimibile.

Bretton Woods ha creato due istituti che questa collaborazione vogliono rendere operativa.

Si è parlato di una inadeguatezza dei mezzi di cui il Fondo monetario e la Banca della Ricostruzione dispongono in rapporto ai fini che vogliono raggiungere. È esatto. Ma è stato anche osservato che il poco è meglio del niente e che ogni sforzo va compiuto perché questo tentativo di una cooperazione sul piano monetario ed economico si affermi e riesca.

Illusioni non ce ne facciamo, né intendiamo diffonderne né, tanto meno, vediamo negli istituti di Bretton Woods delle provvidenze che ci sollevano dai nostri compiti e dalle nostre responsabilità.

La prima delle nostre responsabilità sarà quella di denunciare una quota di cambio e di fare ogni sforzo per mantenerla. È ovvio però che la denuncia di una quota di cambio non è un atto formale e che la sua stabilità non è legata alla forza di un decreto-legge.

Dobbiamo essere persuasi che nessuna parità monetaria potrà essere mantenuta senza una politica economica che indirizzi produttivamente le nostre risorse, senza un bilancio assestato, senza una produzione che regga, per costi economici, alla concorrenza internazionale, senza una bilancia dei pagamenti che tenda all’equilibrio, e senza quelle condizioni ambientali che consentano ad altri Paesi di offrirci quel concorso che è anche nel loro interesse non lesinare, ma che è nostro obbligo meritare.

E questo è un impegno che vale per il Governo come per il Paese.

La collaborazione internazionale – che noi auguriamo vasta, senza esclusioni e senza contrapposizioni di aree monetarie, di blocchi o zone di influenza – è essenziale per la ripresa economica e per la pace del mondo. Ma premessa di questa collaborazione è l’intesa, la solidarietà, nell’ambito nazionale, di tutte le classi e di tutte le categorie.

Ciascuno deve dare il concorso del proprio sforzo e del proprio sacrificio. Prossimi provvedimenti daranno la misura dello sforzo e del sacrificio che, specie le classi più abbienti, sono chiamate a compiere perché l’Italia possa negli Istituti e nei Consessi internazionali parlare con l’autorevolezza di chi sa di aver compiuto, fino al limite delle sue possibilità, tutto intero il proprio dovere. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Si passa alla discussione degli articoli.

Do lettura dei primi due articoli per i quali, oltre che per il titolo, sono stati proposti emendamenti:

Art. 1.

Il Governo della Repubblica italiana è autorizzato ad accettare integralmente i termini e le condizioni stabilite dai Consigli dei Governatori del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo per l’ammissione dell’Italia nei due predetti Istituti. (Allegati 1 e 2).

Art. 2.

Gli accordi sulla costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca per la ricostruzione e lo sviluppo, firmati a Bretton Woods, New Hampshire, U.S.A., il 22 luglio 1944 dai rappresentanti delle Nazioni Unite, sono accettati ed il Governo della Repubblica italiana è autorizzato a firmare la copia originale degli Accordi, tenuta negli archivi del Governo degli Stati Uniti d’America. (Allegati 3 e 4).

L’onorevole Perassi unitamente agli onorevoli Camangi, Cianca, Azzi, Della Seta, Conti, Einaudi, Foa, Cevolotto, Carboni, Lami Starnuti, Treves, ha presentato i seguenti emendamenti:

All’attuale titolo del disegno di legge sostituire il seguente:

«Partecipazione dell’Italia agli Accordi sulla costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo».

Sostituire l’articolo 1 con il seguente:

«Il Governo della Repubblica è autorizzato ad accettare di divenire membro del Fondo monetano internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo alle modalità e condizioni stabilite nelle annesse deliberazioni del Consiglio dei Governatori dei due predetti Istituti. (Allegati 1 e 2).

Sostituire l’articolo 2 con il seguente:

«Gli Accordi sulla costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo sono approvati». (Allegati 3 e 4).

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerli.

PERASSI. Onorevoli colleghi, la discussione generale è stata così ampia che ha messo in luce tutti gli aspetti tecnici, economici e storici degli accordi che ci sono stati presentati. Mi limito soltanto a dire che il gruppo parlamentare repubblicano aderisce alle conclusioni a cui è arrivata l’Assemblea attraverso le dichiarazioni dei suoi diversi oratori. L’adesione ai due accordi costituisce una notevole riaffermazione dell’Italia nel campo della cooperazione internazionale.

Chiusa la discussione generale, si passa ora all’esame del disegno di legge, cioè dell’atto interno che si rende necessario ai fini dell’adesione dell’Italia ai due accordi internazionali. Ora, la formulazione del disegno di legge, mi sembra che esiga qualche ritocco, che è concretato negli emendamenti, che ho presentato con altri colleghi.

Un primo emendamento riguarda il titolo del disegno di legge, ed è motivato dal rilievo che l’espressione «accordi firmati, a Bretton Woods il 24 luglio 1944» non è esatta. I cosiddetti accordi di Bretton Woods sono stati bensì elaborati nel corso di una Conferenza temutasi in quella città americana, ma gli atti formali concernenti la costituzione del Fondo monetario e della Banca internazionale risultano fatti a Washington, come si legge nei testi allegati al disegno di legge.

Gli altri emendamenti sono intesi a dare una formulazione tecnicamente più appropriata agli articoli 1 e 2 del disegno di legge, avuto riguardo ai fini di questo atto legislativo, che ha il duplice scopo, quello di autorizzare il Governo a procedere agli atti necessari per perfezionare l’adesione ai due accordi internazionali e quello di adattare il diritto interno italiano alle esigenze derivanti dagli obblighi internazionali risultanti dai due accordi.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo se accetta gli emendamenti.

CAMPILLI, Ministro delle finanze e del tesoro. Il Governo li accetta, come pure accetta il testo proposto dalla Commissione per gli articoli 3 e 4.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

BONOMI IVANOE, Presidente della Commissione per i trattati internazionali. La Commissione accetta gli emendamenti.

PRESIDENTE. Pongo ai voti gli emendamenti accettati dal Governo e dalla Commissione.

(Sono approvati così modificati, il titolo del disegno di legge e gli articoli 1 e 2).

Pongo ai voti l’articolo 3 nel testo proposto dalla Commissione, accettato dal Governo:

«Il Ministro per le finanze e il tesoro, di concerto con il Ministro per il commercio con l’estero, è incaricato della esecuzione della presente legge e dei rapporti da mantenere con le Amministrazioni del Fondo e della Banca e può delegare alla Banca d’Italia i compiti inerenti all’intervento dell’Italia nell’Amministrazione dei due predetti Istituti».

(È approvato).

Pongo ai voti l’articolo 4, nel testo proposto dalla Commissione, accettato dal Governo.

«Il Ministro per le finanze e il tesoro è altresì autorizzato ad adottare i provvedimenti di carattere finanziario richiesti dalla applicazione degli Accordi, e ad apportare le variazioni di bilancio all’uopo necessarie».

(È approvato).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione segreta sul disegno di legge ora approvato.

(Segue la votazione).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Assennato – Avanzini – Ayroldi.

Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bargagna – Bassano – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Candela – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Caprani – Carbonari – Carboni – Caroleo – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cingolani Mario – Clerici – Codacci Pisanelli – Codignola – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Costa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Amico Michele – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fanfani – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fioritto – Firrao – Foa – Fornara – Froggio – Fuschini.

Galioto – Gasparotto – Gatta – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Iotti Leonilde.

Jacini,

Labriola – Laconi – La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Li Causi – Lizier – Longhena – Lozza – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Manzini – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazza – Meda Luigi – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Molinelli – Montemartini – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Natoli Lamantea – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Numeroso.

Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Pertini Sandro – Piemonte – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Ravagnan – Reale Vito – Ricci Giuseppe. – Rodi – Rodinò Mario – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggiero Carlo – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salvatore – Sampietro – Saragat – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Secchia – Segala – Segni – Selvaggi – Siles – Silipo – Simonini – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tosato – Tosi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valiani – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vicentini – Vigna.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta, e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti  289

Maggioranza        145

Voti favorevoli     286

Voti contrari            3

(L’Assemblea approva).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate alla Presidenza, con richiesta d’urgenza, le seguenti interrogazioni:

«Ai Ministri dell’agricoltura e delle foreste e all’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere che cosa intendano fare per mantenere la promessa di sbloccare l’olio d’oliva in quelle provincie che hanno versato il contingente prefissato e concordato.

«L’interrogante, mentre si rende conto delle difficoltà tecniche e di controllo conseguenti ad uno sblocco parziale per zone, ritiene che gravi conseguenze di ulteriore sfiducia si determinerebbero tra gli agricoltori che sono colpevoli di aver fatto il proprio dovere e di aver creduto nella parola del Governo e nella solidarietà di altri agricoltori (che è mancata).

«Non è giusto che paghino coloro che dovrebbero essere premiati; è giusto invece che si trovi il modo di colpire quelli che mancano.

«Sullo».

«Ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e delle finanze e tesoro:

1°) sulla urgenza dei provvedimenti legislativi da emanare relativamente alla cooperazione;

2°) sui provvedimenti da adottarsi, nel frattempo, perché sia sospesa ogni decisione sulla imposta generale sull’entrata relativa alla distribuzione dei generi di largo consumo popolare fatta dalle cooperative di consumo senza scopi speculativi ed al fine di operare un’azione calmieratrice nell’interesse generale.

«Canevari, Di Gloria, Zanardi».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il Governo si riserva di fissare in una prossima seduta quando intende rispondere.

Richiesta di svolgimento di interpellanza.

GORTANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GORTANI. Domando al Governo quando intende fissare lo svolgimento di una interpellanza da me presentata, unitamente al collega Mannironi e altri, il 20 febbraio scorso, circa maggiori assegnazioni al Ministero dell’agricoltura delle somme stanziate per i coltivatori disoccupati.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il Governo si riserva di fissare in una delle prossime sedute la data di svolgimento di questa interpellanza.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici, del lavoro e previdenza sociale, del commercio con l’estero e degli affari esteri, per sapere se la situazione della produzione delle materie prime, ai fini della ricostruzione, consente in Italia il pieno impiego della mano d’opera e dei relativi mezzi meccanici esistenti, e se, in caso negativo, non sia opportuno, per il periodo prevedibile di carenza, agevolare l’espatrio di complessi di lavoro verso mercati esteri, quando si tratti di iniziative che offrano sicure garanzie morali, tecniche e finanziarie nel confronto dei paesi di destinazione e nei confronti delle superiori esigenze della Nazione.

«Di Fausto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per controllare efficacemente la produzione nazionale dei fertilizzanti azotati, che con essenziale danno degli agricoltori e dell’agricoltura, sono in massima parte destinati ad alimentare una delle più losche attività della borsa nera.

«Pastore Raffaele, Allegato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali sono state le ragioni che lo hanno indotto a fissare il prezzo pieno dell’olio, per la campagna 1946-47, escludendo i fittavoli dal beneficio del sussidio di coltivazione per gli affitti pagati in natura, come fu praticato nella decorsa campagna olearia 1945-46, con decreto ministeriale del 19 ottobre 1945.

«Se non ritiene opportuno e giusto ripristinare a favore dei fittavoli detto sussidio di coltivazione, a compenso delle maggiori spese di coltivazione, anche in vista di agitazioni in atto.

«Pastore Raffaele».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quando intenda promuovere il ripristino nelle sue funzioni del presidente della Corte di appello di Brescia, rimosso con improvvida determinazione, tanto che i Ministri Togliatti e Gullo ebbero ripetutamente a proporre il ripristino suddetto, mentre s’indugia a disporlo, col danno e il disdoro evidente di un magistrato unanimemente apprezzato e stimato negli ambienti giudiziari e forensi.

«Bertini».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, perché, in considerazione dell’intollerabile grave ritardo con cui vengono definite le istanze di pensione e segnatamente di quelle di guerra, non ritenga di urgente necessità provvedere ad una agile riorganizzazione dei competenti uffici di istruzione e di liquidazione, per metterli in grado di rispondere adeguatamente alle legittime esigenze dei richiedenti, verso i quali è assolutamente doverosa la sollecitudine del Governo.

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della difesa, per sapere se è vero che si vorrebbe disporre il trasferimento di tutto il 10° C.A.R. da Avellino, ove trovasi attualmente a Caserta.

«Sembra che il motivo del trasferimento del Centro ad altra sede, molto probabilmente Caserta, debba ricercarsi nel fatto che si presume la zona avellinese non rispondente in pieno alle esigenze addestrative, e che i poligoni di tiro sono lontani dalla città.

«Con opportuna intesa e collaborazione tra le autorità provinciali e militari, si può trovare la zona adatta per la bisogna, e creare così qualche altro poligono di tiro rispondente alle necessità del 10° C.A.R. (esempio, frazione Valla) migliorando inoltre quello di Rivarato, di Cupa Macchia, ecc.

«Il trasferimento del C.A.R. comporterebbe nuove gravi spese per l’Erario dello Stato, perché in quasi tutte le caserme, per quanto accaduto dal settembre 1943, per eventi bellici, per rapine e saccheggi subìti, c’è tutto o quasi, da rifare. L’esempio è dato dalla Caserma generale Berardi, sede del 10° C.A.R., la quale costò nel 1939 circa 18 milioni, mentre per renderla efficiente, dall’inizio del 1946 ad oggi, per la sistemazione degli impianti igienici, idrici, elettrici, pitture, infissi, vetri, ecc., si sono spesi circa 36 milioni.

«Con la costituzione del 10° C.A.R. in Avellino, gran parte del personale – ufficiali e sottufficiali. – si sono fatti raggiungere, dopo una serie lunga e penosa di peripezie, dalla propria famiglia, e quasi la totalità di esse hanno trovato alloggio nella città; per quelli che non ancora hanno abitazione, fra breve, sarà offerta loro una degna sistemazione nella palazzina I.N.C.I.S., per cui sono stati stanziati circa 8 milioni per la messa in efficienza (attualmente i lavori sono in corso). Lo stabile potrà ospitare all’incirca 15 famiglie. Con l’allontanamento del C.A.R. da Avellino, gli ufficiali e sottufficiali, i cui stipendi sono già tanto irrisori, verrebbero a trovarsi in serie difficoltà morali ed economiche, e non tanto facilmente superabili, anche perché nella nuova sede dove essi andrebbero, prima di trovare una nuova sistemazione, dovrebbero vivere chissà quanto tempo lontano dai propri cari. Gli ufficiali e i sottufficiali ammogliati, in forza al 10° C.A.R., sono rispettivamente n. 65 e n. 130.

«Da aggiungere che i predetti, nella quasi totalità, hanno ottenuto il trasferimento al C.A.R. di Avellino per «particolari disagiate condizioni di famiglia».

«Nel C.A.R. di Avellino hanno trovato lavoro molti impiegati ed operai civili tra reduci, invalidi e combattenti; alcuni di questi vivono con numerose famiglie a carico.

«È notorio che la città di Avellino vive con il ricavato che ottiene esercitando il piccolo commercio, perché priva di fabbriche, industrie, ecc.; con l’allontanamento del 10° C.A.R., che complessivamente raggiunge una forza di 3500 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, le risorse economiche di essa verrebbero ad aggravarsi maggiormente.

«Pertanto, e per le considerazioni che l’onorevole Ministro saprà maggiormente trarre dai brevi cenni esposti, per il prestigio della città e della Provincia, si chiede che il 10° C.A.R. non venga allontanato da Avellino. Così, come la città di Salerno ha ottenuto dal Ministero della difesa – Esercito – la revoca del trasferimento del deposito 1° reggimento fanteria – assorbito come deposito 10° C.A.R. – da quella città ad Avellino. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Preziosi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga doveroso provvedere, per ragioni di giustizia, ad estendere la disposizione di legge, in base alla quale i professori ebrei universitari, allontanati dal servizio per ragioni razziali, hanno ottenuto il riconoscimento di tutti i loro diritti a decorrere dal giorno in cui essi vennero allontanati dal servizio, ai professori ebrei di scuole medie, ai quali l’articolo 13 del decreto-legge 19 ottobre 1944, n. 301, ammette soltanto di percepire gli stipendi arretrati a decorrere dal 1° gennaio 1944 (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Baldassari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei trasporti e delle finanze e tesoro, per sapere se non ritengano doveroso ed urgente andare incontro alla umana richiesta della laboriosa popolazione di Chioggia, città con oltre 50 mila abitanti, che vive quasi esclusivamente dell’industria della pesca e dei trasporti marittimi, la quale troppo spesso conosce momenti angosciosi per assistere impotente all’improvviso scatenarsi degli elementi, ed a piangere sovente i suoi figli travolti dal mare insieme col naviglio; mentre la tanto invocata Stazione di salvataggio, o – almeno – una motobarca di salvataggio (della quale fu autorizzata la costruzione dal Ministero delle comunicazioni nel 1939, ma la di cui esecuzione fu differita per mancanza di fondi) consentirebbero di salvare tante preziose vite umane e a ridonare tranquillità a tutta una operosa popolazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non ritenga opportuno emanare un provvedimento che assicuri comunque ai pensionati il mantenimento del livello di pensione in godimento, allo scopo di evitare che in conseguenza di revisione, di aggiornamento, o per altre cause dovute a materiali errori di calcolo, accada ai pensionati di vedersi diminuire l’assegno mensile già così inadeguato ai bisogni più elementari della vita; come devesi deplorare sia accaduto per i pensionati dell’assicurazione volontaria della vecchiaia, le cui pensioni, in molti casi, sono state ridotte, col gennaio 1947, da 300 a 200 lire mensili, provocando sconforto e demoralizzazione facili ad intendersi, solo se si pensi che l’assegno mensile, già prima della riduzione, era insufficiente anche per vivere un solo giorno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se – in relazione a quanto è stato pubblicato da un quotidiano della Capitale, il 13 marzo 1947 – risponda a verità che, nell’Ente approvvigionamenti carboni, si è verificata una profonda crisi, con gravi conseguenze sugli acquisti di carbone destinato al nostro consumo, e, in caso affermativo, per conoscere quali siano le vere ragioni che l’hanno provocata, e quali provvedimenti e rimedi s’intenda disporre perché un settore di tanta importanza per la nostra ricostruzione economica, non sia ulteriormente turbato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti preventivi e decisamente repressivi intenda adottare il Governo contro la clandestina esportazione dei nostri cereali, esportazione che nell’anno corrente ha avuto così impreviste e tremende ripercussioni sulle necessità alimentari del popolo italiano, e che minaccia una notevole ripresa dopo il prossimo raccolto, se hanno fondamento le notizie correnti circa la presenza nel Paese di agenti stranieri e particolarmente jugoslavi, i quali cercano di concludere con i nostri produttori contratti di cessione di cereali per l’esportazione clandestina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per intensificare e migliorare la produzione del grano, fonte prima ed imprescindibile per la ricostruzione del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario dell’alimentazione, per sapere se risponde a verità quanto è stato affermato dal Collegio degli amministratori e dei giudici della Sepral in un comunicato comparso su II Corriere dell’lrpinia, di sabato scorso e cioè che:

la Sepral di Avellino ha gestito, da grossista, merci soggette a razionamento, dal periodo dell’occupazione alleata (e per ordine degli alleati) sino almeno al 1946, e ciò in contrasto alle funzioni normalmente assegnate alle Sepral, almeno sotto l’amministrazione italiana;

durante questa lunga pluriennale gestione ha accumulato utili di parecchi milioni, il che dimostra che nell’esercizio della sua gestione la Sepral ha seguito criteri speculatori di azienda commerciale e non criteri solidaristici di azienda cooperativistica e che pertanto ha accumulato utili sui consumatori;

ha distribuito questi utili (di parecchi milioni) tra gli impiegati, gli amministratori e i sindaci in parte, e in parte li ha accantonati a disposizione della Sepral (fondo che, a quel che si dice, dovrebbe servire per la cooperativa edilizia degli impiegati della Sepral).

«Se tutto ciò risponde a verità, l’interrogante chiede che cosa si intende fare:

per ripristinare la buona amministrazione nella Sepral di Avellino;

per incamerare il fondo tuttora disponibile, mettendolo a disposizione, eventualmente, di opere assistenziali non limitate agli impiegati della Sepral, che finora è stata adoperata come una qualsiasi società privata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sullo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro della difesa, per sapere cosa ci sia di vero in quanto pubblica Il Corriere Tridentino del 6 corrente, riportando la notizia dal quotidiano La Rinascita, circa l’esistenza nel Cazachistan (Russia asiatica) di ben 16.000 prigionieri di guerra italiani, colà internati dalla Russia ed adibiti a lavori agricoli.

«Per sapere inoltre:

1°) per quali ragioni, se la notizia è vera, non sia possibile addivenire ad accordi con la Russia che consentano il rimpatrio di tali nostri prigionieri;

2°) se la notizia è falsa, se non sia il caso di prendere provvedimenti contro chi, con riprovevole leggerezza, specula sul dolore di tante mamme, sorelle e spose e, pur di pubblicare notizie sensazionali, non bada allo strazio che recano in tanti cuori le smentite che sistematicamente seguono a tali notizie;

3°) se sia il caso di chiedere ai giornali la preventiva autorizzazione del Governo alla pubblicazione di qualsiasi notizia del genere. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pat, Ferrarese».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 12.50.