ASSEMBLEA COSTITUENTE
LXI.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 14 MARZO 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Domanda di autorizzazione a procedere:
Presidente
Annuncio di nomina di un Sottosegretario di Stato:
Cappa, Sottosegretario di Stato per la presidenza del Consiglio
Interrogazioni (Svolgimento):
Romita, Ministro del lavoro della previdenza sociale
Porzio
Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno
Presidente
Fiore
Partecipazione dell’Italia agli Accordi firmati a Bretton Woods, New Hampshire, U.S.A., il 22 luglio 1944, dai rappresentanti delle Nazioni Unite, per la costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Discussione):
Corbino
Treves
Montini
Dugoni
Einaudi
Interrogazioni ed interpellanze con richiesta d’urgenza:
Rodi
Presidente
Bellavista
Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno
Sforza, Ministro degli affari esteri
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
Perugi
Codacci Pisanelli
Priolo
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 10.
SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana precedente.
(È approvato).
Domanda di autorizzazione a procedere.
PRESIDENTE. Il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Finocchiaro Aprile, per il delitto di cui all’articolo 595, primo capo verso, del Codice penale.
Sarà stampata, distribuita ed inviata alla Commissione competente.
Annuncio di nomina di un Sottosegretario di Stato.
CAPPA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAPPA. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Ho l’onore di informare l’Assemblea che il Capo provvisorio dello Stato, con decreto in data 15 febbraio 1947, ha nominato Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni l’onorevole professore dottore Vito Giuseppe Galati, deputato all’Assemblea Costituente.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Porzio, firmata anche dagli onorevoli Rodinò Mario, Puoti, Gatta, Amendola, Notarianni, La Rocca, Cortese, Salerno, Crispo, Mazza, Sansone, Riccio, Rodinò Ugo, Coppa, Numeroso, Titomanlio Vittoria, Leone Giovanni, ai Ministri del lavoro e previdenza sociale, delle finanze e tesoro e dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare per la grave crisi che da tempo investe l’industria dell’arte bianca e che produce l’aggravarsi della disoccupazione nelle città di Napoli e Provincia dolorosamente provate; e per conoscere, inoltre, per quali ragioni non si adottano quelle misure che sono in vigore in altre Provincie per lenire i danni alle industrie ed ai lavoratori».
L’onorevole Ministro del lavoro e previdenza sociale ha facoltà di rispondere.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Onorevoli colleghi, l’interrogazione dei colleghi di Napoli è molto importante, perché non riguarda solamente Napoli, ma tutta l’Italia meridionale e centrale.
A Napoli si è formata una situazione di particolare disagio, perché numerosi mulini lavorano da tempo a scartamento ridotto, con una percentuale che al massimo è del 30 per cento, e che qualche volta scende al 18 e anche al 12 per cento.
Ciò ha prodotto un disagio negli stabilimenti e nella massa lavoratrice dell’arte bianca: negli stabilimenti, per gli oneri che gravano su di essi, dato anche eccessivo numero di operai; nella massa operaia per l’eccessiva disoccupazione.
Quando, qualche tempo fa, sono venuti da me i rappresentanti dell’una e dell’altra categoria, ho esaminato le questioni che mi hanno prospettato, e cioè: 1°) dare il contributo di integrazione sino alle 16 ore e gli assegni familiari anche in mancanza delle condizioni effettive per tale contributo; 2°) cercare, attraverso l’Alto Commissario per l’alimentazione, di fare arrivare a Napoli, centro importante dell’arte bianca, una maggiore quantità di sfarinati di grano, per dar lavoro a stabilimenti e a maestranze; 3°) allargare le leggi che valgono per il Nord sulle integrazioni salariali.
La prima richiesta, che era di mia competenza, è stata attuata subito, e non ha dato luogo a rilievi; la seconda, che riguarda l’Alto Commissario per l’alimentazione, è stata attuata nei limiti possibili, inviando scorte purtroppo scarse di grano e di sfarinati; per la terza, relativa all’integrazione, è occorso più tempo, perché il problema è veramente grave, a cagione dell’onere finanziario che il Governo viene ad addossarsi.
Superata quindi la prima, rimane la seconda dell’invio di grano e di sfarinati: ancora questa mattina l’Alto Commissario per d’alimentazione mi assicurava che cercherà di dirottare a Napoli il maggior quantitativo possibile. Purtroppo le previsioni non sono rosee ed io non amo illudere gli egregi interroganti. Non sono rosee perché prevediamo un ritardo di spedizione, sino a che non arriverà il grano dell’Argentina, fino al 15 aprile.
Auguriamoci che dopo tale data la situazione sia notevolmente migliorata. Sarà, comunque, mia cura di sollecitare l’Alto Commissario per l’alimentazione in modo che, di mano in mano che arrivano queste navi, Napoli, che è il centro dell’arte bianca, abbia una quota adeguata.
La terza questione, che è la più importante e che ha causato anche i disagi che hanno lamentato e lamenteranno gli egregi interroganti, è quella di estendere al Centro-Sud gli accordi per l’integrazione salariale del Nord.
Siccome l’argomento è molto importante, permetta l’Assemblea che io riepiloghi in sintesi questi accordi. Liberata l’Italia del Nord, ci siamo trovati in una difficoltà grave: v’era, da un lato, già una legge, che aveva emanato lo pseudo Governo di Salò, la quale concedeva il 75 per cento; v’erano, dall’altro, le industrie del Nord in crisi perché, in periodo di lotta clandestina, operai, dirigenti, industriali avevano sabotato la produzione: gli operai lavorando il meno possibile, i dirigenti, lasciando mancare or l’una or l’altra materia prima, gli industriali, ugualmente, per poter ridurre la produzione e boicottare la guerra nazi-fascista.
Liberata l’Italia, questi industriali e questi operai si sono trovati, per le loro benemerenze politiche, a non poter lavorare. Nel medesimo tempo, se voi ricordate, le condizioni di salario del Nord erano inferiori a quelle del Sud. Si è allora stipulato un accordo, nell’agosto 1945, che avrebbe dovuto durare fino al settembre dello stesso anno, ma che fu poi prorogato fino all’aprile 1946 prima, fino al settembre 1946 poi, a titolo sempre provvisorio.
Dopo il settembre del 1946, questa legge non fu più prorogata, cosa che però io farò ora per legalizzare una situazione di fatto. Ma un’ulteriore applicazione ci fu quando, a gennaio, essendo venuta a mancare l’energia elettrica, intervenne nel Nord un accordo per l’integrazione salariale per questa causa. Ora, gli interroganti chiedono che anche questi accordi siano estesi al Centro-Sud d’Italia. Il problema non è facile, perché dobbiamo calcolare sulla possibilità, innanzitutto, delle industrie di pagare la quota di loro competenza. Non è facile, perché il Governo cerca di eliminarla anche nel Nord, e il fatto che dal settembre siamo arrivati sino ad oggi senza sanare questa situazione dimostra che il Governo vuole eliminare, appena possibile, questa integrazione che tanti oneri porta allo Stato.
Comunque, dissi ai colleghi che vennero da me circa una ventina di giorni fa, che non c’è più nessuna ragione di sperequazione tra il Nord e il Sud, e specialmente per i lavoratori dell’arte bianca di Napoli e per i solfatari della Sicilia, che hanno diritto allo stesso trattamento del Nord. Ma la legge presenta difficoltà, perché mentre nel Nord è facile individuare l’operaio disoccupato, l’operaio che lavora un minor numero di ore, al Sud tale accertamento non è agevole e può dar luogo ad eventuali abusi. Comunque, ho presentato la settimana scorsa – e sarà discusso proprio oggi dal Consiglio dei Ministri – un provvedimento che con carattere (si intende) provvisorio, dovrà estendere al Sud un’integrazione per cui da zero ore a 24 ore spetterà il 50 per cento, da 24 ore a 40 ore spetteranno i due terzi.
L’onorevole Porzio, che è stato al Governo, sa che io non posso impegnare in questo momento il Governo, sa che non posso dire che cosa farà oggi il Consiglio dei Ministri: se abolirà l’integrazione per tutta l’Italia, o se la prorogherà per qualche mese. Posso dire: ho la certezza che oggi dal Consiglio dei Ministri verrà fuori una disposizione che pone nello stesso piano gli operai del Nord e gli operai del Sud; e che, comunque, permetterà a Napoli, come ai solfatari della Sicilia, ed a qualche altra categoria che si trova in disagiate condizioni, di poter superare la crisi che prevediamo ancora per qualche mese.
Spero che gli onorevoli interroganti saranno sodisfatti. L’onorevole Porzio, sa che, appunto perché comprendo la situazione di Napoli – l’ho compresa quando avevo l’onore di essere Ministro dei lavori pubblici; e i colleghi sanno che quello che ho potuto fare per Napoli l’ho fatto volentieri, nel limite del possibile – anche adesso farò quello che potrò fare, ed ho la convinzione che domani, quando saranno noti i deliberati del Consiglio dei Ministri, gli egregi interroganti si troveranno sodisfatti.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto.
PORZIO. Onorevole Ministro, io sono veramente dolente – perché devo lealmente dichiarare che proprio il Ministro Romita, nella sua visita a Napoli, fu largo di comprensione e veramente ebbe un vivo fervore per venire incontro ai bisogni e alle necessità della nostra città – sono proprio dolente che oggi, cambiato il Ministero, debba a lui dichiarare la mia insodisfazione. Noi aspettiamo ormai non più delle promesse, ma dei fatti, e di fronte ai fatti ci inchineremo.
Veramente questa mia interrogazione, la quale è sussidiata autorevolmente dalla firma di tutti i miei colleghi, senza distinzione di parte, non è che appena appena una piccola pagina di un grande volume, che un bel giorno noi dovremo leggere insieme: i danni, le sperequazioni, le ingiustizie, e quasi direi le iniquità che sono state commesse e si commettono ai danni di Napoli e del Mezzogiorno. (Applausi). È un grosso volume. Ora, per quale ragione avviene ciò? Ecco: noi siamo venuti più volte (giacché non ci anima né una vanità, né un desiderio di voler inasprire certi contrasti) a Roma per parlare con gli onorevoli componenti del Governo, prospettando loro tutte le necessità.
Ed ultimamente, prima della crisi, ci siamo rivolti, insieme a tutti i colleghi, all’Alto Commissario per l’alimentazione, abbiamo parlato con l’onorevole Presidente del Consiglio ed abbiamo prospettato proprio queste particolari questioni, che abbiamo ripresentate oggi, ricevendo i più larghi affidamenti, le più larghe promesse e categorici impegni.
Sono passati due mesi, e siamo stati costretti a presentare una interrogazione per cercare di elevare una voce qui, dinanzi all’Assemblea. Per quale ragione, per esempio, quel tale dato di pastificazione non è giunto anche al Sud? Per quale ragione la Cassa di integrazione non si estende anche al Sud? Nel 1945 fu istituita questa Cassa di integrazione al Nord, e perché non si fece anche per il Sud?
Ed ora l’onorevole Ministro dice: forse noi pensiamo di toglierla anche al Nord; ma non l’avete tolta però, e sono due anni che Napoli e i lavoratori napoletani l’aspettano. Per quale ragione, per esempio, (ecco un’altra piccola paginetta del volume) quando sono state acquistate le 50 Liberty, al Mezzogiorno non ne sono state assegnate che otto, dico otto! E quando, dopo il viaggio del Presidente del Consiglio in America, si è avuta l’opportunità di acquistarne altre 50, il centro economico del Mezzogiorno che ha rivolto un telegramma al Ministro, ha avuto degli impegni, ma poi anche questo è stato dimenticato? Eppure queste Liberty furono acquistate con dollari, e questi dollari erano la contropartita delle am-lire spese ed emesse a Napoli, dove più a lungo abbiamo avuto l’occupazione, i disagi, il dolore.
Ed allora questi dollari, che sono intrisi della nostra sofferenza, perché devono servire per l’acquisto delle materie prime, che sono date ad altre industrie non napoletane? Ella sa, onorevole Ministro, che Napoli ha perduto il 70 per cento delle industrie, e l’altro 30 per cento che è rimasto, è stato minorato di un altro 15 per cento per fabbriche che sono state requisite ed occupate. È rimasto soltanto lo squallore. Io in questi giorni ho sentito tanti eloquenti discorsi; tutti hanno voluto consacrare nella Carta fondamentale il diritto al lavoro; ma noi siamo carenti di diritto, forse? Abbiamo una popolazione marittima di prim’ordine, disoccupata; abbiamo i cantieri che languono; abbiamo le fabbriche distrutte e nessuno lo sa più di noi, e perdonate, più di me, che nei giorni neri sono rimasto al mio posto a Napoli, fra i miei concittadini e ho ancora nel cuore, nelle orecchie il rombo sinistro delle esplosioni con le quali si spezzavano le vertebre della nostra ricchezza, delle nostre fabbriche che noi avevamo costruito in base alla legge Giolitti, legge che dovremmo riprendere e ridiscutere nell’Assemblea. (Approvazioni).
Come volete che io mi dichiari sodisfatto?
All’onorevole Romita do atto del suo buon volere; gli do atto di essersi preoccupato della questione del Porto, dei bacini di carenaggio; ma vi sono i sinistrati che aspettano.
Non intendo in nessun modo infastidire l’Assemblea, ma vorrei che molti onorevoli colleghi facessero una gita a Napoli e vedessero che vi è ancora una popolazione che vive come i trogloditi, nelle vecchie caverne create dalla disperazione della guerra, senza giaciglio.
Ma questa voce, sia pure di miseria, deve echeggiare in quest’aula, deve preoccupare i governanti; ed io ricordo le parole di un grande napoletano, il cui centenario si compie fra breve: Luigi Settembrini, il quale diceva allora, in un documento storico: «Napoli è paziente, Napoli sa anche rassegnarsi, Napoli ha subito mille penose vicende: però pensate, che il civismo napoletano può anche venir meno, pensate che la pazienza stanca diventa furore». (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ne ha facoltà.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Mi pare che l’argomento sia di tale importanza, anche per l’ampiezza con cui così eloquentemente ne ha trattato l’amico Porzio, da meritare che l’Assemblea mi sopporti ancora per qualche minuto.
Non comprendo perché l’onorevole Porzio mi abbia concesso l’onore di avermi dato atto di fiducia per quello che ho fatto come Ministro dei lavori pubblici.
PORZIO. L’ho detto lealmente.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Deve allora, per corollario, anche darmi atto di fiducia che lo stesso spirito, lo stesso intendimento porterò nelle mie mansioni di Ministro del lavoro.
E dico di più di quello che ha detto lei, onorevole Porzio. Lei sa che a Napoli ho avuto belle soddisfazioni. Napoli mi vuole bene, nonostante che io sia l’artefice della Repubblica e Napoli non sia repubblicana, almeno nella votazione. Mi vuole bene, perché sa che ho studiato i problemi napoletani. Ebbene io ho studiato e studierò ancora i problemi napoletani, perché sono stato uno dei primi uomini politici attuali che ha detto, dice e dirà che il problema meridionale è problema italiano: che se vogliamo risollevare l’Italia dobbiamo risolvere il problema meridionale. E l’ho dimostrato, onorevoli colleghi, e non ho fatto ingiustizie. Permettetemi che io ripeta, e sempre ripeterò, anche se ciò mi procurerà delle noie elettorali, che dei 10 miliardi ne ho dati due alla Campania e nemmeno un centesimo al mio Piemonte. Ma perché ho aiutato e aiuterò Napoli? Non perché io abbia paura dei pericoli prospettati dall’illustre interrogante, ma perché non credo che l’animo napoletano si ribellerà. Napoli è patriottica e sa che il Governo fa quello che può e quello che deve. Ho aiutato e aiuterò Napoli, a cui devo fare questo elogio; ho aiutato il porto perché ho trovalo che con tanta intelligenza, con tanta competenza, con tanta laboriosità i tecnici, gli operai napoletani hanno risolto il loro problema portuale e quello inerente delle strade. Ecco perché sono con voi.
E allora l’onorevole Porzio mi dia atto e mi dia la sua fiducia su due punti: come membro del Governo mi farò interprete delle sue lamentele, anche se le ritenga esagerate: come Ministro del lavoro sarà mia cura fare in modo che le promesse siano realtà. (Applausi).
Voci a destra. Speriamo!
Una voce al centro. Come quelle di Genova e Liguria.
ROMITA, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Genova non può lamentarsi.
PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni, di argomento analogo, degli onorevoli:
Candela, Bonino, Bellavista, al Ministro dell’interno, «per sapere le cause che hanno determinato i luttuosi incidenti di Messina e perché, sopravanzando le trattative in corso per l’equa composizione della vertenza, abbia avuto luogo la manifestazione che ha degenerato in atti violenti e se legittimo sia stato l’uso delle armi da parte della forza pubblica. E quali provvedimenti intenda prendere per punire i responsabili, qualunque essi siano, e per prevenire manifestazioni del genere, che turbano l’ordine pubblico e l’opera di ricostruzione del Paese»;
Fiore, Li Causi, Di Vittorio, Musolino, al Ministro dell’interno, «per conoscere, in relazione ai luttuosi fatti di Messina, quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili spezzando, una buona volta, la tradizione mafiosa e di polizia, secondo la quale, in Sicilia, si può impunemente assassinare dei lavoratori»;
Varvaro, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti abbia adottato e si proponga di adottare in seguito ai gravissimi e luttuosi avvenimenti verificatisi in Messina il giorno 7 ultimo scorso, sia per l’accertamento delle cause e delle responsabilità e sia perché il popolo siciliano venga rassicurato autorevolmente per l’avvenire contro l’ormai abituale leggerezza con la quale la forza pubblica fa uso delle armi contro inermi cittadini che manifestano il loro disagio economico o la loro miseria. Tanto più che troppo vicina è la sconcertante assoluzione di tutti gli imputati dei luttuosi fatti di Palermo dell’ottobre 1944»;
Salvatore, al Ministro dell’interno, «per conoscere: 1°) i motivi e le modalità che hanno determinato o favorito i luttuosi incidenti svoltisi la mattina del 7 marzo in Messina; incidenti che, tra l’altro, hanno colpito le gelose tradizioni di rispetto e di libera convivenza di una popolazione civile, laboriosa ed onesta; 2°) se tra tali motivi se ne sia accertato qualcuno di natura o di preoccupazione elettoralistica; 3°) se l’uso delle armi, tristemente impiegate, può ritenersi giustificato dalle modalità e dal contenuto degli incidenti occorsi ed, in casa negativo, quali provvedimenti si intende prendere o siano stati presi in confronto degli eventuali responsabili; 4°) quali disposizioni siano state date per assicurare l’incolumità di tutti i cittadini nella malaugurata evenienza che qualche episodio del genere possa essere ulteriormente tentato; 5°) i motivi per cui non è stata consentita dalla autorità l’affissione di un manifestò solamente ad una delle parti in contrasto, mancando così alla cittadinanza la possibilità di valutare situazioni e giustificazioni, al fine anche di favorire quella distensione di animi tanto necessaria al buon nome ed alla vita economica della città di Messina»;
Natoli, ai Ministri dell’interno e della difesa, «per sapere se rispondano a verità le notizie date dai giornali sui luttuosi fatti di Messina, e per sapere se sono state assodate le responsabilità e quali provvedimenti sono stati disposti a carico di un ufficiale dei carabinieri che avrebbe caricato la folla al grido di «Avanti Savoia!»;
Li Causi, Montalbano, ai Ministri dell’interno e della difesa, «per sapere quali provvedimenti intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi fatti verificatisi nella giornata del 7 marzo decorso durante una pacifica dimostrazione di lavoratori dianzi alla Prefettura di Messina, nonché contro il comandante la legione dei carabinieri di Messina e il capitano dei carabinieri, che in quel giorno comandava il servizio, responsabili l’uno indirettamente e l’altro direttamente di aver fatto sparare i carabinieri sul popolo al grido monarchico di «Avanti Savoia!».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Sugli incidenti avvenuti a Messina il 7 corrente, come già annunciato, è stata disposta, per mezzo dell’Ispettorato generale del Ministero, una rigorosa inchiesta, tutt’ora in corso di espletamento. In concomitanza si svolgono indagini a cura dell’Alto Commissariato per la Sicilia. Non appena sarà esaurita l’inchiesta e non appena saranno esaurite le indagini dell’Alto Commissario, gli onorevoli interroganti avranno notizia dei chiarimenti che si rendessero necessari in base ai risultati delle inchieste stesse. Quindi chiedo di attendere l’esito di questa ispezione e dell’inchiesta ordinata dall’Alto Commissario.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Sottosegretario di Stato di dichiarare quando il Governo potrà rispondere.
CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Appena perverranno i risultati.
PRESIDENTE. Resta allora stabilito che lo svolgimento delle interrogazioni testé lette è rinviato alla seduta nella quale il Governo sarà in condizioni di rispondere.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Fiore. Ne ha facoltà.
FIORE. Noi protestiamo per questo rinvio, perché pensiamo che il Governo avrebbe potuto già rispondere dopo sette giorni dai fatti luttuosi. D’altro canto segnaliamo che per il modo come è stata disposta l’inchiesta e per il funzionario che è stato adibito all’inchiesta stessa, si ha l’impressione che si voglia ricorrere a dei salvataggi, poiché il funzionario inviato a Messina per questa inchiesta è il fratello di uno dei marescialli dei carabinieri in servizio alla legione di Messina. Quanto all’ufficiale dei carabinieri che ha gridato l’ordine di «fuoco» al grido di «Savoia», noi chiediamo che sia sostituito. (Commenti).
PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato allo svolgimento delle interrogazioni.
Discussione del disegno di legge: Partecipazione dell’Italia agli accordi firmati a Bretton Woods, New Hampshire, U.S.A., il 22 luglio 1944, dai rappresentanti delle Nazioni Unite per la costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (6).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Partecipazione dell’Italia agli Accordi firmati a Bretton Woods, New Hampshire, U.S.A., il 22 luglio 1944, dai rappresentanti delle Nazioni Unite, per la costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (6).
Dichiaro aperta la discussione generale. Sono iscritti a parlare sette oratori; mi permetto di far presente la necessità di esaurire entro stamane la discussione e la votazione di questo disegno di legge. Perciò prego gli oratori di contenere nei limiti del possibile le loro esposizioni.
Il primo oratore iscritto a parlare è l’onorevole Corbino. Ne ha facoltà.
CORBINO. Onorevoli colleghi, non parlo dal mio banco, non solo per ragioni di resoconto, ma anche perché su questo disegno di legge, da parte del mio gruppo, vi è adesione completa, così come spero che possa esservi da parte degli altri gruppi di opposizione.
Si tratta dell’accoglimento di una richiesta che il Governo italiano aveva presentato fin dal febbraio dell’anno scorso, perché l’Italia potesse accedere al Fondo monetario e alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, creati con gli accordi del 22 luglio 1944, noti col nome di «Accordi di Bretton Woods».
Le origini di questi accordi vanno ricercate nel frazionamento del mercato finanziario mondiale, determinato dalla guerra mondiale del 1914-18.
In realtà, prima del 1914 qualche cosa di simile a quello che si è voluto creare a Bretton Woods esisteva già nel mondo; ma non era codificato, non faceva parte di convenzioni internazionali: era il risultato della spontanea attività dei mercali finanziari, ed era soprattutto il mercato finanziario di Londra che svolgeva nel mondo un’azione, non solo presso a poco analoga a quella che verranno ad avere ora il Fondo e la Banca per effetto degli accordi, ma probabilmente una funzione molto più vasta, molto più profonda.
Era il periodo veramente aureo dell’economia mondiale, quando bastava una piccolissima variazione del saggio dello sconto per spostare ingenti capitali da un mercato all’altro, o variazioni non molto sensibili del saggio dell’interesse per spingere ad investimenti in Paesi stranieri.
Londra era il centro ove questa massa enorme di capitali si moveva attraverso quella che si potrebbe definire «l’atmosfera del credito», una delle più mirabili costruzioni dell’attività umana, tanto più mirabile in quanto che non aveva niente di concreto: la si poteva percepire così come noi oggi percepiamo l’esistenza delle onde hertziane, attraverso gli apparecchi trasmittenti o riceventi, apparecchi che erano le banche. Ed il mercato era allora così perfettamente collegato che una piccola crisi di credito a Melbourne, entro 24 ore aveva i suoi effetti indiretti a Rotterdam o a New York.
Per darvi un’idea della sensibilità del mercato, anteriormente alla prima guerra mondiale, vi bastano due dati che metto a confronto: la crisi del 1907-08, nel giro di una settimana da quando scoppiò, era già universale e nel giro di sei mesi era stata completamente chiusa; la famosa crisi di Wall Street del 1929, pur essendo di portata infinitamente più grande, impiegò 21 mesi per fare arrivare le sue ripercussioni in Europa. Questo mercato fu dunque rotto, frantumato dalla guerra, ma, soprattutto, fu rotto e frantumato da uno degli episodi monetari più gravi del dopoguerra: il crollo del marco tedesco.
Prima del 1914 la gente era convinta che il contenuto aureo delle monete fosse qualcosa che non si potesse toccare. Tutti erano convinti che la lira era la lira, che la sterlina era la sterlina, che il dollaro era il dollaro. Nessuno sapeva quanti grammi di oro ci fossero nella sterlina, nel dollaro, nella lira o nel franco. Chi ricorda, per esempio, che la lira aveva un certo contenuto di grammi oro fissato da una legge del 1861, che ripeteva la legge francese del 1793? Le manipolazioni monetarie erano sconosciute. Noi che abbiamo avuto come malattia costituzionale il corso forzoso, al massimo eravamo arrivati a svalutazioni del 16 per cento; ma, immediatamente dopo, si ritornava alla normalità. Abbiamo toccato il 16 per cento nel 1896, dopo Adua, ma già nel 1898 eravamo all’8 per cento di aggio e nel 1904-1905 la lira italiana in carta faceva premio sulla lira italiana in oro.
Era tale la fiducia nella incrollabilità delle unità monetarie che le monete si sorreggevano l’una con l’altra e ne era venuta fuori quella costruzione che io vi ho tratteggiato molto fugacemente. Questa convinzione fu in parte rafforzata dalla decisione del Governo inglese, presa nel 1921, di riportare la sterlina alla sua antica parità. Il Governo inglese non volle riconoscere la svalutazione del 30 % di fatto, e decise di riportare la sterlina alla parità antebellica; e la gente si convinse quindi che si ritornava alla mentalità antebellica.
Senonché, nel 1922-23 l’umanità fu esposta al più grande disastro monetario che abbia avuto ripercussioni veramente notevoli nel sistema: il disastro del marco tedesco. Molti di voi conosceranno le vicende di questo disastro, di cui non so dire (nessuno potrebbe agevolmente darne la dimostrazione positiva o negativa) se il Governo tedesco abbia voluto compiere, ai danni di coloro che credevano nella stabilità monetaria, una delle più colossali truffe che la storia ricordi. Sei miliardi di marchi oro – badate, marchi oro del 1914 – furono pagati dai neutrali e dai sudditi dei paesi ex nemici della Germania nella speculazione sul marco; sei miliardi che la Germania poi si è fatta accreditare in conto riparazioni, in maniera che le riparazioni, per sei miliardi, le abbiamo pagate noi. Il tracollo del marco diede la sensazione che la vecchia mentalità sulla stabilità del contenuto aureo della moneta non rispondeva alla realtà concreta. E allora tutti coloro che avevano pagato del proprio per imparare questa verità economica, crearono una mentalità diametralmente opposta a quella del 1914, e non si credette più nella stabilità monetaria. Non appena una moneta cominciava a correre il rischio di una svalutazione, ecco la gente affrettarsi a mandar fuori i proprî capitali per sottrarsi al taglio della svalutazione ritenuta probabile, e, per questo solo fatto, una svalutazione probabile diventava una svalutazione inevitabile. Se voi ricordate tutte le vicende monetarie fra il 1924 e il 1939 non vedete altro che una serie successiva di svalutazioni monetarie precedute e seguite da fughe e rientri di capitali da parte di coloro i quali pretendevano di essere troppo furbi per sottrarsi alla svalutazione che così veniva effettuata, e ve ne furono alcuni che non furono furbi affatto perché, scappando da un Paese all’altro, incapparono in tutte le svalutazioni monetarie che si sono succedute l’una all’altra. Si scappa da Parigi per andare a Londra e, nel 1931, si perde il 40 per cento; ci si ricovera dopo negli Stati Uniti e nel 1933 si perde un altro 40 per cento del resto; si ritorna a Parigi e nel 1936 si perde ancora un 40 per cento.
Vi furono in Europa dei tentativi di arginare questa situazione, ma i tentativi si svolgevano non nel senso di ricostituire la fiducia, ma nel senso di contenere il fenomeno della fuga dei capitali. Da questi tentativi sono venute fuori tutte quelle forme artificiose del controllo del commercio d’importazione e d’esportazione, tutte quelle forme di vincolismo al movimento dei forestieri, al movimento turistico, al movimento emigratorio, tutto quel complesso di norme restrittive che la Francia cominciò ad inventare nel 1933-34 con uno spirito tutto latino, e a cui tutti gli altri Paesi si sono lanciati dietro, aggiungendo ciascuno qualcosa del proprio, finché poi noi, con la Germania, non raggiungemmo la perfezione in questa materia con la famosa politica autarchica.
Il mondo si era ormai organizzato a base di compartimenti stagni, e ciascuno cercava di difendere la propria stabilità monetaria, non collegandosi al mercato internazionale, ma isolandosi da esso.
Fino a qual punto il sistema avrebbe potuto resistere noi non sappiamo, non possiamo dirlo, perché nel 1939 sopravvenne la seconda guerra mondiale, e si crearono quindi gli elementi per far temere che, a pace fatta, vi sarebbe stata una seconda edizione degli esperimenti del 1929 e del 1936, durante i quali nessuna delle monete del mondo fu esente dalla svalutazione.
La sterlina, che faticosamente era arrivata alla parità nel 1925, nel 1931 cadde. Cadde con lo schianto di un edificio divorato alle basi, perché Londra aveva ripreso la sua funzione di centro del mercato monetario, aveva raccolto per centinaia di milioni di sterline depositi da tutte le parti del mondo e li aveva prestati alla Germania. La Germania nel 1930 disse: io riconosco i miei debiti, però non sono in condizione di pagare. E i crediti di Londra sul mercato tedesco si congelarono. Londra fu sottoposta da ogni parte alla richiesta di sterline. Le partite attive non erano realizzabili; nel giro di tre giorni la Banca d’Inghilterra vide sparire quasi completamente le sue riserve metalliche e una domenica mattina si dovette riunire un Consiglio di Gabinetto – badate, durante la guerra non si era mai riunito di domenica un consiglio di Gabinetto, a Londra – per stabilire che la sterlina non era più la sterlina. Non erano passati 18 mesi e la stessa sorte toccò al dollaro: dovette subire un taglio del 40 per cento.
Alcuni Paesi dell’Europa, noi, l’Olanda, il Belgio, la Francia, la Svizzera crearono il cosiddetto blocco aureo, ma era cosa da niente, un debole tentativo di resistenza; ma nel 1936 cominciò a declinare anche il franco francese e tutti allora, rubando la terminologia dal linguaggio militare, decisero di fare non una svalutazione, ma un allineamento. Eravamo nel 1936: c’era già Monaco in vista, c’era già in vista la seconda guerra. Si adoperano così termini militari: le monete si allineano come tanti soldati, facendo un passo indietro del 40 per cento.
Durante la guerra due studiosi, il Keynes e il White furono incaricati di studiare qualcosa che sostituisse il mercato di Londra nella sua storica funzione di regolatore della distribuzione dei capitali del mondo e quale risultato dei loro studi e dell’apporto dei tecnici, vennero fuori gli schemi dei due accordi: quello per il Fondo monetario e quello per la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Badate, che l’accordo per il Fondo monetario ha un’importanza, dal punto di vista storico, che non isfuggirà ai nostri nipoti, quando si occuperanno di queste cose, perché esso crea una moneta di conto che in questo momento non esiste, ma che sarà probabilmente la moneta di conto dell’avvenire: crea il dollaro oro del 1944, il quale corrisponde ancora al dollaro oro del 1947, ma che non sappiamo se corrisponderà anche al dollaro del 1948 o del 1949. Fra cinque o sei anni, noi avremo una nuova unità monetaria che sarà quella su cui saranno fatte probabilmente le statistiche e su cui si intrecceranno gli scambi di notizie sulle riserve auree o altro: il dollaro Bretton Woods, che corrisponde al dollaro equivalente al valore di 35 dollari per ogni oncia di oro fino.
Voi avrete visto probabilmente dalla relazione e dalla lettura degli articoli dell’accordo, in che cosa esso consista: nella sua essenza, esso è un concorso volontario per alcuni fini, di alcuni Stati, a ciascuno dei quali è assegnata una quota del Fondo corrispondente alla sua capacità economica. Sull’assegnazione delle quote vi è stato molto conflitto, vi sono state molte ragioni di conflitto. La Russia non ha ancora dato la sua adesione – a parte eventuali riflessi di politica non di carattere monetario – quasi certamente per il fatto che la quota a lei assegnata è stata da essa giudicata modesta in confronto a quella assegnata alla Gran Bretagna che, in un primo tempo, aveva avuto 1.200 milioni di dollari, contro 900 assegnati alla Russia. In un secondo tempo però l’Inghilterra ebbe assegnati 1.300 milioni e la Russia 1.200, la Gran Bretagna sostenendo, come sua ragione, l’esistenza di quel tale mercato internazionale di cui dianzi vi ho parlato.
Il Fondo amministra queste quote, di cui una parte è versata in oro, ed è la parte minore che corrisponde o al 25 per cento della quota, o al 10 per cento delle disponibilità in valute estere, ragguagliate al dollaro degli Stati Uniti 1944. Ciascuno si può servire del Fondo per effettuare i proprî saldi nelle operazioni di carattere internazionale, comperando le divise di cui ha bisogno, o vendendo quelle che gli sono ordinariamente affluite. Noi avremo quindi due tipi di monete: quelle che verranno più offerte che domandate e quelle che verranno più domandate che offerte. Il secondo gruppo dà luogo alla cosiddetta dichiarazione di «moneta scarsa»; e ad esso apparterrà certamente il dollaro degli Stati Uniti, perché teoricamente tutti i Paesi hanno una potenzialità di domanda di circa 7 miliardi di dollari, mentre di dollari disponibili non vi saranno che circa tre miliardi e settecento milioni. Gli altri Paesi vedranno la loro moneta offerta più che domandata.
Quali scopi ha il Fondo? Prima di tutto fermare la parità. «Beh, adesso allineatevi!» – ecco l’invito del Fondo. – «Stabilite qual è la vostra parità rispetto al dollaro degli Stati Uniti o rispetto all’oro; e questa parità consideratela non come immutabile, ma come modificabile solo a certe condizioni».
Quali sono queste condizioni? Fino ad un 10 per cento la svalutazione può essere fatta direttamente dallo Stato aderente, con notifica al Fondo; per un ulteriore 10 percento, il Fondo, se richiesto prima, deve dare il suo parere non più tardi di settantadue ore prima del giorno in cui la modifica dovrebbe aver luogo. Badate, che se il Fondo dice di no, e lo Stato membro effettua egualmente la svalutazione, automaticamente esso si pone fuori del Fondo. Al di là di questo 20 per cento, uno Stato può anche ulteriormente modificare la propria parità d’accordo col Fondo, e tenendo conto delle condizioni economiche nelle quali il Paese sì trova. Senonché, c’è una clausola negli accordi, che è bene sia messa in evidenza, ed è questa: le svalutazioni di carattere generale non entrano nel calcolo di queste percentuali. Le svalutazioni di carattere generale possono essere effettuate quando vi aderisca la maggioranza degli Stati membri e vi aderiscano individualmente i membri che hanno ciascuno più del 10 per cento della quota. Ora, di membri che abbiano più del 10 per cento della quota non vi sono che gli Stati Uniti d’America e, fino a questo momento, l’Inghilterra. Che cosa vuol dire questo? Che una svalutazione generale di tutte le monete del mondo non potrà avvenire se non vi consentono separatamente gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Se sono d’accordo questi due – siccome gli Stati Uniti hanno il 28 per cento e la Commonwealth britannica ha quasi un 26 per cento – fra tutti e due possono imporre agli altri la svalutazione generale; mentre gli altri da soli non potranno mai imporla a ciascuno dei due.
Questa è la situazione. Badate, che questa situazione ha importanza rispetto a quello che vi dirò subito. Qual è il pericolo grave rispetto al quale va incontro il funzionamento del Fondo e che ha costituito una delle ragioni per le quali si sono fatte delle critiche molto aspre sia in Inghilterra che, soprattutto, in America? Come voi sapete, la sterlina ha un rapporto di parità rispetto al dollaro, in cifra tonda, di uno a quattro: 4 dollari equivalgono ad una sterlina. Di fatto, sul mercato libero la sterlina vale molto meno: è quotata con un prezzo che varia da 2.6 fino a 3, secondo i varî mercati. Questa situazione è dovuta al fatto che l’Inghilterra esce dalla guerra con un’economia completamente schiantata.
Essa ha realizzato quasi tutto il suo capitale precedentemente investito all’estero; ma esce dalla guerra con una massa di debiti congelati in sterline, che alcuni tecnici hanno valutato a circa 12 miliardi di dollari.
Ora si pone questo problema: quale sarà la futura parità dollaro-sterlina? Perché, badate, il problema ha un aspetto immediato importante, che è quello di sapere su chi debba gravare l’onere della svalutazione della sterlina. Se la sterlina domani dovesse essere svalutata in maniera da avere una parità ufficiale corrispondente a quella, chiamiamola così, di mercato nero, chi perderebbe? Su questi 12 miliardi di dollari si perderebbe circa un terzo, cioè 4 miliardi di dollari, che andrebbero ad incidere su tutti i creditori dell’Inghilterra che hanno sterline in mano. Soltanto l’India è creditrice per circa 5 miliardi di dollari.
Gli Stati Uniti potrebbero domani rilevare tutti i debiti in sterline ed assumerli per proprio conto, regolando poi i propri rapporti con l’Inghilterra. Ma questo significherebbe far pagare ai cittadini degli Stati Uniti quei tali 4 miliardi che invece dovrebbero pagare i creditori del mercato inglese. Questa è la sostanza del problema. Come si risolverà? Vedremo quale sarà l’indirizzo di politica che vorranno seguire le autorità finanziarie nord americane. Noi siamo troppo piccoli per poter influire in un giudizio di questo genere. Andando a Bretton Woods, cercheremo di difendere, nei limiti del possibile, i nostri interessi, facendoli coincidere con quelli che sono gli interessi generali della economia mondiale. Ma, badate, è questo il problema fondamentale che il Fondo dovrà risolvere: il problema non si pone ancora, perché l’Inghilterra ha ancora tre o quattro mesi di respiro; ancora fino alla prossima estate le sterline possono restare congelate; ma con la prossima estate esse dovranno uscire dal frigorifero, e che cosa accadrà di questa roba che uscirà dal frigorifero, se non sarà pronta una massa finanziaria corrispondente per poter fronteggiare le richieste di rimborso?
Il Governo inglese si era da tempo preoccupato di questa situazione ed aveva fatto un piano di espansione dell’attività economica nazionale, in maniera da esportare il 75 per cento in più della media di esportazione del triennio anteriore al 1939; se non che nei primi 10 mesi del 1946 si è giunti solo a circa il 35 per cento in più; negli ultimi 2 mesi si è scesi al 17 per cento in più; nei primi 2 mesi di quest’anno si è caduti al di sotto del cento per cento, e l’economia britannica, malgrado i sacrifici veramente straordinari ai quali va incontro il popolo britannico in questo memento, non può sopportare a lungo uno stato di privazione tale quale quello che oggi è imposto alla popolazione. Quindi, la speranza di poter pagare tutti i debiti, senza una larga svalutazione, a mio giudizio non esiste.
Si tratta di vedere se ragioni politiche di altro ordine non possano imporre agli Stati Uniti di fare il salvataggio di questa economia dissestata, con una forma di prolungamento della famosa legge dei prestiti e affitti: circa 50 miliardi di dollari che sono stati prestati con la legge dei prestiti e affitti, dei quali 31 all’Impero Britannico, e 11 alla Russia. Dipenderà dalla volontà dei contribuenti americani la scelta della soluzione.
Il Fondo ha, come voi vedete, una delle funzioni vecchie del mercato inglese: provvedere ai bisogni a breve scadenza (quelle che erano le vecchie cambiali finanziarie a 15 giorni, a 1 mese, a 2 mesi). Oggi queste funzioni saranno svolte dal Fondo, il quale deve chiudere il conto in maniera perfetta dentro l’anno. Se vi sono dei crediti, devono subito essere realizzati a spese del debitore o in oro o in divise equiparate all’oro.
Ma sorgeva poi il problema degl’investimenti a lunga scadenza, e a questo si è cercato di provvedere con la Banca per la ricostruzione e lo sviluppo, la quale Banca, in sostanza, tende a creare la base per investimenti che altrimenti non avrebbero la possibilità di essere finanziati, sostituendo ad una garanzia singola la garanzia collegiale di un ente in cui sono rappresentati tutti gli Stati del mondo. Il capitale della Banca è su per giù lo stesso di quello del Fondo, ma di esso è versato soltanto il 20 per cento (quindi circa 1.600 milioni di dollari), cifra che segna i limiti dei prestiti diretti da parte della Banca. Fino al resto del capitale la Banca può dare garanzie oppure può emettere obbligazioni in dollari Bretton Woods con il consenso degli Stati nei quali le obbligazioni devono essere collocate.
Si tratta di creare un congegno che cominci a far circolare di nuovo i capitali fra i paesi che ne hanno molti e i paesi che ne hanno pochi. I mezzi predisposti non sono molto abbondanti: 1.600 milioni di dollari in prestiti diretti e 8.000 milioni in prestiti garantiti sono una goccia d’acqua rispetto alle necessità dei paesi che devono essere ricostruiti. Ma il non poter fare che poco non è una ragione perché si debba rinunciare anche a questo poco in un mondo in cui il prevalere degli egoismi tende a disintegrare completamente lo strumento con cui l’economia del mondo si dovrebbe svolgere.
Che interesse abbiamo noi ad andare a Bretton Woods? Bisogna che la gente si metta in testa che quando noi saremo stati accolti a Bretton Woods non avremo risolto nessuno dei nostri problemi fondamentali. Vi sono delle illusioni a questo proposito. C’è qualcuno che crede e dice: Beh, adesso ce ne andiamo a Bretton Woods e non ci saranno più problemi per l’Italia.
No, niente affatto, i problemi ci sono, Bretton Woods avrà soltanto il merito di porceli, non soltanto rispetto a noi stessi, ma rispetto al mondo con cui intendiamo di essere collegati.
È per questo che da taluni è stata ventilata qualche riserva sull’opportunità in questo momento di aderire a questi accordi; in una situazione monetaria come quella nella quale ci troviamo, si dice, ci conviene di legarci con una parità fissa? La risposta potrebbe anche essere negativa. Ma, ci conviene rimandare a tempo indeterminato lo stabilimento di una certa parità? Ma, quale ingegnere si potrebbe mettere a costruire un palazzo, se non gli si dice quale è il metro con cui dovrà misurare le finestre, i mattoni, le fondamenta, i tetti? Se no, finirà col fare una finestra a sghimbescio, un portone che casca da un lato, ecc., ecc. La ricerca della stabilità monetaria è un problema che ci dobbiamo porre, e che dobbiamo voler risolvere. Se, per risolverlo, l’ingresso a Bretton Woods costituisce un motivo psicologico che ci aiuti a vincere questa forma di abbandono a noi stessi, questo senso di fatalismo, noi dobbiamo auspicarlo. No, le cose non si accomodano per conto proprio, so noi non contribuiamo a farle accomodare nel senso a cui corrispondono le esigenze del Paese. (Applausi).
Tuttavia potremo raccomandare al Governo di chiedere all’Amministrazione del Fondo che non ci obblighi a fissare subito una parità, che ci conceda quelle dilazioni che sono previste dall’accordo, in maniera da darci un po’ di tempo per vedere come le cose si mettono. Ma non molto tempo, badate bene, perché vi è la necessità di ricorrere alla Banca. Quello che la Banca ci potrà dare è poco, d’accordo; ma per noi può essere indispensabile quel poco, perché io sono convinto che noi avremo ancora qualche anno da dover tirare i denti, ma poi ci tireremo fuori; e in quest’anno quel qualsiasi aiuto che ci viene sarà forse quello che ci consentirà di vivere fino al giorno in cui potremo andare avanti per conto nostro.
Né si può dire che il ricorso al Fondo ci precluda la possibilità di aiuti diretti da ricercare sui mercati nei quali i capitali sono disposti a venire verso di noi, perché, se noi rifiutassimo di aderire al Fondo, allora la gente potrebbe dire: «L’Italia deve essere veramente in tali condizioni caotiche, che non è voluta andare neppure a Bretton Woods, malgrado l’avesse chiesto un anno fa». Mentre, il giorno in cui si saprà che noi siamo andati a Bretton Woods, che siamo stati accolti a Bretton Woods, il discorso cambierà. Bretton Woods non è un ospedale in cui si accolgono i morti; negli ospedali i morti non si ricevono, si accolgono i malati per guarirli e noi siamo appunto un malato che ha moltissime probabilità, anzi la quasi certezza di guarire, se agli strumenti tecnici che l’adesione agli Accordi ci consentirà di adoperare, aggiungeremo quel minimo di buona volontà che è necessario perché i vari problemi siano affrontati e risolti.
Vorrei fare ancora una considerazione, e con questa avrò finito.
L’adesione agli Accordi di Bretton Woods è indipendente dal Trattato di pace; non c’è nessun collegamento con esso. Noi l’abbiamo ottenuta in condizioni di perfetta parità morale e politica con tutti gli altri Stati aderenti.
Credo che questa circostanza debba essere messa in rilievo, perché è, in fondo, il primo velo che copre il ricordo della sconfitta, è il primo passo che lo Stato italiano compie in condizione di eguaglianza con gli altri Stati vincitori nel mondo. E in un mondo in cui troppa gente dimentica che il costo di un giorno di guerra potrebbe servire a lenire le miserie di milioni di vite umane per anni interi, in un mondo in cui non si sa se il cuore nostro si debba aprire alla speranza di un avvenire in cui sia utilizzata, a fini pacifici, l’energia del nucleo, o al terrore in cui debba essere utilizzata la bomba atomica, in questo mondo l’Italia vuole entrare per portare il suo desiderio infinito di pace e di collaborazione, per camminare con gli altri popoli, a parità, verso un mondo migliore. (Vivissimi generali applausi – Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Treves. Ne ha facoltà.
TREVES. Onorevoli colleghi, io accolgo, senza riserva, e direi con riconoscenza, l’invito che ci ha rivolto il nostro illustre Presidente a non volere inutilmente prolungare questa discussione. Sarebbe, senza dubbio, molto invitante, approfittare di questo dibattito sulla nostra partecipazione agli accordi di Bretton Woods, per porre, in qualche modo, in discussione tutta la politica finanziaria del Governo. E non sarebbe, forse, nemmeno andare completamente fuori tema perché – lo possiamo pur dire – solo questo progetto di legge è il risultato, visibile almeno, di tutta la politica finanziaria del Governo in questi ultimi mesi, nonostante che nelle dichiarazioni programmatiche dell’onorevole Presidente del Consiglio a questa Assemblea si sia posta la politica economica e la stabilizzazione della lira a fondamento del suo programma di Governo.
Effettivamente, in questa situazione di aumento continuo della circolazione monetaria, che oggi potrebbe, credo, superare di parecchio i 510 miliardi del 10 febbraio contro i 485 a fine dicembre. 1946, non penso che sia molto differibile una discussione generale sulla politica finanziaria del Governo. Ma non sarebbe tuttavia una ragione per fare il viso dell’arme – anche per noi che non siamo sostenitori della politica finanziaria del Governo – a questo disegno di legge che ci chiede di approvare la partecipazione italiana agli Accordi di Bretton Woods. Anzi, appunto perché noi crediamo di dover circondare di molte riserve la concezione politico-finanziaria del Governo, vediamo con soddisfazione questo inizio, al quale noi diamo il nostro appoggio. Ed io qui mi limiterò a spiegare perché il Gruppo parlamentare, a cui mi onoro di appartenere, voterà a favore di questo disegno di legge.
Non tenterò una discussione tecnica, specialmente dopo il discorso dell’onorevole Corbino, perché, devo confessare agli onorevoli colleghi che tutte le volte che sento l’onorevole Corbino, mi spavento terribilmente. Lo dico senza nessunissima irriverenza, anzi col massimo rispetto per lui; ma tutte le volte che lo sento parlare non posso trattenermi dal pensare ad una specie di mago, il quale fa saltare fuori dei miliardi, specialmente dalle dita, ma sono miliardi che escono dalle dita della mano destra e ritornano nelle dita della mano sinistra. Mi perdoni l’onorevole Corbino questa figurazione letteraria, ma essa mi serve a dire perché non lo seguirò su questo terreno, anche perché sarebbe da parte mia una stolida presunzione.
Ma è innegabile che noi dobbiamo considerare gli Accordi di Bretton Woods sotto due aspetti: un aspetto tecnico e anche, sostanzialmente, un aspetto politico.
Sotto il primo punto, ripeto, non mi dilungherò. Noi non ci nascondiamo tutte le riserve che si potrebbero avanzare al riguardo, che sono già state espresse in parte dall’illustre oratore che mi ha preceduto e sono state anche a lungo analizzate nelle riunioni della Commissione che hanno preceduto questa discussione plenaria, soprattutto sulla inadeguatezza della quota che ci viene fatta di 180 milioni di dollari, che rappresenta forse la metà di quella che dovrebbe essere logicamente la nostra quota. Notiamo con soddisfazione che nella stessa relazione che ci viene presentata dagli onorevoli colleghi La Malfa e Lombardo, si suggerisce di chiedere fin dall’inizio una revisione sostanziale della nostra quota. Altro motivo, se non di preoccupazione, di discussione, potrebbe essere la non partecipazione agli Accordi di altri paesi che hanno notevole importanza non solo nella generale linea finanziaria e politica del mondo, ma coi quali noi abbiamo rapporti economici notevoli. Ma a questo punto mi si può rispondere che il medesimo congegno tecnico di Bretton Woods non esclude, anzi ammette, che noi possiamo in piena e assoluta libertà continuare, e se possibile sviluppare, i nostri rapporti economici con queste nazioni.
In sostanza, noi vediamo in questa nostra adesione agli accordi di Bretton Woods un primo passo, ma solo un piccolo primo passo, verso quella che deve essere l’ultima mèta nostra, quella per cui l’onorevole Ministro del tesoro ha certo molta preoccupazione – e sicuramente superiore a quella che egli possa avere per altri recenti motivi – cioè la stabilizzazione monetaria. Si potrebbe affermare che noi abbiamo molto poco, forse niente da perdere e, in realtà, probabilmente, qualche cosa da guadagnare dalla nostra adesione agli Accordi di Bretton Woods e in questo senso io riassumerei ciò che volevo dire sotto l’aspetto tecnico.
Ma per noi molto più importante è l’altro aspetto, che possiamo chiamare politico. Vorrei anche aggiungere che la politica finanziaria in genere non si limita alla pura tecnica; vi è sostanzialmente in una buona politica finanziaria – particolarmente per quanto riguarda quello che può essere il consenso popolare – necessariamente un problema politico, un problema di sensibilità politica. È infatti soltanto grazie a una chiara concezione politica che qualsiasi politica finanziaria può poi suscitare nei Paese un particolare senso di civismo, di comprensione e di entusiasmo per determinati problemi; problemi che sono necessariamente complessi, come abbiamo visto nell’esempio recente di molte Nazioni europee, che i colleghi ricordano, senza che io insista, e che sono relativi alle esperienze fatte in Francia e in Inghilterra.
Quanto all’aspetto politico della questione, noi siamo favorevoli perché questi accordi si inquadrano sostanzialmente in quel grande processo di ritorno dell’Italia all’Europa e al mondo che è l’aspetto più caratteristico di questo periodo storico. Non solo, ma esso costituisce il nostro compito fondamentale, compito fondamentale di tutti noi in questo difficile e disgraziato dopo-guerra, cioè di cercare di far rientrare, quanto più rapidamente possibile, e con parità di diritti ed eguaglianza di doveri, il nostro Paese nella grande famiglia internazionale, nella compagine internazionale intesa nel suo senso migliore.
Noi non siamo certo di coloro che nutrono dei dubbi o malguariti e nostalgici desideri di nazionalismo. Noi pensiamo, al contrario, che esiste la fondata speranza pel nostro Paese di ritornare al più presto possibile a quella posizione di dignità e di rispetto che gli compete nell’ambito internazionale.
È in questo senso che noi consideriamo con favore la nostra adesione agli accordi di Bretton Woods, che rappresentano, come già è stato notato, il primo passo per il nostro ritorno di pieno diritto e in condizioni di parità nella vita economica internazionale.
Infatti, se noi abbiamo bisogno di aiuto possiamo anche pensare che non sempre dovremo chiedere aiuto e che potremo, una volta rientrati nel circolo delle Nazioni democratiche, avere anche qualcosa da offrire a queste Nazioni, all’Europa e al mondo intero, per merito soprattutto delle classi lavoratrici, che con la loro tenacia, con la loro tecnica e col loro sacrificio potranno ancora aiutarci a farci riprendere il posto a cui abbiamo diritto.
Per tornare alla tecnica degli Accordi di Bretton Woods, sappiamo benissimo che la nostra adesione non è un toccasana, non è un colpo di bacchetta magica, che ci farà superare tutte le difficoltà: non è che un primo passo e sappiamo che il vero risanamento della nostra moneta non verrà di qui; sappiamo che molte altre misure dovranno esser prese. E qui necessariamente si riaprirebbe la discussione sulla politica finanziaria del Governo, di cui noi non siamo sodisfatti.
Ma ho detto le ragioni per cui, pur essendo oppositori sulla politica generale, noi siamo favorevoli a questo disegno di legge, anche perché speriamo, pur senza soverchie illusioni, che anche dalle conseguenze di esso un qualche alleviamento possa venire alla nostra situazione nell’ora che volge, ora di espiazione di un recente passato e soprattutto per coloro che di questo passato non sono colpevoli (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Montini. Ne ha facoltà.
MONTINI. Dopo quanto è stato detto in merito, io mi limiterò ad un aspetto indiretto dei patti di Bretton Woods, ad un aspetto complementare, e quasi essenzialmente sociale. Gli accordi di Bretton Woods fanno parte di quel piano di collaborazione internazionale che è stato studiato quando si pensava alla pace autentica, alla pace della Carta Atlantica per una concreta solidarietà fra i popoli.
La prima tappa di quella pace era un vasto programma di immediato sollievo delle zone devastate dalla guerra. E nasceva così l’U.N.R.R.A., alla quale era appunto affidato questo compito di intervento a fondo perduto: un’assistenza per assicurare la prima ripresa della vita.
Il compitò è stato in gran parte assolto. Ma rimane oggi ancora in certo grado aperto, perché effettivamente non venne peranco raggiunto lo scopo di assicurare le condizioni essenziali della ripresa autonoma, sia pure modesta, dei Paesi devastati. Mancano ancora quelle condizioni minime che consentano almeno di poter lavorare al limite del sostentamento assicurato: anche se si vuol ridurre questo limite al così detto «miuimo essenziale». Tanto che è stato osservato che, interrompendosi l’opera dell’U.N.R.R.A., ci si troverà come chi, provvedendo alla costruzione di un edificio, lasci mancare il tetto, sicché si minaccia in un certo senso la inutilità degli stessi soccorsi avuti, se ancora resta scoperto il bisogno essenziale del pane, senza del quale è vano pensare alla produzione e agli scambi.
È proprio qui che viene il commento ai patti di Bretton Woods, perché essi sono bensì la seconda, o una delle successive tappe della collaborazione e della solidarietà internazionale, ma essi presuppongono essenzialmente che sia in qualche modo compiuta, o almeno assicurata la prima.
Infatti il sistema di Bretton Woods postula un qualsiasi possibile equilibrio economico-finanziario, di cui il Fondo e la Banca vengono a garantire un più efficiente e normale funzionamento. Ma si può aiutare e sostenere ciò che non abbia una base di esistenza?
Invero il Fondo monetario, come detto nella stessa relazione, svolgerà la propria funzione di regolatore del mercato internazionale delle valute, vendendo ai Paesi aderenti la valuta di altri partecipanti, in cambio di oro o della propria moneta, purché la richiesta sia determinata dalla necessità di correggere «temporanei» squilibri della bilancia dei pagamenti per partite correnti e per importi «limitati»
D’altro canto, la Banca interazionale ha il compito di facilitare gli investimenti per aumentare la produzione; ed appare come complemento del Fondo, facilitando con opportune operazioni di credito e garanzie la partecipazione degli Stati del Fondo e l’adempimento di essi dei conseguenti impegni.
Fondo e Banca presuppongono quindi un intervento solo occasionale, direi marginale, nella economia di un Paese. Ma quali sono le condizioni della bilancia italiana? Riferiamo dei dati che sono noti a tutti.
Secondo le più attendibili previsioni, l’Italia dovrà importare nel 1947 merci diverse per circa 1.230 milioni di dollari, tenendo l’indice di alimentazione a circa il 90 percento del periodo pre-bellico e tenendo pure al 90 per cento il livello globale dell’attività industriale.
Di contro a questa cifra di un miliardo e duecentotrenta milioni di dollari non si può fare assegnamento, secondo i calcoli più probabili e attendibili, del resto già noti a questa Assemblea, su più di 630 milioni di dollari per esportazioni e partite invisibili. Il deficit della nostra bilancia dei pagamenti ammonterebbe quindi a 600 milioni di dollari.
Per certe voci di tale scoperto si può confidare in prestiti ed operazioni relative, ed è ciò che speriamo ottenere con la partecipazione ai patti di Bretton Woods. Ed è questa precisamente la sua funzione e la ragione precipua per la quale intendiamo votare favorevolmente all’accordo. Ma, esaminando la natura dello scoperto – ed è questo il punto fondamentale, sul quale mi soffermerò per pochi minuti – troviamo che la cifra più cospicua di questo scoperto corrisponde quasi esattamente non già a necessità economiche, industriali o finanziarie, ma alla pura cifra del fabbisogno alimentare di cereali! Ora, è ben difficile chiedere ed ottenere prestiti, anche a Bretton Woods, per andare a comperare il pane.
Questo ci dice che le provvidenze di Bretton Woods riguardanti la restaurazione della nostra vita economico-fìnanziaria e la ripresa della nostra produzione minacciano di essere un’illusione, se con tali provvidenze di carattere finanziario non continuino, almeno per qualche tempo, a concorrere ancora le provvidenze assistenziali.
E ciò proprio nell’interesse stesso della stabilità del piano proposto sulla base di Bretton Woods. Infatti, non solo è evidente – come è stato osservato a suo tempo dall’amministratore delegato stesso del Fondo – che uno squilibrio strutturale dei rapporti di commercio estero non potrebbe trovare un rimedio nel ricorso al Fondo monetario, ma lo stesso sistema previsto ne sarebbe pregiudicato. Il delicato strumento previsto per aggiustare gli squilibri temporanei e contenuti in una certa normalità, sarebbe addirittura rovinato dalla ampiezza dello sforzo a cui verrebbe sottoposto, o meglio è logico pensare che non otterrebbe neppure i mezzi e la fiducia sufficiente per intraprendere il proprio funzionamento.
Noi ci apprestiamo quindi a partecipare agli Accordi di Bretton Woods per impostare anche con questo mezzo l’opera di ricostruzione e di sviluppo del nostro Paese. Ma, consci della situazione reale in cui siamo, intendiamo ripetere che le ulteriori necessità di assistenza del nostro Paese postulano necessariamente la connessione con altre fonti di risanamento iniziale della nostra vita.
Del resto, gli organi stessi responsabili della vita internazionale «si rendono conto di questa nostra situazione. Il Consiglio economico sociale dell’O.N.U. ha nominato una Sottocommissione per le zone devastate, ed ha fatto compiere un’inchiesta a questo proposito. La Sottocommissione ha constatato che anche il nostro Paese, per far fronte al suo fabbisogno minimo, avrà ancora necessità di un certo grado di aiuti assistenziali.
I calcoli di questa Sottocommissione hanno fatto segnare a circa 107 milioni di dollari, per quest’anno, il conto del nostro fabbisogno minimo. La cifra è assai inferiore al reale. Ciò è provato da un bilancio di previsione – con dati molto più fondati – fatto dal nostro Governo col controllo della stessa missione dell’U.N.R.R.A. Comunque il principio indiscutibile è questo: nel bilancio commerciale dell’Italia non deve entrare, almeno per quest’anno, il conto dei generi di prima necessità alimentare.
Il popolo italiano non è oggi in grado di pagare né tutte le materie prime industriali che gli occorrono per la sua vita economica, né tutti gli alimenti che gli occorrono per la sua vita fisica.
Lavorando e appoggiandosi alla organizzazione creditizia internazionale, il Paese potrà pareggiare il bilancio dei bisogni industriali. Ma il pane non può entrare nel conto di questa prima restaurazione.
Quel che si dice per il saldo immediato dei bisogni assistenziali, si dovrebbe estendere alle clausole economiche del Trattato di Pace, clausole tanto inique quanto illogiche che, se applicate, verrebbero ad annullare radicitus il programma e il sistema di Bretton Woods.
La partecipazione agli Accordi è uno dei presupposti per la creazione di condizioni normali dei traffici e della vita fra i popoli (come è detto nella relazione) e d’altra parte lo scopo delle due grandi istituzioni è appunto quello di aiutare i paesi rovinati dalla guerra a raggiungere una condizione relativa di stabilità economica.
L’Italia, quindi, si appresta ad accogliere questi patti e a concorrere al funzionamento del sistema; ma un senso realistico ci impone la messa a punto delle nostre condizioni. Gli Accordi di Bretton Woods hanno il loro campo d’azione limitato non solo per la disponibilità dei mezzi, ma anche per la loro intrinseca natura strettamente finanziaria. Ne prendiamo atto per volgere anche altrove la nostra azione.
E noi pensiamo, proprio che il nostro accenno alle necessità assistenziali del nostro Paese costituisca in questo momento un atto di realistica onestà di fronte agli impegni che vogliamo assumere e che abbiamo interesse di assumere. Gli aiuti assistenziali, di cui denunciamo il bisogno, debbono divenire in certo senso una garanzia del funzionamento stesso degli Accordi di Bretton Woods.
Noi intendiamo votare favorevolmente l’adesione a Bretton Woods. Con ciò intendiamo fare un atto di consapevolezza nella vitalità ricostruttiva del nostro Paese e un atto di fiducia nella solidarietà e nella collaborazione internazionale.
Noi siamo certi che organizzare la pace è opera complessa e che la pace si realizzerà solo attraverso alla convergenza di molte attività, di molte strutture giuridiche, economiche e sociali. I Patti di Bretton Woods sono uno degli elementi più forti è più sicuri della struttura economica della pace. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Dugoni. Ne ha facoltà.
DUGONI. Onorevoli colleghi, il Governo chiede a noi, oggi, che sediamo qui in sede di legislatori, la nostra approvazione affinché egli possa accettare i termini e le condizioni poste dai governatori del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo per la nostra adesione ai due istituti internazionali predetti. In secondo luogo, il Governo ci chiede di essere autorizzato, in sede di approvazione della legge, a porre la sua firma ai testi che sono stati preparati a Bretton Woods e che ivi sono stati firmati il 22 luglio 1944.
Due sono i problemi che abbiamo davanti a noi: da una parte le condizioni poste per la nostra adesione e dall’altra l’accettazione delle condizioni generali che riguardano il regolamento della Banca e del Fondo internazionale.
Io non mi attarderò ad esaminare i dettagli dell’una e dell’altra questione. Questo è stato fatto dal precedente oratore onorevole Corbino con molta chiarezza; e ci è stato esposto con minuzia e con gran precisione dalla relazione ministeriale e dalla relazione parlamentare. Ma noi non possiamo non sottolineare, come è già stato fatto, l’enorme importanza di questo tentativo di riportare su un piano internazionale una parte almeno delle difficoltà che ogni Stato trova nell’uscire dall’immane flagello che è stata la seconda guerra mondiale. È indubbio il fatto che la Banca dei regolamenti internazionali, legata al problema delle riparazioni con la Germania, veramente non ha mai potuto essere uno strumento efficace, e che dopo la scomparsa del mercato di Londra a cui ha accennato l’onorevole Corbino, questo è veramente il primo, notevole, serio tentativo di riportare sul piano internazionale questo grande travaglio che ogni nazione deve subire per togliersi dalle conseguenze di carattere sottoproduttivo e di carattere ricostruttivo relative alla guerra. Il processo economico produttivo che segue a queste difficoltà è evidente. Gli esperti di Bretton Woods pensarono che, oltreché mettere a disposizione, almeno in modo indiretto. l’85 per cento dell’oro a favore di tutte le nazioni che con buona volontà concorrono al lavoro della ricostruzione, si doveva anche prevedere il passaggio dei debiti a breve scadenza in debiti a lunga scadenza. E per questo è stato provveduto alla creazione di una Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo.
L’unanime adesione data prima separatamente e poi in seduta plenaria dalla Commissione dei Trattati internazionali e dalla Commissione permanente per l’esame dei decreti-legge di finanza e tesoro, sono una prova che non vi è nessuna differenza di valutazione circa la nostra adesione a questi accordi e l’accettazione dei termini posti dai governatori del Fondo e della Banca.
Però noi non possiamo passare sotto silenzio, come è stato già segnalato, che la quota assegnata all’Italia è insufficiente non solo ai nostri bisogni, ma anche agli effetti di mantenere l’Italia solidale ad una data direttiva di politica monetaria internazionale. Quando si ponga mente alle cifre riportate testé dall’onorevole Montini e che portano il nostro fabbisogno a 1.500 milioni di dollari per le importazioni del 1947, di cui solo una modesta parte potrà essere coperta dalle nostre esportazioni, noi vediamo che il giuoco delle percentuali annue nell’ambito della nostra quota di 180 milioni di dollari ci lascia ben poche risorse, anche se noi riuscissimo a ridurre il nostro bilancio ben al di sotto delle cifre che sono state accennate dall’onorevole Montini.
D’altra parte non possiamo neppure tacere che ci preoccupa la mancata adesione a questi due grandi Istituti internazionali di molti paesi importanti sia dal punto di vista politico che dal punto di vista finanziario: accenno alla Russia, all’Australia, alla vicina Svizzera. È vero che questo accordo non ha carattere esclusivo; ossia noi possiamo stringere accordi con questi altri paesi, indipendentemente dalla loro adesione o meno agli accordi di Bretton Woods; ma è altrettanto vero che più cordiali, più intimi, più facili, più rapidi sarebbero stati i nostri rapporti se queste nazioni avessero partecipato agli Accordi medesimi.
Le osservazioni che devono essere fatte a nome del Gruppo parlamentare socialista, a proposito del progetto legislativo che sta ora avanti a noi e di cui il Governo chiede a noi l’approvazione, saranno brevi ed essenzialmente di carattere tecnico per una parte, e per l’altra parte consisteranno in un accenno alla necessità di inquadrare questi accordi internazionali in una determinata politica finanziaria nostrana.
Sul terreno puramente tecnico (già l’onorevole Corbino lo ha accennato), noi saremo temporaneamente autorizzati a mantenere il sistema delle monete multiple. Ora è indubbio che questo sistema porta in sé uno spirito nettamente contrario, opposto a quello che è lo spirito informatore degli Accordi di Bretton Woods. Questi accordi vogliono portare diversi paesi sul piano di una unità monetaria unica, di una unità monetaria internazionalmente controllata e internazionalmente sostenuta, ma sostanzialmente tendono a che una sola sia la parità delle monete nazionali con l’oro e quindi nei rapporti con le altre monete.
Ma noi saremo, a termini dell’Accordo internazionale di Bretton Woods, obbligati a denunziare al Fondo la nostra parità aurea. Ora, io credo che sia molto difficile all’ora attuale poter determinare, con elementi di sufficiente fondatezza, quale sia il valore di parità aurea della nostra lira, che abbia almeno due probabilità: cioè quella di durare un certo periodo di tempo e quella di non sottoporre certi settori della nostra economia ad uno sforzo sproporzionato alla loro situazione attuale. Ci sembra pertanto necessario che noi attendiamo il più possibile per formulare la nostra parità aurea, non per aspettare situazioni più favorevoli o per sottrarci ad un obbligo che riconosciamo, ma per le ragioni dette prima, anche tenendo conto del fatto che questo non ci impedirà di usare delle facilitazioni previste dal Fondo e che saremo autorizzati provvisoriamente a comprare con moneta nazionale monete estere auree come il dollaro.
D’altra parte, quando noi dovremo fare, e faremo, la dichiarazione ufficiale della nostra parità, io sono d’avviso che bisognerà tener conto, non dei cambi ufficiali che hanno regolato la nostra moneta nei 60 giorni che precederanno la dichiarazione, ma del reale potere d’acquisto della lira. Solo tenendo conto di questo fondamentale e – direi quasi – unico indice, noi potremo dare a questa parità un valore che sia vicino il più possibile alle due condizioni della durata e della uguaglianza per tutti i settori a cui ho accennato prima.
L’altro problema strettamente tecnico che abbiamo da esaminare è quello relativo al versamento della nostra quota.
Come voi ben sapete, onorevoli colleghi, i 180 milioni di dollari che siamo chiamati a versare, dovranno essere composti, per una parte dalla minor somma di oro fra il 25 per cento della quota stessa ed il 10 per cento delle nostre riserve auree, o in dollari degli Stati Uniti. (Nessuna altra moneta entra in conto). Ora, è certo che, dato il fatto che la nostra riserva aurea è stata sottratta dal tedesco invasore, noi non possiamo attualmente determinare con facilità quali sono le nostre riserve. Conseguentemente, dovremmo chiedere di versare una somma provvisoria, in attesa che sia definita la nostra disponibilità. Ed in questo caso io credo che dovremmo versare una somma che sarà di molto inferiore ai 10 milioni di dollari aurei. Resta, sempre, una somma di 170 milioni di dollari che dovremmo versare in moneta nazionale.
Ora, problema è grave, perché come raccoglieremo noi queste somme, cioè questi 170 milioni di dollari in lire? Dovremmo raccoglierli dal mercato e chiuderli nei forzieri della Banca d’Italia, che li deterrà per conto del Fondo internazionale con i possibili inconvenienti deflazionistici relativi? Oppure preferiremmo la seconda via che ci è aperta, cioè quella di depositare delle obbligazioni di Stato dentro le casse della Banca d’Italia? Io credo che dovremo seguire il secondo procedimento.
Però, i tecnici devono tener presente che avremo, in un secondo momento, il problema inverso; cioè, quando useremo di queste obbligazioni per comperare valuta estera con la quale verranno delle merci sul mercato nazionale, dovremo stare attenti che in quel momento non si produca il fenomeno inverso. Questa è la preoccupazione che io segnalo.
E mi avvio rapidamente alla conclusione, parlando della necessità che questi begli Accordi di Bretton Woods non creino illusioni e non siano presi per una specie di toccasana. Essi sono – e mi associo con questo a quanto ha detto l’onorevole Treves – degli strumenti, dei fattori utili per la nostra ripresa nazionale, ma non ne sono né un presupposto né una garanzia. La nostra salvezza monetaria dipenderà da altri fattori. L’imponenza della inflazione è quella che è, e tutti la conoscono; ma noi socialisti ne siamo particolarmente preoccupati, perché non crediamo che la politica monetaria sia principalmente, se non esclusivamente, un problema che riguardi i detentori di capitali e di mezzi di pagamento: crediamo che la politica monetaria riguardi soprattutto la classe lavoratrice, perché, in ragione della loro debole posizione iniziale, della loro mancanza di mezzi accantonati, di fronte ad una decurtazione dei loro salari reali, non hanno che un modo per difendersi: quello di ridurre il loro consumo, mezzo che, voi comprendete benissimo, si esaurisce in un brevissimo tempo.
Da qui il nostro vivo interesse a combattere l’inflazione; da qui il nostro prendere posizione, sempre energicamente, contro la mentalità delle classi industriali che, come l’onorevole Corbino ha dimostrato in un brillante articolo, sono per struttura inflazionistiche; da qui il nostro appoggio incondizionato ad ogni iniziativa che possa aiutarci ad uscire da queste insidiose sabbie mobili.
Ma noi dobbiamo credere che solo da una politica unitaria, nel senso di una politica finanziaria e monetaria unitaria, noi ricaveremo un qualsiasi giovamento per la nostra situazione, Noi abbiamo visto dei dolorosi esempi di fughe di capitali dal nostro Paese, abbiamo visto che, avendo concesso una certa libertà di valuta a determinate categorie di cittadini, si sono avute delusioni (per non dire elusioni) sistematiche. Perciò noi abbiamo sempre invocata una certa pianificazione, e crediamo che, oggi, questa pianificazione debba essere imposta. È inutile che noi abbiamo in mano quegli strumenti che stiamo oggi approvando, se non siamo in grado di farli giovare alla collettività.
Quando avremo approvato gli Accordi di Bretton Woods, che ci sono cari perché in parte sottraggono al monopolio privato gli spostamenti di capitali e i mezzi di pagamento nel campo internazionale, bisognerà che il Governo per inerzia, o per incapacità, non se li lasci cadere di mano, ma che siano tenuti saldamente, affinché siano adoperati a favore delle classi lavoratrici.
D’altra parte, onorevoli colleghi, io credo che sia una buona occasione questa per ricordare che i continui quos ego del cambio della moneta e dell’imposta straordinaria devono cessare di risuonare a vuoto. Se vogliamo fare il cambio della moneta facciamolo, ma non parliamone più; se dobbiamo introdurre, come si deve introdurre, la imposta straordinaria sul patrimonio, introduciamola senz’altro. Saranno questi i complementi necessari agli Accordi di Bretton Woods. Su questi Accordi internazionali si dovrà basare la nostra politica (altrimenti sarà inutile averli approvati), per metterci in condizione di farli giocare a favore dell’intera collettività.
Noi, ripeto, siamo convinti che i sistemi liberisti, che hanno prevalso nel nostro Paese in questo dopoguerra, siano una delle cause principali per le quali ci troviamo nell’attuale estrema difficoltà finanziaria. Io sono convinto anche che le difficoltà di tesoreria derivano dallo stesso malanno; e che l’arenamento delle nostre esportazioni, perché i nostri prezzi sono divenuti troppo cari sul mercato mondiale, ha esattamente la stessa origine. Ora io credo che, noi, appoggiando l’opera del Governo per l’approvazione degli Accordi di Bretton Woods, avremo fatto un primo buon passo avanti nella stabilizzazione della moneta, primo problema che ci deve preoccupare, perché, quando la moneta è stabile, stabile è la democrazia, rispettato è il Governo, e, soprattutto, garantito è il minimo di vita delle classi lavoratrici. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Einaudi. Ne ha facoltà.
EINAUDI. Dopo quanto hanno detto gli oratori che mi hanno preceduto, non mi tratterrò più sull’aspetto tecnico della questione. L’amico Corbino ha già ampiamente illustrato, ed altri fra cui l’oratore che mi ha preceduto, onorevole Dugoni, hanno aggiunto nuove osservazioni. Dirò piuttosto la ragione fondamentale per la quale ritengo sia necessario aderire all’istituzione del Fondo e della Banca internazionale. Questa ragione è, ai miei occhi, soprattutto di carattere economico-storico. Lo ha già detto Corbino: noi abbiamo attraversato, prima del 1914 un’epoca felice che io temo non si riprodurrà mai più. Il secolo trascorso dal 1814 al 1914 è stata una parentesi nella storia del mondo, parentesi la quale probabilmente noi della generazione attuale e forse di parecchie generazioni avvenire non vedremo più.
Uno degli aspetti caratteristici di quel secolo felice è stato il mito dell’oro, vorrei piuttosto chiamarlo la magìa dell’oro. Se parlasse, invece di un economista, una nonna ai suoi nipotini e volesse raccontare quello che accadeva prima del 1914, quando anche i bambini potevano sodisfare le loro esigenze di zucchero e di pane bianco, essa certamente direbbe: c’era una volta un mago, uno di quei nani o gnomi che voi bambini avete contemplato quando siete andati alla rappresentazione di «Biancaneve e i sette nani»; uno di quei nani di cui nessuno poteva prevedere a priori le decisioni, ma che intanto guidavano gli uomini e che impedivano che gli uomini facessero del male. Il mago dell’oro era certo un mago di seconda qualità. Se dovessi dire in quale paese del mondo vi sia una moneta perfetta, imparziale, neutra, come ora dicono gli economisti, direi che questo paese si trova in un’isola sperduta del Pacifico, nel quale la leggenda ha immaginato che in tempi remotissimi cadessero nell’isola una quarantina di grossi massi. In verità quei massi sono alquanto squadrati, non si sa se da sacerdoti o dagli dei che in epoca antecedente li avevano formati: ma erano in numero determinato. La leggenda, il mito ha trasformato quei massi nell’unica moneta esistente in quell’isola. Sono massi enormi che non possono essere trasportati dalla forza dell’uomo. Eppure essi, nonostante la loro immobilità, servono all’uso monetario più e meglio di quello che servissero le monete manovrate dal 1814 fino ad oggi. E perché servivamo più di quanto non servissero le monete manovrate dalla pazienza degli uomini? Perché non c’è nessuna forza al mondo che in quell’isola possa variare il numero di quelle unità monetarie. Sono biglietti alquanto pesanti ed anzi immobili, per i quali non può agire il torchio. Essi appartengono a coloro che per transazioni successive ne sono venuti in possesso.
Tutti i contratti di quell’isola – che non so se sia felice, ma che certo dal punto di vista monetario è di esempio a tutto il mondo – tutti i contratti si fanno con la trasmissione ideale di quei massi. Tutti quelli che vendono qualcosa o trasferiscono un diritto acquistano quei massi e gli acquirenti vanno a contemplarli e se ne ritengono i padroni. Nessun uomo di governo, nessun capo tribù può variare il numero di quei massi di oro.
Ciò che accade in quell’isola fortunata è accaduto nel secolo dal 1814 al 1914, in misura attenuata, perché la quantità dell’oro esistente nel mondo era allora variabile. Essa però variava al di fuori della volontà di qualsiasi uomo di governo o di Stato. Non la volontà degli uomini, ma il caso fa venire alla luce l’oro. Sono stati dei ragazzi nelle pianure del Transwaal che, giocando con dei sassi lucidi, misero sull’avviso i ricercatori d’oro, facendo supporre l’esistenza di miniere d’oro, le più importanti che si siano scoperte durante la lunga storia degli uomini.
Era dunque una forza estranea all’uomo la quale faceva sì che la quantità di oro aumentasse o diminuisse. La estraneità che l’unità monetaria aveva nel secolo felice rispetto alla volontà od all’arbitrio umano ha costituito la fortuna di quel secolo. Essa ha fatto sì che in esso si sia avuto uno sviluppo economico mai prima visto e gli siano congiunti meravigliosi progressi tecnici; e si siano verificati i maggiori avanzamenti nel reddito nazionale e i maggiori progressi nei redditi salariali delle classi lavoratrici.
Nessuno invero poteva impunemente agire sulla quantità della massa circolante. Il mito dell’oro era diventato talmente potente in quel secolo che anche uomini di governo erano forzati a curare si emettesse soltanto quella certa quantità di biglietti che essi erano sicuri di poter convertire a vista, veramente a vista e veramente al portatore, a coloro che si presentavano all’istituto di emissione.
Anche quando – lo ha ricordato pure l’onorevole Corbino – noi attraversammo tempi di corso forzoso, gli uomini di Stato erano talmente ossessionati dal mito dell’oro che essi sempre guardavano al rapporto tra l’unità-oro e l’unità-carta. E quando l’aggio, come allora si chiamava, superava il 5 per cento, l’allarme era generale; e quando esso perveniva al 10 o al 15 per cento, sembrava si fosse quasi alla fine del mondo.
Era il mito dell’oro che faceva sì che onestà la quale, considerata sempre uno dei bliche e private e che coloro i quali contraevano dei debiti si sdebitassero delle obbligazioni introdotte con la medesima moneta; l’onestà la quale, considerata sempre uno dei dieci comandamenti, era diventata miracolosamente una regola d’azione alla quale neppure gli uomini di Stato potevano sottrarsi, pretestando la cosiddetta ragione di Stato. Era un’epoca nella quale, in conseguenza della onestà monetaria che dipendeva dal mago mitico dell’oro, gli scambi internazionali di beni e di uomini erano facili.
Nei giornali si leggevano perciò frequenti articoli contro la bilancia commerciale che incombeva su quasi tutti i paesi progressivi e fra gli altri anche sull’Italia. Ma in Italia lo sbilancio in realtà non esisteva nel conto complessivo e le riserve degli istituti di emissione che erano quasi inesistenti nel 1860, nel 1914 avevano invece notevolmente superato il miliardo di lire-oro. Mai un solo anno passò, dal 1860 al 1914, in cui non si fosse dovuto denunciare uno sbilancio nella bilancia commerciale. Ma gli emigranti mandavano di fuori le loro rimesse; i turisti venivano dall’estero e facevano spese; e la bandiera marinara italiana guadagnava noli in tutti i paesi del mondo. Con queste parti invisibili lo sbilancio veniva eliminato e si rimborsavano i debiti verso l’estero. L’Italia al 1914 aveva ricomprato tutti i titoli di debito pubblico emessi all’estero durante il periodo del risorgimento ed aveva anzi costituito una sua rispettabile riserva aurea.
Nel 1914, gli uomini immaginarono di guardare dentro a questo meccanismo, quasi fosse un giocattolo; essi vollero vedere come questo meccanismo, questo sapientissimo e delicatissimo movimento di orologeria lavorasse. Esso lavorava a costi minimi. Era il tempo in cui si potevano fare degli arbitraggi pagando provvigioni, le quali non arrivavano nella maggior parte dei casi, a cinque centesimi per ogni cento lire; mentre oggi sappiamo bene che anche gli istituti monopolistici di Stato per ogni transazione monetaria percepiscono l’1 per cento: venti volte tanto di quello che si percepiva prima; e nelle transazioni sul mercato libero, oggi i conti dell’arbitraggio, della trasformazione di una moneta in un’altra, vanno dal 10 al 20 al 30 per cento e più, quando si tratta di arbitraggi, di trasformazioni di monete che sono fatti a carico di coloro che sono inesperti, che non conoscono e non possono afferrare le vie attraverso le quali questi arbitraggi si fanno alle migliori condizioni.
Nel 1914 gli uomini immaginarono di poter guardare dentro al meccanismo meraviglioso e lo ruppero; e al posto di esso istituirono quella che fu chiamata la moneta manovrata, moneta che non è più abbandonata al caso, che non è più abbandonata all’arbitrio, che non è più abbandonata alla scoperta fortuita di miniere d’oro, tutte cose del passato, cose che devono essere soppresse, perché non il caso, ma la volontà dell’uomo, la sapienza dell’uomo deve dominare anche il mercato monetario. Abbiamo visto quello che vuol dire la sapienza dell’uomo posta al luogo del caso: la sapienza dell’uomo ha condotto a questi risultati: che il dollaro ha perduto il 41 per cento del suo valore, la sterlina il 53 per cento; il marco, annullato una volta, oggi non sappiamo che cosa sia; è una figura, è una cifra aritmetica della quale noi non conosciamo il valore e che funziona finché dura un regime di controllo rigidissimo. Il giorno in cui il controllo venisse a cessare, noi non sappiamo che cosa potrà essere il marco. Abbiamo visto che cosa è successo con la sostituzione della sapienza dell’uomo al caso, al caso fortuito della scoperta di miniere d’oro rispetto alla lira. La lira oggi ha una potenza d’acquisto che forse è la duecentesima parte di quella che era la potenza d’acquisto della medesima lira nel 1914. La lira d’oggi compra una duecentesima parte di quello che la lira comprava prima che si iniziasse il regime della moneta manovrata.
Non sappiamo neppure più – e non si sa in nessun paese del mondo – se ci sia ancora un’unità monetaria; non sappiamo più se esiste e in che cosa consista la lira. Di lire ce ne sono tante: una lira al cambio 100; un’altra a 225, un’altra ai cambi di esportazione, che sono diversi a seconda dei paesi con i quali si commercia. Dove non esistono accordi c’è la lira e ci sono tante lire quante risultano dagli scambi di compensazione; c’è la lira la quale risulta dalla media tra il valore ufficiale e il cambio di esportazione; c’è la lira turistica, alla quale si è dato di nuovo cominciamento. Vi sono anche tante specie di lire interne: c’è la lira la quale serve alle compere nelle cooperative od in certe agenzie pubbliche e c’è la lira del mercato libero. Le lire sono diventate un’infinità; non possiamo più raccapezzarci.
Questi sono i risultati della sostituzione al caso della volontà preordinata da parte degli uomini. Questa sostituzione, in molti paesi del mondo, è la grande colpevole dei trasporti di ricchezza dall’uomo all’altro. La svalutazione monetaria – ed in certi momenti la rivalutazione monetaria – è la colpevole dell’arricchimento degli uni e dell’impoverimento degli altri e del sorgere di odii e di invidie fra le classi, che non furono mai tanto gravi come negli ultimi trent’anni. La mancanza di una base solida della moneta ha fatto sì che gli odii e le invidie si inasprissero e portassero ad uno stato d’animo rivoluzionario in tutti i paesi del mondo.
Che cosa vogliono dire in questo ambiente gli accordi di Bretton Woods? Non ancora il ritorno all’età dell’oro; non ancora il ritorno al mito dell’oro; non ancora il ritorno ad una moneta, la quale sia indipendente dalla volontà umana.
Se ciò non è ancora, gli accordi di Bretton Woods sono però qualche cosa che vale più di quanto non valga la volontà i dei singoli Stati. Gli effetti della volontà dei singoli Stati grondano di malcontento e di rivoluzione in tutti i paesi del mondo. Noi vogliamo che a questo stato di cose, prodotto della sapienza degli uomini di governo dei singoli Stati, si sostituisca qualche cosa di più alto. Che cos’è questa sostituzione, in che cosa consiste? È la sostituzione, in fondo, alla volontà dei singoli Stati di una volontà comune di coloro che reggono i diversi Stati e che, venendo a far parte di un corpo unico, regoleranno e dovranno regolare questa materia. Noi non sappiamo se la sapienza dei molti potrà essere superiore alla sapienza dei singoli; se i risultati che potranno ottenersi si possono prevedere esattamente fin da ora. Come si debba attuare l’azione del direttore del Fondo e della Banca internazionale, noi non sappiamo prevedere con sicurezza; non sappiamo se questi risultati saranno confacenti a quello che è il nostro desiderio, ossia la stabilità della capacità l’acquisto della moneta; ma ben sappiamo che la nostra opera dovrà contribuire a raggiungere i risultati voluti.
Il contributo che noi daremo supporrà (l’hanno già rilevato alcuni oratori) una menomazione della sovranità nazionale. Vi sarà certo una menomazione della sovranità nazionale in fatto di moneta, ma ciò accadrà perché la sovranità nostra si sarà trasfusa nella sovranità degli altri. Dall’insieme delle sovranità soppresse e rivissute in una sola è da augurare si riesca ad ottenere risultati migliori di quelli pessimi che si sono ottenuti nel trennio scosso.
Noi possiamo sperare che dalla trasfusione delle sovranità singole in una sovranità unica abbia ad uscire un risultato il quale possa farci ritornare, almeno in parte, a quello che era il meccanismo meraviglioso e delicatissimo lentamente creatosi prima del 1914 e che noi, con infantile ingenuità, abbiamo rotto e distrutto. Certo, ci troviamo di fronte ad una menomazione della sovranità nazionale; ma dobbiamo rassegnarci ad una evoluzione in questo senso, alla progressiva diminuzione del concetto tradizionale della sovranità nazionale. Altre verranno dopo; ma la menomazione della sovranità nazionale, in fatto di moneta, che cosa vorrà dire? Vorrà dire che noi controlleremo e vigileremo sull’azione degli altri Stati, ed a questo patto soltanto noi possiamo consentire che altri possano, indirettamente, non con un controllo interno, ma indirettamente, agire e controllare l’opera nostra. L’azione del Fondo implica perciò sostituzione di volontà diverse dalla nostra e di una volontà comune alla esclusiva nostra volontà.
La mutazione profonda nel tipo della sovranità monetaria avvantaggerà meglio i paesi poveri o i paesi ricchi? Saranno i paesi più poveri o quelli più ricchi che in questa trasfusione di sovranità finiranno per trarre maggiore giovamento? Io non credo che si possa così porre il problema. Gli Stati che faranno parte del funzionamento del Fondo dovranno constatare che non i paesi ricchi o i paesi poveri dovranno trarre vantaggio particolare superiore a quello degli altri, ma tutti dovranno trarre un vantaggio. Forse quelli che avranno un maggiore vantaggio saranno i paesi più poveri in confronto di quelli più ricchi.
Ricordiamo le parole di Camillo Cavour, pronunciate ad altro fine, sopra un altro problema economico: il problema dei dazi doganali.
Quando a Camillo di Cavour, nel Parlamento Subalpino, si obiettò che il Piemonte, paese povero, non poteva prendersi il lusso di concedere agevolazioni doganali, di spalancare le sue porte alla concorrenza straniera, egli disse: «Siamo proprio noi, paese povero, siamo proprio noi che abbiamo bisogno di innalzarci, e dobbiamo avere il coraggio delle riforme audaci, siamo proprio noi quelli che trarranno maggiore vantaggio nell’aprire le nostre frontiere alla inondazione di merci e beni stranieri».
Oggi si ripete il medesimo fatto: cogli accordi monetari che oggi approviamo noi avremo rinunciato alla sovranità monetaria. Ciò vorrà dire: riapertura delle frontiere alla circolazione dei beni e alla circolazione degli uomini. La riapertura delle frontiere, sono persuaso, riuscirà più a favore dei poveri che non a favore dei ricchi! (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione di questo disegno di legge è rinviato a domattina alle ore 10.
Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Rodi. Ne ha facoltà.
RODI. Nello scorso mese di agosto presentai una interrogazione riguardante la libertà di stampa. Dopo molte vicende, questa interrogazione è stata inserita nell’ordine del giorno dell’altro ieri, ma non è stata ripetuta in quello di oggi. Desidererei avere una risposta a meno che non debba considerare come tale i provvedimenti speciali che stanno per essere emanati.
PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio in questo momento non è presente; però la Presidenza dell’Assemblea disporrà che la sua interrogazione sia posta all’ordine del giorno di domani.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Bellavista. Ne ha facoltà.
BELLAVISTA. Vorrei sollecitare una risposta ad una mia interrogazione urgente relativa alla campagna agrumaria in Sicilia, il cui svolgimento avrebbe dovuto essere fissato oggi dal Governo.
PRESIDENTE. Assicuro l’onorevole Bellavista che saranno fatte sollecitazioni al Governo perché affretti la sua risposta.
Sono state presentate alla Presidenza le seguenti altre interrogazioni per le quali è stato chiesto lo svolgimento d’urgenza:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intendano prendere onde eliminare la situazione anormale ed insostenibile che si è creata a Crotone, in provincia di Catanzaro, in seguito all’atteggiamento dei grossi agrari del luogo, i quali si rifiatano di fornire alla città prodotti agricoli non contingentati, animali da macello e latticini, sebbene possano farlo a prezzo di esportazione.
«Silipo».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi dell’avvenuta sostituzione del Commissario nazionale alla gioventù italiana, professore Giorgio Candeloro, con un funzionano della pubblica istruzione, ed in particolare, per sapere se con tale nuova nomina si voglia avviare la ripartizione dei compiti e quindi del patrimonio dell’ex G.I.L., bene comune della gioventù e del popolo italiano, nei termini previsti dal decreto-legge 2 agosto 1943, affidando cioè questi beni ai Ministeri della difesa e della pubblica istruzione, che non possono sodisfare le giuste esigenze delle organizzazioni giovanili e sportive, le quali vedono, in una diretta assegnazione in uso alla gioventù ed allo sport dei beni dell’ex G.I.L., una forma di concreto aiuto dello Stato alla vita ed allo sviluppo dello sport e delle organizzazioni giovanili.
«Gli interroganti chiedono quindi all’onorevole Presidente del Consiglio se non ritiene necessario di invitare, innanzi tutto, il nuovo Commissario della G.I. a non pregiudicare, con alcuna ripartizione, la situazione patrimoniale dell’ex G.I.L., e di provvedere immediatamente alla destinazione definitiva del patrimonio e dell’attività dell’ex G.I.L., attraverso l’emanazione di un nuovo decreto-legge, all’elaborazione del quale siano messi in grado di partecipare, oltre ai competenti organi governativi, anche, in veste di tecnici, gli esponenti delle organizzazioni giovanili nazionali democratiche e del C.O.N.I., affinché questo decreto possa nel miglior modo corrispondere alle aspirazioni ed agli interessi della gioventù e dello sport.
«Pajetta Giuliano, Mattei Teresa, Marchesi».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se – in vista delle disposizioni del Governo per l’assetto definitivo della Zona Ardeatina – intenda determinare quella soluzione che, informata a criteri di semplicità e di dignità, e traendo l’ispirazione dalle Catacombe vetuste, nelle quali trovarono pace nei secoli i martiri della Fede, non alteri la schietta e commossa poesia delle tragiche fosse, e ai nostri fratelli, i quali testimoniarono col sangue alla Libertà, finalmente assicuri il riposo degno nel luogo della loro morte, che resti come monumento di vita agli italiani, conforto ai liberi, monito ai tiranni.
«Giordani, Di Fausto».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissariato per l’alimentazione, per sapere:
- a) se si è a conoscenza del profondo stato di disagio e di irritazione in cui versa la popolazione tutta di Roma in genere, e la massa lavoratrice in specie, in conseguenza di mancate forniture alimentari ed in particolare per il fatto che dal 15 dicembre 1946 non si è più avuta alcuna distribuzione di pasta;
- b) se si intende provvedere di urgenza a questo stato di cose, intollerabile per una città senza retroterra largamente produttivo.
«Morini».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se, di fronte alle unanimi proteste della cittadinanza e della stampa, non voglia disporre per Roma la soppressione del Commissariato degli alloggi o non intenda – in ogni caso – di non consentire proroghe alla legge istitutiva che cesserà d’aver vigore il 15 aprile prossimo, creando in sostituzione del Commissariato un organismo di più semplice e rapido funzionamento, capace realmente di alleviare la crisi delle abitazioni.
«Veroni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda ormai giunto il momento di procedere allo sblocco dell’olio, nella provincia di Brindisi, residuato al forfait o contingentamento, a suo tempo concordato in quintali 20 mila, già versati agli oleari.
«Domanda che alla presente interrogazione sia riconosciuto il carattere di urgenza in vista del malcontento e delle agitazioni che si vanno manifestando in seno alle categorie interessate, le quali, avendo eseguito in piena disciplina il proprio impegno, vedono con preoccupazione la strana e sospetta tardanza che il Governo interpone ad eseguire il suo.
«Lagravinese Pasquale».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si riserva di fissare la data di svolgimento di queste interrogazioni.
PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente altra interrogazione con richiesta di svolgimento d’urgenza:
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se e quali provvidenze intenda attuare il Governo, attraverso l’iniziativa dei Ministri dell’agricoltura e foreste o del lavoro e previdenza sociale o dell’interno o delle finanze e tesoro o della difesa, perché alla popolazione del comune di Campotosto (L’Aquila), rimasta senza mezzi di sussistenza, con la perdita del proprio territorio agricolo, sommerso ormai da sei anni per costituire un lago artificiale, non sia preclusa la possibilità di vivere.
«Rivera».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
SFORZA, Ministro degli affari esteri. II Governo si riserva di fissare la data di svolgimento dell’interrogazione.
PRESIDENTE. È stata inoltre presentata alla Presidenza la seguente interrogazione urgente:
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se sia vero che saranno effettuate da parte degli organi finanziari perquisizioni domiciliari agli avvocati e procuratori per accertamenti e controlli ai fini dell’imposta sulla entrata, assimilandosi così l’esercizio della professione forense ad attività commerciali e industriali, che con la medesima non hanno e non possono avere nulla in comune.
«Monticelli».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Governo fisserà domani la data di svolgimento della interrogazione.
PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento d’urgenza:
«I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri della pubblica istruzione e delle finanze e del tesoro, per conoscere se e quali rimedi abbiano predisposto per impedire che tra poche settimane le maggiori Università italiane debbano chiudersi per mancanza degli indispensabili mezzi di sussistenza».
«Calamandrei, Valiani, Foa, Cianca, Mastino Pietro».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Governo si riserva di indicare nella seduta di domani la data in cui questa interpellanza potrà essere svolta.
PRESIDENTE. Infine è stata anche presentata la seguente interpellanza, sempre con richiesta di svolgimento d’urgenza:
«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri del tesoro e dell’agricoltura e foreste, sulla grave e inderogabile necessità di provvedere immediatamente alla tutela dei preziosi valori naturalistici, scientifici, economici e sociali, di cui è composto il patrimonio dei nostri parchi nazionali e in particolare quello dell’Ente del Gran Paradiso, chiedendo che si voglia d’urgenza:
1°) emanare il decreto che, predisposto ed approvato dal Consiglio della Valle d’Aosta a difesa dell’Ente Parco del Gran Paradiso, già venne presentato alla firma del Consiglio dei Ministri fin dall’8 gennaio 1947, onde evitare i danni irreparabili che, colla sospensione della corresponsione dovuta al personale preposto alla difesa dell’Ente stesso, gli deriverebbero, se tale approvazione dovesse essere ritardata oltre il 30 marzo corrente;
2°) nominare una commissione incaricata di esaminare la situazione economico-tecnica dei parchi stessi, allo scopo di proporre i provvedimenti che, in concorso alle disponibilità del Tesoro, si rendano necessari per una adeguata assistenza e difesa dei parchi nazionali in questione».
«Calamandrei, Bordon, Chiaramello, Foa».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
SFORZA, Ministro degli affari esteri. Il Governo si riserva di fissare la data per lo svolgimento della interpellanza.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perugi. Ne ha facoltà.
PERUGI. Ho presentato il 6 marzo una interrogazione con carattere di urgenza, della quale non ho saputo più nulla. Ho anche presentato una interpellanza fin dal 17 luglio, alla quale non è stata mai data risposta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Codacci Pisanelli. Ne ha facoltà.
CODACCI PISANELLI. Chiedo che sia fissata la data per la discussione di una interpellanza presentata da me il 6 marzo scorso, sulla situazione dell’Istituto orientale di Napoli, per la quale il Ministro della pubblica istruzione riconobbe l’urgenza.
PRESIDENTE. Assicuro che sarà sollecitato lo svolgimento dell’interrogazione e delle interpellanze.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Priolo. Ne ha facoltà.
PRIOLO. Io porto qui l’eco di una infinità di lagnanze da parte dei colleghi, a proposito delle interrogazioni. Quindici, venti giorni fa, io avevo proposto che una seduta fosse dedicata interamente alle interrogazioni. Rinnovo la proposta. Con una seduta che cominci alle 15 e termini alle 20, potremo togliere di mezzo quel famoso fascicolo delle interrogazioni, che sta diventando un tomo.
PRESIDENTE. Farò presente questo desiderio alla Presidenza dell’Assemblea per le determinazioni del caso.
Interrogazioni e interpellanza.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti sono stati presi per facilitare il rimpatrio degli italiani da Lussinpiccolo e da Zara.
«Rodinò Mario, Perugi, Mastrojanni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati, o siano per esserlo, allo scopo di ovviare alla gravissima situazione in cui vengono a trovarsi numerosi lavoratori edili, dipendenti da imprese di costruzioni, che per il mancato incasso dei mandati dell’A.N.A.S. sono costrette a sospendere i lavori.
«Risulterebbe che l’A.N.A.S., pur avendo iniziata la sua gestione fin dal 1° gennaio corrente anno, non è a tutt’oggi in condizioni di provvedere al pagamento dei lavori, né agli acconti sulle revisioni, mentre in previsione del trapasso della gestione dai Provveditorati all’A.N.A.S. la maggior parte dei pagamenti fu sospesa coi primi del dicembre scorso.
«Gli inconvenienti segnalati sono di tale gravità da costituire serio ostacolo all’opera di ricostruzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pastore Giulio».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere quale provvedimento intenda adottare per giungere ad una sollecita definizione delle molte pratiche di pensione che la Cassa di previdenza dei dipendenti degli enti locali ha da lungo tempo giacenti, con grave ed ingiustificato pregiudizio dei beneficiari delle pensioni stesse. L’interrogante è in grado di precisare casi e circostanze atti a provare la lentezza della procedura seguita e il gravissimo danno che ne deriva agli interessati, come ha potuto constatare, nella sua duplice veste di deputato alla Costituente e di sindaco di Bologna. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Dozza».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se nell’imminente bando dei concorsi a cattedre negli istituti secondari intenda espressamente riaffermare il beneficio di preferenza sancito, a favore delle sorelle nubili dei Caduti in guerra, dal decreto-legge 5 luglio 1934, n. 1176, e precedenti disposizioni legislative, riaffermazione illegalmente omessa nel bando di concorsi di cui al decreto ministeriale 18 novembre 1941. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rescigno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga opportuno prendere in esame la possibilità di pagare il soldo, maturato dall’8 settembre alla liberazione, ai militari sbandati dopo l’armistizio, così come sono stati pagati gli stipendi agli ufficiali e sottufficiali. Nel caso l’Erario non fosse in condizioni di sopportare un tale aggravio, l’interrogante chiede che sia presa in esame la possibilità di dare una modesta cifra a titolo di liquidazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Biagioni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritenga ormai tempo provvedere al pagamento delle lettere di accredito dei nostri prigionieri reduci dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra.
«L’interrogante desidera inoltre sapere se l’onorevole Ministro non reputi opportuno dare pubbliche e precise assicurazioni alla massa dei reduci, timorosa di perdere i frutti del proprio lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Biagioni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, in presenza di un esodo senza precedenti per spontaneità ed imponenza, il Governo, interprete dell’unanime sentimento degli italiani, intenda considerare la tragica situazione degli esuli giuliani non alla stregua di un semplice problema assistenziale, ma nella sua vera essenza di un dovere di solidarietà nazionale, assicurando concretamente ed adeguatamente la sistemazione nella vita di quei nostri fratelli costretti ad abbandonare nella terra natia beni materiali e spirituali, nonché ogni forma di attività economica, e a cercare asilo entro le nuove frontiere imposte dal cosiddetto «Trattato di pace», riaffermando, dinanzi all’Umanità e alla Storia, il loro indefettibile attaccamento alla Madre Patria.
«In caso affermativo, se il Governo convenga nell’opportunità di emanare provvedimenti legislativi intesi a:
1°) precisare meglio ed integrare le norme del decreto legislativo luogotenenziale 22 febbraio 1946, n. 137, sul temporaneo collocamento presso Enti locali del personale appartenenti ad Enti «similari» di territori occupati nelle zone di confine, la cui applicazione si è rivelata insufficiente e incerta anche per la imperfetta redazione tecnica delle relative disposizioni, estendendo queste al personale di tutti gli Enti statali e parastatali esistenti nei territori sottratti, per effetto di quel Trattato, alla sovranità italiana;
2°) estendere agli esuli giuliani le norme sul collocamento degli invalidi e orfani di guerra e di altre benemerite categorie di cittadini presso aziende pubbliche e private;
3°) dare le necessarie facoltà e concedere gli occorrenti mezzi finanziari all’Istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.), ad altro Istituto, oppure ad un apposito Ente da costituirsi, perché si renda possibile la riattivazione, in località appropriate, delle industrie ed altre attività produttive, che gli esuli han dovuto lasciare nei territori suddetti;
4°) promuovere ogni altra iniziativa che valga a consentire agli esuli stessi di procurarsi un’occupazione confacente con la loro capacità lavorativa.
L’interrogante chiede, infine, di conoscere il pensiero del Governo sulla ventilata iniziativa della fondazione di una nuova città, che accolga e riunisca tutti gli esuli giuliani. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Orlando Camillo».
«Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga di emettere, senza ulteriori dilazioni, i provvedimenti, che vennero più volte richiesti a favore dei partigiani, disponendo:
1°) che sia concesso a coloro di essi, che incorsero in reati anteriormente alla data del 22 giugno 1946, di beneficiare, anche per i reati comuni, del condono di cui all’articolo 8 del citato decreto, abrogando nei loro riguardi le eccezioni di inapplicabilità di cui alla lettera c) dell’articolo 10 del decreto stesso;
2°) che le disposizioni del decreto 22 maggio 1946, colla modificazione di cui alla lettera precedente, siano estese ai partigiani condannati dai Tribunali alleati;
3°) che, in subordine, rispetto ai reati cui fosse negata l’applicabilità del condono di cui al n. 1, sia concesso, a coloro che parteciparono alla guerra di liberazione, la possibilità di avere almeno il beneficio della libertà condizionale, indipendentemente dal termine prescritto per l’applicabilità di tale beneficio, ovverosia anche quando la pena scontata sia inferiore a tale termine;
4°) che sia concessa la riabilitazione di ufficio, senza l’osservanza del termine prescritto dalla legge, a coloro che, avendo riportato condanne anteriormente alla data dell’8 settembre 1943, si siano, colla loro partecipazione alla guerra di liberazione, dimostrati meritevoli del beneficio in parola.
«Bordon».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Così pure l’interpellanza sarà iscritta nell’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 12.45.