Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 11 MARZO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

LVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 11 MARZO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Merlin, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia                                      

Bordon                                                                                                             

Presidente                                                                                                        

Bernini, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione                                  

Russo Perez                                                                                                     

De Filpo, Sottosegretario di Stato per l’agricoltura e foreste                                

Pastore Raffaele                                                                                            

Restagno, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici                                      

Persico                                                                                                             

Togni, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale                      

Pastore Giulio                                                                                                 

Musolino                                                                                                          

Seguito della discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni:

Presidente                                                                                                        

Colitto                                                                                                             

Ghislandi                                                                                                         

Persico                                                                                                             

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Carpano Maglioli, Sottosegretario di Stato per l’interno                                   

Porzio                                                                                                               

Perugi                                                                                                               

Castelli Avolio                                                                                               

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati: Di Giovanni, Cannizzo e Salvatore.

(Sono concessi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Bordon, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se non ritenga di emettere, senza ulteriori dilazioni, i provvedimenti che vennero ripetutamente richiesti a favore dei partigiani, disponendo: a) che sia concesso, a coloro di essi che incorsero in reati anteriormente alla data del 22 giugno 1946, di beneficiare, anche per i reati comuni, del condono di cui all’articolo 9 del citato decreto, abrogando nei loro confronti le eccezioni di inapplicabilità del condono, di cui alla lettera c) dell’articolo 10 del decreto stesso; b) che, in. subordine, rispetto ai reati cui fosse negata l’applicabilità del condono, sia concesso a coloro che parteciparono alla guerra di liberazione, di avere almeno il beneficio della libertà condizionale, indipendentemente dal termine prescritto dalla legge per l’applicabilità di tale beneficio, ovverosia anche quando la pena scontata sia inferiore a tale termine; c) che, con apposito decreto, sia concessa la riabilitazione d’ufficio a coloro che, avendo riportato condanne anteriormente alla data dell’8 settembre 1943, si siano, colla loro partecipazione alla guerra di liberazione, resi meritevoli dell’invocato beneficio».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

MERLIN, Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia. Il Governo è animato verso i partigiani, che hanno concorso a liberare il nostro Paese dal giogo nazi-fascista, da ogni migliore disposizione e lo ha dimostrato con le numerose provvidenze che furono emanate a loro vantaggio. Tuttavia non sembra al Governo conveniente allargare ancor più i benefici di una amnistia e di un indulto che da opposte parti vennero giudicati fin troppo generosi. Il decreto presidenziale 2 giugno 1946, n. 4, all’articolo 10 dichiara che non si applica il condono ai casi di peculato, concussione, falsificazione, omicidio, rapina, estorsione e ricatto. Basta fare l’elenco di questi delitti per misurarne la gravità, e quando poi si tenga presente che sempre tali delitti vennero esclusi dalle precedenti amnistie si comprenderà la giustificazione.

È da tener poi presente che l’articolo 10, n. 3, dopo avere escluso dall’indulto i sopra elencali reati, ha aggiunto le seguenti parole: «Salvo che siano stati commessi per scopi politici», della quale eccezione certamente molti partigiani avranno beneficiato.

Quanto alla liberazione condizionale, è chiaro che tale istituto verrebbe ad essere completamente alterato ove venisse applicato senza l’osservanza dei termini fissati nel Codice penale. Altrettanto è a dirsi per quanto concerne la riabilitazione, che va applicata con l’osservanza dei termini e delle modalità previste dal Codice. È chiaro però che l’avere partecipato alla guerra di liberazione sarà un ottimo titolo per poter ottenere il beneficio.

PRESIDENTE. L’onorevole Bordon ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BORDON. Mi dichiaro insoddisfatto, anzi insoddisfattissimo, perché la risposta del Governo è completamente negativa. L’onorevole Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia osserva che sono state disposte numerose provvidenze per i partigiani. Ora, io desidero sapere quali e quando sono state emesse queste numerose provvidenze, perché noi abbiamo il decreto di amnistia del 22 giugno nel quale si parla genericamente di reati politici, ma non vi è nessun riferimento specifico ai partigiani, a coloro cioè che si sono resi meritevoli di particolari riguardi.

Se vi è una categoria che doveva beneficiare dell’amnistia, questa era proprio la categoria dei partigiani. Ora, il decreto di amnistia ha creato una profonda ingiustizia, cioè ha messo in libertà tutti i fascisti che dovevano rimanere in carcere a scontare i loro reati politici e non politici, ed al posto loro ha lasciato i partigiani, i quali aspettano ancora oggi una giusta riparazione. Evidentemente, questa riparazione si rende necessaria. Io ne ho fatto oggetto di richieste verbali al Ministero di grazia e giustizia e, siccome le risposte sono state negative, ho dovuto decidermi a fare questa interrogazione, la quale data non da oggi, anche se soltanto oggi viene in discussione.

Rilevo anche che delegazioni di partigiani sono venute a Roma per far presenti le loro legittime rivendicazioni, cui accenno nella mia interrogazione. Essi hanno avuto il più ampio affidamento che si sarebbe provveduto. Rilevo anche che nel convegno di Firenze si è chiesto ad alta voce che bisognava provvedere ad emanare i provvedimenti più volte richiesti. Tutto è rimasto lettera morta, come lo dimostra in questo momento la risposta del Governo. Bisogna provvedere a soddisfare le richieste di giustizia dei partigiani e delle loro famiglie. Vengo, in particolare, alla risposta data dal Sottosegretario.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, la invito a mantenersi nei termini di tempo prescritti dal Regolamento.

BORDON. Ho bisogno di svolgere l’argomento. Mi riservo di trasformare l’interrogazione in interpellanza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Russo Perez al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se, assecondando i desiderata espressi dai maestri elementari nell’ultimo Congresso di Palermo, il Ministero, prima che siano banditi nuovi concorsi per posti vacanti di maestri elementari nei vari comuni d’Italia, intenda, e fino all’esaurimento, avvalersi dei pochi concorrenti risultati idonei nell’ultimo concorso per titoli ed esami ultimatosi nell’anno 1942, e non assunti, disponendo conseguentemente per la loro nomina ai posti in atto vacanti o che si renderanno tali».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

BERNINI, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Allo stato attuale della legislazione non è possibile immettere in ruolo gli insegnanti risultati idonei nei concorsi per titoli ed esami del 1942.

Un provvedimento legislativo in tal senso era stato adottato dal passato regime per il concorso per le scuole di Roma nel 1930; ma tale provvedimento recava considerevole danno alla stessa classe magistrale, in quanto toglieva la possibilità di bandire eventuali concorsi, avendo ipotecato i posti vacanti, per notevole numero di anni.

Questo precedente dimostra l’assoluta necessità di procedere con molta cautela nell’emanare disposizioni del genere. Ad ogni modo, assicuro l’onorevole interrogante che, in base ad un provvedimento in corso di preparazione, già annunziato dalla stampa, gli insegnanti in possesso delle idoneità potranno partecipare ad un concorso per titoli per metà dei posti vacanti.

PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez, ha facoltà di dichiarare so sia sodisfatto.

RUSSO PEREZ. Mi rendo conto delle ragioni esposte dal Sottosegretario per la pubblica istruzione: tanti giovani in possesso dei titoli necessari, reduci, i quali aspirano ad una occupazione, non potrebbero trovarla, se venisse accolta la richiesta contenuta nella mia interrogazione.

Ma io vorrei che il Ministero si rendesse conto delle ragioni di quella categoria di maestri, dei quali ho interpretato il desiderio; maestri che quasi hanno raggiunto i limiti di età, hanno partecipato al concorso nel 1942, hanno sopportato delle spese per poter parteciparvi, sono stati dichiarati idonei, e non sono stati chiamati in servizio.

Il Sottosegretario per la pubblica istruzione dice che un provvedimento simile a quello da me richiesto fu escogitato al tempo del Governo fascista, ma che poi, nella esecuzione pratica, si manifestarono degli inconvenienti, per cui il provvedimento dovette essere revocato.

Ma non è difficile immaginare un provvedimento democratico, che possa ad un tempo sodisfare i desideri di questa categoria di maestri e, nello stesso tempo, non dar luogo agli inconvenienti lamentati.

Siccome la verità non sta né a sinistra né a destra, e… non sta neanche al centro (Commenti al centro), ma sta un poco a sinistra ed un poco a destra, penso che il Ministero potrebbe escogitare un provvedimento, per cui una parte dei posti, che mano mano si rendono vacanti, venga occupata per concorso da coloro che non hanno partecipato a precedenti concorsi, ed una parte sia riservata ai maestri dichiarati idonei nel 1942.

In questo senso mi dichiaro parzialmente soddisfatto, nella speranza che il Ministero voglia presto studiare ed attuare il provvedimento da me invocato.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pastore Raffaele, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se, per combattere la disoccupazione, non creda opportuno applicare il decreto ministeriale 19 dicembre 1938, n. 12571, riflettente la trasformazione dell’agricoltura nel Tavoliere di Puglia ed estendendo lo stesso piano di trasformazione a tutta la fascia premurgiana».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’agricoltura e le foreste ha facoltà di rispondere.

DE FILPO, Sottosegretario di Stato per l’agricoltura e le foreste. Il piano delle nuove direttive della trasformazione dell’agricoltura, approvato con decreto ministeriale 18 dicembre 1938, n. 12571, non mancò di avere un principio di applicazione nel comprensorio del Consorzio generale per la bonifica della Capitanata.

Tale applicazione non poté, purtroppo, avere un notevole sviluppo in quanto, nelle more dell’allestimento dei vari progetti, sopravvennero noti eventi che in quella zona non consentirono uno sviluppo progressivo delle singole iniziative.

Ora che tali cause sono cessate, il Ministero dell’agricoltura si ripromette di riavviare in quel comprensorio la trasformazione agraria ed è allo studio il riesame delle direttive prestabilite.

Quanto poi alla richiesta, per la estensione del piano a tutta la fascia premurgiana, osservo che le norme della trasformazione vanno studiate ed applicate a seconda delle caratteristiche che ciascuna zona presenta e raramente riguardano interventi di natura talmente generica, da rendersi suscettibili di applicazione in qualsiasi territorio il quale debba essere fondiariamente ed agrariamente trasformato.

Ciò a prescindere dalla impossibilità giuridica di rendere un comprensorio di bonifica soggetto a norme studiate ed imposte per un comprensorio del tutto diverso.

Con questo però non deve intendersi esclusa la convenienza di adottare per la Fossa Premurgiana, o meglio, per quelle zone di essa che più delle altre ne appaiono suscettibili, provvedimenti inerenti alla trasformazione fondiaria analoghi a quelli già adottati per il comprensorio della Capitanata, adeguandoli, bene inteso, alle peculiari condizioni delle zone medesime.

In proposito è necessario chiarire che il territorio denominato Fossa Premurgiana è esteso per ettari 250.000, di cui 105.000 in provincia di Bari ed il restante nella Lucania. Dei sopraddetti ettari 105.000, ettari 62.000 costituiscono il comprensorio della bonifica del Locone e Basentello, e sono questi che appaiono particolarmente idonei, se mai, a formare oggetto del provvedimento invocato, se si tiene conto che quel comprensorio è stato sinora oggetto di importanti lavori di canalizzazione e di costruzione di strade, per un importo complessivo di lire 300 milioni circa.

I lavori di quella bonifica hanno avuto, specie in questi ultimi tempi, un ragguardevole sviluppo, in vista delle esigenze della occupazione della mano d’opera dei maggiori centri abitati del comprensorio. Dei 300 milioni sopra cennati, 200 risultano autorizzati infatti soltanto nell’ultimo anno.

L’ingente spesa sostenuta, per la maggior parte a carico totale dello Stato, rende quindi, più che altrove, indispensabile per quella zona l’esame di interventi di trasformazione fondiaria agraria da parte di proprietari, che debbono affiancare e valorizzare l’opera statale, migliorando ed intensificando le possibilità colturali dei terreni nell’interesse dell’economia generale del Paese.

Limitandosi quindi, per ora, al comprensorio del Locone e Basentello il provvedimento invocato dall’onorevole Pastore, dovrebbe quel Consorzio provvedere a redigere un apposito piano delle direttive della trasformazione dell’agricoltura nel comprensorio consorziale: piano che, sottoposto ad esame degli organi competenti e riconosciuto meritevole di approvazione, potrà poi formare oggetto di un apposito provvedimento ministeriale, come quello studiato per il suo comprensorio dal Consorzio della Capitanata che formò oggetto del menzionato decreto ministeriale 19 dicembre 1938, n. 12571.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PASTORE RAFFAELE. Non posso dichiararmi sodisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario per l’agricoltura. Mentre il Governo sta spendendo centinaia di milioni per provvedere alla disoccupazione nelle Puglie, non si attuano provvedimenti che potrebbero servire non soltanto ad eliminare la disoccupazione, ma ad intensificare la produzione.

L’onorevole Sottosegretario fa cenno agli eventi bellici che hanno impedito finora di applicare il piano studiato e approvato fin dal 1938; ma noi ci meravigliamo che, alla distanza di quattro anni da quando la guerra è passata nelle Puglie, il Governo non ha trovato ancora il modo di obbligare i proprietari ad attuare quel piano. Se è vero che qualche cosa si è fatta nel Tavoliere, si sono fatti solo i lavori a totale carico dello Stato. Invece quando si tratta di lavori a cui dovevano provvedere i proprietarî, nulla si è potuto fare. Il piano approvato con decreto ministeriale del 1938, che porta la firma di eminenti studiosi, prevede le abitazioni rurali. I nostri contadini sono invece costretti a dormire sulla paglia nelle stalle, non hanno neppure un cencio di materasso, né una coperta per coprirsi. Si coprono solo col mantello e, per potersi difendere dal freddo, devono dormire vestiti per 15 giorni quando sono costretti a rimanere in campagna.

Nel piano sono previste le costruzioni di case a carico dei proprietarî col sussidio dello Stato; lo stesso piano prevede il termine di due anni per essere attuato; ma i due anni devono decorrere dal giorno in cui il Consorzio di bonifica, che è nelle mani dei proprietarî, provvederà alla bonifica obbligatoria. Sicché i due anni non cominceranno mai finché i Consorzi, con quella forma antidemocratica che pare sia ancora oggi ammessa, saranno nelle mani dei proprietari.

I Consorzi di bonifica sono la negazione della democrazia, in quanto un ricco proprietario terriero ha in essi fino a mille voti, mentre un contadino non ha neppure un voto.

Perciò richiamiamo l’attenzione del Governo, che oggi ancora sta spendendo centinaia di milioni nella Puglia, perché agisca per mezzo di propri funzionari, estromettendo coloro che hanno interessi contrari, affinché il piano di trasformazione abbia quella estensione che è stata domandata.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro della pubblica istruzione, «sulla assurda disposizione, relativa alla compilazione delle graduatorie per il conferimento di incarichi e supplenze nelle cattedre delle scuole medie, per cui viene considerato a favore dei reduci, ai fini del punteggio, il servizio militare o il periodo di prigionia subìto posteriormente alla laurea e non anche quello anteriore a detta laurea, creando così una ingiusta disparità di trattamento verso coloro che furono costretti a ritardare la laurea per la chiamata alle armi e per l’impossibilità di conseguirla durante il tormentoso e difficile periodo della guerra. Per evidenti ragioni di giustizia si dovrebbero impartire disposizioni ai capi d’istituto tendenti ad equiparare, agli effetti del punteggio in graduatoria, tanto il servizio militare ed il periodo di prigionia sostenuto dopo il conseguimento della laurea, quanto quello anteriore».

Non essendo presente l’onorevole Di Giovanni, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Angelucci, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dei lavori pubblici, del tesoro, dell’agricoltura e foreste e della pubblica istruzione «per sapere se non ritengano necessario, allo scopo di porre fine rapidamente alla tragica situazione in cui ancora vivono, dopo oltre due anni dalla cessazione delle ostilità, le popolazioni del Cassinate e paesi viciniori, di proporre una speciale ed efficace legislazione ed adeguati stanziamenti di fondi per la ricostruzione edilizia ed agricola di quella zona, che più di ogni altra ha subito i danni della guerra, nonché per il risanamento igienico e per la riattivazione delle scuole, considerato che la legislazione ordinaria in vigore ed i provvedimenti finora presi si sono dimostrati inefficaci».

Non essendo presente l’onorevole Angelucci, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Persico, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dei lavori pubblici «per sapere quali provvedimenti intendano prendere per far cessare finalmente la condizione inumana e indecorosa in cui vivono ancora le martoriate popolazioni del Cassinate e di tutta la zona che va dalle Mainarde agli Aurunci».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

RESTAGNO, Sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il Ministero dei lavori pubblici ha eseguito nella zona, a cui si riferisce l’onorevole interrogante, lavori di demolizione e di sgombero, di riparazione di uffici pubblici, statali e di enti locali, di edifici di culto, riparazioni di opere stradali ed idrauliche, riparazioni di opere igieniche, smistamento di materiali, colmate di buche, costruzioni di case per i senza tetto e riparazioni di case private per un totale di 858 milioni, di cui 524 per la sola città di Cassino.

Sono stati inoltre già corrisposti contributi a privati per la riparazione di case per un totale di 207 milioni. Sono tuttora in corso nella detta zona lavori per un totale di 300 milioni.

Un ulteriore programma di lavori, che può considerarsi di prossima attuazione, compatibilmente coi fondi che ci saranno messi a disposizione dal Tesoro, prevede l’ulteriore spesa di 4 miliardi 355 milioni, di cui un miliardo e 700 milioni per il comune di Cassino.

Il Ministero dei lavori pubblici ha infine posto allo studio la possibilità dell’emanazione di un provvedimento legislativo che prevede speciali agevolezze per le zone supersinistrate, come quella di Cassino.

Io sono perfettamente d’accordo con l’onorevole interrogante e con altri colleghi che ci hanno interpellato in proposito, sulla gravità della situazione della zona cassinate, zona che ho avuto l’opportunità di visitare ripetutamente e nella quale ho dovuto constatare che si vive in una situazione così anormale, così grave, che non è più ulteriormente tollerabile.

Mentre nel complesso la ricostruzione nel nostro Paese si svolge con un ritmo abbastanza confortevole, nelle zone supersinistrate non si ottengono i risultati concreti che si attendono e i progressi che la situazione richiede.

Questa constatazione che ora faccio vuol significare appunto che si è d’accordo con l’onorevole interrogante sulla gravità del problema.

Abbiamo visto che città e paesi, specialmente sulle grandi arterie, dove il Governo ha potuto provvedere con larghezza di mezzi, sono rapidamente risorti; ma purtroppo, nei centri lontani dalle grandi vie di comunicazione, ci troviamo ancora in una situazione di quasi completo abbandono.

Il Ministero dei lavori pubblici intende perciò con prontezza porre riparo ed ovviare a questi gravissimi inconvenienti e intende, attraverso quella legge che è stata preannunciata dallo stesso Presidente del Consiglio nelle sue prime dichiarazioni del Governo, dare a queste zone supersinistrate un provvedimento agile, che consenta l’impiego dei fondi che saranno messi a disposizione del Ministero stesso a favore di queste zone che hanno tanto sofferto e che hanno giustamente il diritto di essere portate a un tenore di vita quale noi desideriamo e quale dobbiamo studiarci di realizzare al più presto.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERSICO. Ringrazio il Sottosegretario di Stato, onorevole Restagno, per le sue cortesi parole e lo ringrazio anche per la comprensione che ha dimostrato di avere del problema; comprensione vivificata dal fatto che egli si è recato parecchie volte sul luogo e si è reso conto delle condizioni inumane di vita in cui versano quelle disgraziatissime popolazioni.

Non sono però sodisfatto della risposta, perché essa non fa che ripetere un vecchio ritornello. Ci vorrebbero dei provvedimenti eccezionali per le zone supersinistrate e questi provvedimenti non si sono ancora presi. Non per citare me stesso, ma, il 30 giugno del 1944, pochi giorni dopo la liberazione di Roma, ebbi a scrivere un articolo su un quotidiano politico nel quale spiegavo che occorrevano provvedimenti eccezionali per rendere abitabile la terra bruciata, e dicevo appunto che la zona che va dai monti Aurunci alle Mainarde e al mare, cioè la zona che si estende tra Cassino, Pontecorvo, Esperia, Formia, Gaeta, Castelforte, ecc., era in tali condizioni, per il passaggio ruinoso della guerra, per il ciclone della guerra che aveva raso al suolo ogni segno di vita civile, che occorrevano provvedimenti eccezionali. Ora, l’onorevole Sottosegretario mi dice che sono stati spesi 858 milioni, di cui 524 per Cassino: male spesi, onorevole Sottosegretario; malissimo spesi, perché si sono fatti dei fabbricati provvisorî che già sono in rovina. Ogni giorno infatti cadono pezzi degli edifici ricostruiti, e non si è avuto il concetto fondamentale di quello che occorre per ridar vita a un paese distrutto; non è facendo qua e là una casa dove dieci o dodici famiglie possono trovare rifugio, che rinasce la vita in un paese distrutto.

Bisogna creare il centro vitale della nuova città; quella che i greci chiamavano l’agorà, la piazza centrale, dove sia il municipio, dove sia la scuola, dove sia il mercato, dove siano tutti gli edifici di pubblico interesse, le case, le botteghe, per dar vita a nuovi paesi, a nuove città che risorgono; e allora l’iniziativa privata potrà esplicarsi. Allora potranno sorgere anche case fatte nell’interesse dei singoli, i quali troveranno il loro tornaconto nel costruire gli edifici, per dare l’alloggio ai senza tetto.

Ma se si seguita con il sistema di costruire una casa là, un’altra qua, senza evitare che, come è avvenuto a Cassino, le case vengano costruite nel pantano del Rapido, perché il Rapido aveva allagato la zona, onde sono sprofondate le fondamenta dopo pochi giorni che erano state fatte, buttando così centinaia di milioni, non si farà mai nulla. Occorrono, quindi, dei provvedimenti urgentissimi per rendere meno aspra la vita di quelle disgraziate popolazioni.

Io avevo presentato, l’11 dicembre dello scorso anno, una mozione, perché fosse provveduto ad un ente speciale, ad un Commissariato, il quale riunisse in sé tutte le attività governative, il quale accentrasse tutti i poteri, senza intralci di prefetture, tanto più che le prefetture sono tre: Frosinone, Latina, Caserta – e, quindi, difficoltà enormi; senza intralci di difficoltà burocratiche, dicevo; e speravo che questa mozione si potesse discutere. L’onorevole Macrelli. che rappresentava allora il Governo, mi disse che sarebbe stata fissata al più presto. Sono passati quattro mesi, e la mozione non è stata ancora svolta; tanto che le popolazioni di quella zona, non dico che ridono, ma piangono nel pensare che tutte queste iniziative si riducono soltanto a parole.

Il Sottosegretario ha accennato alla legge in formazione per l’alloggio dei rimasti senza tetto. In quella legge, per iniziativa mia e dell’onorevole Castelli-Avolio, abbiamo introdotto un articolo 95-bis, che spero il Governo vorrà mantenere, nel quale si prevede, allo scopo di accelerare la ricostruzione delle zone che hanno subìto distruzioni di eccezionale gravità, l’istituzione di Commissariati che dovranno essere costituiti dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto col Ministro dei lavori pubblici e degli altri Ministri interessati.

Voglio sperare che, appena questa legge sarà emanata – ed è questione di giorni – si possa immediatamente provvedere; non solo allo svolgimento della mia mozione, ma superarne addirittura lo svolgimento, col creare questo Ente o questo Commissariato – scegliete voi il termine, perché la parola è indifferente mentre quello che conta è la sostanza – onde queste popolazioni possano finalmente vedere un raggio di luce e riaccendere nel loro cuore la speranza di tornare ad essere popolazioni civili di uno Stato civile.

PRESIDENTE. Comunico che il Governo è pronto a rispondere alla seguente interrogazione, presentata con carattere d’urgenza nella seduta antimeridiana di venerdì 7 marzo, dall’onorevole Pastore Giulio ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e degli affari esteri, per conoscere d’urgenza i motivi in base ai quali il Ministero del lavoro si oppone a che l’emigrazione in Francia avvenga in via normale mediante richieste o contratti individuali, ed insista nel dare assoluta preferenza al sistema dell’emigrazione collettiva, nonostante i gravi inconvenienti cui ha già dato luogo.

«L’interrogazione ha carattere di estrema urgenza, poiché la questione forma in questi giorni oggetto di esame da parte della Commissione mista italo-francese e si deve fra l’altro dare corso a migliaia di richieste da mesi giacenti al Ministero del lavoro».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale ha facoltà di rispondere.

TOGNI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, fin dal primo momento in cui venne avanzata da parte francese la domanda di avviare in quella Nazione lavoratori sulla base di richieste nominative, ha creduto di accoglierla, riservandosi di negare l’espatrio soltanto a quei lavoratori che risultassero appartenenti a categorie professionali il cui allontanamento fosse giudicato pregiudizievole ai fini della ricostruzione nazionale.

Delle 3831 richieste nominative pervenute da parte francese a tutto il 29 febbraio scorso, nessuna è stata respinta, né per questo, né per altri motivi che non fossero in diretta dipendenza della volontà e della idoneità dei singoli interessati. Infatti 652 domande hanno già avuto esito positivo, nel senso che i lavoratori interessati risultano da tempo a destinazione in Francia; 450 non hanno potuto avere seguito, perché gli operai interessati hanno rinunziato al lavoro loro offerto per vari motivi, fra cui principalmente l’insufficienza delle condizioni offerte. Di 67 lavoratori è stato temporaneamente sospeso l’avviamento alla sede di destinazione, su richiesta francese; 123 sono risultati reperibili agli indirizzi indicati nei contratti di lavoro inviati da parte francese; 72 sono risultati inidonei; 199 non hanno ancora manifestato la loro volontà di accettare o meno l’offerta ad essi rivolta. Le rimanenti 2268 domande che riguardano le provincie di Udine (1451), Belluno (181), Vicenza (296) e Varese (340), sono tuttora in corso di istruttoria, nel senso che si stanno approntando gli atti relativi all’espatrio da parte dei lavoratori interessati.

A questo riguardo bisogna tener presente che in tale sede, per i lavoratori richiesti nominativamente, si prescinde dalla selezione professionale, e che molto del tempo che intercorre tra la richiesta e l’espatrio è necessario per il rilascio dei passaporti da parte delle questure competenti in relazione allo adempimento previsto dalle normali indagini che precedono il rilascio di tale documento.

Posso aggiungere che il Ministero del lavoro interverrà anche presso il Ministero dell’interno, perché disponga che queste domande di rilascio di passaporto siano sodisfatte il più presto possibile.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PASTORE GIULIO. Ringrazio il Sottosegretario di Stato per la risposta datami, ma mi consenta di non dichiararmi sodisfatto. Egli ha annunciato che sono state accolte, sia pure soltanto in parte, le richieste di emigrazione individuale pervenute dalla Francia. Io potrei ricordare all’onorevole Sottosegretario di Stato e al Ministro del lavoro che sono ancora giacenti oltre 20.000 richieste di emigrazione individuale provenienti da operai italiani. Di queste domande, soltanto in seguito a pressioni fatte da alcuni membri della Commissione italo-francese, ne saranno esaminate una parte in questi giorni, anzi, se non erro, in una seduta che si terrà questa sera.

Ma, ciò che preoccupa, è l’orientamento e le direttive chiaramente espresse dal Ministero del lavoro, secondo le quali oltre a queste ventimila domande non ne saranno prese in esame altre se non in percentuale ridotta, ed è proprio questo particolare che mi ha indotto a portare qui il problema.

Il Presidente del Consiglio nelle sue dichiarazioni, ha annunciato alcuni provvedimenti nei confronti della emigrazione, che ci hanno fatto e ci fanno sperare in un regolamento di questo problema; però sarebbe necessario che, in relazione a questa promessa, i vari dicasteri interessati evitassero di assumere posizioni particolari soprattutto se investono questioni di principio.

Mettersi senz’altro sul terreno dell’emigrazione di massa significa, secondo noi, determinare il danno dei lavoratori. L’esperienza fatta in questi ultimi tempi lo dimostra. Sono noti i fatti di Modane, ed io potrei portare testimonianze dirette sul modo con cui i lavoratori sono trattati nei così detti campi di triage francesi, dove proprio per la indiscriminazione e per la mancata qualificazione ed i mancati contratti individuali, che assicurano al lavoratore l’immediato collocamento, i nostri operai sono trattenuti per un periodo durante il quale non fanno altro che subire mortificazioni di ogni sorta. Io vorrei che in questo senso il Ministero degli esteri di concerto con quello del lavoro svolgessero una indagine per rendersi conto di queste dolorose realtà. Le notizie che ho dal campo di Lione informano che i nostri lavoratori non hanno alcuna libertà di movimento: vi sono i gendarmi all’uscita dei campi, e, quindi, non sono campi di raccolta, ma campi di concentramento, e direi quasi di prigionia.

Noi riteniamo che, trasferendo l’emigrazione di massa sul piano dell’emigrazione individuale, questi inconvenienti non si verificherebbero, senza dire che si consentirebbe ai nostri lavoratori di entrare in rapporti diretti con le imprese francesi, mettendosi così nella condizione di far valere le loro qualità personali, i loro titoli e le loro capacità, ed è evidente che soltanto su questo piano i lavoratori nostri potrebbero domani rivendicare maggiori diritti di quanto non possano farlo in questo momento.

Per concludere, vorrei che l’Assemblea tenesse conto che qui stiamo ricalcando un indirizzo che ha imperversato per vent’anni. Il fascismo ha creduto di farsi un merito quando convogliando, anzi irregimentando i nostri emigranti verso l’estero, ha creduto di realizzare una maggiore difesa dei nostri lavoratori. Ora è strano che il regime democratico inauguri la sua politica emigratoria battendo la stessa strada che ha battuto il fascismo.

Anche per queste considerazioni devo insistere, perché il Governo porti sollecitamente a termine la proposta di costituzione del Consiglio dell’emigrazione.

Consentitemi di dire che il periodo bellico ha annullato tutte le convenzioni internazionali che tutelavano i nostri lavoratori. Il Consiglio dell’emigrazione potrebbe affrontare questo arduo argomento per promuovere la formazione di accordi e di intese internazionali che potrebbero garantire i nostri lavoratori, anche quando si presenteranno sul mercato estero con qualità e facoltà del tutto individuali e personali. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di replicare l’onorevole Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Ne ha facoltà.

TOGNI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Ringrazio l’onorevole interrogante per le buone intenzioni della sua interrogazione e per l’apporto che ha inteso dare allo studio dei gravi problemi connessi all’emigrazione.

Il Ministero del lavoro è grato a tutti coloro i quali portano un contributo effettivo, perché sente tutta la grave responsabilità di questo problema che intende avviare, con la collaborazione del Ministero degli esteri, alla soluzione migliore, più umana e più giusta per i nostri lavoratori e per il nostro Paese.

Per quanto riguarda le osservazioni mosse alla risposta, dall’onorevole interrogante, egli mi consentirà che una ulteriore risposta circa la politica definitiva di emigrazione del Governo, ed in particolare del Ministero del lavoro, sia data quanto prima.

Per quanto si riferisce agli incidenti lamentati, posso confermare la notizia, già nota, che è in corso l’inchiesta, i cui risultati saranno resi di pubblico dominio.

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo assegnato alle interrogazioni.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne indichi il motivo.

MUSOLINO. Devo lamentare che una mia interrogazione presentata nell’agosto del 1946 all’allora Alto Commissario per la sanità e l’igiene non abbia avuto finora risposta. In questa interrogazione chiedevo un’indagine sul tubercolosario di Chiaravalle in quel di Catanzaro, dove i degenti sono maltrattati e non hanno la necessaria assistenza sanitaria. Mi pare che questo silenzio rivesta carattere di gravità e raccomando alla Presidenza che faccia un passo presso l’Alto Commissario, affinché provveda nel più breve tempo possibile.

PRESIDENTE. La Presidenza terrà conto della sua sollecitazione.

Seguito della discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvate con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni (2).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvate con regio decreto 5 marzo 1934, n. 283, e successive modificazioni.

Avverto l’Assemblea che sono iscritti ben 16 oratori e che tre soltanto hanno finora parlato.

Vorrei fare osservare agli onorevoli colleghi che la discussione generale deve essere una vera e propria discussione generale e non una discussione su punti che possono essere illustrati durante la discussione degli articoli o in occasione di presentazione di emendamenti, che sono già moltissimi. Prego, quindi, gli onorevoli colleghi che prenderanno la parola, di attenersi a questa direttiva nel modo più rigoroso. Se vorranno rinunziarvi, per sviluppare i loro argomenti in sede di discussione degli articoli, evidentemente gioveranno alla speditezza dei nostri lavori.

È iscritto a parlare l’onorevole Colitto. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, oggetto principale del disegno di legge, che è sottoposto al nostro esame, è la modifica del sistema di controllo da parte dello Stato sugli enti autarchici territoriali locali (comune e provincia), cioè a dire degli enti, i quali hanno la potestà, la facoltà di autoamministrarsi, la facoltà di agire per la realizzazione di fini mediante lo svolgimento, ove occorra, di un’attività amministrativa, che ha la stessa natura e gli stessi effetti dell’attività amministrativa pubblica dello Stato.

Di queste due parole «enti autarchici» con una circolare dell’agosto 1939 il cessato regime vietò completamente l’uso, riaffermando che si trattava di enti completamente aventi interessi subordinati agli interessi superiori dello Stato. E così la parola autarchia, nel campo della pubblica nostra amministrazione, fu cancellata, perché dire autarchia significa dire autogoverno. Perché ci sia un principio autarchico, è necessario che ci si trovi di fronte ad un ente che, amministrato da organi speciali, abbia una propria sfera di azione, una competenza particolare in materie determinate e un’autonomia finanziaria; ma occorre soprattutto che gli amministratori siano liberamente eletti dalla popolazione interessata.

Ora è evidente che, soppressa dal fascismo coi decreti legge del 4 febbraio 1926, n. 237, e del 3 settembre 1926, n. 1910, e del 27 dicembre 1928, n. 2962, l’elettività nelle cariche nelle amministrazioni locali, per modo che i Comuni furono retti da podestà di nomina regia, assistiti da consulte di nomina prefettizia e le Provincie da amministratori di nomina governativa, venne – checché in contrario si sia durante il fascismo sostenuto – a mancare l’elemento fondamentale attraverso il quale il principio di autarchia si realizza.

Essendosi ora, col decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1, provveduto alla ricostituzione, su base elettiva, delle Amministrazioni comunali, riconoscendosi di nuovo ai cittadini il diritto di partecipare direttamente o indirettamente al Governo, il principio di autarchia venne riaffermato. Bisognava da ciò trarre le conseguenze. E bene ha fatto il Governo a cominciare a trarle con l’attuale disegno di legge. Merita perciò, a mio avviso, lode, anche perché il sistema, che col progetto si propone, rappresenta indubbiamente un progresso di fronte al sistema vigente prima delle riforme operate dal cessato regime.

Ente autarchico non significa già ente libero da qualsiasi controllo. Controllo sugli atti e controllo sugli organi degli enti autarchici sono esistiti in ogni tempo ed esistono pressoché in tutti gli Stati del mondo. Lo Stato non può disinteressarsi del modo come gli enti autarchici funzionano, donde una sua ingerenza diretta ad accertare, ed eventualmente a procurare, che la loro attività corrisponda ai proprî fini e sia la più adatta al loro conseguimento.

Prima delle riforme del fascismo, per particolari deliberazioni delle autorità locali, era preordinato il controllo amministrativo di merito, avente lo scopo di accertare che le deliberazioni fossero oltreché legittime, anche convenienti ed opportune, mentre le altre deliberazioni di Consigli e di Giunte erano soggette ad un vero controllo giuridico di legittimità, demandato al prefetto, diretto ad accertare se le deliberazioni fossero state prese con le forme prescritte dalle leggi e dai regolamenti, e fossero, per il contenuto, entro i limiti dalla legge segnati.

Dopo un regime intermedio che va dal 1926 al 1933, secondo cui si distingueva fra comuni maggiori e minori, il testo unico del 1934 adottò un sistema ben diverso e dispose che tutte le deliberazioni non soggette al controllo di merito, demandato alla Giunta amministrativa, che lo esercitava mediante atti di approvazione e di autorizzazione, fossero sottoposte ad un «visto di esecutività», demandato al prefetto, che poteva peraltro ricusarlo anche per ragioni di merito. Nel disegno di legge, che viene sottoposto all’esame dell’Assemblea, tale sistema viene abbandonato e si istituisce – abolita anche la legge 10 giugno 1937, n. 1402 – un controllo non più preventivo, quale era il visto di esecutività, ma un controllo successivo, già adottato – come esattamente rileva la relazione del Governo alla legge – in vari ordinamenti stranieri. Tutte le deliberazioni delle amministrazioni comunali e provinciali, che non siano soggette a speciali approvazioni, diventano immediatamente esecutive dopo la loro pubblicazione nell’albo pretorio e l’invio alla Prefettura, salvo il potere conferito al Prefetto di annullarle, per motivi di legittimità, entro 20 giorni dal ricevimento. La Giunta amministrativa, poi, continuerà ad esercitare il suo controllo preventivo di merito su deliberazioni aventi contenuto di particolare importanza.

Per completezza, aggiungo che tale modifica del sistema dei controlli, così come disposto dal testo unico del 1934, lascia inalterata sia la ordinaria vigilanza da parte del Governo centrale, di cui è parola nell’articolo 6, (lo ricorda espressamente l’articolo 17 del progetto) sia il controllo che dallo stesso testo unico del 1934 (articolo 332 e seguenti) venne disposto per i comuni e le provincie non in grado di assicurare ai propri bilanci il pareggio economico.

Mi si consenta, detto ciò, di fare qualche breve considerazione. Il progetto contiene aggiunte, alle norme del testo unico del 1934, e precisazioni che ritengo opportune.

Utilmente, ad esempio, è stata eliminata la disparità di trattamento esistente per le province nei confronti dei comuni, in relazione alla facoltà di provvedere, ove i contratti non eccedano una certa cifra, mediante trattativa privata, senza necessità di preventiva autorizzazione prefettizia. L’articolo 87 del testo unico del 1934 permetteva la trattativa privata alle amministrazioni comunali, mentre l’articolo 140 non ne parlava affatto a proposito delle amministrazioni provinciali. Questa disparità di trattamento non apparve mai spiegabile nel campo della dottrina, sicché vi fu anche chi, sottolineando questa concomitanza di tutte le condizioni riferibili egualmente ai contratti dei comuni e a quelli delle provincie, pensò proprio ad un errore puramente materiale. Bene il progetto ha corretto questo errore; comunque bene ha fatto a colmare la lacuna.

Egualmente con molta opportunità l’articolo 16 del disegno di legge ha precisato a quali limiti intende riferirsi, richiamando l’articolo 87, l’articolo 296 del testo unico del 1934.

L’articolo 87 contiene due ordini di limiti: limiti oltre i quali non è consentita la licitazione privata ed è obbligatoria l’asta e limiti oltre i quali non è consentita la trattativa privata. Ora, l’articolo 16, tenendo conto soprattutto della genesi dell’articolo 296, in conformità, del resto, alla più autorevole dottrina, ha opportunamente detto che i limiti, eccedendosi i quali i contratti non sono impegnativi per l’Ente nel senso che non si viene a completare il vinculum juris, senza il visto del prefetto, sono soltanto quelli stabiliti per la trattativa privata.

Altra aggiunta opportuna è quella che risulta dal numero 11 dell’articolo 5: non si parla più in esso soltanto di piani regolatori edilizi e di ampliamento, ma anche di piani di ricostruzione.

È stata d’altra parte operata qualche modifica di norma che non ritengo opportuna. Non ritengo, ad esempio, opportuna la modifica apportata dall’articolo 8 alla misura della pena che l’articolo 106 del testo unico del ’34 commina per le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali e alle ordinanze emesse dal Sindaco.

È questo un assai modesto rilievo, ma penso che da un’Assemblea di sottili e delicati giuristi, qual è quella, a cui ho l’onore di parlare, non potrà non essere considerato giusto.

La ragione è nel rilievo che già con l’articolo 3 del regio decreto legislativo 5 ottobre 1945, n. 679, le pene pecuniarie, comminate per tutte le infrazioni previste dal Codice penale e dalle leggi speciali, furono raddoppiate e non vi è alcuna ragione per operare nella specie una modifica della modifica, turbando quell’euritmia legislativa, che va sempre, a mio avviso, nel miglior modo curata.

Neppure mi rendo conto della eliminazione dall’elenco delle deliberazioni, che debbono essere sottoposte al controllo di merito della Giunta provinciale amministrativa, delle deliberazioni riguardanti i «cambiamenti nella classificazione delle strade ed i progetti per l’apertura e la costruzione delle medesime». Nella relazione della Commissione legislativa si legge che nessun particolare motivo induce a riservare tali deliberazioni alla competenza della Giunta.

Io penso, invece, che grande interesse sociale ha il sistema della viabilità, non potendo disconoscersi come dalla iscrizione di strade nell’elenco e dalla cancellazione da esso per iscrizione di altro elenco o per la sclassifica (soppressione dell’uso pubblico) derivino oneri di durata spesso indefinita. Non bisogna, poi, dimenticare che per l’articolo 17 della legge 20 marzo 1865 sui lavori pubblici la Giunta provinciale amministrativa, nel controllare l’atto, decide anche sui reclami presentati dagli interessati, donde la conseguenza che, ove fosse approvato il progetto così come si presenta, la Giunta provinciale amministrativa finirebbe sempre col doversi occupare delle strade a seguito e per effetto dei ricorsi dei singoli interessati.

Non vedo, d’altra parte, come alla materia in esame possa attribuirsi minore importanza di quella che è attribuita alla materia, ad esempio, dei piani regolatori edilizi, di ampliamento e di ricostruzione, che pure è materia, che, ove formi oggetto di deliberazione degli enti autarchici, non sfugge all’attività di controllo della Giunta.

Io sono, pertanto, di avviso che nell’elenco delle deliberazioni da sottoporre all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa siano da porre anche le deliberazioni di cui ho parlato.

Anche qualche altra aggiunta va fatta, perché il disegno di legge diventi più preciso e completo.

Sarebbe, ad esempio, opportuno riprodurre, per evitare equivoci circa la decorrenza del termine di venti giorni, il capoverso dell’articolo 211 e l’articolo 265 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio-decreto 4 febbraio 1915, n. 148, secondo cui il prefetto aveva l’obbligo di mandare immediatamente all’amministrazione comunale ed a quella provinciale ricevuta del processo verbale delle deliberazioni dei Consigli.

Non occorre rilevare quanto gravi possano essere – ove il termine sia superato – le conseguenze di un ritardato, eppur legale, annullamento di una deliberazione già eseguita o in corso di esecuzione o, peggio, di deliberazioni, per le quali esistano prefissioni di termini a pena di decadenza.

Gli articoli 3 ed 11 del disegno di legge potrebbero essere completati, aggiungendovi al secondo capoverso dell’uno le parole «di cui dà immediato avviso all’amministrazione comunale», ed al secondo capoverso dell’altro le parole «di cui dà immediato avviso all’amministrazione provinciale».

Io aggiungerei anche, là dove, negli articoli 5, 6, 7 e 12 si parla di liti attive «o» (sarà bene scrivere sempre «o» e non a volte «o» ed a volte «e») passive e di transazioni di valore eccedente una certa somma, le liti e le transazioni di valore indeterminato. Così con la sua chiara parola – più aderente anche al dettato del Codice di rito civile – la legge interverrebbe ad eliminare i dubbi sorti o che potrebbero sorgere sia nella dottrina che nella giurisprudenza.

Occorrerà, poi, correggere qualche errore sfuggito alla diligenza del Ministro proponente e della Commissione. Va senza dubbio, ad esempio, modificato il capoverso dell’articolo 19, nella stessa maniera in cui appaiono modificati gli articoli 3 ed 11, sostituendo alle parole, che ora in esso si leggono, le parole sostituite nell’ultimo capoverso degli articoli 3 ed 11, non perché sia necessario, perché il potere – dovere può essere espresso sia con la parola «può» sia con le parole «è in facoltà», come risulta da numerose disposizioni di legge, ma unicamente, anche qui, per ragioni di euritmia legislativa.

Un altro piccolo errore io trovo nell’articolo 16, che apporta modifiche all’articolo 296 del testo unico del 1934.

Come risulta dalla parola di tale articolo e dalla relazione dell’onorevole Carboni, con l’articolo 296, 1° comma, si dava facoltà al prefetto di negare in ogni momento, con provvedimento definitivo, l’esecutorietà di alcuni contratti, quantunque riconosciuti regolari, per gravi motivi di interesse dell’ente o di interesse pubblico. Col progetto si è voluto eliminare tale controllo.

«Il presente disegno» ecco le parole della relazione «stabilisce che egli (il prefetto) deve soltanto accertarsi che siano state osservate le forme prescritte», si intende dalla legge nella stipulazione del contratto.

Intanto nell’articolo 16 si afferma che si modifica il primo comma dell’articolo 296. Resterebbe così in vita il 3° comma, ove appunto si parla del potere – dovere del prefetto, che si intende, invece, eliminare.

Bisognerà, quindi, dire nell’articolo 16 che si abroga non il primo comma dell’articolo 296, ma l’intero articolo.

Vi è bisogno, infine, in qualche punto di qualche precisazione.

Si considerano, ad esempio, gli articoli. 5, 6 e 7 del disegno di legge, corrispondenti agli articoli 99, 100 e 101 dal testo unico del 1934.

Gli articoli 99, 100 e 101 dispongono che vanno sottoposte all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa le deliberazioni riguardanti, tra l’altro, «le locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni».

Senonché col decreto legislativo luogotenenziale 17 novembre 1944, n. 426, col quale si provvide alla soppressione del Governatorato di Roma ed alla disciplina giuridica dell’amministrazione comunale della Capitale, si dispose (art. 3) che «sono sottoposte all’approvazione del Ministro per l’interno le deliberazioni riguardanti, fra l’altro, locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni», con l’aggiunta «quando l’importo annuo della locazione o conduzione superi la somma di lire 100.000», per modo che per l’approvazione dell’autorità tutoria occorre una duplice condizione: che la locazione oltrepassi i dodici anni e che l’importo superi una certa somma.

Nel disegno di legge che stiamo esaminando si usa una dizione diversa.

Si parla di «locazioni e conduzioni di immobili oltre i dodici anni o quando l’importo complessivo del contratto superi la somma di…» C’è un «o» che non è nel testo del 1934 e non è neppure, il che è più importante, nel decreto riguardante l’Amministrazione comunale di Roma. Nel silenzio ermetico, in proposito, della relazione, mi sono domandato: trattasi di un errore materiale o si è inteso proprio disporre per tal genere di contratti una disciplina per le varie amministrazioni comunali dello Stato diversa da quella disposta per Roma? Io sono di avviso che tale diverso trattamento non ha ragione di essere, per cui penso che nei tre articoli alla disgiuntiva proposta debba senz’altro sostituirsi una virgola. Un chiarimento, comunque, non sarebbe inopportuno.

Onorevoli colleghi, termino rilevando che opportunamente si tende, nel nuovo clima democratico, a far sì che gli enti locali possano muoversi, nell’ambito delle leggi, senza essere sottoposti a troppi e troppo frequenti richiami; ma insieme sento imperioso il dovere di dire che non bisogna esagerare, perché è vero che gli amministratori locali, se più liberi da vincoli, sentiranno di più, forse, il senso di responsabilità e del fondamento di ogni retta amministrazione; ma è vero pure che, riducendo al massimo i controlli, si corre il pericolo di lasciare a quegli enti la possibilità di svolgere attività, che potrebbero, eventualmente, risolversi in un danno per gli amministrati, ai cui interessi va, invece, sempre data la più concreta efficace protezione. Io mi auguro che il potere legislativo dello Stato saprà, in ogni momento, anche in questo campo, trovare la giusta via nel superiore interesse, economico e morale, della Nazione. L’avrà trovata soltanto quando avrà reso compatibili le autonomie comunali con quella unità di indirizzo politico che è base indispensabile di ogni sano ordinamento. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Ghislandi. Ne ha facoltà.

GHISLANDI. Onorevoli colleghi, parlo per incarico del gruppo parlamentare socialista e particolarmente dei sindaci e degli amministratori comunali che, pure essendo deputati, ne fanno parte. Però l’argomento che qui ci interessa, più che essere di portata relativa a un determinato gruppo o partito politico, è assai più vasto, assai più complesso, in quanto tocca gli interessi dell’intera nazione. Si tratta di un problema di interesse generale; di un problema, quindi, che si impone all’attenzione di tutti gli Italiani e di tutti i partiti che vogliano fare il bene dell’Italia. Io non mi perderò in dissertazioni teoriche né in sottili disquisizioni politiche o giuridiche; cercherò invece di portare qui una nota eminentemente pratica, fatta di conclusioni concrete, provenienti dall’esperienza e cioè dal fatto che, specialmente noi sindaci, ci troviamo ogni giorno al contatto della realtà viva della vita locale, che ogni giorno possiamo sentire e conoscere direttamente l’animo e i bisogni del popolo, assai più degli uomini stessi di Governo, ai quali ne giunge, spesse volte tardivamente, l’eco, quando non sia anche falsata da rapporti non corrispondenti alla verità delle cose o da interessi particolari tendenti a deviare la direttiva delle decisioni governative.

Occorre però premettere un principio di carattere generale, o, meglio, partire da una constatazione storica, che non va dimenticata da nessuno: né dal Governo, né da tutti coloro che si interessino della vita dei comuni, tanto più se intendano o debbano, come è il caso dell’attuale Assemblea Costituente, gettare le basi fondamentali e dettare le linee generali di una nuova vita locale e nazionale. E la constatazione storica è questa: che, attraverso i millenni della vita molteplice del nostro Paese, i comuni in particolare e gli enti locali in generale sono stati quasi sempre l’elemento più vivo e più efficace di tutta l’attività della Nazione. Non si tratta di parlarvi in senso municipalista – il municipalismo è morto e sepolto da tempo – e neanche in senso regionalista, quasi separatista. Avete sentito in quest’aula, dopo la presentazione del progetto di Costituzione, elevarsi critiche e dubbi in merito all’opportunità o meno di provvedimenti di carattere troppo ampio per le autonomie regionali. Io sono fra quelli che partecipano a questi dubbi senza che per questo io venga – o senta di dover venire – a conclusioni prettamente e decisamente negative sulla creazione delle Regioni.

Parlo piuttosto per quel senso particolare di fierezza e di amore, che ognuno di noi Italiani sente per la sua terra nativa; e perché – ripeto – sono convinto della verità storica che la vita dei comuni è sempre stata, come è tuttora, alla base della vita della stessa Nazione. Infatti, quando i Governi in Italia, sia dell’Italia unita, sia di altri tempi, hanno trascurato od oppresso le iniziative locali, dal più al meno abbiamo avuto sì e no brevi fulgori di vita, ma generalmente inerzia, decadenza e qualche volta anche la morte, politica, economica, civile.

Viceversa, quando i Governi hanno dato ai comuni ed alle organizzazioni locali la possibilità del massimo sviluppo, abbiamo avuto tutta una fioritura di grandezza e di prosperità e di bellezza, le cui testimonianze rimangono ancora fra i ricordi più fulgidi della nostra storia.

Quindi non bisogna trascurare i comuni, né tanto meno comprimerne la vita: bisogna invece lasciare che i comuni abbiano modo di vivere, di esplicare tutta la loro attività, e di dar corso a tutta la loro volontà di iniziativa. Ciò facendo, si fa non soltanto il bene degli enti locali, ma il bene stesso della collettività e di tutta la Nazione.

Del resto, anche se vogliamo riferirci ai tempi più recenti, troviamo che i comuni italiani, nello stesso periodo fascista, subirono la legge storica di cui vi ho accennato; perché, mentre in un primo tempo, quando per far vedere qualche cosa di grandioso si è cercato, da parte della dittatura, di favorire le iniziative locali, qualche cosa di discreto e di buono si è visto; quando, viceversa, il Governo accentratore non ha più sentito il bisogno di ricorrere a questi mezzi per poter avere la simpatia della popolazione e si è rivolto ad imprese che gli sembravano più vaste e gloriose, la vita dei comuni si è ridotta ad una vita di amministrazione ordinaria, e la stessa vita nazionale ne ha enormemente sofferto.

Del pari, non appena le prime aure della libertà hanno ripreso a spirare sulla vita della Penisola, che cosa abbiamo visto? Quando le ultime orde tedesche stavano abbandonando il nostro suolo, e il potere dello Stato non era ancora in grado di provvedere ai bisogni della vita locale, sono stati i municipi, sono state le organizzazioni locali, che, senza attendere altro tempo od altri aiuti, sono andati incontro a tutte le immense miserie lasciateci dalla guerra, dando inizio immediato ad un’opera di ricostruzione che dura tuttora ed è veramente grandiosa; diciamolo pure una volta, altamente e fieramente, anche qui, in quest’aula tante volte tediata dal piagnisteo di inguaribili Cassandre o di troppo facili Catoni; diciamo pure che il popolo italiano è ancora un popolo di brava gente, laboriosa e fondamentalmente sana, che saprà superare, con le sue stesse forze, le difficoltà del momento; esso ha già ritrovato la sua via e saprà percorrerla, come ha sempre saputo fare anche nei momenti più tragici della sua storia.

Però, i comuni italiani, se hanno provveduto e provvedono a risolvere i problemi più urgenti e più indispensabili della ripresa della loro vita locale, hanno nello stesso tempo bisogno di un aiuto veramente adeguato e di un concorso effettivo e costante da parte dello Stato; tanto più che a tutto oggi, l’organizzazione comunale, creata dal fascismo, rimaneva e rimane inalterata, ed il comune deve ancora pressoché interamente dipendere dalla volontà dello Stato e dalle sue autorità centrali e periferiche per ogni iniziativa o decisione di qualche importanza. Fin dai primi giorni della liberazione, fin dai primi momenti in cui i sindaci, specialmente delle città principali del Nord, hanno potuto radunarsi, per scambiarsi le idee e per esprimere i comuni desideri, è stato un solo grido concorde ed unanime: date la libertà ai comuni, date l’autonomia alla quale hanno diritto, per tradizioni gloriose e per necessità storiche anche attuali, imprescindibili. Ma il problema della vita comunale non consiste soltanto nella questione della autarchia o meno né di una autarchia più o meno vasta; esso si risolve anche nel dare ai comuni la possibilità di vivere finanziariamente, e nel dar loro assistenza là dove non possono coi loro soli mezzi provvedere ai bisogni generali del comune, i quali riflettono problemi generali di tutta la Nazione e interessano quindi anche il Governo e l’attività e le funzioni di quasi tutti i Ministeri.

Potrà sembrare che io divaghi in questa mia esposizione, mentre tutto quello che sto dicendo è ricollegato al valore o meno della riforma che oggi il Governo ci propone col suo progetto di legge.

Ora, i comuni italiani hanno fatto sentire dapprima la loro voce, per mezzo particolarmente dei sindaci delle principali città d’Italia; poi i sindaci dei capoluoghi di regione e dei capoluoghi di provincia si sono riuniti in Campidoglio, altamente riaffermando tutta la loro fede serena e forte nella ripresa della Nazione, ma nello stesso tempo formulando domande specifiche al Governo, solennemente presentate al Governo stesso, ricevendone solenni promesse; ma la conclusione è che, a tutt’oggi, ci si è ridotti semplicemente a questo piccolo modesto disegno di legge, limitato alla questione dell’autonomia.

I comuni avrebbero voluto, e si aspettavano, ben più; avrebbero voluto che non soltanto fosse data loro l’autonomia, ma fossero anche emanati provvedimenti per migliorare le loro condizioni economiche, o, quanto meno, per dare loro modo di potersi sistemare da sé. I comuni avrebbero voluto che lo Stato si fosse deciso a snellire, e a potenziare nello stesso tempo, particolarmente gli organismi che in questo momento presiedono ai lavori pubblici, che riguardano tanti bisogni ed interessi comunali e nazionali e che si reggono ancora con leggi antiquate, o non più adeguate alle impellenti necessità straordinarie attuali. In tema di lavori pubblici la legge fondamentale rimane sempre quella del 1865 e gli uffici del Genio civile e dei Provveditorati affogano e ci affogano di carte e prospetti di tutti i generi perché così vogliono la legge fondamentale e le relative norme della sua applicazione, legge e norme risalenti ad epoche in cui la vita italiana era molto più modesta e tranquilla e in cui non urgevano i tremendi ed urgentissimi problemi del momento attuale.

Avrebbero voluto i comuni italiani che fosse fatto un piano organico e sistematico, e veramente definitivo e completo, ed adeguatamente finanziato per le opere di ricostruzione, per le costruzioni di nuovi alloggi, per i lavori contro la disoccupazione, e non soltanto per il loro inizio, ma per la loro esecuzione fino a totale compimento.

Avrebbero voluto i comuni italiani che fosse risolto ben diversamente il problema dell’alimentazione.

Il Governo, ad un certo momento, consigliò e quasi impose ai comuni la creazione degli enti comunali di consumo, ma poi non si provvide mai ad un adeguato finanziamento; e per conseguenza questi enti si ridussero in parecchie località a un «nome vano senza soggetto» e praticamente non poterono in moltissimi casi funzionare.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Si provvede costantemente ad integrare e finanziare gli enti di consumo.

UBERTI. L’economia si doveva sviluppare da sé.

GHISLANDI. Per molti casi non mi risultano finanziamenti; e senza di essi non si può fare nulla di concreto e qualsiasi iniziativa resta inutile e inerte; comunque, e quanto meno, si potevano e si potrebbero almeno includere i rappresentanti dei comuni e delle provincie e delle Camere del Lavoro in quella organizzazione della S.E.P.R.A.L. la quale ancora oggi è una specie di turris davidica inaccessibile ed esclusiva dell’organizzazione di Stato.

Avremmo voluto poi che lo Stato si fosse meglio, e più a fondo, preoccupato dell’assistenza sociale e particolarmente dell’assistenza di guerra. Mentre nel campo dell’assistenza sociale stiamo vedendo dimidiare e ridursi al minimo il concorso dello Stato agli enti comunali di assistenza e gli ospedali si trovano davanti a passività enormi ed a crediti verso i comuni che non li possono pagare, per l’assistenza di guerra si era costituito un Ministero dell’assistenza postbellica il quale oggi è scomparso ed è stato frazionato in cinque o sei reparti in vari Ministeri; e prima che questi nuovi organismi possano provvedere passerà certamente parecchio tempo, mentre abbiamo i nostri mutilati, i nostri reduci, i nostri partigiani, i quali attendono ancora che le promesse fatte diventino qualche cosa di concreto; ed ogni giorno nei nostri uffici assistiamo alla sfilata dolorosa di gente che viene a invocare aiuto alla sua miseria ed alla sua disperazione e alla quale non possiamo rispondere altro che di attendere.

Di fronte a tutte queste richieste che cosa ha risposto, di fatto, il Governo? Notate: io ho dato, e do, la mia fiducia a questo Governo, perché ritengo che esso manterrà almeno le promesse che ha fatto e perché non è per fatti singoli che si possa addirittura investire la fiducia, in senso generale, nel Governo stesso. Però al Governo dobbiamo dire, e diciamo apertamente, che bisognava e bisogna venire incontro, in modo molto più completo ed adeguato, alle necessità dei comuni e che non bisogna perdere altro tempo ancora.

Ho sentito accennare, da altra parte dell’Assemblea, a possibilità di crisi nelle varie amministrazioni comunali. Ebbene io penso, che crisi non ne avverranno in generale, per questioni politiche. Al di fuori del piccolo terremoto di Milano, il quale si è già del resto sistemato, anche le ultime vicissitudini della vita politica, particolarmente dei partiti socialisti, non hanno prodotto un sensibile sconquasso della situazione e nella compagine delle amministrazioni dei comuni nostri, anche se elette col sistema della proporzionale. Non avverranno crisi politiche; ma, ad un certo momento, se il Governo non si deciderà a dare ai comuni quello che loro occorre o a permetterci di trovarlo da noi, le crisi purtroppo avverranno, ma per ragioni economiche, perché non si potrà più tirare avanti, e allora sarà una crisi generale che investirà la responsabilità dello stesso del Governo centrale, e specialmente di esso.

Questo disegno di legge, dunque, col quale il Governo risponde oggi alle tante e così impellenti e complesse domande dei comuni, ci dà l’impressione, pur rispettando gli uomini, del famoso parto della montagna: la montagna ministeriale ha partorito, dopo tante fatiche e tanta attesa, un povero topolino timido e pauroso; tanto la legge si limita alla sola questione dell’autonomia e non osa neanche ritornare completamente alle disposizioni un po’ più larghe della legge del 1915, in quanto mantiene ancora certi avanzi della riforma fascista, e non certo i più opportuni. La legge del 1934 creava addirittura una corazza, entro la quale i comuni soffocavano. Il Governo, col suo disegno di legge, non toglie questa corazza, ma ne allarga soltanto i bulloni, cosicché, da un momento all’altro, potrebbe avvenire che un altro Governo avesse nuovamente a serrarli. Questo i comuni non vogliono. Si era disposto, nella riforma fascista dei 1934, che la Giunta Provinciale Amministrativa (la quale, nella legge del 1915, era in maggioranza elettiva) fosse, d’allora in poi, di maggioranza governativa, di modo che anche quel controllo e quella difesa che potevano venire dalle autorità provinciali di elezione popolare, finivano per essere annullati e superati dal fatto della maggioranza governativa.

Ancora oggi questo assurdo è stato mantenuto. Del pari, è stato mantenuto quel famoso articolo 19, il quale attribuisce al prefetto poteri tali da permettergli addirittura l’arbitrio. Ora, siamo in momenti eccezionali e se un prefetto compisse qualcosa di irregolare, c’è modo oggi, nel regime attuale democratico, anche di alzare voci di protesta e di ottenere dal Governo anche una giusta riparazione. Però, bisogna che il Governo pensi seriamente a limitare questa facoltà di arbitrio, perché se in certe provincie essa ci risulta applicata con una certa saggezza pratica, in certe altre, invece, è attuata addirittura con sistemi di reminiscenza dittatoriale, e di quel tipo governatoriale che del «signor Prefetto» fa l’«Eccellenza il Prefetto».

La legge attuale mantiene anche un’altra particolarità istituita dal regime fascista. Questo, non fidandosi a sufficienza neanche dei podestà, sebbene di nomina governativa, pensò di mettere accanto agli amministratori comunali un rappresentante diretto – e, più che un rappresentante, un dipendente diretto – dell’amministrazione centrale, e cioè il segretario comunale. Si disse di volere con questo rendere il segretario comunale libero ed indipendente dagli arbitrî e dalle persecuzioni, di cui talvolta i funzionari potrebbero essere vittime da parte delle amministrazioni; e ancora oggi ci sono dei segretari i quali temono una tale eventualità e, di conseguenza, invocano il mantenimento della norma fascista suddetta. Ma noi, anche soltanto per una ragione generale di principio – essere cioè assurdo che si dia formalmente l’autonomia ai comuni e poi praticamente la si tolga mettendo, specialmente i piccoli comuni, alla mercé di funzionari nominati dal Governo centrale – non possiamo dare la nostra adesione perché sia mantenuto un tale provvedimento.

Ai segretari comunali però possiamo ricordare che essi non sono più in epoca fascista, e che se le amministrazioni locali avessero a commettere ingiustizie verso di loro, essi troverebbero oggi nell’ ordinamento sindacale della loro categoria, nello stesso intervento dello Stato e di tutte le forme democratiche di rappresentanza che oggi esistono ed hanno voce ed autorità nello Stato, la loro sicura ed efficace difesa.

Ma, d’altra parte, non è giusto continuare a mantenere nei comuni un funzionario, anzi il capo dei funzionari, pagato dal comune e viceversa nominato e magari imposto dal prefetto: rappresentante della volontà dello Stato.

Di fronte a tutte queste deficienze, ed a questi errori di omissioni e conferme, noi ci siamo trovati perplessi se approvare o meno il disegno di legge che oggi il Governo ci presenta. Siamo stati perplessi anche perché altre deficienze minori ci sono, le quali peraltro potrebbero essere modificate con semplici emendamenti, che abbiamo già visto proposti da altri colleghi dell’Assemblea, ed ai quali anche noi ci assoceremo senz’altro.

Anzitutto, emendamenti che permettano di elevare il minimo della cifra per l’autorizzazione a determinate opere pubbliche. La riforma non sarebbe gran cosa, anzi sarebbe addirittura una cosa poco seria, se si rendesse tuttora obbligatoria la preventiva approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici soltanto in tutti i casi di progetti il cui importo superi i 5 milioni di lire. Chiunque sa che oggi con 5 milioni si fa poco o nulla; per conseguenza anche per i piccoli comuni un tal limite è insopportabile. Credo che tutti i colleghi dell’Assemblea consentiranno nella elevazione di questo limite, sia per i piccoli comuni, sia, in proporzione adeguata, anche per i comuni maggiori; perché se ciò non si facesse, non soltanto si commetterebbe un errore ed un’offesa anche, in via di applicazione pratica, al principio dell’autonomia; ma inoltre si metterebbe il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nella condizione di non poter più funzionare; i tavoli del Consiglio Superiore stesso si riempirebbero talmente di progetti su progetti che esso non avrebbe il tempo materiale di poterli approvare, oppure li approverebbe col solito sistema inevitabilmente ritardatario (anche se, dal punto di vista dello scrupolo, lodevole), per cui in Italia si dice – con tutta l’osservanza e il rispetto dovuto ai funzionari che fanno del loro meglio, ma sono già soffocati dalla mole del lavoro – che «Roma è eterna e la burocrazia dei Ministeri è il suo profeta».

A condizione, dunque, che si opportuno al disegno di legge almeno queste modifiche, noi voteremo a suo favore. Non ci convincono, né ci hanno convinto, le osservazioni fatte da altre parti dell’Assemblea per un eventuale rinvio, oggi eliminato, e che potrebbero esser fatte proprie da qualcuno che volesse prenderne pretesto per respingere senz’altro il progetto. Non ci convince la ragione di chi vorrebbe sperare nella riforma, rinnovata e completata, fra pochi mesi: tra pochi mesi la Costituente dovrà aver votato la Costituzione e provvedere anzitutto alla nuova legge elettorale; soltanto dopo potrebbe provvedere anche alla riforma comunale e provinciale; in caso contrario, dovrebbe provvedere l’Assemblea legislativa, quando questa sarà eletta dal suffragio degli elettori nuovamente convocati alle urne; il che, si dice, potrebbe avvenire nell’ottobre.

Data la tecnica dei lavori dell’Assemblea legislativa, che si distinguerà ben poco da quella di oggi, è certo che l’Assemblea eletta nell’ottobre dovrà convocarsi in novembre, eleggere le varie cariche, sentire e discutere le dichiarazioni del Governo; attendere che il Governo presenti nuovi disegni di legge, e che la Commissione riferisca; poi discutere e votare in entrambi i rami del Parlamento; di mese in mese, giungeremmo al marzo dell’anno venturo e saremmo sempre nella stessa condizione. Viceversa la situazione esige di affrontare il problema al più presto possibile, e, dato che il Governo è già consenziente almeno sul punto di vista essenziale dell’autonomia, anche se questa autonomia non è concessa in modo completo, si faccia per ora almeno questa: ci accontentiamo dell’uovo oggi, perché temiamo di dover troppo attendere la gallina di domani.

Noi voteremo, dunque, il progetto attuale di riforma, alla condizione che siano accolti gli emendamenti cui ho accennato e, aggiungo, anche alla condizione che il Governo si impegni formalmente (non è un’umiliazione per il Governo, ma un suo dovere, ed un dovere, anzi, il cui adempimento gli farà onore) a risolvere al più presto, in forma più completa e più concreta, il problema della vita e dello sviluppo degli enti locali.

Se il Governo ci verrà incontro, se si deciderà ad esaminare a fondo tutti gli altri problemi che investono la vita comunale, se darà ai comuni d’Italia non soltanto la libertà, ma anche possibilità di vivere e di finanziarsi, finalmente i comuni potranno riprendere o meglio continuare con alacrità maggiore e con più tranquillità e serena certezza, la via della ricostruzione e della prosperità: per loro stessi, e per tutto il nostro Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Persico. Ne ha facoltà.

PERSICO. Come diceva l’onorevole Ghislandi, leggendo questo progetto è venuto a tutti noi un dubbio: se valesse la pena di discuterlo ed approvarlo oppure non farne nulla; perché esso è un timido tentativo di tagliare il nodo scorsoio dal fascismo messo alla gola degli amministratori degli enti locali.

È tutto un sistema che procede col rallentatore. Il 7 gennaio 1946 – se non erro – fu approvata la legge che ricostruiva le libere amministrazioni comunali.

Ebbene, dal 7 gennaio si va al 10 dicembre, perché il Governo presenti un disegno di legge, che avrebbe dovuto seguire immediatamente quello del 7 gennaio; poi si va all’11 gennaio 1947, perché la Commissione, la quale è stata molto diligente ed ha anche migliorato il testo del progetto, presenti la sua relazione; si arriva ad oggi, 11 marzo, dopo altri due mesi, e si inizia la discussione.

È un sistema che non va; non so se sia colpa del funzionamento dell’Assemblea Costituente, la quale ha così scarsi poteri legislativi, o colpa del Governo, che procede con tanta lentezza, attraverso crisi e rimpasti, svolgendo la sua lenta opera di adattamento delle condizioni del Paese alla situazione prefascista e soprattutto alla situazione postfascista.

Dunque, questo disegno di legge ha gravi difetti e gravi lacune: arriva tardi ed arriva imperfetto e insufficiente.

Non mi sono associato all’amico collega Lami Starnuti, che ne ha proposto la sospensiva, perché anche così com’è congegnato, con qualche emendamento, che spero il Governo vorrà accettare, noi avremo fatto un secondo passo avanti, perché il primo si è fatto colla legge del 7 gennaio.

Si tratta di smantellare tutta una costruzione, che il fascismo aveva fatta con grande abilità e con grande ricchezza di particolari, per imprigionare poco a poco in una gabbia di ferro tutte le autonomie locali: podestà, consulte, presidi, rettorati, segretari comunali di carriera; creando anche delle aspettative, che, purtroppo, noi dovremo deludere, perché è assurdo che i Consigli comunali non possano scegliere, attraverso libero concorso, l’uomo di fiducia dell’amministrazione comunale, il tecnico, attraverso cui passa tutta la vita del Comune; specialmente oggi che, con i partiti di massa, arrivano nei Consigli comunali uomini non ancora esperti nell’amministrazione della pubblica cosa, i quali dovranno necessariamente ricorrere al parere tecnico del segretario comunale. Quindi, i segretari comunali, per necessità, dovranno essere liberamente scelti dai Comuni. Perciò non mi sono associato alla proposta di sospensiva del collega ed amico Lami Starnuti.

Ma non basta tutto questo. Dobbiamo riflettere che è bene approfittare dell’occasione che ci offre il Governo, tardiva occasione – ma appunto per questo è necessario approfittarne – per aggiungere qualche altra riforma.

Io ho presentato parecchi emendamenti che mi riservo di svolgere al momento opportuno, ma dei quali è bene che io dica sin da ora qualche parola in termini generali.

Innanzitutto, nella legge nuova manca un istituto che rappresentava, direi quasi, un palladio di libertà: l’azione popolare. Oggi che la nuova Costituzione darà il diritto a 50.000 elettori ed elettrici, cioè ad un numero microscopico rispetto ai 25 o 26 milioni di elettori del popolo italiano, di presentare alle Camere un disegno di legge, abbiamo soppresso quell’azione popolare che figurava nel testo unico del 1908, come una conquista della democrazia di 40 anni fa. L’azione popolare deriva dal diritto romano: Reipublicae interest quam plurimos ad defendendam suam causam admittere. Interessa allo Stato che tutti i cittadini possano intervenire con la loro azione a difendere gli interessi della cosa pubblica, ovviando ai difetti e alle manchevolezze della pubblica amministrazione.

Noi sappiamo che, specialmente in regime fascista, abusi infiniti sono stati fatti, territori occupati, vie chiuse, espropriazioni forzate, pagamenti avvenuti, così, all’amichevole, fra privati e podestà, segretari comunali, consultori, presidi, ecc. Tutto questo non deve più avvenire. È un sistema le cui conseguenze si possono ancora correggere quando le azioni non siano prescritte, e allora è interessante che ciascun cittadino possa esercitare nuovamente quest’azione popolare, naturalmente con le garanzie che la legge del 1908 aveva stabilito e che io ho creduto di riprodurre nel mio articolo aggiuntivo.

Si è detto che l’azione popolare è circondata da grandi difficoltà, tali e tante difficoltà che solo un pazzo potrà esercitarla. Ma appunto perciò la legge garantisce che non sia un pazzo che l’eserciti, perché è a rischio e pericolo di chi l’esercita, e perché vuole che sia approvata dalla Giunta provinciale amministrativa, che deve sentire il Consiglio comunale, e vuole che intervenga in causa il Comune e partecipi all’azione stessa; di modo che non si tratta più di un pazzo, ma si tratta di un savio, il quale voglia rimettere sulla giusta via l’amministrazione del Comune.

Del resto, l’azione popolare è stata poco esercitata nel periodo in cui esisteva, perché alla vita del Comune prendevano parte poche persone. Oggi invece essa sarebbe un’arma efficace perché, con l’intervento dei grandi partiti di massa, specialmente nei piccoli comuni, sarà possibile, attraverso l’azione popolare, correggere quei difetti in cui eventualmente la Giunta o il Sindaco, rappresentanti di una parte soltanto della cittadinanza, stessero per incorrere.

Così pure ho ritenuto necessario proporre delle modifiche per quel che riguarda i poteri della Giunta comunale e del Presidente della Deputazione provinciale.

Spesso avviene che nell’intervallo fra una sessione e l’altra del Consiglio comunale, nell’intervallo da una riunione ad un’altra della Deputazione provinciale, si appalesino necessità alle quali conviene dar corso d’urgenza, e oggi non è possibile farlo perché, né la Giunta comunale può sostituirsi al Consiglio coi poteri d’urgenza, né il Presidente della Deputazione provinciale può sostituirsi alla Deputazione stessa. Ed anche per questo credo sia necessario integrare il testo del disegno di legge.

Ho aggiunto poi gli articoli che riguardano le pubblicazioni sull’albo Pretorio del Comune e della Provincia che – è doveroso dirlo – ho tratto dalla legge del 1934, perché era fatta bene su questo punto, e se una legge è stata fatta bene dal fascismo, noi dobbiamo adottarla coraggiosamente e lealmente.

Vi è poi un problema sul quale richiamo l’attenzione degli onorevoli colleghi ed è quello delle indennità agli amministratori dei Comuni, delle Provincie e degli Istituti di beneficenza. È vero che, nella legge del 7 gennaio 1946, all’articolo 3, ultimo capoverso, è detto che al sindaco e agli assessori può essere assegnata, compatibilmente con le condizioni finanziarie del Comune, un’indennità di carica; e che la deliberazione è sottoposta all’approvazione della Giunta provinciale amministrativa. Ma è anche vero che queste statuizioni sono rimaste in gran parte sulla carta.

Ricordo all’amico onorevole Corsi, qui presente, la discussione che ebbe luogo in quest’Aula su un’interrogazione dell’onorevole Terracini, il quale si lamentava appunto che una circolare telegrafica del Ministero dell’interno avesse reso quasi inefficiente questa disposizione di legge, e chiedeva che essa fosse invece resa attuabile e venisse integrata con altre norme. Ricordo che, alle vibratissime parole dell’onorevole Terracini, ebbe a rispondere l’allora Sottosegretario all’interno, onorevole Corsi, il quale concluse così la sua risposta: «Proprio fra giorni – eravamo agli ultimi del 1946: vedete bene come i giorni diventino mesi e i mesi diventino anni – dovrà essere esaminato un disegno di legge presentato dalla Presidenza del Consiglio per alcuni emendamenti alla legge comunale e provinciale. L’Assemblea potrà approvarli e noi daremo naturalmente corso a questa volontà sovrana».

Siede oggi a quel banco l’onorevole Carpano, il quale, credo, sottoscriverà le parole dell’onorevole Corsi: «noi daremo corso a questa volontà sovrana».

Noi vogliamo che gli amministratori dei Comuni e delle Provincie, oggi specialmente che sono tratti spesse volte dalle classi più popolari, dalle classi meno abbienti, dai contadini agli operai, ai piccoli artigiani, ai fabbri, ai muratori, ai calzolai, i quali sono eletti dal suffragio universale, dalla volontà del popolo, da migliaia e migliaia di voti, possano esercitare la loro funzione abbandonando solo in parte il loro normale lavoro, o abbandonandolo in modo che possano ugualmente continuare a mantenere la loro famiglia.

Non si tratta di un’elemosina, o di una elargizione; bisogna che la democrazia la smetta con l’idea della povertà francescana: onesti sì, ma non poveri. Bisogna che gli uomini che amministrano il Comune e la Provincia possano degnamente vivere, anche perché così potranno essere lontani da qualunque sospetto di corruzione. È un errore quello di ritenere che, chi dà la sua opera allo Stato debba farlo gratuitamente, nelle ore in cui non ha niente da fare. Oggi la vita politica è un magistero, è un sacerdozio, che comporta una quantità di cognizioni e un enorme dispendio di tempo e di attività.

Io ho avuto l’onore di fare, per un anno e più, il prefetto di Roma e vi dico che le ventiquattr’ore della giornata non erano sufficienti per tutto quello che dovevo fare.

Ho potuto fare questo grande sacrificio; ma non tutti sono in condizioni di poterlo fare. Bisogna che lo Stato provveda dignitosamente ai pubblici amministratori. E l’idea non è nuova, perché ho qui sott’occhio una proposta di legge presentata, il 5 agosto 1920, dall’onorevole Matteotti – è titolo d’onore ricordare in quest’Aula l’onorevole Matteotti come presentatore di un disegno di legge – che venne discussa, relatore Donati, e approvata il 10 agosto 1920. Doveva passare al Senato; ma venne la così detta marcia su Roma e non se ne fece più nulla. Quindi, introducendo nel disegno di legge l’obbligo delle indennità di carica per i consiglieri comunali, per le Deputazioni provinciali, per i consiglieri provinciali, per i presidenti, per i vicepresidenti, per i sindaci e per gli assessori, noi adempiamo ad un voto che un nostro collega, il cui nome resterà scolpito eternamente nei nostri cuori, aveva già sciolto ventisette anni fa, ed era riuscito a fare approvare dalla Camera perché diventasse legge dello Stato.

Noi così ci metteremo anche al passo con quella che è la situazione attuale: noi vogliamo che siano aperte le porte a tutti, che la possibilità sia data a tutti di assurgere alle più alte cariche dello Stato. Noi vogliamo che veramente nel popolo risieda l’autorità sovrana – non emani, come dice il disegno di legge sulla Costituzione, perché non è un odore che emana; è una potestà che risiede, che sta nel popolo e che dal popolo si espande attraverso tutti i rami della pubblica amministrazione, fino al Capo supremo dello Stato, fino al Presidente della Repubblica. Ma appunto per ciò dobbiamo rendere possibile questo esperimento, dobbiamo rendere possibile questo curriculum, che ogni uomo che vuol dedicarsi ai pubblici interessi deve fare attraverso le pubbliche amministrazioni. Si dovrà tornare al tempo in cui si cominciava verso i trent’anni ad entrare nel Consiglio comunale, verso i trentacinque nel Consiglio provinciale, verso i quaranta alla Camera dei Deputati. Non per amore di una gerontocrazia, che noi non vogliamo, perché è bene che i giovani entrino presto in quest’aula, ma è anche bene che abbiano un’adeguata esperienza, che portino il conforto di aver vissuto la vita amministrativa, perché non si improvvisano certe competenze: bisogna averle vissute fin dai primi gradini, e poi nei secondi, e poi nei terzi; e poi si potrà assurgere ai fastigi più alti della pubblica amministrazione. (Approvazioni).

Un altro punto, sul quale ho creduto opportuno presentare un emendamento, è quello che riguarda la necessità di coordinare in testo unico tutte le infinite disposizioni che oggi sono sparse in una quantità di leggi, che hanno ritoccato qua e là la legge comunale e provinciale. Bisogna coordinarle in un solo testo, subito dopo l’approvazione di questo disegno di legge. Ecco perché ho aggiunto un articolo che dà facoltà al Governo di proporre questo coordinamento e questo nuovo testo. Non solo, ma bisognerà rifare il Regolamento, perché – badate – noi ancora andiamo avanti col Regolamento del febbraio 1911. Siamo al 1947, è caduto un regime; cioè ha vissuto per vent’anni un regime ed è caduto; siamo tornati alla libertà, e ancora vige il Regolamento del 1911, l’anno famoso dell’esposizione di Roma nel ricordo dei nostri padri.

Quindi, onorevoli colleghi, ritengo che sarebbe inopportuno respingere questo disegno di legge. Noi lo accettiamo, lo accettiamo come primo passo; lo accettiamo come promessa; ma ci auguriamo che il Governo voglia, appena possibile, provvedere ad un nuovo testo della legge comunale e provinciale.

FUSCHINI. Dopo l’approvazione della Costituzione.

PERSICO. Anche prima, onorevole collega.

Questa Costituzione è fatta in un modo stranissimo. Ci sono argomenti nei quali i settantacinque nostri autorevolissimi colleghi si sono sbizzarriti a creare decine e dozzine di articoli, con capoversi, con commi lunghissimi che occupano mezza facciata e che poi non sapremmo come tradurre in leggi, perché molti sono già essi stessi una legge.

Basterebbe dire: «Abbiamo promulgato» o il «Presidente della Repubblica ha promulgato» e la legge sarebbe fatta; il che, però, non deve far parte di una Carta fondamentale, di una Carta costituzionale. E quindi dovremo togliere il troppo e il vano, come diceva l’altro giorno un nostro autorevolissimo collega. Viceversa, per l’autonomia comunale, neanche a farlo apposta, cercando col lanternino, si trova un solo modesto articolo, assai stremenzito, cioè l’articolo 121 che dice: «Il Comune è autonomo nell’ambito dei principî e delle leggi generali della Repubblica».

Per rispondere all’amico carissimo che mi diceva: ne parleremo dopo la Costituzione, io dico che possiamo parlarne anche prima, perché sul Comune e sulla Regione ci saranno ampi dibattiti, ma il Comune rimarrà sempre, perché è la cellula fondamentale dello Stato. Il Comune, la Provincia e lo Stato, questi sono i tre cerchi nei quali si svolgerà l’attività della Nazione italiana.

Io concludo, anche per essere obbediente al suo comando, onorevole Presidente, dicendo che noi approviamo questa legge, chiedendo però al Governo e alla Commissione che vogliano accettare gli emendamenti da noi proposti, dei quali ho dato un rapido cenno, e ciò per migliorare il progetto, perché nulla è perfetto, e ciascuno può portare il suo contributo al miglioramento di una legge. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta antimeridiana di venerdì 14 marzo alle ore 10.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di discussione urgente:

«Al Ministro dell’interno, per sapere le cause che hanno determinato i luttuosi incidenti di Messina e perché, sopravanzando le trattative in corso per l’equa composizione della vertenza, abbia avuto luogo la manifestazione che ha degenerato in atti violenti e se legittimo sia stato l’uso delle armi da parte della Forza pubblica.

«E quali provvedimenti intenda prendere per punire i responsabili, quali che essi siano, e per prevenire manifestazioni del genere che turbano l’ordine pubblico e l’opera di ricostruzione del Paese».

«Candela, Bonino, Bellavista».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere, in relazione ai luttuosi fatti di Messina, quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili spezzando, una buona volta, la tradizione mafiosa e di polizia, secondò la quale, in Sicilia, si può impunemente assassinare dei lavoratori».

«Fiore, Di Vittorio, Musolino».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti abbia adottato e si proponga di adottare in seguito ai gravissimi e luttuosi avvenimenti verificatisi in Messina il giorno 7 ultimo scorso, sia per l’accertamento delle cause e delle responsabilità e sia perché il popolo siciliano venga rassicurato autorevolmente per l’avvenire contro l’ormai abituale leggerezza con la quale la forza pubblica fa uso delle armi contro inermi cittadini che manifestano il loro disagio economico o la loro miseria. Tanto più che troppo vicina è la sconcertante assoluzione di tutti gli imputati dei luttuosi fatti di Palermo dell’ottobre 1944».

«Varvaro».

«Ai Ministri dell’interno e della difesa, per sapere se rispondano a verità le notizie date dai giornali sui luttuosi fatti di Messina, e per sapere se sono state assodate le responsabilità e quali provvedimenti sono stati disposti a carico di un ufficiale dei carabinieri che avrebbe caricato la folla al grido di «Avanti Savoia!».

«Natoli».

«Ai Ministri dell’interno e della difesa, per sapere quali provvedimenti intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi fatti verificatisi nella giornata del 7 marzo decorso durante una pacifica dimostrazione di lavoratori dinanzi alla Prefettura di Messina, nonché contro il comandante la legione dei carabinieri di Messina e il capitano dei carabinieri, che in quel giorno comandava il servizio, responsabili l’uno indirettamente e l’altro direttamente di aver fatto sparare i carabinieri sul popolo al grido monarchico di: «Avanti Savoia!».

«Li Causi, Montalbano».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo risponderà a queste interrogazioni nella seduta antimeridiana di venerdì 14.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti altre interrogazioni, con richiesta di svolgimento di urgenza:

«Al Governo, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere – dati i fatti di Napoli – per evitare il crollo della industria della pastificazione con la conseguente disoccupazione di alcune migliaia di operai. In particolare si chiede se il Governo intende intervenire con ogni urgenza per adottare i provvedimenti richiesti, e cioè:

  1. a) equa ripartizione del grano in modo da assicurare concrete ed eguali possibilità di lavoro alle industrie della Campania e delle altre zone;
  2. b) perequazione dei dati di molitura e di pastificazione ed unificazione del prezzo della pasta in tutto il Paese, avocando allo Stato le eventuali differenze per costituire una entrata alla Cassa integrazione salari;
  3. c) intervento della Cassa integrazione salari nei confronti dei lavoratori dell’arte bianca».

«Riccio Stefano».

«Al Governo, per conoscere i motivi per cui, dimentico del più elementare senso di giustizia sociale, abbia trascurato di risolvere il problema della Cassa integrazione salari, del dato unico di pastificazione nazionale, di una eguale ripartizione di lavoro, provocando così la inevitabile chiusura di tutti i pastifici della provincia di Napoli con gravissimo danno delle maestranze rimaste senza lavoro e della popolazione, creando una situazione di disagio, sfociata in tumulti e gravi incidenti la responsabilità dei quali, come di tutto l’accaduto, ricade indirettamente sul Governo per la sua insensibilità a risolvere i problemi del Sud.

«Mazza».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo risponderà anche a queste interrogazioni nella seduta antimeridiana di venerdì.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Porzio. Ne ha facoltà.

PORZIO. Chiedo che sia discussa d’urgenza la seguente interrogazione annunziata nella seduta del 6 febbraio:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali criteri intenda adottare per risolvere i gravi e urgenti problemi che assillano la città di Napoli».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Anche a questa interrogazione sarà risposto venerdì.

PRESIDENTE. Infine sono pervenute alla Presidenza le seguenti altre interrogazioni per le quali è stato anche chiesto lo svolgimento di urgenza:

«Al Ministro dei trasporti, per sapere i motivi per i quali, con grave pregiudizio per la campagna agrumaria siciliana in corso e della economia nazionale e regionale, non si restituiscono al compartimento ferroviario di Palermo i carri merce usciti dalla Sicilia con destinazione Continente, attribuendoli a compartimenti che non hanno le attuali improrogabili necessità di esportazione e di deperibilità di prodotto; e per sapere, inoltre, perché vengano riservate soltanto ai diretti e direttissimi Roma-Milano le vetture di prima classe, totalmente assenti nel traffico ferroviario siciliano da e per il Continente.

«Si chiede l’urgenza ai sensi del Regolamento.

«Bellavista, Bonino».

«Ai Ministri dell’interno e della difesa, per sapere se ritengano opportuno – qualora motivi di ordine generale non lo rendano impossibile – concedere a tutti i militari di leva siciliani una breve licenza perché il 20 aprile, in occasione delle elezioni per l’Assemblea regionale siciliana, possano trovarsi nei rispettivi comuni di residenza ed esercitare, anch’essi, il loro diritto di voto.

«Li Causi, Montalbano, D’Amico».

«Al Governo, per sapere se risponde a verità la notizia secondo la quale sul colle della Farnesina, dominante in vista di San Pietro, fra Monte Mario e Ponte Milvio, in uno dei luoghi più suggestivi di Roma, e del mondo, entro la cinta urbana, colle destinato, infatti, a parco pubblico nel piano regolatore vigente, sarebbe stata concessa una immensa zona di terreno (circa 35.000 mq.) da destinare a cimitero di guerra francese, nel quale sarebbero, naturalmente, accolte anche salme di mussulmani di colore. E, nel caso affermativo, per sapere che cosa il Governo intenda fare per rimuovere l’intollerabile concessione che, rivelando l’assoluta insensibilità delle autorità responsabili, suona insulto, sotto troppi aspetti, alla cocente immeritata sventura della Nazione, e suona comunque soprattutto insulto alle altissime tradizioni civili e cristiane di Roma, alle quali deve pur rendere omaggio la Francia che, con noi, trae da quelle comune nobiltà di origine.

«Di Fausto».

Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si riserva di comunicare quando intende rispondere a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perugi. Ne ha facoltà.

PERUGI. Ricordo che ho presentato nella seduta del 6 marzo la seguente interrogazione, per la quale ho chiesto la discussione d’urgenza.

«Al Ministro della difesa, per conoscere:

1°) se risulti che, malgrado il disposto del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 19, che prevede l’esecuzione del lavoro straordinario da parte dei dipendenti dello Stato – civili e militari – il Ministero della difesa – Esercito – abbia ancora giacenti numerose richieste di pagamento per lavoro effettuato sin dal mese di giugno 1946 da parte di impiegati civili degli enti periferici;

2°) le ragioni per le quali, malgrado le disposizioni generiche sopracitate, non sia stato ancora autorizzato l’inoltro al Ministero della difesa – Esercito – delle proposte di compenso per lavoro straordinario eseguito dai militari degli enti periferici;

3°) se risulti che non è stato ancora autorizzato il pagamento del lavoro straordinario effettuato dai militari e civili degli enti periferici nel 1946, mentre tutti gli ufficiali ed i civili del Ministero della difesa – Esercito – lo hanno da tempo riscosso, in base al lavoro svolto coi criteri fissati dal decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 19;

4°) se non sia indispensabile, per un complesso di ovvie ragioni, usare una maggiore cautela nel concedere benefici solo al personale delle Amministrazioni centrali, lasciando che quello addetto agli enti dipendenti raggiunga poi la parità dei diritti attraverso manifestazioni che contribuiscono a minare la disciplina dei dipendenti statali».

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si riserva, anche per questa interrogazione, di comunicare quando intende rispondere.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Castelli Avolio. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. Vorrei chiedere quando potrà essere messo all’ordine del giorno lo svolgimento di una interrogazione ai Ministri delle finanze e del tesoro, presentata il 6 corrente, riguardante la esenzione dall’imposta di ricchezza mobile per gli opifici tecnicamente organizzati.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intende rispondere.

CARPANO MAGLIOLI, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo potrà rispondere nella seduta antimeridiana di venerdì prossimo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, sulle ragioni che hanno indotto l’Alto Commissariato per l’alimentazione a mutare le precedenti disposizioni circa lo scarico del frumento dal piroscafo «Assunzione», destinato al porto di Siracusa e successivamente scaricato altrove; tenuto conto che il mancato arrivo a Siracusa di tale piroscafo, già segnalato dall’Alto Commissario, ha aggravato la penosa condizione di disoccupazione delle maestranze portuali di Siracusa, danneggiate dal lungo abbandono del porto e dalla mancata soluzione dei problemi portuali, ripetutamente prospettati, ma inutilmente, a tutte le autorità centrali e locali.

«Poiché lo sciopero minacciato è stato sospeso per le assicurazioni dell’Ispettorato regionale dell’alimentazione circa la destinazione al porto di Siracusa di imminenti arrivi di piroscafi con carico di cereali, occorre affrettare tale destinazione e tener presente l’urgente necessità di provvedere a dar lavoro alle maestranze portuali di Siracusa, lungamente provate, avvertendo che lo sciopero, se attuato, potrebbe estendersi a tutte le altre categorie di lavoratori, direttamente ed indirettamente interessate al traffico portuale, con grave danno dell’economia locale e con pericolo per l’ordine pubblico.

«Di Giovanni».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere perché – con riferimento al decreto legislativo 23 novembre 1946, n. 463 – vuol disconoscere, agli effetti della revisione dei prezzi dei contratti di appalto dei lavori in corso, gli aumenti del costo della mano d’opera verificatisi, in conseguenza delle convenzioni sindacali, per i contratti stipulati durante il periodo delle discussioni e delle trattative delle convenzioni stesse, adducendo che debba presumersi che le imprese appaltatrici, per essere già informate della eventualità dei nuovi oneri, ne abbiano tenuto conto nel formulare le loro offerte in sede di gara.

«Gli interroganti chiedono, pertanto, se non sia oltremodo opportuno ed urgente che sia rimossa ogni eccezione al riguardo e sia ristabilita la fiducia e la tranquillità fra le imprese appaltatrici, dando a queste la possibilità di proseguire i lavori intrapresi con la regolarità e l’intensità, tanto necessarie in questo momento.

«Caccuri, Monterisi, Gabrieli, Recca».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti siano stati disposti dai Ministri interessati per l’accertamento delle responsabilità relative alla dispersione o sottrazione del materiale di proprietà dello Stato, che alla data dell’8 settembre 1943 risultava regolarmente affidato a terzi in conto lavoro o deposito.

«In particolare si fa riferimento alle considerevoli partite di indumenti ad uso militare, spesso per valori rilevanti, di cui erano consegnatarie ditte o industrie per la lavorazione.

«Sono, infatti, noti e vivamente deplorati dall’opinione pubblica molti casi, in cui depositari del genere, con il pretesto degli avvenimenti dell’8 settembre, hanno liquidato e venduto per proprio conto ingenti partite, realizzando guadagni favolosi. Non consta che alcuno di tali depositari sia stato invitato a fare – dopo la liberazione – alcuna dichiarazione in ordine all’ammontare, all’impiego, alla distribuzione e al realizzo di dette partite e, d’altra parte, è da ritenersi che data la peculiarità delle circostanze, detti atti sfuggano agli accertamenti relativi ai profitti vuoi di guerra, vuoi di regime, vuoi di speculazione.

«Si deplora, pertanto, unanimamente che l’assenteismo dell’autorità in ordine a tali fatti valga a sanzionare delle situazioni profondamente immorali e a ratificare delle appropriazioni del patrimonio pubblico, aggravate oltre a tutto dal fatto di essere state effettuate proprio allorquando per la grande maggioranza del popolo italiano cominciava il periodo più duro e più travagliato della sua esistenza.

«Cappelletti, Segala».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere i motivi che determinarono l’arresto dei giovani Marsella Mario, Marsella Nicola, Scordari Aldo, Stafanio Salvatore, De Donno Vincenzo, Marrocco Donato, dirigenti del Fronte della gioventù di Maglie (Lecce), il loro deferimento al Tribunale, il procedimento per direttissima nei loro confronti e la loro condanna a 18 mesi di reclusione.

«Grieco, Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sui provvedimenti adottati e sui risultati ottenuti per combattere la disoccupazione nel quadro della politica di Governo e della ripresa nazionale del lavoro dopo il maggio del 1945 e fino ad oggi.

«L’interrogante chiede inoltre che venga manifestato un giudizio circa i probabili sviluppi della situazione nel prossimo futuro, per combattere accanitamente questa intollerabile malattia sociale.

«Roselli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non creda utile e necessario emanare norme integrative al decreto legislativo del 6 settembre 1946, n. 89, per far obbligo al proprietario della terra occupata, di pagare, alla fine della concessione, alla cooperativa occupante, le migliorie apportate al fondo, onde incoraggiare i metodi colturali più attivi ed intensivi previsti dall’articolo 1 di detto decreto.

«Pastore Raffaele».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali ragioni si oppongano alla istituzione di una corsa di automotrici (Battipaglia-Potenza) che permetta ai viaggiatori della Lucania di poter usufruire dei treni rapidi che provengono dalle Calabrie; e per conoscere che cosa intenda fare per migliorare le comunicazioni ferroviarie che permangono quasi nelle stesse disastrose condizioni, in cui si trovavano alla ripresa del traffico ferroviario dopo l’armistizio, essendo riservato alle poche linee che attraversano questa regione il materiale più scadente e gli orari più assurdi, che mortificano le popolazioni meridionali mantenendole in uno stato di costante, anzi di progressiva inferiorità di fronte a quelle delle altre regioni d’Italia.

«Pignatari, Marinaro, Mazzei, Reale Vito, De Mercurio, Zotta, Porzio, Ruggiero».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quali provvedimenti intenda emanare per ovviare all’esiguo trattamento economico di cui beneficiano attualmente gli ufficiali della riserva colpiti dalla legge d’avanzamento Baistrocchi (legge 7 giugno 1934, n. 899) e successive modificazioni, onde provvedere ad un livellamento delle indennità concesse dall’articolo 48 della legge 9 maggio 1940, n. 369, rimasta inalterata dalla sua istituzione, alle normali esigenze del costo della vita.

«Perugi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se ritiene compatibile con il prestigio della giustizia e delle istituzioni democratiche la condanna inflitta dal pretore di Vitulano al sindaco di Foglianise (Benevento) in tale qualità, per pretesa omissione di atto del suo ufficio, così violandosi apertamente le guarentigie amministrative stabilite dagli articoli 8 e 157 del regio decreto 21 maggio 1908, n. 269 e 8 e 157 del regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148.

«Perlingieri, Bosco Lucarelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere le ragioni per le quali non è stata sin oggi effettuata a favore del personale subalterno provinciale la fornitura delle uniformi, di cui all’articolo 17 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2960, ed al decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1945, n. 756, pur trovandosi stanziati in bilancio 30 milioni.

«COLITTO».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere quali ostacoli di ordine burocratico si frappongano alla liquidazione:

1°) delle indennità di visita spettanti al personale ispettivo e direttivo della provincia di Brescia per il bimestre maggio-giugno 1946;

2°) delle indennità di presenza, per le quali al suddetto personale sono state corrisposte solamente lire 1800 in una sola volta, mentre queste indennità dovrebbero decorrere dal 1° aprile 1946 (gli impiegati degli altri Ministeri le riscuoterebbero mensilmente).

«L’interrogante chiede, altresì, al Ministro se non ritenga opportuno, per una più assidua e proficua vigilanza nelle scuole elementari, aumentare in modo congruo i fondi che il Ministero della pubblica istruzione annualmente mette, per tale scopo, a disposizione dei provveditori agli studi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tumminelli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere se – dato che lo sfruttamento dei grandi giacimenti di bauxite di cui sono ricche le montagne di Lecce de Marsi (Aquila) ebbe termine nel 1929 perché, sembra con minor costo, la stessa veniva ricavata nell’Istria, ma che oggi sulle risorse di questa regione l’Italia non può più contare – non ravvisi la possibilità di riattivare quella industria estrattiva, utile tanto ai fini dell’economia nazionale, che agli interessi della popolazione locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere quali misure intenda adottare allo scopo di assicurare una equa distribuzione di banda stagnata e di altre materie prime, occorrenti alle imprese che provvedono alla conservazione dei prodotti della pesca.

«E ciò perché sembra che anche per il corrente anno si intenda mantenere fermo il piano di assegnazione stabilito per gli anni 1940-41-42, con gravissimo danno per le imprese siciliane che allora, per i noti eventi bellici, non erano in grado di svolgere la loro normale attività, ed ora hanno invece incrementato notevolmente la loro produzione; mentre, d’altro canto, le imprese del versante adriatico, e specialmente quelle istriane, continuano ad ottenere le stesse preponderanti assegnazioni stabilite negli anni predetti, pur non avendo più la disponibilità di impianti che si trovano nella zona assegnata alla Jugoslavia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritenga equo ed opportuno estendere a tutti gli avventizi dipendenti dalla pubblica Amministrazione il beneficio del godimento degli scatti quadriennali, che godono attualmente altre categorie del personale non di ruolo, come i subalterni, mentre altri impiegati, pur ricoprenti funzioni dei gruppi A, B, C, non godono di tale beneficio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bellavista, Bonino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi per i quali, pur avendo il Consiglio di Amministrazione della Corte dei conti concluse sin dal novembre 1946 le operazioni relative alle promozioni dei funzionari della Corte stessa ai gradi 5°, 6° e 7° della carriera di gruppo A, sino al punto che il Presidente di quel consesso aveva addirittura disposto la convocazione del Consiglio di Presidenza per la omologazione dei verbali, alla quale segue remissione dei decreti di promozione, improvvisamente le promozioni al predetto grado 7°, che pur conta nel suo seno molte vacanze, sono state sospese, facendosi luogo soltanto a quelle relative agli altri due gradi; e per conoscere inoltre se risponde al vero che, subito dopò ciò, è stato predisposto lo schema di un provvedimento legislativo per il quale il periodo di permanenza nel grado 8°, previsto dall’articolo 31 del regio decreto 12 ottobre 1933, n. 1364, subirebbe un’abbreviazione con susseguente vantaggio di funzionari oggi non scrutinabili ed inoltre entrati in carriera col sistema dei concorsi per titoli, a danno di altri funzionari viceversa già scrutinati. L’interrogante desidera dissipare i dubbi suscitati da quanto precede ed interessare in merito la Presidenza del Consiglio per il ripristino della normalità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere il risultato conclusivo dell’inchiesta intorno al noto episodio del detenuto Caroselli, di cui formò oggetto una precedente interrogazione discussa nella seduta del 17 ultimo scorso; e per sapere quanto vi sia di vero nel successivo episodio, pressoché analogo, del detenuto Domenico Bernardini, narrato da Risorgimento liberale del 2 corrente. Anche il Bernardini sarebbe stato oggetto di violenze nel carcere di Regina Coeli e tempestivamente allontanato da esso per evitare scandalo.

«Sembra all’interrogante che la necessità di una compiuta disciplina nel regime degli interrogatori e delle inchieste poliziesche e carcerarie si faccia sempre più pressantemente sentire con piena soddisfazione a riguardo della coscienza pubblica, che deplora al tempo stesso le violenze in danno dei detenuti e la facilità con la quale si verificano poi per converso le evasioni di molti di essi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non crede necessario ed urgente un provvedimento che regoli e faciliti la situazione dei giovani, laureati in scienze politiche. Costoro, per essere muniti di licenza dal liceo scientifico, non possono accedere alla facoltà di giurisprudenza e, per la svalutazione subita dal loro titolo accademico, hanno limitate possibilità di carriera. Per contro vi è grande affinità sia tra gli studi compiuti per conseguire la maturità scientifica e quelli per la maturità classica, sia tra gli studi e le materie delle due facoltà di scienze politiche e di giurisprudenza. In considerazione di ciò sembra imporsi un provvedimento legislativo che consenta ai predetti laureati in scienze politiche l’accesso alla facoltà di legge.

«In tali sensi l’interrogante insiste perché siano adottate e sollecitate disposizioni al fine di sollevare le condizioni materiali e morali di una parte della gioventù, che in fondo è stata posta nella difficile e lamentata situazione odierna non per colpa propria, ma dei tempi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se e quando avrà luogo l’atteso inoltro alla competente Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente del disegno di legge sulla sistemazione dei Consorzi agrari, della quale si parla ormai da molto tempo, ma che a tutt’oggi non ancora si profila e che, persistendo l’odierno ritardo e date le tappe che sono necessarie perché un disegno di legge si trasformi in legge, minaccia ulteriori dannose procrastinazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritiene di dovere urgentemente intervenire presso i competenti Uffici comunali affinché l’applicazione in corso dell’imposta di famiglia non avvenga nel modo caotico e vessatorio col quale va in genere procedendo, ma in maniera uniforme e razionale.

«In concreto si rileva che, mentre per l’imposizione suddetta dovrebbe prevalere il criterio analitico, che consente controlli precisi e una seria difesa dei reciproci diritti dei Comuni e dei contribuenti, si fa uso ed abuso di criteri induttivi, che di consueto prescindono dalla considerazione della realtà e degli altri notevoli oneri tributari presenti e futuri, gravanti e da gravare sui cittadini, e mettono capo ad accertamenti iperbolici, a fronte dei quali non è poi agevolata la conclusione di ragionevoli concordati.

«Al fine di rasserenare la generalità dei cittadini e le varie categorie economiche urge raccomandare la moderazione e una benevola disposizione da parte degli uffici a transigere senza vieti formalismi e con spirito di liberalità le controversie in considerazione soprattutto della fluidità della situazione economica attuale e dei sopracennati pesi fiscali in corso ed in fieri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sugli atteggiamenti di alcuni magistrati della Corte di appello e del Tribunale di Catanzaro in ordine all’ostinata ed inspiegabile opposizione alle richieste di libertà provvisoria del procuratore generale e del procuratore della Repubblica a favore degli operai di Crotone, per i quali era stata financo minorata l’originaria ed ingiusta imputazione.

«L’interrogante comprende che la concessione della libertà provvisoria è una facoltà discrezionale del giudice; ma la discrezione non può, né deve trasformarsi in arbitrio.

«Nel regime democratico e repubblicano la libertà personale è un diritto inviolabile e la limitazione deve essere considerata come un’eccezione, se si vuole intendere la Giustizia come un’etica e non come una reazione di classe, od una effimera opinione di giudice. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mancini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e tesoro e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere quali i provvedimenti che intendano d’urgenza attuare in accoglimento delle ripetute richieste dei pensionati tutti, che vivono in condizioni miserrime, costretti a vendere quanto di più caro possiedono per far fronte alle dure necessità della vita.

«Furono chiesti: immediati miglioramenti di pensione, specie per quanto riflette quelle della previdenza sociale, la concessione del premio della Repubblica, la gratifica natalizia, il caro viveri equiparandolo al costo odierno della vita, l’assistenza dell’U.N.R.R.A., ed altri provvedimenti.

«Urge l’accoglimento delle richieste: ogni differimento suonerebbe oltraggio a chi ha dato per tanti e tanti anni braccio e intelletto nell’interesse dell’avvenire del Paese. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Ferrarese, Pat, Marzarotto, Carbonari, Guariento, Bettiol, Valmarana, Lizier, Franceschini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se sia a conoscenza che dal 1933 al 1937 sarebbero stati rilasciati, a seguito di regolari esami, dall’Istituto magistrale di Rodi, dei diplomi di abilitazione magistrale con apposta una clausola di validità limitata all’insegnamento nelle scuole del solo possedimento dell’Egeo.

«Se ritenga legalmente fondata e valida una siffatta limitazione e – nel caso negativo – se non ritenga opportuno, a tutela dei diritti dei singoli abilitati, che non possono venire ridotti da disposizioni extra legge, confermare la piena validità ed efficacia a tutti gli effetti dei titoli conseguiti con prove sostenute sulla base del programma ministeriale e davanti Commissioni ufficiali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cappelletti, Valmarana».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, dopo oltre 9 mesi dal referendum istituzionale, conclusosi con la netta affermazione repubblicana del popolo italiano, non ritenga opportuno promuovere dal Governo l’abolizione dei divieti, anche recentemente sanciti dal Ministero della pubblica istruzione, fatti alle Amministrazioni comunali, di cambiare denominazioni di strade e piazze intitolate a persone di Casa Savoia, viventi o non, compromesse col passato regime fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Negarville».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quale destinazione intenda sia data ai numerosi edifici e vasti stabilimenti militari esistenti nella città di Udine, non appena saranno sgomberati dai reparti militari alleati e per sapere in ispecie quali di detti fabbricati, in considerazione dei minori apprestamenti militari consentiti dal trattato di pace, potrebbero essere messi a disposizione e, comunque, riservati all’Amministrazione comunale per le gravi esigenze che la premono per il completamento dell’edilizia ospedaliera e per il ricovero di numerosissimi senzatetto viventi in penosissime situazioni di disagio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cosattini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritiene che sia ormai giunto il tempo di assegnare i fondi necessari per mettere in grado il Magazzino provinciale del tessile di Varese, di curare il rimborso alle numerosissime ditte del Meridione d’Italia, e specie della Sicilia, del valore dei manufatti che, durante il periodo in cui il Sud rimase tagliato dal Nord, vennero dai depositi degli spedizionieri e dalle fabbriche requisiti e distribuiti fra le popolazioni dell’Alta Italia, ed il cui ricavato fu, al momento dell’occupazione alleata, bloccato e versato al Tesoro italiano, pur trattandosi di merce pagata e non ancora ritirata dai compratori.

«Ciò perché non devesi aumentare l’enorme danno che un siffatto provvedimento determinò agli interessati, protraendo un pagamento che avrebbe dovuto già da tempo effettuarsi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e tesoro e dell’industria e commercio, per sapere se con riferimento agli articoli 5 e 6 della legge 5 dicembre 1941, n. 1572 – che accordano l’esenzione decennale dall’imposta di ricchezza mobile sui redditi industriali degli stabilimenti installati a norma dell’articolo 1 della legge stessa nelle provincie dell’Italia centrale, meridionale ed insulare, entro il 31 dicembre 1946 – ed in considerazione degli eventi bellici occorsi durante gli anni 1943-45 che hanno impedito ed impediscono od ostacolano tuttora il sorgere di nuovi stabilimenti industriali, non ritengano opportuno, al fine di affrettare l’auspicata rinascita industriale, specie della Sicilia, prorogare adeguatamente il detto termine del 31 dicembre 1946, già scaduto, semplificando nel contempo la procedura per le relative autorizzazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonino».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e delle finanze e tesoro, per sapere se e quali provvedimenti intenda assumere il Governo nei riguardi di quegli ufficiali della Marina italiana che, già appartenendo al «ruolo speciale di complemento», parteciparono ai concorsi per il passaggio nel «ruolo speciale in servizio permanente effettivo» indetti a norma dell’articolo 6 della legge 3 dicembre 1942, n. 1417, e tuttora attendono di conoscere l’esito dei concorsi stessi; ciò in relazione al diverso trattamento di quiescenza previsto per gli ufficiali in servizio permanente effettivo e per quelli del «ruolo speciale di complemento» dagli articoli 4 e seguenti del decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 490. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bibolotti».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dei trasporti, per conoscere se e quando intendano costringere la Società Ferrovia Massa Marittima-Follonica a provvedere alla riattivazione della ferrovia stessa, tanto necessaria al mantenimento e incremento delle numerose attività industriali ivi esistenti, al sorgere di nuove industrie estrattive e laterizie, e allo spostamento delle popolazioni interessate, ed in caso di rifiuto alla esecuzione dei lavori di riattivazione, se intendano provvedere a togliere alla Società predetta la concessione per affidarla ad altra Società o Cooperativa, disposte ad eseguire i lavori necessari ed a ripristinare prontamente il servizio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Monticelli, Magnani, Zannerini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e della difesa, per conoscere quali provvedimenti sono stati presi per impedire il rinnovarsi di esplosioni di polveriere, come è avvenuto negli scorsi giorni nel comune di Barbania, frazione di Front. E per conoscere, inoltre, quali precauzioni erano state prese per assicurare l’incolumità del personale addetto allo svuotamento dei sacchetti di esplosivo e quali responsabilità sono state accertate circa la tragica fine delle quattro vittime addette a tale lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roveda».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga assolutamente indispensabile, per evitare serie conseguenze in caso d’incidente, la illuminazione delle gallerie ferroviarie meridionali, le quali sono finora sprovviste di questo mezzo precauzionale, e di cui sono invece dotate le gallerie settentrionali.

«L’interrogante fa rilevare che nell’ultimo incidente, avvenuto nella galleria d’Itri, il panico fra viaggiatori si accrebbe in modo preoccupante, appunto per il buio che rese più difficile il servizio d’ordine e di vigilanza agli agenti delle ferrovie e della polizia.

«D’altronde non si riesce a spiegare, perché le ferrovie meridionali non debbano avere le stesse misure precauzionali di quelle che hanno le ferrovie settentrionali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se, data la interpretazione soggettiva ed arbitraria, data da taluni uffici distrettuali delle imposte alle disposizioni di cui il decreto legislativo 27 maggio 1946, n. 436, relative agli utili di congiuntura, non ravvisi la opportunità di chiarire agli uffici dipendenti che gli accertamenti per utili di congiuntura non possono derogare al principio generale della certezza della imposta, e non possono, quindi, essere promossi indistintamente a carico di qualsiasi appartenente ad una determinata categoria, ma soltanto a carico di coloro per i quali esistano elementi concreti di imposizione.

«Nel caso particolare l’Ufficio distrettuale delle imposte di Benevento ha accertato utili di congiuntura a carico della categoria degli agricoltori, coltivatori diretti, per l’anno 1943, in base alla considerazione che il raccolto 1943 sarebbe stato migliore del raccolto 1942 e tuttavia sarebbe stato conferito agli ammassi un identico quantitativo di grano, omettendo di considerare che i conferimenti agli ammassi vengono eseguiti in base agli accertamenti degli Uffici competenti, e solo in ipotesi di violazione degli obblighi accertati può parlarsi di utili di speculazione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Perlingieri, Bosco Lucarelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere se non intenda estendere ai pensionati della Previdenza sociale il beneficio del pacco viveri concesso mensilmente a quelli statali e parastatali, provvedendo con tale giusta equiparazione a porre i detti pensionati, che non hanno diritti inferiori ad alcuno, avendo profuso nel lavoro tutte le loro energie, in condizioni di poter ovviare alle sempre crescenti difficoltà della vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere:

1°) se non intenda provvedere, con una opportuna modifica delle disposizioni regolamentari relative, ad aumentare al 65° anno il minimo d’età per il collocamento in quiescenza del personale dipendente dall’Amministrazione delle Ferrovie, equiparandolo a tali fini a quello di tutte le altre Amministrazioni dello Stato;

2°) se in attesa di tale provvedimento di equiparazione non ritenga giusto sospendere la messa in quiescenza del personale ferroviario di età inferiore ai 65 anni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritenga giusto ed opportuno dare disposizioni perché, in via eccezionale, vengano prese in considerazione le domande presentate dai danneggiati del comune di Barrea.

«Risulta, infatti, che l’Intendenza delle finanze dell’Aquila sta provvedendo al pagamento di acconti sulle domande di risarcimento per danni di guerra protocollate con numero inferiore a 10.000.

«Tale procedura danneggia la popolazione tutta del comune di Barrea, la quale, costretta a sfollare per ordine delle truppe germaniche (per otto mesi, con la conseguente perdita di ogni bene), si è trovata nell’impossibilità di inoltrare le richieste in tempo utile perché fossero tra le prime 10.000, ed avvantaggia quelle che meno hanno sofferto le conseguenze dell’occupazione tedesca. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritenga equo ed opportuno che il prossimo testo unico delle disposizioni sul risarcimento dei danni di guerra sancisca la proroga al 22 aprile 1947 del termine utile per la presentazione delle denuncie di danni di guerra inerenti alla guerriglia partigiana; e ciò in relazione:

1°) col fatto che tali danni furono ammessi a risarcimento soltanto con il decreto legislativo 6 settembre 1946, n. 240, pubblicato il 22 ottobre, ed è quindi logico dare il margine di tempo di sei mesi dalla data di pubblicazione;

2°) con la circostanza che il testo del citato decreto non è ben chiaro, e perfino da Autorità statali (come l’Intendente di finanza e il Prefetto di Udine) venne divulgato interpretandolo nel senso suaccennato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 12.20.