Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobile

Lucifero

Gullo Fausto

Bozzi

Clerici

Cifaldi

Persico

Rossi Paolo

Rodi

Moro

Fabbri

Cortese

Buffoni

Condorelli

Targetti

Lombardi

Riccardo

Nobili Tito Oro

Piemonte

Perassi

Dominedò

Meda

Cevolotto

Codacci Pisanelli

Colitto

Mortati

Votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

PIGNEDOLI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato l’onorevole Bettiol a far parte della Commissione per l’esame del disegno di legge sulla stampa, in sostituzione dell’onorevole Moro, dimissionario.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

Ricordo che dobbiamo ora passare all’esame del secondo comma dell’articolo 72:

«Si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Naturalmente bisognerà modificare la forma; togliere «altresì». Il Comitato è pure favorevole a che si tolga «da almeno due anni» accogliendo la proposta dell’onorevole Persico e di altri. Era una disposizione connessa a quella del comma precedente, in quanto si riteneva che, se il popolo non aveva esercitato la facoltà accordatagli pel referendum preventivo e sospensivo, doveva. lasciarsi un certo lasso di tempo, perché potesse ricorrere a quello abrogativo.

«Sette Consigli regionali». Il Comitato conserva questa dizione, ma non vi lega una grande importanza. Conservarla è un omaggio al concetto di Regione; toglierla può essere una semplificazione, che non tocca la sostanza del referendum. Decida l’Assemblea.

PRESIDENTE. Allora c’è la formula dell’onorevole Persico, che è del seguente tenore:

«Si procede a referendum popolare se cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali facciano domanda perché sia abrogata una legge».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io avevo presentato questa mattina, in via subordinata, la proposta di abolire la dizione «o tre Consigli regionali», nel primo comma.

Ora, poiché in seguito all’esito della votazione, il primo comma non esiste più, trasferisco la proposta al secondo comma, vale a dire propongo che siano abolite le parole «o sette Consigli regionali».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dato ciò, chiedo che si voti per divisione.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Se ho bene inteso – perché certe volte non si sente bene – sarei contrario alla rinunzia da parte della Commissione alle ultime parole del suo testo originario, cioè «legge vigente da almeno due anni».

Ritengo che questa disposizione è giusto sia mantenuta, per evitare continui conflitti tra alcuni gruppi di cittadini e gli organi legislativi dello Stato. Altrimenti, ogni volta che una legge sarà stata approvata, dei gruppi che possano avere nel Paese una certa forza, inizieranno immediatamente l’agitazione per la richiesta del referendum.

Quindi, se la Commissione rinunzia a quest’ultima parte del periodo, la faccio mia e chiedo che sia messa in votazione.

PRESIDENTE. Ritengo che si debba votare per divisione.

Pongo in votazione le seguenti parole del secondo comma:

«Si procede a referendum quando cinquecentomila elettori».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole:

«o sette Consigli regionali».

L’onorevole Nobile e altri hanno chiesto la votazione per appello nominale.

NOBILE. Vi rinunzio.

LUCIFERO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Perché il mio voto non sia frainteso, dichiaro che voterò contro le parole: «i sette Consigli regionali», non per mettermi in contrasto con dei concetti che non sono i miei, ma che sono ormai entrati nella Costituzione, ma perché, essendo anche rappresentante del Mezzogiorno d’Italia, questo consacrerebbe una sperequazione che metterebbe il Mezzogiorno nella quasi impossibilità di poter mai fare uso di questo diritto, mentre altre parti di Italia ne potrebbero far uso.

Visto che sono contrario a questa sperequazione, voterò, per questo specifico motivo, contro questo concetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«o sette Consigli regionali».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«domandano che sia abrogata una leggi vigente».

(Sono approvate).

Passiamo alle ultime parole del comma che la Commissione aveva soppresso, accettando l’emendamento Persico, ma che l’onorevole Lucifero ha fatto proprie:

«vigente da almeno due anni».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Dichiaro di essere contrario alla proposta dell’onorevole Ruini e dichiaro anche di essere contrario alla proposta dei due anni, di cui nel testo primitivo. Invito l’Assemblea a considerare l’importanza sia della disposizione originaria, sia dell’emendamento. Qui si fa il caso di una legge che può essere in vigore anche da più di due anni, e che quindi ha creato delle situazioni già consolidate. Argomento che vale, del resto, anche per il termine dei due anni. Quale certezza avrebbe la legge in questo caso? Invito l’Assemblea ad esaminare da questo punto di vista le due proposte. Non avremmo più nessuna legge certa; e la cosa va esaminata specie in rapporto alle leggi penali. Che cosa accadrebbe, proprio nei rapporti di una legge penale, se essa nascesse con questa incertezza, con questa insicurezza, e potesse accadere che essa, dopo aver trascinato in galera – e ciò accadrebbe dato che la legge rimarrebbe in vigore uno o due anni – centinaia o migliaia di cittadini, venisse proposta per il referendum abrogativo, adducendo che essa non era da approvare o addirittura neanche da proporre?

Questo sarebbe il caso limite, più paradossale; ma è certo che noi toglieremmo quel carattere di sicurezza che ogni legge deve avere, anche fatta astrazione dal suo carattere penale o non penale. Che cosa faremmo, ad esempio, dei diritti dei terzi, che intanto si sarebbero consolidati per effetto di una legge rimasta in vigore per uno o due anni, o peggio, per cinque o sei?

Una voce a sinistra. Sarebbe un articolo transitorio.

GULLO FAUSTO. Non capisco in che cosa consisterebbe questa transitorietà. Esaminiamo i casi che si possono dare. C’è la maniera normale di abrogare una legge quando si constati che essa è in contrasto con delle esigenze nuove sorte nella Nazione. Ma non capisco perché si debba pensare che le Assemblee sfuggano, in tal caso, a questa constatazione. Assemblee, si noti, le quali si rinnovano periodicamente. Perché si deve pensare che esse restino ferme in quelle opinioni che avevano suggerito l’approvazione della legge? Perché pensare che i rappresentanti del popolo prescindano completamente da un’opinione che può essere generale?

Poiché tutto ciò non è pensabile, ma è pensabile l’opposto, e cioè che le Assemblee accedano a queste esigenze d’ordine generale, accade che la norma avrà valore, purtroppo, nei casi eccezionali, quando ci sarà una minoranza, magari faziosa, la quale riuscirà facilmente (perché su 22 o 23 milioni di elettori 500 mila non rappresentano gran cosa) attraverso questa procedura straordinaria, ad indebolire senz’altro l’efficacia d’una legge. Si può anche pensare che il referendum risulti contrario, ma io chiedo all’Assemblea se vale la pena, per il gusto di approvare una disposizione simile, di creare alla Nazione cause di disordine e di prevedibile concitazione di animi. Una delle due: o la legge non è più sentita dalla generalità della Nazione, e allora non è pensabile che le Assemblee sfuggano a questa opinione diffusa nel popolo – e le Assemblee sono appunto emanazione diretta del popolo – oppure non è così: e allora daremmo ad una minoranza faziosa la possibilità di valersi di questa procedura per attentare al principio della certezza, della sicurezza delle leggi, che deve essere alla base di ogni legislazione.

Si può, se mai, accedere alla proposta di un breve termine; ossia che si dica alla fine dell’articolo 72 «di non più di sei mesi». Può avvenire in qualche caso che ci siano ragioni tali, non viste nel momento in cui veniva approvata la legge, da consigliare questa iniziativa, ma non al di là di un termine di sei mesi, appunto per non prolungare oltremodo lo stato di insicurezza.

In conclusione, o la legge è buona, nel senso che attraverso la sua applicazione per anni non ha mostrato manchevolezze, e allora non si deve dare modo ad una minoranza di intaccare la sicurezza della legge; oppure la legge si è dimostrata cattiva; e allora non è pensabile che le Assemblee non sentano come sente la generalità dei cittadini. Quindi io, che per principio sarei stato per la soppressione di questa norma, che mi pare pericolosissima, molto più pericolosa di quella che si è detta dell’abrogazione preventiva, contenuta nella prima parte dell’articolo, io che sono stato favorevole alla soppressione della norma, dico che bisogna tentare almeno con ogni mezzo di diminuirne la perniciosa efficacia, stabilendo che la proposta di referendum si può soltanto avanzare entro il termine massimo di sei mesi.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, le cose che ha detto l’onorevole Gullo mi sembrano esatte, ma le trovo ormai in contrasto irrimediabile con la votazione già avvenuta, perché gli argomenti che egli ha addotto sono contro il referendum abrogativo. Ormai l’Assemblea a grande maggioranza ha ammesso questo principio.

Che cosa propone ora l’onorevole Gullo? Propone che il referendum abrogativo – cioè questa manifestazione di volontà popolare diretta a togliere efficacia ad una legge votata dai due rami del Parlamento – possa essere espletato entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge medesima.

Io vorrei far notare all’Assemblea che questo suggerimento dell’onorevole Gullo è estremamente pericoloso perché la legge non entrerebbe in vigore fino a quando non fosse certo che il referendum non verrà chiesto.

Quindi per più di sei mesi, perché sei mesi occorrono per chiedere il referendum e poi un altro paio di mesi almeno occorrono per mettere in moto e concludere la macchinosa procedura del referendum, quindi per lungo tempo non si saprebbe se una legge votata dal Parlamento è o non è in vigore, con gli effetti funesti che ciascuno di noi intende: la incertezza assoluta dell’ordinamento giuridico!

E allora, dato che il principio del referendum abrogativo è stato ormai ammesso, penso che cosa migliore è mantenere il testo secondo la linea del Progetto: cioè il referendum abrogativo può essere effettuato nei confronti di una legge che abbia già due anni di vita. Dopo due anni di applicazione si può vedere – al vaglio dell’esperienza – se sia o no il caso di chiedere l’abrogazione di questa legge.

D’altra parte, onorevole Gullo, l’abrogazione di una legge la può fare anche il Parlamento. Io vorrei dire che questo referendum abrogativo verrà effettuato assai di rado; se una funzione avrà, questa sarà funzione – a mio parere – di stimolo, perché quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali, con una certa solennità, chiederanno che una legge venga abrogata, gli organi legislativi, se saranno torpidi, si sveglieranno, e lo stesso Governo dovrà prendere l’iniziativa di rivedere la legge. Quindi, una funzione di stimolo. Io ritengo opportuno che, anziché aderire alla formula Gullo, si aderisca al testo che garantisce quanto meno una certa stabilità.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi confesso di non aver capito la logica e soprattutto la logica giuridica della proposta dell’onorevole Gullo. Mi pare anzi, se non vado errato, che la sua proposta sia contraria alla logica giuridica e a qualsiasi logica, perché egli ha stabilito un principio secondo cui le leggi, invecchiando divengono, non solo buone, come il vino, ma immutabili, od almeno acquistano una presunzione di bontà, man mano che gli anni passano, tale da ritenere, con spirito arciconservatore, che più una legge è vecchia, tanto più essa è buona ed è immutabile. E non riesco a capire questo concetto per cui una legge possa non riscuotere il favore del popolo, che è sovrano, e che può mediante il referendum revocarla nei primi sei mesi; e questa sovranità popolare abbia invece a cessare al sesto mese e un giorno.

Non comprendo neanche il secondo argomento dell’onorevole Gullo, che è questo: che bisogno mai c’è del ricorso al referendum, alla consultazione e decisione del popolo, quando vi è un mezzo ordinario per modificare ed abrogare una legge, vi è cioè il Parlamento, che della sovranità popolare è l’interprete. Si dice così che le Camere godono di una presunzione di infallibilità, nell’interpretare la volontà popolare, cosicché sarebbe perfettamente inutile consultare direttamente il popolo ed avviarsi a forme di democrazia diretta. Ora, tutto questo può esser sostenuto. Ma mi stupisce enormemente che ciò sia sostenuto da quei banchi, e che la democrazia progressiva, cioè, arrivi a forme così contrarie a quelle che mi pare dovrebbero essere le sue aspirazioni. Ad ogni modo non capisco come le Camere, che avrebbero questa prerogativa di essere infallibili interpreti della volontà del popolo, di modo che sia quasi assurdo ricorrere al popolo per chiedergli se veramente esso è d’accordo con il suo Parlamento, questa qualità acquistano di colpo soltanto dal sesto mese in poi. O le Camere hanno questa prerogativa, o non l’hanno, e se si deve presumere che il Parlamento rappresenta la volontà popolare, il termine dei sei mesi è assurdo. Ma io dico invece che, fermo ormai quel voto che l’Assemblea ha or ora dato sul referendum, sul ricorso alla volontà popolare, mi sembra assurda ogni restrizione. Il popolo sovrano può col referendum decidere direttamente di una legge, fermi restando i poteri ordinari di mantenere o riformare la legge, che sono propri del Par lamento. E se è riconosciuta questa sovranità, non comprendo perché essa debba essere riconosciuta a compartimenti stagni. Qualora vi saranno 500 mila persone o sette Consigli regionali che chiederanno l’abrogazione di una legge, che viga da un anno o da cento anni, il referendum dovrà aver luogo, né dobbiamo preoccuparci d’altro, perché è la decisione che conta. Tutto va così, del resto, nella vita politica. Quello che conta non è presentare una mozione contro il Governo, quello che conta è ottenere la maggioranza: quello che conta non è chiedere un voto; quello che conta è saperne l’esito. Quello che conta non è la richiesta del referendum, ma il sua risultato.

E se il popolo in maggioranza, attraverso il referendum, giudicherà che una legge deve essere abrogata, non so come si possa immaginare, in nome della democrazia, di negare questa sovranità specifica al popolo. Per cui credo debba essere stabilito il principio della facoltà del referendum nelle modalità sopradette, senza alcun limite di questa autorità sovrana del popolo che pochi minuti fa abbiamo riconosciuta adottando il referendum.

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi propone che alle parole: «due anni» si sostituiscano le altre: «cinque anni».

L’onorevole Cifaldi ha facoltà di parlare.

CIFALDI. Aderisco in pieno a quello che ha detto l’onorevole Bozzi. Mi permetto di osservare che, per dare certezza alla legge, è necessario che nessuna incertezza sorga sulla portata della legge stessa: onde noi possiamo stabilire un termine prima del quale non si possa procedere alla richiesta di referendum. Ma mi sembra, oltre questo, che sia indispensabile stabilire un termine maggiore dopo del quale solamente è consentito che cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali chiedano il referendum per l’abrogazione della legge. Perché? Perché tutti coloro che si occupano della materia legislativa sanno che una legge, nel primo momento della sua applicazione, dà luogo a molte incertezze e difficoltà. Prima che possa essere esattamente interpretata e chiarita attraverso sentenze vagliate anche dalla Suprema Corte, passa del tempo; e solamente quando una legge è accettata dalla parte generale della Nazione, quando essa è esattamente interpretata attraverso i pronunciati delle magistrature, viene davvero a rappresentare qualche cosa di operoso nell’interesse collettivo. Due anni sono pochi perché questo esame possa avvenire: cinque anni deve essere un termine minimo, in quanto vi è una presunzione: se i due rami del Parlamento hanno approvato una legge, deve supporsi che essa rispetti le esigenze e interpreti i bisogni e la volontà della popolazione.

Solamente quando, dopo un periodo di prova, possa esservi quasi la certezza che la maggioranza si sia cambiata, si può tentare un referendum, che indiscutibilmente può rappresentare un contrasto fra quello che è acquisito e quello che deve essere rinnovato.

Ecco perché mi permetto di pregare l’Assemblea di accettare il mio emendamento che estende a cinque anni il termine di prova perché si possa procedere ad una richiesta di referendum.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. La proposta dell’onorevole Gullo è, diremo, l’ultima freccia contro il proposto articolo, perché, essendo egli contrario al referendum, cerca di mettere una condizione per cui non sarebbe possibile farlo funzionare: in quanto, se noi stabilissimo un termine entro il quale il referendum si può esercitare, evidentemente la legge non entrerebbe praticamente in vigore prima della scadenza di quel termine.

Avremmo una vacatio legis per tutto il tempo in cui è ammesso l’esercizio del diritto di richiesta di un referendum e allora quella instabilità legislativa che egli teme, verrebbe sancita dalla disposizione stessa della Costituzione. Nel termine che verrebbe stabilito la legge non sarebbe certa, perché potrebbe venire il referendum a modificarla. (Interruzione del deputato Gullo Fausto).

Un giurista come lei non dovrebbe dir questo, onorevole Gullo. È un errore pensare alle leggi sub specie aeternitatis. Le leggi si formano e si applicano; poi se ne formano delle successive, che abrogano le precedenti. Abbiamo avuto una quantità di leggi che si sono succedute a breve distanza di tempo in materia annonaria. Abbiamo avuto emanazione di decreti legislativi ogni sei o sette mesi. La necessità urgente di disporre norme contingenti obbligarono il Governo – se ci fosse stato il Parlamento sarebbe stato lo stesso – a modificare quelle precedenti, non più adeguate e rispondenti ai bisogni.

La stabilità della legge è data dalla sua bontà: se la legge è buona è anche stabile; se è cattiva crea subito la tendenza nel popolo a ribellarsi alla legge, a non eseguirla, a farsi anche condannare, se occorre, perché la ritiene ingiusta; è un vero movimento di discrasia rispetto alla legge.

Non è questo il concetto di stabilità della legge.

I Governi creano ed abrogano le leggi secondo le necessità, secondo le contingenze, secondo lo stato di pace e di guerra.

Non è vero che vulnereremmo il concetto di stabilità della legge con la possibilità del referendum abrogativo.

Non posso poi associarmi alla proposta dell’onorevole Cifaldi per il termine minimo di applicazione della legge di cinque anni. Propongo invece che non si stabilisca alcun termine.

Una legge, per un errore tecnico o di procedura, anche quindici giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, può offrire il fianco ad una critica così vivace, da dar luogo alla richiesta di 500 mila elettori o di sette Consigli regionali per la immediata modifica. Non è detto che debbano passare cinque anni perché si scopra questo difetto. Non è come per il vino, che diventa buono invecchiando. Se la legge è cattiva quando nasce, essa lo sarà sempre. Se la legge è buona, resterà tale, finché il legislatore non crederà di doverla adattare ai tempi nuovi. Se è necessario, ripeto, anche dopo un mese, si può domandare il referendum per la modifica.

Intendiamoci, onorevole Gullo, si chiede il referendum, ma il referendum lo farà poi il popolo. È soltanto la richiesta di un esperimento, per sapere se la maggioranza del popolo italiano, liberamente convocato nei comizi per il referendum, ritiene buona o cattiva la legge.

Può darsi che la richiesta sia dovuta ad un errore dei 500 mila elettori o dei sette Consigli regionali. Ed allora la legge risulterà collaudata attraverso l’esperimento democratico del referendum popolare.

Insisto, quindi, pregando l’onorevole Cifaldi a non voler proporre alcun termine, che è un ingombro inutile, e pregando l’onorevole Gullo di voler ritirare il suo emendamento, che renderebbe precaria la stabilità della legge.

Non occorre mettere alcun termine, perché si possa richiedere il referendum abrogativo, e non c’è poi bisogno di dire «vigente», perché, evidentemente, si tende ad abrogare una legge vigente.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Io sono rimasto assai colpito da una delle argomentazioni dell’onorevole Gullo, quella che si riferisce alla legge penale.

Mi pare che l’onorevole Gullo abbia affermato: sarebbe molto strano e difficile dire a un tale, in prigione da due anni: «bada che la legge in base alla quale tu sei stato condannato, con sentenza passata in giudicato, è una legge non valida, bocciata dal referendum, ti mettiamo fuori senz’altro».

Io ho pensato una cosa più strana, che sottopongo alla critica dell’onorevole Gullo: supponete, al contrario, che un tale debba stare in carcere cinque anni per una legge così ingiusta, che venticinque milioni di italiani, chiamati al referendum, la respingerebbero come contraria alla morale e al comune sentimento popolare. Non vi sembra peggio?

GULLO FAUSTO. Non credo che le Assemblee facciano delle leggi così ingiuste.

ROSSI PAOLO. La critica è forte, ma va riferita all’istituto del referendum in generale, non alla imposizione di un termine.

Sono molto perplesso circa l’opportunità del referendum abrogativo. Riconosco che è un’arma difficile e pericolosa, la quale può tenere un Paese come il nostro in continua agitazione.

Cinquecentomila voti o sette Consigli regionali contrari ad una determinata legge si troveranno sempre. Ma una volta introdotto questo referendum, bisogna disciplinarlo nel miglior modo possibile. La fissazione di un termine, prima del quale il referendum non possa esercitarsi, non farebbe che peggiorare, la cosa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio dare un piccolo chiarimento per la preoccupazione espressa dall’onorevole Gullo. Uno sta in prigione per una condanna subita in base ad una dura legge. La legge viene abrogata con il referendum: quel tale esce di prigione senz’altro. È un principio di diritto penale, sancito nell’articolo 2 del Codice, che «nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce reato».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Sono contro l’emendamento aggiuntivo, se non altro per il principio che non è possibile stabilire a priori entro quanto tempo una legge potrà rivelarsi cattiva o no; anzi possono aversi dei casi in cui una legge può sembrare buona per un certo periodo di tempo e poi per sopravvenute circostanze questa legge può rivelarsi cattiva. Allora penso che si debba mantenere la formula: «domanda che sia abrogata una legge».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

MORO. Mi associo alle considerazioni svolte dagli onorevoli Persico, Rossi Paolo e Rodi e dichiaro che il nostro gruppo è contrario alla determinazione di qualsiasi termine apposto al referendum abrogativo, sia quello di sei mesi proposto dall’onorevole Tulio per limitare il tempo entro il quale il referendum può essere chiesto, sia quello di due o cinque anni che debbono decorrere perché esso possa essere domandato. Mi sembra che attraverso questi emendamenti, presentati nella seduta pomeridiana, si cerchi in qualche modo di eludere i risultati della votazione fatta stamattina. Ciò è comprensibile per coloro i quali hanno votato contro il referendum abrogativo, mentre si comprende meno – e mi perdoni l’amico Cifaldi – per coloro i quali stamattina si sono mostrati favorevoli al referendum abrogativo.

Debbo ricordare quanto ha notato l’onorevole Ruini, e cioè che l’espressione: «vigente da due anni» era collegata al primo comma, contro il quale unanimemente abbiamo votato stamattina. Era collegata al presupposto cioè che gli elettori ed i Consigli regionali abilitati a sospendere l’entrata in vigore della legge non avessero operato in tal senso, tanto che si dovesse presumere, almeno per un certo tempo, che la legge corrispondesse alla coscienza comune.

Nell’articolo, così come era presentato, quella disposizione era perfettamente logica, mentre questa logica non sussiste più una volta eliminata la prima parte dell’articolo 72. Ed abbiamo eliminato quella parte, proprio perché ci rendevamo conto dell’opportunità di garantire quella certezza del diritto, alla quale molti colleghi si sono richiamati durante la discussione pomeridiana. Infatti, quando si pensi ad una sospensione stabilita, in linea di principio per ogni legge, in forza del potere attribuito di chiedere un referendum sospensivo, effettivamente tutta la legislazione per qualche tempo è posta come in istato d’accusa e vi è il timore che essa possa non ottenere il consenso del popolo che può intervenire direttamente nell’attività legislativa.

Ma il referendum abrogativo non toglie invece la certezza del diritto, perché se è vero che tutte le leggi possono essere abrogate attraverso questa procedura, è pur vero che il referendum abrogativo è un espediente episodico, che non è usato nei confronti di tutte le leggi e conserva quindi carattere eccezionale.

Evidentemente la certezza del diritto non è messa in forse, più che non lo sia attraverso le normali procedure di abrogazione della legge.

Si è parlato, da parte dell’onorevole Gullo, del pericolo di sospensione che si determinerebbe, quando i cinquecentomila elettori o i sette Consigli regionali avessero chiesto l’abrogazione. Si osserva in contrario, che è la stessa sospensione e la stessa incertezza, che si determinano quante volte dinanzi alla Camera s’inizia la procedura per l’abrogazione delle leggi. Non cambia insomma la sostanza delle cose. Sono queste, onorevoli colleghi, le vicende inevitabili della vita del diritto, che non è una cosa morta, ma un perenne vivo fluire.

Il presupposto dal quale partiamo nell’atto di stabilire, come abbiamo stabilito stamane, il referendum è questo: la possibilità di un disaccordo, fra la coscienza pubblica e le Camere che di essa dovrebbero tener conto nell’attività legislativa. Quindi è inutile richiamarsi alle Camere, è inutile dire che esse intendono bene qual è il loro dovere di fronte ad una legge la quale non corrisponde alla coscienza pubblica. Ammettere il referendum significa ritenere appunto la possibilità di questo disaccordo, la possibilità di questa minore comprensione da parte delle Camere nei confronti di una evoluzione della coscienza pubblica, la quale può manifestarsi ed operare fin dal primo momento in cui la legge è entrata in vigore, senza che vi sia necessità di fare alcuna esperienza, di sei mesi, di due anni, o cinque anni, esperienza assolutamente non necessaria di fronte alla natura del referendum abrogativo.

Pertanto, richiamando l’attenzione dei colleghi sul significato che questo voto verrebbe ad assumere nei confronti dell’altro che abbiamo dato stamane, dichiaro che voteremo contro tutte le apposizioni di termini al referendum abrogativo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. A me pare indispensabile, prescindendo dalla questione di ordine ormai assolutamente teorico, sui pregi e sui difetti del referendum, che le varie norme della Costituzione abbiano una assoluta coerenza fra di loro, perché se appariranno contrastanti, indiscutibilmente vi sarà pregiudizio nell’apprezzamento che si farà del testo della Costituzione stessa.

Allo stato attuale delle cose, noi abbiamo votato che non sia ammesso il referendum sospensivo della validità della legge; abbiamo anche votato che sia ammesso il referendum abrogativo della legge. Questi sono due punti fermi già acquisiti. Ora, l’aver escluso il referendum sospensivo è un omaggio reso al Parlamento, ed è una presunzione che nel momento in cui il Parlamento si pronuncia e fa una legge questa corrisponda ad una esigenza con caratteri tali che gli organi qualificati l’hanno risentita e su di essa hanno statuito in modo che questa statuizione deve esser ritenuta così solenne, così importante, che deve essere da tutti rispettata, e non può essere sospesa da una manifestazione contraria popolare. Ora, se noi ammettiamo che immediatamente dopo questa manifestazione solenne da parte del Parlamento, presunta in perfetta coincidenza di idee col popolo rappresentato, l’opinione pubblica abbia diritto di insorgere per chiedere l’abrogazione della legge il giorno stesso che è stata votata, noi assumiamo un atteggiamento, dal punto di vista logico, che è in perfetta contradizione col principio che abbiamo stabilito.

Se noi vogliamo difendere la sovranità del Parlamento, se noi vogliamo rispettarne il prestigio, possiamo solo ammettere che dopo un’acquisita esperienza degli effetti della legge, si possa verificare una certa sordità nella sensibilità del Parlamento, un certo ritegno da parte del Parlamento stesso a revocare una sua legge deliberata qualche tempo prima, e solo allora, dopo un certo termine, certamente non meno di un anno, due, tre anni (non faccio questione di sei mesi di più o di sei mesi di meno) ritengo che possa ammettersi il referendum abrogativo. Dico dunque che è assolutamente indispensabile, per coerenza logica e per organicità di sistema, che il referendum abrogativo abbia per sé la giustificazione della constatata non rispondenza della legge alle esigenze sociali sopravvenute mentre, viceversa, si deve tenere fermo il principio che quando il Parlamento fa una legge e proprio nel momento in cui la delibera, il Parlamento, che è qualificato a rappresentare la volontà della Nazione, fa una legge che deve essere rispettata e deve avere per sé il benefìcio di essere sperimentata per un certo tempo.

Mi pare quindi indispensabile che prima di ammettere la funzione abrogatrice del referendum vi sia stato un periodo di esperienza della legge di una certa durata; circa la misura del termine mi rimetto, naturalmente, al criterio di convergenza dei consensi di coloro che sostengono essere il termine necessario.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Mi sembra che il ragionamento dell’onorevole Moro non sia conseguente alle sue precedenti dichiarazioni, perché stamattina sosteneva il referendum di cui si parla nel primo comma; dato il risultato negativo della votazione, cerca ora di farlo rientrare proponendo l’abolizione del termine di tempo prima del quale non si può chiedere l’abrogazione della legge. Infatti, in tal caso, nulla vieterebbe di chiedere l’abrogazione di una legge anche solo un mese dopo che è stata emanata, ma in che cosa differirebbe questo con quello che era stabilito nel primo comma contro cui l’Assemblea ha votato? Dunque, mi par logico che per le stesse ragioni per cui l’Assemblea ha respinto il primo comma debba respingere anche la soppressione del termine di tempo.

Mi sembra, poi, che l’argomentazione dell’onorevole Gullo sia molto importante. Bisogna che i cittadini, nel momento in cui il Parlamento vota una legge, abbiano la sensazione che la legge ha un carattere di stabilità. Se si ammette la possibilità che la legge possa essere abrogata quando 500.000 cittadini si mettano d’accordo, è evidente che in certi casi, ad esempio quando si tratti di una legge annonaria, si farebbe presto a raccogliere 500.000 firme per ottenerne l’abrogazione. Si potrebbe perfino dare origine ad un nuovo partito a mezzo di un movimento che tende ad abrogare certe date leggi. Appunto per questo consento sul termine indicato dall’onorevole Cifaldi. Mi pare che se si vuol ammettere la possibilità di abrogazione, questa non si possa chiedere se non quando sia decorso un periodo abbastanza lungo di applicazione della legge.

CORTESE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTESE. La proposta tendente ad abolire ogni termine per l’esercizio del referendum snatura evidentemente lo spirito dell’articolo 72. Difatti il referendum contemplato nell’articolo 72 vuole avere efficacia abrogativa nel senso che una legge possa essere abrogata mediante il referendum se, nella sua applicazione, non risponda alle esigenze per le quali fu emessa. Con l’abolizione di ogni termine, invece, il referendum si trasforma in una seconda istanza, nel senso che, approvata una legge il settore che non la votò, agitando una campagna nel paese, potrà provocare un referendum inteso ad abolirla ancora prima di una qualunque esperienza di essa. È evidente la duplice conseguenza che da ciò deriverebbe: la menomazione della funzione legislativa, e il facile tentativo di ricorso al referendum per qualunque partito soccombente.

Ciò significherebbe veramente sovvertire alle basi il regime parlamentare, il regime della rappresentanza parlamentare, in base alla quale il popolo è rappresentato dalle Assemblee democraticamente elette; e comporterebbe anche il pericolo di agitazioni continue, trasferendosi nel paese la lotta parlamentare definita con l’approvazione della legge.

Se il referendum è stato approvato, rispettiamo per lo meno lo spirito che vuole informarlo all’articolo 72, conserviamo cioè al referendum il carattere non di un appello, ma di un mezzo eccezionale per abrogare una legge che si dimostra imperfetta nella sua pratica applicazione.

Quindi, in linea principale, ci sembra opportuno che si accetti l’emendamento Cifaldi, stabilendosi così il termine di cinque anni; in linea subordinata occorrerebbe tener fermo il termine di due anni, perché, ripetiamo, l’abolizione del termine snatura la disposizione e stabilisce un principio oltremodo pericoloso, esautorando la funzione legislativa.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Espongo un mio parere personale. Non parlo in nome del mio Gruppo perché non conosco il pensiero dei miei compagni.

Credo che non bisogna stabilire alcun termine. L’affermazione qui fatta, che il Parlamento è sempre l’interprete della coscienza popolare, non è esatta. Si è stabilito che il Senato deve durare in carica sei anni; si è stabilito che la Camera dei Deputati deve durare in carica cinque anni. Sta bene che esiste la salvaguardia della possibilità di uno scioglimento per decisione del Presidente della Repubblica; ma lo scioglimento può anche non avvenire. Può pertanto accadere che col volgere del tempo un Parlamento non risponda più alla coscienza popolare e approvi o voglia mantenere leggi cattive. In queste condizioni, perché il popolo non deve avere il diritto di domandare l’abrogazione di queste leggi? Noi dobbiamo riconoscere che la coscienza popolare in un periodo di cinque anni può anche modificarsi profondamente. Al popolo, bisogna riconoscere quindi il diritto di reclamare l’abrogazione di determinate leggi, abrogazione che il Parlamento può non volere.

Ricordo il caso dell’Assemblea francese «bleu-horizon» eletta dopo la fine vittoriosa della guerra 1914-1918 in seguito ad una ventata nazionalista: essa ben presto non rispose più alla coscienza popolare che andò rapidamente modificandosi in Francia. Domani potremmo avere anche in Italia un Parlamento, il quale non rappresentasse e non interpretasse più, a un determinato momento, il reale pensiero del popolo. È evidente che questo Parlamento potrebbe fare delle leggi che sarebbero in netto contrasto con gli interessi, le aspirazioni e la volontà popolari. Noi dobbiamo quindi conferire al popolo il diritto di infrangere una tal sorta di leggi.

Credo dunque opportuno che, nell’interesse della democrazia, sia da accettare la proposta così come essa è stata formulata dalla Commissione, senza alcun emendamento aggiuntivo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, io rilevo che il problema è stato essenzialmente guardato dal punto di vista politico, mentre non è stato, mi pare, considerato sotto l’aspetto tecnico-giuridico che esso pure presenta. Dal punto di vista politico, sono facili ad intuirsi le ragioni che stanno per una tesi o per l’altra; ma, dal punto di vista tecnico-giuridico, invece, c’è da osservare quello che avverrebbe dopo che il popolo, attraverso il referendum, avesse abrogato una legge.

Dal punto di vista formale, la soluzione è semplice: quella legge non c’è più; ma, dal punto di vista sostanziale, che cosa avverrebbe? Avverrebbe che si creerebbe una lacuna, si potrebbe anzi creare addirittura una voragine, perché teoricamente potrebbe anche avvenire che, attraverso il referendum, si abrogasse, ad esempio, il Codice penale. Ora, se ciò avvenisse dopo appena un anno dalla sua promulgazione, potrebbe allora opportunamente tornare in vigore il vecchio Codice; ma, in altri casi, potremmo invece far tornare in vigore vecchissime leggi, ormai completamente superate.

Accadrebbe allora che il nostro popolo sarebbe costretto a vivere e ad agitarsi in questa sorta di voragine fino a che il legislatore non avesse provveduto a colmarla.

Per vero, noi ci troviamo ora di fronte ad un fatto definito, perché abbiamo già votato. Ma è appunto per questo che dobbiamo ben considerare come possa configurarsi questo referendum, perché è ovvio che non può scavarsi un abisso là dove c’è una legge. Perciò a me pare che non si possa uscire da questo ginepraio in cui ci siamo cacciati, se non attraverso una norma che fissi un termine massimo anziché un termine minimo, di là dal quale si possa incominciare a chiedere il referendum.

Si può infatti accordare al popolo di protestare contro una legge che gli sembri ingiusta; ma bisogna stabilire che lo possa fare entro certi limiti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, ho domandato la parola per una semplice dichiarazione di voto. Le ragioni che hanno condotto noi socialisti a proporre e a sostenere la soppressione dell’intero articolo, valgono, almeno per me, a farmi ritenere opportuno aderire a quell’emendamento che riduce il più possibile il termine entro il quale questo articolo di legge può essere applicato.

Noi abbiamo ritenuto e riteniamo che questo articolo di legge non avrebbe dovuto essere approvato, non già perché contrari all’istituto del referendum, ma all’uso – onorevole Uberti – dell’istituto stesso, perché ella mi insegna che si può essere favorevolissimi ad un istituto e al tempo stesso…

UBERTI. In teoria, non in pratica.

TARGETTI. …contrarissimi ad adoperare questo istituto a fini che riteniamo pericolosi. E noi riteniamo pericoloso ricorrervi perché potrebbe verificarsi questo: che una minoranza (per raccogliere 500 mila elettori in tutta Italia basta anche una minoranza) riuscisse ad impedire il regolare svolgersi dell’attività legislativa delle due Camere. Si dice: sarà la volontà popolare; ma la volontà popolare, onorevoli colleghi, dobbiamo ritenere che sarà sempre degnamente e interamente rappresentata dalle due Camere, cioè dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica. Io non riesco a configurarmi una volontà popolare meritevole di questo nome, che non abbia una sua rappresentanza nell’una e nell’altra Camera e non riesca quindi a farvi sentire la sua voce.

Per queste considerazioni, perché riteniamo che questa disposizione costituisca un pericolo, un pericolo da molti di noi non abbastanza avvertito, sono dell’opinione che più si riduce la durata del pericolo e non dico meglio si fa, ma meno male si fa. Aderisco per questo alla proposta dell’onorevole Gullo.

PRESIDENTE. Mi pare che tutti i punti di vista sono stati esposti; possiamo passare, dunque, alla votazione.

Le proposte sono quattro: 1) proposta dell’onorevole Gullo Fausto, a tenore della quale si può chiedere il referendum non più di sei mesi dopo la promulgazione di una legge; 2) proposta dell’onorevole Lucifero, a tenore della quale occorre, invece, che siano passati almeno due anni: 3) proposta dell’onorevole Cifaldi, per la quale devono essere passati almeno cinque anni; 4) proposta della Commissione, che non pone alcun termine, accogliendo l’emendamento dell’onorevole Persico.

Penso che il primo ad esser posto in votazione debba essere l’emendamento dell’onorevole Gullo in quanto, se accettato, modificherebbe più profondamente la proposta della Commissione.

Successivamente occorrerà porre in votazione la proposta dell’onorevole Cifaldi; poi, la proposta dell’onorevole Lucifero, e infine il testo della Commissione, qualora nessuna delle tre proposte precedenti fosse accettata.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Cifaldi, mantenendo la mia come subordinata, poiché, nel caso la proposta dell’onorevole Cifaldi non venisse accettata, qualcuno potrebbe accogliere la mia col termine dei due anni.

PRESIDENTE. Sta bene.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevole Presidente, come ella ha lucidamente detto, sia la mia proposta che quella dell’onorevole Cifaldi in realtà mirano ad attenuare i pericoli che noi vediamo nel testo e tanto più nella proposta di cancellazione del termine.

Io non ho nessuna difficoltà a ritirare il mio emendamento e ad aderire a quello dell’onorevole Cifaldi, proponendo che la richiesta del referendum non possa essere fatta se non dopo il termine di cinque anni.

PRESIDENTE. Sta bene. La votazione è così semplificata, perché abbiamo soltanto due proposte.

Procediamo senz’altro alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Cifaldi al quale hanno dichiarato di aderire in un primo momento l’onorevole Lucifero e poi, anche l’onorevole Gullo Fausto.

La formula dell’onorevole Cifaldi è la seguente:

«da almeno cinque anni».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Chiediamo l’appello nominale su questo emendamento.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Domando la votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Chiedo se la proposta di votazione a scrutinio segreto sia appoggiata.

(È appoggiata).

Sta bene. Allora prevale la domanda di votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Si procede, quindi, alla votazione a scrutinio segreto sull’emendamento proposto dall’onorevole Cifaldi a tenore del quale la formulazione: «da almeno due anni» che è inserita nel testo della Commissione, deve essere modificata nell’altra: «da almeno cinque anni».

Presidenza del Vicepresidente CONTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusala votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     306

Maggioranza           153

Voti favorevoli        134

Voti contrari            172

(L’Assemblea non approva).

Hanno prese parte alla votazione:

Abozzi – Aldisio – Allegato – Amadei – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Barontini Anelito – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.

Cacciatore – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – Di Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Donati.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Fornara – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gortani – Gotelli Angela – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lucifero – Luisetti.

Magnani – Magrini – Maltagliati – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Francesco – Marina Mario – Martinelli – Martino Enrico – Massini – Mattarella – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Selvaggi – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Stella – Sullo.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Adonnino – Alberti.

Bonino.

Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Romita.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento subordinato dell’onorevole Lucifero, il quale si era riservato di riproporlo nel caso che la proposta dell’onorevole Cifaldi non fosse stata approvata, emendamento che riprende la formula del progetto «da almeno due anni».

(Dopo prova e controprova, con votazione per divisione, non è approvato).

Il secondo comma rimane, quindi, approvato senza alcuna indicazione di durata di vigore della legge:

«Si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge».

Ora, passiamo all’ultimo comma dell’articolo 72:

«In nessun caso è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione di bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali»

A questo comma è stata presentata una proposta soppressiva dall’onorevole Nobili Tito Oro.

NOBILI TITO ORO. La ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento accolta dalla Commissione:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie, per quelle di approvazione del bilancio e per quelle di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Si tratta di un emendamento di pura forma che non ha bisogno di illustrazioni.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io vorrei domandare alla Commissione se quest’ultimo comma ha ancora ragion d’essere, per lo meno in tutte le sue parti, una volta che abbiamo tolta la prima forma di referendum. Che cosa vuol dire referendum abrogativo di una legge di approvazione del bilancio? Vorrei una spiegazione.

PRESIDENTE. Faccia delle proposte, onorevole Bozzi.

BOZZI. Vorrei prima dei chiarimenti. Per conto mio, propongo che sia soppresso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il concetto della Commissione era che queste eccezioni dovevano valere per tutti i casi di referendum tanto abrogativo, quanto preventivo. Io credo che non vi sia nessuna ragione di togliere queste disposizioni, che sono dettate da una certa cautela, alla quale si inspirava poco fa l’onorevole Bozzi, quando voleva passare da due a cinque anni. Proprio perché siamo favorevoli al referendum, abbiamo voluto circondarlo di cautele, perché possa dare buoni risultati.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei pregare l’onorevole Presidente della Commissione di dire se non crede opportuno che si inseriscano qui anche le leggi in materia costituzionale. L’articolo 130 che riguarda la revisione della Costituzione parla soltanto del referendum popolare cui si può sottoporre una legge di revisione costituzionale, ma non si riferisce al caso di abrogazione di una qualsiasi legge in materia costituzionale. Perciò, se qui non si dice nulla in proposito avverrà che anche di una legge in materia costituzionale si potrà chiedere l’abrogazione per referendum. Per questa ragione mi sembrerebbe opportuno inserire anche le leggi di materia costituzionale.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Ho chiesto di parlare per proporre la votazione per divisione di questo comma, perché se siamo d’accordo sulla prima parte, che riguarda le leggi di approvazione dei bilanci e le leggi tributarie, siamo contrari ad eludere il referendum per le leggi che riguardano i trattati internazionali. Mi riservo di spiegare le ragioni a sostegno.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte propone che si proceda alla votazione per divisione, in quanto egli dichiara di non essere favorevole alla esclusione del referendum per le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

Chiede perciò che vengano votati per divisione i tre tipi di leggi considerati.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Occorre tener presente che questo comma, che è rimasto tuttora come era stato formulato dalla Commissione, assume una portata che è diversa da quella che aveva inizialmente. Infatti inizialmente il comma ultimo riguardava sia l’ipotesi del referendum cosiddetto sospensivo, sia l’ipotesi del referendum abrogativo.

Ma ora, dell’articolo 72 è rimasto soltanto il comma che prevede esclusivamente il referendum abrogativo. Occorre quindi considerare la formulazione dell’ultimo comma in relazione al contenuto dell’articolo 72, quale è uscito dalle varie successive deliberazioni.

Ora, a me pare che una norma che esclude la possibilità del referendum abrogativo è opportuna ed ha ragione di essere espressamente formulata per quanto concerne le leggi tributarie. Ma per le leggi di approvazione di un bilancio o per quelle di autorizzazione a ratificare un trattato non mi pare che sia necessaria una norma espressa che le sottragga al referendum, poiché non si vede come si potrebbe avere un referendum abrogativo di leggi di quella specie.

BOZZI. È evidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io sono d’opinione un po’ diversa, su questo punto, dal mio così valoroso e solerte collaboratore Perassi. Egli dice che è assurdo mettere certe leggi, perché e inconcepibile pensare di applicare ad esse il referendum. È un assurdo per una mente rigorosamente giuridica, come è la sua. Ma può ad altri sembrare che, se si esclude il referendum soltanto per le leggi tributarie, è ammesso per tutte le altre, senza che possa opporsi l’eccezione di inconcepibilità. Ritengo che tutto sommato è meglio rimanere al testo proposto.

Quanto alle osservazioni dell’onorevole Nobile, osservo che la materia delle leggi costituzionali sarà regolata insieme a quella delle garanzie costituzionali.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Siccome l’onorevole Piemonte ha chiesto la votazione per divisione, votiamo prima la parte del comma che riguarda le leggi tributarie, poi quella dell’approvazione dei bilanci ed infine quella dell’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. A nome dei colleghi di Gruppo dichiaro che, pur procedendosi a votazione per divisione, noi siamo di avviso di mantenere tutte le eccezioni contemplate dal testo in esame. Ammesso in via di principio l’istituto democratico del referendum, riteniamo infatti che in tutte le ipotesi in parola, e talvolta per motivo politico prima che giuridico, come nel caso della legge di approvazione del bilancio, il referendum si dimostri il mezzo meno idoneo per rispondere alle esigenze qui contemplate.

Per questo motivo voteremo integralmente a favore dell’ultimo comma dell’articolo.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Faccio rilevare che mi pare assurdo che non si dia al popolo il diritto di referendum per giudicare sopra i trattati internazionali, che legano il popolo stesso e la Nazione, qualche volta per lunghi anni.

Faccio presente che se ci fosse stato l’istituto del referendum il patto della Triplice alleanza non sarebbe stato concluso e, probabilmente, nemmeno lo stesso patto di acciaio. Richiamo l’attenzione dei colleghi tutti sulla gravità di questa decisione.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Voterò a favore del mantenimento integrale di tutto il comma dell’articolo.

Vorrei soltanto far osservare una cosa l’onorevole Piemonte. La politica estera è ma cosa molto grave e molto seria. Quello che egli ha detto è nobilissimo ed io lo apprezzo pienamente; ma gli faccio osservare che anche le Camere sono espressione della Nazione e del popolo e che i trattati internazionali vanno portati per la ratifica alle Camere. Non si può sempre portare la politica estera al voto popolare.

Speriamo che un giorno questo sia possibile; ma oggi questo creerebbe allo Stato italiano, in determinate circostanze, una tale condizione di inferiorità, che potrebbe avere conseguenze dolorose proprio per il popolo, la cui sovranità vogliamo tutelare.

Le Camere sono emanazione del popolo o possono dare una garanzia sufficiente. La politica estera è legata con tante questioni che si presentano fuori di casa nostra: non dobbiamo complicare la situazione del nostro Paese, il che porterebbe a conseguenze diverse da quelle che noi realmente vogliamo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione della Costituzione. Farò un’osservazione molto più sommessa di quella dell’onorevole Lucifero ma più efficace, ne sono sicuro, a convincere l’onorevole Piemonte. Qui si parla dell’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Abbiamo escluso il referendum cosiddetto sospensivo, in cui si sarebbe anche potuto capire una sospensione della ratifica. Ma qui interveniamo quando la ratifica è già avvenuta. Come si può abrogare col referendum una ratifica già avvenuta?

Mi pare che il ragionamento sia convincente. Per modificare il corso della politica estera vi saranno altre vie, altre forme.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Meda, Clerici, Benvenuti, Bianchini Laura, Roselli, Salizzoni, Zaccagnini, Titomanlio Vittoria propongono di aggiungere ai casi previsti anche le leggi per la concessione di amnistia.

L’onorevole Meda ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MEDA. In realtà, il referendum ha un valore abrogatorio. Ora, una legge che stabilisse un’amnistia o l’indulto è evidente che non possa essere revocata quando è andata in vigore, in quanto dopo che i detenuti sono stati posti in libertà non si può verificare il caso che debbano essere nuovamente arrestati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo è uno di quei casi in cui la tesi dell’assurdo, di cui aveva parlato testé l’onorevole Perassi, potrebbe aver peso. Del resto se l’amnistia dà luogo ad una legge, non è una legge di tipo comune, cui possa applicarsi il referendum. Sarebbe una revoca, non un’abrogazione.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta una proposta firmata degli onorevoli Rossi Maria Maddalena, Giolitti, Grieco. Lombardi Carlo, Molinelli, Sicignano, Ruggeri, Ferrari, Musolino, Gervasi di comprendere tra le leggi escluse dal referendum abrogativo anche le leggi elettorali. Invito l’onorevole Ruini a manifestare al riguardo il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non sono favorevole, perché se c’è qualche cosa in cui il popolo può manifestare la sua volontà, è proprio il sistema elettorale. La sovranità popolare si esprime qui con tutta la sua ragion d’essere ad impedire in ipotesi che i membri del Parlamento abusino, nel regolare a comodo loro le elezioni. Non bisogna dimenticare, onorevoli colleghi, che il vero sovrano è il popolo, non il Parlamento. Voglio dire una volta ancora che la nostra Costituzione deve reagire al punto di vista che si è manifestato anche in alcuni settori di questa Assemblea, che il popolo ha un solo diritto: nominare una Camera, la quale, quando è nominata, ha tutti i poteri e, come diceva l’onorevole La Rocca, avrebbe anche il potere esecutivo. Concezione totalitaria, che vuol prendere il nome di regime parlamentare, ma non lo è più, nel senso storico in cui il regime parlamentare si è svolto con un sistema di «freni e di contrappesi». È piuttosto il regime del Governo di assemblea e di convenzione; e ne va combattuto il totalitarismo. È necessario, pur dando al Parlamento il dovuto rilievo, instaurare un regime che chiamerei popolare, perché deve far capo al popolo non soltanto per l’elezione del Parlamento, ma in quelle altre forme di emanazione della sovranità popolare, fra cui è caratteristico ed importante il referendum. L’istituto del referendum, introdotto con le dovute cautele nella Costituzione, è principio di democrazia vera, cui non possiamo rinunciare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «Non è ammesso referendum per le leggi tributarie».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «o di approvazione dei bilanci».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le altre:

«di concessione di amnistia».

(Sono approvate).

CEVOLOTTO. Penso che si debba comprendere anche l’indulto e propongo che tale parola sia aggiunta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«e indulto».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«le leggi elettorali».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le ultime parole:

«e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

(Sono approvate).

L’articolo 72 risulta così approvato nel suo complesso:

«Si procede a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge.

Non è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione di bilanci, dì concessione di amnistia e indulto, elettorali, e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

Passiamo all’articolo 73. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

«La proposta soggetta a referendum è approvata se hanno partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere l’articolo.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CODACCI PISANELLI. Lo ritiro, perché, essendo già stato approvato l’articolo precedente, non ha più ragion d’essere.

PRESIDENTE. Analoga proposta soppressiva è stata fatta dall’onorevole Targetti. Ha facoltà di svolgerla.

TARGETTI. Questa proposta era in correlazione con la soppressione dell’articolo 72. Perciò la ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: chiamati ad, sostituire le seguenti: aventi diritto di».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. La dizione da me proposta mi sembra un poco più precisa. Me ne convince il testo stesso del progetto, perché la stessa dizione da me proposta si trova nel capoverso dell’articolo 73.

Penso pertanto che l’emendamento debba essere accolto anche per ragioni di euritmia legislativa.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: la Camera dei deputati, sostituire le altre: il Senato della Repubblica».

«Al secondo comma, alle parole: se hanno partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, sostituire le altre: se è raggiunta la maggioranza dei partecipanti alla votazione».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Li ritiro.

PRESIDENTE. Vi è, infine, ancora un emendamento, presentato dagli onorevoli Rossi Paolo, Lucifero, Persico, Buffoni, Cosattini, Carpano Maglioli, Bianchi, Bianca, Morelli Renato, Lami Starnuti, Preti, Condorelli, del seguente tenore:

«Al secondo comma sostituire le parole: due quinti, con: tre quinti».

L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgerlo.

ROSSI PAOLO. Onorevoli colleghi, secondo l’attuale formulazione dell’articolo 73, sarebbe possibile che una proposta abrogativa fosse coronata da successo con la partecipazione al voto del 40 per cento degli elettori iscritti. Siccome l’esperienza ci insegna che il 4, 5 o 6 per cento di schede sono nulle, potrebbe accadere, sempre per la dizione dell’articolo 73, che parla di una partecipazione di due quinti e di una maggioranza assoluta dei voti validamente espressi, che una legge, eventualmente approvata con larghissima maggioranza dai due rami del Parlamento, fosse abrogata col 17 o 16 o 15 per cento degli elettori iscritti. Mi si dirà che questa ipotesi è un’ipotesi rara, perché, naturalmente, si suppone che il popolo partecipi in più larga misura al diritto elettorale, all’esercizio del referendum; ma osservo che può accadere questo: che in un momento di stanchezza, quando si siano verificate più elezioni nello stesso anno, e talora anche nello stesso mese, o addirittura i cittadini siano stati chiamati più volte alle urne per il referendum, ci sia una certa indifferenza pubblica per una determinata legge che non sollevi un particolare cumulo di interessi popolari e che si verifichi quindi questo fatto, che sarebbe, a mio avviso, veramente deplorevole: l’abrogazione di una legge con il 17, 18, 20 per cento di voti rispetto agli elettori iscritti.

Il mio emendamento ha anche un altro scopo. Il referendum abrogativo è un’arma assai delicata. Se i partiti sapranno che una legge non può essere rovesciata senza la partecipazione alle urne di almeno il 60 per cento degli elettori iscritti, sarà più difficile che essi ricorrano alla consultazione popolare senza avere una fondata speranza di riuscire.

Per questi motivi credo che l’emendamento proposto da me con vari colleghi, per portare la maggioranza della partecipazione alle urne necessaria perché il referendum sia valido ai 3/5 anziché ai 2/5, sia da approvare.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quel che riguarda l’emendamento dell’onorevole Colitto, sono disposto a tenerlo presente come raccomandazione, quando avverrà una revisione formale. Se noi dessimo qui luogo ad una precisa deliberazione dell’Assemblea, toglieremmo possibilità di modifiche nella revisione. Vale come raccomandazione, votiamo intanto la formula come è.

Quanto alla proposta dell’onorevole Rossi Paolo, riconosco che le sue osservazioni sono fondate, e che conviene aumentare il quorum dei votanti.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, accetta che il suo emendamento sia tenuto presente come raccomandazione?

COLITTO. Accetto.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi Paolo, mantiene l’emendamento?

ROSSI PAOLO. Lo mantengo.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Rossi Paolo, io riconosco personalmente, ed a nome della Commissione, che essendosi limitato il referendum alla forma abrogativa, la formula due quinti dev’essere riveduta. Mi pare però che sia un po’ eccessiva la proposta Rossi. Basterebbe andare alla maggioranza degli aventi diritto. Prego il Presidente di modificare in tal senso il testo della Commissione.

ROSSI PAOLO. Consento.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione.

Salvo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Ruini in relazione all’emendamento di formare in parte anche di sostanza dell’onorevole Colitto, che cioè ne sarà tenuto conto al momento della elaborazione conclusiva, pongo in votazione il primo comma nel testo della Commissione:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, con la modifica proposta dall’onorevole Perassi:

«La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi».

(È approvato).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prima di passare alla votazione del terzo comma, desidererei fare un chiarimento perché resti agli atti dell’Assemblea. L’espressione «modalità di attuazione del referendum» va intesa in senso lato. Come dicevo poco fa, non in pubblico, all’onorevole Condorelli, per dissipare una sua preoccupazione (e ci sono riuscito), sarà necessario fare una legge generale sul referendum che dovrà risolvere molti casi. Fra gli altri quello sollevato dall’onorevole Condorelli. Se il popolo si pronuncia per l’abrogazione di una data legge, ciò non vuol dire che vi sia una vacanza nell’ordinamento legislativo, e che la materia relativa resti temporaneamente senza norme di legge. Potrà la legge sul referendum stabilire che anche quando il popolo siasi pronunziato perché venga abrogata una data legge, questa rimanga in vigore per un determinato periodo, nel quale il Parlamento dovrà emanare, se occorrono, le nuove norme regolatrici della materia.

La legge generale sul referendum avrà, desidero affermarlo ad interpretazione del nostro pensiero, lutta la necessaria larghezza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

(È approvato).

L’articolo 73 risulta nel suo complesso così approvato:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

«La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto ed è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

Passiamo all’articolo 74: Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non previa determinazione di principî e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

«Per i decreti legislativi valgono le norme stabilite per le leggi in ordine al referendum popolare ed alla Corte costituzionale».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati proposti vari emendamenti. Il primo dell’onorevole Persico:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Per i decreti legislativi, emessi in base a delegazione del Parlamento, si applicano le stesse norme sul referendum popolare e sulla Corte costituzionale che valgono per le leggi».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Il mio emendamento al secondo comma è di forma e non di sostanza, e quindi non mi resta che invitare l’Assemblea ad accettarlo.

PRESIDENTE. Seguono due emendamenti dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: al referendum popolare ed».

«Aggiungere il seguente comma:

«In casi straordinari di necessità e di urgenza il Capo dello Stato potrà emanare con suo decreto norme aventi forza di legge ordinaria, che dovranno essere presentate al Parlamento per la conversione in legge e perderanno automaticamente efficacia sessanta giorni dopo la pubblicazione, se la legge in cui siano state convertite non venga pubblicata almeno dieci giorni prima dello scadere di tale termine».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerli.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Quanto al primo emendamento da me proposto a questo articolo, lo ritiro poiché è stato superato dall’approvazione degli articoli precedenti. Per quanto riguarda il secondo emendamento, faccio presente che l’articolo 74 è molto importante sia per quello che dice, sia per quello che non dice.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, c’è una proposta di articolo 74-bis, al quale può essere forse più direttamente collegato questo suo emendamento. Potremmo quindi esaminare l’articolo 74, e poi, in sede di articolo 74-bis, svolgere il suo e gli altri emendamenti.

CODACCI PISANELLI. Non ho difficoltà, in quanto credo che la prima parte non dovrebbe dar luogo a discussioni.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho nessuna difficoltà ad accettare l’emendamento Persico, che è di pura forma.

Sono d’accordo che l’emendamento Codacci Pisanelli sia trattato in connessione alla proposta dell’articolo 74-bis.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 74 nel testo della Commissione:

«L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non previa determinazione di principî e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo dell’emendamento Persico:

«Per i decreti legislativi, emessi in base a delegazione del Parlamento, si applicano le stesse norme sul referendum popolare e sulla Corte costituzionale che valgono per le leggi».

(È approvato).

L’articolo 74 risulta così approvato.

L’onorevole Crispo ha proposto il seguente articolo 74-bis, che ha già svolto in sede di discussione generale:

«L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato di assedio e i provvedimenti relativi».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgere in questa sede il suo emendamento.

CODACCI PISANELLI. Come avevo accennato, risolta la questione relativa alla delega della funzione legislativa, ci resta da esaminare l’altra, non meno importante, relativa alla possibilità per il Governo di far uso del potere di ordinanza, cioè di emanare norme aventi valore di legge. Dobbiamo tener presente che stiamo parlando della legislazione ordinaria, cioè non ammettiamo, almeno per quanto riguarda il mio emendamento, che, anche concedendo questo potere di ordinanza, il Governo possa derogare ai diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. Nella Commissione dei settantacinque il problema fu esaminato, e si ritenne di escludere assolutamente la possibilità di far uso dei decreti legge. Si vuol, con la formula adottata nell’attuale articolo 74 e con il silenzio adottato in proposito, escludere in maniera assoluta la possibilità per il Governo di emanare norme aventi efficacia di legge ordinaria.

Già allora sostenni la tesi contraria e fui appoggiato dall’opinione di diversi commissari: ma rimanemmo in minoranza. Questa voce della minoranza io esprimo oggi di nuovo. Per quanto riguarda il problema dei decreti-legge, che ha sempre rivestito una importanza notevole, ritengo che non sia inutile richiamare l’attenzione dell’Assemblea. Nel nostro Stato i decreti-legge non sono una novità derivata dalla tirannia instauratasi nel 1922. Già in precedenza noi abbiamo avuto numerosi decreti-legge; e in proposito dobbiamo distinguere quelli che riguardano lo stato d’assedio dai veri e propri decreti-legge. Il primo esempio di decreto-legge che si ricorda nella nostra storia legislativa (parlo della storia legislativa riferita allo Stato italiano) è offerto da quello che concerneva lo stato d’assedio dichiarato a Genova nel 1849. Il Parlamento riunitosi approvò questa dichiarazione. Non siamo ancora di fronte ai veri e propri decreti-legge. Si trattava di sanzionare il così detto stato d’assedio. È attraverso l’idea dello stato d’assedio che penetra nella nostra legislazione l’idea di quello che sarà poi il decreto-legge. Di fronte a questa dichiarazione di stato di assedio, si ebbe nel nostro sistema legislativo una soluzione analoga a quella che si riscontra nel sistema inglese; il quale non prevede il decreto-legge ma consente, in fondo, al Governo di provvedere, sotto la sua responsabilità, all’emanazione di norme aventi forza di legge.

Nel caso in cui il Parlamento ritenga opportuno l’uso della facoltà straordinaria, non prevista nemmeno dalla costituzione, vi sarà poi una legge, il famoso bill di indennità, che esonera da ogni responsabilità i Ministri, i quali hanno saputo affrontare la situazione ed hanno assunto la responsabilità di derogare alla Costituzione, emanando norme aventi forza di legge.

Anche allora, nel 1849, avvenne qualche cosa di simile; perché il Parlamento, avendo riconosciuto che lo stato di assedio era stato dichiarato nell’interesse di Genova, approvava quanto il Governo aveva fatto e passava all’ordine del giorno. Ma successivamente, da questo decreto concernente lo stato di assedio, si passò ai veri e propri decreti-legge; il decreto legge si ebbe in un primo momento per la approvazione dei trattati internazionali. Più di una volta, quasi per reminiscenza dell’antico potere attribuito al sovrano, abbiamo avuto trattati internazionali approvati mediante decreti-legge. In seguito si riscontra una serie di decreti-legge riguardanti le più diverse materie. Non sarebbe difficile offrirne un elenco agli onorevoli colleghi. Però è da notare che in generale il Governo aveva fatto un uso molto ristretto di questo potere: infatti il numero per ogni decennio si riduce a qualche decina; in alcuni periodi il numero poteva aumentare, ma normalmente si faceva uso dei decreti-legge con grande discrezione.

Viceversa, nei periodi in cui si tendeva verso regimi autoritari il numero dei decreti-legge aumentava. Basterebbe esporne una statistica, ma non voglio tediare l’Assemblea.

Una delle questioni interessanti, in proposito, che possono illuminare per la decisione da prendere è che l’autorità giudiziaria ordinaria più di una volta è stata chiamata ad esaminare il problema della costituzionalità dei decreti-legge; cioè, ci si domandava se il Governo avesse o no il potere di emanare ordinanze aventi valore di legge. Il problema fu discusso in tutti i modi. Ho appena bisogno di richiamare ai colleghi i vari tentativi fatti, per giustificare lo straordinario potere conferito al Governo.

Alcuni sostenevano che nello Statuto albertino non vi era nulla al riguardo e che quindi la potestà di emanare decreti-legge non poteva assolutamente riconoscersi al Governo.

Altri ritenevano, invece, che, siccome bisognava riconoscere al Governo la facoltà di dichiarare lo stato di assedio, come conseguenza bisognava riconoscergli anche la potestà di emanare norme aventi forza di legge, quando la necessità e l’urgenza lo avessero richiesto. E questa tesi fu, in fondo, accolta da gran parte dei nostri studiosi; fu accolta anche dalla giurisprudenza, la quale però, in proposito, esercitò una vigile cura, in quanto che più di una volta si ebbero pronunziati giurisdizionali, i quali mostrarono come l’autorità giudiziaria si preoccupasse di evitare gli abusi di questo straordinario potere. Ed anche la soluzione affermativa, circa l’appartenenza o meno di tale potere al Governo, fu risolta soltanto dopo controversie al riguardo e dopo pronunciati giurisdizionali, difformi fra di loro.

Il problema fu esaminato dopo la guerra 1914-18, perché durante quel periodo si ebbe il moltiplicarsi dei decreti-legge e siccome mancava una qualsiasi regolamentazione, il Governo, che li aveva sempre emanati, non avendo nessun limite in alcuna norma costituzionale scritta, finì per fare quell’abuso che tutti abbiamo lamentato.

Sappiamo che dopo l’emanazione di tanti decreti-legge si arrivò ad una conversione in legge collettiva dei medesimi da parte del Parlamento, che si risolse praticamente in una piena approvazione, senza nemmeno un esame dettagliato dei diversi decreti, che non sarebbe stato possibile, perché praticamente non avrebbe portato ad alcun risultato. Di qui, in seguito agli studi di valenti giuristi nostri, fra cui alcuni dei migliori (basti citare Vittorio Scialoja) si arrivò a concludere per la necessità di ammettere costituzionalmente i decreti-legge e di disciplinarli in maniera tale che il Governo non potesse farne abuso. Ma evidentemente, siccome mancava un controllo, e questo controllo vi sarebbe dovuto essere solo da parte del Parlamento, quella legge 31 gennaio 1926, n. 100 – che contemplò l’ipotesi e introdusse nella nostra Costituzione ufficialmente la potestà di emanare decreti-legge – fu uno degli espedienti che servirono per trasferire praticamente la funzione legislativa dagli organi legislativi al potere esecutivo. Questo avvenne perché mancava un organo di controllo. Mancava un organo di controllo, il Parlamento, al quale fu tolta praticamente la possibilità di sindacato: mancava, d’altra parte, un organo giurisdizionale di controllo perché ancora quella giustizia legislativa, quella suprema magistratura che garantisce la costituzionalità delle leggi, non era stata introdotta nel nostro sistema. Ed è questa una delle ragioni che ci spinge appunto a sostenere la necessità di un simile organo giurisdizionale supremo di cui dovremo occuparci in seguito.

Ma quel che interessa rilevare, a proposito dei decreti-legge, sono le ragioni le quali inducono molti dei nostri colleghi a ritenere che sia meglio escluderli completamente dalla nostra Costituzione. Essi dicono: i decreti-legge sono stati un mezzo di abuso; il potere esecutivo, investito della facoltà di emanare leggi, se ne è servito abusandone ed eliminando quelle garanzie che vi erano a favore dei cittadini. Dobbiamo tener presente che la situazione, in cui ci verremo a trovare dopo l’emanazione della nuova Costituzione, sarà ben diversa da quella che avevamo in precedenza, perché ci troveremo di fronte ad una costituzione modificabile, ma modificabile solo attraverso un particolare procedimento di revisione costituzionale. E, d’altra parte, lo ripeto ancora, il potere di ordinanza, vale a dire il potere, di emanare decreti-legge, che intendiamo attribuire al Governo, non consente di modificare norme di carattere costituzionale. Di qui, la profonda differenza che vi sarà fra il sistema precedente ed il sistema attuale.

Ma gli oppositori della tesi relativa ai decreti-legge aggiungono che in fondo si potrebbe adottare anche da noi il sistema anglosassone. Essi dicono: riconosciamo che in alcuni casi particolari di estrema necessità e di estrema urgenza può essere utile che il Governo emani decreti aventi efficacia di legge, ma in questi casi saranno gli stessi uomini di Governo ad assumere la piena responsabilità e si presenteranno poi dinanzi al Parlamento che potrà, con un atto legislativo simile al bill di indennità inglese, esonerare i governanti da ogni responsabilità. Rispondo che questo sistema non potrebbe essere introdotto nella Costituzione che stiamo per adottare: non sarebbe compatibile coi principî che in fondo costituiscono la base del nostro progetto. Non sarebbe compatibile, perché noi abbiamo previsto che vi sia un’Alta Corte costituzionale. Non abbiamo ancora deciso al riguardo, ma nel progetto, e come lasciano supporre diverse tendenze, si vede la necessità di un organo giurisdizionale supremo. Che cosa accadrebbe qualora il Governo emanasse un atto avente forza di legge? Sarebbe sempre possibile infirmarne la costituzionalità, cioè impugnarlo perché in contrasto con la Costituzione. Si risponde: ma la Camera potrà approvarlo successivamente, solo per l’avvenire. Così, il ricorso che portasse alla dichiarazione di inefficacia di una legge darebbe luogo ad una situazione praticamente insolubile, perché la dichiarazione di inefficacia avrebbe effetto retroattivo, cioè il decreto-legge dichiarato incostituzionale sarebbe tale fin dal momento della sua emanazione: sarebbe un atto legislativo invalido, e l’invalidità iniziale farebbe sì che tutti i rapporti giuridici sorti nel frattempo dovrebbero ritenersi praticamente privi di fondamento, e tante situazioni giuridiche sorte verrebbero a cadere, con pregiudizio anche di eventuali diritti quesiti.

In altri, termini, la soluzione anglo-sassone del problema a cui sto accennando non può essere accolta nel nostro sistema costituzionale, dati i principî sui quali vogliamo che riposi la nostra Costituzione.

Penso, del resto, che i preconcetti contro la potestà di ordinanza attribuita al Governo possono, in gran parte, essere superati. Possono essere superati, perché, in fondo, della potestà di ordinanza il Governo finirà sempre, prima o poi, per fare uso. Ce lo dimostra la storia. In alcuni casi di particolari necessità, come nei cataclismi, in caso di aggressione da parte di altri Stati, quando si debbano emanare disposizioni in materia doganale, quando sia necessario mantenere il segreto, in tutte queste ipotesi è assolutamente necessario che il Governo possa procedere ad emanare decreti-legge da un momento all’altro, senza attendere il sia pure rapido sistema previsto attraverso le Commissioni per emanare leggi ordinarie.

Meglio quindi fare in modo che un simile potere del Governo venga esattamente e precisamente delimitato. Quando l’esperienza storica dimostra che anche negando tale potere nelle Costituzioni, come quella anglo-sassone in cui praticamente è escluso, si finisce per far uso della potestà di ordinanza, è molto meglio mostrarsi aderenti alla realtà nel riconoscere simile potere al Governo, disciplinandolo in maniera sicura.

D’altra parte, non si può accogliere la tesi di coloro i quali sono contrari all’ammissibilità della potestà di ordinanza del Governo in base ad una rigida e meccanica tripartizione dei poteri.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, tenga presente che sta svolgendo un emendamento.

CODACCI PISANELLI. Abbia pazienza, onorevole Presidente, si tratta di argomento molto importante.

PRESIDENTE. Prosegua pure.

CODACCI PISANELLI. Ho sentito in quest’Aula sollevare notevoli dubbi circa la divisione dei poteri. Vi è stato chi ha parlato di un superamento della divisione dei poteri, vi è stato chi ha detto che era uno strumento addirittura a favore delle monarchie, mentre, per quanto io sappia, la divisione dei poteri trova la sua più efficace affermazione proprio nella rivoluzione francese e la considero come uno dei più sicuri espedienti a garanzia delle libertà. Comunque, per quanto io ritenga che il principio della divisione dei poteri , inteso come tendenza e non in maniera assoluta, rimanga fondamentalmente nel nostro ordinamento, e debba considerarsi come una delle sue basi, appunto perché noi vogliamo una Costituzione che garantisca i fondamentali diritti di libertà; tuttavia non arrivo a concepire quella meccanica tripartizione dei poteri che porta i sostenitori della tesi avversa a quella che io sostengo ad escludere completamente la possibilità che il Governo eserciti la potestà legislativa di urgenza. I sostenitori della tesi opposta ritengono che, data la necessità di fare in maniera che la funzione legislativa sia esercitata esclusivamente da organi legislativi, il potere esecutivo, il Governo, debba assolutamente essere escluso dall’esercizio di tale funzione. Non sono d’accordo con loro perché, anche movendo dal loro punto di vista, si dimostra come la meccanica tripartizione sia assolutamente impossibile. Il Governo, anche secondo la tesi dei miei oppositori, deve per lo meno poter esercitare la potestà regolamentare.

I regolamenti non potranno essere fatti dalle Assemblee legislative. È necessario che siano emanati dallo stesso Governo e siccome i regolamenti costituiscono esercizio della funzione legislativa in senso sostanziale è inesatto affermare che la funzione legislativa sia esercitata soltanto da parte degli organi legislativi. Ed allora se noi nel nostro nuovo sistema avremo leggi costituzionali, e immediatamente al di sotto nella gerarchia avremo le leggi ordinarie e ancora ad un gradino più sotto in questa gerarchia delle fonti avremo i regolamenti emanabili dal Governo, tanto vale consentire al Governo di esercitare una funzione legislativa, superiore sì a quella regolamentare, ma sempre inferiore alla funzione legislativa costituzionale.

Quindi, anche da un punto di vista strettamente teorico, una volta ammessa l’esistenza di leggi di carattere costituzionale riesce più facile, riesce più agevole e supera molti timori questa possibilità che il Governo eserciti sì la funzione legislativa ordinaria, ma non possa esercitare la funzione legislativa costituente. Saremo garantiti perché, se i decreti-legge in passato potevano modificare anche le disposizioni su cui si basavano ì nostri diritti fondamentali, oggi questo non sarà più possibile. Ho voluto farlo presente perché anche dal punto di vista teorico, in fondo, in questa maniera noi riusciamo ad ottenere che con l’ammissione della facoltà del Governo di emanare norme di efficacia di legge ordinaria riusciamo ad ottenere che ciò avvenga senza nessun pericolo per il rispetto dei nostri diritti fondamentali.

Questo dal punto di vista teorico. Ma ritengo che dal punto di vista pratico sia necessario soffermarsi sopra la necessità dei decreti-legge. Già nella Commissione dei settantacinque vi furono persone molto esperte in materia economica, vi furono persone che avevano già sperimentato le fatiche governative, le quali fecero presente come effettivamente nella pratica ci si trova di fronte a situazioni di tale urgenza che non è possibile fare a meno di un atto avente efficacia di legge formale e non è nemmeno possibile attendere che la legge ordinaria sia emanata dagli organi legislativi. Accenno sopra tutto ai cosiddetti decreti-catenaccio, di cui ci è stato parlato, di cui ci è stata dimostrata la necessità. Non sarà possibile fare a meno in avvenire di simili decreti in materia finanziaria.

Il semplice fatto che un decreto il quale stabilisca un dazio o debba comunque fissare una imposta possa essere conosciuto prima della sua emanazione attraverso il procedimento, che per quanto rapido richiederà qualche giorno e sarà di tale pubblicità da fare conoscere a tutti che si sta per emanare un atto legislativo al riguardo, deve indurci a ritenere che non sarebbe pratico legiferare in questa materia col sistema normale. Ragioni pratiche, quindi, oltre che ragioni teoriche devono indurci a ritenere che non possa farsi a meno dei decreti-legge, e che è opportuno disciplinarli nella Costituzione.

L’emendamento da me proposto stabilisce però che sia stabilito un termine perentorio entro il quale i decreti-legge stessi debbono essere convertiti in legge dal Parlamento. Questo è indispensabile per evitare abusi tipo quello comunemente ricordato da tutti del decreto-legge emanato per nominare sottotenente un capo di una banda musicale della Marina. Dove fosse la necessità e l’urgenza in quel caso, certamente non si vede…

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, tenga presente che parla da mezz’ora.

Lei sta usando di un suo diritto, ma la prego di non abusarne.

CODACCI PISANELLI. Signor Presidente, sono al termine; del resto sono stato io uno dei sostenitori della tesi di stabilire nella Costituzione il divieto dell’abuso del diritto, quindi nessuno più di me è convinto della necessità di non abusare del proprio diritto.

L’emendamento da me proposto tende a stabilire il principio. Non è mio proposito richiedere che sia accolto così com’è; mi rendo conto che l’onorevole Presidente della Commissione dei settantacinque potrà formularlo in maniera anche migliore. Ma quello che a me interessa è stabilire il principio che i decreti-legge possano essere emanati dal Governo con efficacia di leggi ordinarie, stabilire che questi decreti-legge debbano essere sottoposti ad una determinata procedura, che potrà essere fissata anche in base a quanto propone l’onorevole Crispo, il quale desidera che sia sentito il parere del Consiglio dei Ministri. Nessuna difficoltà da parte mia ad accedere a questa tesi. Ma a me interessa, soprattutto, che sia affermato il principio.

L’altro principio che deve essere affermato è quello dell’automatica cessazione dell’efficacia dei decreti-legge, qualora non siano approvati, qualora non siano convertiti in legge dalle Camere entro un termine che la stessa Costituzione deve stabilire.

Secondo il mio emendamento, la conversione in legge dovrebbe avvenire immediatamente, perché trascorsi sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto-legge, esso dovrebbe cessare di aver vigore, a meno che la legge in cui sia stato convertito sia pubblicata dieci giorni prima dello scadere dei sessanta giorni.

Perché questa cautela? Perché, siccome l’autorità giudiziaria, le autorità pubbliche dovranno applicare il decreto fino al giorno in cui non ne cessa automaticamente l’efficacia, bisogna che tali autorità siano tempestivamente avvertite. I dieci giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale potranno essere sufficienti per mettere al corrente coloro i quali devono applicare il decreto-legge.

Questa è la ragione che mi ha indotto a presentare l’emendamento, ragione che ho voluto esporre con una certa ampiezza, in quanto ho ritenuto che nella Commissione dei settantacinque si sia passati troppo facilmente sul problema, il quale ha sempre attirato l’attenzione degli studiosi e che, effettivamente, non può essere risolto con facilità.

D’altra parte, a coloro i quali temono l’abuso di questo potere, io faccio presente che sull’uso di esso avremo un doppio controllo: anzitutto quello politico delle Assemblee legislative a cui i decreti-legge dovranno essere presentati per la conversione in legge; poi quello giurisdizionale, da parte della Corte costituzionale, di fronte alla quale potranno sempre essere impugnati anche i decreti-legge, così che del relativo potere discrezionale non sia possibile fare uso con discrezione indiscreta.

Esiste dunque una garanzia che di questo potere discrezionale di emanare decreti-legge il Governo non farà un uso eccessivo. Io mi auguro che i colleghi della Commissione dei Settantacinque i quali in quella sede non vollero accogliere la tesi della minoranza vogliano ora mutare il loro voto.

E volgo al mio termine, onorevole Presidente, cercando di rallegrare l’Assemblea, stanca per la lunga seduta, confessando che non ho larga fiducia che il mio emendamento venga accolto.

È troppo logico e temo che non sempre la logica abbia ingresso in quest’Aula. Mi consentano di spiegarne la ragione quanti sanno del mio profondo rispetto per le Forze armate di cui ho indossato fino al 2 giugno 1946 l’onorata divisa. Quando eravamo sotto le armi, nei momenti in cui l’austera disciplina militare ci sembrava più dura, ci rianimavamo con la scherzosa domanda: perché vi sono le sentinelle davanti alle porte delle Caserme? Per impedire alla logica di entrare. (Ilarità – Commenti).

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, anche dinanzi all’ingresso di Montecitorio stanno, marziali, le sentinelle! (Applausi – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente articolo 74-bis:

«Quando, nei casi di pericolo pubblico o di assoluta inderogabile urgenza, il Governo ritenga necessario emanare provvedimenti straordinari, aventi valore di legge, deve sentire su di essi il parere degli Uffici di Presidenza delle due Camere e sottoporli immediatamente alle Camere stesse, che, se non sono già convocate, debbono esserlo entro cinque giorni dall’emanazione del provvedimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi, la lucida e dotta orazione dell’onorevole Codacci Pisanelli ha spianato completamente la via, perché egli ha fatto tutta la storia dei decreti-legge, da quello primo del 1849 in occasione dello stato d’assedio di Genova fino alla legge del 31 gennaio 1926, n. 100, legge famosa del regime fascista, e ci ha dimostrato come l’istituto del decreto-legge, sorto per cause eccezionali e destinato ad essere applicato soltanto per cause eccezionali, fosse negli ultimi tempi diventato addirittura la normalità, cosicché le Camere vennero ad essere completamente esautorate, poiché a tutto si provvedeva con decreti-legge.

Egli ha anche detto che la questione non incide sulla teoria della divisione dei poteri , teoria che egli giustamente ha proclamato ultrademocratica. La questione astratta può considerarsi superata; si tratta, quindi, solo di sapere quali siano i limiti e i confini entro i quali sia possibile ammettere i decreti-legge. Escluderli totalmente non è cosa possibile; non v’è Stato, non v’è regime il quale non abbia, in taluni momenti, bisogno di legiferare, senza che vi sia la possibilità e senza che vi sia soprattutto il tempo sufficiente per convocare le Camere.

Mi pare, quindi, inutile discutere il principio, diremo, negativo, intorno alla non possibilità che i decreti-legge vengano emanati. Noi abbiamo sott’occhio parecchi emendamenti, che sono in qualche modo diretti a superare le difficoltà procedurali: a rendere cioè possibile l’emanazione di questi decreti-legge, ma con specialissime cautele.

Le cautele che sono state proposte e caldeggiate dall’onorevole Codacci Pisanelli non sono, a mio vedere, sufficienti, né mi sembra che i confini siano stati da lui ben determinati, e ritengo, pertanto, che questi confini potrebbero venire meglio fissati. L’onorevole Crispo ha inteso indubbiamente di determinarli con più precisione; egli infatti è entrato nel vivo nelle carni della questione. Egli ha stabilito, però, che l’esigenza dei decreti-legge potrà essere soltanto determinata da motivi di guerra o di stato d’assedio. Egli, dunque, ha inteso di limitarne la possibilità a due soli casi.

Il mio emendamento è sotto un certo profilo più largo, ma sotto un altro ha confini così ristretti e precisi da limitare la facoltà del Governo a quei soli casi nei quali è assolutamente indispensabile concederla. Esso stabilisce, infatti, che nei casi di pericolo pubblico – quindi, stato di guerra, stato d’assedio, stato di emergenza, che deriva anche da pubbliche calamità (pensate ad un terremoto che sconvolge tutta una zona del Paese e che abolisce i vincoli di vivere civile che regolano la morale di ogni Stato bene ordinato), o di assoluta inderogabile urgenza, cioè in casi di assoluta, indilazionabilità, per cui il provvedimento deve essere (anche senza che vi sia lo stato di guerra) emanato subito, cioè non può essere ritardato di un’ora (e qui rientrano i famosi decreti-catenaccio, che hanno questa necessità assoluta, per non dar tempo agli evasori di evadere quella legge che dovrà punire la loro cupidigia speculativa) – il Governo potrà emanare provvedimenti straordinari aventi valore dì legge. Qui si parla di Governo, mentre l’onorevole Codacci Pisanelli nel suo emendamento parla del Capo dello Stato. (Non so se egli insieme col Capo dello Stato comprenda anche il Governo). Soltanto nella mia proposta v’è un organo che deve essere previamente consultato. Può crearsi un organo ex novo, una commissione ad hoc permanente, della Camera e del Senato, la quale funzioni solo in questi eccezionali momenti; oppure si può designare un organo giurisdizionale, come il Consiglio di Stato o la Corte di cassazione a sezioni riunite, oppure, infine, un diverso organo speciale.

Io credo più opportuno far capo agli organi permanenti della Camera e del Senato, che rappresentano le parti più scelte dei due rami del Parlamento, cioè ì due Uffici di Presidenza, composti dei Presidenti, dei Questori, dei Segretari, che sono gli eletti dalle rispettive Camere e ne hanno, quindi, la rappresentanza, dirò così, sintetica, compresa quella dei Gruppi parlamentari dei vari partiti.

Propongo, quindi, che l’emanazione dei decreti-legge possa avvenire solo in casi di assoluta ed urgente necessità, dopo che il Governo abbia sentito il parere degli Uffici di Presidenza delle due Camere: parere evidentemente consultivo, ma che ha una grande importanza, perché dà al Governo la possibilità di emanare provvedimenti in conformità a questo parere, o in difformità, qualora vi sia una ragione per la quale questa difformità, a giudizio del Governo, si renda necessaria.

Questa sarebbe la prima garanzia; la seconda e più importante consiste nell’obbligo di sottoporre i decreti-legge emanati immediatamente alle Camere, che, se non sono già convocate, debbono esserlo entro cinque giorni. Ho fissato il termine di cinque giorni perché ci sia il tempo materiale di convocare la Camera e il Senato in sedute straordinarie.

Vi è quindi, secondo me, una procedura che rassicura la democrazia, lo Stato, i cittadini tutti, che questi provvedimenti saranno emanati soltanto in casi eccezionalissimi, con forme di procedura e con limiti di materia, i quali garantiranno il rispetto assoluto dei diritti della libertà.

Confido, quindi, che il mio emendamento possa essere accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato un emendamento tendente ad aggiungere, in fine all’articolo 74, il seguente comma:

«All’infuori del caso di delegazione e di quello di guerra, il Governo può emettere norme con forza di legge solo nel caso di aumento delle tariffe delle imposte dirette, quando vi sia danno col ritardo. Gli atti relativi devono essere presentati al Parlamento il giorno stesso in cui hanno esecuzione e convertiti in legge e pubblicati entro due mesi dalla loro presentazione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Signor Presidente, propongo che la discussione sia rinviata a domani, perché su questo problema, che è così importante, non ha avuto occasione di pronunciarsi il Comitato di redazione. E mi pare che questi emendamenti debbano essere sottoposti al vaglio del Comitato, prima di essere portati al giudizio dell’Assemblea.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Quale presentatore di un altro emendamento sulla stessa materia, mi associo alla richiesta dell’onorevole Mortati. L’argomento è di tale importanza che, francamente, se ci si dedica anche un’intera seduta, non è male.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che non ci sarebbe niente di male se si svolgessero i punti di vista dei vari proponenti. Domani cercheremo di metterci d’accordo.

Il Comitato di redazione è convocato per domani mattina alle 10, mentre (lo ricordo) la Commissione dei Settantacinque è raccolta per altre materie alle 11. Il lavoro continua senza riposo. Non mi oppongo, comunque, alla richiesta degli onorevoli Mortati e Bozzi.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare o siano stati già adottati dalla competente autorità contro coloro che il giorno 13 corrente alle ore 9.30 hanno invaso e devastato la sede di Milano del Movimento nazionalista per la democrazia sociale.

«Patrissi, Fresa, Puoti, De Falco».

«Al Ministro del tesoro, per conoscere quando intenda esprimere il proprio parere circa il provvedimento del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni per il passaggio, dal gruppo C al gruppo B, degli impiegati amministrativi contabili, che, entrati tali nell’Amministrazione prima del 1914, furono dal fascismo classificati impiegati d’ordine. La mancanza di approvazione del provvedimento potrebbe maggiormente aggravare il già profondo malcontento, che non è ancora sfociato in alcuna manifestazione solo per l’alto senso del dovere degli impiegati, che ormai attendono giustizia da troppo tempo.

«Scalfaro».

In assenza dei Ministri competenti, comunicherò loro queste interrogazioni, affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quanto vi sia di vero nella voce che circola fra i cittadini di Formia, secondo la quale l’Ospedale, colà costruito dal «Dono svizzero» con il concorso del Ministero dei lavori pubblici, verrebbe dall’E.N.D.S.I. praticamente regalato all’Ordine dei «Fate bene fratelli», sottraendolo al legittimo e naturale destinatario del dono, e cioè al comune di Formia, con una procedura giuridico-amministrativa della quale, eventualmente, l’interrogante desidererebbe conoscere gli elementi di legittimità formale e sostanziale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda aderire alla invocata eliminazione dei gravami fiscali sulle operazioni di cessione ad istituti bancari dei crediti verso enti pubblici, fatte dalle cooperative di produzione e lavoro in garanzia dei fidi loro concessi, in considerazione:

  1. a) della lentezza degli enti pubblici nella liquidazione di stati di avanzamento relativi a lavori avuti in appalto e nel pagamento dei mandati;
  2. b) delle particolari difficoltà finanziarie (aggravate dal peso degli interessi bancari) in cui attualmente si dibattono le predette società cooperative (molte delle quali tra partigiani e reduci), le quali hanno reso segnalati servizi al Paese, attenuando con libere iniziative mutualistiche la piaga della disoccupazione e contribuendo in misura notevole alla riqualificazione della mano d’opera disoccupata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Belotti, Dominedò, Carbonari, Cimenti, Clerici, Malvestiti, Ferrario Celestino, Sampietro, Balduzzi, Bovetti, Quarello, Scalfaro, Burato, Gortani, Rapelli, Benvenuti, Valenti, Foresi, Colombo Emilio, Zaccagnini, Raimondi, Monticelli, Rodi, Giacchero».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere quali provvedimenti intendano prendere a favore dei contadini delle provincie di Trento e Bolzano danneggiati dalla grandine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, perché considerino se non sia il caso di disporre che anche agli agenti di custodia sia corrisposta la indennità così detta di «pericolo», che attualmente è corrisposta ai carabinieri ed agli agenti di pubblica sicurezza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alla 19.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.