ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
46.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)
Presidente – Fuschini – Ambrosini, Relatore – Targetti – Zuccarini – Nobile – Laconi – Castiglia – Lussu – Bozzi – Tosato – Conti – Piccioni – La Rocca – Fabbri – Lami Starnuti – Mannironi – Mortati – Ravagnan – Perassi – Bordon – Vanoni – Rossi Paolo.
La seduta comincia alle 16.30.
Seguito della discussione sulla organizzazione costituzionale dello Stato.
PRESIDENTE apre la discussione sul problema della suddivisione territoriale dello Stato e della conservazione o meno della Provincia come ente autarchico.
FUSCHINI domanda al Relatore da chi sarà nominata la Giunta che, a norma dell’ultimo comma dell’articolo 17, sarà istituita in ogni circoscrizione provinciale, e quali saranno i compiti ad essa attribuiti.
AMBROSINI, Relatore, fa presente che in seno al Comitato non fu possibile raggiungere un accordo circa il sistema di nomina di tale Giunta. Ricorda che, dopo la decisione di sopprimere la Provincia come ente autarchico e di mantenerla come circoscrizione amministrativa di decentramento regionale, fu decisa la istituzione di tale Giunta al fine di non lasciare gli uffici provinciali nelle mani di elementi soltanto burocratici, ma di affiancare a questi degli esponenti nominati o designati da corpi elettivi, che ne coordinassero l’attività. Il dissenso nacque sul modo di costituire la Giunta. Alcuni sostenevano che dovesse essere composta di delegati dei Comuni; altri invece che dovesse esser nominata dall’Assemblea regionale per la considerazione che la Provincia è mantenuta in funzione di decentramento regionale; egli a sua volta propose, per conciliare le opposte tendenze, un sistema misto. Ma su questo punto non poté formarsi una maggioranza.
Fa poi presente che, per rispondere esaurientemente al secondo quesito posto dall’onorevole Fuschini circa i compiti che alla Giunta provinciale saranno affidati, sarebbe necessario anzitutto aver determinato quali saranno i pubblici servizi che verranno ad assumere un carattere di continuità nell’ambito della circoscrizione provinciale. Aggiunge che ciò è in relazione sia con la soluzione concreta che si vorrà dare al disposto dell’articolo 6, nel quale si parla delle funzioni amministrative della Regione non solo nelle materie di propria competenza legislativa, ma anche nelle altre materie che dallo Stato verranno delegate ad essa per l’esecuzione; sia con quanto stabilisce l’articolo 24, il quale prevede che il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni avverrà mediante decreti del Presidente della Repubblica per ogni ramo della pubblica amministrazione.
Ad ogni modo, dichiara che il Comitato ha ritenuto che non fosse ora il caso di affrontare e risolvere i vari problemi in tutti i loro particolari e che bastasse affermare nella Costituzione i principî fondamentali. I particolari potranno esser determinati nella legge che regolerà organicamente la complessa materia.
Conclude facendo rilevare l’importanza che nell’economia della riforma verrebbe ad assumere la suddetta Giunta. È principalmente con la sua istituzione che sarà evitato il pericolo che, mentre si procede ad un decentramento dell’amministrazione dello Stato, si vada a costituire un accentramento regionale.
TARGETTI rileva anzitutto che la costituzione delle Giunte – sulla cui necessità tutti i componenti del Comitato furono concordi – dà luogo ad una costruzione assai imperfetta, in quanto, nel caso in esame, viene a mancare l’Assemblea deliberante, di cui normalmente una Giunta è il corpo esecutivo.
Crede che le varie ragioni che hanno determinato la proposta di abolire la Provincia possano sintetizzarsi in una sola, e cioè nella superfluità di tale ente, in conseguenza del sorgere del nuovo ente Regione. Non è, personalmente, di tale parere, perché ritiene che la coesistenza dei due enti risulti possibile, sia per considerazioni storiche, sia perché la Regione nasce sottraendo attribuzioni allo Stato e non già alla Provincia. Non trova, quindi, convincenti le ragioni addotte a sostegno della soppressione della Provincia; mentre ricorda le ragioni favorevoli alla sua conservazione: a parte quelle di carattere storico, sono tutte le altre che fanno della Provincia un ente naturale, di cui è riconosciuta l’armonicità in tutti i campi, nelle tradizioni, cioè, nelle abitudini, nel linguaggio, nell’abito mentale degli abitanti, nell’industria e nel commercio, e financo nella costituzione geologica del territorio.
La conservazione della Provincia eviterebbe l’inconveniente accennato da ultimo dal Relatore, e cioè la creazione di un nuovo accentramento: infatti, creando la Regione ed abolendo la Provincia, mentre si tenderebbe a ridurre, col decentramento, al minimo gli inconvenienti della burocrazia, non si farebbe altro che sostituire alla burocrazia statale altrettante burocrazie regionali, attraverso le quali si darebbe origine ad un accentramento nuovo, non più sopportabile di quello passato che si era reso oltremodo opprimente.
Il mantenimento della Provincia, d’altra parte, potrebbe calmare il disappunto di tutti quegli enti i cui voti o desideri, pur fatti presenti, non sono stati accolti, e se ne avvantaggerebbe la Regione stessa, sorgendo così in un clima più sereno e più sgombro da contrasti.
Conclude affermando che il riformatore più audace non deve avere incertezze nel distruggere ciò che è dannoso, ma deve procedere ponderatamente quando si tratta di demolire istituzioni la cui conservazione può essere utile.
ZUCCARINI dichiara che coloro che sono favorevoli alla soluzione regionale non hanno mai pensato di fare della Regione l’unico organo rappresentativo degli interessi particolari. Al contrario, in tutti è stata viva la preoccupazione di costituire fra Comuni e Regione organi intermedi, attraverso i quali gli interessi locali potranno far pervenire la loro voce all’ente Regione. Non ci fu dissenso su questo; il dissenso invece sorse quando si trattò di stabilire quali devono essere questi organi e come devono formarsi.
Secondo lui tali organi intermedi non debbono essere creati arbitrariamente o dettati dall’alto (cosa che in passato poteva dirsi per le Provincie), ma dovranno formarsi naturalmente, secondo gli interessi della popolazione, la quale dovrà avere la possibilità di manifestare il suo intendimento di far parte di un determinato raggruppamento perché lo trova più conveniente, così come i cittadini trovano conveniente recarsi in una città piuttosto che in altra di una data zona per curarvi i loro interessi. Gli organi intermedi dovrebbero, a suo avviso, essere di due specie: l’uno, che chiamerà di «vicinanza», che unisca i comuni esistenti in un raggio più ristretto; l’altro che costituisca un raggruppamento più grande, che potrebbe anche trovare sede negli attuali capoluoghi di Provincia.
Fa subito rilevare che tali organi, che non dovrebbero avere una propria autonomia, assicurerebbero il collegamento fra il Comune e la Regione, ed avrebbero lo scopo di portare a conoscenza e alla risoluzione della Regione i problemi di Comuni o gruppi di Comuni. A tale proposito dichiara che non è nel suo intendimento di sopprimere il concentramento statale per creare poi quello regionale, tanto vero che, in sede di Comitato, ha manifestato il suo aperto dissenso circa la creazione di circondari come organi decentrati della Regione.
Segnala due sistemi che, a suo parere, si potrebbero seguire per la nomina dei componenti di questi organi: la nomina da parte dei Comuni che compongono questi circondari, oppure – specie se si addivenisse, come spera, per la elezione dei deputati regionali, ad un sistema di circoscrizioni elettorali più ristrette, corrispondenti ai circondari – delegando ai deputati regionali eletti in quel determinato circondario il compito di funzionare anche come rappresentanza più ristretta degli interessi dello stesso circondario.
Ritiene che, dal momento che si pensa di fare della Regione un organo di decentramento, con attribuzioni limitate e con una rappresentanza in esso dello Stato, il mantenimento della Provincia non costituirebbe altro che l’aggiunta di un nuovo organo, ciò che renderebbe in definitiva più difficile la soluzione del problema del decentramento (non bisogna dimenticare infatti il pericolo di un eccessivo sviluppo della burocrazia!) e complicherebbe il sistema che ora si vuole perfezionare, compromettendo i risultati e l’esistenza stessa dell’organo che in questo momento si sta creando.
Concludendo, manifesta il suo parere assolutamente contrario alla conservazione, come ente autonomo, della Provincia, la quale, così come è ora costituita, resterebbe quella costruzione artificiosa, che dal punto di vista amministrativo non ha assolto ai suoi compiti e non corrisponde esattamente agli interessi delle popolazioni.
NOBILE, a parte il fatto che, se errori si sono potuti commettere nella formazione delle Provincie, sarebbe sempre possibile rimediarvi, ritiene che il problema non sia tanto quello di fare una revisione delle circoscrizioni provinciali, quanto quello di considerare l’opportunità della conservazione della Provincia come ente autarchico.
Rileva una contraddizione nella quale, a suo avviso, cadono i regionalisti, i quali sostengono che la creazione delle Assemblee regionali renderà possibile una maggior partecipazione del popolo italiano alla vita pubblica, ma dimenticano poi che, con la soppressione della Provincia, si aboliscono i Consigli provinciali, i quali, per quanto ristretti, costituiscono pure un mezzo per far partecipare il popolo alla vita politica.
Ritiene poi che non si debba dire troppo male della burocrazia, la cui corruzione odierna rispecchia la corruzione di tutta la vita anche politica del Paese, ed è perciò un fatto contingente al quale si potrà rimediare.
Dichiara quindi di essere favorevole alla coesistenza dell’ente Provincia, accanto all’ente Regione che si sta ora creando.
LACONI dichiara di non essere d’accordo con i colleghi che l’hanno preceduto. Afferma che il nuovo ente si crea per rimediare ad alcune deficienze dell’organizzazione centralistica dello Stato italiano, non solo, ma anche per basare la nuova struttura organica della vita pubblica italiana su una unità più vasta di quello che non sia la Provincia.
Rispondendo all’onorevole Targetti, osserva che l’ente Regione trae le sue attribuzioni in parte dello Stato, ma in parte anche dalla Provincia.
Non ha nulla da eccepire circa l’opportunità di conservare le Provincie e gli organi atti a rimediare a determinate deficienze; ma fa presente che la mancanza, la quale potrebbe essere molto sentita, di un centro provinciale di interessi, di mercato, nel quale poter sbrigare pratiche burocratiche, non porta alla necessaria conseguenza di conservare la Provincia come organo autonomo. Già oggi la Provincia svolge funzioni assai limitate, e si può affermare che ben pochi si accorgono dell’esistenza di un ente autarchico territoriale chiamato Provincia. Non a torto si è detto che questa è una creazione artificiale, ed il fatto stesso che si sia affermata l’esigenza dell’ente Regione esclude la necessità della Provincia.
Conclude dichiarandosi contrario a che la Provincia sia inserita nell’articolo 1°, il quale riguarda soltanto gli enti che abbiano una rilevanza costituzionale, senza tuttavia escludere la possibilità di considerare gli attuali capoluoghi di Provincia come città in cui si trovino uffici decentrati della Regione.
CASTIGLIA ricorda che la diversità di vedute in merito alla conservazione della Provincia si palesò già in seno al Comitato; ed egli fu tra i deputati di minoranza che si dichiararono per la conservazione della Provincia come ente autarchico, non vedendo ragione per sopprimerla.
Mentre concorda pienamente con le considerazioni dell’onorevole Targetti, non può condividere quelle dell’onorevole Zuccarini, che gli sembrano inspirate soprattutto dalla preoccupazione dell’innovazione ad ogni costo. La Provincia ha dimostrato in passato di saper dare ottime prove di capacità amministrativa e di essere utile agli interessi del Paese.
Circa la suddivisione – della cui necessità lo stesso onorevole Zuccarini si rende conto – della Regione in circoscrizioni raggruppanti un certo numero di comuni, osserva che, dal momento che questo raggruppamento già esiste nella Provincia e funziona da lunghissimo tempo, ogni diversa suddivisione del territorio regionale in circondari, mandamenti o altre circoscrizioni, non avrebbe che il risultato di complicare le cose e di creare nuove difficoltà.
Ritiene poi che agli inconvenienti, ai quali alcuni oratori hanno fatto riferimento sostenendo l’opportunità di sopprimere la Provincia, sia facile porre riparo e che ad ogni modo non siano tali da infirmare il fatto storico, che la Provincia è un aggruppamento naturale e spontaneo di centri minori attorno ad uno maggiore, per cui da Provincia a Provincia si notano evidenti diversità di dialetto, di usi commerciali e di altre caratteristiche, soprattutto etniche. Conservando alle Provincie soltanto la caratteristica di organi di decentramento amministrativo nell’ambito della Regione, sforniti di ogni capacità di rappresentanza di interessi locali distinti, si intenderebbe sopprimere la Provincia come ente autarchico per realizzare un decentramento amministrativo, senza per altro raggiungere l’intento, perché in fatto nessuno degli uffici attualmente esistenti nei capoluoghi di Provincia sarebbe abolito. Ché se, in luogo dell’attuale suddivisione per Provincie, si effettuasse una diversa suddivisione per circondari od altre circoscrizioni territoriali più ristrette della Provincia, si creerebbero altrettante burocrazie, con un effetto esattamente contrario a quello che si dice di voler ottenere.
Per queste ragioni e per le altre esposte dai colleghi che condividono la sua opinione, voterà a favore dell’emendamento proposto all’articolo 1, che prevede la suddivisione del territorio nazionale in Regioni, Provincie e Comuni, con la riserva di esaminare successivamente la formulazione dell’articolo 17 del progetto.
LUSSU è d’avviso che l’argomento in discussione acquisti una grande rilevanza, ove si consideri la ripercussione che la soppressione o meno della Provincia avrà inevitabilmente sulla Regione, così come è stata concepita. Non nasconde le sue preoccupazioni per quanto è stato detto dall’onorevole Targetti; e questo lo induce a pensare che molti siano ancora coloro i quali non vedono il problema della Provincia nella sua realtà.
Sulla soppressione della Provincia come circoscrizione amministrativa (prefetture) tutti sono concordi. La Provincia come ente autarchico territoriale si riduce a ben poca cosa, essendo le sue competenze limitate alle strade provinciali, ai brefotrofi ed ai manicomi. È rimasto, quindi, sorpreso nel riscontrare, in un recente discorso tenuto dall’onorevole Einaudi in Piemonte, molte riserve a proposito dell’istituzione della Regione, che ritiene contrastanti con l’atteggiamento dallo stesso oratore tenuto precedentemente in seno alla Sottocommissione. In realtà la soppressione della Provincia come ente autarchico e la sua trasformazione, nei modi e nei termini che saranno successivamente studiati, non porterà alcun danno alla vita politica ed amministrativa del Paese.
Fa presente l’opportunità di combattere la tendenza, manifestatasi in qualche settore dell’opinione pubblica, a considerare la soppressione della Provincia quasi come una diminutio per gli attuali capoluoghi, perché questi, pur sopprimendosi l’ente Provincia, manterranno la loro importanza economica, commerciale ed anche amministrativa, in quanto in queste località continueranno ad avere la loro sede i Tribunali, le Intendenze di finanza, gli enti militari e tutti gli altri istituti, mentre soltanto i problemi relativi alle strade e pochi altri passeranno dalla competenza della Provincia a quella della Regione.
Dichiara di essere stato fautore in seno al Comitato dell’opportunità di creare una circoscrizione intermedia fra la Regione ed il Comune, il distretto, ad esempio, o come altri dice, il circondario (non crede sia il caso di fare questione di terminologia): questa circoscrizione dovrà avere un carattere naturale, risultante da una convergenza di interessi, e dovrà avere il diritto di mandare i suoi rappresentanti all’Assemblea regionale.
Con la soppressione della Provincia si otterrà inoltre il vantaggio di una sburocratizzazione, che definisce necessaria ed indilazionabile, e non, come teme l’onorevole Targetti, un appesantimento della burocrazia, che è incompatibile con l’esistenza di circoscrizioni naturali.
PRESIDENTE, riassumendo la discussione, pone in rilievo che due sono i punti in discussione: il mantenimento della Provincia come ente autarchico o la sua soppressione e conseguente trasformazione in altro ente considerato come centro di servizi. Ove sia approvata quest’ultima soluzione, il problema verrà nuovamente in discussione nel corso dell’esame dell’articolo 17.
Dà lettura delle due proposte presentate che costituiscono emendamento di quella del Comitato. La prima: «Il territorio dello Stato è ripartito in Comuni, Provincie e Regioni» è dell’onorevole Bozzi; la seconda: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni» degli onorevoli Tosato, Fuschini, Mannironi, De Michele, Cappi e Codacci Pisanelli.
BOZZI, allo scopo di unificare le due proposte sostanzialmente identiche, modifica il suo emendamento, sostituendo alle parole «territorio dello Stato» le altre «territorio della Repubblica».
TOSATO in seguito all’andamento della discussione che si è svolta, ritira la sua proposta, la quale, senza pregiudicare la questione circa l’opportunità di considerare o meno la Provincia un ente autarchico, mirava a garantire la Provincia come circoscrizione del territorio dello Stato.
PRESIDENTE ricorda poi la proposta dell’onorevole Conti, così formulata: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale»; e fa osservare che il presentatore ha tenuto conto dell’osservazione fatta da varii colleghi circa l’opportunità di considerare la Provincia come un organo già esistente, salvo a precisarne poi la figura.
Metterà prima in votazione l’emendamento Bozzi: ove questo non sia approvato metterà in votazione la proposta Conti, che accetta il principio adottato dal Comitato con un’aggiunta che serve a soddisfare esigenze di altro ordine.
CONTI dichiara di aver presentato tale proposta allo scopo di precisare – in contrapposto a quella presentata dall’onorevole Tosato – che la Provincia è un ente di decentramento amministrativo.
LACONI ricorda l’emendamento, da lui presentato, che considera particolarmente la questione delle Regioni autonome.
PRESIDENTE è del parere che della proposta dell’onorevole Laconi, il quale ritiene che certe Regioni abbiano una figura tipica e differenziata, tale che debba essere messa in evidenza anche nel primo articolo, si possa parlare in seguito.
Mette in votazione la formula proposta dall’onorevole Bozzi: «Il territorio dello Stato è ripartito in Comuni, Provincie e Regioni».
PICCIONI dichiara di votare contro, perché questa formula, per il modo come è redatta, pone la Provincia sullo stesso piano della Regione e del Comune. Voterà invece a favore dell’ordine del giorno Conti.
LA ROCCA voterà contro, in quanto la proposta Bozzi fa anche della Provincia un ente autarchico.
FABBRI voterà pure contro, perché ritiene che il criterio dell’autonomia debba essere tenuto distinto da quello dell’adempimento dei servizi. Fa presente che la Provincia oggi non ha autonomia che per limitati oggetti (strade, brefotrofi, manicomi), i cui problemi sono suscettibili di risoluzione in sede più larga, come quella rappresentata dalla Regione che, secondo il progetto, dovrà avere una base di almeno 500.000 abitanti. I Parlamenti regionali, non solo per le strade, i brefotrofi e i manicomi, ma per un’infinità di altri servizi potranno deliberare in modo autonomo, nell’ambito della legge nazionale e, con ogni probabilità, la sede burocratica dei servizi locali coinciderà con quella degli attuali capoluoghi di Provincia.
LUSSU dichiara di votare contro la proposta Bozzi.
LAMI STARNUTI volerà contro, perché non è favorevole al mantenimento della Provincia come ente autarchico.
Voterà invece a favore dell’aggiunta proposta dall’onorevole Conti, la quale non fa che spostare all’articolo 1 quello che è dello all’articolo 17.
NOBILE dichiara pure di votare contro.
TOSATO dichiara di votare contro la formula Bozzi ed a favore di quella dell’onorevole Conti, che risponde all’esigenza alla quale si ispirava la sua propria proposta.
Si riserva di insistere quando verrà in discussione l’articolo 17, circa l’opportunità di rendere la Giunta elettiva.
FUSCHINI voterà a favore della proposta dell’onorevole Bozzi, perché ritiene che il mantenimento della Provincia come ente autarchico, invece di danneggiare la Regione, possa giovarle.
MANNIRONI si asterrà dalla votazione, riservandosi di precisare il suo pensiero in sede di discussione dell’articolo 17.
(Non è approvata).
LACONI chiede che la proposta dell’onorevole Conti venga messa in votazione per divisione perché egli, pur non essendo contrario a quanto dispone nella seconda parte, ritiene che essa accenni ad una questione che non ha rilevanza costituzionale.
Quanto alla sua proposta: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Regioni autonome e Comuni», accetta che sia discussa in sede di articolo 2, con la riserva che, se la questione verrà risolta in senso favorevole alla sua tesi, si modificherà conseguentemente l’articolo 1, introducendovi il concetto in essa contenuto.
PRESIDENTE concorda con l’onorevole Laconi.
AMBROSINI, Relatore, chiede che, eliminato l’emendamento Bozzi, sia posto in votazione il testo del progetto, salvo a passare poi all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Conti.
PRESIDENTE pone in votazione la formulazione dell’articolo 1 nel testo proposto dal Comitato:
«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni».
(È approvata).
Invita la Sottocommissione a pronunciarsi sul comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Conti:
«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale».
FABBRI domanda se con ciò si intendano limitare le circoscrizioni amministrative alle sole Provincie, escludendo altre circoscrizioni che, ai fini di altri servizi statali, esistono nel territorio nazionale, come dipartimenti, distretti, circondari, ecc.
PRESIDENTE spiega che la redazione della Costituzione deve rispondere alle domande che sono implicite nella opinione popolare come, ad esempio, quella concernente la questione delle Provincie, mentre non è necessario che consideri le altre circoscrizioni, delle quali nessuno si occupa.
MORTATI pone in rilievo l’importanza dell’osservazione dell’onorevole Fabbri perché, se il testo non fosse chiarito nel senso da lui domandato, si potrebbe pensare che non esistano altri modi di decentrare le funzioni delle Regioni. Mentre è favorevole alla proposta Conti, si riserva di parlare in seguito circa altre possibilità di decentramento.
AMBROSINI, Relatore, ricorda che l’articolo 6 prevede una futura legge che si occuperà del decentramento.
PRESIDENTE avverte che l’emendamento Conti – nel testo proposto originariamente – non faceva altro che ripetere la stessa frase contenuta nel primo comma dell’articolo 17. La Sottocommissione, come è naturale, nel successivo sviluppo del suo lavoro terrà conto delle nuove posizioni raggiunte, e perciò, quando si discuterà l’articolo 17, non mancherà di uniformare la dizione del primo comma a quella ora posta ai voti, sempre che risulti approvata.
Pone in votazione l’aggiunta proposta dall’onorevole Conti:
«La Provincia è una circoscrizione amministrativa di decentramento regionale».
(È approvata).
Dà quindi lettura dell’intero articolo primo così come è stato approvato dalla Sottocommissione:
«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. La Provincia è una circoscrizione amministrativa di decentramento regionale».
Apre ora la discussione sull’articolo 2 del progetto:
«Nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati negli articoli seguenti.
«Alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta ed al Trentino-Alto Adige, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».
NOBILE presenta un emendamento sostitutivo del secondo comma:
«Per le Regioni mistilingui potranno concedersi particolari condizioni di autonomia, con Statuti speciali di valore costituzionale».
Pur riconoscendo che l’idea regionalista non è nuova ed ha avuto in tutti i tempi i suoi sostenitori, ritiene che l’intensità di movimento che ha assunto oggi sia un fenomeno patologico – verificatosi anche dopo la precedente guerra mondiale – di carattere temporaneo, derivante dal collasso morale, economico e sociale del dopoguerra.
È quindi del parere che, tenendo presenti le speciali esigenze politiche del momento, si possano soddisfare le richieste delle popolazioni sarde o siciliane con una larga autonomia temporaneamente concessa, ma è contrario ad affermare nella Costituzione, e quindi in modo permanente, la concessione di autonomie a Regioni che non sono meno italiane di tutte le altre elencate. Ciò costituirebbe, a suo parere, un pericoloso precedente ed una seria minaccia all’unità politica dello Stato.
Riconosce invece l’opportunità di concedere un’autonomia speciale alle Regioni mistilingui di confine.
MANNIRONI propone che, in luogo dell’articolo 2 del progetto definitivo, si prenda in considerazione quello precedentemente proposto dall’onorevole Ambrosini, che non stabiliva in modo così preciso trattamenti preferenziali per determinate Regioni.
Esso era così concepito:
«Nel quadro dell’unità politica dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autonomi dotati di diritti propri secondo i principî fissati negli articoli seguenti, salvo l’attribuzione di una condizione giuridica diversa da farsi con legge di natura costituzionale a talune Regioni in vista della loro situazione particolare».
Pur augurandosi che alla Sardegna venga attribuita l’autonomia più vasta possibile, è del parere che nel testo costituzionale si debba per ora affermare che l’autonomia è concessa in eguale misura a tutte le Regioni; si vedrà in seguito se alle quattro Regioni, elencate nel capoverso dell’articolo 2, sarà opportuno concedere un’autonomia più ampia.
BOZZI domanda al Relatore se gli «Statuti speciali di valore costituzionale» di cui parla, in fine, l’articolo 2, siano gli stessi considerati all’articolo 21 («Lo Statuto di ogni Regione sarà deliberato, in armonia ai principî informatori degli articoli precedenti, dalla rispettiva Assemblea Regionale, e verrà sottoposto alla ratifica del Parlamento»); e, nel caso che non lo siano, se sono concessi dallo Stato o formulali dalle stesse Regioni. Domanda inoltre se le quattro Regioni considerate in modo particolare siano tenute alla osservanza delle leggi fondamentali.
MORTATI chiede al Relatore di precisare meglio se gli articoli 3 e seguenti impegnino anche le Regioni indicate nella disposizione in esame.
FUSCHINI prega il Relatore di dire quali sono le forme e le condizioni particolari di autonomia concesse con Statuti speciali.
RAVAGNAN domanda perché, tra le Regioni alle quali sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, si sia compreso anche il Trentino che, a suo avviso, non ne ha bisogno.
PERASSI fa rilevare che Trentino e Alto Adige costituiscono una sola Regione.
AMBROSINI, Relatore, rispondendo all’onorevole Nobile, osserva che riforme analoghe a quelle che si stanno facendo ora, per quanto in forma diversa, furono auspicate, nel momento in cui si costituì l’unità d’Italia, da Mazzini e da Cavour, e che progetti di legge tendenti a questo scopo furono presentati da Farini e da Minghetti. Ritiene quindi che, se nel momento in cui l’unità d’Italia poteva essere in pericolo sommi costruttori di essa non esitarono a fare proposte in tal senso, oggi non si debba nutrire alcuna delle preoccupazioni fatte presenti dall’onorevole Nobile; si potrà, se mai, discutere sui miglioramenti da apportare al sistema tecnico di applicazione del progetto.
Fa rilevare all’onorevole Mannironi che – pur avendo sempre tenuto presente l’indicazione tassativa contenuta nell’ordine del giorno Piccioni, approvato dalla Sottocommissione – egli aveva, nella seconda parte del testo originario dell’articolo 2, prospettata dal punto di vista generale la opportunità che si attribuisse una particolare forma di autonomia a talune Regioni. Aderì subito all’idea dominante in seno al Comitato di fare nella Costituzione un esplicito richiamo alle quattro Regioni (Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige) per determinarne senz’altro la condizione particolare. Si opponevano a tale indicazione tassativa alcuni Commissari – tra cui l’onorevole Einaudi – manifestando il dubbio che con ciò si potesse precludere ad altre Ragioni, che potessero venire a trovarsi in condizione diverse dalle altre, la possibilità di chiedere ed ottenere una forma speciale di autonomia – come era detto più genericamente nel suo progetto originario – una condizione giuridica diversa.
Osserva in proposito – e in tal modo risponde indirettamente al quesito rivoltogli dall’onorevole Bozzi – che il dubbio sollevato dall’onorevole Einaudi può essere diradato, quando si tenga presente che – mentre, a norma dell’articolo 21 del progetto, gli Statuti delle Regioni in generale sono particolareggiatamente preparati, sulla base delle disposizioni della Costituzione, dalle Assemblee regionali e sottoposti alla ratifica del Parlamento – per gli Statuti speciali da attribuire eccezionalmente a talune Regioni occorre, oltre alla richiesta motivata della Assemblea regionale interessata, l’intervento, ed intervento decisivo, del potere costituente, dell’attuale Assemblea Costituente o del futuro legislatore, in veste però di legislatore costituente e non di legislatore ordinario. Come era espressamente chiarito nell’articolo 22 del suo progetto originario, che il Comitato ritenne a maggioranza non necessario, la espressione «valore costituzionale», a cui ha accennato l’onorevole Rozzi, va intesa nel senso che, incidendo la concessione di uno Statuto speciale ad una particolare Regione su quanto è stabilito nella Costituzione, ci vuole una legge di valore costituzionale, approvata cioè dal legislatore costituente, per mettere in essere un tale Statuto speciale.
All’onorevole Fuschini risponde che non è possibile precisare ora quali saranno le forme e le condizioni particolari di autonomia da attribuire eccezionalmente a talune Regioni. Aggiunge che la specialità dello Statuto di queste Regioni, dettato allo scopo di tenere conto delle loro speciali condizioni, non turberà affatto l’organicità, né diminuirà l’armonia del principio dell’autonomia adottato dalla Costituzione: perché è appunto in funzione delle diverse esigenze e delle peculiari condizioni di ogni Regione, cioè dello spirito animatore, che questo principio del sistema deve essere attuato. Fa presente che è appunto in omaggio a tale principio che vengono concesse alla Regione le potestà legislative di cui si parla negli articoli 3 e 4 del progetto. È lo stesso principio, portato su una base più larga e più aderente alla posizione particolare di qualche Regione, che viene attuato quando si prevede la concessione di Statuti speciali. Ricorda in proposito che alla dizione generica dell’articolo 2 del progetto originario «salvo l’attribuzione di una condizione giuridica diversa», ritenne opportuno sostituire nello schema in esame quella più precisa «sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia», la quale dà egualmente la possibilità di prendere in considerazione le situazioni più diverse.
Sull’osservazione dell’onorevole Ravagnan, dichiara che il Comitato ha ritenuto di non allontanarsi, nella formulazione degli articoli, dalle direttive tracciate dalla Sottocommissione, la quale, dopo avere specificatamente discusso anche sulla questione di quelle Regioni, approvò l’ordine del giorno Piccioni, in cui si parla di «Trentino-Alto Adige». Ricorda a questo proposito che nel progetto predisposto dal Prefetto di Bolzano, Consigliere di Stato Innocenti, si prevede la costituzione di un’unica Regione, pur adottandosi delle norme speciali intese a rilevare la differenza fra il Trentino e l’Alto Adige. Comunque non vi è ragione di preoccuparsi, perché la situazione resta impregiudicata. Verrà risolta quando si esaminerà di proposito la situazione di quelle parti del territorio nazionale.
TOSATO, parlando per mozione d’ordine, esprime il parere che per ora si debba limitare la discussione al primo comma dell’articolo 2, perché prima di passare a considerazioni di carattere particolare, quali la concessione di Statuti speciali a determinate Regioni ed il coordinamento di tali Statuti speciali, è necessario fissare il quadro generale delle autonomie.
LACONI è di parere assolutamente opposto a quello dell’onorevole Tosato, perché ritiene che la questione riguardante il trattamento da fare alle quattro Regioni, indicate nel secondo comma dell’articolo 2, sia così singolare da non poter essere condizionata alla soluzione che si riterrà di dare alla questione concernente tutte le altre Regioni, ed anche perché – come ha già rilevato in occasione della presentazione di una sua proposta di modifica dell’articolo 1 – ritiene che il secondo comma dell’articolo 2 sia intimamente collegato con l’articolo 1.
LUSSU prega l’onorevole Tosato di ritirare la sua mozione d’ordine la quale, anziché semplificare il lavoro, minaccia di renderlo più complicato.
TOSATO non insiste nella sua mozione d’ordine.
LUSSU, rispondendo alle osservazioni dell’onorevole Nobile, ricorda anzitutto le benemerenze che i sardi si sono conquistate, battendosi valorosamente contro il tedesco per l’unità nazionale e per la dignità del Paese. Ritiene che la proposta dell’onorevole Nobile – la quale tende a far entrare nell’ordine generale della riforma autonomistica dello Stato la concessione di uno Statuto alla Sicilia ed alla Sardegna – non possa essere presa in considerazione, in quanto costituirebbe, allo stato dei fatti, una complicazione estremamente grave dal punto di vista politico ed una ingiustizia palese dal punto di vista giuridico.
Fa presente che la Sicilia e la Sardegna sono delle isole e, come tali, anche materialmente distaccate dal Governo centrale; onde la necessità di metterle in condizioni di poter funzionare anche in tempi non normali, concedendo loro una particolare forma autonomista.
Esorta a non considerare la questione delle autonomie con spirito semplicistico, perché l’Italia è un Paese eminentemente vario e complesso nelle sue parti.
MORTATI riconosce le difficoltà che il Relatore ha dovuto superare per salvaguardare questa forma di autonomia particolare; ma rileva che, malgrado le spiegazioni date dall’onorevole Ambrosini, i dubbi sorti dalla lettura del testo non sono stati dileguati. Sembrerebbe infatti che, a norma del capoverso dell’articolo 2, tali Regioni potrebbero far valere forme e condizioni particolari di autonomia semplicemente con propri Statuti, i quali sarebbero investiti di valore costituzionale; dal che deriverebbe la conseguenza che le Assemblee regionali potrebbero con un loro decreto modificare la Costituzione.
AMBROSINI, Relatore, risponde che è contrario allo spirito del progetto il pensare che un’Assemblea regionale possa modificare la Costituzione, e ricorda di aver già detto che la norma in questione dovrà essere coordinata con quella dell’articolo 21.
MORTATI replica che in tal caso bisognerebbe dire: «con Statuti speciali approvati con leggi di valore costituzionale».
Passando poi al merito, rileva che – stando a quanto ha detto l’onorevole Ambrosini – si giunge alla conclusione che, per le Regioni alle quali è stata concessa una speciale forma di autonomia, è acquisito il diritto di non riprodurre nei loro Statuti alcuna delle disposizioni stabilite negli articoli 3 e successivi del progetto, mentre egli è del parere che determinati principî fondamentali, che si riflettono sulla struttura stessa dello Stato, debbano essere comuni a tutte le Regioni.
Né, d’altra parte, ritiene che sia possibile ora accettare il principio dell’istituzione di Statuti speciali, senza sapere in qual modo essi si coordineranno con questo progetto. Che questa sia la sede opportuna per fare il coordinamento – delineando un quadro preciso della struttura dello Stato, sia nella configurazione normale che in quella eccezionale – appare chiaramente anche dal testo della legge che approva lo Statuto siciliano, e che affida all’Assemblea Costituente il compito di coordinare tale Statuto con le leggi fondamentali dello Stato.
È quindi del parere che questo articolo si debba esaminare ed approvare in un secondo tempo, quando – stabilito il quadro dell’ordinamento regionale – si potrà vedere con precisione a quali principî sarà possibile derogare in favore di determinate Regioni.
Domanda poi se, con la parola «Statuti», si intenda alludere all’esplicazione dei principî fondamentali della Costituzione, per cui, rientrando essi nei poteri normali dell’autonomia, si potrebbe prescindere dall’approvazione fatta con legge; se invece significhi qualche cosa di diverso, è necessaria una legge costituzionale ed allora si dovrebbe precisare dicendo all’articolo 21: «ratifica per opera di legge».
Si domanda, infine, se non sarebbe più opportuno inserire nella stessa Costituzione, nella parte dedicata alla Regione, disposizioni speciali a favore di singole Regioni. Ritiene altresì che si dovrebbe dare anche ad altre Regioni, oltre quelle indicate nell’articolo 2, la possibilità di domandare uno speciale trattamento.
BORDON ritiene infondate le critiche mosse al progetto ed in particolare quelle riferentisi all’articolo 2.
Fa anzitutto presente che le Regioni sono, sotto molti aspetti, diverse fra di loro; e che specialmente quelle che hanno delle minoranze etniche meritano Statuti particolari.
Circa le osservazioni dell’onorevole Mannironi, ritiene che non sia possibile astenersi per ora dal citare le Regioni a cui sono concessi Statuti speciali, limitandosi ad affermare che tale questione sarà esaminata in futuro: infatti, l’articolo 2 è stato formulato non solo in base ad una realtà scaturita dall’esame approfondito della situazione di fatto, ma anche perché le quattro zone citate e in specie la Val d’Aosta hanno già dei diritti acquisiti, per quanto in stadi diversi.
Invita l’onorevole Nobile, il quale riconosce che le zone mistilingui hanno delle peculiarità tali da meritare una particolare autonomia, a tener presente che non tutte le zone mistilingui possono considerarsi sullo stesso piano ed è quindi necessario fare una distinzione. Non è poi favorevole alla dizione proposta dall’onorevole Nobile, anche perché dalla lettura di essa sembrerebbe che l’autonomia per la Val d’Aosta debba ancora concedersi, il che non è.
Concorda con coloro i quali hanno sostenuto che gli Statuti speciali dovranno inquadrarsi nella futura Costituzione; e, affinché non siano male interpretati i sentimenti autonomistici valdostani, fa presente che il fatto di aver conservato l’uso della lingua francese e affermato il diritto alla propria autonomia non deve far dimenticare il sentimento di italianità degli abitanti della valle, che in tutti i tempi hanno operato a favore della Madre comune. Trova quindi inconcepibile l’affermazione pubblicata su di giornale locale il quale, dopo aver sostenuto che le autonomie regionali costituiscono un errore, conclude domandando l’indipendenza con la garanzia internazionale. Non ritiene che possa reggere una garanzia di tal genere, mentre ritiene doveroso che l’autonomia trovi una garanzia nella Costituzione con una espressa menzione di tale diritto ad uno Statuto speciale.
VANONI, premesso che anche la Provincia di Sondrio ha avuto ed ha tuttora aspirazioni autonomistiche, dichiara che quando si esamina l’articolo 2 del progetto che regola le autonomie regionali dell’intero Stato italiano, ci si deve porre il problema nei suoi termini politici ed economici.
Considerando il problema sotto il primo aspetto, osserva che gli Statuti speciali concessi a talune Regioni sono provvisori – in quanto non ancora sottoposti al vaglio dell’Assemblea Costituente – e devono essere coordinati con le norme della Carta costituzionale. Concorda con l’onorevole Mortati nel ritenere inopportuna la menzione particolare delle quattro Regioni nell’articolo in esame, posto che le situazioni speciali di queste Regioni hanno dato luogo a singoli provvedimenti ancora suscettibili di modificazioni da parte della Costituente; e ritiene che la garanzia di carattere costituzionale, richiesta dall’onorevole Bordon, sia superata dal fatto che la legge stessa sull’autonomia assumerà il carattere di una vera e propria legge costituzionale.
Nei riguardi della Sicilia e della Sardegna, osserva che dovrebbe essere possibile risolvere in modo soddisfacente le esigenze di carattere pratico, particolari di queste Regioni, nel quadro dell’autonomia concessa a tutte le altre Regioni, evitando così una menzione particolare, la quale non farebbe altro che sottolineare il fatto politico che queste due Regioni sono state all’avanguardia del movimento autonomista.
Crede, quindi, che sia opportuno tornare alla formula inizialmente proposta dall’onorevole Ambrosini, la quale prevede «l’attribuzione di una condizione giuridica diversa da farsi con legge di natura costituzionale a talune Regioni in vista della loro situazione particolare».
Ritiene, invece, che meriti considerazione speciale la situazione dello zone mistilingui, e pensa che le esigenze di queste potranno essere tenute presenti quando – contemporaneamente alla Costituzione – si approveranno le leggi per la Val d’Aosta e per l’Alto Adige.
Stima anche pericoloso stabilire in questa sede una graduazione di queste autonomie, sia sotto il profilo politico – perché susciterebbe in tutte le Regioni l’aspirazione ad ottenere, anche senza giustificazioni obiettive, il trattamento più favorevole – che sotto il profilo tecnico, in quanto i limiti dell’autonomia dovrebbero essere stabiliti nell’interesse generale e non caso per caso, di fronte a particolari situazioni.
CONTI riconosce l’opportunità fatta presente dall’onorevole Bordon, che in sede idonea sia chiaramente affermato che lo Statuto speciale per la Val d’Aosta è già in atto; ma è del parere – per l’armonia del testo Costituzionale – che sia preferibile sostituire alla dizione del progetto quella primitiva dell’onorevole Ambrosini.
ROSSI PAOLO si dichiara contrario alla formulazione del progetto che è, a suo parere, pericolosa. Il capoverso dell’articolo 2 dovrebbe, a suo avviso, contenere un limite ed un chiarimento; e perciò ne propone la seguente dizione: «Alle Regioni insulari ed a quelle di confine e mistilingui possono venire attribuite, ecc.», che ritiene non possa dar luogo ad alcun inconveniente, né ad alcuna opposizione, nemmeno da parte dei colleghi che rappresentano le Regioni interessate.
LACONI dichiara che la lettura del capoverso dell’articolo in esame (che fa sorgere la domanda: le Regioni non considerate avranno uno Statuto e, se l’avranno, avrà questo un valore costituzionale?) lo rende sempre più convinto che la distinzione tra le Regioni autonome e le altre Regioni abbia rilevanza costituzionale e debba essere tenuta presente nella formulazione dell’articolo 1.
Sotto una questione puramente formale se ne cela una sostanziale, e cioè l’esigenza per le Regioni particolarmente considerate di avere uno Statuto speciale. La richiesta dell’autonomia regionale deriva dalla constatazione che in Italia esistono oggi non solo particolari condizioni storiche e politiche che inducono alla creazione di un nuovo ente, ma anche particolari necessità che differenziano Regione da Regione.
La Regione è, a suo parere, un congegno che si rende necessario in un determinato momento storico per rimediare ad una data situazione; così, secondo Cavour, Mazzini e Minghetti, la Regione autonoma costituiva, 80 anni fa, il necessario anello di congiunzione tra le vecchie unità statali ed il nuovo stato unitario. Ma oggi, riconosciuta la necessità di introdurre nel nostro ordinamento l’autonomia regionale, questa non si può porre negli stessi termini per tutta l’Italia, ma deve essere adottata in modo da stabilire un punto di collegamento tra quelle Regioni che, o per ragioni geografiche o per il fatto di essere mistilingui, sono rimaste in certo qual modo avulse dal processo di formazione dell’unità d’Italia, e le rimanenti parti dello Stato italiano.
La menzione particolare di alcune Regioni, fatta nel capoverso dell’articolo 2, non è dovuta ad una questione di priorità nell’impostazione del problema autonomistico, ma alla coscienza politica di tale concetto che in esse si è venuta maturando, perché soltanto in queste Regioni la tendenza autonomista ha raggiunto un così elevato grado di maturità e di consapevolezza politica da potersi esprimere compiutamente. Così in Sardegna l’esigenza autonomistica, tramandatasi immutata nel tempo fino ad oggi, non è limitata a particolari correnti politiche, ma è divenuta patrimonio di tutti i partiti ed è connaturata in tutta la tradizione culturale dell’Isola. Non si tratta di rispondere ad esigenze di carattere psicologico, ma di risolvere problemi particolari, i quali richiedono, per la Sicilia e per la Sardegna, una legislazione tutt’affatto speciale. Solo così sarà possibile ottenere che queste Regioni penetrino nel ciclo della vita italiana.
Conclude facendo voti non solo perché, mantenendo il capoverso dell’articolo 2, sia riconosciuto alla Sicilia ed alla Sardegna uno Statuto speciale, ma anche perché, tenendo presenti le particolari esigenze di queste Regioni, si eviti di assimilare il trattamento che ad esse sarà fatto alla soluzione che al problema sarà data nei riguardi delle altre Regioni d’Italia.
AMBROSINI, Relatore, rispondendo anzitutto all’onorevole Rossi, dichiara di non ritenere accettabile la sua proposta, perché la parola «possono» verrebbe ad inficiare quanto già esiste, e cioè gli Statuti per la Val d’Aosta e la Sicilia, i quali non sono provvisori, ma sono acquisiti al diritto positivo italiano, salvo la coordinazione. Ritiene che il legislatore, lo stesso legislatore costituente – e con ciò risponde anche agli onorevoli Vanoni, Mannironi, Mortati e ad altri colleghi – non possa disconoscere quelle posizioni differenziate che esistono nella realtà, e che non sono situazioni di fatto, ma situazioni giuridiche. Si permette di far presente alla Sottocommissione le considerazioni giuridiche e più ancora d’indole politica che consigliano, ed anzi che rendono necessario il mantenimento dello Statuto siciliano, salvo il coordinamento con le norme della Costituzione.
Rileva ancora, rispondendo di nuovo alle considerazioni dell’onorevole Bozzi ed alle preoccupazioni e dubbi sollevati da altri colleghi, che l’espressione: «Statuti speciali di valore costituzionale» non deve essere intesa nel senso che le Assemblee regionali possano darsi gli Statuti che vogliono. La espressione stessa: «Alla Sicilia, Sardegna, ecc. sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia…», precisa che non è la Regione che si attribuisce lo Statuto speciale, ma ad essa è attribuita la forma speciale di autonomia. Chi gliela attribuisce è il potere costituente dello Stato. Ad evitare ogni dubbio, propone che la fine del secondo comma dell’articolo 2, dove si parla di «Statuti speciali di valore costituzionale» si integri con questa dizione: «…Statuti speciali approvati con legge costituzionale».
Conclude insistendo sull’opportunità che, in conformità a quanto la Sottocommissione ha deciso approvando l’ordine del giorno Piccioni, siano tenute presenti nella Carta costituzionale le situazioni particolari della Sicilia, della Sardegna, della Val D’Aosta e del Trentino-Alto Adige, anche in considerazione del fatto che la soppressione di tale precisa indicazione potrebbe dar luogo ad interpretazioni poco benevole.
PRESIDENTE dà lettura di alcune proposte di emendamento all’articolo in esame, trasmessegli da vari colleghi.
Dall’onorevole Laconi:
«Nel quadro dell’unità ed indivisibilità dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autarchici secondo i principî fissati negli articoli seguenti.
«Alle Regioni sono delegati tutti quei servizi statali che possono utilmente essere decentrati secondo la legge sulla riorganizzazione dei servizi dello Stato.
«Alla Sicilia, alla Sardegna, ed alle Regioni mistilingui di confine sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».
Dall’onorevole Mortati:
«Nel quadro dell’unità ed indissolubilità nazionale, le Regioni sono costituite in enti autonomi con poteri e funzioni propri, secondo i principî, generali e speciali, fissati nei seguenti articoli».
Limitatamente al secondo comma, dall’onorevole Bordon:
«Alla Val d’Aosta e alla Regione Tridentina, date le loro condizioni geografiche, economiche e linguistiche, nonché alle Regioni insulari verranno attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».
Dall’onorevole Fabbri:
«Alle Regioni mistilingui di confine, quali la Val d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige, ed a quelle insulari, quali la Sicilia e la Sardegna, sono attribuite, in relazione a queste circostanze, forme ecc.».
La seduta termina alle 20.15.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nile, FoPerassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni e Zuccarini.
In congedo: Calamandrei.
Assenti: Bulloni, Di Giovanni, Einaudi, Farini, Grieco, Patricolo e Porzio.