ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
45.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Autonomie locali (Seguito della discussione)
Presidente – Ambrosini – Perassi – Zuccarini – Lami Starnuti – Lussu – Uberti – Piccioni – Tosato – Bozzi – Mortati – Fabbri – Conti – Nobile – Targetti – Bordon.
La seduta comincia alle 16.45.
Seguito della discussione sulle autonomie locali.
PRESIDENTE invita l’onorevole Ambrosini, Presidente e Relatore del Comitato di redazione per l’autonomia regionale, ad illustrare brevemente il progetto elaboralo da detto Comitato.
AMBROSINI, Relatore, premette che il Comitato, conscio della grave responsabilità che si era assunto, ha proceduto nel suo lavoro con lena, con scrupolo ed in completa concordanza di intenti, in quanto tutti i suoi membri partivano dallo stesso presupposto della concezione e valutazione globale ed unitaria degli interessi nazionali.
Nella sua prima riunione, il Comitato decise di affidargli l’incarico di approntare uno schema articolato; il che egli cercò di fare, tenendo obiettivamente presenti l’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni, approvato alla quasi unanimità dalla Sottocommissione, ed inoltre i risultati della preventiva ampia discussione generale. Per riflettere le varie tendenze manifestatesi durante questa discussione su taluni punti più controversi, egli prospettò la possibilità delle diverse soluzioni con «varianti» aggiunte al testo di parecchi articoli del suo stesso progetto. A questo primo progetto seguirono gli emendamenti dell’onorevole Grieco ed i progetti degli onorevoli Zuccarini e Lami Starnuti. È opportuno far presente a questo proposito che, prima ancora di decidere del metodo da seguire nell’esame dei vari progetti, l’onorevole Zuccarini – riprendendo un argomento che aveva già sostenuto nella Sottocommissione – sollevò la pregiudiziale della opportunità di impostare la riforma su di un altro piano, ponendo il Comune, anziché la Regione, come substrato ed elemento primo da prendersi in considerazione per la nuova riorganizzazione dello Stato. Diverso avviso manifestò il Comitato, che dopo ampio esame decise di prendere come base di discussione il progetto che egli come Relatore aveva formulato e presentato; e ciò anche per la ragione che, mentre esisteva una differenza di impostazione dal punto di vista strutturale tra questo e quello dell’onorevole Zuccarini, tale differenza non c’era tra lo stesso ed i progetti degli onorevoli Grieco e Lami Starnuti, che tutti si imperniano sull’ente Regione.
Venendo a parlare delle disposizioni approvate, informa che sull’articolo 1: ripartizione del territorio della Repubblica in Regioni, Province e Comuni, oppure soltanto in Regioni e Comuni – non ci fu lunga discussione, perché la questione della Provincia fu inizialmente accantonata e decisa alla fine.
Molto discussi furono invece gli articoli 2 a 4.
Sull’articolo 2, riguardante la configurazione giuridica delle Regioni, vi era stato l’accordo al momento della votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni; ma le difficoltà rinacquero quando si passò alla concretizzazione del sistema ed alla formulazione della norma giuridica.
Di fronte alle due correnti opposte – quella degli onorevoli Lussu, Zuccarini e Bordon, che partivano da una concezione molto spinta del regionalismo, e l’altra, dell’onorevole Lami Starnuti, che concepiva le Regioni soltanto come enti autarchici – egli, come Relatore, aveva affermato (ritenendo in ciò di rispecchiare il pensiero della maggioranza della Sottocommissione) un sistema intermedio, proponendo che le Regioni venissero costituite in enti autonomi dotati di poteri propri superiori a quelli degli enti autarchici. Ed in tal senso decise la maggioranza del Comitato, approvando il primo comma dell’articolo 2 del progetto.
Quanto al secondo comma dello stesso articolo – ove si prevede l’attribuzione di una condizione giuridica diversa, da farsi mediante leggi di valore costituzionale, a talune Regioni, in vista di particolari situazioni già poste in luce nella Sottocommissione – sorse nel seno del Comitato il quesito se non fosse più opportuno, ad evitare che altre Regioni potessero poi avanzare eguali pretese, arrivare ad una indicazione tassativa di quelle che potessero fruire di questa speciale condizione giuridica di autonomia. Una decisione in questo senso fu adottata a maggioranza, nonostante l’opposizione di chi riteneva che non fosse giusto precludere ad altre Regioni la possibilità di chiedere, ove ricorressero particolari circostanze, una medesima forma di autonomia.
Aggiunge, per la completezza dell’informazione, che l’onorevole Grieco aveva propugnato, nel suo emendamento, la costituzione di due categorie di Regioni: le Regioni in generale, con lo status di enti autarchici, e le Regioni alle quali si sarebbe attribuita l’autonomia, Regioni che l’onorevole Grieco indicava tassativamente: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige. Il Comitato accedette, siccome si è detto, a questa ultima proposta di indicazione tassativa, attenendosi però sul piano generale al sistema del progetto del Relatore, di attribuzione dell’autonomia a tutte le Regioni in genere e di una particolare forma di autonomia alle suddette Regioni tassativamente indicate.
Passando a parlare dell’articolo 3, riguardante la potestà legislativa che dovrebbe competere alle Regioni per determinate materie di interesse locale, rileva che su tale norma si accesero le discussioni più animate, in quanto – oltre alla proposta dell’onorevole Lami Starnuti che dava alla Regione la potestà normativa per l’attuazione delle leggi dello Stato in conformità alle speciali esigenze locali, ed a quella dell’onorevole Grieco che attribuiva la potestà legislativa di integrazione – c’era anche la proposta di più spinto regionalismo dell’onorevole Zuccarini, assecondato dagli onorevoli Lussu e Bordon, il quale al paragrafo 29 del suo schema affermava che all’Assemblea regionale si dovesse attribuire la legislazione su tutte le materie che la Costituzione non avesse già riservato allo Stato; sistema quest’ultimo che sostanzialmente può essere od apparire eguale o simile a quello federalistico.
Egli, come Relatore, aveva proposto un sistema intermedio; e nello stesso senso si pronunziò la maggioranza del Comitato, adottando la formula dell’articolo 3 del progetto. Tiene peraltro a far rilevare come al primitivo testo, il quale diceva che la potestà legislativa della Regione dovesse esplicarsi in armonia con la Costituzione, si appose, dietro sua proposta, l’aggiunta: «e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato». A maggiore garanzia della compagine unitaria della legislazione nazionale, e per infrenare l’eventuale azione dell’Assemblea regionale che straripasse dai limiti della sua competenza e minacciasse di ledere gli interessi delle altre Regioni o dello Stato, propose un’altra aggiunta: «e nel rispetto degli interessi delle altre Regioni e dello Stato in generale», che più sinteticamente fu ridotta nell’espressione: «e nel rispetto degli interessi nazionali», e fu approvata dal Comitato.
Giova frattanto rilevare che il disposto dell’articolo 3 deve essere riguardato in connessione con gli articoli 8 e 12.
Circa il primo di questi, mette in evidenza che la norma del capoverso, con cui si esclude l’istituzione da parte della Regione di dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, fu approvata – su proposta degli onorevoli Codacci Pisanelli ed Einaudi – allo scopo di impedire l’adozione di qualsiasi provvedimento o norma che contrasti con la necessaria libera circolazione interregionale.
L’altra disposizione che integra l’articolo 3, cioè quella dell’articolo 12, costituisce forse il punto più importante e delicato di tutta la riforma.
Personalmente, pur avendo propugnato la istituzione dell’ente regionale, con poteri su per giù identici a quelli che sono consacrati nel progetto, ha sempre avvertito la necessità di un sistema di coordinazione fra il potere legislativo della Regione o quello dello Stato.
Per questa ragione ritenne di sottoporre al Comitato ben quattro congegni diversi in tema di intervento del potere centrale, come rimedio rispetto all’attività dell’Assemblea regionale, che sconfinasse dai limiti della sua competenza o portasse eventualmente nocumento all’interesse delle altre Ragioni o dello Stato in generale.
Espone quindi il sistema prescelto dal Comitato, a maggioranza: i disegni di legge votati dall’Assemblea regionale devono essere comunicati al Governo ed acquistano valore di legge se, entro un mese da tale comunicazione, esso non faccia alcuna osservazione. Qualora invece ritenga che tali disegni di legge eccedano dai limiti della competenza della Regione o contrastino con l’interesse dello Stato o di altre singole Regioni, il Governo li rimanda all’Assemblea regionale, la quale può riprenderli in esame e farli diventare legge, approvandoli con una maggioranza qualificata. Circa l’entità di tale maggioranza, fa presente di avere inizialmente proposto un numero di voti che raggiungesse la maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea e i due terzi dei votanti. Senonché l’onorevole Lami Starnuti, seguito dalla maggioranza del Comitato, si oppose alla determinazione di questa seconda maggioranza qualificata, sostenendo che avrebbe importato pretendere troppo dall’Assemblea; e si venne così nell’ordine di idee di prescrivere unicamente la maggioranza assoluta dei voti dei membri dell’Assemblea. Resta al Governo il diritto di ricorrere alla Corte costituzionale per chiedere l’annullamento totale o parziale dei provvedimenti legislativi in questione.
Riservandosi di ritornare su questo punto, rileva che, con la terz’ultima delle «varianti» da lui stesso proposte, prospettava la distinzione fra le questioni di legittimità e quelle di merito, demandando le prime alla decisione della Corte costituzionale, e le seconde alla decisione del Parlamento Nazionale.
Concludendo sull’argomento, esprime la personale convinzione che quest’ultimo sistema è tale da dover fare scomparire molte prevenzioni contro il progetto in genere, giacché concilia gli interessi della Regione con quelli del potere centrale.
Tornando alle prime disposizioni, informa che sull’articolo 4 non si manifestarono contrasti, concordando in esso anche l’onorevole Grieco, il quale anzi aveva proposto di inquadrare in questo articolo tutta la potestà legislativa della Regione. Restò soltanto la riserva di principio dell’onorevole Lami Starnuti. Esso articolo attribuisce alla Regione la potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con legge dello Stato per le materie appresso indicate.
L’articolo 5 attiene alle facoltà della Regione di proporre leggi al Parlamento Nazionale, e alla sua funzione consultiva relativamente ai provvedimenti governativi o ai disegni di legge che la interessano particolarmente.
L’articolo 6, relativo alla funzione amministrativa della Regione, fu approvato all’unanimità; ma potrà tuttavia dar luogo a discussioni, in quanto non si limita ad attribuire alla Regione tale funzione per le materie di sua competenza legislativa, ma anche per quelle di competenza dello Stato e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione, in conformità ad un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge.
Queste materie, che è opportuno siano dallo Stato devolute alla Regione per decongestionare le amministrazioni centrali ed evitare tutti quegli inconvenienti che da tempo si sono lamentati, non dovranno essere specificate nella Costituzione. Per ora basta affermare il principio. Si potrà dopo procedere, da parte della stessa Assemblea Costituente o del futuro Parlamento, alla trattazione e sistemazione particolareggiata del complesso argomento.
Fa presente il rilievo autorevolmente fatto, che possono esservi Regioni che non sentano il bisogno o non abbiano la forza di assumere tutte le funzioni di cui si parla nelle norme suindicate del progetto e che perciò si potrebbe adottare un temperamento, nel senso che l’attribuzione alla Regione delle singole competenze prescritte potrebbe avvenire in seguito a richiesta dell’organo competente della Regione, e precisamente dell’Assemblea regionale; il che consentirebbe di procedere in modo graduale ad una così fondamentale riforma dell’organizzazione statale.
L’articolo 7, che riguardava la partecipazione della Regione alla formazione della seconda Camera, fu sospeso, ritenendosi più opportuno che la materia venga trattata nella parte della Costituzione che si riferisce a quella Camera.
L’articolo 8 riguarda l’autonomia finanziaria della Regione. Il Comitato la affermò, ma ritenne che dovesse essere coordinata con la finanza dello Stato e quella dei Comuni. In questo senso è redatto il primo comma, che venne approvato a maggioranza, opponendosi la minoranza a questa limitazione da essa ritenuta lesiva del principio stesso dell’autonomia.
Il secondo comma, relativo, siccome si è detto, alle misure tributarie che possano importare una diminuzione della libera circolazione interregionale, fu approvato all’unanimità.
Nell’articolo 9 si prevedono gli organi della Regione: 1°) l’Assemblea regionale; 2°) la Deputazione ed il Presidente regionale. Riguardo alla formazione dell’Assemblea rende noto che ci fu disparere nel Comitato se dovesse essere eletta con un unico sistema, cioè a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, o con un sistema misto risultante da questo tipo di suffragio o dall’altro basato sulla rappresentanza professionale. Personalmente riteneva preferibile il doppio sistema; ma la maggioranza andò in contrario avviso ed adottò il principio del sistema unico.
Alquanto dibattuto fu l’articolo 11, riguardante il Presidente regionale, in quanto l’onorevole Grieco proponeva il cumulo di tale carica con quella del Presidente dell’Assemblea regionale. Il Comitato decise a maggioranza di mantenere il sistema del progetto, cioè della divisione delle due cariche.
Dei rapporti fra Stato e Regione ha già detto parlando dell’articolo 12. Aggiunge che, oltre alla interferenza del potere centrale sull’attività legislativa della Regione, si è prevista anche l’interferenza dello stesso per quanto si attiene all’esistenza dell’Assemblea regionale, ammettendo con l’articolo 13 che il Presidente della Repubblica possa sciogliere l’Assemblea regionale ove questa assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale, ed in caso di gravi e reiterate violazioni della legge. Affinché non si veda in ciò una limitazione dell’autonomia regionale, si sono introdotte delle cautele, nel senso che il decreto di scioglimento, del Presidente della Repubblica, deve essere motivato ed emesso su parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale.
Ricordato che alla Regione possono essere affidate, per l’esecuzione, materie di competenza dello Stato, illustra l’articolo 14, in cui si adotta un sistema misto di coesistenza nel capoluogo della Regione: 1°) del Presidente della Deputazione, investito, oltre che della naturale rappresentanza della Regione, anche di quella del potere centrale dello Stato per le materie da questo delegate alla Regione per l’esecuzione; 2°) di un Commissario governativo per le funzioni non delegate alla Regione. Richiama l’attenzione sul fatto che nel suo progetto aveva presentato i due sistemi in modo alternativo: l’uno come principale, l’altro come «variante». Viceversa il Comitato ritenne di adottarli contemporaneamente. Per quanto lo riguarda, rileva che finì per convincersi che in realtà non c’era contrasto fra le due proposte, in quanto la rappresentanza affidata al Presidente della Regione si limita alle materie che sono di competenza dello Stato, e che dallo Stato sono affidate alla Regione per l’esecuzione, mentre il Commissario del Governo avrebbe la piena rappresentanza del Governo per quelle materie che restano di competenza dello Stato, non solo per l’emanazione delle norme giuridiche, ma anche per l’esecuzione.
Sente però il dovere di informare la Sottocommissione che i pareri di alcuni Commissari al riguardo si manifestarono discordi. L’onorevole Grieco propendeva per attribuire la rappresentanza del Governo interamente al Presidente della Deputazione, onde aumentarne il senso di responsabilità; altri volevano istituire nella Regione un rappresentante del Governo dotato di ampi poteri. L’onorevole Lami Starnuti, in proposito, proponeva nell’articolo 21 del suo progetto: «In ogni capoluogo di Regione ha sede un Consigliere di Stato. Egli simboleggia la concezione unitaria della Repubblica; rappresenta il Governo; vigila sull’ordine pubblico; sovrintende agli uffici governativi della Regione; comanda le forze di polizia dello Stato; sorveglia all’applicazione e al rispetto delle leggi». Prevedeva quindi nell’articolo successivo altre attribuzioni del Consigliere di Stato, specie riguardo alla facoltà di chiedere alla Corte delle garanzie costituzionali l’annullamento delle norme regionali o comunali che fossero contrarie alla Costituzione o ad una legge dello Stato. Il Comitato finì per adottare il sistema misto sovra indicato.
Con l’articolo 15 si attribuisce al Presidente della Repubblica la facoltà, non di rimuovere dalla carica il Presidente della Deputazione, ma di segnalare l’opportunità della sua sostituzione all’Assemblea regionale.
Argomento molto dibattuto fu quello della Provincia. Solo dopo lunghissima discussione si decise di sopprimerla come ente autarchico, e di mantenerla come circoscrizione amministrativa di decentramento regionale.
Il Comitato venne altresì nella determinazione di consentire la suddivisione della Provincia stessa in Circoscrizioni minori, simili a quelle degli antichi circondari, venendo così incontro ad una esigenza caldeggiata da molti, quella di avvicinare gli uffici pubblici alle popolazioni interessate, specie dei piccoli centri, le quali incontrano maggiori difficoltà e perdita di tempo e spese rilevanti per il disbrigo delle loro pratiche nelle città.
Il Comitato approvò la proposta dell’onorevole Uberti di istituire una Giunta in ogni Circoscrizione provinciale. Vivace fu il dissenso intorno alle modalità della sua costituzione: alcuni proponevano che venisse composta da delegati dei Comuni, altri che fosse eletta dall’Assemblea regionale, altri ancora dai Comuni per delega della Regione. Al riguardo non si giunse ad alcun accordo.
Per i Comuni (art. 18) fu approvato il principio della piena autarchia. Il Comitato tenne anche ad affermare esplicitamente il principio che soltanto la volontà delle popolazioni interessate potrà determinare la modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti o la creazione di nuovi Comuni.
Disputatissima fu la materia dei controlli (art. 19). Il Comitato, a maggioranza, decise che dovessero limitarsi alla legittimità, facendosi luogo ad un controllo di merito soltanto per le deliberazioni che impegnino il bilancio dell’ente oltre i cinque anni in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie, ed ove il corpo deliberante non abbia deciso di sottoporre la sua deliberazione a referendum popolare. Non si raggiunse l’accordo circa l’organo a cui demandare il controllo. In proposito si profilavano due tesi: che fosse composto solo in maggioranza da elementi elettivi, ovvero che tutti i suoi membri fossero elettivi. Parlando a nome personale e non come Relatore, tiene a rilevare l’opportunità ed anzi la necessità che dell’organo di controllo facciano parte elementi tecnici e funzionari, in quanto questi hanno quella competenza specifica che possono non avere gli elementi elettivi.
Dopo un accenno al contenuto degli articoli 20 e 21 del progetto, passa ad occuparsi dell’articolo 22, riguardante la questione contrastatissima del numero delle Regioni. Vi erano, al riguardo, diverse proposte avanzate da alcuni Commissari, nonché segnalazioni e richieste specifiche di enti e di personalità qualificate, per la costituzione di altre Regioni, oltre le storiche. Il Comitato, in mancanza degli elementi necessari per una ponderata decisione in merito, preferì attenersi al criterio della tradizionale ripartizione geografica dell’Italia, non precludendo tuttavia, per un’esigenza di giustizia, la possibilità alle popolazioni interessate di chiedere, mediante deliberazione della maggioranza dei rispettivi Consigli comunali, il distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra o la costituzione di una nuova Regione.
Circa le norme transitorie, fa presente che fu approvata all’unanimità quella dell’articolo 24, relativa all’applicazione graduale del passaggio delle funzioni dallo Stato alla Regione. L’urgenza di presentare il progetto non consentì di decidere sulla proposta dell’onorevole Lami Starnuti relativamente alla disciplina dell’amministrazione locale nel periodo tra l’entrata in vigore della Costituzione e quella della futura nuova legge sugli enti locali.
Conclude la sua relazione ringraziando la Sottocommissione della fiducia accordata al Comitato, ed esprimendo il suo compiacimento per il fatto che il lavoro si è svolto sempre nella più completa concordia di intenti, senza che da parte dei Commissari si sia mai arrivati, pur nella trattazione delle questioni più controverse, ad irrigidimenti nelle rispettive posizioni, tali da intralciare la prosecuzione dei lavori od impedire che si portassero alla conclusione con larga maggioranza di consensi.
Desidera altresì riaffermare che tutti hanno sentito la costante preoccupazione di risolvere il problema regionale non dal punto di vista particolaristico dell’interesse della Regione, ma in funzione dell’interesse generale dello Stato. Formula quindi l’augurio, che è anche la sua convinzione, che la riforma servirà, oltre che al potenziamento delle Regioni, anche e sovrattutto alla maggiore saldezza dello Stato, al quale le ravvivate energie locali daranno il loro più volenteroso apporto per un più attivo e disciplinato sforzo ai fini del comune interesse unitario in quest’ora decisiva per la ripresa economica e la ricostruzione politica e morale del Paese.
PRESIDENTE ringrazia l’onorevole Ambrosini e, prima di iniziare l’esame del progetto, propone, allo scopo di rendere più solleciti i lavori, di fissare i seguenti criteri, richiamandosi alle norme regolamentari: 1°) gli emendamenti debbono essere presentati per iscritto; 2°) ciascun Commissario non potrà parlare più di una volta su ciascun argomento; 3°) ogni intervento dovrà essere limitato nel tempo.
Avverte inoltre che, essendosi già ampiamente discusso della riforma nelle prime riunioni della Sottocommissione, la discussione generale va considerata chiusa, salvo eventuali dichiarazioni degli altri presentatori di relazioni, e si passa senz’altro all’esame degli articoli del progetto.
(Così rimane stabilito).
PERASSI aggiunge che, a suo avviso, la discussione potrebbe limitarsi alle questioni di sostanza, rimandando ad un secondo momento quelle di pura forma. Il progetto potrebbe poi tornare al Comitato per l’ultima rifinitura dal punto di vista formale.
ZUCCARINI premette che all’onorevole Ambrosini deve essere riconosciuto il merito di avere lavorato, a determinare l’accordo sul progetto presentato alla Commissione, con una passione e uno zelo e anche uno spirito di sacrificio, per il tempo che ha dovuto impiegarvi e per le difficoltà che ha dovuto superare, degno di ogni encomio. Desidera però porre in chiaro che sul progetto stesso l’accordo non può considerarsi raggiunto; che esso costituisce una specie di transazione e che il suo dissenso, con quello di altri colleghi, sul punto di partenza e sulle conclusioni, rimane ed è veramente sostanziale.
Tale dissenso si presentò chiaro appena l’onorevole Ambrosini presentò il suo progetto primitivo. E fu allora che egli si decise a presentare un progetto suo. Per lo stesso motivo ne presentò un altro l’onorevole Lami Starnuti, e l’onorevole Grieco fece alcune sue proposte. Nello schema che egli personalmente ha elaborato si giunge alla creazione dell’ente Regione in modo del tutto diverso, così come del tutto diversa è la concezione generale dell’organizzazione e del funzionamento dello Stato che si presuppone.
Egli pensa che la Regione non debba essere una concessione dall’alto, così come invece si realizzerebbe in base alle proposte del Relatore. Il problema della Regione non è un problema secondario, ma veramente fondamentale giacché investe tutta l’organizzazione dello Stato.
Osserva che la Costituente è chiamtla ad elaborare la struttura del nuovo Stato dopo un duplice esperimento: dello Stato liberale e dello Stato fascista, e che i termini in cui il problema si pone e deve essere risolto sono nel conseguire una effettiva sovranità popolare, nell’avere assemblee legislative che siano in grado di funzionare utilmente, nel creare le condizioni per le quali il Governo abbia, insieme, il massimo di autorità e di capacità, e nel realizzare un sistema che non consenta al potere esecutivo di diventare dispotico ed arbitrario. La soluzione regionale deve servire appunto a tali scopi. Si realizza, infatti, con essa una maggiore e più effettiva sovranità popolare con una partecipazione più larga e diretta dei cittadini alla direzione dei pubblici affari, riportando così la risoluzione dei problemi locali e regionali dal centro alla periferia. Si diminuisce inoltre il lavoro legislativo, lo si semplifica, lo si rende più efficace. Quanto più limitato resterà il campo di competenza del potere centrale e più definiti, semplici e precisi i suoi compiti, tanto più il Governo potrà far sentire la sua autorità e accrescere il suo prestigio. L’istituzione dell’ente Regione infatti non deve considerarsi solo come un semplice decentramento burocratico, ma come un vero e proprio passaggio di poteri dal centro alla periferia, e come una limitazione delle funzioni del potere centrale. La sua importanza e la sua efficacia devono essere considerate anche in relazione al suo compito di formazione della seconda Camera come Assemblea equilibratrice e regolatrice nel campo legislativo in un sistema di autonomie che servirà anche a garantire contro la possibilità di un Governo dispotico e autoritario: altro scopo a cui, dopo l’esperienza fascista, si deve mirare.
Il progetto che egli ha redatto, come è stato accennato dall’onorevole Ambrosini, mira in special modo alla valorizzazione del Comune, che viene posto come elemento primo, anzi come punto di partenza, per la riforma dell’organizzazione statale in senso democratico.
A proposito del Comune rileva come il problema della sua autonomia sia stato sempre agitato in Italia, ma non mai affrontato e risolto. Si tratta di un problema essenziale per la vita democratica dello Stato. L’elettorato per se stesso non risolve il problema della sovranità popolare, la quale quanto più si eserciterà direttamente – e, perché si eserciti, la sede più idonea è certo il Comune – tanto più si estrinsecherà in modo effettivo, affinando maggiormente il senso di responsabilità del cittadino.
Sempre a proposito del Comune, ricorda che uno degli errori del periodo prefascista fu, oltre all’intervento del potere esecutivo nelle amministrazioni comunali, la uniformità della legge e l’unicità del regolamento che fissavano la stessa struttura, gli stessi uffici, lo stesso funzionamento e gli stessi compiti per qualsiasi Comune, per la grande città come per il più piccolo borgo rurale. A quello delle autonomie comunali, questione agitata nel periodo prefascista per vari decenni, si ricollega il problema dell’autonomia degli enti assistenziali di beneficenza e di previdenza i quali, soprattutto durante il fascismo, dalle ingerenze del potere esecutivo sono stati ridotti in condizioni disastrose.
Stabilito ciò che il Comune deve essere, si dovrebbe passare alla Regione, la quale non deve essere considerata come un organo dello Stato, ma come una unione di Comuni. Dal Comune alla Regione e dalla Regione allo Stato: ecco la tesi che egli sostiene, sostanzialmente diversa da quella di coloro che vorrebbero andare dal centro alla Regione e da questa arrivare al Comune. Fra il Comune e la Regione potranno, anzi dovranno, sorgere degli altri organi naturali. A tal proposito osserva però che il mantenimento della Provincia, così come è, creerebbe una complicazione amministrativa, oltre che servirebbe a moltiplicare gli uffici burocratici: il contrario, cioè, di quella semplificazione che è uno degli scopi a cui si mira. Gli organi intermedi potranno invece sorgere naturalmente e rispondere così ad esigenze sentite localmente; difatti la Provincia può alle volte risultare anche una circoscrizione naturale, o esserla diventata; spesso è però una costruzione arbitraria e artificiosa. Al capoluogo del Circondario – ed egli prevede nel suo progetto due circoscrizioni intermedie: Circondari di vicinanza e provinciali – si può arrivare invece per libera scelta dei Comuni.
Altra cosa che non può approvare nel progetto presentato è l’intervento di potere esecutivo previsto negli affari della Regione e particolarmente la creazione, accanto al Presidente regionale, di un Commissario governativo e la presenza di altri organi del Governo, laddove, a suo avviso, si deve mirare a creare con la Regione non un organo di più nella complicata macchina dello Stato, ma l’inizio di una trasformazione organica, nel senso di ottenere una maggiore democrazia e una partecipazione più diretta dei cittadini alla cosa pubblica, e insieme una migliore ripartizione di compiti, riservando alla Regione tutta quella parte della legislazione che ha un carattere particolare. Solo in questo modo si può sperare che le Assemblee legislative nazionali divengano organi veramente efficienti.
Un’altra sua preoccupazione nella redazione del suo progetto era quella d’inquadrare le autonomie della Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige nel sistema generale. A suo avviso gli Statuti di queste Regioni non debbono costituire una cosa a sé, giacché così si dividerebbe davvero l’Italia in due, anzi in più sistemi costituzionali. Il dare a certe Regioni quello che poi si negherà ad altre non rappresenta certamente un contributo alla unità ed alla solidità dell’ordinamento politico. Sarà invece un indebolimento. Significherà introdurre nell’interno dello Stato un seme di disgregazione e di contrasti avvenire.
Aggiunge che, per questa preoccupazione unitaria, nel suo progetto ha consideralo le minoranze etniche. Crede infatti che anche nei loro riguardi occorra dire una parola, per modo che la Costituzione diventi un insieme di norme eguali per tutto il Paese, rispondenti anche alle esigenze di libertà e di autonomia delle minoranze che resteranno entro i nostri confini.
Bisogna risolvere questo problema delle minoranze non già con leggi particolari diverse da una zona all’altra, ma in linea generale per tutte le Regioni e per tutte le situazioni; per quelle che ci sono e per quelle che ci potranno essere. Si darà in tal modo, anche di fronte all’estero, la più ampia garanzia di un regime di libertà, di cui potranno godere i cittadini di altra nazionalità che domani dovessero rimanere inclusi nel territorio italiano. Si darà pure prova di obiettività e di giustizia, in quanto non si faranno eccezioni per determinate popolazioni, ma si sanciranno nella Costituzione principî identici per tutti i cittadini, qualunque sia la loro origine, la loro lingua, la loro provenienza.
Ha desiderato fare queste precisazioni, sia perché non si pensi che, partecipando alla redazione del progetto che viene ora presentato, egli abbia rinunciato alla sua particolare concezione dell’ordinamento statale, sia per giustificare i suoi successivi interventi nell’esame e nella discussione dei singoli articoli.
LAMI STARNUTI riconosce che la relazione dell’onorevole Ambrosini ha posto in luce con chiarezza e fedeltà i contrasti manifestatisi in seno al Comitato di redazione.
Senza esporre lo schema che ha presentato, desidera sottolineare le divergenze tra il suo punto di vista e quello del Relatore onorevole Ambrosini, che possono racchiudersi in due ordini di idee: 1°) secondo il Relatore la Regione dovrebbe sorgere come ente di piena autonomia; secondo la sua concezione, invece, come ente di decentramento autarchico territoriale; 2°) nel suo schema egli parte dal presupposto di dare agli enti locali una libertà maggiore di quella risultante dal progetto Ambrosini, approvato a maggioranza dal Comitato.
Comunque, si riserva di precisare meglio il suo punto di vista in sede di discussione e di votazione degli articoli.
LUSSU conferma la dichiarazione, fatta a suo tempo alla Sottocommissione, di adesione ad una concezione federalistica dello Stato. Senza rinunciare al suo punto di vista, riconosce tuttavia che oggi la questione federalistica – come già ebbe a dire – non è attuale, cioè non è politica. Perciò ha collaborato in seno al Comitato con spirito di realizzazione, rinunciando a presentare una sua relazione ed uno schema di organizzazione federale dello Stato. Non ha potuto accettare l’ordine d’idee dell’onorevole Zuccarini, il quale, nel suo progetto, parte dal Comune, perché, pur riconoscendo la intelligenza politica con cui quel progetto è formulato, lo considera interessante dal punto di vista teorico, ma non corrispondente alle esigenze della riforma dell’organizzazione statale. Occorre tener presente che il Comune esiste da secoli, mentre la Regione non esisteva che nella sua configurazione geografica ed economica, sì che la nuova configurazione, la quale risponde a vecchie aspirazioni, doveva essere consacrata nella Costituzione.
Si duole di aver trovato i rappresentanti del Partito comunista piuttosto ostili per principio all’organizzazione autonomistica dello Stato, e deve aggiungere che lo ha sorpreso il fatto che elementi politici di tendenze opposte al Partito comunista fossero dello stesso avviso. Questa diffidenza dei comunisti verso la trasformazione autonomistica dello Stato è, a suo parere, un errore politico evidente, soprattutto ove si consideri la vita del Paese attraverso la sua evoluzione storica e politica.
Non si può, ad esempio, negare l’esigenza autonomistica del Mezzogiorno, perché è solo attraverso l’autonomia che esso potrà realizzare quella democrazia che non ha mai conosciuto, e che le sue masse più arretrate potranno partecipare per la prima volta direttamente alla vita dello Stato. Il fatto stesso che il Mezzogiorno sia in condizioni così arretrate, dimostra che vi sono nello Stato, come è attualmente organizzato, delle zone che sfuggono al progresso generale.
PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 1, di cui dà lettura:
«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni».
Avverte la Sottocommissione che sono state già presentale due proposte di emendamento. La prima, dell’onorevole Bozzi, è del seguente tenore: «Il territorio dello Stato è ripartito in Comuni, Provincie e Regioni»; la seconda, dell’onorevole Tosato, firmata anche dagli onorevoli Fuschini, Mannironi, Cappi, De Michele e Codacci Pisanelli, suona così: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».
UBERTI nota che la disposizione dell’articolo 1 si ricollega a quella dell’articolo 17 concernente le Provincie come circoscrizioni amministrative di decentramento regionale. Propone quindi di differirne l’esame a quando verrà in discussione lo stesso articolo 17.
PRESIDENTE ritiene preferibile procedere in maniera inversa: affrontare, cioè, subito la questione che riveste una importanza fondamentale.
Dà notizia di altri emendamenti pervenuti nel frattempo.
L’onorevole Laconi propone la formula: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Regioni autonome e Comuni».
L’onorevole Conti propone: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale».
Un emendamento proposto dall’onorevole Mortati è così formulato: «Elementi costitutivi dello Stato sono le Regioni e i Comuni».
Infine un emendamento proposto dall’onorevole Fabbri è del seguente tenore: «Il territorio dello Stato è ripartito in enti autonomi, costituiti da Regioni e Comuni. La legge determina e regola i poteri e le funzioni delle Regioni e dei Comuni, nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato».
Rileva che la questione che si prospetta appare evidente: decidere, cioè, se la Provincia debba o non debba continuare ad esistere come ente autarchico. Invita i colleghi ad esprimere il loro avviso su questo argomento, prescindendo dalle varie formulazioni proposte.
PICCIONI crede che il sistema di anticipare la discussione che dovrebbe svolgersi sull’articolo 17 non sia conforme ad uno sviluppo logico, perché la questione della Provincia si presenterà nei suoi termini più precisi ed organici quando si sarà determinata esattamente l’essenza dell’ente Regione.
PRESIDENTE non ha personalmente nulla in contrario a seguire questo procedimento, per quanto debba osservare che ogni Commissario ha già, indubbiamente, le sue opinioni su tutte le questioni che dovranno decidersi.
TOSATO mette in evidenza che la sua proposta di emendamento non implica alcuna decisione circa il riconoscimento dell’autonomia della Provincia. Nell’articolo 1 del progetto del Comitato si parla semplicemente di ripartizione in Regioni e in Comuni, senza precisare se le une e gli altri debbano essere autonome e con personalità giuridica. Si tratterebbe dunque soltanto di una indicazione di carattere generale.
BOZZI illustra i motivi del suo emendamento, rilevando che il porre in prima linea i Comuni non è soltanto una questione di forma, ma ha un significalo sostanziale. Secondo il suo punto di vista il Comune è l’organo naturale, storico e primigenio dal quale deve partire una precisa impostazione della questione autonomistica.
Confuta quindi l’osservazione dell’onorevole Tosato, rilevando che nel progetto del Comitato i Comuni e le Regioni sono considerati enti autarchici e le Provincie circoscrizioni amministrative. Quindi agli uni viene riconosciuta la personalità giuridica e alle altre no; dal che discende che una commistione dei due criteri nello stesso articolo non sarebbe appropriata.
Si potrebbe parlare delle Provincie in questo primo articolo solo se, per avventura, si venisse nella determinazione gli dare loro la stessa figura giuridica dei Comuni e delle Regioni; a meno di accedere alla formulazione proposta dall’onorevole Mortati, la quale è tecnicamente più precisa, ma un po’ scolastica.
MORTATI fa presente che il suo emendamento è suggerito appunto dalla convinzione che occorra anzitutto fissare gli elementi che hanno rilevanza costituzionale (in questo caso, gli enti a cui si vuole riconoscere un’autonomia costituzionale), per affrontare in un secondo momento gli altri problemi, tra cui quello della ripartizione amministrativa.
Aderisce pertanto alla proposta di rinvio della discussione.
FABBRI ritira il suo emendamento, in quanto i concetti in esso espressi sono contenuti in quello dell’onorevole Mortati, al quale si associa.
CONTI conviene con l’onorevole Bozzi che, nella dizione dell’articolo in esame, i Comuni debbano precedere le Regioni.
Quanto alle Provincie, osserva che, ove se ne voglia fare menzione, occorre aggiungere la precisazione che sono organi di decentramento regionale; tuttavia ritiene preferibile seguire il concetto dell’onorevole Mortati di non parlarne affatto, limitandosi ad indicare gli elementi fondamentali dello Stato: il Comune e la Regione.
AMBROSINI, Relatore, informa che la stessa discussione si è già svolta nel Comitato, e in quella sede, a rimuovere le obiezioni, egli propose, ma senza successo, la soppressione dell’attuale articolo 1. Conseguentemente l’articolo 2 avrebbe preso il suo posto, così modificato: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, che nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato sono costituite in enti autonomi con poteri propri, ecc.». All’articolo 17, poi, si sarebbe dovuto dire press’a poco: «Le Regioni sono ripartite in Provincie, quali circoscrizioni amministrative di decentramento regionale, ed in Comuni, quali enti autarchici dotati di tutti i poteri, ecc.».
Crede che questa possa essere veramente una soluzione. Nel contempo è favorevole ad accogliere per il momento la proposta di rinvio dell’onorevole Piccioni.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinviare l’esame dell’articolo 1 a quando verrà in discussione l’articolo 17.
(Non è approvata).
Pone in evidenza che, in seguito a questa decisione, si presenta un problema non di forma, come potrebbe sembrare, ma di sostanza: l’aggiunta della menzione della Provincia nell’articolo 1. Si tratta, cioè, di stabilire se la Provincia debba essere un ente autarchico o, come propone il Comitato, un organo amministrativo di decentramento regionale. Solo nel primo caso andrebbe anch’essa citata nell’articolo in esame.
PERASSI, premesso che in realtà l’articolo 1 non risolve la questione di sostanza, ma è un articolo introduttivo di portata giuridica relativa, riprendendo il suggerimento del Relatore, ne propone la soppressione. Motiva la sua proposta con la considerazione che, non solo è inopportuno, come è stato rilevato, discutere del problema prima di conoscere le attribuzioni delle Regioni, ma non si può nemmeno escludere che tra le competenze delle Regioni stesse venga annoverata anche quella di determinare, con proprie leggi, l’ordinamento degli enti locali.
LUSSU è contrario alla proposta Perassi, in quanto ritiene utile far precedere un articolo che chiarisca la portata della riforma. Consiglia quindi di affrontare il problema, che inevitabilmente si ripresenterebbe.
PICCIONI riafferma la sua contrarietà ad entrare nell’argomento prima di conoscere la definitiva struttura delle Regioni. Rileva che il fatto che la sua proposta sia stata respinta non implica che si debba porre il problema della Provincia come ente autarchico o come circoscrizione amministrativa, e che anche l’onorevole Tosato, nel proporre il suo emendamento, ha inteso lasciare impregiudicata siffatta questione.
PRESIDENTE obietta che altri Commissari hanno fatto giustamente presente che, data la struttura del testo costituzionale, il mettere in questo primo articolo senz’altro l’indicazione della Provincia significherebbe concepirla come ente autarchico, perché non si può nello stesso articolo affiancare più istituti che abbiano funzioni e caratteri diversi.
NOBILE esprime l’avviso che la questione formale si possa facilmente risolvere, limitando l’articolo 1 alla seguente dizione: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni». In seguito poi si potrebbero esaminare le successive ripartizioni delle Regioni.
TARGETTI non trova esatta l’interpretazione del Presidente in merito all’inclusione della Provincia nell’articolo 1. Detto articolo, a suo avviso, non ha che il significato di una ripartizione territoriale e niente impedisce che le varie parti in cui si suddivide il territorio abbiano figura giuridica diversa. D’altro canto, anche tra Regione e Comune esistono fondamentali diversità, tanto che il progetto attribuisce alla Regione, ma non pure al Comune, facoltà normativa. Ritiene quindi che l’inclusione della Provincia nella formula in esame non implichi il riconoscimento di quella come ente autarchico.
BORDON ricorda che la discussione si è già ampiamente svolta nel Comitato, il quale ha così stilato l’articolo 1 appunto in quanto, nella sua maggioranza, non ha voluto considerare la Provincia come ente autarchico. Aggiunge che egli ha sostenuto dinanzi al Comitato doversi istituire puramente un organo esecutivo per la Regione e il Comune.
PRESIDENTE torna a far presente l’esigenza di un’armonia interna nella formazione dell’articolo, per cui l’inclusione della Provincia importerebbe classificarla come ente autarchico. Vero che gli enti autarchici e le suddivisioni amministrative sono tutte forme di ripartizione del territorio dello Stato, come lo sono anche, ad esempio, le circoscrizioni giudiziarie e militari; ma fra Comune e Regione v’è affinità, in quanto sono entrambi enti giuridici (mentre la Provincia è concepita solo come un’entità amministrativa) ed entrambi hanno le loro rappresentanze elettive (mentre la Provincia non le avrebbe).
Comunque, poiché è stata fatta una proposta radicale di soppressione dell’articolo, per quanto personalmente preferirebbe affrontare subito la questione di merito, la pone ai voti.
CONTI dichiara che voterà a favore, anche perché ritiene che in altra parte della Carta costituzionale si dovrà parlare della composizione del territorio dello Stato o non è quindi necessario farlo qui.
TARGETTI dichiara di volare contro, per la questione di forma: non ritiene infatti felice un’articolazione che cominci senza altro a trattare dei poteri e delle funzioni delle Regioni, che prima non sono state nemmeno nominate.
LUSSU voterà contro la soppressione che, a suo avviso, costituirebbe un errore.
PICCIONI dichiara di votare in favore per le stesse ragioni dell’onorevole Conti.
(Non è approvata).
La seduta termina alle 19.35.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.
In congedo: Grieco.
Erano assenti: Bulloni, Di Giovanni, Einaudi, Leone Giovanni, Patricolo, Porzio.