Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 19 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

49.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 19 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Zuccarini – Tosato – Bozzi – Calamandrei – Fabbri – Nobile – Cappi – Mannironi – La Rocca – Conti – Lussu – Laconi – Vanoni – Mortati – Bulloni – Perassi – Lami Starnuti – Ambrosini, Relatore – Piccioni.

La seduta comincia alle 16.25.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica che, a proposito dell’articolo 3 del progetto elaborato dal Comitato di redazione per l’autonomia regionale – del quale si era iniziato l’esame nell’ultima seduta – è stato presentato dagli onorevoli Laconi, Lami Starnuti, Bozzi, Ravagnan, Targetti, Fabbri, La Rocca, Nobile, Rossi Paolo, Bocconi, Finocchiaro Aprile e Calamandrei, il seguente emendamento:

«I sottoscritti, salva ogni altra proposta relativa alla materia da attribuirsi alle Regioni, chiedono che alla prima parte dell’articolo 3 del progetto sia sostituita la seguente formulazione:

«La Regione ha la potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con legge dello Stato. Tale facoltà si esercita, oltre che nelle materie i cui servizi possono passare alla Regione, nelle altre che, pur entro i limiti dell’interesse regionale, concernono: …».

L’emendamento dovrà poi essere integrato con l’elencazione delle materie.

ZUCCARINI ricorda che nell’ultima seduta egli e l’onorevole Mortati avevano sostenuto il concetto che gli articoli 3 e 4 dovessero essere esaminati insieme e proposto che si addivenisse alla formulazione di un solo articolo, considerando la ripartizione delle materie fatta dal progetto come arbitraria ed inaccettabile.

Aggiunge di avere osservato fra l’altro che non si comprende perché nell’articolo 3 sia stata compresa, come materia di legislazione esclusiva della Regione, l’agricoltura, mentre l’industria si trovi inclusa nell’articolo 4. A suo avviso, alla Regione dovrebbe competere, entro i limiti delle leggi generali dello Stato, piena libertà legislativa. Prega pertanto il Presidente di far sì che la discussione odierna verta sulla proposta di fusione dei due articoli già presentata nella seduta precedente e comunque che la discussione venga fatta sui due articoli unitamente.

TOSATO osserva che nel progetto sono preveduti due tipi di legislazione regionale e cioè un’attività legislativa primaria, considerata dagli articoli 3 e 12, ed una secondaria, considerata dall’articolo 4.

A suo avviso, l’articolo 3, combinato con l’articolo 12, non prevede una legislazione esclusiva – come è stato affermato da qualcuno – perché la legislazione di cui all’articolo 3 trova un limite non soltanto nei principî fondamentali della Costituzione e nell’ordinamento giuridico dello Stato, ma anche negli interessi nazionali, tanto è vero che l’articolo 12 stabilisce che, quando il Governo centrale ritenga che le norme giuridiche con forza di legge approvate dall’Assemblea regionale contrastino con l’interesse nazionale, può rinviare i provvedimenti con le sue osservazioni all’Assemblea regionale, che potrà, approvandoli nuovamente, farli senz’altro diventare legge. È ben vero che rimane sempre salvo il diritto del Governo centrale di ricorrere alla Corte costituzionale; ma a questo punto sorge il dubbio se tale ricorso possa farsi soltanto per motivi di legittimità – in quanto il Governo ritenga che le norme giuridiche emanate dalla Regione siano contrarie alla Costituzione o ai principi generali dell’ordinamento giuridico – oppure anche per motivi di merito, il che, peraltro, darebbe luogo ad una legislazione del tutto nuova in Italia.

Chiede che su questo punto sia fornito un chiarimento perché, qualora si ammettesse il ricorso anche per motivi di merito, si potrebbe pensare che la legislazione prevista dall’articolo 3 combinato con l’articolo 12, più che una legislazione primaria, sia una vera e propria legislazione esclusiva.

BOZZI riconosce che il Comitato di redazione ha compiuto uno sforzo apprezzabile nel tentativo di sistemare la difficile materia delle attribuzioni legislative della Regione. Tuttavia, il piano proposto non garantisce la certezza nelle fonti di produzione giuridica; può creare pericoli di conflitto di competenza normativa fra Stato e Regione e instabilità nell’ordinamento giuridico.

Rileva che bisogna tener fede a due principî fondamentali: salvaguardare quello che è stato definito nell’articolo 2 «il quadro dell’unità ed indivisibilità dello Stato», ossia la sovranità dello Stato, che trova la sua prima manifestazione nella potestà legislativa; affidare, d’altra parte, alla Regione, secondo l’orientamento fissato nell’ordine del giorno Piccioni, la regolamentazione autonoma dei propri particolari interessi.

L’articolo 3, proposto dal Comitato, assegna alla Regione una sfera di competenza esclusiva. Ciò significa che lo Stato, nelle materie indicate, non ha potere di legiferare, nemmeno con norme di carattere direttivo o generale, esso può soltanto esaminare i disegni di legge approvati dalle Assemblee regionali e proporne l’annullamento alla Corte costituzionale, qualora ritenga che essi siano contrari alla Costituzione, ai principî fondamentali dell’ordinamento giuridico o agli interessi nazionali. Lo Stato, cioè, interviene successivamente, e deve instaurare un giudizio. Secondo il suo punto di vista, questa forma di non intervento legislativo dello Stato non è ammissibile; incrina l’unità dello Stato, anche sotto il profilo della unitarietà del processo economico-produttivo. Scorrendo le materie affidate alla competenza esclusiva della Regione, nota che fra esse è l’agricoltura. Ne deriva che lo Stato non potrebbe dettare norme generali e comuni a tutto il territorio nazionale in tema di riforma agraria. Si potrebbe avere la collettivizzazione in Emilia, e non, ad esempio, in Toscana.

Prospetta l’opportunità di regolare con una sola e chiara norma le attribuzioni legislative della Regione. Secondo il suo parere bisogna escludere che la Regione abbia un ambito di materie nelle quali possa legiferare senza che lo Stato abbia potere d’intervento. Occorrerebbe, piuttosto, determinare largamente una sfera di materie, per le quali lo Stato abbia soltanto la potestà di dettare norme direttive o generali, e la Regione di emanare le norme necessarie per l’attuazione o l’integrazione, al fine di adattare le leggi statali alle esigenze peculiari regionali. Le norme direttive sono quei principî che di per sé non sono suscettibili di applicazione, ma che hanno bisogno appunto di ulteriori norme che li specifichino, conformandovisi; le norme generali rappresentano, invece, una forma di più penetrante legiferazione, che tuttavia lascia margini in bianco per gli adattamenti a situazioni particolari. Precisa che, in tal guisa, lo Stato potrebbe intervenire in modo più o meno penetrante, secondo una sua discrezionale valutazione di politica legislativa (e vi sarebbe al riguardo la garanzia del Senato regionale); alla Regione, d’altra parte, sarebbe riservata una sfera di competenza esclusiva nell’ambito dell’attuazione o dell’integrazione delle leggi direttive o generali emanate dallo Stato.

Rileva poi l’opportunità di completare le ipotesi previste dall’articolo 12 con una norma che stabilisca il diritto, azionabile, della Regione verso lo Stato, nel caso che questo, nell’esplicazione della sua potestà legislativa, ecceda dai limiti della legiferazione semplicemente direttiva o generale nella sfera di materie assegnate.

Infine, quanto al quesito sollevato dall’onorevole Tosato, osserva che è esatto distinguere, in tema di articolo 12, fra violazione di competenza ed esame del merito; sono situazioni giuridiche che comportano valutazioni diverse, e diversi dovrebbero essere gli organi chiamati a compierle. Tuttavia, a volte la questione pregiudiziale è intimamente collegata con la questione di merito. Ad esempio, il limite dell’interesse nazionale posto dall’articolo 3 involge una questione di merito, che si risolve però in una questione di competenza. Se la Corte costituzionale accerta che un disegno di legge regionale ha violato l’interesse nazionale, accerta necessariamente che la Regione ha ecceduto dai limiti della sua competenza normativa.

Propone, comunque, che di questi più particolari problemi si discuta quando verrà in esame l’articolo 12.

CALAMANDREI, esaminando la materia dei conflitti, osserva che nel progetto non è regolata l’ipotesi di un conflitto negativo, il caso cioè che tanto il Governo centrale quanto l’Assemblea regionale si ritengano incompetenti a deliberare su una determinata materia.

Si domanda poi, esaminando l’ipotesi di conflitto positivo prevista dall’articolo 12, per quale ragione il compilatore del progetto – dovendo scegliere fra l’opinione del Governo centrale e quella dell’Assemblea regionale – abbia dato la prevalenza al punto di vista della seconda. Prospetta l’opportunità che in casi del genere si invochi – per la risoluzione del conflitto – l’intervento di un terzo organo e che, nell’attesa, il progetto di legge in contestazione rimanga in sospeso; e quindi suggerisce che all’articolo 12 si stabilisca che se l’Assemblea regionale, respingendo le osservazioni governative, insiste nel suo punto di vista, si apra il conflitto davanti alla Corte costituzionale.

FABBRI dichiara di aver sottoscritto l’ordine del giorno presentato, in quanto ha sempre ritenuto che la potestà delle Regioni debba essere limitata esclusivamente a norme di attuazione e di integrazione.

Riprendendo il concetto della possibilità di conflitto tra le leggi della Regione e le leggi dello Stato – che a suo parere dovrebbero essere preminenti – fa un’osservazione di carattere pratico e di natura contingente e politica: si domanda cioè se la legislazione esclusiva su determinate materie, ipotizzata per la Regione, implichi l’abrogazione automatica di tutto l’imponente complesso di leggi statali concernenti dette materie. Pur ritenendo assurda una simile tesi, domanda in proposito un chiarimento.

Fa presente la necessità da parte degli organi statali di coordinare e snellire l’attuale complesso legislativo sulle materie indicate nel progetto, al fine di conservare soltanto i principî basilari di cui l’attività normativa della Regione stabilirà l’applicazione e l’attuazione. Raccomanda altresì che si proceda gradualmente all’attuazione di questa riforma, al fine di evitare il formarsi di situazioni tumultuarie ed il sorgere di conflitti tra l’organo legislativo centrale e quelli periferici.

NOBILE, parlando contro l’articolo 3 del progetto, osserva che, sotto il profilo politico, la ripartizione legislativa tra lo Stato e le Regioni porterebbe inevitabilmente a sviluppare la tendenza di queste verso un sistema federale e condurrebbe quindi alla disgregazione dell’unità nazionale. Sotto il profilo economico, rileva che non si può ammettere che la legiferazione su materie di importanza vitale per l’intera Nazione sia attribuita alle Regioni.

All’osservazione del Relatore che, per giustificare la creazione del nuovo ente autarchico, sostiene che le funzioni che si vogliono trasferire dal centro alla periferia non potrebbero essere attribuite alla Provincia, in quanto riguardano interessi che trascendono l’ambito provinciale, risponde che tale presunzione si ritorce contro il sistema regionalistico, perché oggi gli interessi economici tendono ad allargare sempre più la loro sfera di attività.

Scorge, poi, una contraddizione tra la tesi sostenuta dal Relatore, secondo cui la tendenza odierna unificatrice sarebbe utile solo riguardo ai fini da raggiungere e non già nei confronti dei congegni di esecuzione, e il disposto dell’articolo 3 che conferisce alla Regione potestà legislativa su materie di importanza fondamentale, e non dà allo Stato la possibilità di regolare tali materie per i fini generali da raggiungere.

Ritiene poi assurda l’elencazione fatta negli articoli 3 e 4. Col primo di questi articoli si concede alle Regioni nientedimeno che il diritto esclusivo di legiferare su materie di importanza fondamentale per tutta la Nazione, quali, ad esempio, l’agricoltura, le foreste, le strade, i ponti, gli acquedotti. Su questioni così vitali per il Paese si avrebbero quindi diciotto legislazioni differenti!

È del parere che la legislazione primaria si debba riservare esclusivamente allo Stato, e che anche la regolamentazione – almeno per certe materie – debba in molti casi essergli attribuita. A suo avviso, è imprudente fare nella Costituzione un elenco delle materie di interesse locale, la cui disciplina giuridica si ritiene opportuno decentrare, perché ciò che oggi interessa lo Stato potrebbe domani divenire di interesse locale, o viceversa.

L’articolo 3, come è formulato, rappresenta uno sconvolgimento dell’attuale organizzazione statale, i cui meccanismi hanno bisogno di essere riformati e riordinati, e non già sconvolti. Tutti riconoscono la necessità di decentralizzare le funzioni dello Stato. Ma l’articolo 3 decentralizza proprio ciò che non va decentralizzato: il potere legislativo, che, per la sua stessa natura, deve conservare un carattere unitario. Approvando l’articolo 3, anziché ridurre e semplificare i meccanismi amministrativi, se ne accrescerebbe il numero.

Sostiene che il progetto proposto – il quale rappresenta un vero e proprio anacronismo storico – non solo non è democratico, ma è profondamente antidemocratico; e cita, a sostegno della sua opinione, quanto scrive in proposito un’illustre regionalista, Pietro Bertolini.

Gli sembra infine illusorio il concetto di taluni, secondo cui il frazionamento del Paese in regioni autonome, dotate di larghi poteri legislativi, possa costituire una garanzia contro eventuali rivoluzioni o colpi di Stato, perché ritiene che un’esperienza troppo audace – mentre non porterebbe alcuna conseguenza, se fatta nell’ambito ristretto di una Provincia o di un Comune – operata nell’ambito di una Regione, che rappresenta la diciottesima parte del territorio dello Stato, potrebbe rischiare di compromettere l’unità nazionale.

Conclude dichiarando di essersi limitato a sottoscrivere l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Laconi ed altri, al quale aderisce subordinatamente, in quanto, a suo parere, anche la regolamentazione da affidare alle Regioni dovrebbe essere assai limitata.

CAPPI, dopo aver rilevato come gli interventi di alcuni oratori abbiano avuto il merito di mettere a fuoco il dissenso concettuale esistente in seno alla Sottocommissione circa il principio regionalistico, dichiara, rispondendo all’onorevole Nobile, di dubitare che si possa combattere quel principio con una elencazione di inconvenienti, i quali potranno essere eliminati in seguito, secondo quanto l’esperienza consiglierà.

Ritiene di estrema facilità la soluzione del quesito posto dall’onorevole Fabbri, in quanto la legislazione statale relativa alle materie per le quali la potestà legislativa è stata concessa alle Regioni rimarrà in vigore fino a quando una determinata Regione, ritenendola non più rispondente ai propri bisogni, si varrà del potere legislativo concessole per abrogarla.

Osserva poi che il punto di vista dell’onorevole Bozzi, secondo il quale lo Stato deve fare le leggi direttive e le Regioni hanno un potere integrativo di regolamentazione – oltre a far sorgere la domanda se varrebbe la pena di apportare mutamenti così profondi nella struttura dello Stato per dare alla Regione un semplice potere di regolamentazione – non è, a suo parere, molto chiaro. Non vede infatti come sia possibile emanare una legge direttiva – la cui formulazione l’onorevole Bozzi affiderebbe allo Stato – dal momento che i principî direttivi sono contenuti nella Costituzione e le leggi hanno sempre un contenuto concreto; né comprende quale possa essere il contenuto di un potere di integrazione della legge, perché, se consisterà nella facoltà di modificare la legge precedente, darà luogo ad una nuova legge e quindi in pratica sarà potere legislativo.

Riafferma quindi l’opportunità che alla Regione sia concesso, pur entro determinati limiti, un vero e proprio potere legislativo.

MANNIRONI riconosce la gravità della questione sollevata dall’onorevole Bozzi, il quale ha fatto presente che, con l’approvazione integrale del testo del progetto, sarebbe preclusa allo Stato ogni possibilità di occuparsi della riforma agraria; ma osserva che a tale inconveniente si potrebbe rimediare aggiungendo la materia della riforma agraria a quelle elencate nell’articolo 4.

Rispondendo poi all’onorevole Nobile, contesta che tutte le strade abbiano interesse nazionale; ad ogni modo, ritiene che si possa aggiungere alla dizione del progetto, là dove si parla di «strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici», la specificazione «che non siano d’interesse nazionale».

CONTI fa rilevare che nel medesimo articolo è già detto che la potestà legislativa deve esplicarsi «nel rispetto degli interessi nazionali».

MANNIRONI ritiene comunque non inutile la specificazione da lui suggerita.

Assolutamente ingiustificata crede poi la preoccupazione dell’onorevole Nobile, che la legislazione varia e contrastante che potrebbe derivare dal fatto di aver concesso la potestà legislativa primaria alle Regioni possa determinare delle incrinature nella compattezza dello Stato. Le materie attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni riguardano, infatti, aspetti locali della vita economico-amministrativa; e questi possono essere regolati dalle rispettive Regioni in forma autonoma, senza che la varietà legislativa che ne risulterà possa intaccare l’unicità della legislazione statale.

Dichiara perciò di essere favorevole al testo dell’articolo proposto dal Comitato, salvo lievi ritocchi di forma.

LA ROCCA si dichiara contrario alla formulazione dell’articolo 3, il cui accoglimento darebbe origine ad una serie di legislazioni discordanti, tali da minacciare l’unità nazionale. Riconosce che ogni Regione ha delle esigenze e delle aspirazioni proprie, delle quali non si può non tener conto; ma ritiene che non si debba, partendo da questo presupposto, lasciar libera la Regione di legiferare, senza possibilità da parte dello Stato di intervenire in modo positivo, su materie di notevole importanza nazionale, quali l’agricoltura, i porti, ecc.

È quindi del parere che si debba tener conto di tali necessità particolari, ma senza esporsi al pericolo di scardinare il potere centrale e di spezzare l’unità economica e politica della Nazione.

LUSSU non vede come la norma sottoposta all’esame della Sottocommissione possa costituire un pericolo per l’unità nazionale e per la struttura generale dello Stato e si meraviglia, anzi, dell’atteggiamento assunto al riguardo dai gruppi socialista e comunista, tanto più che ritiene esservi, più che un dissenso, un malinteso su questa questione.

Premesso che la legge sulla riforma agraria costituisce evidentemente un provvedimento fondamentale e, come tale, deve essere studiato e approvato dal Parlamento nazionale, rileva che la citazione dell’agricoltura nell’articolo 3 è da intendere, a suo avviso, nel senso che ogni Regione deve essere lasciata libera di interpretare e di attuare, secondo le proprie particolari esigenze, le direttive di carattere tecnico date sul piano generale.

Così, per ciò che riguarda le belle arti, la caccia, la pesca e le altre materie considerate nell’articolo 3, ritiene che la Regione, con la possibilità concessale di interpretazione delle norme generali e di adattamento di queste alle proprie esigenze, non distrugga affatto l’autorità centrale, né rechi alcun pregiudizio all’unità nazionale.

Si dichiara convinto che le organizzazioni socialiste, superato il periodo in cui non erano che opposizione, divenute maggioranza anche nel nostro Paese, saranno tratte ad affrontare e risolvere i problemi dell’ora con la consapevolezza che si vive oggi in un nuovo mondo.

Con tale spirito dichiara di essere favorevole alla formulazione proposta dal Comitato di redazione.

LACONI, a proposito di quanto ha detto l’onorevole Tosato nei riguardi dell’articolo 12, osserva che il ricorso per annullamento alla Corte costituzionale può farsi soltanto per motivi di legittimità e quindi, in caso di dissenso sul merito, la prevalenza dell’Assemblea regionale sarebbe assoluta; donde la conclusione che si rimette alla Regione una legislazione di carattere assolutamente esclusivo.

Rileva che gli inconvenienti pratici derivano dal fatto che si sostengono principî storicamente e logicamente incongruenti. Si vuole imporre alla Nazione uno schema di ordinamento non studiato su problemi ed esigenze reali e attuali, ma derivante da schemi logici preformati o da particolari esigenze di ordine politico, che non coincidono con quelle nazionali e democratiche.

Rispondendo all’onorevole Lussu, esprime il parere che nel momento attuale il processo di unificazione culturale, politica ed economica del Paese sia giunto ad un punto tale da escludere la necessità di larghe autonomie legislative per la maggior parte delle regioni. Sussiste invece la necessità di un largo decentramento. Ritiene però che ad alcune Regioni, nelle quali tale processo di unificazione non si è ancora compiuto, sia opportuno lasciare la possibilità di risolvere direttamente i loro problemi affinché possano entrare in forma autonoma nel circolo della vita nazionale. Così, ad esempio, la Sardegna si trova, per ragioni che ha già illustrato in una precedente seduta, in una situazione diversa da altre Regioni, la quale richiede soluzioni speciali.

All’onorevole Mannironi, che proponeva di fare una eccezione per la riforma agraria, osserva che tale riforma è costituita da un complesso di leggi, e che quando si riconosce allo Stato questa facoltà normativa si torna nel concetto di una potestà di integrazione.

VANONI rileva che, per poter avere un quadro delle materie citate negli articoli 3 e 4 che fosse corrispondente alle condizioni storiche ed alle necessità economiche del Paese, sarebbe necessario introdurvi qualche variante.

Riconosce che, per quanto riguarda la delicata questione della legislazione in materia di agricoltura e foreste, non si possono non tener presenti due esigenze vive nella storia nazionale: quella di liberare le Regioni dal vizio del centralismo e quella di conservare unito il complesso economico nazionale, la cui rottura potrebbe essere molto pericolosa. Prospetta la necessità di trovare una soluzione tale da permettere all’attività legislativa in materia agricola di tener conto delle esigenze locali estremamente diverse da una regione all’altra; e sarebbe favorevole a trasferire la citazione dell’agricoltura e foreste dall’articolo 3 all’articolo 4.

Aggiungerebbe nell’elenco delle materie citate nell’articolo 3 l’igiene e la sanità pubblica, circa le quali ritiene che una diversità di legislazione da regione a regione prepari un miglioramento di vita – da tutti auspicato – del popolo italiano; tanto più che la legislazione unica, la quale tendeva allo scopo di portare tutto il Paese al medesimo livello, non ha dato i risultati desiderati.

Non vede poi perché non si voglia lasciare alle Regioni la possibilità di integrare le leggi statali, oltre che in materia di istruzione elementare, anche per ciò che riguarda le scuole medie e universitarie. A tale proposito ricorda la cattiva prova data dalla legislazione unica, i cui tentativi per risolvere il problema universitario hanno sempre urtato contro tradizioni e resistenze locali; mentre cita l’organizzazione esemplare data all’istruzione elementare, e in parte a quella post-elementare, dal comune di Milano, sotto l’amministrazione socialista, nel periodo precedente il fascismo, modello di organizzazione per una grande città industriale moderna, tesa verso uno sviluppo sociale di grande avvenire.

È del parere che, nei limiti di una legge generale che garantisca un minimo di sicurezza e di serietà, quello dell’istruzione sia un campo nel quale il regionalismo si può affermare in modo deciso. Non è possibile infatti stabilire un unico sistema di istruzione in un Paese le cui varie zone si trovano in gradi diversi di evoluzione sociale ed hanno proprie esigenze, le quali richiedono propri tipi di istruzione che possono essere disciplinati da una legislazione di carattere regionale.

Un dubbio solleva circa l’opportunità di separare le scuole professionali dalle altre, separazione operata nel progetto con l’intento di affidare le prime alla competenza esclusiva della Regione. Fa presente a tale riguardo che l’istruzione professionale – che il fascismo tentò invano di estendere – è un’esigenza viva del Paese, il quale deve tendere a sostituire la massa dei lavoratori non qualificati con una classe di lavoratori qualificati che siano veramente la forza e il nerbo della Nazione. Ritiene che affidare l’ordinamento di queste scuole alle iniziative regionali possa suscitare qualche preoccupazione, mentre uno stimolo dal centro potrebbe, in questo caso, essere utile. Una volta ammesso, come fa il progetto, che l’istruzione richiede l’intervento del centro e della Regione, è del parere di non separare il problema della scuola professionale da quello generale dell’istruzione, che ha le medesime esigenze, anzi ne ha una maggiore per ciò che riguarda le scuole professionali. Aggiunge di non presentare per ora proposte di modificazioni, in quanto ritiene che la discussione potrà portare altri chiarimenti in proposito.

Non è invece favorevole alla citazione, nell’articolo 4, della disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio, che sono attività che tendono ad andare al di là di ogni confine, la cui legislazione non può essere che nazionale, se non si vogliono creare fratture nell’ambiente economico di tutta la Nazione. Coglie l’occasione per far presente la gravità dell’errore in cui cadono coloro che – specie nelle provincie meridionali – vorrebbero, attraverso una legislazione particolare, evitare l’esodo del risparmio verso zone dell’Italia settentrionale, perché il risparmio deve essere investito là dove è più utile e più domandato, dove migliori sono le condizioni per l’investimento. Si potrà, se mai, auspicare che lo Stato operi in modo da creare anche nelle provincie meridionali occasioni di impiego utile e sicuro del risparmio, sì da determinare una corrente inversa degli investimenti.

In linea di massima, è d’accordo sull’elencazione delle altre materie comprese negli articoli 3 e 4 del progetto.

MORTATI fa presente come molti dei dissensi siano originati dal fatto di aver compreso nel medesimo elenco materie per le quali l’iniziativa locale si può considerare sufficiente a soddisfare l’interesse pubblico, e materie che non possono essere affidate in modo esclusivo alle Regioni. In considerazione di ciò, pensa che sia opportuno procedere alla rielaborazione degli articoli 3 e 4 in base ad una triplice distinzione, a seconda che si tratti di materie che possono senza preoccupazioni affidarsi in modo esclusivo alla Regione, o che dovrebbero esser regolate dallo Stato limitatamente alla determinazione dei criteri direttivi o principî generali, o che infine dovrebbero rimanere affidate alle Regioni soltanto per ciò che concerne la potestà regolamentare.

Contrariamente a quanto è stato sostenuto da altri, ritiene che la distinzione fra norme direttive e norme che, essendo generali, non consentono altra successiva normazione se non quella regolamentare, sia praticamente rilevante e ricorda precedenti legislativi – come quello della Costituzione di Weimar – che distinguono due specie di legislazioni: una, in cui lo Stato si limita a porre principî generali ed un’altra, in cui esso interviene in modo più particolare senza limiti giuridicamente apprezzabili nella materia da regolare.

Rileva che la norma direttiva differisce dall’altra appunto perché si limita a sancire principî generali, lasciando un margine di libertà alle Regioni per tutto ciò che riguarda gli adattamenti alle situazioni specifiche, mentre la norma emessa in esecuzione di direttive differisce dalla norma regolamentare appunto per la latitudine che le è consentita nell’esecuzione delle medesime.

Prospetta inoltre l’opportunità di determinare una competenza esclusiva dello Stato per talune materie (strade di interesse militare, porti di particolare importanza, ecc.) e di porre qualche limite circa la delega della potestà legislativa che, in base alla formulazione dell’articolo 4 del progetto, verrebbe fatta dal Parlamento nazionale alle Regioni.

PERASSI presenta il seguente emendamento alla prima parte dell’articolo 3: dopo le parole «e nel rispetto degli interessi nazionali», aggiungere le altre: «e degli obblighi internazionali dello Stato».

ZUCCARINI osserva che la sua proposta è ispirata dalla preoccupazione che egli ha, ed in altre occasioni ha manifestato, di realizzare un sistema di autonomie eguale per tutte le Regioni, eliminando la distinzione fra alcune Regioni che verrebbero dotate di una vera e propria autonomia comprendente una potestà di legislazione, e tutte le altre Regioni alle quali verrebbe concessa invece una potestà limitata, tanto da fare di esse solo degli organi di decentramento amministrativo.

Non può intanto nascondere la sua meraviglia di fronte al fatto che i più convinti assertori dell’autonomia, mentre ne pretendono una privilegiata per alcune Regioni, e precisamente gli onorevoli Laconi e Finocchiaro Aprile per le loro isole, si preoccupino poi di limitare l’autonomia di tutte le altre. Dichiara di non poter accettare la loro tesi, perché se l’autonomia giova alla Sicilia e alla Sardegna – come essi sostengono – per potersi elevare e sviluppare come non hanno potuto fare nello Stato centralizzato, non è possibile sostenere che la stessa autonomia, se venisse concessa alle altre Regioni, determinerebbe un arretramento dalle posizioni economicamente e culturalmente più avanzate in cui queste ora si trovano. Non si capisce, cioè, come ciò che si reputa necessario per certe Regioni debba risultare dannoso e deprecabile per tutte le altre.

Riferendosi all’articolo 3, fa presente che in seno al Comitato di redazione, sostenendo una tesi opposta a quella caldeggiata dall’onorevole Grieco, il quale era del parere di trasferire nella elencazione dell’articolo 4 tutte le materie elencate nell’articolo 3, propose di riunire nell’articolo 3 anche le materie indicate dall’articolo 4. Fa rilevare che tale proposta non significherebbe affatto spingere l’autonomia fino al punto di prescindere dagli interessi generali e dalle leggi generali dello Stato. Nel suo progetto è infatti precisato che le leggi di carattere generale sono di competenza dello Stato che, nell’Assemblea legislativa, ne determina i principî, le finalità e i criteri direttivi, mentre è lasciato alle Regioni l’applicarle con criteri e mezzi propri, quindi con una applicazione che può essere diversa da Regione a Regione, in funzione delle necessità locali. Per le materie che sono invece di esclusivo interesse locale, la potestà legislativa della Regione deve essere piena: ciò non esclude che lo Stato possa comunque emanare leggi generali riguardanti, ad esempio, le strade e i porti di importanza nazionale oltre che locale e regionale.

Non crede poi, contrariamente a ciò che sostiene l’onorevole Vanoni, che l’intervento dello Stato sull’istituzione e l’ordinamento delle scuole professionali, particolarmente di quelle agricole, possa risultare più proficuo di quello delle iniziative regionali e locali. Ricorda che Ghino Valenti, che fu un grande competente in economia agraria, sosteneva proprio la necessità che l’iniziativa in quanto si riferisce all’insegnamento agricolo, come per tutto ciò che riguarda l’agricoltura, fosse lasciata alle Regioni. Egli invocava anzi il regionalismo – e pubblicò anche degli scritti in proposito – soprattutto in funzione della risoluzione dei problemi agricoli.

A suo avviso, la stessa cosa può ripetersi per le materie del commercio e dell’industria. È vero che l’articolo 4 riserva una potestà legislativa di integrazione alle Regioni su altre materie, come ad esempio, le miniere, ritiene tuttavia preferibile l’emanazione di leggi regionali anche per le miniere, a completamento e perfezionamento di una legge generale.

Fa inoltre presente come nel suo progetto fosse anche specificato che alla Regione spettava di legiferare su tutte le materie che lo Stato non avocasse a sé con una legge del Parlamento. Concludendo, si dichiara contrario a mantenere con gli articoli 3 e 4 una competenza della Regione diversa a seconda delle materie, giacché qualunque classificazione risulterebbe arbitraria.

Osserva infine che l’articolo 12 può essere benissimo esaminato a parte e afferma che il suo progetto, per quanto non sia stato accettato come base per le proposte che in merito alla Regione sono state presentate, non solo non avrebbe favorito la disgregazione d’Italia, ma avrebbe servito invece a rafforzare maggiormente l’unità nazionale.

BULLONI, rispondendo all’onorevole La Rocca, il quale ha affermato di veder minacciata l’unità dello Stato attraverso l’applicazione delle norme dell’articolo 3, osserva che non bisogna confondere l’unità statale con l’accentramento burocratico, il quale ultimo si può eliminare soltanto con una riforma sostanziale. Non è del parere dell’onorevole La Rocca che, per avvalorare il suo asserto, ha affermato che, demandando alla Regione la facoltà di legiferare in materia agraria, la riforma agraria in Italia non sarebbe più realizzabile; rileva anzi che l’autonomia regionale, risvegliando le iniziative locali in relazione ai bisogni delle singoli Regioni, sarà un mezzo per attuare meglio la riforma agraria, nel rispetto delle esigenze locali.

Non comprende come l’onorevole Laconi abbia voluto affermare che l’istituzione della Regione è addirittura contraria alla democrazia. Se democrazia è governo di popolo, ccon l’istituzione della Regione la democrazia non può essere contrastata, appunto perché il regionalismo avvicina sempre più il Governo al popolo.

Circa gli articoli 3 e 4, si dichiara d’accordo, in linea di massima, con gli onorevoli Zuccarini e Vanoni. Ai rilievi fatti da quest’ultimo riterrebbe opportuno aggiungerne un altro: quello di veder considerata in modo particolare l’assistenza sanitaria e ospedaliera.

Propone il seguente emendamento sostitutivo dei due articoli: «Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione, con le leggi generali e con i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali: …».

Fa presente che, evidentemente, là dove lo Stato, ritiene di dettare norme di carattere generale, la Regione dovrà attuare questi principî, mentre là dove lo Stato non ritiene di emanare tali norme, la Regione avrà la potestà di legiferare.

PERASSI, a proposito della questione se alla Regione debba attribuirsi una potestà legislativa primaria, secondo il disposto dell’articolo 3, ricorda quanto ha detto l’onorevole Laconi, secondo il quale i limiti di tale potestà sarebbero gli stessi che incontra la legge dello Stato ed afferma che ciò è, a suo avviso, inesatto: l’articolo 3 infatti, oltre ai limiti che funzionano anche per la legge dello Stato (cioè il rispetto della Costituzione), ne considera altri afferenti all’attività legislativa della Regione e cioè: i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato ed il rispetto degli interessi nazionali. Resta però aperta la questione di sapere quali siano le materie rispetto alle quali la Regione ha una competenza di legislazione primaria. A questo riguardo reputa forse opportuno che le singole materie siano esaminate separatamente, considerato anche che la discussione fin qui svoltasi ha fatto sentire la necessità di alcune precisazioni, in modo da non dare l’impressione che tutte le materie indicate siano, interamente e senza restrizione alcuna, riservate alla competenza regionale.

Dà ragione dell’emendamento aggiuntivo da lui proposto, inteso a porre ancora un limite alla competenza regionale per quanto riguarda gli obblighi internazionali dello Stato, osservando che per alcune delle materie indicate potranno intervenire accordi internazionali che devono impegnare sempre la legislazione dello Stato, e quindi anche quella delle Regioni.

MORTATI fa presente l’opportunità che il rispetto delle convenzioni internazionali sia considerato tra i principî generali dell’ordinamento.

PERASSI risponde che è meglio fissare tale concetto in questa sede, salvo a provvedere ad una migliore collocazione in sede di ordinamento.

LAMI STARNUTI manifesta la propria avversione agli articoli del progetto, contro i quali aveva già votato in sede di Comitato. Dichiara di aver accettato la proposta Laconi, che potrebbe diventare materia di compromesso fra le due tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione, in quanto essa racchiude quasi completamente la sostanza dell’emendamento Bulloni, cioè la concessione alla Regione della potestà di integrare le leggi dello Stato per adattarle alle esigenze locali. A tal proposito osserva che l’emendamento Bulloni, pur facendo qualche passo sulla strada del compromesso, potrebbe dar luogo a qualche complicazione e contrasto, per quanto di non difficile soluzione, tra lo Stato e le Regioni; e fa presente come non sia opportuno tenere il Paese in un perpetuo stato di contrasti.

Illustra lo scopo della riforma, che ha soprattutto carattere amministrativo e di decentramento, al fine di liberare l’amministrazione centrale di tutto ciò che supera la sua capacità di decisione e di esecuzione, per trasferirlo agli enti locali dove tali bisogni sono sorti ed esigono una immediata soddisfazione. Invita i colleghi del gruppo democratico-cristiano ad abbandonare ogni idea di potestà legislativa, divenuta inutile nei limiti in cui la presenta l’onorevole Bulloni nella sua formula.

BULLONI avverte che la sua proposta ha un valore puramente personale.

LAMI STARNUTI, concludendo, fa presente l’opportunità di fondere la prima parte degli articoli 3 e 4; ed aggiunge che, se nell’articolo 3 alla Regione dovrà assegnarsi soltanto una potestà integrativa, la prima parte dell’articolo 4 non avrà più ragion d’essere. Sostiene che anche i due elenchi di materie dovranno essere fusi – previo esame di ogni voce – perché non è favorevole a che la potestà integrativa della Regione si svolga su tutte le materie elencate negli articoli 3 e 4 del progetto. Solo così sarà possibile fare della Regione un ente robusto, di grande influenza nella vita politica e amministrativa del Paese.

AMBROSINI, Relatore, ritiene anzi tutto far presente, rispondendo ai rilievi fatti dagli onorevoli Laconi e Nobile, che il progetto non presenta alcun pericolo per la compagine dello Stato, ma che anzi tende a rinsaldarla, giacché la riforma regionale è concepita ed intesa, siccome altre volte ha detto, a decongestionare l’organismo centrale dello Stato e a renderlo così più efficiente nel perseguimento degli scopi essenziali, mentre d’altra parte le Regioni, potenziate nelle loro energie, coopererebbero più volenterosamente all’opera comune di ricostruzione del Paese.

Rileva che i passi della sua relazione, a cui ha fatto riferimento l’onorevole Nobile, non si prestano all’impressione che egli sembra averne avuta, che importino cioè la giustificazione del passaggio alla Regione soltanto di funzioni prevalentemente esecutive ed amministrative. Nella relazione infatti è espressamente propugnato il principio dell’attribuzione alla Regione di un certo potere legislativo, con il chiarimento esplicito che è proprio in ciò che consiste la differenza dal sistema proposto dall’onorevole Lami Starnuti, giacché è proprio col conferimento della potestà legislativa che si darebbe alla Regione una funzione che non hanno gli enti autarchici, e che da questi andrebbe a differenziarli.

Deve, d’altra parte, rilevare che il progetto non consacra affatto un sistema simile o analogo al sistema federalistico, anche soltanto larvato. Nella relazione ne ha detto le ragioni, dando la dimostrazione di questa affermazione, e non crede perciò necessario di ripetersi. Basta far presente che non ha accolta la proposta, presentata dall’onorevole Zuccarini nel paragrafo 29 del suo schema di progetto, di indicare tassativamente le materie di competenza legislativa dello Stato e di attribuire conseguentemente tutte le altre materie alla competenza legislativa della Regione, perché tale proposta importava un richiamo al sistema proprio dello Stato federale. Nel progetto del Comitato, corrispondente a quello da lui elaborato, si adatta invece il sistema inverso, indicandosi tassativamente quali sono le materie di competenza legislativa della Regione e lasciandosi quindi tutte le altre allo Stato. E si ha inoltre di più, giacché l’esercizio della potestà legislativa da parte dell’Assemblea Regionale deve svolgersi entro determinati limiti ed è soggetto al potere di coordinamento dello Stato.

Per quanto si riferisce alle materie di cui all’articolo 3, la Regione può legiferare, ma entro certi limiti, e precisamente: in armonia anzitutto con la Costituzione ed i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, ed inoltre (e si ha qui un limite più profondo, di merito) «nel rispetto degli interessi nazionali». Per quanto riguarda poi le materie di cui all’articolo 4, la Regione ha una potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con legge dello Stato. Anche qui non vi è quindi il pericolo che possano mettersi in essere una congerie di leggi regionali contrastanti, giacché la varietà della legislazione rifletterà le particolari condizioni locali, ma uniformandosi alle norme generali fissate con le sue leggi dallo Stato.

Riferendosi alla proposta già presentata dall’onorevole Grieco e fatta ora propria dall’onorevole Lami Starnuti, di fondere cioè la prima parte degli articoli 3 e 4, dando alla Regione per tutte le materie in essi indicate una potestà legislativa soltanto di integrazione, riconosce che forse, con questo emendamento, non si apporterebbe un colpo mortale al proposto sistema della riforma regionale, giacché nel quadro dell’articolo 3 il potere dell’Assemblea Regionale ha, come si è detto, dei notevoli limiti sia formali, quanto alla competenza, che di merito, specie riguardo al rispetto dovuto agli interessi nazionali.

Malgrado ciò, non si sente di rinunciare all’articolo 3, perché con una simile rinuncia, si ridurrebbe troppo il potere di autonomia della Regione.

Per altro, se la differenza fra il congegno dell’articolo 3 e quello dell’articolo 4 non è molto rilevante, non vede il motivo per cui l’onorevole Lami Starnuti ed i colleghi che assecondano la sua proposta di emendamento debbano tanto insistervi chiedendo la soppressione dell’articolo 3.

Aggiunge, allo scopo di cercare di dissipare le preoccupazioni da essi manifestate a proposito di tale articolo 3, che la valutazione di esso deve esser fatta tenendo presenti altre disposizioni successive del progetto, e specialmente quella del capoverso dell’articolo 8 – con la quale si vieta tassativamente alla Regione di istituire dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, e di prendere comunque provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale – e più ancora la disposizione dell’articolo 12, con la quale si determina la potestà che spetta al Governo centrale di interferire nell’esercizio dell’attività legislativa dell’Assemblea Regionale, quando i disegni di legge da essa approvati esorbitino dai limiti della sua competenza o contrastino con l’interesse di altre Regioni o dello Stato in generale. Rammenta che, in proposito, aveva proposto un altro sistema di coordinamento fra il potere della Regione e quello dello Stato, ancora più profondo di quello adottato dal Comitato, nel senso che la decisione sui contrasti per il merito delle leggi regionali in questione fosse affidato al Parlamento Nazionale, mentre resterebbe alla Corte costituzionale la competenza a decidere per le questioni soltanto di legittimità.

Sull’adozione o meno dell’uno o dell’altro sistema, o di un altro ancora fra quelli proposti e che figurano come «varianti» all’articolo 12 del progetto, si potrà tornare a discutere.

Gli sembra comunque che l’interesse del potere centrale dello Stato sia salvaguardato in ogni caso, quale che sarà il sistema specifico che verrà prescelto. E se è salvaguardato, e sicuramente salvaguardato, l’interesse dello Stato, trova che sarebbe possibile a tutti i colleghi di accettare, oltre l’articolo 4, anche l’articolo 3.

Desidera far presente alla Sottocommissione l’opportunità che esamini il sistema dei due articoli e che voti su di esso in via di massima, senza preoccuparsi troppo in questo primo momento delle singole materie tassativamente indicate in ciascuno dei due articoli, giacché il numero di tali materie potrebbe essere diminuito od aumentato, e potrebbesi inoltre trasportare qualche materia dall’uno all’altro articolo, senza infrangere o comunque cambiare il congegno e l’essenza del sistema. È adunque principalmente al sistema che bisogna riguardare, prima di arrivare alla votazione, e non solo al sistema isolato degli articoli 3 e 4, ma anche al sistema dell’articolo 8 e più ancora dell’articolo 12, che ne costituiscono un’integrazione essenziale.

Quando si tengono presenti le disposizioni combinate di tutti gli articoli suddetti, allora non solo è possibile augurarsi e fondatamente sperare che diminuiscano le apprensioni manifestate circa l’articolo 3, ma è anche possibile affermare senza tenia di esagerazione che la differenza fra il sistema del progetto e quello sostenuto dall’onorevole Lami Starnuti – che dal punto di vista teorico può apparire rilevante – si riduce in concreto a ben poco, e che quindi è possibile arrivare ad un incontro delle due correnti.

Per altro non esita a riconoscere che il progetto, come egli lo elaborò e come poi fu approvato con emendamenti ed aggiunte dal Comitato, è il frutto di parecchie transazioni intese a conciliare i diversi punti di vista in un sistema complessivo armonico. Non condivide pertanto l’apprezzamento dell’onorevole Zuccarini, ma ritiene all’inverso che il progetto è tanto più apprezzabile e presumibilmente più aderente alla realtà, in quanto concilia le diverse esigenze, specialmente in ciò che riguarda l’interesse generale dello Stato e quello particolare delle Regioni, dando però sempre la prevalenza all’interesse dello Stato. Ed è per ciò che insiste affinché sia approvato.

Passando ad alcuni punti particolari, risponde affermativamente al dubbio sollevato dall’onorevole Tosato, se cioè il ricorso che il Governo ha facoltà di avanzare avverso le leggi regionali possa investirle anche nel merito. Osserva in proposito che il testo dell’articolo 12 è esplicito, perché esso non parla soltanto dei limiti di competenza, e quindi di legittimità, ma comprende, con la espressione «che contrastino con l’interesse nazionale o di altre Regioni», anche il merito.

LACONI osserva che l’interesse nazionale è richiamato soltanto per quello che riguarda il Governo.

AMBROSINI, Relatore, ripete e chiarisce ancora che il Governo potrà interferire sulla legge regionale non solo per questioni di legittimità, ma anche per questioni di merito.

All’onorevole Calamandrei fa notare che il conflitto negativo non è stato regolato dal Comitato, perché difficilmente si verificherà, mentre molto più probabile si presenta l’ipotesi del conflitto positivo.

Quanto all’altra osservazione relativa all’attribuzione al Governo di un intervento soltanto repressivo, anche in riguardo alle leggi regionali che eccedano dai limiti di competenza della Regione, fa osservare che, in una «variante» all’articolo 12, aveva prospettato anche il sistema del veto preventivo; ma che il Comitato ritenne di attenersi al sistema dell’articolo 12 del progetto attuale, per la considerazione che un intervento preventivo avrebbe interferito troppo e troppo diminuito il sistema dell’autonomia.

Dichiara da ultimo di accedere alla proposta fatta dall’onorevole Perassi relativamente all’aggiunta: «e nel rispetto… degli obblighi internazionali dello Stato».

Concludendo, riafferma che il sistema adottato dal Comitato risponde alle varie esigenze e le armonizza, e che pertanto può essere accolto senza preoccupazioni, giacché non lede affatto gli interessi generali dello Stato.

PRESIDENTE, riassumendo la discussione, illustra le due tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione: da un lato quella che vuole attribuire alla Regione due distinte facoltà – una legislativa ed una integrativa – la quale sostiene la necessità di fare due articoli separati; dall’altro quella, caldeggiata dall’onorevole Zuccarini (il quale sostiene nel suo ordine del giorno che alla Regione deve competere esclusivamente una potestà legislativa) e dall’onorevole Laconi ed altri (i quali ritengono che alla regione competa soltanto una facoltà di carattere integrativo), secondo la quale, essendo una sola la facoltà – che si può sviluppare più o meno largamente – attribuita alla Regione, non è più necessario fare due articoli separati, i quali possono quindi fondersi in uno.

Prospetta l’opportunità di votare pregiudizialmente, senza fare riferimento ad un testo specifico di emendamenti, una formula come la seguente: «La Regione ha soltanto potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione», con l’intesa che, se tale principio sarà approvato, gli articoli 3 e 4 si fonderanno e si procederà all’esame dell’elencazione delle materie; mentre, se sarà respinto, si passerà alla votazione degli articoli così come sono stati proposti dal Comitato.

FABBRI, premesso che il primo passo che farà l’ente Regione dopo la sua instaurazione (e conseguente soppressione della Provincia) sarà quello di assumere in sede regionale tutte le facoltà che aveva la Provincia per i servizi specifici dell’ente autonomo Provincia, solleva l’obiezione che, con la dizione «soltanto potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione», si vengano ad attribuire alla Regione minori compiti di quelli che attualmente ha la Provincia, i quali sono appunto quelli di un ente autonomo.

AMBROSINI, Relatore, osserva che nelle norme transitorie si provvederà a risolvere l’obiezione mossa dall’onorevole Fabbri.

LACONI domanda che, seguendo la procedura finora seguita dalla Sottocommissione, venga posto in votazione l’emendamento da lui e da altri colleghi presentato.

CONTI concorda con l’onorevole Laconi.

PRESIDENTE, aderendo alla richiesta fatta dagli onorevoli Laconi e Conti, pone in votazione l’emendamento presentato dall’onorevole Laconi e da altri colleghi, mirante a sostituire alla prima parte dell’articolo 3 del progetto la seguente formulazione:

«La Regione ha la potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con legge dello Stato. Tale facoltà si esercita, oltre che nelle materie i cui servizi possono passare alla Regione, nelle altre che, pur sempre entro i limiti dell’interesse regionale, concernono: …».

PICCIONI dichiara di votare contro questo emendamento, perché ferisce sostanzialmente la precedente deliberazione della Sottocommissione, la quale parlava di enti autonomi con specificazione concreta di potestà legislativa; perché è nettamente in contrasto con la disposizione dell’articolo 3 che il Comitato, incaricato di redigere il progetto, aveva elaborato e approvato in maggioranza: e infine perché con una disposizione simile non si potrà dar vita ad un ente atto a trasformare in un ordinamento veramente regionale in senso democratico e decentralizzato l’ordinamento centralizzato dello Stato.

AMBROSINI, Relatore, dichiara di votare contro l’emendamento perché esso è contrario al principio al quale il Comitato si è ispirato quando è stato affrontato il problema. Ricorda che l’onorevole Grieco nel suo progetto all’articolo 4 proponeva: «Sono materie di competenza della Regione le strade, i ponti, gli acquedotti, i porti di importanza non nazionale, i lavori pubblici di interesse non nazionale, la pesca, le acque interne, le antichità e belle arti, il turismo, la pubblica beneficenza ecc.»; riconosceva, cioè, alla Regione la potestà legislativa su parecchie materie.

LACONI rileva, circa la proposta dell’onorevole Grieco ricordata dall’onorevole Ambrosini, che la dizione dell’articolo 4 va intesa alla luce di quanto disponeva l’articolo 3 del medesimo progetto.

PERASSI dichiara di votare contro l’ordine del giorno Laconi e di accettare la formulazione del progetto; del resto tale accettazione poteva ritenersi implicita nel fatto di aver egli presentato un emendamento aggiuntivo all’articolo 3 del progetto proposto dal Comitato.

PICCIONI domanda che si proceda alla votazione per appello nominale.

PRESIDENTE, aderendo alla richiesta fatta dall’onorevole Piccioni, pone in votazione per appello nominale l’emendamento proposto dall’onorevole Laconi e da altri colleghi:

Rispondono sì: Bocconi, Bozzi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

Rispondono no: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fuschini, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Piccioni, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

(Con 11 voti favorevoli e 16 contrari, non è approvato).

ZUCCARINI ritira la sua proposta di emendamento.

BULLONI ritira la sua proposta di emendamento.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo 3 del progetto proposto dal Comitato di redazione:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali».

(È approvata).

Pone in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Parassi e così formulato: «e degli obblighi internazionali dello Stato».

(È approvato).

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Einaudi.

Assenti: Di Giovanni, Farini, Grieco, Patricolo, Porzio, Targetti.

SABATO 16 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

48.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 16 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Bozzi – Tosato – Ambrosini, Relatore – Zuccarini – Mortati – Laconi.

La sedata comincia alle 9.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE dichiara aperta la discussione sull’articolo 3:

«Compete alla Regione la potestà legislativa nelle seguenti materie, in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali:

agricoltura e foreste;

cave e torbiere;

strade, ponti, porti, acquedotti e lavori pubblici;

pesca e caccia;

urbanistica;

antichità e belle arti;

turismo;

polizia locale urbana e rurale;

beneficenza pubblica;

scuole professionali;

modificazione delle circoscrizioni comunali».

BOZZI osserva che l’esame dell’articolo 3 non può andare disgiunto da quello dell’articolo 4, che è così concepito;

«Compete alla Regione la potestà legislativa di integrazione delle norme direttive generali emanate con legge dello Stato per le seguenti materie:

industria e commercio;

acque pubbliche ed energia elettrica;

miniere;

riforme economiche e sociali;

ordinamento sindacale;

rapporti di lavoro;

disciplina del credito, dell’assicurazione e del risparmio;

istruzione elementare;

e per tutte le altre materie indicate da leggi speciali».

Propone quindi di concentrare per ora l’attenzione sul primo comma di ciascuno dei due articoli, ove si disciplina la potestà normativa delle Regioni, c di esaminare successivamente le due elencazioni di materie.

TOSATO aggiunge che va tenuto presente anche l’articolo 12, relativo all’interferenza dello Stato a tutela dell’interesse delle altre Regioni e della Nazione, così formulato:

«I disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale devono essere comunicati al Governo centrale. Essi acquistano valore di legge trascorso il mese da tale comunicazione, salvo il caso in cui il Governo, ritenendo che eccedano dai limiti di competenza della Regione o che contrastino con l’interesse nazionale o di altre Regioni, li rimandi, entro il termine suddetto, all’Assemblea regionale con le sue osservazioni.

«I disegni di legge in questione possono essere ripresi in esame dall’Assemblea regionale e diventano senz’altro leggi, se questa, respingendo le osservazioni governative, li approva nuovamente con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti.

«Il Governo centrale può in questo caso ricorrere alla Corte costituzionale per chiederne l’annullamento parziale o totale.

«Le leggi della Regione devono essere inserite nella Raccolta Ufficiale delle leggi e decreti dello Stato e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

AMBROSINI, Relatore, aderisce a quanto è stato proposto, rilevando che le disposizioni citate sono integrate altresì dal capoverso dell’articolo 8, che pure dovrà essere tenuto presente per avere una visione d’insieme del fondamentale potere legislativo delle Regioni. Tale capoverso dice:

«Non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale».

ZUCCARIN si associa, in quanto ha già sostenuto la stessa tesi nel Comitato di redazione del progetto. Entrando nel merito, osserva che non si possono creare due competenze diverse e soprattutto non si possono fare due classificazioni per materie, senza stabilire con ciò limiti di competenza molto dubbi, che darebbero luogo a contrasti.

Con la costituzione dell’ente Regione ci si prefiggono due scopi: in primo luogo consentire alle Assemblee legislative nazionali un lavoro più semplice e più efficace; cioè, non tanto decentrare, quanto semplificare l’opera del potere legislativo centrale dello Stato ed aumentarne così la competenza e l’autorità; in secondo luogo si pensa di lasciare agli interessati la risoluzione dei loro problemi particolari. Basterebbe tenere presente che normalmente il 90 per cento del lavoro del Parlamento riguarda appunto problemi particolari, per comprendere quanto esso ne guadagnerebbe in snellezza ed in efficacia.

Nel suo progetto è a questo che egli ha mirato, sostenendo il concetto che la Regione dovesse assorbire, per tutta quella che è materia di legislazione particolare, l’attività e i compiti che appartengono allo Stato, provvedendovi con mezzi propri, con organizzazioni proprie, con funzionari propri. In tal modo, mentre si riduce al minimo indispensabile la funzione legislativa dello Stato, si determinano anche due limiti di competenza ben distinti.

Viceversa coi due articoli in esame si dà alla Regione una competenza esclusiva su alcune determinate materie, ed una potestà di semplice integrazione su altre che sono le più importanti e in maggior numero. In questo modo il lavoro legislativo centrale si ridurrà di pochissimo e resterà enorme come prima.

Osserva inoltre che è difficile intendere l’esatta portata del termine «integrazione». Nella stessa elencazione delle materie si è caduti nell’arbitrario. Non si capisce, ad esempio, perché l’agricoltura sia stata inclusa nell’articolo 3 (potestà legislativa esclusiva) e l’industria invece nell’articolo 4 (potestà di integrazione). Agricoltura ed industria sono due branche della vita economica che, per quel che riguarda le norme direttive generali, possono considerarsi di competenza dello Stato, ma che poi, per tutto ciò che è norma particolare, devono essere di competenza della Regione.

Quello che egli ha detto nei riguardi dell’agricoltura potrebbe dirsi anche per la pesca, per l’antichità, per il turismo, ecc.: necessariamente per tutte potranno esservi alcune leggi di carattere generale, che naturalmente dovranno essere, in quanto generali, emanate dall’Assemblea legislativa nazionale.

Per queste regioni, esprime l’avviso che si debbano riunire gli articoli 3 e 4 in un solo articolo sotto la dizione dell’articolo 3, eliminando ogni specificazione delle materie, e in modo da attribuire effettivamente alle Regioni relativamente ad esse una funzione autonoma. La potestà legislativa non dovrebbe limitarsi a quelle materie che sono già delle vecchie amministrazioni provinciali, quando non addirittura di quelle degli enti locali. Stabilendo che ciò che è generale spetta all’Amministrazione centrale e spetta quello che è particolare alle Regioni, si eviterebbe il determinarsi di conflitti, che si avrebbero, invece, in conseguenza di tale doppia classifica, fra il potere centrale, il quale è per sua natura accentratore, e le Regioni. La pratica consentirebbe poi alle Regioni di svolgere la loro opera con piena utilità e di sgravarsi da se stesse, quando il compito fosse troppo vasto, delle attribuzioni che non fossero di loro spettanza.

Se non si entrerà in quest’ordine di idee, se non si determineranno due definiti ordini di competenza e di attività tra la Regione e lo Stato, l’Assemblea nazionale continuerà a sfornare di continuo leggi, come ha fatto per il passato, e rimarrà incombente sulle Regioni il pericolo della invadenza del potere esecutivo nei loro compiti particolari.

Nota pure un’altra deficienza nelle disposizioni in esame: la mancanza cioè di un accenno alla ricostruzione postbellica. Anche in tale campo ritiene che, una volta fissate le direttive generali, nessun organo sarebbe più competente e più utilmente operante della Regione. L’errore principale di tutto l’attuale programma di ricostruzione, che non si riesce a mettere ancora in atto, a suo avviso, è proprio nell’aver voluto il Governo accentrare la risoluzione di una infinità di problemi i quali, lasciati invece alla competenza dei Comuni e di altri enti d’iniziativa locale, avrebbero già potuto essere risolti.

Conclude augurandosi che il principio della autonomia regionale, nel quale crede, non come in una forma di indebolimento dello Stato, ma come in una forma di maggiore efficienza politica, economica e ricostruttiva della Nazione, resti affermato e si realizzi. Esprime altresì il voto che il progetto presentato all’esame della Commissione, pur con le sue manchevolezze, non finisca con l’offrire il fianco alle critiche e alla offensiva contro il regionalismo e contro il decentramento da parte di organi desiderosi di continuare la loro opera accentratrice, ma sia migliorato in modo da soddisfare il più possibile tutte lo esigenze, facendo sì che i cittadini si sentano effettivamente parte della Nazione e concorrano, colla amministrazione dei loro enti locali e attraverso essi, all’opera di rinnovamento della vita nazionale.

MORTATI confessa che, per quanto abbia attentamente esaminato gli articoli 3 e 4, non si è reso conto del loro criterio informatore.

Si trovano in essi quattro diversi tipi di legislazione, riuniti forse un po’ confusamente:

1°) una potestà legislativa esclusiva della Regione (articolo 3), dalla quale l’intervento dello Stato in forma normativa sarebbe inibito;

2°) una potestà legislativa di integrazione delle norme direttive statali;

3°) una potestà legislativa di integrazione delle norme generali;

4°) una potestà legislativa per delegazione da parte dello Stato (ultimo comma dell’articolo 4).

Trova non persuasive alcune di queste disposizioni, e anzi tutto non si rende conto – come già l’onorevole Zuccarini – del perché nel primo caso si debba escludere lo Stato da ogni possibilità di intervento normativo. La Regione può fare ciò che vuole; lo Stato può intervenire soltanto ex post per far annullare le norme che fossero contrarie agli interessi nazionali. Non vi è quindi luogo ad una valutazione integrale fatta anteriormente, ma ad una valutazione a posteriori, caso per caso, che trova la sua definizione ultima attraverso il giudizio della Corte costituzionale; e tutto ciò può essere dannoso agli interessi dello Stato e agli interessi della Regione.

Dannoso agli interessi dello Stato, perché è evidente che esso – come ha rilevato l’onorevole Zuccarini – potrebbe avere un indirizzo da segnare in queste materie (agricoltura, strade, pesca, ecc.) e le legislazioni particolari dovrebbero essere uniformate ad un criterio d’insieme. Solo così può dirsi che il regionalismo non disintegra l’unità nazionale, ma la rende più concreta ed efficiente.

Dannoso, inoltre, agli interessi delle Regioni, perché esse, pur avendo ampia potestà in certe materie, in realtà si trovano inceppate dal sindacato del potere esecutivo, che può far annullare, caso per caso, tutte le deliberazioni che siano contrarie agli interessi nazionali. Quindi, sotto l’apparenza di una migliore tutela degli interessi regionali, si finisce col pregiudicare gli interessi stessi e metterli alla mercè dell’arbitrio del potere esecutivo, sia pure corretto da un organo giurisdizionale, sul cui intervento però non può farsi eccessivo affidamento. L’esperienza mostra come sia poco efficiente affidare valutazioni di convenienza ad organi giurisdizionali, a meno di non volerne trasformare l’indole facendoli divenire politici.

Ritiene altresì inopportuno considerare unitamente la potestà legislativa di integrazione di norme direttive e quella di integrazione di norme generali così come fa l’articolo 4. A parte il fatto che tecnicamente è inesatto parlare di integrazione di norme direttive, si tratta di due rapporti differenti e bisogna distinguere le norme direttive dalle norme generali, ai fini del sindacato sulla costituzionalità della normazione regionale. Forse il Comitato ha voluto affermare un diritto da parte della Regione, garantito costituzionalmente, a pretendere che la legge dello Stato si limiti semplicemente a dare le direttive, senza entrare nei particolari; ma non si è reso conto del fatto che, parlando promiscuamente di norme direttive e di norme generali e conferendo allo Stato il potere direttivo e il potere di legiferare in via generale, si faceva venir meno la possibilità di far valere la pretesa di limitare l’intervento dello Stato nel senso accennato.

Altra disposizione che trova non sufficientemente chiara è quella dell’ultimo comma dell’articolo 4, a tenore del quale parrebbe che da parte del legislatore ordinario, con legge speciale, si potesse deferire al potere normativo delle regioni qualunque materia. Non resterebbe quindi in alcuna materia la competenza esclusiva dello Stato, su tutte potendo la Regione legiferare in virtù di una delega. Mentre si è ritenuto che la delega legislativa a favore di altri organi dovesse essere limitata in modo tanto rigoroso da annullarne perfino l’efficienza, qui si ammetterebbe che il legislatore potesse dare direttive su qualunque materia, lasciando poi un largo campo di attività normativa delegata alla Regione. Posta, inoltre, questa mancanza di esclusività di competenza dello Stato, diverrebbe difficile decidere con sicurezza anche della presunzione di competenza per i casi non contemplati.

Su tutti questi argomenti chiede delle delucidazioni al relatore.

AMBROSINI, Relatore, comincia col rispondere all’onorevole Mortati che veramente il Comitato ha previsto solo due tipi di legislazione. La prima è quella che in un primo tempo chiamò legislazione primaria o diretta, e che poi pensò – in vista delle ripercussioni che l’espressione avrebbe potuto provocare sull’opinione pubblica – di definire semplicemente «potestà legislativa»; la seconda è la «legislazione di integrazione». Circa il significato di quest’ultimo termine – che l’onorevole Zuccarini ha trovato incerto – ritiene che non possano sorgere dubbi. Non ne sorsero infatti in seno al Comitato. L’onorevole Grieco, anzi, nel proporre la fusione degli articoli 3 e 4, sostenne che si dovesse adottare proprio tale formula: «la Regione ha potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello Stato».

Quanto all’obiezione che l’articolo 3 verrebbe a configurare una ipotesi dannosa per lo Stato e forse anche per le Regioni, poiché non è concepibile che esistano materie sulle quali la Regione abbia una competenza esclusiva. Fa presente che il Comitato partì dal principio che le Regioni dovessero avere un qualche campo – di interesse particolarmente locale – in cui potessero legiferare in modo autonomo, ma che d’altra parte dovesse evitarsi che l’esercizio di questa potestà legislativa esclusiva causasse un qualche nocumento agli interessi generali dello Stato. Fu appunto nel desiderio di conciliare le due esigenze, che il Comitato ritenne, nell’affermare questa competenza esclusiva della Regione in determinate materie, di salvaguardare nel contempo l’interesse generale dello Stato, integrando la disposizione con l’aggiunta che la Regione dovrà esercitare il suo potere normativo «in armonia con la Costituzione e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato», nonché «nel rispetto degli interessi nazionali».

Conviene con l’onorevole Mortati che qui si entra in un campo particolarmente delicato, in quanto sarebbe estremamente difficile dare una definizione precisa dell’interesse nazionale. Spiega quindi che il Comitato si rese conto della necessità di regolare la materia in modo da contenere nei giusti limiti la potestà legislativa della Regione. All’uopo indugiò nell’esame dei vari sistemi, che egli, come relatore e come incaricato della redazione del primo progetto, aveva prospettati, proponendo in modo alternativo ben cinque articoli su questo punto. Il Comitato prescelse quello che costituisce l’articolo 12 dell’attuale progetto. Gli altri quattro sono riprodotti come «varianti» alla fine del progetto.

Riservandosi di ritornare sull’argomento quando verrà in discussione l’articolo 12, crede opportuno di avvertire fin d’ora, che – appunto per la considerazione, fatta dall’onorevole Mortati e da altri colleghi, che la valutazione degli «interessi nazionali» porta necessariamente ad un giudizio di merito – egli aveva, in una delle suddette «varianti», distinto il giudizio di legittimità da quello di merito, proponendo di affidare il primo alla Corte costituzionale ed il secondo al Parlamento Nazionale. Il Comitato deliberò a maggioranza di non accogliere questo sistema. Personalmente egli ritiene che sarà opportuno ripigliarlo in considerazione.

Riguardo all’altra osservazione dell’onorevole Mortati, sull’espressione «norme direttive e generali emanate con legge dello Stato» adoperata dall’articolo 4, rileva che il Comitato non intese configurare due ipotesi, ma una sola. Le parole «direttive» e «generali» debbono considerarsi come integrantisi a vicenda in modo da dar luogo all’affermazione di un unico concetto: lo Stato detta le norme generiche, fondamentali, nell’ambito delle quali le Regioni possono poi dettare le norme integrative, in base alle particolari condizioni locali; norme, queste ultime, che non debbono ridursi a norme di «attuazione», secondo proponeva l’onorevole Lami Starnuti, ma che rappresentano qualcosa di più, in corrispondenza al significato della parola «integrazione», secondo intese il Comitato e secondo affermò l’onorevole Grieco quando propose di fondere gli articoli 3 e 4, attribuendo alla Regione, per tutte le materie in essi espressamente indicate e per le altre che il legislatore potesse in avvenire determinare, la «potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello Stato».

Dichiara infine che non condivide le preoccupazioni manifestate dall’onorevole Mortati riguardo all’ultimo comma dell’articolo 4, giacché è il legislatore che di volta in volta deciderà di attribuire qualche altra materia alla competenza legislativa di integrazione della Regione; e ciò sarà fatto a mezzo di leggi speciali. Bisogna pur concedere al legislatore ordinario la possibilità di muoversi liberamente in questo campo a seconda che ritenga opportuno in corrispondenza a sopravvenute necessità. Una eccessiva e pregiudiziale sfiducia nei suoi riguardi non gli sembra opportuna. D’altra parte sarebbe troppo complicato, e per ciò stesso inefficiente, richiedere sempre l’intervento dell’organo costituente.

LACONI domanda se si è inteso ammettere questa delega legislativa alle Regioni per determinate materie o non piuttosto per determinati oggetti. Nota infatti che il termine «materie» è già usato nel primo comma con un significato molto più ampio e forse, nel caso in esame, si sarebbe dovuto parlare di «oggetti».

AMBROSINI, Relatore, non vede quale differenza possa esserci fra le due parole.

MORTATI ribadisce il pensiero già espresso, mostrando su degli esempi la larghezza di intervento consentito alla Regione in virtù di delega legislativa, in contrasto con il principio generale restrittivo fatto valere in occasione della disciplina della delegazione legislativa al governo.

AMBROSINI, Relatore, replica che non si deve avere una diffidenza preconcetta verso il futuro legislatore e non bisogna incatenarlo con disposizioni costituzionali particolareggiate che lo spingano ad evadere la Costituzione o ad ottenerne la modifica. Ricorda che la Costituzione americana è in vigore ormai dal 1787 appunto in virtù delle larghe possibilità di adattamento che ha lasciato al legislatore.

La seduta termina alle 10.35.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Calamandrei, Terracini.

Assenti: De Michele, Di Giovani, Einaudi, Farini, Grieco, Leone Giovanni, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Targetti, Uberti.

VENERDÌ 15 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

47.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 15 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Fuschini – Ambrosini, Relatore – Piccioni – Laconi – Perassi – Lussu – Mannironi – Mortati – Bordon – Conti – Nobile – Fabbri – Finocchiaro Aprile – Vanoni – Castiglia – Rossi Paolo – Bozzi – Codacci Pisanelli – Zuccarini – Lami Starnuti – Tosato – La Rocca.

La seduta comincia alle 16.25.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Ambrosini ha chiesto che sia stralciata dalla sua relazione la parte speciale. Poiché è convinto che anche la parte anzidetta della relazione sull’ordinamento regionale costituisce un prezioso apporto di idee alla risoluzione del problema in esame, sicuro di interpretare il pensiero di tutti i componenti la Sottocommissione, invita l’onorevole Ambrosini a recedere dalla sua richiesta.

FUSCHINI assicura che la richiesta di spiegazioni da lui rivolta all’onorevole Ambrosini, nella riunione precedente, a proposito dell’articolo 17 del progetto sull’autonomia regionale non era ispirata ad alcun motivo di critica dell’opera veramente egregia prestata dal Relatore. Si associa pertanto al voto espresso dal Presidente.

AMBROSINI, Relatore, ringrazia ed afferma che la sua opera, per quanto modesta, è e sarà sempre a completa disposizione della Sottocommissione.

PRESIDENTE avverte che la discussione verte ancora sull’articolo 2 del progetto sull’autonomia locale.

PICCIONI dubita che lo spirito dell’ordine del giorno, approvato dalla Sottocommissione all’inizio dei suoi lavori, sia stato tenuto presente nella formulazione del secondo comma dell’articolo 2. In quell’ordine del giorno si faceva richiamo alle situazioni particolari esistenti in alcune Regioni, relativamente, però, alla necessità di una formulazione di progetto di ordinamento regionale avente carattere generale. Ciò poteva significare, o la necessità di coordinare in un solo testo gli Statuti regionali già esistenti e il provvedimento di carattere generale sull’ordinamento regionale, o l’altra di considerare gli Statuti regionali già esistenti come guide per la formulazione del progetto generale dell’ordinamento regionale. Si trattava, cioè, di inquadrare gli Statuti già esistenti nel nuovo ordinamento regionale, nel senso che, riconoscendosi l’esistenza di particolari condizioni in talune Regioni, tali condizioni avrebbero dovuto essere precisate obiettivamente nel testo generale dell’ordinamento regionale, in modo che unica rimanesse pur sempre la fonte costituzionale. Ciò non è stato fatto dal Comitato, e con l’articolo 2 si creano due tipi ben distinti di Regioni: quelle per cui ha valore il testo generale dell’ordinamento regionale e quelle, in tutto quattro, a cui invece si lascia un’assoluta autonomia di ordinamento nei confronti della legge fondamentale. Ciò non gli sembra opportuno, onde non crede che il secondo comma dell’articolo 2 possa essere approvato.

Avrebbe poi gradito che si fosse compiuto un esame comparativo fra il progetto di carattere generale sull’ordinamento regionale e i due Statuti speciali già esistenti, allo scopo di individuare le condizioni particolari delle Regioni a cui tali Statuti si riferiscono. Così, se da questo esame comparativo fosse risultata l’opportunità di tener presenti tali condizioni particolari, esse avrebbero potuto essere specificate nel testo fondamentale dell’ordinamento regionale, e ciò non solo per consacrare i motivi che possono giustificare un diverso trattamento fatto a quelle Regioni, ma anche per evitare che ad esse possa essere dato un ordinamento eccessivamente e ingiustificatamente diverso da quello comune. Ancor meno può essere favorevole alla formula proposta dall’onorevole Laconi, con la quale, assai più chiaramente, si prevedono due distinte categorie di Regioni; argomento che non ha mai formato oggetto di discussione e tanto meno di convergenza di opinioni.

LACONI si richiama, circa le affermazioni dell’onorevole Piccioni, sull’opportunità di specificare alcune particolari situazioni regionali nel testo della Costituzione, al progetto dello Statuto regionale sardo, preparato dal Partito della democrazia cristiana, in cui si fanno rivendicazioni di tale natura, che indubbiamente non potrebbero trovar posto in una Carta costituzionale.

PERASSI riconosce che esistono determinati problemi per alcune Regioni, ma non ha mai pensato che l’ordinamento regionale in Italia debba essere attuato soltanto per far fronte alle particolari esigenze di talune Regioni. Qualcuno ha voluto ricordare Mazzini; ma lo stesso Mazzini, che nel 1861 propose l’istituzione della Regione come organo intermedio fra il Comune e lo Stato, voleva un ordinamento regionale, non già in vista di un maggiore o minore coordinamento delle varie nostre Regioni provenienti da Stati diversi, bensì da un punto di vista generale, come un nuovo modo, cioè, di organizzazione dello Stato italiano. Si tratta quindi, con l’ordinamento regionale, di realizzare in Italia una democrazia effettiva e di dare allo Stato una struttura più rispondente alla varietà delle Regioni. Avuto riguardo, però, ad alcune particolari condizioni geografiche, storiche ed economiche, è da considerare la possibilità di dare a talune Regioni un ordinamento in qualche punto diverso da quello fissato per tutte le altre. A tale proposito resta da risolvere il problema, giuridico-formale, dell’inquadramento di tali particolari ordinamenti nell’ordinamento regionale dello Stato. Si può quindi esaminare la possibilità di apportare qualche modifica al secondo comma dell’articolo 2, nel senso di affermare che gli ordinamenti regionali speciali non debbano essere nettamente distinti dall’ordinamento generale regionale. A suo avviso, anziché parlare di Statuti speciali, si potrebbe parlare di ordinamenti autonomi stabiliti con legge costituzionale.

LUSSU ritiene che, per giungere ad una soluzione univoca del problema in esame, sarebbe opportuno che gli onorevoli Nobile e Laconi ritirassero le loro proposte di emendamenti all’articolo 2, e ciò per dissipare alcune preoccupazioni che possono essere anche giustificabili. Da qualcuno, infatti, si teme che con l’adozione di Statuti speciali per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, possano essere adottati principî in contrasto con quelli fondamentali della Carta costituzionale. Ora, questo timore è infondato, tanto più che nell’articolo 3 è detto assai chiaramente che l’autonomia di ogni Regione deve essere in armonia con la Costituzione e con i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Solo se ciò non fosse, le preoccupazioni manifestate da qualche collega avrebbero una ragion d’essere, perché si avrebbe non più uno Stato unitario democratico, ma uno Stato anarchico, ed allora veramente sarebbe il caso di parlare di separatismo. Ma è chiaro che nessuno in Italia, tranne forse l’onorevole Finocchiaro Aprile, può pensare, nemmeno lontanamente, a una simile impostazione dell’ordinamento regionale.

Aderisce, quindi, alle giuste osservazioni dell’onorevole Perassi sull’autonomia regionale intesa da un punto di vista generale, come un nuovo modo di organizzazione dello Stato italiano. Non è il caso di nutrire alcun timore circa il disposto del secondo comma dell’articolo 2, tanto più che gli Statuti speciali ivi previsti, dovranno essere sottoposti innanzi tutto all’esame della Sottocommissione e poi a quello della Commissione, per essere infine discussi in seno all’Assemblea costituente, alla quale soltanto spetta il compito di dire su di essi l’ultima parola. Si hanno così tutte le garanzie per premunirsi da ogni eventuale sorpresa.

D’altra parte giova riconoscere che esistono condizioni particolari nelle quattro Regioni menzionate nella seconda parte dell’articolo 2, ed è necessario tenerle presenti, anche e soprattutto per necessità politiche. Si potrà discutere in seguito su alcune norme contenute, ad esempio, nello Statuto per la Sicilia, o su alcuni particolari problemi riguardanti l’economia regionale sarda, od anche sulla già avvenuta concessione di una zona franca alla Val d’Aosta; ma quando ciò dovrà farsi, si dovrà tener presente che per la Sicilia e la Val d’Aosta non si potrà ritornare su talune disposizioni già prese, che rappresentano ormai un diritto acquisito, come anche non potranno essere ostacolate alcune aspirazioni della popolazione sarda, perché sono legittime e profondamente sentite. Ciò non sarebbe assolutamente opportuno per ragioni politiche, come anche sarebbe un grave errore, per lo stesso motivo, modificare la formulazione del secondo comma dell’articolo 2, non menzionando espressamente la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige secondo quanto, ad esempio, ha proposto anche l’onorevole Rossi. Si tratta in fondo di un problema di forma, ma che ha grande importanza nel momento attuale.

Per queste considerazioni ritiene che la formulazione dell’articolo 2, così come è stata proposta dal Comitato possa senz’altro essere approvata.

MANNIRONI è del parere che innanzi tutto occorra risolvere il problema da un punto di vista generale; è necessario, cioè delineare un tipo di ordinamento regionale che possa servire per tutte le Regioni d’Italia, e quindi anche per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige. Con ciò non intende negare i diritti quesiti della Sicilia e della Val d’Aosta, che hanno ormai uno Statuto speciale, o le condizioni particolari delle quattro Regioni menzionate. Ciò che importa, una volta che sia stato fissato l’ordinamento regionale per tutte le Regioni italiane, è di adattare in sede costituzionale a tale ordinamento gli Statuti speciali già concessi per legge, e le esigenze particolari delle quattro Regioni. Si tratta, in altri termini, di creare prima la regola e poi, se sarà necessario, l’eccezione e non già questa prima di quella.

Il concetto da lui esposto non è dettato dalla preoccupazione, come alcuno potrebbe credere, che con il futuro ordinamento regionale dello Stato possa essere indebolita l’unità dello Stato stesso, bensì dal timore che si voglia attuare una riforma regionale soltanto per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, e non già per tutta l’Italia. E proprio a ciò, secondo il suo avviso, sembra tendere il disposto dell’articolo 2, che in sostanza riproduce la proposta fatta, in sede di Comitato di redazione per l’autonomia regionale, dall’onorevole Grieco, con la quale proposta si creavano due distinte categorie di Regioni, quelle aventi soltanto uno status di enti autarchici, senza un potere normativo primario, quindi senza una vera e propria autonomia, e quelle aventi effettivamente una tale autonomia, ossia le quattro Regioni già ricordate. Se tale criterio dovesse essere posto a base dell’ordinamento regionale, verrebbe meno in realtà ogni ordinamento regionale nel senso di una nuova organizzazione dello Stato, adottata per giungere ad una più schietta e radicale democrazia. È proprio ciò che egli, regionalista convinto, vuole assolutamente evitare.

Per tali considerazioni è del parere che dovrebbe essere adottata la originaria formulazione dell’articolo 2 proposta dall’onorevole Ambrosini.

MORTATI, per mozione d’ordine, osserva che è inutile procedere nell’esame del secondo comma dell’articolo 2, se prima non sia deciso l’ordinamento delle varie Regioni. Occorre prima risolvere il problema della creazione dell’Ente Regione da un punto di vista generale, e poi preoccuparsi del trattamento speciale da riservare a determinate Regioni. Propone pertanto di rinviare la discussione sull’ultimo comma dello articolo 2.

PRESIDENTE nota che, con l’approvazione della proposta di rinvio fatta dall’onorevole Mortati, si verrebbe in realtà a pregiudicare, o quanto meno ad affrettare la soluzione dell’importante problema in discussione. È chiaro, infatti, che coloro che sono favorevoli a due distinte categorie di Regioni, voteranno contro la proposta di rinvio dell’onorevole Mortati, mentre voteranno a favore di essa coloro che vogliono un ordinamento di carattere generale per tutte le Regioni, che consenta soltanto la regolamentazione di alcune determinate situazioni particolari, se ciò risulterà necessario. Comunque, se l’onorevole Mortati insiste nella sua proposta, la metterà in votazione.

MORTATI insiste nella sua proposta, osservando che con l’eventuale accoglimento di essa non si verrebbe affatto a pregiudicare la possibilità di riprendere in esame, al momento opportuno, il disposto del secondo comma dell’articolo 2 e di inserirlo definitivamente nel progetto sulle autonomie locali. Si tratta soltanto di una semplice proposta di sospensiva.

BORDON non ritiene opportuno sospendere la discussione sul secondo comma dell’articolo 2. Se si dovesse arrivare ad una simile decisione, sarebbe anche necessario rinviare l’esame della prima parte dell’articolo suddetto, perché non possono essere fissate norme generali per l’ordinamento di tutte le Regioni, quando esistono già Statuti speciali per alcune Regioni o determinati territori, come ad esempio la Valle d’Aosta. Ciò potrebbe essere inteso nel senso che si vogliano pregiudicare i diritti già acquisiti dalle quattro Regioni menzionate; ed egli, come rappresentante della Valle d’Aosta, che ha già uno Statuto speciale, dichiara di essere decisamente contrario alla proposta fatta dall’onorevole Mortati.

PICCIONI non trova esatto ciò che ha affermato il Presidente a proposito della proposta dell’onorevole Mortati. Il rinvio della discussione sul secondo comma dell’articolo 2 non può avere altro significato che quello di consentire, al momento opportuno, un più approfondito esame di quanto dispone il comma anzidetto. Se il voto dato, in un senso o nell’altro, a una proposta di rinvio della discussione di un dato problema dovesse avere il significato di voler pregiudicare la decisione sul merito, non sarebbe più possibile fare alcuna proposta di sospensiva.

Per tali considerazioni dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati.

CONTI fa presente che, con il mantenimento della formulazione dell’articolo 2, si può pregiudicare il futuro ordinamento regionale dello Stato, perché evidentemente, quanto dispone il secondo comma dell’articolo anzidetto tende a ridurre la portata di ciò che si stabilisce nel primo. Sarà bene quindi rinviare la discussione sul secondo comma al momento in cui tale discussione potrà sembrare più opportuna. A suo avviso, la proposta dell’onorevole Mortati ha appunto tale significato e non può essere presa in altro senso.

AMBROSINI, Relatore, non ritiene che il disposto del secondo comma indebolisca quello del primo, visto che con esso si mira soltanto a regolare alcune situazioni particolari rispetto alle disposizioni di massima riguardanti le regioni in generale.

NOBILE è del parere che innanzi tutto occorrerebbe decidere se si voglia o pur no uno Stato unitario, perché, mentre nel primo comma dell’articolo 2 si parla di unità e indivisibilità dello Stato, nel secondo tale principio viene ad essere inficiato, attribuendosi a determinate Regioni forme e condizioni particolari di autonomia. Nonostante che per mentalità ed educazione sia contrario ad ogni forma di regionalismo, può benissimo ammettere che si voglia un ordinamento regionale, specialmente se ha lo scopo di decentrare l’amministrazione statale. Ciò, però non dovrebbe in nessun caso implicare la creazione di uno speciale ordinamento autonomo per alcune determinate regioni.

LACONI è perfettamente d’accordo con quanto ha affermato il Presidente. Chi, infatti, interpreta il disposto del secondo comma dell’articolo 2 come un’eccezione al principio di un ordinamento regionale attuabile per tutte le regioni, può essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati; è invece contrario ad essa chi considera la situazione delle quattro Regioni menzionate in quel comma come parte integrante di tutta la concezione del riordinamento, su base regionale, dello Stato italiano. Per tale motivo, se l’esame del secondo comma dovesse essere rinviato, si risolverebbe automaticamente la questione di merito in ordine al problema in discussione. Non ritiene quindi opportuno accogliere la proposta dell’onorevole Mortati; al più potrebbe essere presa in considerazione quella dell’onorevole Ambrosini, di rinviare, cioè, la discussione di tutto l’articolo 2.

MORTATI si associa alla proposta dell’onorevole Ambrosini, di rinviare l’esame dell’intero articolo 2.

LUSSU non crede opportuno nemmeno il rinvio della discussione su tutto l’articolo 2, perché ciò costituirebbe un errore da un punto di vista politico. Suggerisce piuttosto di mettere in votazione l’articolo anzidetto con riserva di sottoporlo a revisione al momento opportuno.

PRESIDENTE, poiché la proposta dell’onorevole Mortati è stata modificata, nel senso di sospendere, come è stato poi suggerito dall’onorevole Ambrosini, la discussione di tutto l’articolo 2, dichiara che personalmente vi è contrario, perché dietro di essa si nasconde una ragione politica; il che, del resto, è naturale che avvenga in un’assemblea formata di rappresentanti politici.

PICCIONI è favorevole alla proposta di sospendere l’esame di tutto l’articolo 2, e dichiara di respingere decisamente il significato politico che ad un voto in tal senso è stato dato dal Presidente. Nessun significato politico particolare rivestono la proposta dell’onorevole Mortati ed il voto favorevole che ad essa viene dato. I rappresentanti del suo partito hanno apertamente e recisamente affermato di essere favorevoli all’instaurazione di un ordinamento regionale, come hanno sempre ammesso la necessità di tenere presente la particolare situazione delle quattro Regioni menzionate nel secondo comma dell’articolo 2. È proprio per un più approfondito esame della situazione particolare delle Regioni anzidette che è stato proposto il rinvio della discussione sull’articolo in questione. Quell’esame non è possibile, se prima non sia risolto il problema dell’ordinamento regionale da un punto di vista generale. Questo e non altro è il significato del voto favorevole che egli darà alla proposta di sospensiva.

FABBRI è contrario alla proposta di sospensiva, perché crede opportuno che si proceda subito all’esame dell’articolo 2, a cui per altro dovrebbe essere apportata qualche modificazione di forma. Tiene a dichiarare, in ogni modo, che è favorevole ad un ordinamento regionale di carattere uniforme per tutte le Regioni, pur riconoscendo che debbano essere tenute presenti le particolari condizioni della Sicilia, della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sospendere la discussione dell’articolo 2.

(Con 12 voti favorevoli e 14 contrari non è approvata).

FINOCCHIARO APRILE osserva che l’onorevole Nobile è stato nel giusto quando ha dichiarato che, con l’instaurazione di un ordinamento regionale, si viene a disintegrare l’organizzazione unitaria creata al tempo del Risorgimento. Ciò, in fondo, corrisponde al pensiero degli onorevoli Einaudi, Nitti ed altri, i quali hanno sempre affermato che, tutt’al più, si potrebbe concedere alle Regioni un certo decentramento burocratico; non mai l’autonomia, in quanto questa avrebbe l’effetto, appunto, di scardinare l’unità dello Stato italiano. Ora, dal suo punto di vista, non ha che a confermare ciò che già ebbe occasione di proclamare in seno all’Assemblea costituente e nella stessa Sottocommissione, vale a dire che il «Movimento per l’Indipendenza della Sicilia», che ha l’onore di rappresentare, non può considerare l’autonomia come fine a se stessa, ma come mezzo al fine di raggiungere la tanto auspicata indipendenza della patria siciliana.

Non crede che, ammettendo forme speciali di autonomia per la Sicilia, per la Sardegna, per la Valle di Aosta e per il Trentino-Alto Adige, si venga a stabilire una qualche cosa di anormale, una situazione che contrasti eccessivamente con l’ordinamento generale dello Stato, una posizione di privilegio di alcuni Paesi in confronto di altri, perché la realtà è la seguente: in Italia si è cominciato a parlare della possibilità di attuare un ordinamento autonomistico soltanto dopo la grandiosa agitazione indipendentista siciliana e come antidoto contro di essa. Prima, dopo il fallimento del progetto Minghetti e dei successivi tentativi, se n’era parlato come di un’esigenza dottrinale de jure condendo. All’agitazione siciliana seguirono le richieste della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, sia pure in forme alquanto diverse tra loro. Nessun’altra regione espresse mai il desiderio dell’autonomia. Quella che si vuole dare alle altre Regioni, e ne è molto discutibile la necessità, è un’autonomia che si vuol far piovere dall’alto, non un ordinamento germinato, sia anche a titolo di transazione, dalla viva espressione della volontà popolare. Da ciò dipende quella pretesa contraddizione che si vuole rimproverare all’oratore per essersi regolato in conseguenza, di essere cioè indipendentista in Sicilia e centralista a Roma. Tale contraddizione è solo apparente, in quanto l’autonomia bisogna darla a quelle Regioni che la desiderino, non imporla a quelle che non sanno che farsene, specie poi nella forma che è in gestazione. Per questo non può essere soppressa la menzione delle speciali forme di autonomia da attribuirsi alle quattro Regioni, perché, se ciò venisse fatto, verrebbe meno la vera ragione della discussione in ordine al problema autonomistico.

Nel progetto presentato dal Comitato, frutto evidentemente di molti compromessi, non è previsto un completo, vero e proprio ordinamento autonomo per tutte le altre Regioni, diverse dalle quattro specificate.

Si hanno, così, due distinte categorie di Regioni: quelle a tipo decentrativo e quelle autonomiste. Qui non si vogliono considerare che le prime, in quanto, per le seconde, le cui popolazioni hanno già fatto valere le loro aspirazioni in senso autonomista, esistono già o saranno presto stabiliti ordinamenti speciali.

Per ciò che riguarda la Sicilia è stato promulgato, com’è noto, uno Statuto che è insufficiente ai bisogni delle popolazioni siciliane, ma che dovrà, ciò che è peggio, essere coordinato con la Costituzione, secondo una norma contenuta nello Statuto medesimo. Ora c’è da osservare che il termine «coordinamento» si presenta già in modo assai equivoco. Che cosa si vuole intendere con esso? Forse la revoca di alcune facoltà considerate eccessive, come ad esempio – così si è detto – l’autonomia tributaria? Ma queste facoltà sono giudicate invece insufficienti alle esigenze delle popolazioni siciliane. Comunque, sono state già concesse dal legislatore. Si potrebbero aumentare, non diminuire o modificare. Se si volesse fare ciò, si commetterebbe un grave errore non solo da un punto di vista giuridico, ma anche da un punto di vista politico; sarebbe assai pericoloso, infatti, togliere alla Sicilia ciò che ormai le è stato attribuito. E poi necessario che si sappia presto e con sicurezza se lo Statuto siciliano dovrà far parte integrante della nuova Costituzione o resterà una legge a sé, coordinata alla Costituzione dal solo punto di vista formale: ed è pure necessario sapere quando infine debba entrare in esecuzione. Un chiarimento in questo senso sarebbe opportuno che fosse dato dall’onorevole Ambrosini e dal Comitato, se hanno chiesto notizie al Governo e sono stati informati.

Anche la Valle di Aosta, come la Sicilia, ha ormai un suo Statuto speciale. Ora, per quanto lo Statuto della Valle di Aosta, a differenza di quello siciliano, sia già entrato in attuazione, esso non ha soddisfatto punto le popolazioni valdostane, come del resto quello per la Sicilia, approvato ma non attuato, ha scontentato le genti siciliane. Nella riunione precedente l’onorevole Bordon, che è un nobile rappresentante ed un innamorato della sua terra, ha detto che le popolazioni della Valle di Aosta non hanno alcuna intenzione di richiedere una garanzia internazionale. Ciò non è esatto. La verità è che la Valle di Aosta aspira a qualcosa di assai diverso dall’autonomia e di più sostanziale. A tale proposito basta considerare il programma dell’Unione Valdostana, movimento antifascista di resistenza al nazionalismo centralizzatore di Roma, che si basa sui seguenti quattro punti: 1°) un regime cantonale di tipo svizzero; 2°) una zona franca totale e permanente; 3°) l’istituzione di un demanio regionale valdostano comprendente le acque, le miniere e il sottosuolo; 4°) la garanzia internazionale dei diritti del popolo valdostano, cioè a dire la garanzia della Carta delle libertà valdostane, che deve sanzionare in un modo indissolubile i tre punti precedenti. Le suddette aspirazioni delle popolazioni valdostane gli sono state manifestate espressamente da autorevoli rappresentanti di quella Regione quali il presidente del Consiglio Caveri, il professore Deffeyes e l’avvocato Page, venuti a lui per dirgli fra l’altro che sono costretti settimanalmente a recarsi a Roma perché, anche per le questioni ormai rientranti nell’ambito dell’autonomia, l’amministrazione centrale oppone un deplorevole ostruzionismo. Ora ciò deve cessare. La Valle di Aosta è una terra benedetta da Dio che ha incomparabili bellezze naturali, che ha possibilità eccezionali di sviluppo industriale, che è ricca di boschi, di sorgenti e di miniere, che ha, soprattutto, una magnifica popolazione intelligente, piena d’iniziative ed operosa. La Valle di Aosta ha, dunque, diritto che le sue aspirazioni siano riconosciute. Non farlo sarebbe atto di suprema ingiustizia.

Quanto alla garanzia internazionale, giova ricordare che essa formò oggetto di un’esplicita richiesta anche da parte del «Movimento per l’Indipendenza della Sicilia» al tempo della occupazione anglo-americana. Fu allora dichiarato dagli Alleati che i siciliani avevano perfettamente il diritto di richiederla.

Occorre anche tener presente la situazione dell’Alto Adige. Come è noto vi è colà il «Südtiroler Volkspartei» che aveva lo scopo principale di ottenere, in virtù di autodecisione, la riunione con il Tirolo del nord dal quale gli altoatesini furono staccati nel 1920 dal trattato di pace di San Germano, mentre l’unione era durata quasi 15 secoli. Ma, negato dai «Quattro Grandi» l’accoglimento di tale richiesta, gli altoatesini aderirono alla convenzione, tra l’Italia e l’Austria onde avere almeno una larga autonomia, garantita internazionalmente, in modo, in caso di diniego, di potere ricorrere all’O.N.U. oppure alla Corte internazionale dell’Aia.

Gli altoatesini sono ora decisi a tenersi strettamente alle clausole di questa convenzione, nonché alle lettere interpretative scambiate fra i ministri De Gasperi e Gruber e chiedono l’immediata riunione di tutte le zone facenti anteriormente parti integranti del Sudtirolo, ma staccate nel 1926 dalla provincia di Bolzano, come il territorio mistilingue che va da Bronzolo a Salorno, il territorio ladino di Livinallongo e l’Ampezzano.

La riunione di queste sparse membra di un unico corpo non può essere negata, come è giusto sia accolta la domanda degli altoatesini di immediata partecipazione all’amministrazione pubblica in tutti gli uffici statali, parastatali, provinciali e comunali in relazione almeno alla popolazione.

Nello stesso tempo gli altoatesini ricusano decisamente il progetto di uno Statuto di autonomia regionale per le provincie di Bolzano e di Trento, redatto, d’ordine del Governo, dal consigliere di Stato Innocenti. Essi hanno preparato un disegno di organizzazione cantonale, pubblicato nel giornale «Volksbote», meritevole della maggiore attenzione e considerazione; disegno nel quale la vera e piena autonomia dovrà essere garantita internazionalmente. Anche, dunque, dalle popolazioni altoatesine si avanzano le stesse richieste che vengono da altre parti.

Occorre assolutamente tener presente tale situazione di fatto.

È da augurarsi che i voti delle popolazioni suddette trovino comprensione e soddisfazione nell’Assemblea costituente. Sarà atto di saggezza politica, specie in un periodo in cui l’Austria avverte, ancor più dell’Italia, le funeste conseguenze della guerra e si accentuano le simpatie di quelle popolazioni verso di noi.

Ma il problema fondamentale dell’autonomia della Sicilia, della Sardegna, della Valle di Aosta e del Trentino-Alto Adige non si risolve con la formulazione di norme più o meno generiche, sibbene creando le condizioni necessarie perché veramente l’amministrazione centrale si persuada di attuare sul serio l’ordinamento autonomistico. È chiaro che il Governo non è affatto animato da tale proposito, come dimostra il suo contegno in rapporto alla Sicilia, e ciò offende le popolazioni che oggi esigono di reggersi autonomamente ed invocano una garanzia internazionale.

(La riunione, sospesa alle 18.30 è ripresa alle 18.45).

PRESIDENTE avverte che al secondo comma dell’articolo 2 sono state presentate due proposte di emendamento: una dell’onorevole Bozzi, del seguente tenore: «Con legge costituzionale possono essere attribuiti alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige e alle altre Regioni che ne facciano richiesta, condizioni diverse di autonomia»; l’altra degli onorevoli Tosato, Piccioni, Cappi e Fuschini, così concepita: «In relazione alle loro particolari esigenze, alle Regioni mistilingui della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, come a quelle insulari della Sicilia e della Sardegna, sono riconosciute forme e condizioni speciali di autonomia, che in quanto divergano dalle norme seguenti, sono stabilite con legge costituzionale».

LUSSU crede che i colleghi rappresentanti i vari partiti sentiranno l’opportunità di non procedere nella discussione dell’articolo 2, come se essi fossero per la prima volta chiamati a prenderne conoscenza. Il Comitato di redazione per l’autonomia regionale, infatti, era composto di rappresentanti di tutti i partiti e quindi nella formulazione ha tenuto conto delle varie opinioni in contrasto, ed un certo grado d’intesa dovrebbe sussistere nella riunione odierna.

PRESIDENTE è d’accordo completamente con l’onorevole Lussu, e fa presente quindi ai colleghi la necessità di terminare nella seduta odierna la discussione sull’articolo 2.

AMBROSINI, Relatore, risponderà brevemente all’onorevole Finocchiaro Aprile, che gli ha domandato se lo Statuto siciliano dovrà o pur no essere inserito nella Costituzione, e quali sono le ragioni per cui esso non ancora è entrato in esecuzione. Circa quest’ultima domanda, osserva che andrebbe rivolta al governo. Comunque nota che lo Statuto siciliano ha già avuto un principio di esecuzione, con la nomina della Commissione paritetica che è prevista dall’articolo 43 di esso Statuto che è chiamata a «determinare le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, nonché le norme per l’attuazione dello Statuto».

Circa la prima domanda, rispondendo a titolo semplicemente personale, rileva che l’attuale Statuto siciliano potrà esser preso in esame – e soltanto per quanto riguarda il suo «coordinamento» con le norme della Costituzione – dopo che queste norme saranno deliberate dall’Assemblea costituente, e non prima, giacché fino a-quando tali norme non sono deliberate manca il presupposto stesso a cui riferirsi per il coordinamento. Il che naturalmente non deve impedire che lo Statuto siciliano abbia per intanto attuazione, specialmente con l’apprestamento della legge elettorale e la successiva immediata convocazione dei comizi per l’elezione della Assemblea regionale. Se poi, dopo il «coordinamento» suddetto, lo Statuto dovrà essere aggiunto alla Costituzione come un allegato o essere lasciato a parte come un testo autonomo, a sé stante, è questione di forma, che potrà risolversi in un senso o nell’altro. Quello che conta è la sostanza, e la sostanza è questa: che in ogni caso lo Statuto ha carattere e valore di legge costituzionale.

Quanto alle altre considerazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, manifesta il suo netto dissenso, rilevando che l’autonomia regionale va considerata ed attuata non solo e non tanto nell’interesse particolaristico delle Regioni, quanto nell’interesse generale dello Stato, a cui le Regioni potenziate daranno un apporto più volonteroso ed efficace nel difficilissimo compito della ricostruzione. Proprio come siciliano, dichiara inoltre recisamente che non sarebbe mai e poi mai da chiedere o da accettare qualsiasi, anche minima, garanzia internazionale, la quale ripugna e contrasta non solo col sentimento, ma anche con la ferma convinzione che, per risorgere, il Paese non può fare appello che alle sue proprie forze.

VANONI dichiara che le poche osservazioni che intende svolgere saranno fatte da lui a titolo puramente personale e in un campo strettamente tecnico, ossia quello economico.

Al riguardo l’onorevole Piccioni ha insistito più volte sulla necessità di esaminare in concreto le esigenze particolari di quelle Regioni, per le quali alcuni colleghi vogliono che siano formulati Statuti speciali. Ciò non è stato fatto, per quanto la richiesta dell’onorevole Piccioni fosse perfettamente logica, perché non può essere dubbia la necessità di stabilire quali siano le esigenze locali che possono consigliare particolari soluzioni dei problemi economici di determinate Regioni. Soltanto l’onorevole Lussu ha rapidamente accennato, a titolo esemplificativo, ad alcuni problemi che, secondo lui, dovrebbero essere risolti in un modo particolare per le quattro Regioni menzionate nel secondo comma dell’articolo 2. Ad esempio, egli ha affermato che i beni demaniali in Sardegna dovrebbero essere di proprietà della Regione. Ma se ciò fosse opportuno per la Sardegna, non si comprende perché non si dovrebbe adottare un’eguale misura per le altre Regioni. Lo stesso si può dire per le miniere: una materia che dev’essere regolata uniformemente, tanto è vero che la formazione di un diritto minerario è stata imposta proprio dal fatto che in questa materia oggi non è più possibile fare una politica regionalistica.

Un altro problema da risolvere è quello del regime delle acque; ma in questo campo o si adotta una regolamentazione di tipo svizzero, secondo cui la proprietà delle acque spetta agli enti autarchici rivieraschi, o si deve fare ricorso alla norma per cui le acque sono di proprietà dello Stato. Anche qui, dunque, bisogna sapere a che cosa si vuol giungere, ed egli crede che si possa trovare il modo di contemperare le esigenze locali con quelle di carattere nazionale, senza creare situazioni profondamente diverse nelle varie Regioni.

Il progetto in esame stabilisce che compete alla Regione la potestà legislativa in materia di strade, e trova giusto che la soluzione dei problemi della viabilità sia affidata alle Regioni, perché là dove esiste un godimento deve anche essere un concorso alla spesa. È sperabile che sarà così contrastata la tendenza a centralizzare le spese, per cui i Comuni hanno sempre cercato di far classificare le loro strade fra quelle provinciali, e le Provincie di far classificare le loro fra quelle nazionali.

Altri due problemi assai importanti sono quelli della zona franca concessa alla Valle d’Aosta e dell’autonomia tributaria riconosciuta alla Sicilia. Circa il primo, osserva che potrebbe essere risolto senza includere una specifica norma al riguardo nella Costituzione, in analogia a quanto è avvenuto in casi consimili. Ad esempio, il comune Livigno gode ormai da lungo tempo di una forma speciale di zona franca, creata con apposita legge. Egualmente importante, ma assai più grave, è la disposizione contenuta nello Statuto siciliano, con la quale si riconosce alla Sicilia l’autonomia tributaria, nei confronti della quale reciso è il suo dissenso, perché la misura dell’autonomia di un ente è data sempre dalla sua autonomia in materia finanziaria; e appunto perché si deve cercar di creare un sistema di autonomia che non distrugga ma integri l’unità dello Stato, è doveroso adottare un ordinamento tributario regionale che non indebolisca, ma rafforzi l’ordinamento tributario del Paese. Una Regione autonoma che continui a far parte di tutto il complesso nazionale non può mai porsi in una situazione tale da diminuire le possibilità di percezione delle imposte da parte dello Stato. L’attività tributaria di ogni Regione dev’essere contemperata con l’attività tributaria generale dello Stato. La forma di autonomia finanziaria prevista dall’articolo 8 del progetto, cioè di un’autonomia finanziaria coordinata con la finanza dello Stato, è l’unica che possa essere concessa; l’altra, quella stabilita nello Statuto siciliano, per cui lo Stato è subordinato, nell’esercizio della sua attività tributaria, all’attività tributaria della Regione, è un elemento di anarchia nel sistema dell’organizzazione statale. Si tratta di un grave problema, che dev’essere senz’altro riesaminato, perché altrimenti si arriverebbe alla deprecabile conseguenza che lo Stato non potrebbe, in caso di necessità, integrare le spese della Sicilia, verso cui ha il dovere di intervenire per riparare alle gravi ingiustizie che da decenni sono state commesse ai danni della sua popolazione, proprio per la posizione di quasi completa indipendenza che sarebbe assunta dalla Sicilia nei confronti del sistema tributario generale del Paese. Bisogna rendersi conto di queste esigenze di carattere tecnico senza suscettibilità politiche, perché tali suscettibilità passano e la Costituzione resta, se veramente si vuole che lo Stato autonomistico si affermi e prosperi.

Ritiene perciò opportuno esaminare, prima di ogni altra questione relativa alla determinazione di un ordinamento regionale dello Stato, le situazioni particolari di alcune determinate Regioni, allo scopo di rendersi conto se esse veramente siano tali da imporre nella Costituzione una regolamentazione speciale, o se esse non possano rientrare nel quadro di quell’autonomia generale che si ha in animo di concedere a tutte le Regioni d’Italia.

NOBILE riconferma la sua avversità per qualsiasi soluzione del problema dell’autonomia regionale, che possa, anche per una minima parte, compromettere non solo l’unità politica, ma anche quella economica dello Stato. È assurdo nel mondo moderno parlare di un’economia regionalistica. In Francia, sebbene vi siano fautori dell’autonomia regionale, non si è fatta parola nella nuova Costituzione di un ordinamento regionale autonomo.

L’onorevole Finocchiaro Aprile ha apertamente dichiarato che l’autonomia siciliana è da lui considerata come un primo passo verso l’indipendenza della Sicilia. Ciò è una riprova che il problema regionalistico in Italia non può non destare, quale che sia la soluzione che ad esso si intenda dare, serie preoccupazioni. Non riesce a simpatizzare col movimento regionalistico, forse perché non è attaccato ad alcuna particolare Regione d’Italia e si sente soltanto italiano; o forse anche perché è convinto che come conseguenza della rivoluzione meccanica tutte le comunità umane debbono tendere verso l’unificazione. Comunque, non può capire come si voglia da taluno disunire la stessa nostra Patria, la cui unità è costata tanti sacrifici.

La sola esigenza che può ammettere è quella di provvedere a concedere una conveniente autonomia alle zone mistilingui di confine, per le quali l’autonomia può anche essere imposta da accordi internazionali, come sta avvenendo per l’Alto-Adige, o da considerazioni di opportunità internazionale. Si tratta, infatti, in tal caso di concedere Statuti speciali per la protezione delle minoranze etniche. Ma non può assolutamente comprendere le esigenze prospettate dagli onorevoli Finocchiaro Aprile e Lussu relativamente all’autonomia della Sicilia e della Sardegna, terre italianissime. Non è certo la difficoltà delle comunicazioni con la Sardegna che può consigliare, come ha affermato l’onorevole Lussu, l’autonomia di questa Regione. Si tratta di difficoltà di carattere contingente, destinate rapidamente a sparire, sicché probabilmente fra qualche anno si impiegherà, per recarsi da Roma a Cagliari, molto minor tempo di quello che oggi sia necessario per spostarsi da un punto all’altro di Roma.

CASTIGLIA è favorevole all’emendamento dell’onorevole Bozzi, con la riserva però che la formulazione dell’articolo 2 proposta dal Comitato abbia valore di riconoscimento dei diritti acquisiti dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Valle d’Aosta c dal Trentino-Alto Adige. In ogni modo, quale che possa essere la formulazione definitiva dell’articolo 2, occorre che in esso si faccia menzione delle particolari condizioni delle quattro Regioni suddette, a cui è necessario riconoscere un’autonomia più ampia per la loro speciale situazione geografica ed economica.

Non crede di poter controbattere con altrettanta perizia le eccezioni di carattere economico o finanziario sollevate dall’onorevole Vanoni: può soltanto rilevare che è bene rinviare la soluzione del problema dell’autonomia finanziaria al momento in cui si dovrà affrontare l’esame dei singoli Statuti speciali, per un’evidente esigenza di coordinamento con il testo della Costituzione. In ogni modo non crede che le osservazioni fatte dall’onorevole Vanoni possano costituire una ragione valida perché debba essere soppresso il secondo comma dell’articolo 2.

L’onorevole Nobile si è mostrato seriamente preoccupato che, con l’adozione di particolari Statuti per la Sicilia e la Sardegna, possa essere disintegrata l’unità dello Stato e a riprova dei suoi timori ha fatto riferimento ad alcune affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile. Può dichiarare, nella maniera più esplicita, che egli è decisamente contrario alle opinioni espresse dall’onorevole Finocchiaro Aprile. Non solo, ma può affermare categoricamente, come rappresentante del popolo siciliano, che la maggioranza dei siciliani non aspira affatto a quella indipendenza di cui ha fatto parola l’onorevole Finocchiaro Aprile. Ciò, del resto, è stato ampiamente dimostrato dall’esito delle elezioni del 2 giugno, con le quali il popolo siciliano ha inviato all’Assemblea costituente deputati che in maggioranza, pure appartenendo a diversi partiti, sono di sentimenti unitari. La Sicilia è unitaria: lo è sempre stata e lo sarà, anche se ha dovuto subire ingiustizie ed incomprensioni da parte delle altre Regioni d’Italia e dei vari Governi che si sono succeduti al potere. Non teme di essere monotono ripetendo l’abusato motivo che la Sicilia vanta un diritto di priorità nel grande movimento rivoluzionario che condusse, nel secolo scorso, il popolo italiano all’unità della Patria.

PRESIDENTE ricorda che al primo comma dell’articolo sono stati presentati due emendamenti nella riunione precedente dall’onorevole Laconi e dall’onorevole Mortati.

Quello dell’onorevole Laconi dice:

«Nel quadro dell’unità ed indivisibilità dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autarchici secondo i principî fissati negli articoli seguenti.

«Alle Regioni sono delegati tutti quei servizi statali che possono utilmente essere decentrati secondo la legge sulla riorganizzazione dei servizi dello Stato».

Quello dell’onorevole Mortati è così formulato:

«Nel quadro dell’unità ed indissolubilità nazionale, le Regioni sono costituite in enti autonomi con poteri e funzioni propri, secondo i principî generali o speciali, fissati nei seguenti articoli».

Poiché l’emendamento dell’onorevole Laconi è quello che più si discosta dal testo proposto dal Comitato, lo mette in votazione, con l’intesa che, ove sia respinto, prima di passare alla votazione sull’emendamento dell’onorevole Mortati, questi dovrebbe chiarire il suo pensiero, dato che l’emendamento in questione mira a sostituire non solo il primo, ma anche il secondo comma dell’articolo 2.

Mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Laconi.

LUSSU dichiara di votare contro, perché ritiene che il testo proposto dal Comitato risponda maggiormente a criteri d’ordine generale, dato che alla redazione dell’articolo 2 hanno collaborato i rappresentanti di tutti i partiti.

(Non è approvato).

MORTATI dichiara di ritirare la sua proposta di emendamento.

PRESIDENTE mette in votazione il primo comma dell’articolo 2 nel testo proposto dal Comitato:

«Nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati negli articoli seguenti».

(È approvato).

Ricorda che al secondo comma sono stati presentati vari emendamenti, nella riunione precedente, dagli onorevoli Rossi, Nobile, Fabbri, Laconi e Bordon; nella riunione odierna dagli onorevoli Bozzi e Tosato unitamente agli onorevoli Piccioni, Cappi e Fuschini.

L’onorevole Rossi ha proposto la seguente dizione:

«Alle Regioni insulari ed a quelle di confine mistilingui possono venire attribuite, ecc.».

L’emendamento dell’onorevole Nobile è il seguente:

«Per le Regioni mistilingui potranno concedersi particolari condizioni di autonomia, con Statuti speciali di valore costituzionale».

L’onorevole Bordon ha proposto:

«Alla Val d’Aosta e alla Regione Tridentina, dato le loro condizioni geografiche, economiche e linguistiche, nonché alle Regioni insulari verranno attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».

L’onorevole Fabbri:

«Alle Regioni mistilingui di confine, quali la Val d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige, ed a quelle insulari, quali la Sicilia e la Sardegna, sono attribuite, in relazione a queste circostanze, forme ecc.».

L’onorevole Laconi:

«Alla Sicilia, alla Sardegna e alle Regioni mistilingui di confine sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».

Ridà infine lettura delle due proposte odierne:

Bozzi: «Con legge costituzionale possono essere attribuiti alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige e alle altre Regioni che ne facciano richiesta, condizioni diverse di autonomia»,

Tosato, Piccioni, Cappi e Fuschini: «In relazione alle loro particolari esigenze, alle Regioni mistilingui della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, come a quelle insulari della Sicilia e della Sardegna, sono riconosciute forme e condizioni speciali di autonomia, che in quanto divergano dalle norme seguenti, sono stabilite con legge costituzionale».

FABBRI dichiara di voler sopprimere nel testo dell’emendamento da lui proposto la parola «quali», riferita alle Regioni mistilingui della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige e alle Regioni insulari della Sicilia e della Sardegna, perché potrebbe far pensare a una menzione fatta soltanto a titolo esemplificativo.

CONTI domanda se con l’espressione di «Regioni insulari», contenuta nell’emendamento proposto dall’onorevole Rossi, si debbano intendere soltanto la Sicilia e la Sardegna.

ROSSI PAOLO risponde che egli intendeva riferirsi soltanto alla Sicilia e alla Sardegna. In ogni modo, affinché non possano sorgere equivoci in proposito, dichiara di mutare la forma del suo emendamento facendo espressa menzione delle isole anzidette.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Nobile, come quello che più si differenzia dal testo del secondo comma proposto dal Comitato.

(Non è approvato).

Fa presente che, fra i vari emendamenti proposti al secondo comma, occorre distinguere quelli che prevedono soltanto la possibilità di un’attribuzione di particolari forme di autonomia a determinate Regioni e quelli che stabiliscono categoricamente di concedere a date Regioni tali particolari forme di autonomia. Nel primo gruppo rientrano gli emendamenti degli onorevoli Rossi e Bozzi, nel secondo, quelli degli onorevoli Fabbri, Laconi, Bordon e Tosato.

LACONI osserva che occorrerebbe adottare anche un altro criterio di distinzione a proposito dei vari emendamenti proposti, vale a dire quello per cui si ammette, oppur no, la concessione di forme particolari di autonomia con Statuti speciali. Di ciò, ad esempio, non si fa menzione nell’emendamento proposto dall’onorevole Tosato. La questione è assai importante, perché esiste evidentemente una notevole differenza fra l’attribuire condizioni particolari di autonomia per mezzo di una legge, sia pure costituzionale, e il concedere tale forma di autonomia per mezzo di uno Statuto speciale. Una legge, infatti, è sempre emanata dal potere centrale, mentre uno Statuto è formulato dagli organi della Regione, anche se poi dovrà essere riconosciuto dallo Stato.

BOZZI vuol chiarire la ragione per cui egli ha usato la parola «possono» nel suo emendamento. Tale termine sta ad indicare la possibilità che siano attribuite forme particolari di autonomia non solo alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige, ma anche a tutte le altre Regioni che ne facciano richiesta. Inoltre l’adozione del termine suddetto è dovuta anche ad un’altra ragione: più volte è stato affermato, in seno alla Sottocommissione, che potrà aversi una legge costituzionale che stabilisca in materia di autonomia una disciplina diversa da quella generale. Si potrà quindi avere una legge costituzionale diversa dalla Costituzione, salvo che non si vogliano allegare alla Costituzione stessa gli Statuti speciali per le quattro Regioni anzidette, nel qual caso ogni questione sarebbe risolta e, invece di usare il termine «possono», potrebbe essere adottato quello di «sono». In ogni modo si dichiara pronto a sostituire la parola «sono» all’altra «possono», purché sia fatta salva la possibilità per altre Regioni di chiedere una diversa forma di autonomia.

PRESIDENTE invita la Sottocommissione a pronunciarsi sulla questione, se l’indicazione delle Regioni a cui si dovrà concedere uno Statuto speciale debba formare oggetto di un’elencazione tassativa o di un’elencazione che lasci la possibilità a tutte le altre Regioni di fare richiesta di condizioni particolari di autonomia, attribuibili sempre con Statuti speciali.

CODACCI PISANELLI fa presente che il Comitato ha preferito adottare nell’articolo 2 l’indicazione delle Regioni, a cui si dovrà concedere una forma speciale di autonomia, per mezzo di un’elencazione tassativa, allo scopo di evitare che richieste del genere possano essere fatte da altre Regioni. Se la concessione di una speciale forma di autonomia si è dovuta fare alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta e al Trentino-Alto Adige in un momento critico della nostra storia nazionale, è bene per l’avvenire garantirsi da altre simili concessioni. Per tale ragione è favorevole al mantenimento del secondo comma dell’articolo 2.

ZUCCARINI è stato l’unico, in seno al Comitato, a non approvare la formulazione del secondo comma in esame. Benché egli fosse il rappresentante, in seno al Comitato stesso, della tendenza favorevole alla forma più larga di autonomia, si rifiuta di ammettere che possano esservi due tipi di autonomia. È pericoloso, a suo avviso, stabilire due forme di autonomia, una eguale per la grande maggioranza delle Regioni, l’altra, differenziata e più larga con speciali Statuti, per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, perché le altre Regioni potrebbero essere incoraggiate a richiedere quelle forme particolari di autonomia che venissero concesse alle quattro Regioni suddette. Si cadrebbe così in quel particolarismo che si voleva evitare e non si otterrebbe quel coordinamento delle autonomie già concesse e riconosciute nell’ordinamento generale dello Stato.»

Poiché è convinto che non si debba dare motivo alle altre Regioni di dolersi che ad esse non sia concessa un’autonomia eguale a quella che verrebbe ad essere attribuita soltanto a quattro Regioni, voterà contro il mantenimento del secondo comma, pur non intendendo con tale voto esprimersi contro le autonomie già riconosciute. A suo avviso tali diritti di autonomia dovrebbero essere estesi a tutte le Regioni d’Italia.

LAMI STARNUTI è favorevole al mantenimento del secondo comma; si riserva tuttavia di sollevare il problema del Trentino-Alto Adige quando sarà posto in discussione l’articolo 22, sulla costituzione delle Regioni secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia.

MANNIRONI è pure favorevole al mantenimento del testo del secondo comma proposto dal Comitato, poiché l’onorevole Ambrosini non ha creduto opportuno insistere sulla formulazione originaria dell’articolo 2.

PRESIDENTE mette ai voti il principio che si debba fare un’elencazione tassativa delle Regioni a cui si dovranno concedere con Statuti speciali condizioni particolari di autonomia.

(È approvato).

TOSATO fa presente che sarebbe bene risolvere, prima di procedere alla votazione dell’intero secondo comma, una questione puramente tecnica, relativa all’espressione «Statuti speciali di valore costituzionale». Non comprende, infatti, perché soltanto gli Statuti delle quattro Regioni indicate nel comma suddetto debbano avere valore costituzionale. Appunto per questo ha presentato l’emendamento di cui il Presidente ha dato lettura.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Tosato che la diversità fra gli Statuti delle varie Regioni è data proprio dal fatto che si avranno Statuti speciali per le Regioni elencate nell’articolo 2. Non vede poi perché anche le altre Regioni debbano avere ciascuna un proprio Statuto, quando esse dovranno tutte essere assoggettate alla stessa disciplina stabilita dalla Costituzione in materia di ordinamento regionale. È vero che l’articolo 21 del progetto accenna al fatto che ogni Regione avrà un proprio Statuto, deliberato in armonia ai principî informatori della legge sull’ordinamento regionale, ma evidentemente tali Statuti non dovranno contenere disposizioni che possano far pensare ad una diversità di diritti fra una Regione e un’altra. Anche ai Comuni verrà attribuita l’autonomia, ma sarebbe assurdo consentire che ogni Comune deliberasse un proprio Statuto. Tanto l’ordinamento comunale come quello regionale non potranno discendere che da una sola fonte: dalla Costituzione dello Stato. Una eccezione a tale principio è quella costituita dagli Statuti speciali per le quattro Regioni menzionate nel secondo comma.

TOSATO osserva che non è detto che gli Statuti delle singole Regioni debbano essere eguali per tutte. Difatti, l’articolo 6 del progetto stabilisce che spetta alla Regione l’amministrazione nelle materie di propria competenza legislativa, e in quelle altre materie che sono di competenza dello Stato, ma che lo Stato intenda affidare ad essa. Nulla, quindi, impedisce che lo Stato trasferisca a una Regione l’amministrazione di alcune determinate materie e non la trasferisca ad un’altra; onde ogni Regione dovrà avere un proprio Statuto, deliberato dalla Regione stessa e sottoposto per la ratifica al Parlamento.

PERASSI ritiene che l’accenno fatto agli Statuti, nel secondo comma dell’articolo 2, possa dar luogo ad equivoci, perché nell’articolo 21 si ha un altro accenno agli Statuti regionali. È del parere, tuttavia, che l’articolo 21 non debba essere modificato, perché gli Statuti ivi menzionati non hanno altro scopo che quello di disciplinare, per ciascuna Regione, l’attuazione dei principî costituzionali concernenti la Regione stessa, soprattutto nell’ipotesi, accennata dall’onorevole Tosato, che ad una data Regione venga attribuita dallo Stato una competenza non ammessa per un’altra. L’idea, quindi, di uno Statuto che sia sottoposto, ai fini di una certa garanzia, all’approvazione del Parlamento è perfettamente logica, e non deve turbare gli scrupoli dei più ferventi fautori di un ordinamento regionale autonomo. Nella stessa Svizzera, che è uno Stato federale, la Costituzione stabilisce che le Costituzioni cantonali debbono essere sottoposte alla approvazione dell’Assemblea. Dove non conviene parlare di Statuti, visto che se ne parla nell’articolo 21, è nell’articolo 2, e ciò perché, fra l’altro, con tale articolo si mira a stabilire che occorre una legge costituzionale per attribuire a certe Regioni un ordinamento regionale diverso da quello comune. Non si tratta qui di Statuti deliberati da appositi organi costituiti e poi sottoposti all’approvazione del Parlamento, bensì di norme speciali, poste in essere dalla stessa deliberazione del Parlamento.

Per tali considerazioni sarebbe bene parlare nell’articolo 2 soltanto di condizioni particolari di autonomia stabilite con legge costituzionale.

LUSSU non è favorevole all’emendamento dell’onorevole Tosato, perché a suo avviso le parole «Statuti speciali» devono restare nel testo della Costituzione. Ritiene inoltre, che le dichiarazioni fatte dallo stesso onorevole Tosato a proposito dell’espressione «Statuti speciali con valore costituzionale», non abbiano reale consistenza, perché è chiaro che anche gli Statuti speciali dello quattro Regioni indicate nell’articolo 2 non potranno non avere un valore costituzionale, visto che saranno sottoposti all’approvazione dell’Assemblea costituente.

LA ROCCA è del parere che non si possa assolutamente accettare l’idea di una diversità di Statuti fra Regione e Regione, fatto salvo naturalmente il principio che, in vista di situazioni particolari, dovranno essere riconosciute forme speciali di autonomia alle quattro Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 2.

AMBROSINI, Relatore, si rende conto delle varie obiezioni mosse relativamente alla questione in esame, tanto più che esse furono fatte da alcuni colleghi anche in seno al Comitato. Si pensò di eliminarle col sistema di allegare alla Costituzione gli Statuti speciali per le quattro Regioni elencate nel secondo comma. Ciò considerato, ritiene che possa senz’altro essere messo in votazione il testo del secondo comma proposto dal Comitato.

PRESIDENTE crede che la formulazione proposta dall’onorevole Tosato esprima più chiaramente la possibilità a cui ha accennato l’onorevole Ambrosini.

LACONI osserva che, per quanto riguarda gli Statuti speciali, non si tratta di leggi che siano emanate dallo Stato ed estese alle Regioni, ma di norme formulate dalle Regioni e che hanno riconoscimento da parte dello Stato. In altri termini, si tratta di dare alle Regioni la facoltà di riorganizzarsi dall’interno, secondo le loro particolari esigenze. Altro è invece il significato della parola «Statuto» nell’articolo 21, ossia di norma regolamentare interna. Sarebbe bene pertanto uscire dall’equivoco: coloro che non vogliono riconoscere alle quattro Regioni menzionate nel secondo comma una speciale forma di autonomia, dovrebbero dirlo chiaramente. Adottare una formula che riduce a nulla la disciplina speciale prevista per le quattro Regioni suddette, pur mantenendola apparentemente, non gli sembra cosa opportuna.

VANONI rileva, con preoccupazione, che nel corso della discussione si è accentuata la distinzione fra due tipi di autonomia; per il primo si hanno quattro Regioni con un vero e proprio ordinamento autonomo; per il secondo, tutte le altre Regioni dovrebbero avere soltanto un ordinamento decentrato.

Viceversa, gli sembra che il concetto politico, da cui la maggioranza almeno dei componenti la Sottocommissione è partita, fosse quello di ammettere un’effettiva autonomia per tutte le Regioni. Ed è per questo che l’articolo 21 del progetto prevede uno Statuto per ciascuna Regione, che non è già un regolamento interno, secondo quanto ha affermato l’onorevole Laconi, bensì il vero e proprio atto costitutivo della Regione; l’atto che, attraverso la parola dei cittadini viventi nella Regione, determina il sorgere della Regione stessa. Le norme che a tal proposito debbono essere fissate nella Costituzione sono semplicemente quelle che riconoscono la capacità dei cittadini a costituire la Regione. Se così non dovesse essere, si avrebbe soltanto un decentramento amministrativo.

Ora, se si tratta di riconoscere, a causa di motivi particolari, una forma diversa di autonomia per alcune determinate Regioni, una volta che si sia convinti dell’obiettività di tali motivi, si può accedere al concetto di ammettere speciali Statuti che divergano dalla media degli altri. Ma se si dovesse arrivare alla conclusione che soltanto quattro Regioni abbiano diritto di formularsi uno Statuto per propria iniziativa, che lo Stato poi riconosce, mentre le altre dovrebbero soltanto accettare lo Statuto dato ad esse dallo Stato, crede che tale conclusione non risponderebbe al concetto di autonomia che si ha in animo di realizzare.

LUSSU pensa che le preoccupazioni dell’onorevole Vanoni non abbiano ragione d’essere, visto che il Comitato non ha adottato la formulazione proposta dall’onorevole Grieco, secondo cui veramente si faceva una distinzione fra Regioni autonome e Regioni non autonome. I colleghi poi possono testimoniare che egli, in seno al Comitato ha sempre sostenuto il principio dell’autonomia per tutte le Regioni d’Italia.

PRESIDENTE mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Tosato.

(Non è approvato).

AMBROSINI, Relatore, propone di mettere in votazione il testo del secondo comma dell’articolo 2 presentato dal Comitato, con la seguente modifica: sostituire alle parole «Statuti speciali di valore costituzionale» le seguenti: «Statuti speciali approvati con legge costituzionale».

PRESIDENTE mette in votazione il secondo comma dell’articolo 2 che, emendato secondo la proposta dell’onorevole Ambrosini, risulta così definitivamente formulato:

«Alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta o al Trentino-Alto Adige sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali approvati con legge costituzionale».

(È approvato).

La seduta termina alle 21.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vannoni e Zuccarini.

In congedo: Calamandrei, Leone Giovanni.

Assenti: Di Giovanni, Einaudi, Grieco, Patricolo e Porzio.

GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

46.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Fuschini – Ambrosini, Relatore – Targetti – Zuccarini – Nobile – Laconi – Castiglia – Lussu – Bozzi – Tosato – Conti – Piccioni – La Rocca – Fabbri – Lami Starnuti – Mannironi – Mortati – Ravagnan – Perassi – Bordon – Vanoni – Rossi Paolo.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sulla organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE apre la discussione sul problema della suddivisione territoriale dello Stato e della conservazione o meno della Provincia come ente autarchico.

FUSCHINI domanda al Relatore da chi sarà nominata la Giunta che, a norma dell’ultimo comma dell’articolo 17, sarà istituita in ogni circoscrizione provinciale, e quali saranno i compiti ad essa attribuiti.

AMBROSINI, Relatore, fa presente che in seno al Comitato non fu possibile raggiungere un accordo circa il sistema di nomina di tale Giunta. Ricorda che, dopo la decisione di sopprimere la Provincia come ente autarchico e di mantenerla come circoscrizione amministrativa di decentramento regionale, fu decisa la istituzione di tale Giunta al fine di non lasciare gli uffici provinciali nelle mani di elementi soltanto burocratici, ma di affiancare a questi degli esponenti nominati o designati da corpi elettivi, che ne coordinassero l’attività. Il dissenso nacque sul modo di costituire la Giunta. Alcuni sostenevano che dovesse essere composta di delegati dei Comuni; altri invece che dovesse esser nominata dall’Assemblea regionale per la considerazione che la Provincia è mantenuta in funzione di decentramento regionale; egli a sua volta propose, per conciliare le opposte tendenze, un sistema misto. Ma su questo punto non poté formarsi una maggioranza.

Fa poi presente che, per rispondere esaurientemente al secondo quesito posto dall’onorevole Fuschini circa i compiti che alla Giunta provinciale saranno affidati, sarebbe necessario anzitutto aver determinato quali saranno i pubblici servizi che verranno ad assumere un carattere di continuità nell’ambito della circoscrizione provinciale. Aggiunge che ciò è in relazione sia con la soluzione concreta che si vorrà dare al disposto dell’articolo 6, nel quale si parla delle funzioni amministrative della Regione non solo nelle materie di propria competenza legislativa, ma anche nelle altre materie che dallo Stato verranno delegate ad essa per l’esecuzione; sia con quanto stabilisce l’articolo 24, il quale prevede che il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni avverrà mediante decreti del Presidente della Repubblica per ogni ramo della pubblica amministrazione.

Ad ogni modo, dichiara che il Comitato ha ritenuto che non fosse ora il caso di affrontare e risolvere i vari problemi in tutti i loro particolari e che bastasse affermare nella Costituzione i principî fondamentali. I particolari potranno esser determinati nella legge che regolerà organicamente la complessa materia.

Conclude facendo rilevare l’importanza che nell’economia della riforma verrebbe ad assumere la suddetta Giunta. È principalmente con la sua istituzione che sarà evitato il pericolo che, mentre si procede ad un decentramento dell’amministrazione dello Stato, si vada a costituire un accentramento regionale.

TARGETTI rileva anzitutto che la costituzione delle Giunte – sulla cui necessità tutti i componenti del Comitato furono concordi – dà luogo ad una costruzione assai imperfetta, in quanto, nel caso in esame, viene a mancare l’Assemblea deliberante, di cui normalmente una Giunta è il corpo esecutivo.

Crede che le varie ragioni che hanno determinato la proposta di abolire la Provincia possano sintetizzarsi in una sola, e cioè nella superfluità di tale ente, in conseguenza del sorgere del nuovo ente Regione. Non è, personalmente, di tale parere, perché ritiene che la coesistenza dei due enti risulti possibile, sia per considerazioni storiche, sia perché la Regione nasce sottraendo attribuzioni allo Stato e non già alla Provincia. Non trova, quindi, convincenti le ragioni addotte a sostegno della soppressione della Provincia; mentre ricorda le ragioni favorevoli alla sua conservazione: a parte quelle di carattere storico, sono tutte le altre che fanno della Provincia un ente naturale, di cui è riconosciuta l’armonicità in tutti i campi, nelle tradizioni, cioè, nelle abitudini, nel linguaggio, nell’abito mentale degli abitanti, nell’industria e nel commercio, e financo nella costituzione geologica del territorio.

La conservazione della Provincia eviterebbe l’inconveniente accennato da ultimo dal Relatore, e cioè la creazione di un nuovo accentramento: infatti, creando la Regione ed abolendo la Provincia, mentre si tenderebbe a ridurre, col decentramento, al minimo gli inconvenienti della burocrazia, non si farebbe altro che sostituire alla burocrazia statale altrettante burocrazie regionali, attraverso le quali si darebbe origine ad un accentramento nuovo, non più sopportabile di quello passato che si era reso oltremodo opprimente.

Il mantenimento della Provincia, d’altra parte, potrebbe calmare il disappunto di tutti quegli enti i cui voti o desideri, pur fatti presenti, non sono stati accolti, e se ne avvantaggerebbe la Regione stessa, sorgendo così in un clima più sereno e più sgombro da contrasti.

Conclude affermando che il riformatore più audace non deve avere incertezze nel distruggere ciò che è dannoso, ma deve procedere ponderatamente quando si tratta di demolire istituzioni la cui conservazione può essere utile.

ZUCCARINI dichiara che coloro che sono favorevoli alla soluzione regionale non hanno mai pensato di fare della Regione l’unico organo rappresentativo degli interessi particolari. Al contrario, in tutti è stata viva la preoccupazione di costituire fra Comuni e Regione organi intermedi, attraverso i quali gli interessi locali potranno far pervenire la loro voce all’ente Regione. Non ci fu dissenso su questo; il dissenso invece sorse quando si trattò di stabilire quali devono essere questi organi e come devono formarsi.

Secondo lui tali organi intermedi non debbono essere creati arbitrariamente o dettati dall’alto (cosa che in passato poteva dirsi per le Provincie), ma dovranno formarsi naturalmente, secondo gli interessi della popolazione, la quale dovrà avere la possibilità di manifestare il suo intendimento di far parte di un determinato raggruppamento perché lo trova più conveniente, così come i cittadini trovano conveniente recarsi in una città piuttosto che in altra di una data zona per curarvi i loro interessi. Gli organi intermedi dovrebbero, a suo avviso, essere di due specie: l’uno, che chiamerà di «vicinanza», che unisca i comuni esistenti in un raggio più ristretto; l’altro che costituisca un raggruppamento più grande, che potrebbe anche trovare sede negli attuali capoluoghi di Provincia.

Fa subito rilevare che tali organi, che non dovrebbero avere una propria autonomia, assicurerebbero il collegamento fra il Comune e la Regione, ed avrebbero lo scopo di portare a conoscenza e alla risoluzione della Regione i problemi di Comuni o gruppi di Comuni. A tale proposito dichiara che non è nel suo intendimento di sopprimere il concentramento statale per creare poi quello regionale, tanto vero che, in sede di Comitato, ha manifestato il suo aperto dissenso circa la creazione di circondari come organi decentrati della Regione.

Segnala due sistemi che, a suo parere, si potrebbero seguire per la nomina dei componenti di questi organi: la nomina da parte dei Comuni che compongono questi circondari, oppure – specie se si addivenisse, come spera, per la elezione dei deputati regionali, ad un sistema di circoscrizioni elettorali più ristrette, corrispondenti ai circondari – delegando ai deputati regionali eletti in quel determinato circondario il compito di funzionare anche come rappresentanza più ristretta degli interessi dello stesso circondario.

Ritiene che, dal momento che si pensa di fare della Regione un organo di decentramento, con attribuzioni limitate e con una rappresentanza in esso dello Stato, il mantenimento della Provincia non costituirebbe altro che l’aggiunta di un nuovo organo, ciò che renderebbe in definitiva più difficile la soluzione del problema del decentramento (non bisogna dimenticare infatti il pericolo di un eccessivo sviluppo della burocrazia!) e complicherebbe il sistema che ora si vuole perfezionare, compromettendo i risultati e l’esistenza stessa dell’organo che in questo momento si sta creando.

Concludendo, manifesta il suo parere assolutamente contrario alla conservazione, come ente autonomo, della Provincia, la quale, così come è ora costituita, resterebbe quella costruzione artificiosa, che dal punto di vista amministrativo non ha assolto ai suoi compiti e non corrisponde esattamente agli interessi delle popolazioni.

NOBILE, a parte il fatto che, se errori si sono potuti commettere nella formazione delle Provincie, sarebbe sempre possibile rimediarvi, ritiene che il problema non sia tanto quello di fare una revisione delle circoscrizioni provinciali, quanto quello di considerare l’opportunità della conservazione della Provincia come ente autarchico.

Rileva una contraddizione nella quale, a suo avviso, cadono i regionalisti, i quali sostengono che la creazione delle Assemblee regionali renderà possibile una maggior partecipazione del popolo italiano alla vita pubblica, ma dimenticano poi che, con la soppressione della Provincia, si aboliscono i Consigli provinciali, i quali, per quanto ristretti, costituiscono pure un mezzo per far partecipare il popolo alla vita politica.

Ritiene poi che non si debba dire troppo male della burocrazia, la cui corruzione odierna rispecchia la corruzione di tutta la vita anche politica del Paese, ed è perciò un fatto contingente al quale si potrà rimediare.

Dichiara quindi di essere favorevole alla coesistenza dell’ente Provincia, accanto all’ente Regione che si sta ora creando.

LACONI dichiara di non essere d’accordo con i colleghi che l’hanno preceduto. Afferma che il nuovo ente si crea per rimediare ad alcune deficienze dell’organizzazione centralistica dello Stato italiano, non solo, ma anche per basare la nuova struttura organica della vita pubblica italiana su una unità più vasta di quello che non sia la Provincia.

Rispondendo all’onorevole Targetti, osserva che l’ente Regione trae le sue attribuzioni in parte dello Stato, ma in parte anche dalla Provincia.

Non ha nulla da eccepire circa l’opportunità di conservare le Provincie e gli organi atti a rimediare a determinate deficienze; ma fa presente che la mancanza, la quale potrebbe essere molto sentita, di un centro provinciale di interessi, di mercato, nel quale poter sbrigare pratiche burocratiche, non porta alla necessaria conseguenza di conservare la Provincia come organo autonomo. Già oggi la Provincia svolge funzioni assai limitate, e si può affermare che ben pochi si accorgono dell’esistenza di un ente autarchico territoriale chiamato Provincia. Non a torto si è detto che questa è una creazione artificiale, ed il fatto stesso che si sia affermata l’esigenza dell’ente Regione esclude la necessità della Provincia.

Conclude dichiarandosi contrario a che la Provincia sia inserita nell’articolo 1°, il quale riguarda soltanto gli enti che abbiano una rilevanza costituzionale, senza tuttavia escludere la possibilità di considerare gli attuali capoluoghi di Provincia come città in cui si trovino uffici decentrati della Regione.

CASTIGLIA ricorda che la diversità di vedute in merito alla conservazione della Provincia si palesò già in seno al Comitato; ed egli fu tra i deputati di minoranza che si dichiararono per la conservazione della Provincia come ente autarchico, non vedendo ragione per sopprimerla.

Mentre concorda pienamente con le considerazioni dell’onorevole Targetti, non può condividere quelle dell’onorevole Zuccarini, che gli sembrano inspirate soprattutto dalla preoccupazione dell’innovazione ad ogni costo. La Provincia ha dimostrato in passato di saper dare ottime prove di capacità amministrativa e di essere utile agli interessi del Paese.

Circa la suddivisione – della cui necessità lo stesso onorevole Zuccarini si rende conto – della Regione in circoscrizioni raggruppanti un certo numero di comuni, osserva che, dal momento che questo raggruppamento già esiste nella Provincia e funziona da lunghissimo tempo, ogni diversa suddivisione del territorio regionale in circondari, mandamenti o altre circoscrizioni, non avrebbe che il risultato di complicare le cose e di creare nuove difficoltà.

Ritiene poi che agli inconvenienti, ai quali alcuni oratori hanno fatto riferimento sostenendo l’opportunità di sopprimere la Provincia, sia facile porre riparo e che ad ogni modo non siano tali da infirmare il fatto storico, che la Provincia è un aggruppamento naturale e spontaneo di centri minori attorno ad uno maggiore, per cui da Provincia a Provincia si notano evidenti diversità di dialetto, di usi commerciali e di altre caratteristiche, soprattutto etniche. Conservando alle Provincie soltanto la caratteristica di organi di decentramento amministrativo nell’ambito della Regione, sforniti di ogni capacità di rappresentanza di interessi locali distinti, si intenderebbe sopprimere la Provincia come ente autarchico per realizzare un decentramento amministrativo, senza per altro raggiungere l’intento, perché in fatto nessuno degli uffici attualmente esistenti nei capoluoghi di Provincia sarebbe abolito. Ché se, in luogo dell’attuale suddivisione per Provincie, si effettuasse una diversa suddivisione per circondari od altre circoscrizioni territoriali più ristrette della Provincia, si creerebbero altrettante burocrazie, con un effetto esattamente contrario a quello che si dice di voler ottenere.

Per queste ragioni e per le altre esposte dai colleghi che condividono la sua opinione, voterà a favore dell’emendamento proposto all’articolo 1, che prevede la suddivisione del territorio nazionale in Regioni, Provincie e Comuni, con la riserva di esaminare successivamente la formulazione dell’articolo 17 del progetto.

LUSSU è d’avviso che l’argomento in discussione acquisti una grande rilevanza, ove si consideri la ripercussione che la soppressione o meno della Provincia avrà inevitabilmente sulla Regione, così come è stata concepita. Non nasconde le sue preoccupazioni per quanto è stato detto dall’onorevole Targetti; e questo lo induce a pensare che molti siano ancora coloro i quali non vedono il problema della Provincia nella sua realtà.

Sulla soppressione della Provincia come circoscrizione amministrativa (prefetture) tutti sono concordi. La Provincia come ente autarchico territoriale si riduce a ben poca cosa, essendo le sue competenze limitate alle strade provinciali, ai brefotrofi ed ai manicomi. È rimasto, quindi, sorpreso nel riscontrare, in un recente discorso tenuto dall’onorevole Einaudi in Piemonte, molte riserve a proposito dell’istituzione della Regione, che ritiene contrastanti con l’atteggiamento dallo stesso oratore tenuto precedentemente in seno alla Sottocommissione. In realtà la soppressione della Provincia come ente autarchico e la sua trasformazione, nei modi e nei termini che saranno successivamente studiati, non porterà alcun danno alla vita politica ed amministrativa del Paese.

Fa presente l’opportunità di combattere la tendenza, manifestatasi in qualche settore dell’opinione pubblica, a considerare la soppressione della Provincia quasi come una diminutio per gli attuali capoluoghi, perché questi, pur sopprimendosi l’ente Provincia, manterranno la loro importanza economica, commerciale ed anche amministrativa, in quanto in queste località continueranno ad avere la loro sede i Tribunali, le Intendenze di finanza, gli enti militari e tutti gli altri istituti, mentre soltanto i problemi relativi alle strade e pochi altri passeranno dalla competenza della Provincia a quella della Regione.

Dichiara di essere stato fautore in seno al Comitato dell’opportunità di creare una circoscrizione intermedia fra la Regione ed il Comune, il distretto, ad esempio, o come altri dice, il circondario (non crede sia il caso di fare questione di terminologia): questa circoscrizione dovrà avere un carattere naturale, risultante da una convergenza di interessi, e dovrà avere il diritto di mandare i suoi rappresentanti all’Assemblea regionale.

Con la soppressione della Provincia si otterrà inoltre il vantaggio di una sburocratizzazione, che definisce necessaria ed indilazionabile, e non, come teme l’onorevole Targetti, un appesantimento della burocrazia, che è incompatibile con l’esistenza di circoscrizioni naturali.

PRESIDENTE, riassumendo la discussione, pone in rilievo che due sono i punti in discussione: il mantenimento della Provincia come ente autarchico o la sua soppressione e conseguente trasformazione in altro ente considerato come centro di servizi. Ove sia approvata quest’ultima soluzione, il problema verrà nuovamente in discussione nel corso dell’esame dell’articolo 17.

Dà lettura delle due proposte presentate che costituiscono emendamento di quella del Comitato. La prima: «Il territorio dello Stato è ripartito in Comuni, Provincie e Regioni» è dell’onorevole Bozzi; la seconda: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni» degli onorevoli Tosato, Fuschini, Mannironi, De Michele, Cappi e Codacci Pisanelli.

BOZZI, allo scopo di unificare le due proposte sostanzialmente identiche, modifica il suo emendamento, sostituendo alle parole «territorio dello Stato» le altre «territorio della Repubblica».

TOSATO in seguito all’andamento della discussione che si è svolta, ritira la sua proposta, la quale, senza pregiudicare la questione circa l’opportunità di considerare o meno la Provincia un ente autarchico, mirava a garantire la Provincia come circoscrizione del territorio dello Stato.

PRESIDENTE ricorda poi la proposta dell’onorevole Conti, così formulata: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale»; e fa osservare che il presentatore ha tenuto conto dell’osservazione fatta da varii colleghi circa l’opportunità di considerare la Provincia come un organo già esistente, salvo a precisarne poi la figura.

Metterà prima in votazione l’emendamento Bozzi: ove questo non sia approvato metterà in votazione la proposta Conti, che accetta il principio adottato dal Comitato con un’aggiunta che serve a soddisfare esigenze di altro ordine.

CONTI dichiara di aver presentato tale proposta allo scopo di precisare – in contrapposto a quella presentata dall’onorevole Tosato – che la Provincia è un ente di decentramento amministrativo.

LACONI ricorda l’emendamento, da lui presentato, che considera particolarmente la questione delle Regioni autonome.

PRESIDENTE è del parere che della proposta dell’onorevole Laconi, il quale ritiene che certe Regioni abbiano una figura tipica e differenziata, tale che debba essere messa in evidenza anche nel primo articolo, si possa parlare in seguito.

Mette in votazione la formula proposta dall’onorevole Bozzi: «Il territorio dello Stato è ripartito in Comuni, Provincie e Regioni».

PICCIONI dichiara di votare contro, perché questa formula, per il modo come è redatta, pone la Provincia sullo stesso piano della Regione e del Comune. Voterà invece a favore dell’ordine del giorno Conti.

LA ROCCA voterà contro, in quanto la proposta Bozzi fa anche della Provincia un ente autarchico.

FABBRI voterà pure contro, perché ritiene che il criterio dell’autonomia debba essere tenuto distinto da quello dell’adempimento dei servizi. Fa presente che la Provincia oggi non ha autonomia che per limitati oggetti (strade, brefotrofi, manicomi), i cui problemi sono suscettibili di risoluzione in sede più larga, come quella rappresentata dalla Regione che, secondo il progetto, dovrà avere una base di almeno 500.000 abitanti. I Parlamenti regionali, non solo per le strade, i brefotrofi e i manicomi, ma per un’infinità di altri servizi potranno deliberare in modo autonomo, nell’ambito della legge nazionale e, con ogni probabilità, la sede burocratica dei servizi locali coinciderà con quella degli attuali capoluoghi di Provincia.

LUSSU dichiara di votare contro la proposta Bozzi.

LAMI STARNUTI volerà contro, perché non è favorevole al mantenimento della Provincia come ente autarchico.

Voterà invece a favore dell’aggiunta proposta dall’onorevole Conti, la quale non fa che spostare all’articolo 1 quello che è dello all’articolo 17.

NOBILE dichiara pure di votare contro.

TOSATO dichiara di votare contro la formula Bozzi ed a favore di quella dell’onorevole Conti, che risponde all’esigenza alla quale si ispirava la sua propria proposta.

Si riserva di insistere quando verrà in discussione l’articolo 17, circa l’opportunità di rendere la Giunta elettiva.

FUSCHINI voterà a favore della proposta dell’onorevole Bozzi, perché ritiene che il mantenimento della Provincia come ente autarchico, invece di danneggiare la Regione, possa giovarle.

MANNIRONI si asterrà dalla votazione, riservandosi di precisare il suo pensiero in sede di discussione dell’articolo 17.

(Non è approvata).

LACONI chiede che la proposta dell’onorevole Conti venga messa in votazione per divisione perché egli, pur non essendo contrario a quanto dispone nella seconda parte, ritiene che essa accenni ad una questione che non ha rilevanza costituzionale.

Quanto alla sua proposta: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Regioni autonome e Comuni», accetta che sia discussa in sede di articolo 2, con la riserva che, se la questione verrà risolta in senso favorevole alla sua tesi, si modificherà conseguentemente l’articolo 1, introducendovi il concetto in essa contenuto.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Laconi.

AMBROSINI, Relatore, chiede che, eliminato l’emendamento Bozzi, sia posto in votazione il testo del progetto, salvo a passare poi all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Conti.

PRESIDENTE pone in votazione la formulazione dell’articolo 1 nel testo proposto dal Comitato:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni».

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a pronunciarsi sul comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Conti:

«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale».

FABBRI domanda se con ciò si intendano limitare le circoscrizioni amministrative alle sole Provincie, escludendo altre circoscrizioni che, ai fini di altri servizi statali, esistono nel territorio nazionale, come dipartimenti, distretti, circondari, ecc.

PRESIDENTE spiega che la redazione della Costituzione deve rispondere alle domande che sono implicite nella opinione popolare come, ad esempio, quella concernente la questione delle Provincie, mentre non è necessario che consideri le altre circoscrizioni, delle quali nessuno si occupa.

MORTATI pone in rilievo l’importanza dell’osservazione dell’onorevole Fabbri perché, se il testo non fosse chiarito nel senso da lui domandato, si potrebbe pensare che non esistano altri modi di decentrare le funzioni delle Regioni. Mentre è favorevole alla proposta Conti, si riserva di parlare in seguito circa altre possibilità di decentramento.

AMBROSINI, Relatore, ricorda che l’articolo 6 prevede una futura legge che si occuperà del decentramento.

PRESIDENTE avverte che l’emendamento Conti – nel testo proposto originariamente – non faceva altro che ripetere la stessa frase contenuta nel primo comma dell’articolo 17. La Sottocommissione, come è naturale, nel successivo sviluppo del suo lavoro terrà conto delle nuove posizioni raggiunte, e perciò, quando si discuterà l’articolo 17, non mancherà di uniformare la dizione del primo comma a quella ora posta ai voti, sempre che risulti approvata.

Pone in votazione l’aggiunta proposta dall’onorevole Conti:

«La Provincia è una circoscrizione amministrativa di decentramento regionale».

(È approvata).

Dà quindi lettura dell’intero articolo primo così come è stato approvato dalla Sottocommissione:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. La Provincia è una circoscrizione amministrativa di decentramento regionale».

Apre ora la discussione sull’articolo 2 del progetto:

«Nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati negli articoli seguenti.

«Alla Sicilia, alla Sardegna, alla Valle d’Aosta ed al Trentino-Alto Adige, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».

NOBILE presenta un emendamento sostitutivo del secondo comma:

«Per le Regioni mistilingui potranno concedersi particolari condizioni di autonomia, con Statuti speciali di valore costituzionale».

Pur riconoscendo che l’idea regionalista non è nuova ed ha avuto in tutti i tempi i suoi sostenitori, ritiene che l’intensità di movimento che ha assunto oggi sia un fenomeno patologico – verificatosi anche dopo la precedente guerra mondiale – di carattere temporaneo, derivante dal collasso morale, economico e sociale del dopoguerra.

È quindi del parere che, tenendo presenti le speciali esigenze politiche del momento, si possano soddisfare le richieste delle popolazioni sarde o siciliane con una larga autonomia temporaneamente concessa, ma è contrario ad affermare nella Costituzione, e quindi in modo permanente, la concessione di autonomie a Regioni che non sono meno italiane di tutte le altre elencate. Ciò costituirebbe, a suo parere, un pericoloso precedente ed una seria minaccia all’unità politica dello Stato.

Riconosce invece l’opportunità di concedere un’autonomia speciale alle Regioni mistilingui di confine.

MANNIRONI propone che, in luogo dell’articolo 2 del progetto definitivo, si prenda in considerazione quello precedentemente proposto dall’onorevole Ambrosini, che non stabiliva in modo così preciso trattamenti preferenziali per determinate Regioni.

Esso era così concepito:

«Nel quadro dell’unità politica dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autonomi dotati di diritti propri secondo i principî fissati negli articoli seguenti, salvo l’attribuzione di una condizione giuridica diversa da farsi con legge di natura costituzionale a talune Regioni in vista della loro situazione particolare».

Pur augurandosi che alla Sardegna venga attribuita l’autonomia più vasta possibile, è del parere che nel testo costituzionale si debba per ora affermare che l’autonomia è concessa in eguale misura a tutte le Regioni; si vedrà in seguito se alle quattro Regioni, elencate nel capoverso dell’articolo 2, sarà opportuno concedere un’autonomia più ampia.

BOZZI domanda al Relatore se gli «Statuti speciali di valore costituzionale» di cui parla, in fine, l’articolo 2, siano gli stessi considerati all’articolo 21 («Lo Statuto di ogni Regione sarà deliberato, in armonia ai principî informatori degli articoli precedenti, dalla rispettiva Assemblea Regionale, e verrà sottoposto alla ratifica del Parlamento»); e, nel caso che non lo siano, se sono concessi dallo Stato o formulali dalle stesse Regioni. Domanda inoltre se le quattro Regioni considerate in modo particolare siano tenute alla osservanza delle leggi fondamentali.

MORTATI chiede al Relatore di precisare meglio se gli articoli 3 e seguenti impegnino anche le Regioni indicate nella disposizione in esame.

FUSCHINI prega il Relatore di dire quali sono le forme e le condizioni particolari di autonomia concesse con Statuti speciali.

RAVAGNAN domanda perché, tra le Regioni alle quali sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, si sia compreso anche il Trentino che, a suo avviso, non ne ha bisogno.

PERASSI fa rilevare che Trentino e Alto Adige costituiscono una sola Regione.

AMBROSINI, Relatore, rispondendo all’onorevole Nobile, osserva che riforme analoghe a quelle che si stanno facendo ora, per quanto in forma diversa, furono auspicate, nel momento in cui si costituì l’unità d’Italia, da Mazzini e da Cavour, e che progetti di legge tendenti a questo scopo furono presentati da Farini e da Minghetti. Ritiene quindi che, se nel momento in cui l’unità d’Italia poteva essere in pericolo sommi costruttori di essa non esitarono a fare proposte in tal senso, oggi non si debba nutrire alcuna delle preoccupazioni fatte presenti dall’onorevole Nobile; si potrà, se mai, discutere sui miglioramenti da apportare al sistema tecnico di applicazione del progetto.

Fa rilevare all’onorevole Mannironi che – pur avendo sempre tenuto presente l’indicazione tassativa contenuta nell’ordine del giorno Piccioni, approvato dalla Sottocommissione – egli aveva, nella seconda parte del testo originario dell’articolo 2, prospettata dal punto di vista generale la opportunità che si attribuisse una particolare forma di autonomia a talune Regioni. Aderì subito all’idea dominante in seno al Comitato di fare nella Costituzione un esplicito richiamo alle quattro Regioni (Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige) per determinarne senz’altro la condizione particolare. Si opponevano a tale indicazione tassativa alcuni Commissari – tra cui l’onorevole Einaudi – manifestando il dubbio che con ciò si potesse precludere ad altre Ragioni, che potessero venire a trovarsi in condizione diverse dalle altre, la possibilità di chiedere ed ottenere una forma speciale di autonomia – come era detto più genericamente nel suo progetto originario – una condizione giuridica diversa.

Osserva in proposito – e in tal modo risponde indirettamente al quesito rivoltogli dall’onorevole Bozzi – che il dubbio sollevato dall’onorevole Einaudi può essere diradato, quando si tenga presente che – mentre, a norma dell’articolo 21 del progetto, gli Statuti delle Regioni in generale sono particolareggiatamente preparati, sulla base delle disposizioni della Costituzione, dalle Assemblee regionali e sottoposti alla ratifica del Parlamento – per gli Statuti speciali da attribuire eccezionalmente a talune Regioni occorre, oltre alla richiesta motivata della Assemblea regionale interessata, l’intervento, ed intervento decisivo, del potere costituente, dell’attuale Assemblea Costituente o del futuro legislatore, in veste però di legislatore costituente e non di legislatore ordinario. Come era espressamente chiarito nell’articolo 22 del suo progetto originario, che il Comitato ritenne a maggioranza non necessario, la espressione «valore costituzionale», a cui ha accennato l’onorevole Rozzi, va intesa nel senso che, incidendo la concessione di uno Statuto speciale ad una particolare Regione su quanto è stabilito nella Costituzione, ci vuole una legge di valore costituzionale, approvata cioè dal legislatore costituente, per mettere in essere un tale Statuto speciale.

All’onorevole Fuschini risponde che non è possibile precisare ora quali saranno le forme e le condizioni particolari di autonomia da attribuire eccezionalmente a talune Regioni. Aggiunge che la specialità dello Statuto di queste Regioni, dettato allo scopo di tenere conto delle loro speciali condizioni, non turberà affatto l’organicità, né diminuirà l’armonia del principio dell’autonomia adottato dalla Costituzione: perché è appunto in funzione delle diverse esigenze e delle peculiari condizioni di ogni Regione, cioè dello spirito animatore, che questo principio del sistema deve essere attuato. Fa presente che è appunto in omaggio a tale principio che vengono concesse alla Regione le potestà legislative di cui si parla negli articoli 3 e 4 del progetto. È lo stesso principio, portato su una base più larga e più aderente alla posizione particolare di qualche Regione, che viene attuato quando si prevede la concessione di Statuti speciali. Ricorda in proposito che alla dizione generica dell’articolo 2 del progetto originario «salvo l’attribuzione di una condizione giuridica diversa», ritenne opportuno sostituire nello schema in esame quella più precisa «sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia», la quale dà egualmente la possibilità di prendere in considerazione le situazioni più diverse.

Sull’osservazione dell’onorevole Ravagnan, dichiara che il Comitato ha ritenuto di non allontanarsi, nella formulazione degli articoli, dalle direttive tracciate dalla Sottocommissione, la quale, dopo avere specificatamente discusso anche sulla questione di quelle Regioni, approvò l’ordine del giorno Piccioni, in cui si parla di «Trentino-Alto Adige». Ricorda a questo proposito che nel progetto predisposto dal Prefetto di Bolzano, Consigliere di Stato Innocenti, si prevede la costituzione di un’unica Regione, pur adottandosi delle norme speciali intese a rilevare la differenza fra il Trentino e l’Alto Adige. Comunque non vi è ragione di preoccuparsi, perché la situazione resta impregiudicata. Verrà risolta quando si esaminerà di proposito la situazione di quelle parti del territorio nazionale.

TOSATO, parlando per mozione d’ordine, esprime il parere che per ora si debba limitare la discussione al primo comma dell’articolo 2, perché prima di passare a considerazioni di carattere particolare, quali la concessione di Statuti speciali a determinate Regioni ed il coordinamento di tali Statuti speciali, è necessario fissare il quadro generale delle autonomie.

LACONI è di parere assolutamente opposto a quello dell’onorevole Tosato, perché ritiene che la questione riguardante il trattamento da fare alle quattro Regioni, indicate nel secondo comma dell’articolo 2, sia così singolare da non poter essere condizionata alla soluzione che si riterrà di dare alla questione concernente tutte le altre Regioni, ed anche perché – come ha già rilevato in occasione della presentazione di una sua proposta di modifica dell’articolo 1 – ritiene che il secondo comma dell’articolo 2 sia intimamente collegato con l’articolo 1.

LUSSU prega l’onorevole Tosato di ritirare la sua mozione d’ordine la quale, anziché semplificare il lavoro, minaccia di renderlo più complicato.

TOSATO non insiste nella sua mozione d’ordine.

LUSSU, rispondendo alle osservazioni dell’onorevole Nobile, ricorda anzitutto le benemerenze che i sardi si sono conquistate, battendosi valorosamente contro il tedesco per l’unità nazionale e per la dignità del Paese. Ritiene che la proposta dell’onorevole Nobile – la quale tende a far entrare nell’ordine generale della riforma autonomistica dello Stato la concessione di uno Statuto alla Sicilia ed alla Sardegna – non possa essere presa in considerazione, in quanto costituirebbe, allo stato dei fatti, una complicazione estremamente grave dal punto di vista politico ed una ingiustizia palese dal punto di vista giuridico.

Fa presente che la Sicilia e la Sardegna sono delle isole e, come tali, anche materialmente distaccate dal Governo centrale; onde la necessità di metterle in condizioni di poter funzionare anche in tempi non normali, concedendo loro una particolare forma autonomista.

Esorta a non considerare la questione delle autonomie con spirito semplicistico, perché l’Italia è un Paese eminentemente vario e complesso nelle sue parti.

MORTATI riconosce le difficoltà che il Relatore ha dovuto superare per salvaguardare questa forma di autonomia particolare; ma rileva che, malgrado le spiegazioni date dall’onorevole Ambrosini, i dubbi sorti dalla lettura del testo non sono stati dileguati. Sembrerebbe infatti che, a norma del capoverso dell’articolo 2, tali Regioni potrebbero far valere forme e condizioni particolari di autonomia semplicemente con propri Statuti, i quali sarebbero investiti di valore costituzionale; dal che deriverebbe la conseguenza che le Assemblee regionali potrebbero con un loro decreto modificare la Costituzione.

AMBROSINI, Relatore, risponde che è contrario allo spirito del progetto il pensare che un’Assemblea regionale possa modificare la Costituzione, e ricorda di aver già detto che la norma in questione dovrà essere coordinata con quella dell’articolo 21.

MORTATI replica che in tal caso bisognerebbe dire: «con Statuti speciali approvati con leggi di valore costituzionale».

Passando poi al merito, rileva che – stando a quanto ha detto l’onorevole Ambrosini – si giunge alla conclusione che, per le Regioni alle quali è stata concessa una speciale forma di autonomia, è acquisito il diritto di non riprodurre nei loro Statuti alcuna delle disposizioni stabilite negli articoli 3 e successivi del progetto, mentre egli è del parere che determinati principî fondamentali, che si riflettono sulla struttura stessa dello Stato, debbano essere comuni a tutte le Regioni.

Né, d’altra parte, ritiene che sia possibile ora accettare il principio dell’istituzione di Statuti speciali, senza sapere in qual modo essi si coordineranno con questo progetto. Che questa sia la sede opportuna per fare il coordinamento – delineando un quadro preciso della struttura dello Stato, sia nella configurazione normale che in quella eccezionale – appare chiaramente anche dal testo della legge che approva lo Statuto siciliano, e che affida all’Assemblea Costituente il compito di coordinare tale Statuto con le leggi fondamentali dello Stato.

È quindi del parere che questo articolo si debba esaminare ed approvare in un secondo tempo, quando – stabilito il quadro dell’ordinamento regionale – si potrà vedere con precisione a quali principî sarà possibile derogare in favore di determinate Regioni.

Domanda poi se, con la parola «Statuti», si intenda alludere all’esplicazione dei principî fondamentali della Costituzione, per cui, rientrando essi nei poteri normali dell’autonomia, si potrebbe prescindere dall’approvazione fatta con legge; se invece significhi qualche cosa di diverso, è necessaria una legge costituzionale ed allora si dovrebbe precisare dicendo all’articolo 21: «ratifica per opera di legge».

Si domanda, infine, se non sarebbe più opportuno inserire nella stessa Costituzione, nella parte dedicata alla Regione, disposizioni speciali a favore di singole Regioni. Ritiene altresì che si dovrebbe dare anche ad altre Regioni, oltre quelle indicate nell’articolo 2, la possibilità di domandare uno speciale trattamento.

BORDON ritiene infondate le critiche mosse al progetto ed in particolare quelle riferentisi all’articolo 2.

Fa anzitutto presente che le Regioni sono, sotto molti aspetti, diverse fra di loro; e che specialmente quelle che hanno delle minoranze etniche meritano Statuti particolari.

Circa le osservazioni dell’onorevole Mannironi, ritiene che non sia possibile astenersi per ora dal citare le Regioni a cui sono concessi Statuti speciali, limitandosi ad affermare che tale questione sarà esaminata in futuro: infatti, l’articolo 2 è stato formulato non solo in base ad una realtà scaturita dall’esame approfondito della situazione di fatto, ma anche perché le quattro zone citate e in specie la Val d’Aosta hanno già dei diritti acquisiti, per quanto in stadi diversi.

Invita l’onorevole Nobile, il quale riconosce che le zone mistilingui hanno delle peculiarità tali da meritare una particolare autonomia, a tener presente che non tutte le zone mistilingui possono considerarsi sullo stesso piano ed è quindi necessario fare una distinzione. Non è poi favorevole alla dizione proposta dall’onorevole Nobile, anche perché dalla lettura di essa sembrerebbe che l’autonomia per la Val d’Aosta debba ancora concedersi, il che non è.

Concorda con coloro i quali hanno sostenuto che gli Statuti speciali dovranno inquadrarsi nella futura Costituzione; e, affinché non siano male interpretati i sentimenti autonomistici valdostani, fa presente che il fatto di aver conservato l’uso della lingua francese e affermato il diritto alla propria autonomia non deve far dimenticare il sentimento di italianità degli abitanti della valle, che in tutti i tempi hanno operato a favore della Madre comune. Trova quindi inconcepibile l’affermazione pubblicata su di giornale locale il quale, dopo aver sostenuto che le autonomie regionali costituiscono un errore, conclude domandando l’indipendenza con la garanzia internazionale. Non ritiene che possa reggere una garanzia di tal genere, mentre ritiene doveroso che l’autonomia trovi una garanzia nella Costituzione con una espressa menzione di tale diritto ad uno Statuto speciale.

VANONI, premesso che anche la Provincia di Sondrio ha avuto ed ha tuttora aspirazioni autonomistiche, dichiara che quando si esamina l’articolo 2 del progetto che regola le autonomie regionali dell’intero Stato italiano, ci si deve porre il problema nei suoi termini politici ed economici.

Considerando il problema sotto il primo aspetto, osserva che gli Statuti speciali concessi a talune Regioni sono provvisori – in quanto non ancora sottoposti al vaglio dell’Assemblea Costituente – e devono essere coordinati con le norme della Carta costituzionale. Concorda con l’onorevole Mortati nel ritenere inopportuna la menzione particolare delle quattro Regioni nell’articolo in esame, posto che le situazioni speciali di queste Regioni hanno dato luogo a singoli provvedimenti ancora suscettibili di modificazioni da parte della Costituente; e ritiene che la garanzia di carattere costituzionale, richiesta dall’onorevole Bordon, sia superata dal fatto che la legge stessa sull’autonomia assumerà il carattere di una vera e propria legge costituzionale.

Nei riguardi della Sicilia e della Sardegna, osserva che dovrebbe essere possibile risolvere in modo soddisfacente le esigenze di carattere pratico, particolari di queste Regioni, nel quadro dell’autonomia concessa a tutte le altre Regioni, evitando così una menzione particolare, la quale non farebbe altro che sottolineare il fatto politico che queste due Regioni sono state all’avanguardia del movimento autonomista.

Crede, quindi, che sia opportuno tornare alla formula inizialmente proposta dall’onorevole Ambrosini, la quale prevede «l’attribuzione di una condizione giuridica diversa da farsi con legge di natura costituzionale a talune Regioni in vista della loro situazione particolare».

Ritiene, invece, che meriti considerazione speciale la situazione dello zone mistilingui, e pensa che le esigenze di queste potranno essere tenute presenti quando – contemporaneamente alla Costituzione – si approveranno le leggi per la Val d’Aosta e per l’Alto Adige.

Stima anche pericoloso stabilire in questa sede una graduazione di queste autonomie, sia sotto il profilo politico – perché susciterebbe in tutte le Regioni l’aspirazione ad ottenere, anche senza giustificazioni obiettive, il trattamento più favorevole – che sotto il profilo tecnico, in quanto i limiti dell’autonomia dovrebbero essere stabiliti nell’interesse generale e non caso per caso, di fronte a particolari situazioni.

CONTI riconosce l’opportunità fatta presente dall’onorevole Bordon, che in sede idonea sia chiaramente affermato che lo Statuto speciale per la Val d’Aosta è già in atto; ma è del parere – per l’armonia del testo Costituzionale – che sia preferibile sostituire alla dizione del progetto quella primitiva dell’onorevole Ambrosini.

ROSSI PAOLO si dichiara contrario alla formulazione del progetto che è, a suo parere, pericolosa. Il capoverso dell’articolo 2 dovrebbe, a suo avviso, contenere un limite ed un chiarimento; e perciò ne propone la seguente dizione: «Alle Regioni insulari ed a quelle di confine e mistilingui possono venire attribuite, ecc.», che ritiene non possa dar luogo ad alcun inconveniente, né ad alcuna opposizione, nemmeno da parte dei colleghi che rappresentano le Regioni interessate.

LACONI dichiara che la lettura del capoverso dell’articolo in esame (che fa sorgere la domanda: le Regioni non considerate avranno uno Statuto e, se l’avranno, avrà questo un valore costituzionale?) lo rende sempre più convinto che la distinzione tra le Regioni autonome e le altre Regioni abbia rilevanza costituzionale e debba essere tenuta presente nella formulazione dell’articolo 1.

Sotto una questione puramente formale se ne cela una sostanziale, e cioè l’esigenza per le Regioni particolarmente considerate di avere uno Statuto speciale. La richiesta dell’autonomia regionale deriva dalla constatazione che in Italia esistono oggi non solo particolari condizioni storiche e politiche che inducono alla creazione di un nuovo ente, ma anche particolari necessità che differenziano Regione da Regione.

La Regione è, a suo parere, un congegno che si rende necessario in un determinato momento storico per rimediare ad una data situazione; così, secondo Cavour, Mazzini e Minghetti, la Regione autonoma costituiva, 80 anni fa, il necessario anello di congiunzione tra le vecchie unità statali ed il nuovo stato unitario. Ma oggi, riconosciuta la necessità di introdurre nel nostro ordinamento l’autonomia regionale, questa non si può porre negli stessi termini per tutta l’Italia, ma deve essere adottata in modo da stabilire un punto di collegamento tra quelle Regioni che, o per ragioni geografiche o per il fatto di essere mistilingui, sono rimaste in certo qual modo avulse dal processo di formazione dell’unità d’Italia, e le rimanenti parti dello Stato italiano.

La menzione particolare di alcune Regioni, fatta nel capoverso dell’articolo 2, non è dovuta ad una questione di priorità nell’impostazione del problema autonomistico, ma alla coscienza politica di tale concetto che in esse si è venuta maturando, perché soltanto in queste Regioni la tendenza autonomista ha raggiunto un così elevato grado di maturità e di consapevolezza politica da potersi esprimere compiutamente. Così in Sardegna l’esigenza autonomistica, tramandatasi immutata nel tempo fino ad oggi, non è limitata a particolari correnti politiche, ma è divenuta patrimonio di tutti i partiti ed è connaturata in tutta la tradizione culturale dell’Isola. Non si tratta di rispondere ad esigenze di carattere psicologico, ma di risolvere problemi particolari, i quali richiedono, per la Sicilia e per la Sardegna, una legislazione tutt’affatto speciale. Solo così sarà possibile ottenere che queste Regioni penetrino nel ciclo della vita italiana.

Conclude facendo voti non solo perché, mantenendo il capoverso dell’articolo 2, sia riconosciuto alla Sicilia ed alla Sardegna uno Statuto speciale, ma anche perché, tenendo presenti le particolari esigenze di queste Regioni, si eviti di assimilare il trattamento che ad esse sarà fatto alla soluzione che al problema sarà data nei riguardi delle altre Regioni d’Italia.

AMBROSINI, Relatore, rispondendo anzitutto all’onorevole Rossi, dichiara di non ritenere accettabile la sua proposta, perché la parola «possono» verrebbe ad inficiare quanto già esiste, e cioè gli Statuti per la Val d’Aosta e la Sicilia, i quali non sono provvisori, ma sono acquisiti al diritto positivo italiano, salvo la coordinazione. Ritiene che il legislatore, lo stesso legislatore costituente – e con ciò risponde anche agli onorevoli Vanoni, Mannironi, Mortati e ad altri colleghi – non possa disconoscere quelle posizioni differenziate che esistono nella realtà, e che non sono situazioni di fatto, ma situazioni giuridiche. Si permette di far presente alla Sottocommissione le considerazioni giuridiche e più ancora d’indole politica che consigliano, ed anzi che rendono necessario il mantenimento dello Statuto siciliano, salvo il coordinamento con le norme della Costituzione.

Rileva ancora, rispondendo di nuovo alle considerazioni dell’onorevole Bozzi ed alle preoccupazioni e dubbi sollevati da altri colleghi, che l’espressione: «Statuti speciali di valore costituzionale» non deve essere intesa nel senso che le Assemblee regionali possano darsi gli Statuti che vogliono. La espressione stessa: «Alla Sicilia, Sardegna, ecc. sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia…», precisa che non è la Regione che si attribuisce lo Statuto speciale, ma ad essa è attribuita la forma speciale di autonomia. Chi gliela attribuisce è il potere costituente dello Stato. Ad evitare ogni dubbio, propone che la fine del secondo comma dell’articolo 2, dove si parla di «Statuti speciali di valore costituzionale» si integri con questa dizione: «…Statuti speciali approvati con legge costituzionale».

Conclude insistendo sull’opportunità che, in conformità a quanto la Sottocommissione ha deciso approvando l’ordine del giorno Piccioni, siano tenute presenti nella Carta costituzionale le situazioni particolari della Sicilia, della Sardegna, della Val D’Aosta e del Trentino-Alto Adige, anche in considerazione del fatto che la soppressione di tale precisa indicazione potrebbe dar luogo ad interpretazioni poco benevole.

PRESIDENTE dà lettura di alcune proposte di emendamento all’articolo in esame, trasmessegli da vari colleghi.

Dall’onorevole Laconi:

«Nel quadro dell’unità ed indivisibilità dello Stato, le Regioni sono costituite in enti autarchici secondo i principî fissati negli articoli seguenti.

«Alle Regioni sono delegati tutti quei servizi statali che possono utilmente essere decentrati secondo la legge sulla riorganizzazione dei servizi dello Stato.

«Alla Sicilia, alla Sardegna, ed alle Regioni mistilingui di confine sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».

Dall’onorevole Mortati:

«Nel quadro dell’unità ed indissolubilità nazionale, le Regioni sono costituite in enti autonomi con poteri e funzioni propri, secondo i principî, generali e speciali, fissati nei seguenti articoli».

Limitatamente al secondo comma, dall’onorevole Bordon:

«Alla Val d’Aosta e alla Regione Tridentina, date le loro condizioni geografiche, economiche e linguistiche, nonché alle Regioni insulari verranno attribuite forme e condizioni particolari di autonomia con Statuti speciali di valore costituzionale».

Dall’onorevole Fabbri:

«Alle Regioni mistilingui di confine, quali la Val d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige, ed a quelle insulari, quali la Sicilia e la Sardegna, sono attribuite, in relazione a queste circostanze, forme ecc.».

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nile, FoPerassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni e Zuccarini.

In congedo: Calamandrei.

Assenti: Bulloni, Di Giovanni, Einaudi, Farini, Grieco, Patricolo e Porzio.

MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

45.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Ambrosini – Perassi – Zuccarini – Lami Starnuti – Lussu – Uberti – Piccioni – Tosato – Bozzi – Mortati – Fabbri – Conti – Nobile – Targetti – Bordon.

La seduta comincia alle 16.45.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE invita l’onorevole Ambrosini, Presidente e Relatore del Comitato di redazione per l’autonomia regionale, ad illustrare brevemente il progetto elaboralo da detto Comitato.

AMBROSINI, Relatore, premette che il Comitato, conscio della grave responsabilità che si era assunto, ha proceduto nel suo lavoro con lena, con scrupolo ed in completa concordanza di intenti, in quanto tutti i suoi membri partivano dallo stesso presupposto della concezione e valutazione globale ed unitaria degli interessi nazionali.

Nella sua prima riunione, il Comitato decise di affidargli l’incarico di approntare uno schema articolato; il che egli cercò di fare, tenendo obiettivamente presenti l’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni, approvato alla quasi unanimità dalla Sottocommissione, ed inoltre i risultati della preventiva ampia discussione generale. Per riflettere le varie tendenze manifestatesi durante questa discussione su taluni punti più controversi, egli prospettò la possibilità delle diverse soluzioni con «varianti» aggiunte al testo di parecchi articoli del suo stesso progetto. A questo primo progetto seguirono gli emendamenti dell’onorevole Grieco ed i progetti degli onorevoli Zuccarini e Lami Starnuti. È opportuno far presente a questo proposito che, prima ancora di decidere del metodo da seguire nell’esame dei vari progetti, l’onorevole Zuccarini – riprendendo un argomento che aveva già sostenuto nella Sottocommissione – sollevò la pregiudiziale della opportunità di impostare la riforma su di un altro piano, ponendo il Comune, anziché la Regione, come substrato ed elemento primo da prendersi in considerazione per la nuova riorganizzazione dello Stato. Diverso avviso manifestò il Comitato, che dopo ampio esame decise di prendere come base di discussione il progetto che egli come Relatore aveva formulato e presentato; e ciò anche per la ragione che, mentre esisteva una differenza di impostazione dal punto di vista strutturale tra questo e quello dell’onorevole Zuccarini, tale differenza non c’era tra lo stesso ed i progetti degli onorevoli Grieco e Lami Starnuti, che tutti si imperniano sull’ente Regione.

Venendo a parlare delle disposizioni approvate, informa che sull’articolo 1: ripartizione del territorio della Repubblica in Regioni, Province e Comuni, oppure soltanto in Regioni e Comuni – non ci fu lunga discussione, perché la questione della Provincia fu inizialmente accantonata e decisa alla fine.

Molto discussi furono invece gli articoli 2 a 4.

Sull’articolo 2, riguardante la configurazione giuridica delle Regioni, vi era stato l’accordo al momento della votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni; ma le difficoltà rinacquero quando si passò alla concretizzazione del sistema ed alla formulazione della norma giuridica.

Di fronte alle due correnti opposte – quella degli onorevoli Lussu, Zuccarini e Bordon, che partivano da una concezione molto spinta del regionalismo, e l’altra, dell’onorevole Lami Starnuti, che concepiva le Regioni soltanto come enti autarchici – egli, come Relatore, aveva affermato (ritenendo in ciò di rispecchiare il pensiero della maggioranza della Sottocommissione) un sistema intermedio, proponendo che le Regioni venissero costituite in enti autonomi dotati di poteri propri superiori a quelli degli enti autarchici. Ed in tal senso decise la maggioranza del Comitato, approvando il primo comma dell’articolo 2 del progetto.

Quanto al secondo comma dello stesso articolo – ove si prevede l’attribuzione di una condizione giuridica diversa, da farsi mediante leggi di valore costituzionale, a talune Regioni, in vista di particolari situazioni già poste in luce nella Sottocommissione – sorse nel seno del Comitato il quesito se non fosse più opportuno, ad evitare che altre Regioni potessero poi avanzare eguali pretese, arrivare ad una indicazione tassativa di quelle che potessero fruire di questa speciale condizione giuridica di autonomia. Una decisione in questo senso fu adottata a maggioranza, nonostante l’opposizione di chi riteneva che non fosse giusto precludere ad altre Regioni la possibilità di chiedere, ove ricorressero particolari circostanze, una medesima forma di autonomia.

Aggiunge, per la completezza dell’informazione, che l’onorevole Grieco aveva propugnato, nel suo emendamento, la costituzione di due categorie di Regioni: le Regioni in generale, con lo status di enti autarchici, e le Regioni alle quali si sarebbe attribuita l’autonomia, Regioni che l’onorevole Grieco indicava tassativamente: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige. Il Comitato accedette, siccome si è detto, a questa ultima proposta di indicazione tassativa, attenendosi però sul piano generale al sistema del progetto del Relatore, di attribuzione dell’autonomia a tutte le Regioni in genere e di una particolare forma di autonomia alle suddette Regioni tassativamente indicate.

Passando a parlare dell’articolo 3, riguardante la potestà legislativa che dovrebbe competere alle Regioni per determinate materie di interesse locale, rileva che su tale norma si accesero le discussioni più animate, in quanto – oltre alla proposta dell’onorevole Lami Starnuti che dava alla Regione la potestà normativa per l’attuazione delle leggi dello Stato in conformità alle speciali esigenze locali, ed a quella dell’onorevole Grieco che attribuiva la potestà legislativa di integrazione – c’era anche la proposta di più spinto regionalismo dell’onorevole Zuccarini, assecondato dagli onorevoli Lussu e Bordon, il quale al paragrafo 29 del suo schema affermava che all’Assemblea regionale si dovesse attribuire la legislazione su tutte le materie che la Costituzione non avesse già riservato allo Stato; sistema quest’ultimo che sostanzialmente può essere od apparire eguale o simile a quello federalistico.

Egli, come Relatore, aveva proposto un sistema intermedio; e nello stesso senso si pronunziò la maggioranza del Comitato, adottando la formula dell’articolo 3 del progetto. Tiene peraltro a far rilevare come al primitivo testo, il quale diceva che la potestà legislativa della Regione dovesse esplicarsi in armonia con la Costituzione, si appose, dietro sua proposta, l’aggiunta: «e coi principî fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato». A maggiore garanzia della compagine unitaria della legislazione nazionale, e per infrenare l’eventuale azione dell’Assemblea regionale che straripasse dai limiti della sua competenza e minacciasse di ledere gli interessi delle altre Regioni o dello Stato, propose un’altra aggiunta: «e nel rispetto degli interessi delle altre Regioni e dello Stato in generale», che più sinteticamente fu ridotta nell’espressione: «e nel rispetto degli interessi nazionali», e fu approvata dal Comitato.

Giova frattanto rilevare che il disposto dell’articolo 3 deve essere riguardato in connessione con gli articoli 8 e 12.

Circa il primo di questi, mette in evidenza che la norma del capoverso, con cui si esclude l’istituzione da parte della Regione di dazi di importazione, di esportazione o di transito fra una Regione e l’altra, fu approvata – su proposta degli onorevoli Codacci Pisanelli ed Einaudi – allo scopo di impedire l’adozione di qualsiasi provvedimento o norma che contrasti con la necessaria libera circolazione interregionale.

L’altra disposizione che integra l’articolo 3, cioè quella dell’articolo 12, costituisce forse il punto più importante e delicato di tutta la riforma.

Personalmente, pur avendo propugnato la istituzione dell’ente regionale, con poteri su per giù identici a quelli che sono consacrati nel progetto, ha sempre avvertito la necessità di un sistema di coordinazione fra il potere legislativo della Regione o quello dello Stato.

Per questa ragione ritenne di sottoporre al Comitato ben quattro congegni diversi in tema di intervento del potere centrale, come rimedio rispetto all’attività dell’Assemblea regionale, che sconfinasse dai limiti della sua competenza o portasse eventualmente nocumento all’interesse delle altre Ragioni o dello Stato in generale.

Espone quindi il sistema prescelto dal Comitato, a maggioranza: i disegni di legge votati dall’Assemblea regionale devono essere comunicati al Governo ed acquistano valore di legge se, entro un mese da tale comunicazione, esso non faccia alcuna osservazione. Qualora invece ritenga che tali disegni di legge eccedano dai limiti della competenza della Regione o contrastino con l’interesse dello Stato o di altre singole Regioni, il Governo li rimanda all’Assemblea regionale, la quale può riprenderli in esame e farli diventare legge, approvandoli con una maggioranza qualificata. Circa l’entità di tale maggioranza, fa presente di avere inizialmente proposto un numero di voti che raggiungesse la maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea e i due terzi dei votanti. Senonché l’onorevole Lami Starnuti, seguito dalla maggioranza del Comitato, si oppose alla determinazione di questa seconda maggioranza qualificata, sostenendo che avrebbe importato pretendere troppo dall’Assemblea; e si venne così nell’ordine di idee di prescrivere unicamente la maggioranza assoluta dei voti dei membri dell’Assemblea. Resta al Governo il diritto di ricorrere alla Corte costituzionale per chiedere l’annullamento totale o parziale dei provvedimenti legislativi in questione.

Riservandosi di ritornare su questo punto, rileva che, con la terz’ultima delle «varianti» da lui stesso proposte, prospettava la distinzione fra le questioni di legittimità e quelle di merito, demandando le prime alla decisione della Corte costituzionale, e le seconde alla decisione del Parlamento Nazionale.

Concludendo sull’argomento, esprime la personale convinzione che quest’ultimo sistema è tale da dover fare scomparire molte prevenzioni contro il progetto in genere, giacché concilia gli interessi della Regione con quelli del potere centrale.

Tornando alle prime disposizioni, informa che sull’articolo 4 non si manifestarono contrasti, concordando in esso anche l’onorevole Grieco, il quale anzi aveva proposto di inquadrare in questo articolo tutta la potestà legislativa della Regione. Restò soltanto la riserva di principio dell’onorevole Lami Starnuti. Esso articolo attribuisce alla Regione la potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con legge dello Stato per le materie appresso indicate.

L’articolo 5 attiene alle facoltà della Regione di proporre leggi al Parlamento Nazionale, e alla sua funzione consultiva relativamente ai provvedimenti governativi o ai disegni di legge che la interessano particolarmente.

L’articolo 6, relativo alla funzione amministrativa della Regione, fu approvato all’unanimità; ma potrà tuttavia dar luogo a discussioni, in quanto non si limita ad attribuire alla Regione tale funzione per le materie di sua competenza legislativa, ma anche per quelle di competenza dello Stato e che lo Stato affidi ad essa per l’esecuzione, in conformità ad un principio di largo decentramento che sarà particolarmente determinato dalla legge.

Queste materie, che è opportuno siano dallo Stato devolute alla Regione per decongestionare le amministrazioni centrali ed evitare tutti quegli inconvenienti che da tempo si sono lamentati, non dovranno essere specificate nella Costituzione. Per ora basta affermare il principio. Si potrà dopo procedere, da parte della stessa Assemblea Costituente o del futuro Parlamento, alla trattazione e sistemazione particolareggiata del complesso argomento.

Fa presente il rilievo autorevolmente fatto, che possono esservi Regioni che non sentano il bisogno o non abbiano la forza di assumere tutte le funzioni di cui si parla nelle norme suindicate del progetto e che perciò si potrebbe adottare un temperamento, nel senso che l’attribuzione alla Regione delle singole competenze prescritte potrebbe avvenire in seguito a richiesta dell’organo competente della Regione, e precisamente dell’Assemblea regionale; il che consentirebbe di procedere in modo graduale ad una così fondamentale riforma dell’organizzazione statale.

L’articolo 7, che riguardava la partecipazione della Regione alla formazione della seconda Camera, fu sospeso, ritenendosi più opportuno che la materia venga trattata nella parte della Costituzione che si riferisce a quella Camera.

L’articolo 8 riguarda l’autonomia finanziaria della Regione. Il Comitato la affermò, ma ritenne che dovesse essere coordinata con la finanza dello Stato e quella dei Comuni. In questo senso è redatto il primo comma, che venne approvato a maggioranza, opponendosi la minoranza a questa limitazione da essa ritenuta lesiva del principio stesso dell’autonomia.

Il secondo comma, relativo, siccome si è detto, alle misure tributarie che possano importare una diminuzione della libera circolazione interregionale, fu approvato all’unanimità.

Nell’articolo 9 si prevedono gli organi della Regione: 1°) l’Assemblea regionale; 2°) la Deputazione ed il Presidente regionale. Riguardo alla formazione dell’Assemblea rende noto che ci fu disparere nel Comitato se dovesse essere eletta con un unico sistema, cioè a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, o con un sistema misto risultante da questo tipo di suffragio o dall’altro basato sulla rappresentanza professionale. Personalmente riteneva preferibile il doppio sistema; ma la maggioranza andò in contrario avviso ed adottò il principio del sistema unico.

Alquanto dibattuto fu l’articolo 11, riguardante il Presidente regionale, in quanto l’onorevole Grieco proponeva il cumulo di tale carica con quella del Presidente dell’Assemblea regionale. Il Comitato decise a maggioranza di mantenere il sistema del progetto, cioè della divisione delle due cariche.

Dei rapporti fra Stato e Regione ha già detto parlando dell’articolo 12. Aggiunge che, oltre alla interferenza del potere centrale sull’attività legislativa della Regione, si è prevista anche l’interferenza dello stesso per quanto si attiene all’esistenza dell’Assemblea regionale, ammettendo con l’articolo 13 che il Presidente della Repubblica possa sciogliere l’Assemblea regionale ove questa assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale, ed in caso di gravi e reiterate violazioni della legge. Affinché non si veda in ciò una limitazione dell’autonomia regionale, si sono introdotte delle cautele, nel senso che il decreto di scioglimento, del Presidente della Repubblica, deve essere motivato ed emesso su parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale.

 

Ricordato che alla Regione possono essere affidate, per l’esecuzione, materie di competenza dello Stato, illustra l’articolo 14, in cui si adotta un sistema misto di coesistenza nel capoluogo della Regione: 1°) del Presidente della Deputazione, investito, oltre che della naturale rappresentanza della Regione, anche di quella del potere centrale dello Stato per le materie da questo delegate alla Regione per l’esecuzione; 2°) di un Commissario governativo per le funzioni non delegate alla Regione. Richiama l’attenzione sul fatto che nel suo progetto aveva presentato i due sistemi in modo alternativo: l’uno come principale, l’altro come «variante». Viceversa il Comitato ritenne di adottarli contemporaneamente. Per quanto lo riguarda, rileva che finì per convincersi che in realtà non c’era contrasto fra le due proposte, in quanto la rappresentanza affidata al Presidente della Regione si limita alle materie che sono di competenza dello Stato, e che dallo Stato sono affidate alla Regione per l’esecuzione, mentre il Commissario del Governo avrebbe la piena rappresentanza del Governo per quelle materie che restano di competenza dello Stato, non solo per l’emanazione delle norme giuridiche, ma anche per l’esecuzione.

Sente però il dovere di informare la Sottocommissione che i pareri di alcuni Commissari al riguardo si manifestarono discordi. L’onorevole Grieco propendeva per attribuire la rappresentanza del Governo interamente al Presidente della Deputazione, onde aumentarne il senso di responsabilità; altri volevano istituire nella Regione un rappresentante del Governo dotato di ampi poteri. L’onorevole Lami Starnuti, in proposito, proponeva nell’articolo 21 del suo progetto: «In ogni capoluogo di Regione ha sede un Consigliere di Stato. Egli simboleggia la concezione unitaria della Repubblica; rappresenta il Governo; vigila sull’ordine pubblico; sovrintende agli uffici governativi della Regione; comanda le forze di polizia dello Stato; sorveglia all’applicazione e al rispetto delle leggi». Prevedeva quindi nell’articolo successivo altre attribuzioni del Consigliere di Stato, specie riguardo alla facoltà di chiedere alla Corte delle garanzie costituzionali l’annullamento delle norme regionali o comunali che fossero contrarie alla Costituzione o ad una legge dello Stato. Il Comitato finì per adottare il sistema misto sovra indicato.

Con l’articolo 15 si attribuisce al Presidente della Repubblica la facoltà, non di rimuovere dalla carica il Presidente della Deputazione, ma di segnalare l’opportunità della sua sostituzione all’Assemblea regionale.

Argomento molto dibattuto fu quello della Provincia. Solo dopo lunghissima discussione si decise di sopprimerla come ente autarchico, e di mantenerla come circoscrizione amministrativa di decentramento regionale.

Il Comitato venne altresì nella determinazione di consentire la suddivisione della Provincia stessa in Circoscrizioni minori, simili a quelle degli antichi circondari, venendo così incontro ad una esigenza caldeggiata da molti, quella di avvicinare gli uffici pubblici alle popolazioni interessate, specie dei piccoli centri, le quali incontrano maggiori difficoltà e perdita di tempo e spese rilevanti per il disbrigo delle loro pratiche nelle città.

Il Comitato approvò la proposta dell’onorevole Uberti di istituire una Giunta in ogni Circoscrizione provinciale. Vivace fu il dissenso intorno alle modalità della sua costituzione: alcuni proponevano che venisse composta da delegati dei Comuni, altri che fosse eletta dall’Assemblea regionale, altri ancora dai Comuni per delega della Regione. Al riguardo non si giunse ad alcun accordo.

Per i Comuni (art. 18) fu approvato il principio della piena autarchia. Il Comitato tenne anche ad affermare esplicitamente il principio che soltanto la volontà delle popolazioni interessate potrà determinare la modificazione delle circoscrizioni comunali esistenti o la creazione di nuovi Comuni.

Disputatissima fu la materia dei controlli (art. 19). Il Comitato, a maggioranza, decise che dovessero limitarsi alla legittimità, facendosi luogo ad un controllo di merito soltanto per le deliberazioni che impegnino il bilancio dell’ente oltre i cinque anni in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie, ed ove il corpo deliberante non abbia deciso di sottoporre la sua deliberazione a referendum popolare. Non si raggiunse l’accordo circa l’organo a cui demandare il controllo. In proposito si profilavano due tesi: che fosse composto solo in maggioranza da elementi elettivi, ovvero che tutti i suoi membri fossero elettivi. Parlando a nome personale e non come Relatore, tiene a rilevare l’opportunità ed anzi la necessità che dell’organo di controllo facciano parte elementi tecnici e funzionari, in quanto questi hanno quella competenza specifica che possono non avere gli elementi elettivi.

Dopo un accenno al contenuto degli articoli 20 e 21 del progetto, passa ad occuparsi dell’articolo 22, riguardante la questione contrastatissima del numero delle Regioni. Vi erano, al riguardo, diverse proposte avanzate da alcuni Commissari, nonché segnalazioni e richieste specifiche di enti e di personalità qualificate, per la costituzione di altre Regioni, oltre le storiche. Il Comitato, in mancanza degli elementi necessari per una ponderata decisione in merito, preferì attenersi al criterio della tradizionale ripartizione geografica dell’Italia, non precludendo tuttavia, per un’esigenza di giustizia, la possibilità alle popolazioni interessate di chiedere, mediante deliberazione della maggioranza dei rispettivi Consigli comunali, il distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra o la costituzione di una nuova Regione.

Circa le norme transitorie, fa presente che fu approvata all’unanimità quella dell’articolo 24, relativa all’applicazione graduale del passaggio delle funzioni dallo Stato alla Regione. L’urgenza di presentare il progetto non consentì di decidere sulla proposta dell’onorevole Lami Starnuti relativamente alla disciplina dell’amministrazione locale nel periodo tra l’entrata in vigore della Costituzione e quella della futura nuova legge sugli enti locali.

Conclude la sua relazione ringraziando la Sottocommissione della fiducia accordata al Comitato, ed esprimendo il suo compiacimento per il fatto che il lavoro si è svolto sempre nella più completa concordia di intenti, senza che da parte dei Commissari si sia mai arrivati, pur nella trattazione delle questioni più controverse, ad irrigidimenti nelle rispettive posizioni, tali da intralciare la prosecuzione dei lavori od impedire che si portassero alla conclusione con larga maggioranza di consensi.

Desidera altresì riaffermare che tutti hanno sentito la costante preoccupazione di risolvere il problema regionale non dal punto di vista particolaristico dell’interesse della Regione, ma in funzione dell’interesse generale dello Stato. Formula quindi l’augurio, che è anche la sua convinzione, che la riforma servirà, oltre che al potenziamento delle Regioni, anche e sovrattutto alla maggiore saldezza dello Stato, al quale le ravvivate energie locali daranno il loro più volenteroso apporto per un più attivo e disciplinato sforzo ai fini del comune interesse unitario in quest’ora decisiva per la ripresa economica e la ricostruzione politica e morale del Paese.

PRESIDENTE ringrazia l’onorevole Ambrosini e, prima di iniziare l’esame del progetto, propone, allo scopo di rendere più solleciti i lavori, di fissare i seguenti criteri, richiamandosi alle norme regolamentari: 1°) gli emendamenti debbono essere presentati per iscritto; 2°) ciascun Commissario non potrà parlare più di una volta su ciascun argomento; 3°) ogni intervento dovrà essere limitato nel tempo.

Avverte inoltre che, essendosi già ampiamente discusso della riforma nelle prime riunioni della Sottocommissione, la discussione generale va considerata chiusa, salvo eventuali dichiarazioni degli altri presentatori di relazioni, e si passa senz’altro all’esame degli articoli del progetto.

(Così rimane stabilito).

PERASSI aggiunge che, a suo avviso, la discussione potrebbe limitarsi alle questioni di sostanza, rimandando ad un secondo momento quelle di pura forma. Il progetto potrebbe poi tornare al Comitato per l’ultima rifinitura dal punto di vista formale.

ZUCCARINI premette che all’onorevole Ambrosini deve essere riconosciuto il merito di avere lavorato, a determinare l’accordo sul progetto presentato alla Commissione, con una passione e uno zelo e anche uno spirito di sacrificio, per il tempo che ha dovuto impiegarvi e per le difficoltà che ha dovuto superare, degno di ogni encomio. Desidera però porre in chiaro che sul progetto stesso l’accordo non può considerarsi raggiunto; che esso costituisce una specie di transazione e che il suo dissenso, con quello di altri colleghi, sul punto di partenza e sulle conclusioni, rimane ed è veramente sostanziale.

Tale dissenso si presentò chiaro appena l’onorevole Ambrosini presentò il suo progetto primitivo. E fu allora che egli si decise a presentare un progetto suo. Per lo stesso motivo ne presentò un altro l’onorevole Lami Starnuti, e l’onorevole Grieco fece alcune sue proposte. Nello schema che egli personalmente ha elaborato si giunge alla creazione dell’ente Regione in modo del tutto diverso, così come del tutto diversa è la concezione generale dell’organizzazione e del funzionamento dello Stato che si presuppone.

Egli pensa che la Regione non debba essere una concessione dall’alto, così come invece si realizzerebbe in base alle proposte del Relatore. Il problema della Regione non è un problema secondario, ma veramente fondamentale giacché investe tutta l’organizzazione dello Stato.

Osserva che la Costituente è chiamtla ad elaborare la struttura del nuovo Stato dopo un duplice esperimento: dello Stato liberale e dello Stato fascista, e che i termini in cui il problema si pone e deve essere risolto sono nel conseguire una effettiva sovranità popolare, nell’avere assemblee legislative che siano in grado di funzionare utilmente, nel creare le condizioni per le quali il Governo abbia, insieme, il massimo di autorità e di capacità, e nel realizzare un sistema che non consenta al potere esecutivo di diventare dispotico ed arbitrario. La soluzione regionale deve servire appunto a tali scopi. Si realizza, infatti, con essa una maggiore e più effettiva sovranità popolare con una partecipazione più larga e diretta dei cittadini alla direzione dei pubblici affari, riportando così la risoluzione dei problemi locali e regionali dal centro alla periferia. Si diminuisce inoltre il lavoro legislativo, lo si semplifica, lo si rende più efficace. Quanto più limitato resterà il campo di competenza del potere centrale e più definiti, semplici e precisi i suoi compiti, tanto più il Governo potrà far sentire la sua autorità e accrescere il suo prestigio. L’istituzione dell’ente Regione infatti non deve considerarsi solo come un semplice decentramento burocratico, ma come un vero e proprio passaggio di poteri dal centro alla periferia, e come una limitazione delle funzioni del potere centrale. La sua importanza e la sua efficacia devono essere considerate anche in relazione al suo compito di formazione della seconda Camera come Assemblea equilibratrice e regolatrice nel campo legislativo in un sistema di autonomie che servirà anche a garantire contro la possibilità di un Governo dispotico e autoritario: altro scopo a cui, dopo l’esperienza fascista, si deve mirare.

Il progetto che egli ha redatto, come è stato accennato dall’onorevole Ambrosini, mira in special modo alla valorizzazione del Comune, che viene posto come elemento primo, anzi come punto di partenza, per la riforma dell’organizzazione statale in senso democratico.

A proposito del Comune rileva come il problema della sua autonomia sia stato sempre agitato in Italia, ma non mai affrontato e risolto. Si tratta di un problema essenziale per la vita democratica dello Stato. L’elettorato per se stesso non risolve il problema della sovranità popolare, la quale quanto più si eserciterà direttamente – e, perché si eserciti, la sede più idonea è certo il Comune – tanto più si estrinsecherà in modo effettivo, affinando maggiormente il senso di responsabilità del cittadino.

Sempre a proposito del Comune, ricorda che uno degli errori del periodo prefascista fu, oltre all’intervento del potere esecutivo nelle amministrazioni comunali, la uniformità della legge e l’unicità del regolamento che fissavano la stessa struttura, gli stessi uffici, lo stesso funzionamento e gli stessi compiti per qualsiasi Comune, per la grande città come per il più piccolo borgo rurale. A quello delle autonomie comunali, questione agitata nel periodo prefascista per vari decenni, si ricollega il problema dell’autonomia degli enti assistenziali di beneficenza e di previdenza i quali, soprattutto durante il fascismo, dalle ingerenze del potere esecutivo sono stati ridotti in condizioni disastrose.

Stabilito ciò che il Comune deve essere, si dovrebbe passare alla Regione, la quale non deve essere considerata come un organo dello Stato, ma come una unione di Comuni. Dal Comune alla Regione e dalla Regione allo Stato: ecco la tesi che egli sostiene, sostanzialmente diversa da quella di coloro che vorrebbero andare dal centro alla Regione e da questa arrivare al Comune. Fra il Comune e la Regione potranno, anzi dovranno, sorgere degli altri organi naturali. A tal proposito osserva però che il mantenimento della Provincia, così come è, creerebbe una complicazione amministrativa, oltre che servirebbe a moltiplicare gli uffici burocratici: il contrario, cioè, di quella semplificazione che è uno degli scopi a cui si mira. Gli organi intermedi potranno invece sorgere naturalmente e rispondere così ad esigenze sentite localmente; difatti la Provincia può alle volte risultare anche una circoscrizione naturale, o esserla diventata; spesso è però una costruzione arbitraria e artificiosa. Al capoluogo del Circondario – ed egli prevede nel suo progetto due circoscrizioni intermedie: Circondari di vicinanza e provinciali – si può arrivare invece per libera scelta dei Comuni.

Altra cosa che non può approvare nel progetto presentato è l’intervento di potere esecutivo previsto negli affari della Regione e particolarmente la creazione, accanto al Presidente regionale, di un Commissario governativo e la presenza di altri organi del Governo, laddove, a suo avviso, si deve mirare a creare con la Regione non un organo di più nella complicata macchina dello Stato, ma l’inizio di una trasformazione organica, nel senso di ottenere una maggiore democrazia e una partecipazione più diretta dei cittadini alla cosa pubblica, e insieme una migliore ripartizione di compiti, riservando alla Regione tutta quella parte della legislazione che ha un carattere particolare. Solo in questo modo si può sperare che le Assemblee legislative nazionali divengano organi veramente efficienti.

Un’altra sua preoccupazione nella redazione del suo progetto era quella d’inquadrare le autonomie della Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige nel sistema generale. A suo avviso gli Statuti di queste Regioni non debbono costituire una cosa a sé, giacché così si dividerebbe davvero l’Italia in due, anzi in più sistemi costituzionali. Il dare a certe Regioni quello che poi si negherà ad altre non rappresenta certamente un contributo alla unità ed alla solidità dell’ordinamento politico. Sarà invece un indebolimento. Significherà introdurre nell’interno dello Stato un seme di disgregazione e di contrasti avvenire.

Aggiunge che, per questa preoccupazione unitaria, nel suo progetto ha consideralo le minoranze etniche. Crede infatti che anche nei loro riguardi occorra dire una parola, per modo che la Costituzione diventi un insieme di norme eguali per tutto il Paese, rispondenti anche alle esigenze di libertà e di autonomia delle minoranze che resteranno entro i nostri confini.

Bisogna risolvere questo problema delle minoranze non già con leggi particolari diverse da una zona all’altra, ma in linea generale per tutte le Regioni e per tutte le situazioni; per quelle che ci sono e per quelle che ci potranno essere. Si darà in tal modo, anche di fronte all’estero, la più ampia garanzia di un regime di libertà, di cui potranno godere i cittadini di altra nazionalità che domani dovessero rimanere inclusi nel territorio italiano. Si darà pure prova di obiettività e di giustizia, in quanto non si faranno eccezioni per determinate popolazioni, ma si sanciranno nella Costituzione principî identici per tutti i cittadini, qualunque sia la loro origine, la loro lingua, la loro provenienza.

Ha desiderato fare queste precisazioni, sia perché non si pensi che, partecipando alla redazione del progetto che viene ora presentato, egli abbia rinunciato alla sua particolare concezione dell’ordinamento statale, sia per giustificare i suoi successivi interventi nell’esame e nella discussione dei singoli articoli.

LAMI STARNUTI riconosce che la relazione dell’onorevole Ambrosini ha posto in luce con chiarezza e fedeltà i contrasti manifestatisi in seno al Comitato di redazione.

Senza esporre lo schema che ha presentato, desidera sottolineare le divergenze tra il suo punto di vista e quello del Relatore onorevole Ambrosini, che possono racchiudersi in due ordini di idee: 1°) secondo il Relatore la Regione dovrebbe sorgere come ente di piena autonomia; secondo la sua concezione, invece, come ente di decentramento autarchico territoriale; 2°) nel suo schema egli parte dal presupposto di dare agli enti locali una libertà maggiore di quella risultante dal progetto Ambrosini, approvato a maggioranza dal Comitato.

Comunque, si riserva di precisare meglio il suo punto di vista in sede di discussione e di votazione degli articoli.

LUSSU conferma la dichiarazione, fatta a suo tempo alla Sottocommissione, di adesione ad una concezione federalistica dello Stato. Senza rinunciare al suo punto di vista, riconosce tuttavia che oggi la questione federalistica – come già ebbe a dire – non è attuale, cioè non è politica. Perciò ha collaborato in seno al Comitato con spirito di realizzazione, rinunciando a presentare una sua relazione ed uno schema di organizzazione federale dello Stato. Non ha potuto accettare l’ordine d’idee dell’onorevole Zuccarini, il quale, nel suo progetto, parte dal Comune, perché, pur riconoscendo la intelligenza politica con cui quel progetto è formulato, lo considera interessante dal punto di vista teorico, ma non corrispondente alle esigenze della riforma dell’organizzazione statale. Occorre tener presente che il Comune esiste da secoli, mentre la Regione non esisteva che nella sua configurazione geografica ed economica, sì che la nuova configurazione, la quale risponde a vecchie aspirazioni, doveva essere consacrata nella Costituzione.

Si duole di aver trovato i rappresentanti del Partito comunista piuttosto ostili per principio all’organizzazione autonomistica dello Stato, e deve aggiungere che lo ha sorpreso il fatto che elementi politici di tendenze opposte al Partito comunista fossero dello stesso avviso. Questa diffidenza dei comunisti verso la trasformazione autonomistica dello Stato è, a suo parere, un errore politico evidente, soprattutto ove si consideri la vita del Paese attraverso la sua evoluzione storica e politica.

Non si può, ad esempio, negare l’esigenza autonomistica del Mezzogiorno, perché è solo attraverso l’autonomia che esso potrà realizzare quella democrazia che non ha mai conosciuto, e che le sue masse più arretrate potranno partecipare per la prima volta direttamente alla vita dello Stato. Il fatto stesso che il Mezzogiorno sia in condizioni così arretrate, dimostra che vi sono nello Stato, come è attualmente organizzato, delle zone che sfuggono al progresso generale.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 1, di cui dà lettura:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni».

Avverte la Sottocommissione che sono state già presentale due proposte di emendamento. La prima, dell’onorevole Bozzi, è del seguente tenore: «Il territorio dello Stato è ripartito in Comuni, Provincie e Regioni»; la seconda, dell’onorevole Tosato, firmata anche dagli onorevoli Fuschini, Mannironi, Cappi, De Michele e Codacci Pisanelli, suona così: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».

UBERTI nota che la disposizione dell’articolo 1 si ricollega a quella dell’articolo 17 concernente le Provincie come circoscrizioni amministrative di decentramento regionale. Propone quindi di differirne l’esame a quando verrà in discussione lo stesso articolo 17.

PRESIDENTE ritiene preferibile procedere in maniera inversa: affrontare, cioè, subito la questione che riveste una importanza fondamentale.

Dà notizia di altri emendamenti pervenuti nel frattempo.

L’onorevole Laconi propone la formula: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Regioni autonome e Comuni».

L’onorevole Conti propone: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni. Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale».

Un emendamento proposto dall’onorevole Mortati è così formulato: «Elementi costitutivi dello Stato sono le Regioni e i Comuni».

Infine un emendamento proposto dall’onorevole Fabbri è del seguente tenore: «Il territorio dello Stato è ripartito in enti autonomi, costituiti da Regioni e Comuni. La legge determina e regola i poteri e le funzioni delle Regioni e dei Comuni, nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato».

Rileva che la questione che si prospetta appare evidente: decidere, cioè, se la Provincia debba o non debba continuare ad esistere come ente autarchico. Invita i colleghi ad esprimere il loro avviso su questo argomento, prescindendo dalle varie formulazioni proposte.

PICCIONI crede che il sistema di anticipare la discussione che dovrebbe svolgersi sull’articolo 17 non sia conforme ad uno sviluppo logico, perché la questione della Provincia si presenterà nei suoi termini più precisi ed organici quando si sarà determinata esattamente l’essenza dell’ente Regione.

PRESIDENTE non ha personalmente nulla in contrario a seguire questo procedimento, per quanto debba osservare che ogni Commissario ha già, indubbiamente, le sue opinioni su tutte le questioni che dovranno decidersi.

TOSATO mette in evidenza che la sua proposta di emendamento non implica alcuna decisione circa il riconoscimento dell’autonomia della Provincia. Nell’articolo 1 del progetto del Comitato si parla semplicemente di ripartizione in Regioni e in Comuni, senza precisare se le une e gli altri debbano essere autonome e con personalità giuridica. Si tratterebbe dunque soltanto di una indicazione di carattere generale.

BOZZI illustra i motivi del suo emendamento, rilevando che il porre in prima linea i Comuni non è soltanto una questione di forma, ma ha un significalo sostanziale. Secondo il suo punto di vista il Comune è l’organo naturale, storico e primigenio dal quale deve partire una precisa impostazione della questione autonomistica.

Confuta quindi l’osservazione dell’onorevole Tosato, rilevando che nel progetto del Comitato i Comuni e le Regioni sono considerati enti autarchici e le Provincie circoscrizioni amministrative. Quindi agli uni viene riconosciuta la personalità giuridica e alle altre no; dal che discende che una commistione dei due criteri nello stesso articolo non sarebbe appropriata.

Si potrebbe parlare delle Provincie in questo primo articolo solo se, per avventura, si venisse nella determinazione gli dare loro la stessa figura giuridica dei Comuni e delle Regioni; a meno di accedere alla formulazione proposta dall’onorevole Mortati, la quale è tecnicamente più precisa, ma un po’ scolastica.

MORTATI fa presente che il suo emendamento è suggerito appunto dalla convinzione che occorra anzitutto fissare gli elementi che hanno rilevanza costituzionale (in questo caso, gli enti a cui si vuole riconoscere un’autonomia costituzionale), per affrontare in un secondo momento gli altri problemi, tra cui quello della ripartizione amministrativa.

Aderisce pertanto alla proposta di rinvio della discussione.

FABBRI ritira il suo emendamento, in quanto i concetti in esso espressi sono contenuti in quello dell’onorevole Mortati, al quale si associa.

CONTI conviene con l’onorevole Bozzi che, nella dizione dell’articolo in esame, i Comuni debbano precedere le Regioni.

Quanto alle Provincie, osserva che, ove se ne voglia fare menzione, occorre aggiungere la precisazione che sono organi di decentramento regionale; tuttavia ritiene preferibile seguire il concetto dell’onorevole Mortati di non parlarne affatto, limitandosi ad indicare gli elementi fondamentali dello Stato: il Comune e la Regione.

AMBROSINI, Relatore, informa che la stessa discussione si è già svolta nel Comitato, e in quella sede, a rimuovere le obiezioni, egli propose, ma senza successo, la soppressione dell’attuale articolo 1. Conseguentemente l’articolo 2 avrebbe preso il suo posto, così modificato: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, che nel quadro dell’unità e indivisibilità dello Stato sono costituite in enti autonomi con poteri propri, ecc.». All’articolo 17, poi, si sarebbe dovuto dire press’a poco: «Le Regioni sono ripartite in Provincie, quali circoscrizioni amministrative di decentramento regionale, ed in Comuni, quali enti autarchici dotati di tutti i poteri, ecc.».

Crede che questa possa essere veramente una soluzione. Nel contempo è favorevole ad accogliere per il momento la proposta di rinvio dell’onorevole Piccioni.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinviare l’esame dell’articolo 1 a quando verrà in discussione l’articolo 17.

(Non è approvata).

Pone in evidenza che, in seguito a questa decisione, si presenta un problema non di forma, come potrebbe sembrare, ma di sostanza: l’aggiunta della menzione della Provincia nell’articolo 1. Si tratta, cioè, di stabilire se la Provincia debba essere un ente autarchico o, come propone il Comitato, un organo amministrativo di decentramento regionale. Solo nel primo caso andrebbe anch’essa citata nell’articolo in esame.

PERASSI, premesso che in realtà l’articolo 1 non risolve la questione di sostanza, ma è un articolo introduttivo di portata giuridica relativa, riprendendo il suggerimento del Relatore, ne propone la soppressione. Motiva la sua proposta con la considerazione che, non solo è inopportuno, come è stato rilevato, discutere del problema prima di conoscere le attribuzioni delle Regioni, ma non si può nemmeno escludere che tra le competenze delle Regioni stesse venga annoverata anche quella di determinare, con proprie leggi, l’ordinamento degli enti locali.

LUSSU è contrario alla proposta Perassi, in quanto ritiene utile far precedere un articolo che chiarisca la portata della riforma. Consiglia quindi di affrontare il problema, che inevitabilmente si ripresenterebbe.

PICCIONI riafferma la sua contrarietà ad entrare nell’argomento prima di conoscere la definitiva struttura delle Regioni. Rileva che il fatto che la sua proposta sia stata respinta non implica che si debba porre il problema della Provincia come ente autarchico o come circoscrizione amministrativa, e che anche l’onorevole Tosato, nel proporre il suo emendamento, ha inteso lasciare impregiudicata siffatta questione.

PRESIDENTE obietta che altri Commissari hanno fatto giustamente presente che, data la struttura del testo costituzionale, il mettere in questo primo articolo senz’altro l’indicazione della Provincia significherebbe concepirla come ente autarchico, perché non si può nello stesso articolo affiancare più istituti che abbiano funzioni e caratteri diversi.

NOBILE esprime l’avviso che la questione formale si possa facilmente risolvere, limitando l’articolo 1 alla seguente dizione: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni». In seguito poi si potrebbero esaminare le successive ripartizioni delle Regioni.

TARGETTI non trova esatta l’interpretazione del Presidente in merito all’inclusione della Provincia nell’articolo 1. Detto articolo, a suo avviso, non ha che il significato di una ripartizione territoriale e niente impedisce che le varie parti in cui si suddivide il territorio abbiano figura giuridica diversa. D’altro canto, anche tra Regione e Comune esistono fondamentali diversità, tanto che il progetto attribuisce alla Regione, ma non pure al Comune, facoltà normativa. Ritiene quindi che l’inclusione della Provincia nella formula in esame non implichi il riconoscimento di quella come ente autarchico.

BORDON ricorda che la discussione si è già ampiamente svolta nel Comitato, il quale ha così stilato l’articolo 1 appunto in quanto, nella sua maggioranza, non ha voluto considerare la Provincia come ente autarchico. Aggiunge che egli ha sostenuto dinanzi al Comitato doversi istituire puramente un organo esecutivo per la Regione e il Comune.

PRESIDENTE torna a far presente l’esigenza di un’armonia interna nella formazione dell’articolo, per cui l’inclusione della Provincia importerebbe classificarla come ente autarchico. Vero che gli enti autarchici e le suddivisioni amministrative sono tutte forme di ripartizione del territorio dello Stato, come lo sono anche, ad esempio, le circoscrizioni giudiziarie e militari; ma fra Comune e Regione v’è affinità, in quanto sono entrambi enti giuridici (mentre la Provincia è concepita solo come un’entità amministrativa) ed entrambi hanno le loro rappresentanze elettive (mentre la Provincia non le avrebbe).

Comunque, poiché è stata fatta una proposta radicale di soppressione dell’articolo, per quanto personalmente preferirebbe affrontare subito la questione di merito, la pone ai voti.

CONTI dichiara che voterà a favore, anche perché ritiene che in altra parte della Carta costituzionale si dovrà parlare della composizione del territorio dello Stato o non è quindi necessario farlo qui.

TARGETTI dichiara di volare contro, per la questione di forma: non ritiene infatti felice un’articolazione che cominci senza altro a trattare dei poteri e delle funzioni delle Regioni, che prima non sono state nemmeno nominate.

LUSSU voterà contro la soppressione che, a suo avviso, costituirebbe un errore.

PICCIONI dichiara di votare in favore per le stesse ragioni dell’onorevole Conti.

(Non è approvata).

La seduta termina alle 19.35.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Grieco.

Erano assenti: Bulloni, Di Giovanni, Einaudi, Leone Giovanni, Patricolo, Porzio.

MARTEDÌ 12 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

44.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 12 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sui lavori della Sottocommissione

Piccioni – Presidente – Calamandrei – Laconi.

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Perassi – Mannironi – Bozzi – La Rocca – Laconi – Fabbri – Nobile – Ambrosini – Uberti – Castiglia – Tosato – Fuschini – Rossi Paolo – Mortati, Relatore.

La seduta comincia alle 16.30.

Sui lavori della Sottocommissione.

PICCIONI desidera, prima che si inizi la discussione, fare presente che troppe volte alcuni colleghi non intervengono alle riunioni della Sottocommissione. Il numero, quindi, di coloro che prendono parte alle votazioni spesso è assai esiguo, e ciò potrebbe inficiare il valore sostanziale, anche se quello formale è salvo, delle deliberazioni prese dalla Sottocommissione. Per evitare tale inconveniente sarebbe necessario dare effettiva applicazione al Regolamento che disciplina i casi di assenza, stabilendo, fra l’altro, che coloro che abbiano compiuto un dato numero di assenze debbano essere sostituiti.

PRESIDENTE non ritiene che i casi di assenza dalle riunioni della Sottocommissione siano così frequenti come sembrano all’onorevole Piccioni e fa rilevare, d’altronde, che la sostituzione degli assenti non è molto agevole.

PICCIONI non crede che la sostituzione di membri nella Commissione sia difficile, perché spetta al Presidente dell’Assemblea Costituente. Comunque, non insiste nella questione, riservandosi tuttavia di risollevarla, se del caso.

CALAMANDREI raccomanda che, prima di ogni riunione, sia reso noto ai Commissari il tema che dovrà essere discusso. Ciò consentirà a molti di partecipare alle riunioni con una maggiore preparazione e i lavori della Sottocommissione se ne avvantaggeranno. È costretto a fare una simile raccomandazione perché spesso ha notato che si interviene alle sedute senza sapere esattamente quale sia l’argomento da trattare.

Ha anche osservato che spesso sono stati messi in discussione separatamente argomenti tra loro connessi, onde è accaduto di prendere su un dato problema una decisione su cui si è stati costretti a ritornare per poterne risolvere un altro. E può anche accadere che le varie deliberazioni non combacino fra loro quando esse dovranno essere coordinate nel progetto di Costituzione da presentare all’Assemblea Costituente. Per evitare simili inconvenienti, raccomanda che sia redatto un progetto che dia un quadro complessivo delle eventuali soluzioni da darsi a quei diversi problemi che siano fra loro connessi. Ogni Costituzione è sempre qualcosa di vivo e di organico e non può essere quindi costruita su singole deliberazioni elaborate e prese separatamente.

LACONI fa presente che è stato costituito un apposito Comitato per la formulazione di proposte da sottoporre all’esame della Sottocommissione, ciò che varrà ad impedire che si verifichino gli inconvenienti accennati dall’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE osserva che i colleghi che hanno partecipato alle riunioni della Sottocommissione hanno avuto sempre il modo di sapere in antecedenza gli argomenti posti all’ordine del giorno nelle riunioni successive. Quanto poi alla raccomandazione fatta dall’onorevole Calamandrei di procedere in uno stesso tempo all’esame delle questioni che più o meno siano collegate fra loro, fa presente che ciò in pratica è di assai difficile attuazione. E indubbiamente vero che qualsiasi distinzione fra certi argomenti ha qualcosa di artificioso, ma per forza di cose non è possibile esaminare contemporaneamente i vari problemi attinenti all’ordinamento costituzionale dello Stato. Si è stati costretti, così, a suddividere la materia nella forma che è sembrata più logica, affidando a singoli Relatori la trattazione di gruppi separati di questioni aventi fra loro una certa connessione. Né crede sia possibile adottare un altro criterio nello svolgimento dei lavori della Sottocommissione.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PERASSI dichiara che il Comitato incaricato di esaminare il problema della delegazione legislativa, dopo aver preso in considerazione le diverse proposte, è venuto nella decisione di presentare alla Sottocommissione la seguente formulazione:

«L’esercizio del potere legislativo non può essere delegato al Governo se non per tempo limitato e per materie determinate».

MANNIRONI è del parere che sia necessario stabilire nella Costituzione che per determinate materie, da elencare tassativamente (quali ad esempio quelle riguardanti le leggi elettorali, la legislazione delle regioni, la libertà personale, ecc.), sia da escludere la delega al Governo del potere legislativo.

Gli sembra anche opportuno stabilire che, ove le Camere decidano di delegare l’esercizio del potere legislativo al Governo, esse non debbano spogliarsi del tutto e a priori delle loro prerogative e della possibilità di controllo. Pertanto una Commissione, o parlamentare o interparlamentare, dovrebbe verificare se le leggi emanate dal Governo in virtù della delega rientrino nei limiti prestabiliti.

Sarebbe meglio, infine, sostituire nella formula proposta dal Comitato, alle parole: «al Governo», le seguenti: «al Consiglio dei Ministri»; ciò al fine di escludere che la delega legislativa possa essere concessa a un solo Ministro, È bene infatti chiarire, secondo la formula proposta dall’onorevole Bozzi nella precedente riunione, che l’esercizio della potestà legislativa non può essere delegato che al Consiglio dei Ministri.

BOZZI propone di aggiungere, alla formula di cui l’onorevole Perassi ha dato lettura, il seguente comma: «La delega non è ammessa per le materie per la cui regolamentazione la Costituzione fa rinvio alla legge».

Nella formula da lui proposta nella riunione precedente aveva fatto menzione del Consiglio dei Ministri, per evitare la possibilità di deleghe a singoli Ministri ed anche la possibilità di subdeleghe. Ma gli è stato fatto osservare che, usando la parola: «Governo», il concetto di investire della delega legislativa la collegialità dei Ministri era sufficientemente scolpito; onde non insiste nella formula già da lui proposta.

Alla proposta dell’onorevole Mannironi di elencare tassativamente nella Costituzione le materie per le quali dovrebbe essere esclusa ogni possibilità di delega legislativa non è favorevole, innanzi tutto perché la valutazione dell’opportunità di delegare al Governo la potestà legislativa su determinate materie non può essere affidata che alle Assemblee legislative; in secondo luogo perché una disposizione nel senso indicato dall’onorevole Mannironi potrebbe avere una portata o troppo vasta o troppo ristretta. A suo avviso è meglio attenersi al concetto espresso nella formula da lui proposta, vale a dire che la delega non debba essere ammessa per le materie per la cui regolamentazione la Costituzione fa rinvio alla legge, e ciò perché tali materie hanno una particolare natura, in quanto sono integrative o complementari della Costituzione stessa.

Si ha poi l’ultima questione, assai importante, della possibilità di un controllo relativamente al rispetto, da parte del Governo, dei limiti della delega parlamentare. L’onorevole Mannironi ha accennato in proposito alla istituzione di una Commissione parlamentare; ma non ne ha precisato i poteri. Tale Commissione dovrebbe emettere un voto deliberativo o manifestare un semplice parere? Nel secondo caso si avrebbe una notevole diminuzione del prestigio del Parlamento, perché il Governo potrebbe anche prescindere dal parere della Commissione. Se invece la Commissione dovesse ratificare la delega, si andrebbe al di là del concetto di delega legislativa e si snaturerebbe un istituto di tale genere. Si potrebbe prendere in considerazione l’idea di stabilire che il Governo debba chiedere il parere, limitatamente al quesito se la delega sia stata oppur no rispettata, ad un organo, quale il Consiglio di Stato, che per sua natura è chiamato a dare pareri: ma in questo campo, a suo avviso, è meglio limitarsi al controllo politico. Quando si delega al Governo l’esercizio della potestà legislativa, è il Governo stesso che assume la responsabilità dell’emanazione di una determinata legge; e, se tale emanazione non si è tenuta nei limiti della delega, è il Governo che diventa responsabile di fronte al Parlamento, con tutte le conseguenze che possono derivarne.

Per tali considerazioni dichiara di essere favorevole alla formula proposta dal Comitato incaricato di studiare il problema della delega legislativa, formula alla quale dovrebbe essere aggiunto il comma da lui proposto e di cui il Presidente ha dato lettura.

LA ROCCA dichiara di essere personalmente contrario a qualsiasi forma di delega del potere legislativo al Governo, e ciò in conformità al principio ormai sancito in tutte le Costituzioni, da quella di Weimar a quella recente della Francia, per non parlare di altre, come la russa e la jugoslava. Il potere legislativo non può essere esercitato che dal Parlamento. Aggiunge che, con la delega della potestà legislativa al Governo, si può correre il rischio di far sorgere in un modo od in un altro il deprecato inconveniente dell’emanazione dei decreti-legge, cosa che assolutamente è da evitare.

FABBRI dichiara che voterà contro la proposta di delegare al Governo la potestà legislativa per le ragioni indicate dall’onorevole La Rocca.

Ricorda che la Sottocommissione ha approvato una procedura che non si sa esattamente in qual modo definire: fu chiamata sulle prime procedura di urgenza, poi l’onorevole Mortati tenne a precisare che essa non aveva nulla a che fare con la procedura di urgenza. In ogni modo si avrebbero tre procedure: una, quella anzidetta, di denominazione imprecisa, e che potrebbe essere definita speciale; la seconda, quella delegata; la terza, su cui la Sottocommissione non ancora ha discusso, e che è la vera e propria procedura d’urgenza. Tutto ciò è, a suo avviso, deprecabile, perché in tal modo si viene ad agevolare il sorgere del lamentato inconveniente della cosiddetta inflazione legislativa. In ogni modo, v’è da domandarsi come sia pensabile di escludere determinate materie dalla procedura che ha definita speciale, quando venga ammessa la possibilità di una delega legislativa al Governo senza alcun limite o riserva. I criteri a cui si ispirano le due procedure sono in palese contrasto. Sarebbe opportuno quindi non ammettere la delega al Governo, almeno per quelle materie per le quali è stata esclusa la procedura speciale anzidetta.

NOBILE non vede una sostanziale differenza tra la facoltà data al Governo di emettere decreti-legge e la delega del potere legislativo, sia pure ristretta a determinate materie. Se mai, la differenza sarebbe a favore del sistema dei decreti-legge, che, almeno formalmente, devono esser sottoposti alla successiva approvazione dell’Assemblea legislativa, mentre col delegare il proprio potere, questa si spoglia nel modo più completo della facoltà di intervenire nella formazione delle leggi.

Alcuni dei membri della Sottocommissione si sono opposti a che le assemblee elette adottino una procedura abbreviata per i disegni di legge ad esse presentati dal Governo. Tanto più, allora, per essere coerenti, dovrebbero opporsi a che si conceda al Governo la facoltà di fare leggi senza alcun intervento, sia pure sommario, da parte delle Camere. È, invero, difficile sostenere che sia preferibile che queste restino completamente estranee alla formazione di una data legge, anziché vi intervengano adottando una procedura abbreviata e sbrigativa, quale sarebbe, ad esempio, il deferirne l’esame e l’approvazione a Commissioni delle Camere stesse, che rispecchino nella loro composizione le forze politiche che in quelle agiscono.

L’esperienza che si va attualmente facendo nelle Commissioni legislative dell’Assemblea Costituente sta a confermare che le proposte di legge inviate dal Governo per l’esame preventivo sono tutt’altro che perfette, perché spesso contengono incongruenze che le Commissioni mettono in rilievo. La medesima esperienza mostra anche che le Commissioni potrebbero rapidamente esaminare ed emendare la maggior parte delle proposte, senza in alcun modo intralciare l’attività governativa.

Il nocciolo della questione sta precisamente in questo: rendere rapido l’esame, da parte delle Assemblee elette, dei disegni di legge proposti dal Governo, specialmente quando non abbiano rilevante importanza politica. Solo così facendo si potrà respingere la tesi di chi sostiene che l’esperienza delle grandi democrazie moderne abbia dimostrata la necessità che il Governo riunisca ad un tempo il potere legislativo ed esecutivo, lasciando alle Assemblee elette solo il potere politico e finanziario. Di questa interessante tesi estremista si può leggere una difesa in uno degli ultimi numeri della Revue politique et parlementaire, secondo cui il Parlamento dovrebbe delegare al Governo tutta la sua facoltà legislativa, riservandosi solo il diritto di discutere e votare i bilanci, in quanto la discussione sulla concessione dei crediti offre l’occasione di un dibattito sulla politica generale del Governo.

Ma la Sottocommissione sembra essere ben lontana da una tale concezione, tanto vero che ha negato, con precedente deliberazione, al Governo la facoltà di emanare decreti-legge. Per ragioni di coerenza deve, dunque, negare anche la facoltà di delega, salvo i casi di emergenza, come, ad esempio. lo stato di guerra. Ma, dopo aver fatto tali divieti, deve adottare le misure necessarie affinché essi non restino lettera morta, ed in particolare deve ammettere la procedura abbreviata per l’esame e la decisione sui disegni di legge presentati alle Camere dal Governo, specie quando essi abbiano scarsa importanza politica. Appunto in considerazione di tale necessità, egli si era dichiarato avverso al sistema bicamerale; e per questo anche aveva trovato eccessivo il termine di quattro mesi assegnato alla seconda Camera per pronunciarsi su una proposta di legge già approvata dalla prima.

Conclude esprimendo l’avviso che non si debba concedere, salvo il caso di guerra, la facoltà di delega, ma che si debbano nello stesso tempo prendere tutte le misure necessarie per affrettare la procedura dell’esame e dell’approvazione da parte delle Assemblee elette delle proposte di legge di iniziativa governativa. Nell’epoca della radio e dell’aeroplano non si possono, invero, applicare le medesime procedure che si seguivano un secolo o due or sono nel Parlamento inglese.

AMBROSINI ha ragione di ritenere che l’onorevole Nobile abbia accennato all’ipotesi di attribuire al potere esecutivo la stessa potestà di quello legislativo soltanto per prospettare, come extrema ratio, una soluzione alla quale lo stesso onorevole Nobile, in ultima analisi, certo non accederebbe, e ciò perché ogni menomazione del principio della separazione dei poteri rappresenterebbe indubbiamente un regresso nell’ordinamento costituzionale dello Stato.

L’onorevole Nobile ha anche accennato al fatto che i decreti-legge ed i provvedimenti emanati in virtù di una delega al Governo del potere legislativo tendono a ridurre il lavoro del Parlamento. Ora, è bene precisare che le ragioni che inducono a far ricorso all’uno e all’altro genere di provvedimenti non sono le stesse. Difatti, l’emanazione dei decreti legge non deriva dal proposito di ridurre il lavoro alle Assemblee legislative, ma da una necessità che, come tale, è giustificata dalla dottrina ed è ormai consacrata dalla prassi costituzionale. Invece l’emanazione dei provvedimenti in virtù di delega è in relazione non solo alla necessità di rendere meno gravoso e complesso il lavoro del Parlamento, ma anche alla considerazione dell’opportunità che organi speciali del potere esecutivo siano stimati i più idonei a dare una soluzioni adeguata a determinati problemi. Ma sono le assemblee legislative che con il loro potere sovrano delegano tale potestà al potere esecutivo: quindi non si ha alcuna menomazione del prestigio del Parlamento. Nessuna legge, anche costituzionale, può precludere ai rappresentanti della sovranità popolare la possibilità di esercitare questo loro diritto sovrano. Da più di un secolo la questione della delega e dell’emanazione dei decreti legge è in discussione, poiché alcuni temono che, attribuendo al potere esecutivo la facoltà di emanare determinate norme giuridiche, il potere legislativo possa essere più o meno menomato nell’esercizio delle sue prerogative. D’altra parte, bisogna riconoscere francamente che le varie necessità presentatesi di volta in volta hanno sempre consigliato di ammettere la possibilità dei decreti-legge e della delega legislativa.

Perciò non ritiene opportuno che nella Costituzione sia stabilito un divieto espresso al potere esecutivo di emanare decreti-legge ed alle Camere di delegare la potestà legislativa al Governo.

La sola questione che potrebbe sorgere a proposito della delega è quella relativa ad una esorbitanza, da parte del potere esecutivo, dai limiti stabiliti per l’esercizio della delega stessa. Qualcuno ha proposto l’attuazione di un controllo parlamentale: sarebbe meglio, invece, affidare tale controllo alla magistratura, trattandosi di una questione di pura legittimità. Ciò naturalmente non può inficiare il principio della responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento.

UBERTI non è favorevole alle varie proposte fatte, perché ritiene che con esse si venga a concedere al Governo una troppo ampia delega legislativa. In ogni modo, se si vuole ammettere il principio che l’esercizio del potere legislativo possa essere delegato al Governo, occorre, a suo avviso, precisare nella Costituzione i casi in cui la delega possa essere consentita. Soltanto così facendo si può assicurare il prestigio delle Assemblee legislative.

LACONI si associa alla dichiarazione dell’onorevole Uberti. Sarà bene, quindi, procedere a un’elencazione chiara e precisa di materie per le quali la delega al Governo potrà essere consentita o non dovrà essere ammessa. Gli sembra più facile elencare le materie per le quali l’esercizio del potere legislativo possa essere delegato al Governo; ma importante è di arrivare ad una formulazione concreta.

CASTIGLIA, pienamente d’accordo con gli onorevoli Nobile, Fabbri e La Rocca, è contrario a qualsiasi formulazione che possa prescrivere una benché minima limitazione del potere legislativo nei confronti del potere esecutivo. Crede si debba assolutamente evitare che il Governo possa legiferare in materia in cui deve legiferare soltanto il Parlamento.

TOSATO è favorevole all’istituto della delegazione ed alla formula proposta dal Comitato incaricato di studiare la questione, specialmente in considerazione del fatto che assai probabilmente molto grande sarà la mole dei lavori delle Assemblee legislative, soprattutto per effetto del divieto di far ricorso all’uso dei decreti-legge.

All’onorevole La Rocca fa presente che in Francia si è fatto largo uso in determinati periodi della delega legislativa e che anche attualmente si fa ricorso ai decreti-legge. Nella stessa Inghilterra poi, la terra classica del parlamentarismo, è ammesso l’istituto della legislazione delegata.

All’onorevole Fabbri, il quale ritiene che con la procedura abbreviata e con la delega legislativa si venga a menomare il potere del Parlamento, fa osservare da un lato che la procedura abbreviata non inficia né elimina le funzioni delle due Camere, perché riguarda soltanto le modalità di esame e di approvazione dei disegni di legge; e dall’altro che la delega legislativa al Governo non compromette affatto il potere sovrano delle Assemblee legislative, perché sono appunto queste a concedere la delega, con assoluta libertà di giudizio, quando la ritengano necessaria.

Pensa invece che si avrebbe una vera e propria menomazione del potere legislativo se nella Costituzione fosse inclusa una norma con la quale si stabilisse il divieto della delega per determinate materie, perché occorre lasciare al potere legislativo la più ampia facoltà di determinare le materie per le quali può risultare necessario fare ricorso all’istituto della delega, stabilendo caso per caso le eventuali limitazioni e cautele per evitare abusi. Tale cura spetta alla sensibilità politica del Parlamento.

È quindi contrario ad ogni eventuale limitazione, sia negativamente, sia positivamente indicata, nel senso cioè che siano stabilite le materie per le quali la delega non può e quelle per le quali può essere ammessa. Per fare intendere il carattere eccezionale delia delega, basta includere nella Costituzione una norma con la quale si sancisca la possibilità che le Camere deleghino l’esercizio del potere legislativo al Governo, solo per tempo limitato e per materie determinate, secondo la formula proposta dal Comitato.

FUSCHINI rileva che, indipendentemente da ogni impostazione dottrinaria del problema, si verificano sempre dei casi in cui il potere legislativo avverte da se stesso la necessità di ricorrere all’istituto della delega per provvedere a disciplinare con urgenza, nell’interesse generale, determinate materie.

D’altra parte, le Camere non siedono permanentemente e non possono essere convocate da un giorno all’altro. Se si esclude la possibilità di un intervento del potere esecutivo nel campo legislativo in circostanze in cui tale intervento possa essere necessario al Paese, si pone il Governo in condizione di non poter svolgere i suoi compiti.

Ma anche al di fuori dei casi di eccezione e di urgenza, si hanno alcune materie per le quali la delega può essere concessa in via normale, senza che per questo si menomi il prestigio del Parlamento: così, ad esempio, per le leggi concernenti variazioni di bilancio, contro cui la prassi parlamentare italiana non registra opposizioni.

Per quanto poi riguarda le così dette leggi «catenaccio», è convinto dell’opportunità di accordare al Governo la facoltà di emanarle senza preventiva discussione in seno alle Camere, data la particolare natura di tali provvedimenti, che non possono essere resi pubblici se non nel momento stesso in cui sono emanati.

Dichiara infine di essere favorevole alla formula proposta dall’onorevole Tosato nella riunione precedente, perché è assai semplice e comprensiva, come deve essere la formulazione di norme costituzionali.

NOBILE, nonostante i chiarimenti forniti dagli onorevoli Ambrosini e Tosato, conferma la sua opinione che le Camere non debbano se non in casi veramente eccezionali, come, ad esempio in occasione di una guerra, delegare la loro potestà al potere esecutivo. Perciò, propone il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione ritiene che, salvo il caso di guerra, non si debba ammettere la delega al Governo della facoltà legislativa delle Assemblee elette».

FABBRI osserva che le dichiarazioni fatte dall’onorevole Fuschini a proposito dell’eventualità di una delega legislativa in materia di variazioni di bilancio stanno a dimostrare quanto sia pericoloso far ricorso all’istituto della delegazione. L’approvazione del bilancio è la funzione fondamentale del Parlamento e, ammettendo la possibilità di una delega legislativa in tale campo, si verrebbe veramente a distruggere il potere legislativo.

PRESIDENTE fa presente che, oltre alle formule proposte nelle riunioni precedenti dagli onorevoli Mortati, Bozzi e Tosato, nella riunione odierna ne sono state proposte altre: una dell’onorevole Nobile; una seconda del Comitato incaricato di studiare la questione della delega legislativa; una terza dell’onorevole Bozzi, consistente in un comma aggiuntivo alla formula del Comitato; una quarta dell’onorevole Mannironi, parimenti come comma aggiuntivo alla formula del Comitato, e così concepita:

«I decreti legislativi emanati per delega del Governo sono sottoposti, prima della loro entrata in vigore, all’approvazione di una Commissione parlamentare quale sarà costituita nel Regolamento».

Concorda nell’opinione manifestata nel corso della discussione che la delega legislativa debba essere ammessa non per materia, ma per oggetto, intendendo con tale parola uno scopo ben definito. Osserva inoltre che la determinazione del tempo relativamente all’esercizio della delega non è un elemento essenziale, perché il tempo è strettamente legato all’oggetto: per procedere ad un’opera di codificazione, ad esempio, occorreranno parecchi anni, mentre per legiferare su altri oggetti potrà occorrere un minor periodo di tempo.

Per tali considerazioni propone la seguente formula:

«L’esercizio del potere legislativo non può essere delegato al Governo se non per oggetti determinati e sempre che non attengano all’esercizio della libertà e dei diritti sanciti dalla Costituzione, alla elaborazione e approvazione dei bilanci e alla ratifica dei trattati internazionali».

Dichiara che, oltre ai trattati internazionali, aveva anche menzionato quelli di commercio, ma ha poi soppresso le parole «ivi compresi quelli di commercio», perché l’onorevole Perassi gli ha fatto osservare che i trattati di commercio sono compresi fra quelli internazionali.

ROSSI PAOLO dichiara, anche a nome degli appartenenti al suo gruppo, di essere favorevole alla formula proposta dal Presidente. Si augura che i colleghi che hanno presentato altre proposte le ritireranno, in quanto esse possono considerarsi superate dalla formula suggerita dall’onorevole Terracini.

LUSSU è favorevole alla formula proposta dal Presidente; crede tuttavia che sarebbe bene sostituire la parola «oggetto».

PRESIDENTE conviene che questo termine non è il più appropriato. In ogni modo, si potrà trovare un’espressione migliore in sede di coordinamento delle varie deliberazioni approvate dalla Sottocommissione.

MORTATI, Relatore, ricorda che nell’ultimo comma dell’articolo da lui suggerito si proponeva che i decreti emessi in conseguenza della delega dovessero sempre essere conformi ai principî stabiliti dal Parlamento nell’atto di delegazione. Il principio contenuto in tale disposizione risponde a una tesi generalmente ammessa da eminenti studiosi e uomini politici di vari Paesi a proposito della delegazione, e cioè che sia opportuno porre alcuni limiti alla libertà d’azione del potere esecutivo. Ora, la formula proposta dal Presidente gli appare a tale proposito del tutto inadeguata. Inoltre, stabilire che sia vietata la delegazione in tutti i casi in cui si tratti di materie attinenti alle libertà dei cittadini, significa togliere alla delegazione ogni pratica efficienza, rendendola così possibile soltanto per materie di scarsissima importanza. Tra l’altro sarebbero esclusi anche i Codici, che evidentemente riguardano materie attinenti ai diritti e alle libertà dei cittadini.

Lo stesso può dirsi per la formula proposta dall’onorevole Bozzi, che esclude la possibilità della delega relativamente a quelle materie per la cui regolamentazione la Costituzione fa rinvio alla legge, perché ciò praticamente significa non ammettere alcuna possibilità di delega. Meglio quindi attenersi, per dare pratica efficienza all’istituto della delega e per porre giusti limiti alla libertà d’azione del potere esecutivo, al criterio espresso nell’ultimo comma della formula da lui proposta.

PERASSI non crede necessario inserire nella Costituzione la formula proposta dall’onorevole Mortati, perché è pacifico che il Parlamento, in caso di delega legislativa, può sempre stabilire i criteri ai quali dovrà attenersi il Governo nel legiferare su una determinata materia. Non sono mancati esempi in proposito nella prassi parlamentare anteriore al 1922.

Con un altro espediente, infine, il Parlamento può in concreto dirigere l’esercizio dell’attività legislativa delegata, e cioè stabilendo nella legge di delegazione che si debba sentire una Commissione parlamentare. Questo procedimento è frequentemente usato; ma non è il caso di menzionarlo nella Costituzione, perché le Camere possono sempre farvi ricorso quando lo credano.

MORTATI, Relatore, fa osservare all’onorevole Perassi che il fine che egli si proponeva con la formula da lui proposta era appunto quello di rendere sempre obbligatorio un certo limite all’attività legislativa delegata e di non lasciare alla discrezionalità delle Assemblee legislative il determinarlo.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Nobile:

«La seconda Sottocommissione ritiene che, salvo il caso di guerra, non si debba ammettere la delega al Governo della facoltà legislativa delle Assemblee elette».

(Non è approvata).

PERASSI propone di sopprimere, nella formula proposta dal Presidente, le parole «ed alla ratifica dei trattati internazionali», perché non è ammissibile la delegazione in tale materia.

Osserva poi che occorre distinguere tra la ratifica e l’approvazione di un trattato. Inserendo nella Costituzione una disposizione per cui il Capo dello Stato non possa ratificare un trattato senza la preventiva autorizzazione delle Camere, l’esclusione della delega in tale caso è automatica e non v’è bisogno che sia espressamente sancita. Se invece ci si riferisce all’emanazione di leggi interne per dar attuazione a un trattato, una norma nel senso proposto dal Presidente sarebbe eccessiva.

PRESIDENTE osserva che l’approvazione di un trattato da parte del Parlamento, da un punto di vista formale, equivale a qualsiasi altra legge. Quindi, ammettendo la possibilità di deleghe e non escludendola per i trattati internazionali, potrebbero essere ritenute valide anche le deleghe in materia di trattati. Ne conseguirebbe che il Capo dello Stato potrebbe apporre la sua ratifica a un trattato, indipendentemente dall’approvazione del Parlamento.

TOSATO rileva che la ratifica dei trattati non può formare oggetto di delega, non trattandosi di materia legislativa. Inoltre una disposizione nel senso indicato dal Presidente potrebbe essere assai pericolosa, in quanto risponde a un’interpretazione dell’istituto della delegazione che potrebbe indurre qualcuno a sostenere la possibilità della delega anche in materia di approvazione dei bilanci.

FABBRI propone che sia messa ai voti la formula così come è stata presentata dal Presidente, con l’intesa che saranno soppresse le ultime parole relative alla ratifica dei trattati se verrà inclusa nella Costituzione la norma che un trattato non possa essere perfezionato senza la preventiva autorizzazione delle Camere.

PRESIDENTE non insiste affinché nella formula da lui proposta si faccia menzione della ratifica dei trattati.

TOSATO propone di inserire nella formula proposta dal Presidente, fra le parole «se non» e «per oggetti determinati», le seguenti: «per tempo limitato». Occorre limitare nel tempo l’esercizio dell’attività legislativa delegata, perché altrimenti potrebbe sorgere la questione se il potere esecutivo, una volta emanata la legge delegata, possa disciplinare permanentemente una determinata materia. Ciò evidentemente non è ammissibile.

Per quanto poi si riferisce ai diritti sanciti dalla Costituzione, è chiaro come non possa aver luogo una delega in questo campo.

PRESIDENTE osserva che il problema in discussione è essenzialmente politico: ci si preoccupa, cioè, che a un certo momento possa esservi un Parlamento pronto, per ragioni politiche, a delegare al Governo i suoi poteri, che tanta importanza hanno per la vita del Paese. La fondamentale libertà dei cittadini può essere repressa anche con misure che non appaiono immediatamente lesive dei principî costituzionali; e si tratta appunto di evitare la possibilità che la repressione delle fondamentali libertà dei cittadini possa avvenire per delega.

MANNIRONI desidererebbe sapere se con la formula proposta dal Presidente si debba intendere esclusa, oppur no, la possibilità di delega al Governo relativamente al caso di eventuale nuova codificazione.

TOSATO comprende perfettamente le preoccupazioni manifestate dal Presidente, ma si dichiara scettico sulla possibilità che l’esclusione della delega per le materie attinenti all’esercizio della libertà e dei diritti sanciti dalla Costituzione infonda il senso dei propri doveri in un Parlamento che non intenda esercitarli. In ogni modo, se si vuole porre un limite alla facoltà di delega, si potrebbe stabilire di escludere dalla delega tutte le leggi di carattere complementare della Costituzione, per quanto poi il termine «complementare» darebbe luogo a infinite discussioni.

LACONI propone di fare riferimento soltanto all’esercizio delle libertà personali e politiche.

PRESIDENTE fa presente che, tenuto conto delle varie osservazioni fatte nel corso della discussione, la formula da lui proposta potrebbe essere così modificata:

«L’esercizio del potere legislativo non può essere delegato al Governo se non per tempo limitato e per oggetti determinati e sempre che non attengano all’esercizio delle libertà personali e politiche, alle leggi complementari della Costituzione ed all’approvazione dei bilanci».

MORTATI, Relatore, dichiara di votare contro, perché ritiene che con la formula proposta dal Presidente si venga praticamente a rendere nulla la facoltà di delega.

PRESIDENTE mette in votazione la formula di cui ha dato testé lettura, avvertendo che, ove sia approvata, le altre formule proposte dovranno ritenersi superate.

(È approvata).

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Leone Giovanni.

Assenti: Bulloni, Conti, Di Giovanni, Einaudi, Grieco, Patricolo, Porzio, Targetti.

SABATO 9 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

43.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 9 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sui lavori della Sottocommissione

Presidente

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Lussu – Tosato – Mortati, Relatore – Perassi – Nobile – Laconi – Vanoni – Uberti – Fabbri – Lussu – Cappi – Mannironi – Bozzi.

La seduta comincia alle 10.25.

Sui lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE, al fine di accelerare i lavori della Sottocommissione – anche in considerazione del fatto che le altre due hanno terminato o stanno per terminare i loro – propone che si nomini un Comitato di studio il quale predisponga il materiale concernente il potere esecutivo di cui la Sottocommissione dovrà fra poco iniziare l’esame.

Propone di formare questo Comitato con gli onorevoli Bozzi, Conti, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Perassi e Tosato.

Mette ai voti questa proposta.

(È approvata).

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che nell’ultima seduta è stata lasciata aperta la questione dell’opportunità di inserire nella Costituzione una norma riguardante il procedimento abbreviato per l’approvazione di una proposta di legge. La Sottocommissione, pur mostrandosi favorevole a tale principio, non ha approvato poi le formulazioni che sull’argomento erano state proposte.

TOSATO spiega che nessuna delle proposte ieri presentate dava l’impressione di garantire le finalità della procedura abbreviata. Ritiene che un accordo si potrebbe raggiungere sulla formula proposta dall’onorevole Perassi, opportunamente modificata; e per suo conto, proporrebbe la soppressione dell’inciso «previa discussione generale», al fine di evitare che ogni pregio della procedura abbreviata naufraghi in una lunga discussione generale.

MORTATI, Relatore, fa presente che si tratta di salvaguardare la funzione caratteristica del Parlamento da una parte, e dall’altra di raggiungere alcuni obiettivi, come quelli di migliorare la redazione tecnica della legge, di alleviare l’Assemblea di una parte del suo lavoro – di quello, cioè, che meglio si compie in un ambito più ristretto – di conseguire, infine, una maggiore rapidità nel lavoro legislativo.

Rileva come il sistema di semplificazione presenti tre aspetti: anzitutto quello di delegare alle Commissioni una parte del lavoro legislativo, usufruendo anche dell’opera di consigli tecnici, come organi ausiliari speciali del Parlamento; in secondo luogo quello di escogitare un sistema che tenda a diminuire la quantità di lavoro da demandare all’Assemblea, sia determinando le materie che potrebbero essere deferite ad altri organi, sia formulando norme generiche, le quali consentano una maggiore elasticità d’azione al Governo, sia rendendo più larghi i capitoli delle leggi sui bilanci, il che permetterebbe di evitare l’emanazione di un gran numero di provvedimenti per variazioni ai bilanci stessi, sia, infine, ricorrendo al sistema delle delegazioni, da ultimo, l’aspetto della procedura d’urgenza.

Considerando particolarmente il primo punto, osserva che si tratta di decidere se le Commissioni parlamentari debbano limitarsi ad esaminare i progetti o possano anche deliberare su di essi. Fa anche presente una soluzione intermedia, consistente nel deferire alle Commissioni la formulazione e la discussione degli articoli.

Poiché nell’ultima seduta la Sottocommissione ha respinto sia la soluzione che dava alla Camera la facoltà di stabilire eventuali direttive circa l’azione delle Commissioni, sia l’altra che consentiva alla Commissione di presentare una relazione e di procedere alla formulazione degli articoli da sottoporre, prima del voto, al parere dell’Assemblea plenaria, invita i colleghi ad escogitare un sistema che raccolga un consenso più vasto.

PERASSI non ha difficoltà ad accogliere la proposta fatta dall’onorevole Tosato di sopprimere nella sua formula le parole: «previa discussione generale».

NOBILE ritiene che il concetto espresso dall’onorevole Tosato sia contenuto nell’ordine del giorno da lui presentato, il quale dà la possibilità alla Commissione, nel momento in cui trasmette il provvedimento all’Assemblea plenaria, di esprimere il parere – da approvarsi dalla Camera – che su tale argomento non sia necessaria una discussione generale. Fa presente che in tal modo si eviterebbero discussioni generali su un notevole numero di disegni di legge.

LACONI ritiene che l’unico punto su cui vi è disaccordo sia quello di stabilire se l’esame del progetto da parte della Commissione debba precedere o seguire il voto della Camera.

VANONI ritiene che la questione non possa essere ridotta in termini così semplici. A suo avviso occorre tener conto sia della opportunità che, prima di essere portato all’esame dell’Assemblea, un disegno di legge venga discusso in via preparatoria da una Commissione ristretta, la quale ponga l’Assemblea di fronte ad uno studio già compiuto e ad eventuali proposte di emendamento; sia del rispetto per le minoranze, le quali non avrebbero modo di discutere ampiamente i provvedimenti sui quali la maggioranza dell’Assemblea avesse deciso di adottare la procedura speciale. Aggiunge che, in tal modo, con un semplice voto di maggioranza, sarebbe attribuito alla Commissione il potere deliberativo finale e quindi, in sostanza, il potere legislativo.

È personalmente propenso ad invertire l’ordine di esame attribuendo, così come oggi viene fatto per la Costituente, ad una o più Commissioni speciali il compito di decidere se un determinato disegno di legge possa essere considerato di scarso rilievo o di importanza tale da esigere la pubblica discussione innanzi all’Assemblea.

LACONI ritiene che ciò contrasterebbe con il principio già approvato che i disegni di legge debbano passare attraverso il vaglio di una Commissione.

PERASSI rileva che il sistema procedurale accettato ieri in via di massima non esclude una prima deliberazione da parte dell’Assemblea, perché con esso si è voluto soltanto stabilire che la Camera, prima di pronunciarsi su un disegno di legge, deve essere in possesso di una relazione elaborata da apposita Commissione parlamentare. Propone la seguente formulazione:

«Su richiesta del proponente, ciascuna Camera può deliberare che l’esame di una proposta di legge sia deferito ad una Commissione, su relazione della quale procederà al voto finale senza discussione.

«Il procedimento preveduto dal precedente comma non è applicabile alle proposte concernenti gli stati di previsione della spesa, i rendiconti consuntivi, l’approvazione di trattati internazionali, …

«Il voto finale sulle proposte di legge ha luogo a scrutinio segreto».

UBERTI ritiene questa formulazione peggiore di quella non approvata ieri.

PERASSI fa osservare che la Sottocommissione si è manifestata ieri in favore del principio, ma successivamente non si è trovata d’accordo sulle modalità di applicazione.

FABBRI si dichiara contrario alla formulazione proposta dall’onorevole Perassi, la quale, se approvata, conterrebbe una delega di poteri legislativi a Commissioni semi-permanenti, protraendo così nel tempo la situazione contingente che si ha oggi con l’Assemblea Costituente. Osserva che, adottata quella formula, le Camere finirebbero per essere convocate in seduta plenaria molto raramente, cioè solo in occasione di questioni politiche di speciale importanza.

LUSSU invita gli onorevoli Mortati e Perassi a considerare l’opportunità che una discussione innanzi all’Assemblea abbia luogo sulla relazione e sulle conclusioni cui la Commissione speciale sia pervenuta. In tal modo il compito della Camera sarà facilitato; e per limitare il dibattito, si potrebbe stabilire che non più di un oratore per gruppo possa prendere in questi casi la parola.

FABBRI fa rilevare che si potrebbe con ciò giungere all’assurdo che dei progetti di leggi tributarie fossero sottratti alla pubblica discussione in seduta plenaria.

PERASSI osserva che i progetti di leggi tributarie potrebbero essere aggiunti agli altri elencati nella proposta formulazione, come esclusi dalla procedura abbreviata.

CAPPI propone che le discussioni in sede di Commissione siano rese pubbliche e che nell’Assemblea plenaria siano ammesse le dichiarazioni di voto, le quali possono costituire una forma, sia pure attenuata, di discussione.

UBERTI prospetta l’inopportunità di inserire nella Costituzione una norma che leda la sostanza del regime parlamentare, consentendo ad una Camera di limitare le proprie facoltà legislative. Dubita che di tale procedura ci si avvarrebbe – come sostiene l’onorevole Nobile – soltanto per l’esame di progetti di legge di secondaria importanza; teme al contrario che la maggioranza parlamentare se ne potrebbe servire per far approvare, senza pubblica discussione, anche leggi fondamentali, di supremo interesse per il Paese. In questo momento in cui si vuole ritornare alla più pura tradizione parlamentare, non si deve limitare la funzione della Camera attraverso un funzionamento delle Commissioni. Ricorda in proposito il movimento che si produsse in Francia contro il notevole sviluppo preso dalle Commissioni permanenti, ritenuto da molti limitativo della funzione propria del Parlamento, e fa rilevare gli inconvenienti che potrebbero derivare dal fatto che le sedute delle Commissioni non fossero pubbliche.

È del parere che ci si possa limitare a fissare nella Costituzione soltanto il principio generale per cui sia possibile – in sede di Regolamento – stabilire la sostituzione di una procedura abbreviata a quella normale.

MORTATI, Relatore, trova assurdo che si ammetta la possibilità di delegazione per il Governo e la si neghi per il Parlamento.

UBERTI ritiene che il potere deliberativo debba sempre essere riservato all’Assemblea.

VANONI pensa che tutti siano d’accordo con l’onorevole Uberti sulla opportunità di salvaguardare la sovranità dell’Assemblea; ma rileva che è appunto per difendere tale sovranità che ora la Sottocommissione si preoccupa di studiare la più retta realizzazione della funzione parlamentare in modo che, salvi i diritti delle minoranze, le leggi si facciano rapidamente e nel miglior modo possibile. Appunto al fine di evitare, dato il notevolissimo numeri di leggi da emanare, che la procedura normale porti l’Assemblea ad essere sempre in ritardo nell’approvazione, si sta ora studiando la possibilità di mettere un organo più ristretto – nel quale trovino posto rappresentanze di tutti i gruppi politici – in condizione di esaminare analiticamente e profondamente i disegni di legge.

PRESIDENTE cita i dati concernenti i decreti-legge emanati nei periodi 1914-18 e 1919-1923 per rispondere a quanto fu eccepito nell’ultima seduta da alcuni colleghi, i quali sostenevano che nel passato tale modo di legiferare non esisteva.

FABBRI replica che i dati concernenti il primo dei due periodi citati dal Presidente non sono probanti, perché si riferiscono agli anni della guerra 1915-18, e aggiunge che prima del 1914 i decreti-legge erano praticamente inesistenti.

MANNIRONI propone la seguente dizione:

«A richiesta del proponente, la Camera delibererà se un progetto di legge debba esser passato all’esame di una Commissione interna permanente.

«La decisione dovrà essere presa con la maggioranza assoluta dell’Assemblea.

«Il progetto compilato dalla Commissione e corredato dal resoconto dei relativi lavori, tornerà all’Assemblea, che voterà senza discussione, salve le dichiarazioni di voto. La procedura abbreviata di cui sopra non potrà essere seguita per i progetti in materia finanziaria, di trattati internazionali…».

MORTATI, Relatore, osserva che con la proposta dell’onorevole Lussu non si renderebbe più sollecita la procedura, ma più lenta, perché in luogo di una si avrebbero due discussioni, pur essendo la seconda limitata ad un solo oratore per gruppo, mentre con quella da lui suggerita si avrebbe il vantaggio di una sola discussione. Fa presente che il problema politico da risolvere è quello di attuare una reale semplificazione, senza far venir meno nella Camera il potere di indagine sui riflessi politici che anche un problema modesto può presentare.

Considerato che l’esame preliminare del disegno di legge non può essere omesso, ritiene che si potrebbe, in via subordinata, ricorrere ad un istituto che ha avuto applicazione in qualche legislazione straniera (Francia, Stati Uniti, Germania) e cioè il deferimento del progetto che al Consiglio dei Presidenti, composto dall’Ufficio di Presidenza della Camera e dai Presidenti dei vari gruppi parlamentari, che dovrebbe deliberare sul merito della proposta e sottoporre alla Camera, con relazione motivata, l’accoglimento o meno della richiesta del proponente circa il rinvio alla Commissione. Così facendo, si eliminerebbe praticamente la discussione in seno all’Assemblea, trasferendola al Consiglio dei Presidenti, in seno al quale sono rappresentate tutte le correnti politiche. Propone pertanto la seguente formulazione:

«Su richiesta del proponente e su relazione del Consiglio dei Presidenti, ciascuna Camera può deliberare senza discussione e a maggioranza assoluta che l’esame di una proposta di legge sia deferita ad una Commissione, su relazione della quale procederà al voto finale».

TOSATO consiglierebbe la seguente variante alla prima parte dell’articolo proposto: «Su richiesta motivata del proponente, approvata dai Presidenti dei gruppi parlamentari, ciascuna Camera può…».

NOBILE non vede perché ci si debba limitare al parere del Consiglio dei Presidenti, anziché accettare il parere motivato della Commissione, che è già entrata nel merito del disegno di legge. A suo avviso, sarebbe più opportuno richiedere che la procedura abbreviata potesse essere deliberata dalla Commissione con una maggioranza qualificata (due terzi o tre quarti).

MANNIRONI insiste perché la decisione rimanga di competenza della Camera e non venga trasferita né alla Commissione né al Consiglio dei Presidenti. D’altro canto ritiene che non ci si debba preoccupare del pericolo di una lunga discussione, in quanto la discussione stessa sarebbe limitata all’adozione o meno del procedimento abbreviato, senza entrare nel merito del progetto.

PERASSI rileva che la proposta dell’onorevole Nobile fa iniziare la procedura abbreviata nel momento in cui la Commissione delibera di proporre alla Camera di passare senz’altro alla votazione, che dovrebbe aver luogo senza discussione. Osserva che tale sistema ha l’inconveniente che i deputati non sanno quale procedura verrà adottata fino a quando la Commissione non si sia pronunciata e la Camera non abbia accolto la proposta della Commissione; e quindi i deputati si troveranno ad un certo momento di fronte al fatto compiuto, senza aver avuto la possibilità di proporre eventuali emendamenti.

Osserva invece che la sua proposta, anticipando il giudizio della Camera sul procedimento abbreviato, mette tutti i deputati nella possibilità di proporre qualunque emendamento in sede di Commissione, anche se si tratti di deputati assegnati ad altre Commissioni, i quali possono chiedere di essere ascoltati.

PRESIDENTE ritiene che si possa passare alla votazione della proposta Perassi, che è del seguente tenore:

«Su richiesta motivata del proponente, ciascuna Camera può deliberare che l’esame di una proposta di legge sia deferito ad una Commissione, su relazione della quale procederà ad un voto finale su di essa senza discussione».

TOSATO propone che alle parole «l’esame di una proposta» siano sostituite le altre: «l’esame e la formulazione definitiva del testo di una proposta»; ed inoltre che la deliberazione della Camera debba essere adottata a maggioranza di tre quinti dei presenti.

MANNIRONI aggiungerebbe «salve le dichiarazioni di voto».

PRESIDENTE dà lettura della formulazione Perassi, quale risulterebbe accogliendo le proposte di emendamenti degli onorevoli Tosato e Mannironi:

«Su richiesta motivata del proponente, ciascuna Camera può deliberare, a maggioranza di tre quinti dei presenti, che l’esame e la formulazione definitiva del testo di una proposta di legge siano deferiti ad una Commissione, su relazione della quale procederà al voto finale su di esso senza discussione, salve le dichiarazioni di voto».

UBERTI osserva che, per constatare l’esistenza della maggioranza qualificata, bisognerebbe fare l’appello nominale.

VANONI e TOSATO riconoscono giusta l’osservazione dell’onorevole Uberti e propongono di sopprimere la frase «a maggioranza di tre quinti dei presenti».

PRESIDENTE concorda.

MORTATI, Relatore, propone di aggiungere dopo la parola «Commissione» le altre «eletta a sistema proporzionale».

PRESIDENTE mette ai voti il seguente testo nel quale si tiene conto delle varie modifiche proposte:

«Su richiesta motivata del proponente, ciascuna delle Camere può deliberare che l’esame e la formulazione del testo di una proposta di legge siano deferiti ad una Commissione, eletta a sistema proporzionale, su richiesta della quale si procederà al voto finale senza discussione, salve le dichiarazioni di voto».

UBERTI dichiara che voterà contro, perché ritiene che si attuerebbe così una inaccettabile diminuzione dei poteri del Parlamento.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, propone che l’esame del comma successivo della proposta Perassi sia rinviato in sede di coordinamento.

UBERTI non ritiene opportuno tale rinvio.

VANONI pensa che si possa mettere ora in votazione il principio, salvo a determinare poi i limiti delle materie.

MORTATI, Relatore, chiarisce che la delega è limitata alle disposizioni che saranno determinate in seguito, e che per conseguenza il potere della Camera subisce dei limiti che la Commissione di coordinamento determinerà. È anch’egli del parere che per il momento ci si possa limitare ad approvare il principio generale.

PRESIDENTE mette ai voti il principio generale di escludere dal procedimento abbreviato determinate materie, che saranno poi fissate dal Comitato di coordinamento.

(È approvato).

MORTATI, Relatore, considera ora in modo particolare la procedura d’urgenza, e rileva come essa sia cosa diversa dal procedimento abbreviato, di cui si è testé parlato, perché destinata a porre limiti di tempo alla procedura ordinaria.

Ricorda che la procedura d’urgenza, che si applica su richiesta del Governo e della quale esistono esempi in molte altre legislazioni, tende a ridurre i termini per la presentazione delle relazioni, il numero dei deputati che possono intervenire nella discussione, ecc. E opportuno che la Sottocommissione esprima il suo parere circa la questione se tale norma debba essere inserita nella Costituzione o rinviata al regolamento.

TOSATO si domanda se sia possibile con una norma regolamentare variare i principî fondamentali stabiliti per l’approvazione di una legge nella Carta costituzionale.

MORTATI, Relatore, fa osservare che, secondo la procedura ordinaria, l’esame di un progetto di legge da parte delle due Camere ha luogo in tempi successivi. Si deve stabilire se, quando sia stata chiesta la procedura d’urgenza, le Commissioni delle due Camere possano agire contemporaneamente, abbreviando così il lavoro legislativo; e se sia possibile abbreviare anche le riunioni delle due Commissioni in seguito a deliberazione presa da ciascuna delle due Camere. Ritiene che tutto ciò non costituisca materia regolamentare, ma che debba essere oggetto di apposita norma costituzionale.

PRESIDENTE propone di rimettere tale questione al Comitato di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

Poiché nella prossima seduta si esaminerà anche la questione della delega, invita i colleghi che hanno già predisposto delle formule a darne lettura, al fine di orientare la discussione.

MORTATI, Relatore, propone la seguente formulazione:

«Con legge può delegarsi al Governo della Repubblica l’esercizio del potere legislativo.

«La delega non può rivestire carattere generale, ma deve riguardare sempre singoli casi e materie determinate, ed essere limitata nel tempo.

«I decreti emessi in conseguenza della delega dovranno essere conformi ai principî stabiliti dal Parlamento nell’atto di delegazione».

Rileva che questa formula lascia in sospeso tre questioni: la maggioranza speciale, la esclusione della delegazione – che si potrebbe anche ritenere implicita in una Costituzione rigida – e l’accertamento dei limiti.

BOZZI propone la seguente formulazione:

«Il Parlamento può, in casi speciali e per materie determinate, delegare al Consiglio dei Ministri l’esercizio della potestà legislativa».

TOSATO suggerisce la seguente formulazione più semplice:

«Le Camere potranno delegare l’esercizio del potere legislativo al Governo. Sono escluse le delegazioni generali e permanenti».

PRESIDENTE comunica che nella prossima seduta, oltre alla questione della delega legislativa, si esaminerà anche quella relativa ai Consigli legislativi.

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bulloni, Leone Giovanni, Terracini.

Assenti: Calamandrei, Castiglia, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Targetti.

VENERDÌ 8 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

42.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 8 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Perassi – Tosato – Zuccarini – Ambrosini – Calamandrei – Cappi – Mortati, Relatore – Uberti – Mannironi – Piccioni – Fabbri – Nobile – Bozzi – Lussu – Laconi.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE riapre la discussione sulla questione, rimasta in sospeso, della opportunità di introdurre o meno nella Carta costituzionale l’indicazione del sistema elettorale.

PERASSI ricorda che nella precedente seduta la discussione si è svolta soprattutto sull’apprezzamento dei vari sistemi e da molti è stato sostenuto quello della rappresentanza proporzionale. È stato comunque osservato come, prescindendo dalle preferenze per l’uno o per l’altro sistema, fosse opportuno parlare nella Carta costituzionale del sistema di elezione, in quanto questo si connette a tutto l’ordinamento costituzionale.

Dichiara che, personalmente, è favorevole al sistema della rappresentanza proporzionale e non dubita che la Commissione per la legge elettorale si orienterà verso di esso quando sarà chiamata a decidere in materia; ma non ritiene che la Carta costituzionale debba occuparsene, pregiudicando il problema, innanzitutto perché essa deve tracciare delle linee generali e non scendere ai particolari, e secondariamente perché potrebbe nel futuro verificarsi la necessità di allontanarsi, magari provvisoriamente, dal sistema della rappresentanza proporzionale per seguirne uno diverso, e ciò anche in rapporto al fatto che la rappresentanza proporzionale porta inevitabilmente, come è stato rilevato anche da altri, ad un governo di coalizione. Ritiene quindi più opportuno che la materia sia regolata dalla legge elettorale, così che se in seguito dovesse apparire necessario cambiare il sistema di elezione, ciò potrebbe essere fatto senza dover ricorrere alla procedura della modificazione della Carta Costituzionale.

TOSATO ritiene che non si possa per ora affrontare la questione, dato che non si sa ancora con esattezza quali saranno i lineamenti precisi della Costituzione, né la forma di governo che sarà adottata, né gli accorgimenti che saranno presi per ottenere le necessarie garanzie di stabilità e di efficienza.

Dato che il sistema elettorale non è che un mezzo strumentale, attraverso il quale si ottiene l’espressione della volontà popolare, e dato che non si può derivare la forma di Governo dalla scelta di un sistema per le elezioni, occorre prima stabilire la struttura di Governo e poi determinare quel sistema elettorale che valga a renderla più stabile ed efficiente.

Per queste ragioni propone il rinvio della discussione.

ZUCCARINI non può aderire alla proposta di sospensiva dell’onorevole Tosato, non ritenendo che il sistema elettorale possa essere considerato dal punto di vista strumentale ed essendo convinto invece che la rappresentanza proporzionale rientri fra i principî fondamentali della democrazia.

Ritiene pertanto che i componenti la Sottocommissione, se aspirano a realizzare la democrazia, debbano desiderare che nella Costituzione sia consacrato anche il sistema della rappresentanza proporzionale.

TOSATO replica che ciò porterebbe a dedurre che laddove non sia il sistema proporzionale, non sia nemmeno democrazia.

ZUCCARINI ritiene che il sistema della rappresentanza proporzionale risponda esattamente al concetto di governo che si dovrebbe avere in democrazia: non già un governo di maggioranza che governi contro la minoranza, ma un governo di collaborazione, nel quale tutte le forze cooperino e trovino il loro punto di equilibrio. Le critiche che si rivolgono oggi alla rappresentanza proporzionale si riferiscono alla sua applicazione in uno Stato centralizzato – quale si ha oggi – il quale non può appoggiarsi che su un sistema maggioritario. Ma se, invece, si vagheggia una vera democrazia che rappresenti il Paese nella sua totalità e senza esclusioni, non ci si può discostare dal sistema proporzionale.

Dichiara pertanto che voterà in favore dell’inclusione del principio nella Costituzione, come punto di partenza per l’attuazione di un completo sistema democratico.

AMBROSINI, anche per le ragioni esposte e ribadite da alcuni colleghi come gli onorevoli Perassi e Tosato, ritiene che la soluzione della questione debba essere rinviata alla Commissione per la legge elettorale.

TOSATO crede che le ragioni addotte dall’onorevole Zuccarini per inserire nella Costituzione il principio della rappresentanza proporzionale conducano proprio ad una conclusione contraria. Infatti, mentre per avere un vero governo democratico è necessaria l’esistenza di una maggioranza e di una minoranza, con il sistema della proporzionale finora adottato non si è mai avuto un governo di quel tipo. Teme quindi che l’inserire nella Carta Costituzionale il principio della rappresentanza proporzionale equivarrebbe ad impedire il sorgere di un governo democratico nel Paese.

CALAMANDREI, dato che la legge elettorale e la Carta Costituzionale si completano a vicenda, ritiene che sia errato creare due Commissioni distinte per la loro preparazione. Tuttavia, ove si voglia istituire una Commissione per la preparazione di un progetto di legge elettorale, la Sottocommissione dovrebbe fin da ora preoccuparsi che nell’ulteriore corso dei suoi lavori sull’organizzazione costituzionale dello Stato sia considerato come presupposto il sistema della rappresentanza proporzionale.

CAPPI, pur essendo d’opinione che l’inclinazione del sistema elettorale debba essere contenuta nella legge elettorale e non nella Costituzione, propone, sia per avere una base di partenza, sia per aderire alle giuste osservazioni dell’onorevole Calamandrei, il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione ritiene che le Assemblee create dalla nuova Costituzione debbano essere elette col sistema della rappresentanza proporzionale e che tale principio debba essere, anziché nella Costituzione, incluso nella legge elettorale».

PRESIDENTE pone anzitutto in votazione la proposta di sospensiva dell’onorevole Tosato.

(Non è approvata).

Prima di passare alla votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Cappi, osserva che esso dovrebbe limitarsi per ora alla Camera dei Deputati e non riguardare tutte le Assemblee legislative, e cioè anche quelle regionali e il Senato.

MORTATI, Relatore, concorda col Presidente, facendo presente che per il Senato il caso è diverso, in quanto il corpo elettorale è nominato in parte col sistema maggioritario.

CAPPI accetta di limitare il suo ordine del giorno alla Camera dei Deputati.

UBERTI ritiene che la Sottocommissione debba per ora pronunciarsi soltanto sulla questione se sia da inserire nella Carta costituzionale l’indicazione del sistema elettorale da adottare e che quindi non sia opportuno l’ordine del giorno Cappi.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta iniziale dell’onorevole Mortati, secondo cui nella Carta Costituzionale deve essere inserita l’indicazione del sistema elettorale, avvertendo che, ove tale proposta non sia approvata, si passerà alla votazione sull’ordine del giorno dell’onorevole Cappi.

MANNIRONI darà voto favorevole, con l’intesa che il sistema elettorale da fissare nella Costituzione sia quello dello scrutinio di lista con rappresentanza delle minoranze, senza escludere qualsiasi applicazione del sistema stesso, compreso quello che assegna un premio di maggioranza e consente la formazione di un governo di maggioranza anziché di coalizione.

(Non è approvata).

MORTATI, Relatore, quanto all’ordine del giorno proposto dall’onorevole Cappi, rileva che la Sottocommissione ha il compito di preparare un progetto per la Costituzione, e non può dare direttive alla Commissione che dovrà provvedere all’elaborazione della legge elettorale. Se la Sottocommissione ritiene che la materia sia influente costituzionalmente, deve disciplinarla nella Costituzione; che se invece ritiene non lo sia, potrà tutt’al più formulare una raccomandazione, della quale la Commissione predetta sarà libera anche di non tener conto.

PICCIONI, dato che la Sottocommissione, per procedere nei suoi lavori, dovrà aver presente un sistema elettorale, ritiene che, come criterio di orientamento dei lavori stessi e come indicazione per la Commissione per la legge elettorale, si debba porre in rilievo il sistema della rappresentanza proporzionale. Questo finirà per essere incluso di fatto nella Costituzione, anche senza esplicita menzione, ove tutta la struttura dello Stato risulti ispirata a quel principio. Per tali considerazioni ritiene che l’ordine del giorno Cappi possa essere approvato.

PRESIDENTE pone ai voti l’ordine del giorno Cappi, così definitivamente formulato dal presentatore:

«La seconda Sottocommissione ritiene che la Camera dei Deputati debba essere eletta col sistema della rappresentanza proporzionale».

(È approvato).

Apre la discussione sull’argomento della procedura legislativa abbreviata.

PERASSI ricorda che in una precedente seduta era stato proposto dall’onorevole Vanoni e da altri Commissari di studiare una procedura abbreviata per sveltire il sistema di approvazione delle leggi. La Sottocommissione ha già fissato una norma generale, che, nella formulazione approvata, dice: «Ogni proposta di legge deve essere preventivamente esaminata da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del Regolamento». Il Comitato incaricato di coordinare le deliberazioni approvate ha esaminato il problema della procedura abbreviata ed ha formulato la seguente disposizione:

«Ciascuna Camera può deliberare che l’esame di una proposta di legge, previa discussione generale, sia deferito ad una Commissione, su relazione della quale procederà al voto finale su di essa, senza discussione.

«Il procedimento preveduto dal comma precedente non è applicabile alle proposte di legge concernenti gli stati di previsione ed i rendiconti consuntivi o di approvazione di trattati internazionali (ed eventualmente altri da aggiungere).

«Il voto finale sulle proposte di legge ha luogo a scrutinio segreto».

Per intendere nella sua applicazione pratica la portata di questa disposizione, occorre riferirsi all’articolo dei vecchio Regolamento della Camera, che prevedeva il procedimento delle tre letture. Secondo questo, chiusa la discussione generale del disegno di legge, la Camera decideva se passare alla seconda lettura in seduta pubblica; in tal caso il disegno di legge veniva trasmesso ad una Commissione che ne faceva l’esame, proponendo eventuali emendamenti e presentando una relazione all’Assemblea; dopo di che la Camera tornava ad esaminarlo, discutendolo articolo per articolo e passando poi al voto finale a scrutinio segreto. Con la procedura proposta si avrebbe, invece, la soppressione della discussione, in seduta plenaria, articolo per articolo: esaurita la discussione generale, l’esame degli articoli sarebbe compiuto da una Commissione nominata dalla Camera, la quale potrebbe introdurvi degli emendamenti. La Camera procederebbe poi al voto finale, ma senza discussione.

Si può osservare che in questo modo la Camera sarebbe esclusa dalla elaborazione intrinseca del disegno di legge; ma giova tener presente che il Regolamento, nel disciplinare il funzionamento delle Commissioni, potrà – ispirandosi ad analoga norma del vecchio Regolamento – stabilire che ogni Deputato può trasmettere alla Commissione che esamina il disegno di legge emendamenti o articoli aggiuntivi, e chiedere di partecipare ai lavori per illustrare le sue proposte.

Fa notare che nella formulazione proposta si esclude l’applicabilità di questa procedura abbreviata per determinati provvedimenti legislativi come i bilanci, i conti consultivi e i disegni di legge riguardanti i trattati.

FABBRI rileva che con tale procedura non vi sarebbe mai il voto sugli emendamenti proposti, in quanto il disegno di legge, dopo essere stato esaminato dalla Commissione, che potrebbe tenere o non tener conto delle proposte presentatele, dovrebbe essere dalla Camera accettato o respinto senza pronunciarsi sugli emendamenti di cui la Commissione non avesse creduto tener conto.

PERASSI fa presente che vi sarebbe sempre il voto preventivo della Camera per decidere se si debba o meno seguire la procedura abbreviata.

MORTATI, Relatore, dichiara di essere d’accordo, in linea di principio, con la proposta Perassi, perché, in questo campo, uno dei problemi più gravi da risolvere è quello di semplificare la procedura parlamentare, che indubbiamente soffre di sovraccarico di lavoro. Ritiene che gli accorgimenti consigliati potrebbero ovviare a molte delle obiezioni che sono state mosse, quale, ad esempio, quella dell’impossibilità dell’emendamento che è sanata, o per lo meno corretta in parte, dal fatto che ogni deputato può intervenire nella Commissione, anche se non ne faccia parte, e presentare eventuali proposte di emendamento. Tuttavia, se si deferiscono ad una Commissione compiti non meramente consultivi di elaborazione e di relazione, ma anche di decisione, crede necessario, in sede costituzionale, occuparsi anche della garanzia della pubblicità, per rendere la Commissione sotto ogni aspetto simile al Parlamento.

Per quel che riguarda il voto finale senza discussione, non sa se sarebbe opportuno inserire anche il divieto della dichiarazione di voto.

CALAMANDREI, pur essendo favorevole al progetto Perassi, fa delle riserve sulla votazione in Assemblea plenaria, senza possibilità di dichiarazioni di voto, in quanto i deputati non facenti parte della Commissione non avrebbero altro modo di esprimere la loro opinione.

Dichiara, comunque, di essere favorevole a qualsiasi mezzo atto a diminuire il lavoro dell’Assemblea in sede plenaria, avendo constatato, nella sua breve esperienza parlamentare, che l’Assemblea non è l’organo adatto ad esaminare ed approvare pacatamente le leggi, che hanno bisogno piuttosto di essere discusse da un piccolo comitato.

Si domanda tuttavia se con il progetto presentato si sia ritenuto in un certo senso di ovviare agli inconvenienti derivanti dalla disposizione in precedenza approvata che esclude la decretazione di urgenza. Infatti, il fenomeno dei decreti legge non può essere abolito con una norma che li vieta: posto che tali decreti nascono da uno stato di necessità e dalla scarsa attitudine degli organi parlamentari a provvedere sollecitamente a situazioni particolari, il loro divieto, dichiarato senza, per altro, creare un qualche meccanismo che serva a provvedere alle necessità accennate, sarebbe puramente platonico.

PERASSI dichiara che con la disposizione in esame non si è inteso di risolvere il problema della procedura d’urgenza, bensì di creare un sistema di abbreviazione del procedimento legislativo; onde il problema se si debba o meno lasciare al Governo la potestà di emanare dei decreti-legge resta impregiudicato.

PRESIDENTE mette in votazione il principio che sia opportuno prevedere nella Costituzione una procedura abbreviata per l’approvazione dei provvedimenti legislativi.

(È approvato).

Rilegge il primo comma della formula proposta: «Ciascuna Camera può deliberare che l’esame di una proposta di legge, previa discussione generale, sia deferito ad una Commissione, su relazione della quale procederà al voto finale su di essa, senza discussione».

MORTATI, Relatore, fa presente che in seguito occorrerà forse tornare sulla disposizione, già approvata, per cui ogni proposta di legge deve essere prima esaminata dalla competente Commissione di ciascuna Camera, al fine di coordinarla con altre. Potrebbe, ad esempio, essere completata con una norma che prevedesse la nomina di Consigli tecnici i quali, ai fini della semplificazione del lavoro legislativo, potrebbero sostituirsi alle Commissioni, nel senso che la Camera potrebbe ritenere che la presentazione di un progetto da parte di tali Consigli rendesse inutile il rinvio alla Commissione parlamentare.

FABBRI ripete che, con la disposizione di cui il Presidente ha dato lettura, verrebbero completamente soppresse le votazioni sugli emendamenti in Assemblea plenaria, perché durante la discussione generale non si può votare su singole disposizioni, e quando il progetto torna dalla Commissione all’Assemblea, questa è ammessa soltanto a dare il voto finale senza discussione. A suo avviso tale sistema, oltre a peccare di antidemocraticità, menomerebbe i poteri dell’Assemblea.

TOSATO ritiene che con il testo proposto non si raggiungerebbe lo scopo voluto, in quanto nell’esaminare il progetto di legge per stabilire se adottare la procedura abbreviata, la Camera dovrebbe discutere la sostanza e la discussione generale diverrebbe talmente particolare da non realizzare alcuna abbreviazione nella procedura. A suo avviso, quindi, per ottenere un effettivo acceleramento dei lavori, la Camera dovrebbe decidere soltanto se accogliere o meno la domanda per la procedura abbreviata, senza entrare nel merito e rinviando, se del caso, il progetto alla Commissione, la quale, a sua volta, lo ritrasmetterebbe alla Camera, dopo averlo studiato, per l’approvazione.

NOBILE concorda con l’onorevole. Calamandrei nel ritenere che, avendo approvato una disposizione che vieta i decreti-legge, occorra preoccuparsi di impedire che sorga per il Governo la necessità di ricorrervi.

Osserva poi che la materia legislativa è oggi così copiosa che, nonostante il decentramento che si spera attuare con la istituzione dell’Ente regione, si avrà sempre una gran massa di progetti di legge presentati al Parlamento, come si può constatare anche oggi presso le Commissioni permanenti legislative, a cui le proposte arrivano ogni giorno numerose. Concorda quindi con l’onorevole Tosato nel rilevare che, ove si ammetta una discussione generale su di ogni progetto, l’Assemblea avrà un lavoro enorme da svolgere, ed è perciò favorevole ad una norma per la quale l’Assemblea possa deliberare soltanto sulla necessità o meno di adottare il procedimento abbreviato.

MORTATI, Relatore, fa osservare all’onorevole Fabbri che la procedura abbreviata non determina alcuna menomazione dei poteri della Camera, in quanto è la Camera stessa che, di sua iniziativa, delega una Commissione ad esaminare dei progetti nei loro singoli articoli. A suo avviso, si tratta piuttosto di stabilire se la delega debba essere pura e semplice, oppure subordinata ad un giudizio di merito; ed egli ritiene che la Camera dovrebbe in precedenza esaminare, sia pure in linea generale, il progetto, esprimere il suo parere in merito al contenuto e fissare eventualmente delle direttive per la Commissione.

Propone quindi la seguente formulazione:

«Su richiesta del Governo o di almeno 20 deputati, ciascuna Camera può deliberare che l’esame di una proposta di legge, previa discussione generale ed eventuale determinazione di direttive vincolanti, sia deferito ad una o più Commissioni permanenti o ad una Commissione appositamente eletta dalla Camera con rappresentanza proporzionale, su relazione della quale procederà al voto finale su di essa senza discussione.

«I resoconti relativi ai lavori della Commissione, di cui al precedente comma, sono resi pubblici».

TOSATO preferirebbe una formulazione più semplice, del seguente tenore:

«Su richiesta del Governo ciascuna Camera può deliberare che l’esame di un progetto di legge sia deferito ad una Commissione».

UBERTI ritiene che con la procedura abbreviata non si risolva il problema dell’affollamento dei progetti di legge al Parlamento. Bisogna infatti considerare che, dopo il periodo di intenso lavoro degli anni 1919-22, le Camere non hanno più funzionato per molto tempo e quindi, quando il Parlamento riprenderà il suo lavoro normale, moltissimi e gravi problemi saranno sottoposti al suo esame. Fra questi, a suo avviso, i progetti di carattere amministrativo o di importanza finanziaria dovrebbero essere demandati ad apposita Commissione competente, come la Giunta del bilancio, mentre i provvedimenti di carattere locale dovrebbero essere lasciati alle assemblee regionali. Importante è di arrivare a far funzionare il Parlamento: ove a questo non si riuscisse, tutti i tentativi per abbreviare o alleviare i suoi lavori sarebbero degli inutili palliativi.

BOZZI concorda con l’onorevole Perassi, rilevando che nella formula proposta sono state introdotte le parole: «previa discussione», che tolgono alle Commissioni quel carattere di antidemocraticità che taluno ha creduto denunciare. In conclusione, si avrebbe una delega da parte dell’Assemblea plenaria alle Commissioni, le quali, di conseguenza, funzionerebbero come organi del Parlamento stesso.

Non ritiene accettabile la proposta dell’onorevole Tosato, per cui la delega della Camera alle Commissioni risulterebbe come un fatto di rito che avverrebbe usualmente. A suo avviso invece si dovrebbe rendere moralmente obbligatoria una discussione, cioè una riflessione della Camera sugli atti che compie, il che comporterebbe necessariamente anche una delimitazione dei compiti delle Commissioni. Ritiene in proposito che si dovrebbe forse chiedere una maggioranza qualificata per l’adozione della procedura in parola, e che sarebbe opportuno sottolineare nella norma che il compito della Commissione dovrebbe essere più di redazione che di rielaborazione del progetto dal punto di vista politico; mentre la discussione generale si dovrebbe limitare alle linee politiche, cioè all’essenza del progetto di legge.

Propone quindi la seguente formulazione:

«Ciascuna Camera, esaminati in sede di discussione generale le proposte e i progetti di legge, può demandare, a una o più delle Commissioni permanenti o ad una Commissione speciale, la redazione definitiva del testo, in conformità delle direttive che emergono dalla discussione generale. La Camera, su relazione della Commissione, approva o respinge la proposta o il progetto, senza procedere ad ulteriore discussione».

LUSSU, pur riconoscendo la necessità di realizzare la maggior possibile speditezza dei lavori parlamentari, ha l’impressione che, adottando la procedura abbreviata e cioè portando una legge, sia pure elaborata in precedenza da una Commissione competente e politicamente rappresentativa, all’Assemblea che però non potrebbe discuterla, si cadrebbe in una deprecabile reminiscenza dei trascorsi tempi in cui era in dispregio il costume democratico.

Con la discussione preliminare di carattere generale non si avrebbe che una perdita di tempo, in quanto essa precederebbe i lavori della Commissione e quindi si svolgerebbe su un disegno di legge non ancora elaborato; mentre sarebbe molto più opportuno e utile che lo schema di legge fosse elaborato da una Commissione prima di essere sottoposto alla Assemblea, in quanto così si potrebbe ottenere una maggiore speditezza della discussione, imponendo magari un limite al numero degli oratori per ogni gruppo parlamentare.

MORTATI, Relatore, fa osservare che questa sarebbe la procedura di urgenza, la quale dovrà essere esaminata in un secondo tempo, e ricorda che si è già approvata una norma per la quale ordinariamente il progetto deve essere presentato all’Assemblea, accompagnato da una relazione della Commissione competente.

PRESIDENTE rileva che la preoccupazione principale della Sottocommissione consiste nel timore che si voglia eliminare lo svolgimento normale della discussione, mentre qui si tratta di una procedura specialissima, diretta ad abbreviare il più possibile il lavoro relativo a disegni di legge di secondario interesse. Nel caso di progetti che rivestano carattere di una certa importanza, è evidente che la Camera respingerà la richiesta di procedura abbreviata, avocando a sé l’esame della proposta.

MORTATI, Relatore, chiarisce che scopo della proposta è di giungere ad un esame tecnico avveduto ed accorto dei progetti da parte di una Commissione più qualificata e preparata, in quanto l’Assemblea plenaria non può, in certi casi, approfondire l’esame di ciascun disegno di legge, spingendosi fino ai più minuti particolari.

PERASSI ricorda che un sistema analogo fu adottato dalla Società delle Nazioni e dal Parlamento francese.

FABBRI fa presente che, ove fosse inserita una tale norma nella Costituzione, il 99 per cento delle leggi sarebbe approvato con la procedura abbreviata.

MORTATI, Relatore, osserva che ciò avverrebbe sempre per volontà della Camera e che, in ogni modo, potrebbero essere imposti dei limiti.

UBERTI chiede con quale mezzo i deputati contrari ad una deliberazione della Commissione potrebbero manifestare la loro opinione.

FABBRI risponde che non vi sarebbe altro che il voto contrario al provvedimento nel suo complesso.

UBERTI obietta che in tal caso non si avrebbe la possibilità di richiamare l’Assemblea su di un errore.

PICCIONI ritiene superabili le preoccupazioni dell’onorevole Uberti ammettendo la dichiarazione di voto.

LACONI nota che le difficoltà sorgono soprattutto dal fatto di avere esclusa la possibilità della decretazione di urgenza da parte del Governo, senza aver prospettato i rimedi appropriati per sopperire alle necessità. Dopo aver rilevata l’assurdità di alcune procedure di urgenza adottate dalla precedente Camera che, per servilismo alla dittatura, ricorreva all’approvazione delle leggi per acclamazione senza discussione alcuna, prospetta l’opportunità di stabilire almeno determinate cautele, per soddisfare le giuste esigenze della pubblica opinione la quale deve pretendere, anche nelle procedure abbreviate, un minimo di elaborazione e di perfezionamento della legge.

MORTATI, Relatore, ricorda che è prevista anche la pubblicità delle sedute delle Commissioni.

PRESIDENTE aggiunge che nella formula Perassi è pure una disposizione per limitare le materie per le quali è ammessa la procedura abbreviata.

LACONI insiste sulla necessità di ammettere le dichiarazioni di voto. Comunque, a suo avviso, sarebbe da prendere in seria considerazione la proposta accennata dall’onorevole Lussu, modificandola in modo da rendere ancora più semplice la procedura, e cioè disporre che i progetti per i quali è richiesta la procedura d’urgenza siano senz’altro passati ad una Commissione competente la quale, dopo averli esaminati ed elaborati, e averne riconosciuta l’urgenza, li presenterebbe all’Assemblea per una rapida discussione e per l’approvazione.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione debba pronunciarsi sulle tre proposte degli onorevoli Perassi, Mortati e Bozzi. Considerato per altro che esse differiscono quasi esclusivamente dal punto di vista formale, invita i proponenti a concordare una formulazione unica da sottoporre ai voti della Sottocommissione.

(La seduta è sospesa dalle 18.45 alle 19.10).

PERASSI dà lettura del testo concordato con gli onorevoli Mortati e Bozzi:

«Su richiesta del Governo o del proponente, ciascuna Camera può deliberare, previa discussione generale, che una proposta di legge sia trasmessa ad una Commissione per l’esame e la formulazione definitiva del testo, in conformità dei criteri emersi nella discussione. Sul testo della Commissione la Camera procede a voto finale senza discussione».

PICCIONI esprime l’avviso che il congegno proposto fallisca allo scopo. Infatti, nella procedura ordinaria si ha un esame preliminare del progetto da parte della Commissione, che si esaurisce nella elaborazione di una relazione; segue in Assemblea plenaria la discussione generale e quindi la discussione degli articoli. È evidente che normalmente la discussione generale richiede un tempo maggiore di quella dei singoli articoli. Con il sistema che si propone, allo scopo di abbreviare la procedura, quando la Camera ha già espletato il lavoro maggiore, cioè quello della discussione generale, il progetto di legge dovrebbe essere sottoposto all’esame di una Commissione, la quale evidentemente in tale esame impiegherebbe un tempo maggiore di quello che sarebbe necessario all’Assemblea per giungere all’approvazione dei singoli articoli. Pensa piuttosto che, per realizzare una effettiva economia di tempo, si potrebbe omettere l’esame preventivo della Commissione.

PERASSI ricorda che i criteri che hanno informato la proposta tendono, oltre che ad un risparmio di tempo, ad ottenere una migliore formulazione delle leggi.

Non ritiene accettabile l’idea dell’onorevole Piccioni di omettere l’esame preliminare da parte della Commissione in quanto, innanzitutto, si verrebbe meno al principio tradizionalmente seguito da tutti i Parlamenti che i disegni di legge siano esaminati prima da una Commissione, la quale redige una relazione per l’Assemblea plenaria; in secondo luogo, perché la discussione ne risulterebbe più disordinata; e infine perché verrebbe eluso lo scopo principale della procedura abbreviata di far sì che i disegni di legge di carattere tecnico-giuridico, ecc., siano esaminati con maggiore profondità da un Comitato ristretto, qualificato sotto tutti i vari punti di vista.

NOBILE, ritenendo che il maggior tempo si impieghi nella discussione generale, è d’avviso che, per raggiungere lo scopo di abbreviare i lavori, ogni progetto di legge dovrebbe andare alla Commissione la quale, dopo averlo esaminato e avere eventualmente riconosciuto la sua scarsa importanza, proporrebbe alla Presidenza della Camera di portarlo direttamente alla votazione dell’Assemblea, escludendo la discussione.

TOSATO rileva che con la formulazione proposta si vogliono risolvere molti problemi, mentre praticamente non se ne risolve nessuno. A suo avviso, se lo scopo della procedura abbreviata consiste soltanto in un accorciamento della discussione sui progetti che non meritano un lungo esame, sarebbe sufficiente limitare la discussione generale all’accoglimento o meno della richiesta di procedura abbreviata. Quindi nella discussione sulla richiesta di procedura abbreviata potrebbero intervenire considerazioni di merito solo di riflesso, per decidere se accoglierla o meno.

PICCIONI trova esatta l’obiezione che, mancando una relazione ed un esame preventivo, l’Assemblea farebbe la discussione senza termini precisi a cui riferirsi; ma osserva che lo stesso può dirsi per la discussione generale prevista nel sistema di procedura abbreviata consigliato. Quanto alla proposta di fare emergere dalla discussione generale le direttive a cui la Commissione dovrebbe uniformarsi nel suo esame, si domanda chi potrebbe in seguito giudicare se detti criteri siano stati o meno tenuti presenti. Ritiene pertanto eccessivo limitare la procedura in quest’ultima fase ad un semplice voto segreto.

Quanto alla migliore elaborazione della legge dal punto di vista tecnico, rileva che – a parte la considerazione che, se lo scopo che ci si propone è questo, non è più il caso di parlare di procedura abbreviata – l’esigenza sarebbe egualmente rispettata, lasciando la discussione libera in seno all’Assemblea plenaria. Infatti in tale sede interverrebbero quegli stessi elementi tecnici che intervengono nella Commissione. Per queste ragioni esprime l’avviso che, se dei vantaggi possono esservi nella procedura abbreviata, essi sono di così scarso rilievo che non vale la pena di allontanarsi dalla procedura normale.

NOBILE propone la seguente formulazione:

«La Camera, su proposta della Commissione permanente alla quale è stato deferito l’esame di un progetto di legge, può deliberare la procedura abbreviata consistente nel sopprimere la discussione del progetto, procedendo senz’altro alla sua votazione. Per l’approvazione della procedura abbreviata occorre una maggioranza qualificata».

MANNIRONI dichiara di essere d’accordo, in linea di massima, sulla proposta tendente a dare al Parlamento la possibilità di alleggerirsi di una parte di lavoro, in quanto con ciò si crea un meccanismo, di cui la Camera può liberamente disporre. Desidera tuttavia osservare che, stabilendo che l’Assemblea plenaria vota, senza discussione e senza nemmeno dichiarazioni di voto, sul progetto esaminato ed eventualmente modificato dalla Commissione, il progetto stesso può essere respinto senza che l’Assemblea ne sappia la ragione.

MORTATI, Relatore, ritiene che le critiche sollevate sulla formulazione proposta non siano fondate. Tale formulazione, infatti, è inspirata alle due fondamentali esigenze di una maggiore rapidità nella procedura parlamentare e di un esame tecnico più accurato nella redazione completa del testo. È necessario tenere presente che le discussioni delle proposte di legge a carattere tecnico non si svolgono in modo proficuo in sede di Assemblea plenaria: pur ammettendo che tali discussioni, svolte in sede di Commissione, potrebbero essere più lunghe, esse non intralcerebbero i lavori della Camera la quale, nel frattempo, potrebbe procedere ad altre discussioni.

LUSSU, ritenendo necessario stabilire che in seno all’Assemblea plenaria deve sempre farsi una discussione, anche se breve, su ciascun disegno di legge, propone la seguente formulazione:

«La Camera può decidere la procedura abbreviata. In tal caso il progetto di legge passa all’esame della Commissione competente che lo presenta alla Camera entro 15 giorni. La discussione in seno all’Assemblea non consente che un solo oratore per gruppo parlamentare».

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Nobile così formulata:

«La Camera, su proposta della Commissione permanente alla quale è stato deferito l’esame di un progetto di legge, può deliberare la procedura abbreviata consistente nel passare alla votazione, previe eventuali dichiarazioni di voto. Per l’approvazione della procedura abbreviata occorre una maggioranza qualificata».

LUSSU dichiara di aderire alla proposta Nobile e di ritirare conseguentemente la sua.

(Non è approvata).

Pone ai voti la proposta degli onorevoli Perassi, Mortati e Bozzi nella sua formulazione definitiva:

«Su richiesta del proponente, ciascuna Camera può deliberare, previa discussione generale, che una proposta di legge sia trasmessa ad una Commissione per l’esame e la formulazione definitiva del testo. Sul testo della Commissione la Camera procede al voto finale senza discussione».

UBERTI e PICCIONI dichiarano di votare contro.

NOBILE dichiara di votare a favore.

(Non è approvata).

TOSATO ritiene che l’esito della votazione non escluda l’opportunità di riparlare dell’argomento, che deve essere considerato organicamente insieme con tutti gli altri analoghi, come quelli della procedura di urgenza e della delegazione legislativa.

La seduta termina alle 20.05.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Leone Giovanni, Targetti, Terracini.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Einaudi, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Vanoni.

GIOVEDÌ 7 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

41.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 7 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL DEPUTATO PERASSI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Fabbri – Calamandrei – Bozzi – Mortati, Relatore – Cappi – Laconi – Uberti.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE informa la Sottocommissione che il Presidente onorevole Terracini non potrà intervenire alla riunione odierna.

Pone il problema, lasciato precedentemente in sospeso, se sia opportuno stabilire nella Costituzione il principio che le elezioni devono farsi seguendo un metodo che potrà essere fissato in un secondo tempo, o se invece non sia preferibile rinviare la decisione di tale questione alla legge elettorale.

NOBILE è del parere che tale concetto debba inserirsi nella Costituzione.

FABBRI è invece favorevole al criterio di non includere nella Carta costituzionale la determinazione del sistema elettorale, sia in considerazione del fatto che il progetto che si sta elaborando è quello di una Costituzione rigida, sia perché personalmente non è favorevole al sistema proporzionale.

CALAMANDREI crede anch’egli che non siano da includere nella Carta costituzionale norme che determinino il sistema elettorale. Riterrebbe però opportuno che fosse preliminarmente deciso quale sia il sistema che si intende sia adottato per le elezioni, perché non si può scindere il problema costituzionale da quello del sistema elettorale: bisogna conoscere quale sarà questo sistema per poter affrontare i problemi costituzionali.

BOZZI crede che la questione debba essere impostata in modo diverso da quello accennato dall’onorevole Calamandrei; e che – tenendo presente il voto già espresso in precedenza di inserire nella Costituzione soltanto ciò che è essenziale – ci si debba porre la domanda se l’indicazione di un determinato sistema elettorale nella Carta costituzionale sia opportuna, o se invece, pur trattandosi di questione importante, ma meno intimamente collegata alla struttura della Costituzione, convenga non farne parola.

Fatti presenti gli inconvenienti che si avrebbero se si ponesse la Carta costituzionale in stretta dipendenza da sistema elettorale, dichiara di essere favorevole all’inclusione nello Statuto di norme tali che consentano che la rappresentanza possa essere eletta così con un sistema come con un altro. In una Costituzione rigida, come quella che si sta elaborando, pensa che si debbano fissare norme adattabili all’evolversi della situazione, in modo che, se l’esperienza dimostrerà che il sistema elettorale scelto non è il migliore, sia possibile al Parlamento legiferare in questa materia senza necessità di modificare il testo della Costituzione.

MORTATI, Relatore, rispondendo all’onorevole Calamandrei, fa presente la necessità di inserire nella Costituzione quei principî che condizionano il funzionamento di determinati organismi costituzionali; onde si tratta di vedere se e in quanto i principî elettorali influiscano sul funzionamento della Costituzione.

Le ragioni che, a suo parere, consiglierebbero di affermare il principio della rappresentanza proporzionale nella Costituzione sono le seguenti: anzitutto che questo è diverso dagli altri sistemi elettorali, appunto in quanto rappresenta, più che altro, un modo di organizzazione dello Stato; poi che la proporzionale costituisce un freno allo strapotere della maggioranza ed influisce anche, in senso positivo, sulla stabilità governativa; infine, che sussiste l’esigenza di coordinare le norme per l’elezione della prima e della seconda Camera, così da armonizzare le due rappresentanze.

CAPPI osserva che la finalità di assicurare alle Camere legislative una fisionomia di proporzionale rappresentanza delle forze politiche della Nazione non deve far dimenticare che essa può raggiungersi soprattutto con un determinato sistema elettorale, che è appunto quello dello scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale. Ma dubita della opportunità di inserire nella Costituzione una norma che renda obbligatorio fare le elezioni con detto sistema elettorale, e rinvierebbe invece questa determinazione alla legge elettorale.

Non nasconde poi la sua perplessità circa le osservazioni fatte dall’onorevole Calamandrei, anche perché questi non ha specificato i casi concreti di interdipendenza fra il sistema elettorale e i rapporti fra i poteri dello Stato.

MORTATI, Relatore, fa notare che se alle Camere legislative verrà affidato il compito della elezione del Capo dello Stato, anche questa nomina potrà essere influenzata dal sistema elettorale prescelto per la formazione delle due Camere.

CALAMANDREI precisa che, secondo il suo avviso, la determinazione del sistema elettorale è una premessa indispensabile per poter poi, con cognizione di causa, scegliere i congegni costituzionali. Questa premessa, secondo quanto ha detto l’onorevole Mortati, dovrebbe portare a concludere che il sistema elettorale prescelto debba essere indicato nella Costituzione. Su questo punto però dichiara di rimettersi alle decisioni che la Sottocommissione vorrà adottare.

Insiste, invece, sulla considerazione che vi sono taluni problemi costituzionali, i quali non si possono risolvere con aderenza alla realtà politica se non conoscendo a priori il sistema in base al quale verranno fatte le elezioni. Non si nasconde la necessità di andare cauti nella scelta del sistema elettorale, dal quale dipende, in massima parte, la creazione di un Governo che governi, cioè di un Governo stabile. Osserva in proposito che lo scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale, in quanto assicura una rappresentanza anche ai partiti più piccoli, non porta ad un Governo di maggioranza, ma ad un Governo di coalizione, il quale ultimo – come è noto – non dà garanzia di stabilità.

LACONI osserva che la Costituzione che si sta elaborando non potrà essere un documento eterno, ma un documento riferentesi al periodo storico che si sta attraversando. E poiché il sistema elettorale che meglio risponde alle esigenze storiche del momento è quello dello scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale, al quale si accompagna lo sviluppo della moderna democrazia italiana, ritiene non dubbio che nella Costituzione questo debba essere indicato come il normale sistema elettorale.

Considera le osservazioni dell’onorevole Calamandrei di natura più politica che giuridica, in quanto la formazione di un Governo di maggioranza o di coalizione dipende, assai più che dal sistema elettorale, dalla situazione politica contingente.

NOBILE ha avuto occasione in passato di occuparsi di problemi relativi ai varî sistemi elettorali e crede, perciò, utile esprimere la sua opinione intorno alla questione che ora si discute.

È evidente che, se si vuole che le assemblee da eleggere rispecchino numericamente la proporzione delle forze politiche agenti nel Paese, e soprattutto se si vuole che siano rappresentati tutti i partiti minori, si deve ricorrere al sistema proporzionale.

Non attenendosi a questo sistema, non solo si correrebbe il rischio di alterare profondamente ed arbitrariamente il rapporto numerico dei rappresentanti delle forze politiche, ma anche potrebbero venir esclusi dalla rappresentanza i piccoli partiti. Questo avverrebbe, ad esempio, qualora si adottasse il sistema maggioritario plurinominale, anche se, con l’intendimento di assicurare un posto alle minoranze, il sistema venisse temperato dal voto limitato ai 3/4 od ai 4/5 dei seggi da coprire.

Col sistema plurinominale, anche a voto limitato, i tre grandi partiti oggi esistenti in Italia conquisterebbero da soli quasi tutti i seggi, e i piccoli partiti, salvo qualche eccezione, rimarrebbero fuori delle assemblee, compreso il Partito repubblicano, le cui forze nel Paese, pur essendo notevoli, non sono sufficientemente concentrate.

Ha voluto farsi una idea concreta dei risultati che si sarebbero ottenuti nelle elezioni per la Costituente, qualora si fosse adottato il sistema maggioritario, votando solo i 4/5 dei deputati da eleggere, ed è giunto, con una indagine sommaria, alla conclusione che sarebbero stati eletti 144 socialcomunisti e 207 democristiani. Come si vede, la fisionomia politica dell’Assemblea Costituente, che invece conta 219 socialcomunisti e 207 democristiani, ne sarebbe stata profondamente alterata.

Il sistema maggioritario plurinominale, anche a voto limitato, va dunque scartato. Resta a vedersi se possa convenire adottare quello uninominale.

Certamente, il collegio uninominale rende possibile ad un gruppo, che è minoranza in un grande collegio, ma maggioranza in un collegio ristretto, di essere rappresentato; e perciò è meno sfavorevole del precedente ai partiti di minoranza. Tuttavia i partiti più piccoli, come quelli azionista e demolaburista, che, pur avendo nel complesso una certa forza numerica, hanno questa forza sparpagliata in tutta Italia e non concentrata in alcun posto, risulterebbero egualmente esclusi dalla rappresentanza. Lo stesso avverrebbe di altri piccoli gruppi politici, che oggi hanno nell’Assemblea Costituente uno o due rappresentanti. Del resto, è da notare che l’intensificarsi delle comunicazioni fra le singole parti del Paese porta, come naturale conseguenza, ad una distribuzione sempre più diffusa delle forze politiche, e quindi il sistema uninominale tende a concentrare sempre più tutta la rappresentanza politica nel partito numericamente prevalente nel Paese.

Oltre a ciò, devesi tener presente un altro argomento addotto contro il collegio uninominale, cioè che esso, con abili manipolazioni, può dar luogo ad una menomazione artificiosa della rappresentanza delle minoranze, ricorrendo, ad esempio, alla tecnica che in America fu chiamata dell’elettorato geometrico, consistente nell’assegnare ai collegi elettorali tali circoscrizioni, da assicurare dei seggi ad un dato partito con piccole maggioranze.

Che questa eventualità, anche da noi, non sia così remota come si potrebbe pensare, si desume dal grande numero di minuscole frazioni che vanno oggi erigendosi in comuni autonomi, pur non contando talvolta più di duecento o trecento abitanti, e distando dal comune dal quale vengono distaccate solo qualche centinaio di metri.

Ma, prescindendo da quest’ultima eventualità, il collegio uninominale, data l’attuale distribuzione in Italia delle forze dei partiti di massa, non altererebbe sensibilmente la proporzione delle loro rappresentanze, ma ridurrebbe di molto, o sopprimerebbe, la rappresentanza dei partiti minori. Il problema, quindi, concerne oggi soprattutto questi ultimi: sono essi che hanno il maggior interesse ad opporsi alla adozione del collegio uninominale.

I fautori di questo mettono avanti l’argomento che esso consente un contatto più stretto tra il candidato ed il corpo elettorale. Questo è vero, ed obbligherebbe, perciò i partiti a fare una scelta più accurata dei propri candidati nei singoli collegi. Ma, d’altra parte, a favore del sistema proporzionale, quale è stato adottato nelle elezioni della Costituente, sta il vantaggio che l’elettore, esercitando il diritto di preferenza, può scegliere tra le varie persone che ciascun partito presenta al suo suffragio.

Non può, dunque, esservi alcun dubbio che, per assicurare la rappresentanza di tutti i partiti minori, convenga adottare il sistema proporzionale. Resta a vedere quale particolare metodo di proporzionale sia da scegliere fra i trecento diversi metodi che fin’oggi sono stati proposti. Ma questa, evidentemente, è materia di competenza della legge elettorale. Tuttavia, può interessare alla Sottocommissione di conoscere che il particolare sistema, che fu adottato nelle elezioni per la Costituente, non portò ad una rappresentanza dei varî partiti esattamente proporzionale al totale dei voti da essi ottenuti; ragione per cui i partiti Socialista, Comunista, Repubblicano, Azionista ed Unionista perdettero complessivamente nove seggi a beneficio della Democrazia Cristiana e dell’Unione Democratica Nazionale. Questo risultato fu dovuto alla grande variabilità dei quozienti elettorali che si applicarono nelle varie circoscrizioni. Essi oscillarono tra un minimo di 30.700 per la Calabria ed un massimo di 46.200 per la Toscana, e portarono alla conseguenza che, laddove il quoziente fu più basso per la minore affluenza degli elettori alle urne, bastò un minor numero di elettori ad eleggere un deputato, giungendo così alla conclusione strana che, con lo stesso numero di voti validi, i corpi elettorali più pigri, quali quelli del Sud, finirono con l’eleggere un numero di deputati superiore a quello dei corpi elettorali più zelanti.

Egli ha indicato un modo assai semplice per rimediare a questo inconveniente, consistente nello stabilire un quoziente unico per tutte le circoscrizioni, quoziente da calcolarsi dall’ufficio centrale elettorale non appena gli fossero pervenuti dalle singole circoscrizioni i totali dei voti validi. Dividendo il totale generale di questi per il numero totale dei deputati da eleggere, si ha un quoziente nazionale, che, comunicato alle circoscrizioni, permetterebbe di stabilire gli eletti delle singole liste.

Con questo metodo avverrebbe esattamente il contrario di ciò che si è avuto con i quozienti circoscrizionali: verrebbero cioè premiati i corpi elettorali che affluiscono più numerosi alle urne, o che votano con più diligenza, facendo annullare un minor numero di voti: essi, infatti, riuscirebbero ad eleggere un maggior numero di deputati. D’altra parte, la rappresentanza dei varî partiti risulterebbe meglio corrispondente alle loro forze effettive, con vantaggio specialmente dei piccoli partiti, i quali non verrebbero, per così dire, defraudati, a benefìcio dei maggiori, di una parte notevole dei seggi loro spettanti.

PRESIDENTE, pur riconoscendo che la esposizione dell’onorevole Nobile è stata sommamente interessante, rileva che essa è entrata nel merito del problema – che sarà discusso in seguito – concernente la determinazione di un sistema di elezione, mentre invece ora si tratta di decidere, in via pregiudiziale, circa l’opportunità o meno di inserire nella Costituzione una norma che fissi il sistema elettorale, senza dire quale esso sia.

UBERTI, non solo per il criterio organicistico esposto dall’onorevole Mortati e non solo per le ragioni di una necessariamente diversa organizzazione degli organi dello Stato, a seconda che si accolga un sistema maggioritario o proporzionale, esposte dall’onorevole Calamandrei, ma anche per il valore intrinseco di superiore giustizia e per il progresso che rappresenta come espressione della volontà popolare il sistema proporzionale, ritiene che la scelta o meno di questo sistema elettorale abbia rilevanza costituzionale.

PRESIDENTE fa constatare che la Sottocommissione non è in numero legale e quindi non è possibile procedere ad una votazione.

Propone perciò che – dichiarata chiusa la discussione generale – si rinvii alla seduta di domani la decisione di questa importante questione.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 17.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Leone Giovanni, Terracini.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Einaudi, Farini, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Targetti, Tosato, Vanoni.

MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

40.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Mortati, Relatore – Lussu – Conti, Relatore – La Rocca – Fabbri – Cappi – Zuccarini – Rossi Paolo – Di Giovanni – Tosato – Calamandrei – Fuschini – Piccioni – Laconi – Bozzi – Perassi – Ambrosini.

La seduta comincia alle 16.40.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE apre la discussione sulla proroga dei poteri di una Camera già disciolta, fino al momento della convocazione della nuova Camera; proroga che avrebbe lo scopo di assicurare la continuità del potere legislativo.

NOBILE considera una contraddizione in termini il fatto che una Camera che sia stata sciolta, e quindi abbia cessato di esistere, continui a funzionare.

MORTATI, Relatore, ritiene che la prorogatio sia da raccomandare, perché nell’intervallo tra lo scioglimento di una Camera e l’insediamento della nuova può presentarsi la necessità di emanare provvedimenti di legge con carattere di urgenza ed eccezionalità. Ricorda che, appunto per tali considerazioni, è stata accolta dalla Costituzione austriaca e da quella di recente approvata in Francia, mentre un’altra soluzione potrebbe essere quella della istituzione di una Giunta permanente, preveduta dall’onorevole Conti nel suo progetto.

Suggerisce frattanto la seguente formula: «La Camera è eletta per cinque anni; tuttavia i suoi poteri sono prorogati dopo lo scioglimento fino all’insediamento della nuova Camera».

LUSSU non si nasconde che il problema si pone, ma ritiene che l’istituto della prorogatio, che non ha precedenti nella nostra storia parlamentare, non risponda alle esigenze ed allo spirito del Paese. D’altra parte, non può nemmeno consentire che il Senato si sostituisca alla Camera in questa funzione di integrazione legislativa, assumendo così una posizione di prevalenza ingiustificata.

CONTI, Relatore, aggiunge che non può ammettersi che deputati decaduti continuino ad avere delle funzioni, perché questo determinerebbe una disparità tra i candidati alle elezioni, ponendone alcuni in una situazione privilegiata, tale da poter influire in modo particolare sulle vicende elettorali.

Peraltro, se è contrario alla prorogatio, non disconosce la necessità di avere un organo che, nel periodo di vacanza del Parlamento, concorra col Governo, nell’eventualità che si imponga una legiferazione d’urgenza, e ne controlli l’operato. Ammesso, dunque, che non si voglia tornare all’idea di una Giunta permanente, pensa che si potrebbe almeno ricorrere ad una commissione composta dei più anziani della Camera, cioè di coloro che, essendo stati deputati per maggior numero di legislature, godono ormai della fiducia dei loro elettori ed hanno una tale autorità che non sarebbero avvantaggiati in modo particolare, come lo sarebbero elementi più giovani, da questa designazione.

LA ROCCA crede sia da respingere l’ipotesi di una proroga delle funzioni della Camera, anche prescindendo dalle considerazioni puramente elettoralistiche dell’onorevole Conti. Infatti, la Camera può sciogliersi per un provvedimento di carattere eccezionale – il che significherebbe che si ritiene che essa non rispecchi più l’opinione del Paese – ovvero per termine del mandato. In ambedue i casi essa non sarebbe più investita della fiducia popolare.

D’altro canto, nel termine di 60-70 giorni – quanti ne correrebbero tra lo scioglimento di una Camera e la convocazione della nuova – la necessità di avere un Parlamento funzionante potrebbe essere sentita solo di fronte ad avvenimenti di grandissima importanza interna o internazionale, e non è ammissibile il potere di decidere proprio su questioni di così grande rilievo in una Camera ormai spoglia di autorità. Né vanno dimenticate le conseguenze che potrebbero discendere da una decisione, che risultasse poi contrastante con l’indirizzo politico del nuovo organo legislativo.

Per queste ragioni crede che sia da escogitare una soluzione diversa, per il periodo di vacatio parlamentare, escludendo pure che possa essere concessa al potere esecutivo la facoltà di emanare provvedimenti aventi forza di legge, o che sia data una prevalenza alla seconda Camera, assommando in essa le funzioni legislative.

FABBRI obietta che l’autorità del mandatario verrebbe a mancare qualora il mandato politico cessasse per revoca da parte del mandante; ma non può dirsi che ciò avvenga in alcuno dei casi accennati, nei quali non si ha una manifestazione di mancanza di fiducia nei mandatari da parte degli elettori che hanno loro conferito il mandato. Il fatto che il mandato sia giunto al termine non ne implica necessariamente la revoca, mentre la proroga della gestione fino alla nomina dei nuovi mandatari è conforme ai principî generali e nel diritto privato è sanzionata da una norma positiva. Fa presente, d’altro canto, che nella vita politica ci si può trovare di fronte a complicazioni di carattere internazionale, a provvedimenti che preludono alla preparazione di una guerra, o addirittura alla dichiarazione di guerra; e l’organo esprimente la presumibile volontà del Paese, di fronte ad una tale contingenza, non potrebbe essere che quello formato dai depositari del mandato politico, tanto più che alcuni di questi depositari – cioè una metà della seconda Camera – sarebbero ancora investiti del mandato stesso.

Per queste ragioni si dichiara favorevole all’istituto della prorogatio, circondato da alcune cautele, rivolte a limitarlo ai casi di stretta necessità.

CAPPI dissente, ritenendo ripugnante al senso giuridico e logico che una Camera scaduta continui a funzionare; e per quanto riguarda la proroga del mandato nel diritto privato, richiamata per analogia dall’onorevole Fabbri, fa rilevare che questa è ammessa, ma solo per gli atti di ordinaria amministrazione.

Tanto meno trova accettabile la proposta dell’onorevole Conti, in quanto considera arbitrario creare, col criterio dell’anzianità o con altri criteri empirici, un organo ristretto che eserciti i poteri della Camera.

Una soluzione del problema potrebbe essere quella di obbligare il Governo a sottoporre gli eventuali provvedimenti legislativi, non di ordinaria amministrazione, che avesse preso nell’intervallo fra la vecchia e la nuova legislatura, alla immediata ratifica da parte del nuovo Parlamento.

ZUCCARINI ricorda che in Italia, nel lungo periodo di regime parlamentare, non si è mai sentita la necessità di una decretazione d’urgenza nella vacanza del Parlamento. Il solo caso in cui una ripresa di attività della vecchia Camera potrebbe occorrere sarebbe quello di una sospensione delle elezioni per un arbitrio del potere esecutivo o per altra circostanza eccezionale; ma crede che sia preferibile non contemplare un caso simile nella Costituzione.

ROSSI PAOLO osserva che il problema è strettamente connesso con l’altro, se sia concepibile uno scioglimento anticipato della Camera, in caso di conflitto con il Governo. Esclusa questa ipotesi, la questione non avrebbe più una reale importanza.

Quanto alla costituzione di una Giunta permanente, che non sarebbe se non la rappresentanza politica ridotta a proporzioni minori, rileva che il Governo è già una espressione della maggioranza della Camera, come sarebbe la Giunta.

Né va dimenticato che è desiderabile che nell’intervallo tra una legislatura e l’altra non si emanino leggi, salvo esigenze improrogabili, laddove la creazione di un organo legislativo potrebbe costituire incentivo ad una legiferazione non strettamente indilazionabile.

Si dichiara pertanto contrario, sia alla proroga dei poteri di un organo scaduto, sia alla creazione di un nuovo organo.

DI GIOVANNI è invece dell’avviso che non si possa fare a meno di provvedere, o attraverso la prorogatio, o accogliendo la proposta dell’onorevole Conti, al problema in questione, perché ritiene che debba senz’altro escludersi la vacanza del potere legislativo, soprattutto in quanto si è in ogni caso negata al Governo la facoltà di emettere provvedimenti aventi valore di legge.

PRESIDENTE conviene con l’onorevole Di Giovanni che, posto così, il problema esige una soluzione. Ammessa la impossibilità per il Governo di emettere provvedimenti legislativi, non può lasciarsi per un periodo piuttosto lungo questo vacuum nella vita del Paese, quando la pratica dimostra che è sentita, non solo in circostanze eccezionali, ma in maniera continuativa, la necessità di misure, anche modeste, che abbiano forma specifica di leggi.

Tuttavia, ove si parta da questa premessa, la questione diviene ancora più grave, perché la proroga dei poteri dell’Assemblea disciolta non sarebbe più limitata ai soli eventi eccezionali, ma abbraccerebbe anche la normale attività legislativa. Ora, poiché questo può sembrare illogico, e ancor più lo sarebbe il conservare ed assommare in un ristretto numero di deputati quel potere che agli altri viene a mancare, prospetta una soluzione di altro genere: stabilire, cioè, una eccezione alla misura deliberata e concedere al Governo, di fronte ad esigenze improrogabili, la facoltà di emanare provvedimenti con forza legislativa durante la vacanza del Parlamento.

Naturalmente i provvedimenti, adottati con carattere d’urgenza durante questo periodo, dovrebbero poi essere sottoposti alla nuova Camera, appena convocata.

TOSATO trova pericolosa la proposta del Presidente. Infatti, una volta negata al Governo in linea di principio, durante il corso della legislatura, la decretazione d’urgenza, ove si facesse una eccezione per il periodo di intervallo tra lo scioglimento di una Camera e la convocazione della nuova, potrebbe avvenire che il Governo stesso concentrasse gran parte dell’esercizio della potestà legislativa proprio in questo periodo. Né può costituire una utile garanzia la limitazione ai casi di urgenza, data la difficoltà di individuarli con esattezza.

Non è favorevole alla proposta, anche per il fatto che il problema non è circoscritto all’esercizio del potere legislativo, ma investe anche l’azione di controllo delle Camere sull’operato del Governo, che è bene sia possibile in ogni momento. Se tale aspetto politico ha un’importanza relativa nel caso di scioglimento della Camera per termine del mandato, ne assume una particolare nel caso, ad esempio, di scioglimento anticipato per impossibilità di costituire un Governo di maggioranza, che è l’ipotesi più importante da prendere in considerazione quando si tratterà di ammettere o meno un potere di scioglimento delle Camere da parte del Capo dello Stato.

D’altro canto, quando si consente al Governo, che è espressione delle Camere, di restare in vita, non vede perché non lo si potrebbe consentire anche alle Camere stesse.

Si dichiara pertanto favorevole all’accoglimento della proposta Mortati, considerando di carattere teorico più che pratico le obiezioni fin qui mosse.

NOBILE, premesso che le considerazioni dell’onorevole Tosato lo hanno convinto della opportunità di assicurare la continuità del potere legislativo, osserva che la contraddizione in termini, di cui ha fatto cenno, sarebbe formalmente eliminata qualora non si parlasse più di Camera sciolta, ma di periodo in cui vengono indette le elezioni.

CAPPI fa presente che si potrebbe eliminare l’ipotesi di una vacanza del Parlamento per termine di mandato, stabilendo che le elezioni debbono essere indette tre mesi prima della fine della legislatura.

PRESIDENTE invita a tenere sempre presente l’aspetto politico della questione, facendo rilevare all’onorevole Nobile che un cambiamento di forma non supera una contraddizione logica e all’onorevole Cappi che la sua proposta, per quanto ingegnosa, non considera la seconda eventualità (scioglimento anticipato), che è quella che maggiormente fa sentire la necessità di un congegno adeguato.

CAPPI precisa che, mentre appare illogico mantenere in vita una Camera morta di morte naturale, può ammettersi che, giusta la proposta dell’onorevole Mortati, continui a funzionare fino alla convocazione della nuova Camera un’Assemblea sciolta anticipatamente.

CALAMANDREI è favorevole alla proposta Mortati, soprattutto in quanto può accadere che, nell’intervallo dei 60-70 giorni, avvenga un evento tale – caso tipico è la dichiarazione di guerra – che renda impossibili le nuove elezioni.

Per evitare che il potere esecutivo sia costretto a governare il Paese senza il sostegno di un’Assemblea legislativa, occorre consentirgli di riconvocare quella già disciolta o riconoscere alla Camera stessa quel potere di autoconvocazione che ha già durante la legislatura.

PRESIDENTE riepilogando, precisa che sono state prospettate quattro diverse soluzioni: 1°) prorogare i poteri della Camera sciolta fino all’insediamento della nuova (onorevole Mortati); 2°) ricorrere alla formazione di una Giunta permanente o di una Commissione composta con criteri particolari (onorevole Conti); 3°) ammettere la prorogatio soltanto per casi eccezionali ben specificati (onorevole Fabbri); 4°) concedere al Governo la facoltà di emettere provvedimenti con forza di legge nei casi di urgenza durante la vacanza del Parlamento (onorevole Terracini).

FABBRI e FUSCHINI osservano che la proposta Mortati non prevede il caso di scioglimento anticipato delle Camere.

CONTI, Relatore, riafferma di essere contrario alla proposta Mortati, per le preoccupazioni di indole elettorale cui ha già accennato.

ROSSI PAOLO è disposto a votare in favore della prorogatio, mentre non accetterebbe la creazione di una Giunta permanente.

PICCIONI dichiara di non poter aderire alla proposta Mortati per le stesse ragioni dell’onorevole Conti e per altre di natura politica. Mentre ritiene che questa proroga artificiale dei poteri già scaduti, nel momento del trapasso tra la vecchia e la nuova legislatura, non possa avere un apprezzabile significato politico, non vede niente di male nel fatto che – giusta la proposta del Presidente – il potere legislativo venga delegato, in questo breve periodo e per i casi di urgenza, al Governo, che è espressione delle Camere, con l’impegno di sottoporre i provvedimenti adottati alla ratifica della nuova Camera, non appena convocata. Lo stesso vale naturalmente anche per il caso di scioglimento anticipato.

FABBRI, rilevato che le obiezioni sollevate contro l’istituto della prorogatio prescindono dalle esigenze supreme e di carattere nazionale che possono consigliarla, propone di completare la proposta Mortati con l’esemplificazione dei casi (terremoto, guerra, ecc.) che possono rendere assolutamente indispensabile il funzionamento di un organo avente carattere nazionale a fianco del Governo. Una formula di tal genere potrebbe far avvertire di meno gli inconvenienti lamentati e raccogliere maggiori consensi.

LACONI non ha alcuna contrarietà per la prorogatio, anzitutto perché non può escludersi l’insorgere di circostanze che richiedano una legiferazione di urgenza, per le quali è necessario predisporre i mezzi per provvedervi; in secondo luogo, per porre la prima Camera sullo stesso livello della seconda per quel che riguarda la continuità delle funzioni. A ciò aggiunge che, oltre al fatto che si è esclusa in ogni caso la delega del potere legislativo al Governo, va considerato che i poteri di quest’ultimo derivano dalle Camere; e se si ammette che il Governo, che è emanazione delle Camere, possa continuare a funzionare, non vede perché non dovrebbero poterlo anche le Camere, che sono gli organi da cui il Governo deriva.

CONTI, Relatore, aderisce all’idea dell’onorevole Piccioni e del Presidente di consentire al Governo una attività legislativa straordinaria durante la vacanza del Parlamento, con l’impegno di presentare immediatamente alla nuova Camera per la ratifica i provvedimenti presi d’urgenza.

FUSCHINI ricorda che nella storia del nostro Parlamento non si sono verificati casi che abbiano fatto sentire la necessità della prorogatio, e il Governo ha legiferato solo in via eccezionalissima durante l’intervallo tra due legislature.

Peraltro pensa che, per quanto si possa essere contrari ad una delega del potere legislativo al Governo, bisogna riconoscere che ci possono essere dei casi nei quali esso abbia bisogno, nell’interesse pubblico, di emanare provvedimenti di urgenza. Sotto questo aspetto anche la legge n. 100, del 1926, rispondeva ad una esigenza ed era costituzionalmente apprezzabile. Conclude quindi rilevando che, ove nella Costituzione la norma già approvata che nega al Governo la decretazione di urgenza subisse il temperamento proposto dal Presidente, non avrebbe più alcuna ragione d’essere l’istituto della prorogatio.

CAPPI dà lettura della seguente formula che propone a completamento di quella dell’onorevole Mortati:

«In caso di scioglimento anticipato o per scadenza del termine, la Camera resterà in funzione fino alla convocazione della nuova Camera limitatamente alla dichiarazione di guerra, alla mobilitazione delle forze armate e alla dichiarazione di stato d’assedio. Nella ipotesi che le elezioni non abbiano luogo nel termine di legge, la vecchia Camera conserverà la pienezza del suo potere».

FABBRI propone la seguente formula:

«La Camera dei Deputati è eletta per 5 anni; tuttavia, ed anche nel caso di scioglimento anticipato, i suoi poteri sono prorogati fino alla riunione della nuova Camera limitatamente ai casi di pericolo di guerra ed alle esigenze nazionali improvvise di carattere assolutamente straordinario».

BOZZI domanda chi potrebbe riconvocare la Camera se gli eventi straordinari si verificassero quando lo scioglimento fosse già in atto.

FABBRI risponde che potrebbero farlo il Governo e gli stessi organi della Camera che possono normalmente provvedere alla convocazione.

BOZZI propone la seguente formula:

«Se per evento di guerra od altro straordinario non sia possibile procedere alle elezioni della nuova Camera, il Capo dello Stato riconvoca la Camera precedente per le deliberazioni relative all’evento straordinario».

PERASSI suggerisce d’incaricare un piccolo Comitato di trovare una formula che soddisfi alle esigenze manifestate.

PRESIDENTE fa osservare che, comunque, al Comitato si dovrebbero dare delle direttive, e quindi si impone la necessità di addivenire ad una votazione, se non altro per decidere della accettazione o meno di alcuni principî. Mette quindi ai voti la proposta di ammettere una proroga dei poteri della Camera nei casi eccezionali che verranno in seguito determinati.

(È approvata).

DI GIOVANNI, per quanto riguarda i casi eccezionali a cui dovrebbe essere limitato tale potere, consiglia di non farne una esemplificazione, che potrebbe essere pregiudizievole, ma di ricorrere ad una affermazione generica.

BOZZI ritiene preferibile indicarne almeno uno, come ha fatto nella sua proposta, che serva a far intendere la straordinarietà e gravità degli eventi che possono giustificare il ricorso all’istituto.

PRESIDENTE conviene con l’onorevole Bozzi sulla opportunità di indicare un caso che serva di misura della supposta gravità degli altri. Per quanto possa spiacere parlarne nella Costituzione, crede che il caso tipico da prendere come riferimento sia il pericolo di una guerra. Pone quindi ai voti la seguente formula: «in caso di pericolo di guerra o di altri eventi straordinari».

(È approvata).

LUSSU ritiene necessaria una precisazione degli organi che possono procedere alla riconvocazione della Camera disciolta.

PRESIDENTE, richiamandosi a quanto è stato già in precedenza approvato in merito alla convocazione della Camera, precisa che la riconvocazione potrebbe avvenire su richiesta degli stessi organi che hanno il potere di chiederne la convocazione nel corso della legislatura.

FABBRI crede utile un esplicito richiamo dell’articolo che ne disciplina la convocazione.

PRESIDENTE mette ai voti la seguente formula definitiva:

«Nel caso di pericolo di guerra o per altri eventi straordinari e fino alla convocazione della nuova Camera, la Camera disciolta può essere riconvocata secondo le modalità indicate dall’articolo …».

(È approvata).

MORTATI, Relatore, prospetta l’opportunità di disciplinare anche il caso di proroga della legislatura per eventi eccezionali, facendo presente che, data la natura rigida della Costituzione, qualora essa mantenesse il silenzio sull’argomento diverrebbe impossibile provvedervi con legge comune.

PERASSI concorda.

PRESIDENTE esprime l’avviso che, agli effetti della proroga della legislatura, l’unico caso da ipotizzare sia quello del pericolo di una guerra e che la norma possa trovare la sua naturale ubicazione in quello stesso articolo in cui si disciplina la durata della legislatura.

MORTATI, Relatore, anche a nome dell’onorevole Fuschini, fa presente che vi possono essere anche altri eventi straordinari (come epidemie, terremoti, ecc.) che dovrebbero essere preveduti con una dizione più generica.

CONTI, Relatore, oppone la difficoltà di un Giudizio sulla eccezionalità dell’evento.

BOZZI suggerisce di riunire in un unico articolo le norme per la proroga dei poteri della Camere e per la proroga della legislatura.

FABBRI propone di usare l’espressione: «nel caso di mobilitazione generale», in quanto essa implica la decimazione del corpo elettorale prima ancora della guerra.

PRESIDENTE obietta che il caso di mobilitazione generale è un aspetto del pericolo di guerra, e una dizione come quella suggerita potrebbe dare al Governo la possibilità di manovre di politica interna. Pone quindi ai voti la seguente formula:

«La legislatura può essere prorogata con legge solo in caso di pericolo di guerra».

(È approvata).

Invita la Sottocommissione ad esaminare un nuovo argomento: come procedere per la rinnovazione della metà della seconda Camera, decaduta dopo 3 anni. A suo avviso il procedimento da escogitarsi è di una tale complicazione da far ritenere consigliabile non farne materia di Costituzione, ma rinviarlo alla legge elettorale.

EUSCHINI e PICCIONI sono dello stesso parere.

NOBILE sostiene che la questione debba essere risolta perché, qualora si decidesse di procedere al sorteggio, si ammetterebbe implicitamente il ricorso al collegio uninominale, per la difficoltà di applicazione del criterio proporzionale. D’altra parte, gli inconvenienti possono essere maggiori o minori a seconda che si concepisca la metà come un’entità approssimativa o come un dato rigidamente aritmetico.

PICCIONI pensa che dovrebbe essere rinnovata la metà dei rappresentanti di ogni singola regione e ricorda che l’onorevole Einaudi ha accennato ad un espediente che potrebbe essere preso in esame; considerare, cioè, decaduti per ogni collegio regionale coloro che nelle elezioni hanno riportato il minor numero di voti preferenziali.

PRESIDENTE rileva che molte difficoltà sarebbero superate, se si stabilisse che la rinnovazione della metà dei membri avviene regione per regione.

NOBILE obietta che anche in questo caso le difficoltà di pratica attuazione sarebbero enormi. Infatti, nelle elezioni col sistema proporzionale, si hanno delle liste di partito e bisognerebbe per ogni regione escludere la metà degli eletti di ogni singolo gruppo politico, il che porterebbe addirittura ad un frazionamento dell’individuo.

PERASSI spiega che nei Paesi in cui esiste questo sistema di rinnovazione parziale si ricorre alla riunione di gruppi di stati o dipartimenti. Lo stesso criterio potrebbe seguirsi in Italia con le regioni.

PRESIDENTE avverte che, qualora la Sottocommissione venisse nella decisione di risolvere la questione in sede costituzionale, occorrerebbe incaricare un gruppo di colleghi particolarmente competenti di approfondirne l’esame e di elaborare uno schema di progetto. Ma, a suo parere, l’argomento ha un carattere non tanto politico, quanto tecnico; e sarebbe quindi più opportuno limitarsi in questa sede a determinare il principio (proporzionale o maggioritario) che dovrà applicarsi, rinviando per il resto alla Commissione che redigerà il progetto di legge elettorale per la seconda Camera, la quale avrà così una direttiva da cui non potrà dipartirsi.

MORTATI, Relatore, aggiunge che qualora nel momento attuale si scendesse alla precisazione del modo di rinnovazione della metà della seconda Camera, si vincolerebbe il legislatore successivo a questa deliberazione, ponendolo forse nella condizione di non poter rispettare la proporzionale.

PRESIDENTE fa presente che le preoccupazioni che i colleghi avvertono sono comuni alla maggior parte dei membri della Costituente. Non si può pertanto temere che coloro che saranno chiamati a far parte della Commissione per la legge elettorale non faranno del loro meglio per ovviare agli inconvenienti segnalati.

AMBROSINI conviene sull’opportunità del rinvio alla legge elettorale, soggiungendo che il sistema suggerito dall’onorevole Perassi di raggruppamenti di regioni è il più conveniente e quello che, senza alterare la composizione politica della seconda Camera, garantisce una rappresentanza approssimativamente ben distribuita dei vari interessi regionali.

PRESIDENTE pone ai voti il rinvio della materia alla legge elettorale.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, segnala l’opportunità di ritornare su di una decisione presa troppo affrettatamente. Infatti, in seguito ad un più attento esame, in sede di stesura degli articoli, è apparsa troppo modesta la percentuale minima di un sesto dei deputati per provocare la convocazione della Camera.

PRESIDENTE fa presente che della osservazione si potrà tener conto quando si tratterà di approvare gli articoli nella loro forma definitiva. Propone quindi di passare ad un alto argomento: la determinazione dell’intervallo di tempo necessario per la ripresentazione di una proposta di legge non approvata.

MORTATI, Relatore, premesso che lo Statuto del 1848 escludeva la possibilità di riprodurre nella stessa sessione un progetto di legge rigettato, e che la Sottocommissione ha deciso l’abolizione dell’istituto della sessione, propone la seguente formula:

«Le proposte di legge rigettate da una delle due Camere non possono essere ripresentate prima che sia trascorso un anno dalla data del rigetto».

CONTI, Relatore, preferisce concedere un termine più breve, ad esempio 6 mesi.

BOZZI nota che il proponente può sempre eludere la norma, ripresentando il progetto con lievi varianti.

ROSSI PAOLO aggiunge che d’altra parte in qualche caso (come quello di un errore commesso) potrebbero divenire eccessivi anche i sei mesi. Consiglia pertanto di non introdurre alcuna disposizione del genere nella Costituzione.

PRESIDENTE richiama l’attenzione sul fatto che un progetto di legge d’iniziativa parlamentare, che sia espressione soltanto del desiderio di un piccolo gruppo di deputati, potrebbe essere ripresentato più volte a scopo ostruzionistico.

CAPPI propone di stabilire in linea di massima l’intervallo di un anno, a meno che una maggioranza qualificata non consenta la ripresentazione del progetto in un termine più breve.

LACONI trova che è preferibile il silenzio, sia perché la questione è di poco momento, sia per il fatto, di cui tutti si rendono conto, che, mediante una piccolissima modifica, puramente formale, il progetto potrebbe essere ripresentato.

LUSSU si associa.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di non inserire nella Costituzione alcuna norma sulla ripresentazione dei progetti di legge rigettati.

(È approvata).

LACONI ricorda che non si è ancora risolta la questione dell’ordine di presentazione delle proposte di legge, se, cioè, debbano essere presentate ad una Camera prima che all’altra o indifferentemente ad una qualsiasi delle due. A suo avviso, dal criterio, già approvato, che la seconda Camera ha una funzione di integrazione e di perfezionamento dell’opera legislativa, dovrebbe naturalmente discendere la priorità nell’esame dei progetti da parte della prima Camera, il che, a suo avviso, non comporta una menomazione dei poteri della seconda, ma potrà avere i suoi riflessi sulla questione della composizione dei conflitti tra i due rami del Parlamento, di cui ancora si deve discutere.

Propone quindi la seguente formula:

«I progetti di legge saranno presentati in prima istanza alla Camera dei Deputati».

CAPPI non trova esatta l’affermazione che la seconda Camera sia stata creata unicamente allo scopo di integrare e perfezionare le leggi. D’altro canto, ritiene che il fatto che essa abbia una fonte elettorale diversa da quella della prima Camera ed un suo carattere speciale di rappresentanza di determinate forze del Paese, sia già di per sé argomento sufficiente per escludere la priorità proposta.

FABBRI esprime l’avviso che, anche se al riguardo non si è avuto un voto esplicito, la proposta Laconi possa ritenersi superata da due decisioni già adottate: quella in merito alla eguaglianza dei poteri delle due Camere e quella per la quale, su un progetto approvato da una Camera e trasmesso all’altra, questa deve pronunciarsi entro quattro mesi dal ricevimento.

Aggiunge che in una precedente discussione di carattere generale si è negata l’opportunità di ammettere una costante anteriorità dell’esame della prima Camera anche nei confronti dei bilanci, sia per il fatto che la seconda Camera si sarebbe trovata nella condizione di dover restringere il suo esame in un tempo eccessivamente limitato, sia perché, distribuendo contemporaneamente i bilanci fra i due rami del Parlamento, si otterrebbe un lavoro più proficuo e sollecito. Né va dimenticato che in taluni casi può essere utilissimo che la seconda Camera si occupi prima dell’altra di una legge che riguardi materie su cui essa è particolarmente competente.

CONTI, Relatore, mette in evidenza che alla seconda Camera si è data una speciale configurazione in vista del sistema regionale che si pensa di adottare, onde essa dovrà spesso occuparsi di bisogni di carattere regionale e di problemi su cui è più qualificata a decidere della prima Camera. Anche per questa ragione ritiene sia da respingere la proposta Laconi.

PRESIDENTE pone ai voti la formula Laconi.

(Non è approvata).

La seduta termina alle 19.50.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Leone Giovanni, Targetti.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Einaudi, Greco, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Vanoni.