Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

1.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Patere giudiziarie (Discussione)

Presidente – Calamandrei, Relatore – Leone, Relatore – Bozzi – Targetti.

La seduta comincia alle 9.15.

CONTI invita la Sezione ad eleggere un Presidente e un Segretario.

(Vengono eletti: l’onorevole Conti quale Presidente e l’onorevole Ambrosini quale Segretario).

Discussione sul potere giudiziario.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Patricolo, Relatore con gli onorevoli Calamandrei e Leone sull’oggetto all’ordine del giorno, ha delegato l’onorevole Castiglia a riferire per lui, essendo egli impossibilitato ad intervenire alla seduta.

CALAMANDREI, Relatore, premesso che le tre relazioni si riferiscono ai due argomenti del potere giudiziario e della Suprema Corte costituzionale, ritiene opportuno riferire prima sul potere giudiziario.

Avverte innanzi tutto che in questa materia una Commissione di magistrati della Cassazione, nominata dal Ministro della giustizia, ha elaborato un progetto che sarà utile tenere presente nel corso della discussione.

Dichiara che nella sua relazione ha preferito formulare senz’altro una serie di articoli, allo scopo di facilitare la discussione. Negli articoli proposti vi sono tuttavia alcuni punti dubbi, per i quali si prospettano varie soluzioni che i colleghi dovranno prendere in esame. Inoltre taluni articoli potranno forse trovare più opportuna collocazione nella parte riguardante i diritti dei cittadini ed altri potranno essere meglio formulati od anche soppressi. Tuttavia, dato che nella Costituzione devono essere fissati i principî fondamentali della legge sull’ordinamento giudiziario, ha ritenuto necessario, per una più esatta comprensione di quella che dovrà essere la struttura dell’ordinamento stesso, abbondare in norme concrete, pur riconoscendo che molte di esse di fatto non potranno essere accolte nella Costituzione.

Ciò premesso, fa presente che i 26 articoli da lui formulati possono ripartirsi in tre gruppi. Nel primo (articoli 1 all’11) sono comprese le norme sui principî generali e sulla natura giuridica e politica del potere giudiziario e sui rapporti fra esso e gli altri poteri, nonché quelle sui diritti dei cittadini nei confronti del potere stesso. Gli articoli riproducono in sostanza, forse con una formulazione più precisa, taluni principî già compresi nello Statuto Albertino, e non dovrebbero di conseguenza dar luogo a gravi dissensi. Richiama tuttavia l’attenzione dei colleghi sugli articoli 1 e 2 che, nel definire il principio fondamentale della statualità della giurisdizione, contengono un accenno al potere di controllo che potrà riconoscersi al magistrato in materia di costituzionalità della legge che egli deve interpretare ed applicare.

Fa inoltre notare che l’articolo 9, riguardante la irretroattività della legge penale e l’abolizione della pena di morte, dovrà probabilmente trovar posto in altra parte della Costituzione, e cioè in quella riguardante i diritti dei cittadini. Gli articoli 10 e 11 contengono invece due disposizioni nuove per il nostro diritto: il risarcimento alle vittime degli errori giudiziari o per delitti commessi da funzionari dell’ordine giudiziario e l’abolizione di ogni restrizione, motivata da ragioni fiscali, nei riguardi della produzione in giudizio di documenti e scritture a scopo probatorio.

Rileva inoltre che dissensi potranno sorgere sul capoverso dell’articolo 4, concernente la conservazione degli istituti di grazia, amnistia e indulto e sulla questione dell’organo a cui i relativi poteri dovranno essere affidati. Altre disposizioni di particolare importanza sono quelle contenute nell’articolo 2 (capoverso) e nell’articolo 8, che si riconnettono al delicatissimo problema del raccordo fra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato. Il secondo gruppo di articoli (dal 12 al 15) affronta e risolve il fondamentale problema della unicità della giurisdizione. Per quanto spetti alla legge sull’ordinamento giudiziario di stabilire quali e quanti debbano essere gli organi giudiziari e come costituiti, è tuttavia necessario che nella Costituzione siano fissati i principî fondamentali. L’articolo 5, facente parte del primo gruppo di articoli esaminati, contiene il divieto di creare tribunali straordinari per giudicare su fatti già avvenuti: il primo comma dell’articolo 12 elimina le giurisdizioni speciali, le quali non sono giudici straordinari, ma giudici che, costituiti per una serie di giudizi che si prevedono come possibili nel futuro, sono tuttavia diversi dai giudici ordinari. Solo questi ultimi dovranno essere mantenuti.

Nel secondo comma dello stesso articolo 12 si sancisce l’unicità della Cassazione, questione di particolare importanza in quanto la pluralità delle Cassazioni è un mostruoso controsenso. Ricorda in proposito che la Cassazione, come è sorta in Francia e come funziona in tutti gli Stati che l’hanno adottata, è un organo istituito per mantenere l’unità dell’interpretazione giurisprudenziale, e cioè del diritto. Rappresenta quindi un grande progresso la legge del 1924 che abolì le Cassazioni regionali e le unificò. L’unità della Cassazione, posta al vertice dello Stato, deve essere soprattutto mantenuta in un ordinamento costituzionale basato sulla autonomia regionale, come sarà quello italiano, perché sarà essa che, dando un’interpretazione uniforme a quella legge comune che è il codice di tutto lo Stato, permetterà di contenere in un’unica forma giuridica le varie tendenze al decentramento giurisprudenziale, che potrebbero essere perniciose per l’unità del diritto.

Rilevando che l’articolo 13 tratta del divieto di istituire organi speciali di giurisdizione e dell’abolizione di quelli preesistenti, ritiene che tutti siano d’accordo sul divieto di istituire nell’avvenire nuove giurisdizioni speciali. Tuttavia la difficoltà consiste, nella pratica, nel sopprimere soprattutto quelle che sono sorte nel passato e che hanno acquistato, per il loro egregio funzionamento, benemerenze di carattere storico, onde non ci si può sottrarre ad una certa esitazione nell’invocarne l’abolizione.

Ricorda in proposito che le giurisdizioni speciali sorsero per ragioni di carattere sociale e giuridico, delle quali si dovrebbe tener conto ove se ne decidesse l’abolizione. Una delle ragioni fondamentali fu la necessità di sottrarre determinate categorie di giudizi a procedure troppo lunghe e formalistiche. A questa prima difficoltà si potrebbe ovviare stabilendo per tutti i processi norme procedurali più rapide. Altra esigenza sorse dal fatto che in certe cause apparve necessario il concorso, agli effetti della decisione, di elementi aventi speciale competenza tecnica in determinate materie. Tale esigenza potrebbe essere soddisfatta con il sistema, già adottato in alcuni casi, della creazione di sezioni specializzate degli organi ordinari, nelle quali, sotto la presidenza e a fianco dei magistrati, intervenisse anche un certo numero di esperti.

Ammessa quindi la possibilità di abolire le giurisdizioni speciali, resta da vedere se, tra quelle attualmente esistenti, ve ne siano alcune che debbano o meno essere mantenute. Pur avendo nella relazione posto dei punti interrogativi circa alcune eccezioni al divieto (Corte dei conti, Contenzioso tributario, Tribunali militari), egli è per la soluzione più rigorosa, e cioè per l’abolizione generale di tulle le giurisdizioni speciali. Dichiara, ad ogni modo, di essere favorevole alla soppressione delle sezioni giurisdizionali speciali del Consiglio di Stato, pur riconoscendo che quest’organo ha dato, anche nel periodo fascista, innegabili prove di fermezza, di indipendenza e di attaccamento agli elevati e delicati suoi compiti.

A suo avviso il Consiglio di Stato dovrebbe rimanere soltanto quale organo consultivo. I consiglieri di Stato diverrebbero consiglieri di cassazione ed anche nelle Corti d’appello potrebbero, per le cause tra cittadini e pubblica amministrazione, crearsi delle sezioni specializzate, i cui membri sarebbero scelti tra i consiglieri di Stato delle sezioni consultive, da trasferire nell’ordine giudiziario. A tali concetti si ispira l’articolo 20 del progetto da lui presentato.

Per quel che riguarda la Corte dei conti essa dovrebbe, a suo avviso, sussistere soltanto come organo di controllo contabile. Si dovrebbero inoltre coordinare le Commissioni delle controversie in materia tributaria con gli organi giudiziari ordinari.

Così i Tribunali militari potrebbero esser soppressi o almeno se ne potrebbe limitare il funzionamento al solo periodo di guerra.

Dichiara di essere fautore di misure così assolute, in quanto gli inconvenienti che oggi si verificano per la distinzione tra giurisdizione su diritti e giurisdizione su interessi, tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità, e di conseguenza la difficoltà di trovare un giudice per ogni categoria di cause, dimostrano come sia giunto il momento di riunire i due aspetti della stessa funzione giurisdizionale e di affidarli ad un magistrato unico, che altro non può essere se non il giudice ordinario.

Passando agli articoli 14 e 15 osserva che essi regolano i rapporti fra il potere giudiziario e quello amministrativo. La materia era fino ad ora disciplinata dalla legge del 1865, che abolì i Tribunali del Contenzioso amministrativo, stabilendo che, in tutti i casi di dissidio tra cittadini e pubbliche amministrazioni per questioni di diritto soggettivo, dovevano essere giudici i Tribunali ordinari; e ciò rappresentò invero una tappa fondamentale nella vita costituzionale italiana. Ma, oltre a tali conflitti, potevano sorgere, fra privali e pubbliche amministrazioni, anche questioni di legittimità, per le quali furono appunto create le giurisdizioni speciali del Consiglio di Stato, che da organo affiancato alle pubbliche amministrazioni, a poco a poco si trasformò in un varo giudice indipendente. Egli è personalmente d’avviso di far rientrare questa materia nella competenza del giudice ordinario.

Ricorda inoltre che nei rapporti tra pubblica amministrazione e giurisdizione si presentano molte questioni da prendere in esame: così quelle relative al potere del giudice di modificare od annullare gli atti amministrativi e le restrizioni di carattere amministrativo opposte in certi casi al diritto del cittadino di adire le vie giudiziarie (come il principio del solve et repete in materia tributaria, di cui propone l’abolizione, ed i casi frequentemente verificatisi in periodo fascista del divieto di impugnabilità, in via amministrativa ed in via giurisdizionale, di provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione).

BOZZI rileva che tale sistema non è caduto neppure oggi in disuso, e cita ad esempio il caso della legge sull’assegnazione delle terre incolte.

CALAMANDREI, Relatore, circa il terzo gruppo di articoli (dal 16 al 26), rileva che in essi è affrontato il fondamentale problema dell’autogoverno della magistratura. A suo avviso, per attuare una vera indipendenza funzionale del giudice non basta l’articolo 2 del suo progetto, in cui e affermato che «i giudici, nell’esercizio delle loro funzioni, dipendono soltanto dalla legge che essi applicano secondo la loro coscienza». L’articolo 16 determina, nelle linee generali, i limiti della sostanziale riforma, laddove l’articolo 17 precisa quali sono gli organi amministrativi della magistratura, soggiungendo (nel seconda comma) che «il Consiglio superiore della magistratura è coadiuvato nell’esercizio delle sue funzioni da apposito personale amministrativo compreso in un ruolo speciale, del quale non possono essere chiamati a far parte né i magistrati né gli altri funzionari appartenenti all’ordine giudiziario». Questa ultima disposizione è diretta ad eliminare il cosiddetto e tanto deplorato «imboscamento dei magistrati» negli uffici del Ministero.

L’autogoverno della magistratura si esplica – secondo l’articolo 16 – nel potere attribuito ad essa di compiere tutti gli atti amministrativi che attengono allo stato giuridico degli appartenenti all’ordine giudiziario, nell’esercizio della giurisdizione disciplinare nei loro riguardi, nonché nella deliberazione delle spese per il funzionamento della giustizia. In concreto, l’articolo 18 detta le norme sulla disciplina della magistratura e l’articolo 20 quello sul reclutamento dei magistrati.

Osserva in proposito che forse più nessuno oggi propugna il sistema elettivo dei magistrati che, o non ha dato buoni risultati, o si è trasformato (come è accaduto in Svizzera) in una conferma sistematica dei magistrati eletti la prima volta. D’altra parte l’elezione dei magistrati rappresenta un metodo logico e coerente ove non esiste il sistema della legalità, laddove cioè il diritto non è formulato e cristallizzato in leggi, ma vige il sistema del diritto libero. Ma nei Paesi europei (compresa oggi anche la Russia, che pure aveva adottato nel periodo rivoluzionario il criterio della formulazione giudiziaria del diritto) dove sussiste il principio della legalità, per cui la politica si trasforma in diritto attraverso gli organi legislativi e i giudici debbono limitarsi all’applicazione della legge, il metodo elettivo sarebbe a suo avviso un controsenso. E ciò anche per i gradi inferiori della magistratura (pretori e conciliatori) nei cui riguardi non mancano fautori del sistema elettivo.

Ritiene egli fermamente che il sistema migliore per la nomina dei giudici sia quello, oggi in vigore, del concorso, in quanto solo il concorso può accertare i requisiti tecnici e culturali indispensabili per il migliore espletamento delle funzioni giudiziarie. E dovrà essere la magistratura la sola competente a bandire tali concorsi, a nominare le Commissioni esaminatrici (in cui potrebbero essere inclusi anche dei professori universitari), ad accertare l’idoneità dei candidati e a formare la graduatoria dei vincitori. Infine, per conferire alla nomina un carattere di solennità, essa dovrebbe avvenire con decreto del Capo dello Stato.

Avverte che nel primo comma dell’articolo 20 è previsto anche il caso di ammissione delle donne ai concorsi, ma soggiunge che la magistratura, la quale ha avuto conoscenza del suo progetto, approvandolo in quasi tutte le parti, si è dichiarata nettamente contraria a tale disposizione. Lo stesso articolo 20 prevede la possibilità di concorsi per l’ammissione a certi speciali uffici dell’amministrazione della giustizia, per cui sia necessaria una competenza approfondita su determinate materie tecniche. Dichiara inoltre che i magistrati sono nominati a vita, salvo i limiti di età fissati dalla legge. In altra parte dell’articolo 20 è considerata infine l’eventualità di nomine eccezionali di magistrati senza concorso, di magistrati temporanei e di magistrati onorari.

L’articolo 21 riguarda le Corti d’assise e i giudici popolari, argomento del quale dovrà occuparsi quanto prima l’Assemblea Costituente, esaminando un apposito disegno di legge sottopostole dal Governo.

L’articolo 22 affronta l’importante problema delle promozioni dei magistrati, argomento quanto delicato, in quanto è strettamente connesso con quello dell’indipendenza della magistratura. Soprattutto in questo campo, infatti, possono esercitarsi illecite inframmettenze, dalle quali occorre mettere al riparo chi amministra la giustizia. È noto che il magistrato italiano, malgrado le difficili condizioni economiche in cui si dibatte è, per lo più, incorruttibile; ma non è da escludersi il timore che coloro che sono prossimi alla promozione o al trasferimento, nelle loro sentenze si lascino guidare, più che da un rigoroso senso dì giustizia, dal desiderio di procacciarsi dei titoli. Né è da trascurare che la pressione politica sul magistrato, specie nelle cause civili, può sussistere in modo rilevante; e spesso la carriera dei magistrati può dipendere da orientamenti ed influenze di organi politici. È indispensabile pertanto che la materia degli avanzamenti e dei trasferimenti sia di esclusiva competenza degli stessi organi dell’amministrazione della giustizia, in modo che i magistrati non abbiano nulla da temere o da sperare dagli uomini di Governo o da esponenti di partiti politici.

Ma, a suo avviso, bisognerebbe andare oltre, e riformare completamente la carriera giudiziaria, in quanto, anche affidando agli organi della magistratura le promozioni, il problema delle basse retribuzioni o il desiderio dell’avanzamento non impedirebbero il verificarsi, nell’interno della magistratura stessa, di quelle pressioni che si riscontrano oggi al di fuori di essa. Bisognerebbe pertanto stabilire che ai magistrati, una volta entrati nell’amministrazione della giustizia, dopo un periodo di tirocinio anche più lungo dell’attuale, fosse attribuita una determinata retribuzione, suscettibile di periodici aumenti in relazione all’anzianità, e indipendentemente dalle funzioni esercitate. Per assegnazione dei magistrati ai vari uffici giudiziari, direttivi e speciali, si potrebbe eventualmente ricorrere ad elezioni interne. Per i gradi più elevati, e specie per la Corte di cassazione, le nomine avverrebbero per cooptazione, mentre negli altri casi passaggio dalle Preture ai Tribunali e dai Tribunali alle Corti d’appello le promozioni avverrebbero attraverso scrutini di merito, fondendo insieme i criteri dell’anzianità e del merito, in base al principio che ai posti vacanti possano concorrere magistrati delle Preture o dei Tribunali che abbiano una determinata anzianità.

Richiama l’attenzione sul fatto che nell’articolo 23 viene solamente riaffermato il vecchio e tradizionale principio della inamovibilità, disciplinandolo tuttavia con norme che valgano a renderne l’applicazione più operante e rigorosa.

Passando quindi ad esaminare quello che, a suo avviso, è il punto più delicato di tutta la materia, e cioè i rapporti fra la magistratura e il Governo, rileva che, con le norme previste, si avrebbe un corpo di magistrati completamente indipendente, il quale deciderebbe delle nomine, provvederebbe alla designazione ai vari uffici, autoeserciterebbe la disciplina e delibererebbe delle spese. Con una magistratura così chiusa e appartata, si potrebbero verificare conflitti con il potere legislativo o con quello esecutivo, in quanto la magistratura potrebbe, per esempio, rifiutarsi all’applicazione di una legge o attribuirsi il potere di stabilire criteri generali di interpretazione delle leggi. Un caso del genere si verificò in Francia prima della Rivoluzione e il conflitto si trascinò a lungo tra il Governo centrale del monarca e le Corti di appello.

S’impone pertanto la ricerca di un rimedio, per il quale possono aversi tre sistemi. Il primo è di lasciare le cose allo stato attuale e con un Ministro della giustizia che risponda politicamente al Governo e alle Camere del buon funzionamento della giustizia. Rileva però che in tal caso, dovendosi attribuire al Ministro Guardasigilli determinati poteri, verrebbe meno l’assoluta indipendenza della Magistratura, la quale continuerebbe ad essere controllata da un organo politico, per il tramite del Pubblico Ministero. Il secondo sistema è di ricorrere ad una rigorosa separazione tra il potere giudiziario e quelli legislativo-esecutivo, senza alcun orbano di collegamento e con il primo Presidente della Corte di cassazione capo assoluto della magistratura. Ma anche così non si eliminerebbero tutti i pericoli, in quanto potrebbe sempre avvenire in astratto che il primo Presidente della Cassazione, unendosi agli altri magistrati, decidesse di rifiutarsi all’applicazione di una legge. Rimane allora un terzo sistema, intermedio, da lui proposto nel suo progetto, ma per il quale dichiara di avere egli stesso dei dubbi, consistente nella creazione di un «Procuratore generale commissario della giustizia» rappresentante l’organo di collegamento tra Magistratura e Governo. Tale commissario avrebbe in parte la figura del magistrato, in quanto sarebbe scelto tra i Procuratori generali della Corte d’appello o di Cassazione, e in parte quella di rappresentante politico, in quanto sarebbe nominato dal Presidente della Repubblica su designazione della Camera, prenderebbe parte alle sedute del Consiglio dei Ministri con voto consultivo e risponderebbe di fronte alle Camere del buon andamento della magistratura. Di modo che, essendo tale Commissario il capo dell’organo di accusa, con potere disciplinare sui magistrati, ove si verificassero nell’interno del corpo giudiziario inconvenienti di carattere politico, a lui potrebbe far carico di non aver saputo esercitare le sue funzioni. Qualche cosa di simile si ha nell’ordinamento inglese, con qualche differenziazione che potrebbe essere indicata, ove l’argomento dovesse essere approfondito.

Ritiene che rispetto agli inconvenienti che le altre due soluzioni indubbiamente presentano, questa terza possa essere presa in considerazione, anche perché, personalmente, non è del tutto favorevole a concedere alla Magistratura il massimo dell’indipendenza. In un momento particolarmente delicato come l’attuale, in un regime che, essendo sorto da poco e dovendo consolidarsi in un certo numero di anni, ha bisogno della assoluta fedeltà di tutti i suoi organi, potrebbe essere pericoloso riconoscere alla Magistratura un’autonomia assoluta, quando sulla fedeltà del corpo giudiziario alla Repubblica possono ancora nutrirsi dei dubbi.

Conclude rilevando che l’ultimo argomento su cui ritiene necessario richiamare l’attenzione dei colleghi è quello prospettato nell’articolo 24, e cioè l’iscrizione dei magistrati a partiti politici. La questione è fra le più discusse anche in seno alla stessa Magistratura. Mentre non mancano le ragioni che farebbero propendere per concedere una tale possibilità ai magistrati, in quanto cittadini come tutti gli altri e come tali aventi diritto ad avere opinioni politiche, specie nel nostro Paese in cui il voto politico è obbligatorio, ne esistono in contrario validissime altre che sconsiglierebbero tale concessione. La giustizia deve dare ai giudicabili un senso di assoluta tranquillità; ed essa non potrà esistere invece in chi, appartenendo ad un partito politico, si troverà, specie nei centri minori, di fronte ad un giudice iscritto a un partito diverso. Inoltre, in un ordinamento come il nostro, in cui la politica deve sfociare negli organi legislativi, che sono incaricati di trasformarla in diritto, il diritto stesso, quando viene affidato al magistrato per la sua applicazione, deve essere da lui visto solamente come tale e non come era prima di divenirlo, quando cioè era ancora politica. Per tali considerazioni egli si dichiara perplesso ed incerto fra le due soluzioni.

PRESIDENTE ringrazia l’onorevole Calamandrei della sua esauriente esposizione ed invita l’onorevole Leone ad illustrare la sua relazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dopo aver rilevato che su alcuni punti delle tre relazioni vi è accordo perfetto e dopo aver dichiarato di confermare quanto sui vari problemi ha già esposto nella sua relazione a stampa, soggiunge che risponderà brevemente all’onorevole Calamandrei, seguendo l’ordine degli articoli da lui proposti.

In linea di massima dichiara di consentire nelle proposte contenute nel primo gruppo di articoli (dall’l all’11), riservandosi di fare qualche osservazione particolare quando essi verranno in discussione. Desidera tuttavia soffermarsi brevemente sulla irrevocabilità del giudicato, considerata all’articolo 4, riconoscendo la necessità che essa sia fissata con una norma costituzionale. Rileva per altro l’opportunità che nel primo comma sia inclusa l’ipotesi, già contemplata nel Codice vigente, della legge abrogativa in materia penale.

Nei riguardi del secondo comma, mentre ritiene che debba essere conservato l’istituto della grazia come potere del Capo dello Stato, sostiene la necessità dell’abolizione dell’amnistia. Indipendentemente dalla concezione attuale, secondo la quale l’amnistia appare come un’elargizione che, in speciali circostanze fauste od infauste per il Paese, viene concessa dal Capo dello Stato (por cui, in caso di conservazione dell’istituto, è del parere che il potere di amnistia debba essere attribuito al legislativo), osserva che non convince, né sul piano politico né su quello strettamente giuridico, che in un certo momento lo Stato (potere esecutivo o legislativo: il problema sotto questo aspetto non muta) possa togliere carattere di reato ad un fatto che nel momento in cui fu commesso tale carattere rivestiva.

Un solo motivo può giustificare tale intervento dello Stato; ed è la considerazione di situazioni nelle quali un fatto – per intervento di nuove condizioni o di nuove visioni politico-criminali, o per nuova interpretazione delle condizioni che legittimarono la qualificazione di un fatto come reato – non presenti più le caratteristiche del reato (cioè le caratteristiche dell’antisocialità). Ma a queste situazioni corrisponde una ben altra forma di disciplina giuridica: la legge abrogativa, la quale, secondo il Codice vigente (perfettamente aderente in questo punto alla tradizione) investe perfino il giudicato, producendo pertanto un effetto perfettamente identico (se anche non più largo) all’amnistia.

Eccettuato tale caso, l’amnistia non può esprimere altra esigenze che quella di rinunzia, da parte dello Stato, al suo diritto all’esecuzione della pena (i fini sono indifferenti: pacificazione del Paese, difficoltà di giudicare una massa di reati germinata da un particolare terreno politico o sociale, esaltazione di un evento fausto o perdono in seguito ad un evento infausto). Orbene, a tale esigenza corrisponde in maniera perfetta l’istituto dell’indulto, che estingue la pena (rinunzia dello Stato alla pena) e non il reato.

A suo avviso, lo Stato – e più precisamente ciascuno dei poteri in cui la sovranità statale si snoda – non può togliere ex post ad un fatto il carattere di reato (tranne nell’ipotesi esaminata della legge abrogativa); ma può rinunziare solo alla pena.

Ciò indipendentemente dalle non facilmente regolabili questioni applicative, tra cui in particolare segnala quella della rinunziabilità o meno dell’amnistia, riuscendo egualmente insoddisfacenti la soluzione positiva o quella negativa.

A proposito del diritto al risarcimento dei danni per errori giudiziari o per delitti commessi da funzionari giudiziari, di cui si occupa l’articolo 10 delle proposte Calamandrei, è egli pure dell’avviso che il principio debba trovar posto nella Costituzione.

Circa il secondo gruppo di articoli (dal 12 al 15), dichiara di condividere il pensiero dell’onorevole Calamandrei e dell’onorevole Patricolo sulla unità della giurisdizione. Innanzi tullo, il frazionamento potrebbe prestarsi a pressioni di carattere politico e a sollecitazioni di carattere extragiudiziario. In secondo luogo, la pluralità delle giurisdizioni crea per il cittadino incertezze nei riguardi dei suoi giudici. Concorda anche sull’abolizione delle giurisdizioni straordinarie speciali precostituite per determinati conflitti giudiziari in rapporto alle persone e alle materie. Tuttavia, se talune di esse dovessero essere mantenute, propenderebbe per la conservazione del Consiglio di Stato, che ha reso ottimi servigi, e della Corte dei conti.

È favorevole alla soppressione dei Tribunali militari che, a suo avviso, potevano trovare una giustificazione quando il Paese aveva una imponente organizzazione militare, non oggi invece, date le modeste proporzioni a cui il nostro esercito dovrà essere ridotto. A parte le difficoltà derivanti dalla ampiezza della giurisdizione dei Tribunali militari, destinate ad accrescersi con la riduzione dell’esercito (ampiezza destinata a sacrificare il necessario contatto tra giudice e parte), osserva che la giustizia militare è composta tutta di elementi militari, a partire dal Presidente, i quali non offrono certo i necessari requisiti di competenza tecnica giuridica. L’esistenza di un Codice penale militare non comporta di conseguenza la necessità di un giudice speciale; e se la giurisdizione militare poté giustificarsi in passato come una conquista della casta militare per poter amministrare la giustizia nei confronti dei propri elementi, non ha più ragione d’essere in uno Stato democratico, nel quale tutti i cittadini debbono avere un’unica giurisdizione. Ritiene piuttosto che si potrebbero creare, nella giurisdizione comune, delle sezioni speciali in cui i militari, intervenendo come componenti del collegio, porterebbero il loro contributo tecnico.

In proposito richiama l’attenzione su una questione di particolare gravità, e cioè sul fatto che nei giudizi avanti il Tribunale militare recentemente istituito per i delitti di rapina e di estorsione, non è ammesso alcun diritto di impugnativa. Pur riconoscendo la gravità dei suddetti reali, ritiene inammissibile che mentre per il delitto di ingiuria esistono in Italia tre gradi di giurisdizione, per il delitto di rapina, che può comportare la pena di morte, non sia possibile impugnare la sentenza neanche per difetto di giurisdizione. Per ovviare a tanta enormità, propone l’introduzione di una nonna transitoria che sancisca, con effetto retroattivo, il diritto di impugnativa nelle giurisdizioni speciali straordinarie, almeno presso la Corte di cassazione.

A proposito delle Corti di assise, delle quali si vorrebbe, da parte del Governo, affrettare il ripristino, osserva che, essendo la materia tipicamente costituzionale, ed essendo la Costituzione in via di elaborazione, ogni decisione al riguardo da parte del Governo sarebbe contraria alla legge che regola i rapporti tra l’Assemblea Costituente e il Governo. Propone ad ogni modo per l’inquadramento unitario della Costituzione che il Presidente della Sezione chieda in Assemblea plenaria la sospensione della discussione su questa particolare materia.

BOZZI fa osservare che l’Assemblea plenaria della Costituente, quando sarà chiamata a procedere all’esame dell’apposito progetto elaborato dal Governo, potrà decidere sulla questione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, non ritiene ammissibile discutere ed approvare separatamente leggi che sono frammenti della Costituzione.

TARGETTI crede che ciò non rientri nei compiti della Sottocommissione e che la questione possa essere sollevata soltanto in Assemblea plenaria.

PRESIDENTE suggerisce di trasmettere all’Assemblea plenaria un estratto del verbale della riunione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, dichiara comunque di essere contrario alla ricostituzione delle Corti d’assise, non ritenendo che debbano esistere giudici diversi a seconda della gravità del reato e della misura della pena.

Concorda sull’articolo 15, essendo convinto che sia necessario fissare in una norma costituzionale che lo Stato non può sottoporre ad alcuna condizione l’esperimento di qualsiasi azione giudiziaria. Si dichiara invece perplesso nei riguardi delle proposte dell’onorevole Calamandrei circa la soggezione della pubblica amministrazione alla giurisdizione ordinaria, in quanto il problema è connesso a quello delle giurisdizioni amministrative.

Per quanto riguarda l’ultimo gruppo di articoli (dal 16 al 20), è d’accordo sul problema dell’autogoverno della magistratura, ritenendo che sia nei desideri di tutti avere un potere giudiziario realmente indipendente. Concorda anche nel rivendicare alla Magistratura le nomine e le promozioni dei giudici, la giurisdizione disciplinare e l’organizzazione amministrativa. Sull’abolizione della distinzione dei magistrati secondo criteri gerarchici, alla quale è favorevole, si richiama a quanto ha osservato nella sua relazione circa la necessità di questa essenziale riforma. L’ordinamento giudiziario del 1941 parlava di gradi della magistratura. Questa nomenclatura rispecchiava una visione gerarchica, che è incompatibile con l’essenza della funzione del potere giudiziario. La diversità di sfera giurisdizionale non può identificarsi con la diversità di potere. È canone universalmente accettato dalla dottrina quello dell’unità della giurisdizione: potere giudiziario in senso pieno ed assoluto è quello del conciliatore, come quello della Corte di cassazione. Da ciò discende il ripudio del concetto gerarchico del potere giudiziario e la conseguente esclusione di una ripartizione per gradi. In conformità a tale principio, conviene introdurre una visione nuova del potere giudiziario, che va pertanto distinto in organi e non in gradi. Fa osservare che con ciò si tende soprattutto a realizzare l’indipendenza da qualsiasi forza estranea al potere giudiziario per quanto attiene all’organizzazione delle promozioni e ad attuare lo sganciamento del corpo giudiziario dalla gerarchia degli altri impiegati dello Stato. Si è infatti sempre temuto il fenomeno che i funzionari statali possano basare le loro, sia pur giuste, rivendicazioni sul trattamento economico della Magistratura. Concedendo l’autogoverno finanziario al potere giudiziario, ciò non si verificherebbe più, in quanto vi sarebbero soltanto degli organi del potere giudiziario con funzioni diverse.

Dichiara inoltre di essere contrario alla elettività delle magistrature inferiori dato che il giudice delle cause di scarsa importanza è di norma un giudice prevalentemente locale e come tale il più suscettibile di influenze e pressioni. In più, è necessario che questo giudice sia un tecnico, di carriera. La giurisdizione equitativa è più delicata delle altre, in quanto consente di spaziare in una sfera di potere discrezionale che presuppone una maggiore coscienza giuridica e un alto senso di responsabilità; requisiti quelli che difficilmente possono trovarsi nei giudici elettivi. Dichiara inoltre di essere contrario alla magistratura onoraria, sia pure di grado inferiore, e di ritenere preferibile avere dei giudici conciliatori di carriera, pur riconoscendo che ciò comporterebbe un aggravio finanziario per lo Stato; preferibile anche perché ciò potrebbe contribuire alla risoluzione del problema della disoccupazione dei laureati in discipline giuridiche.

Passando ad esaminare il problema del collegamento fra potere giudiziario e Governo, osserva che con nessuno dei congegni prospettati dall’onorevole Calamandrei si elimina il pericolo che la Magistratura possa trovarsi in concilio con gli altri poteri. Nel suo progetto (art. 8), sganciata la Magistratura giudicante dal Ministro Guardasigilli, si prospetta l’ipotesi del Primo Presidente della Corte di cassazione che esercita l’alta sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari e sugli organi giudicanti. Ritiene che questo potrebbe essere il sistema migliore, in quanto verrebbe a scindere completamente il potere giudiziario da quello esecutivo. Il congegno proposto dall’onorevole Calamandrei non è in realtà molto diverso dal suo. Il punto di disaccordo riguarda il Pubblico Ministero, che nelle sue proposte assumerebbe il netto carattere di organo del potere esecutivo. Il Pubblico Ministero rappresenta, per quanto attiene alla sua funzione di promuovere l’azione penale e di vigilanza nel processo, lo Stato nel suo diritto soggettivo di punire, con poteri che sono talvolta superiori a quelli dello stesso giudice. È quindi difficile precisarne la natura perché, ove si considerino prevalentemente le sue funzioni giudiziarie, egli appare organo del potere giudiziario; mentre, se si riguardano i suoi poteri concernenti l’iniziativa nel processo penale e la direzione della polizia giudiziaria, appare come organo di quello esecutivo. A suo avviso è indispensabile creare un maggiore e più diretto contatto fra il Pubblico Ministero e la polizia, la quale deve essere alle sue dirette dipendenze, agli effetti delle indagini che egli deve promuovere. Occorre cioè conservare al Pubblico Ministero la tipica funzione di dominus, ossia di promotore della azione penale. In tal modo, dal punto di vista giuridico-penale, sarà ricondotto il Pubblico Ministero entro i suoi propri limiti, o si preciserà di più la sua funzione di organo del potere esecutivo in quanto, nella notitia criminis o nell’accusa, egli rappresenterà lo Stato.

Concludendo sull’argomento, fa presente che la preoccupazione, condivisa anche da molti magistrati, è certo quella di rendere costoro indipendenti, ma non assolutamente distaccati dalla vita dello Stato. Mentre il progetto dell’onorevole Patricolo tende a creare un distacco netto tra Magistratura e Governo, nel suo e in quello dell’onorevole Calamandrei vi è il tentativo di conciliare le due esigenze. A suo avviso è necessario affrontare con pieno senso di responsabilità tale grave problema, per non correre il rischio di dare al Paese un potere giudiziario che o non sia sufficientemente indipendente, come è invece da tutti auspicato, o lo sia a tal punto da restare avulso dalla vita della Nazione.

A su avviso, il Pubblico Ministero può servire proprio da tramite o organo di collegamento tra potere esecutivo e potere giudiziario: in quanto promotore dell’azione penale (e, nei limiti della funzione, partecipe allo sviluppo del processo) e in quanto promotore del procedimento disciplinare a carico di magistrati, il Pubblico Ministero che – com’è chiarito nella relazione scritta, tornerebbe ad essere espressione del potere esecutivo – rappresenta presso il potere giudiziario l’organo di iniziativa e di controllo dello Stato.

In conclusione, il sistema del Relatore si presenta organicamente così: potere giudiziario indipendente (autogoverno anche finanziario) con, al sommo dell’organizzazione, il Presidente della Corte di cassazione ed il Consiglio superiore; inclusione in tale Consiglio anche di elementi eletti dalle due Camere, in modo da stabilire un primo punto di collegamento del potere giudiziario con gli altri poteri; Pubblico Ministero, privato di quelle attuali attribuzioni che lo accostano al potere giudiziario, in funzione di organo del potere esecutivo, come tale alle dipendenze del Ministro della giustizia, in modo da stabilire un secondo punto di collegamento con gli altri poteri.

È naturale che, se si accetta tale disciplina del Pubblico Ministero, pur ribadendo nella Costituzione il principio della legalità, pubblicità, ineluttabilità dell’azione penale, occorrerà esaminare l’ipotesi della mancata attivazione del processo penale. Per tale ipotesi – che nella relazione scritta è rimasta volutamente nell’ombra, per dar modo di approfondirla in caso di accettazione della natura di organo del potere esecutivo nel Pubblico Ministero – si profilano due soluzioni: o, mediante il ripudio del canone ne procedat judex ex officio, consentire al giudice, in caso di inerzia del Pubblico Ministero, di promuovere l’azione penale; ovvero rimandare alla disciplina della responsabilità dei funzionari dello Stato per la loro attività dolosa o colposa la soluzione del delicato problema.

Dichiara poi di condividere l’idea dell’onorevole Calamandrei di inserire nella Costituzione il divieto per i magistrati di appartenere a partiti politici, in quanto non basta che il giudice sia indipendente, ma occorre che tale egli sempre appaia. E ciò soprattutto in considerazione delle esigenze della cosiddetta disciplina di partito, che va rafforzandosi sempre più e che potrebbe talvolta mettere il magistrato nel più grave imbarazzo. Propone inoltre che analogo divieto sia stabilito per l’appartenenza ad associazioni segrete, le quali, dal punto di vista vincolativo, sono anche più rigide che non la disciplina di partito e che, nella maggior parte dei casi, hanno finalità politiche.

TARGETTI obietta che praticamente la proposta non è attuabile, trattandosi di organizzazioni segrete.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che sia sufficiente sancire il divieto ed affidarsi alla coscienza dei magistrati.

Sottopone infine all’attenzione dei colleghi gli articoli finali (16-21) del suo progetto, i quali, pur non concernendo materie di competenza della Sottocommissione, dovrebbero essere, a suo avviso, inseriti nella Costituzione. Si tratta di un complesso di norme che disciplinano le garanzie del cittadino di fronte al potere giudiziario. L’articolo 16 stabilisce che non vi debbono essere limiti all’esercizio del diritto del cittadino di agire in sede giudiziaria; l’articolo 17 fissa l’identità di giurisdizione per tutte le cause; l’articolo 18 sancisce l’obbligo della motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali; l’articolo 19 stabilisce la pubblicità dei procedimenti penali, mentre l’articolo 20 fissa il diritto delle parti all’assistenza di un difensore.

TARGETTI, riferendosi all’autonomia della Magistratura, rileva che l’onorevole Leone ha, nella sua relazione, accennato alla composizione di un Consiglio superiore, di cui alcuni membri dovrebbero essere eletti dalla Assemblea nazionale. Chiede all’onorevole Calamandrei come egli intenda la questione, dato che nella sua relazione non se ne parla.

CALAMANDREI, Relatore, riconoscendo che effettivamente si tratta di una lacuna, dichiara che, a suo avviso, il Consiglio dovrebbe essere composto esclusivamente di magistrati.

LEONE GIOVANNI, Relatore, precisa che nel suo progetto è prevista l’immissione nel Consiglio superiore di elementi politici in senso ampio, allo scopo di creare un maggior coordinamento tra i vari poteri.

La seduta termina alle 12.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Conti, Di Giovanni, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Intervenuto, in sostituzione dell’onorevole Patricolo, l’onorevole Castiglia.

Assenti: Bulloni, Farini, Porzio.

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

58.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Cappi – Laconi – perassi – mannironi – mortati – nobile – Uberti – Fabbri – Tosato – Fuschini – Ravagnan – La Rocca – Targetti – Lami Starnuti – Lussu – Zuccarini – Ambrosini, Relatore – Bordon – Bozzi – Vanoni – Conti – Codacci Pisanelli.

La seduta comincia alle 16.35.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica il testo di un articolo aggiuntivo 12-bis, proposto dall’onorevole Mannironi;

«Il diritto di impugnativa (di cui al precedente articolo) è riconosciuto anche alla Regione, contro quelle leggi nazionali che si ritengano lesive dei diritti costituzionali della stessa Regione. L’Alta Corte costituzionale, cui spetta di decidere, potrà, se richiesta, sospendere l’esecutività della legge impugnata».

CAPPI lo ritiene superfluo, dal momento che vi è un’Alta Corte costituzionale alla quale tutti possono ricorrere, comprese le Regioni.

LACONI è contrario alla proposta Mannironi che, a suo parere, non solo è superflua, ma tenderebbe a porre in rilievo una specie di parità tra la Regione e lo Stato che gli sembra completamente fuori luogo.

PERASSI non crede sia da accogliere questo articolo aggiuntivo, soprattutto perché il diritto di impugnativa di cui parla il proponente non si vuol riferire al periodo di formazione delle leggi regionali di cui all’articolo precedente, ma ad una legge dello Stato già fatta. Ritiene che il problema potrà essere risolto quando si discuterà della competenza dell’Alta Corte costituzionale.

MANNIRONI ritira l’articolo aggiuntivo, riservandosi di ripresentarlo in altra sede.

MORTATI si domanda se – nell’articolo 12 – parlandosi di leggi, si sia inteso riferirsi alle leggi in senso stretto o all’attività normativa in senso generico: perché sarebbe d’opinione che, per i regolamenti delegati di cui all’articolo 4ter, si debba seguire la stessa procedura delle leggi: non così, invece, per i regolamenti interni della Regione.

NOBILE, per le considerazioni già altra volta espresse, vorrebbe compresi tra quelli che debbono essere sottoposti all’approvazione degli organi centrali, tutti i regolamenti che le Regioni fanno anche per le proprie leggi e, subordinatamente, i regolamenti che concernono la sicurezza pubblica o comunque l’interesse nazionale.

UBERTI non crede sia il caso di appesantire eccessivamente la Costituzione, introducendovi una disposizione esplicita anche per i regolamenti, perché in sostanza il regolamento non è che la esecuzione pratica di norme legislative che sono, in quanto tali, già contemplate nell’articolo.

FABBRI, considerato che la questione sollevata dall’onorevole Mortati involge un principio di giustizia amministrativa, preferirebbe rimandarne la soluzione a quando saranno stabiliti gli organi della giustizia amministrativa nell’ambito della Regione e determinate le loro funzioni; ma se si tratta dell’accertamento preventivo che il Governo fa, non è d’opinione di appesantire la procedura per la formazione di tali regolamenti, pur ritenendo necessaria una garanzia contro la loro incostituzionalità.

MANNIRONI ritiene che la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed il controllo da parte dello Stato debbano effettuarsi soltanto per le leggi della Regione: nessun intervento dello Stato crede sia necessario per i regolamenti di leggi emanate dalla Regione e tanto meno la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato.

TOSATO, escludendo i regolamenti esecutivi di leggi regionali, vorrebbe esteso agli altri regolamenti la disamina e il controllo da parte dello Stato.

PRESIDENTE, per evitare che si creino situazioni contraddittorie nelle varie Regioni, ritiene che lo Stato debba avere una possibilità di controllo sui vari regolamenti la cui emanazione è delegata alla Regione; non trova quindi eccessivo che la procedura si svolga allo stesso modo di quella stabilita per le leggi della Regione. Chiarisce che, secondo la proposta Mortati, la procedura stabilita per le leggi deve essere seguita anche per i regolamenti delegati di cui all’articolo 4ter.

NOBILE propone un emendamento nel senso che tale procedura valga per tutti i regolamenti che le Regioni fanno anche per le proprie leggi. Subordinatamente, un secondo emendamento in base al quale la procedura stessa valga per quelli che riguardano la sicurezza pubblica o comunque l’interesse nazionale.

PRESIDENTE pone ai voti gli emendamenti dell’onorevole Nobile.

(Non sono approvati).

Mette ai voti la proposta Mortati così formulata:

«La procedura stabilita per la pubblicazione e l’impugnativa delle leggi deve essere seguita anche per i regolamenti delegati di cui all’articolo 4ter».

(È approvata).

MORTATI, riferendosi ad eventuali situazioni d’urgenza, ritiene che esse possano suggerire una procedura abbreviata per la pubblicazione delle leggi, purché il Governo sia posto nella possibilità di dare il suo consenso espresso senza attendere il compimento del termine ordinario previsto per la pubblicazione stessa. Propone perciò il seguente comma aggiuntivo:

«Ove l’Assemblea Regionale dichiari l’urgenza di una legge da essa approvata, si può procedere alla pubblicazione di questa prima del decorso del termine di cui all’articolo … se il Governo dello Stato dia il suo consenso espresso».

FUSCHINI chiede chiarimenti sulla parola «espresso» e circa la pubblicazione della legge.

PRESIDENTE risponde che «espresso» vuol significare «esplicito» e che la legge sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Mette poi in votazione questo comma aggiuntivo all’articolo 12 proposto dall’onorevole Mortati.

(È approvato).

Dovendosi ora passare all’articolo 13, avverte che l’onorevole Mortati propone di abbinarne la discussione a quella dell’articolo 15.

(Così rimane stabilito).

Dà lettura di questi due articoli nel testo del Comitato.

Art. 13. – «Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere l’Assemblea Regionale ove questa assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale ed in caso di gravi e reiterate violazioni della legge.

«La dissoluzione deve essere disposta con suo decreto motivato, su parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale.

«In tal caso nomina un Commissario il quale indirà le nuove elezioni entro tre mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di scioglimento dell’Assemblea».

Art. 15. – «Quando il Presidente della Deputazione regionale assuma atteggiamenti contrari all’interesse nazionale o compia gravi e reiterate violazioni di legge, il Governo centrale ha facoltà di segnalare il caso all’Assemblea Regionale perché provveda alla sostituzione del Presidente.

«Qualora l’Assemblea non provveda, il Presidente della Repubblica può ricorrere al provvedimento della dissoluzione ai sensi dell’articolo 13».

MORTATI propone le seguente formulazione in cui sono riuniti gli articoli 13 e 15.

«Può essere disposto lo scioglimento dell’Assemblea Regionale, quando questa assuma atteggiamenti contrari all’unità nazionale o compia gravi e reiterate violazioni delle leggi generali o regionali, ed altresì nel caso che essa, nonostante la segnalazione fattale dal Governo dello Stato, non provveda alla sostituzione della Deputazione regionale o del suo Presidente, i quali si siano resi responsabili di analoghi atti o violazioni.

«Lo scioglimento è effettuato con decreto motivato del Presidente della Repubblica, su parere conforme del Senato, emesso a maggioranza assoluta dei suoi membri e con l’astensione dal voto dei rappresentanti della Regione interessata.

«Con lo stesso atto, che dispone lo scioglimento, si provvederà alla nomina di una Commissione straordinaria presieduta dal Commissario regionale e composta di quattro cittadini, eleggibili all’Assemblea Regionale. La Commissione indirà le nuove elezioni dell’Assemblea entro due mesi dalla pubblicazione dell’avviso di scioglimento sulla Gazzetta Ufficiale».

CAPPI approva sostanzialmente la proposta dell’onorevole Mortati, ma trova troppo generica e pericolosa la frase «assuma atteggiamenti contrari all’unità nazionale» e ne propone la soppressione.

Inoltre, poiché ritiene complicata la norma che, in caso di scioglimento dell’Assemblea Regionale, l’Amministrazione della Regione venga affidata ad una Commissione presieduta dal Commissario regionale, preferirebbe che si lasciasse il Commissario, invece della Commissione, aggiungendo però che esso dovrà compiere solo atti di ordinaria amministrazione ed indire le nuove elezioni nel termine di tre mesi.

RAVAGNAN, pur ritenendo implicito che l’apprezzamento degli atteggiamenti dell’Assemblea Regionale come contrari all’interesse nazionale debba spettare al Presidente della Repubblica, dichiara che ciò gli sembra un anticipo ad una discussione sui poteri del Capo dello Stato. Pensa che ad ogni modo di tale facoltà questi dovrebbe far uso dopo un voto conforme della Prima Camera. A suo parere poi le «gravi e reiterate violazioni delle legge dovrebbero essere constatate dalla Suprema Corte costituzionale. Quanto all’organo che deve dare parere sulla dissoluzione dell’Assemblea Regionale, nota che il Consiglio di Stato entra qui come cosa nuova e non ne approva l’intervento.

LA ROCCA vorrebbe fosse chiarito chi è che giudica in fatto di atteggiamenti contrari all’interesse nazionale; e se, come sembra, sarà il Presidente della Repubblica, domanda se egli è solo a giudicare o se avrà bisogno del parere di altro organo e di quale. Non approva l’inciso «atteggiamenti contrari all’unità nazionale» e trova forte anche la frase «gravi e reiterate violazioni di leggi»; gli sembra sufficiente una pura e semplice violazione di legge per richiamare all’ordine la Regione.

TARGETTI è d’accordo nel sostituire l’inciso «contrari all’interesse nazionale» con l’altro: «contrari all’unità nazionale» è pensa che si potrebbe anche omettere l’aggettivo: «reiterate», limitandosi a «gravi violazioni». Prospetta poi l’ipotesi di un’Assemblea Regionale che non procedesse all’elezione dei suoi organi e ritiene che in tal caso il Presidente della Repubblica dovrebbe procedere senz’altro allo scioglimento dell’Assemblea Regionale.

LACONI osserva come questo articolo debba riferirsi unicamente all’opera dell’Assemblea Regionale, ad un’azione di governo, cioè, che essa compirebbe in violazione alle leggi dello Stato: gli sembrano perciò eccessive le condizioni richieste per il suo scioglimento. Ritiene che basterebbe una sola di tali violazioni, ma ad ogni modo propone che invece di dire: «gravi e reiterate violazioni di legge», si dica: «gravi o reiterate».

Crede poi che una valutazione di merito nei riguardi dell’unità nazionale o degli interessi nazionali violati dovrebbe essere compiuta non dal Consiglio di Stato, di cui non vede ancora ben precisata la figura e la funzione, e neppure dall’Alta Corte costituzionale, ma dall’Assemblea Nazionale, unica rappresentante genuina della sovranità popolare e organo supremo veramente democratico che coordina tutte le attività regionali.

Desidera infine sia chiarito se la designazione dei quattro cittadini eleggibili all’Assemblea Regionale debba esser fatta dal Governo, oppure personalmente dal Capo dello Stato.

MORTATI ritiene che tale designazione debba esser fatta dal Governo; del resto, anche se fosse fatta dal Presidente della Repubblica, questi agirebbe su iniziativa del Consiglio dei Ministri.

LAMI STARNUTI accetta la proposta dell’onorevole Mortati, che demanda il parere per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale al Senato, il quale, oltre tutto, a differenza del Consiglio di Stato, è un corpo elettivo: gli sembra eccessivo richiedere il parere dell’Assemblea Nazionale.

Dà poi ragione della frase: «in caso di gravi e reiterate violazioni della legge», che fu da lui proposta in seno al Comitato per le autonomie locali perché, difensore convinto di queste autonomie, egli è in massima contrario allo scioglimento degli Enti locali, a meno che non vi sia una ripetuta violazione della legge. Dicendo: «gravi», si vuole con ciò intendere una condotta intenzionale, volontaria dell’Assemblea Regionale o dell’ente locale: una pura violazione della legge, come ad esempio la convocazione dell’Assemblea senza il rispetto dei termini, non potrebbe bastare. Non ritiene sufficiente una sola violazione, a meno che non sia gravissima. Può quindi, al massimo, consentire che si sopprima l’aggettivo «reiterate», purché sia chiaro che queste violazioni debbono essere ripetute successivamente da parte dell’Assemblea Regionale.

Circa l’espressione: «atteggiamenti contrari all’interesse nazionale», osserva che essa è derivata da un certo contrasto di opinioni in sede del Comitato, poiché a taluno sembrò poco opportuno fare nella Costituzione l’ipotesi di un’Assemblea Regionale che si dimostrasse contraria all’unità della Nazione; ma il concetto era appunto questo. Si rende conto che forse questa formula è troppo vasta e potrebbe dar luogo ad un certo arbitrio da parte del potere legislativo nel provocare lo scioglimento dell’Assemblea; ma, ciò nonostante, vi aderisce, come aderisce in tutte le sue parti all’emendamento Mortati.

LUSSU si limita a mettere in rilievo la parte di questi due articoli nella quale egli non si è trovato d’accordo col Comitato.

Ritiene necessario l’abbinamento dei due articoli proposto dall’onorevole Mortati, ma dichiara subito di esser contrario all’articolo 15, che riguarda la condotta del Presidente della Deputazione Regionale e stabilisce la procedura per addivenire alla sua sostituzione. Ciò gli sembra contrario alla dignità dell’Assemblea Regionale, che verrebbe inutilmente umiliata. Ritiene quindi che l’articolo 15 debba essere totalmente soppresso e propone il seguente emendamento:

«Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere l’Assemblea Regionale ove questa, o la Deputazione Regionale assuma atteggiamenti contrari, ecc.».

Ricorda di avere egli stesso proposto la soppressione della formula; «contrari all’unità nazionale» e la sostituzione con l’altra: «contrari all’interesse nazionale», sembrandogli non opportuno né politicamente utile che figurasse nella Carta costituzionale l’ipotesi di una Regione che offendesse l’unità nazionale.

ZUCCARINI dichiara di aderire alle modifiche proposte dall’onorevole Cappi. Trova troppo vaga la parola: «atteggiamenti» e suggerisce di usare invece il termine «atti». Sebbene la facoltà di sciogliere l’Assemblea Regionale sia accordata al Presidente della Repubblica, ritiene che l’iniziativa debba partire da qualche organo della sovranità popolare. Crede poi che si debba togliere la parola «unità», perché, se pure questa preoccupazione di salvaguardare l’unità nazionale può essere legittima, non è opportuno che figuri in queste norme di organizzazione regionale.

MANNIRONI non approva che la Regione sia tenuta in uno stato di libertà eccessivamente vigilata; ciò che finirebbe con lo sminuire la sua figura e ferire il principio della sua autonomia. È d’accordo quindi sulla proposta dell’onorevole Mortati di sostituire, alla dizione «contrari all’interesse nazionale», l’altra: «contrari all’unità nazionale».

È anche d’accordo con l’onorevole Lussu che debba essere eliminata la parte in cui si accenna allo scioglimento dell’Assemblea Regionale solo perché essa non aderisca all’invito del Governo di sostituire il Presidente o la Deputazione. Si finirebbe altrimenti per ammettere una eccessiva ingerenza del potere centrale su un affare di competenza dell’Assemblea Regionale, che sola giudica del suo Presidente. Ritiene anch’egli che al Consiglio di Stato debba sostituirsi il Senato, per quanto riguarda il parere da richiedere preventivamente per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale. Il Senato costituisce la Camera delle Regioni ed è perciò l’organo più indicato per occuparsi delle Assemblee Regionali.

Propone infine che là dove si dice che la Commissione indirà le nuove elezioni dell’Assemblea entro due mesi dall’avviso di scioglimento, si aggiunga che la nuova Assemblea dovrà essere convocata entro un mese dal giorno delle elezioni.

AMBROSINI, Relatore, osserva che la dissoluzione deve essere prevista, perché, per quanto si voglia garantire l’autonomia delle Regioni, bisogna sempre riguardare l’interesse nazionale. La causale non deve essere, a suo avviso, una qualsiasi isolata violazione di legge, ma deve avere un carattere intenzionale di interferire su qualche cosa di essenziale: perciò si è usata l’espressione: «gravi e reiterate violazioni».

Quanto agli atti compiuti dall’Assemblea o agli atteggiamenti da essa assunti, che possano determinare lo scioglimento, espone le ragioni per le quali il Comitato preferì di adottare la formula che «siano contrari all’interesse nazionale». Ritiene che può dar luogo allo scioglimento dell’Assemblea anche il fatto che essa non riesca a costituire l’Amministrazione regionale.

Per quanto si riferisce al principio della dissoluzione, riconosce che tale misura interferisce sul sistema dell’autonomia, ma che non per ciò possa prescindersene, giacché l’autonomia va considerata non in senso illimitato e tale da contrapporsi o comunque da nuocere all’interesse generale dello Stato, sebbene in senso di armonia, di coordinazione con questo interesse e conseguentemente in modo tale da evitare qualsiasi frattura o contrapposizione.

Lo scioglimento non priva la Regione delle libertà fondamentali riconosciutele, perché lo Stato non si sostituisce ai suoi organi, in quanto è la stessa popolazione della Regione che deve procedere all’elezione della propria Assemblea e, per mezzo di questa, del proprio organo esecutivo amministrativo, cioè della Deputazione Regionale.

Per altro il Presidente della Repubblica non può procedere liberamente allo scioglimento, in quanto occorre un parere, e per giunta vincolante, del Consiglio di Stato in adunanza generale o di altro organo. Consente nell’opinione che è opportuno ricorrere ad un organo che si trovi su un piano costituzionalmente più rilevante del Consiglio di Stato; ma non è d’accordo per fare in proposito riferimento alle due Camere riunite in Assemblea Nazionale, né alla Camera dei Deputati.

Ritiene che l’organo più adatto sia la seconda Camera, il Senato, perché, per il modo stesso della sua formazione su base regionale, può dare questo parere con maggiore conoscenza di causa e maggior comprensione della portata dello scioglimento, e senza la preoccupazione di essere sospettato, in grazia appunto alla sua origine e natura regionale, di voler comprimere l’autonomia della Regione.

Non condivide d’altra parte l’idea che possa darsi allo stesso Senato, e tanto meno alla Camera dei Deputati, la facoltà di iniziativa per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale. Ritiene che la proposta debba spettare soltanto al Governo.

Passando a riguardare la posizione del Presidente della Deputazione Regionale, nota che la disposizione dell’articolo 15 del progetto del Comitato rappresenta una misura di transazione. Per le stesse ragioni per cui si consente al potere centrale dello Stato di interferire sull’esistenza dell’Assemblea Regionale, è opportuno dargli inoltre una potestà di intervento riguardo all’organo esecutivo. Ma sembrò al Comitato che dare al Presidente della Repubblica la possibilità di rimuovere senz’altro il Presidente della Deputazione Regionale importasse un’interferenza troppo forte sul potere proprio dell’Assemblea Regionale; e perciò fu d’avviso che bastasse dare al Governo la facoltà di segnalare il caso all’Assemblea Regionale, la quale ha sempre modo di provocare le dimissioni della Deputazione. Così la libertà ed il prestigio dell’Assemblea Regionale sono salvaguardati. Per queste ragioni crede che potrebbe adottarsi il sistema dei due articoli in discussione, cioè dell’articolo 13 e dell’articolo 15, magari fondendoli in uno solo.

BORDON vorrebbe arrivare alla dissoluzione dell’Assemblea solo in extremis; perciò, non di un semplice «atteggiamento» dovrebbe trattarsi, ma di vera e propria violazione di legge: direbbe quindi: «fatti o violazioni di legge». Ritiene più appropriato parlare di «unità nazionale», che non di «interesse nazionale»; preferirebbe però limitarsi al caso della violazione della Costituzione o di leggi generali dello Stato.

PERASSI ritiene che la parola «atteggiamenti» sia un po’ vaga, ma non potrebbe accedere all’idea che basti una qualsiasi violazione di legge per lo scioglimento: ricorda che anche lo scioglimento del Consiglio comunale è subordinato a persistenti violazioni di leggi.

Circa il modo e l’atto con cui lo scioglimento possa aver luogo, accede al suggerimento dell’onorevole Mortati di prevedere il parere conforme del Senato. Crede poi opportuno precisare anche quale sarà la competenza del Commissario o della Commissione straordinaria, i quali, a suo avviso, dovrebbero esercitare le attribuzioni della Deputazione Regionale. Resta a vedere se possa essere attribuito al Commissario la facoltà di emettere provvedimenti di urgenza. Vorrebbe infine che fosse precisato il termine entro il quale la nuova Assemblea debba essere convocata.

FABBRI sarebbe d’opinione di sopprimere l’articolo 15, aderendo alle considerazioni svolte dall’onorevole Lussu.

Quanto ai motivi dello scioglimento dell’Assemblea, distinguerebbe i due casi degli «interessi nazionali» e delle «violazioni di leggi». Nel primo caso, trattandosi di questioni di carattere politico, ritiene che il Governo potrebbe esercitare un suo diritto senza necessità di pareri; per la violazione di legge riterrebbe invece necessario il parere conforme del Consiglio di Stato, perché il giudizio da emettere è di carattere sostanzialmente giuridico. Propone quindi la seguente formula: «Può essere proceduto allo scioglimento dell’Assemblea Regionale per atti e provvedimenti dell’Assemblea stessa contrari agli interessi nazionali, nonché per gravi violazioni di leggi. Lo scioglimento è disposto dal Governo, nel primo caso, nell’esercizio del suo potere politico e, nel secondo caso, previo parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale. Lo scioglimento è effettuato con decreto motivato del Capo dello Stato. Con lo stesso decreto che dispone lo scioglimento viene nominato un Commissario, ecc.», come al terzo comma dell’articolo 13.

LACONI desidera sia chiarito se il fatto di riservare alla seconda Camera il parere per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale non costituisca una menomazione al principio della parità tra le due Camere.

MORTATI si associa alla proposta di soppressione dell’inciso: «atteggiamenti contrari agli interessi nazionali». Limiterebbe il caso di scioglimento alle «gravi e reiterate violazioni», poiché in questo concetto rientra anche quello degli «atteggiamenti» contrari agli interessi nazionali. Si potrebbero poi aggiungere, dopo le parole: «con decreto motivato del Presidente della Repubblica», le altre: «su deliberazione del Consiglio dei Ministri».

Circa la questione sollevata dall’onorevole Laconi, osserva che la parità di attribuzioni fra le due Camere, che non significa identificazione assoluta di funzioni, vale per l’ordinaria attività legislativa, nonché per i rapporti col Governo. Qui si tratta di coordinamento degli interessi statali con quelli regionali e l’organo più abilitato a far ciò gli sembra il Senato.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta degli onorevoli Lussu e Fabbri di soppressione dell’articolo 15.

(Non è approvata).

Pone in votazione l’abbinamento degli articoli 13 e 15.

(È approvato).

Richiamando il testo proposto dall’onorevole Mortati, mette in rilievo le differenze più notevoli del testo del Relatore, ed avverte che gli onorevoli Targetti, Rossi e Di Giovanni hanno proposto il seguente emendamento aggiuntivo alla formulazione Mortati, da inserire dopo il primo comma:

«Del pari lo scioglimento può essere deciso nel caso in cui l’Assemblea Regionale non abbia provveduto, nonostante il richiamo da parte del Governo dello Stato, alla elezione della Deputazione e del Presidente».

Fa anche notare che l’inciso «assuma atteggiamenti» è stato sostituito dall’altro: «compia atti», che ha già ottenuto il quasi generale consenso. Deciderà ora la Sottocommissione se questi «atti» debbano essere contrari «all’interesse generale» o «all’unità nazionale».

LUSSU si rimette al Relatore per quanto riguarda la dizione: «atteggiamenti contrari all’unità nazionale».

ABROSINI, Relatore, preferisce che si parli di atteggiamenti o di atti contrari all’«interesse generale» e non all’«unità nazionale», giacché non ritiene opportuno che sia fatta l’ipotesi che un’Assemblea Regionale compia atti contrari all’unità nazionale.

PRESIDENTE pone ai voti la formulazione: «atti contrari all’interesse generale».

(Non è approvata).

Pone ai voti la formulazione: «atti contrari all’unità nazionale».

(È approvata).

PERASSI sulla frase: «o compia gravi e reiterate violazioni delle leggi generali o regionali», ritiene che l’aggettivo «regionale» vada al di là del pensiero dell’onorevole Mortati, perché l’Assemblea Regionale non viola una legge regionale se ne fa un’altra: direbbe se mai: «…violazione dello Statuto regionale».

PRESIDENTE mette intanto ai voti la formula: «gravi violazioni» senza altri aggettivi.

(È approvata).

BOZZI aggiungerebbe, all’aggettivo «gravi», l’altro «persistenti», dicendo: «gravi o persistenti violazioni».

LAMI STARNUTI è contrario a questa formulazione, perché l’alternativa potrebbe portare allo scioglimento dell’Assemblea per fatti anche lievi.

NOBILE non trova felice la sostituzione della parola «reiterate» con «persistenti».

VANONI se la parola «persistenti» deve sostituire quella «reiterate», vorrebbe però rimanesse chiarito che si deve trattare di una violazione ripetuta parecchie volte.

CONTI è contrario all’aggettivo «reiterate», perché ciò significa ammettere una violazione del sistema che non è ammissibile tollerare.

PRESIDENTE mette ai voti la formula alternativa: «o reiterate».

(Non è approvata).

Mette ai voti la formula del testo Mortati: «e reiterate».

(Con 14 voti favorevoli e 14 contrari, non è approvata).

MORTATI propone la formulazione: «violazioni delle leggi generali o dello Statuto regionale».

PRESIDENTE non è favorevole a questa dizione perché lo Statuto regionale deve essere emanato con una legge dello Stato.

Mette in votazione l’inciso: «o dello Statuto regionale».

(Non è approvato).

Rilegge la formulazione fin qui approvata:

«Può essere disposto lo scioglimento dell’Assemblea regionale quando questa compia atti contrari all’unità nazionale o gravi violazioni delle leggi».

Fa presente che ora si passa all’argomento che era considerato nell’articolo 15: «e altresì nel caso che essa nonostante la segnalazione fattale dal Governo, non provveda alla sostituzione della Deputazione Regionale e del suo Presidente, i quali si siano resi responsabili di analoghi atti o violazioni».

Ricorda che l’onorevole Lussu ha proposto di sopprimere tutta questa parte e pone ai voti la proposta dell’onorevole Lussu.

(Non è approvata).

Apre la discussione sulla formulazione ora letta.

LUSSU nota una contraddizione nel fatto che mentre all’Assemblea Regionale non è consentito compiere atti gravi, questo viene consentito invece alla Deputazione, la quale rimane in carica almeno fino a quando il Governo centrale non avrà invitato l’Assemblea Regionale a sostituirla.

VANONI ritiene che vi sia un errore di interpretazione del sistema da parte dell’onorevole Lussu, perché qui si prevede l’ipotesi che, o l’Assemblea non abbia avuto la sensibilità politica di rilevare la violazione compiuta dalla Deputazione Regionale o, avendola rilevata, abbia solidarizzato con essa: ed in questo caso interviene il Governo centrale. L’ipotesi prospettata invece dall’onorevole Lussu non deve essere disciplinata esplicitamente nella Costituzione, perché riguarda il normale funzionamento dell’Assemblea Regionale nei suoi rapporti con la Deputazione.

ZUCCARINI trova questa disposizione molto grave. Ritiene che si possa ammettere il principio dello scioglimento dell’Assemblea anche per le violazioni commesse dalla Deputazione, ma che non si debba dare al potere esecutivo la potestà di invitare l’Assemblea a mutare la propria Deputazione, in quanto ciò sarebbe in contrasto con il concetto della sovranità popolare.

PRESIDENTE non intende risollevare la questione già posta dall’onorevole Lussu, ma vede nella disposizione in discussione un atto di deferenza o almeno di riconoscimento del potere dell’Assemblea e della sovranità del popolo nella Regione, in quanto l’Assemblea stessa è invitata a scegliere la Deputazione dopo di aver dimesso quella che si è resa colpevole della violazione.

Pone pertanto ai voti la formulazione dell’onorevole Mortati nel testo già letto.

(È approvata).

Esaurito così il primo comma, pone ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Targetti, Lami Starnuti e Rossi:

«Del pari lo scioglimento può essere deciso nel caso in cui l’Assemblea Regionale non abbia provveduto, nonostante il richiamo da parte del Governo dello Stato, alla elezione della Deputazione e del Presidente».

(È approvato).

MORTATI nel secondo comma, dopo le parole: «lo scioglimento è pronunciato con decreto motivato del Presidente della Repubblica», aggiungerebbe le altre: «su decisione del Consiglio dei Ministri».

PRESIDENTE aderisce.

Ricorda poi le varie proposte di modifica alla seguente formulazione fatta dal Comitato: «su parere conforme del Consiglio di Stato in adunanza generale».

FABBRI insiste nel ritenere inutile qualsiasi parere, tanto più che esso rimane ora limitato al caso in cui lo scioglimento sia dovuto ad atti contrari all’unità nazionale.

VANONI vorrebbe fosse chiarito se il parere debba essere richiesto ad un organo di natura politica o ad un organo giurisdizionale. Crede che la Suprema Corte costituzionale di nuova creazione sia l’organo più adatto.

BOZZI non ritiene che il parere possa chiedersi al Consiglio di Stato, che, in adunanza generale, è un organo tecnico: ma osserva che anche il Senato e la Camera, in quanto organi deliberanti, non sono chiamati a dare pareri.

NOBILE lascerebbe la facoltà dello scioglimento dell’Assemblea Regionale al Governo, senza sentire il parere di altri organi, perché, di fronte ad eventuali atti di natura grave, esso può trovarsi nella necessità di agire rapidamente.

CODACCI PISANELLI spiega le ragioni per le quali il Comitato ha proposto il parere del Consiglio di Stato; e cioè perché normalmente esso è l’organo consultivo del Governo, quando questi debba compiere atti di una certa importanza.

MORTATI è contrario alla proposta dell’onorevole Nobile che può trovare sede più adatta quando si parlerà di stato di necessità o di pericolo pubblico. Ritiene che il parere sia necessario per ragioni politiche.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale sia richiesto in ogni caso un «parere».

(È approvata).

Poiché si tratta di decidere se il parere debba esser chiesto ad un organo giurisdizionale o ad un organo politico, mette ai voti la proposta che il parere sia richiesto e sia dato da un organo politico.

(È approvata).

Fa rilevare che gli organi politici sono: la prima Camera, la seconda Camera, l’Assemblea Nazionale.

Pone ai voti la proposta che lo scioglimento debba essere condizionato alla deliberazione dell’Assemblea Nazionale.

(Non è approvata).

Dichiara che personalmente è favorevole a che il parere sia dato dalla prima Camera, per le speciali situazioni che possono verificarsi, per il fatto che la seconda Camera è più interessata ai problemi regionali; tanto che l’onorevole Mortati stesso propone che i rappresentanti della Regione interessata, nella seconda Camera, debbano astenersi dal voto. Di più, questo nuovo potere dato alla seconda Camera farebbe accrescere la sua autorità nei confronti della prima e delle masse popolari in genere.

VANONI è favorevole a che il parere sia dato dal Senato perché, a suo avviso, il pericolo sta non in una attività dell’Assemblea Regionale contraria alle leggi fondamentali dello Stato, avverso la quale v’è la garanzia della Corte suprema, ma in una eventuale attività concertata del Governo e della prima Camera, che potrebbe portare alla eliminazione di fatto delle autonomie regionali attraverso successivi scioglimenti degli organi regionali. Crede perciò che la base regionale di formazione del Senato dovrebbe garantire contro queste eventualità.

NOBILE e LA ROCCA si dichiarano favorevoli alla competenza della prima Camera, che è stata eletta con suffragio universale e diretto e che non deve esser posta su un piede di inferiorità di fronte alla seconda.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che la deliberazione per lo scioglimento dell’Assemblea Regionale sia richiesta alla prima Camera.

(Non è approvata).

Pone ai voti l’inciso: «previa deliberazione conforme del Senato».

(È approvato).

Mette ai voti l’ultima parte del comma: «presa a maggioranza assoluta dei suoi membri e con l’astensione dal voto dei rappresentanti della Regione interessata».

(È approvata).

Fa notare che, nel comma seguente, l’onorevole Mortati propone la nomina di una «Commissione», invece che di un «Commissario». Pone perciò ai voti questa formulazione: «Con lo stesso atto che dispone lo scioglimento si provvederà alla nomina di una Commissione straordinaria».

(È approvata).

Circa la composizione di tale Commissione, fa notare che essa dovrebbe, secondo l’onorevole Mortati, essere «presieduta dal Commissario regionale e composta di quattro cittadini eleggibili all’Assemblea Regionale».

PERASSI, in analogia al sistema adottato dallo Statuto siciliano, propone che questa Commissione sia composta soltanto di tre membri.

MORTATI non insiste sul numero da lui proposto, purché nella Commissione vi sia una rappresentanza locale.

PRESIDENTE pone ai voti la formulazione: «di tre membri scelti fra i cittadini eleggibili all’Assemblea Regionale».

(È approvata).

Fa notare che nel comma seguente il termine di tre mesi fissato dal Comitato, entro il quale si dovranno indire le elezioni, è ridotto a due nel testo dell’onorevole Mortati.

Pone ai voti la formula: «la Commissione indirà le elezioni del decreto di scioglimento sulla Gazzetta Ufficiale».

(È approvata).

Quando al termine entro il quale dovrà convocarsi la nuova Assemblea, ritiene che esso sarà previsto o nella legge elettorale o nello Statuto regionale.

ZUCCARINI ricorda come già sia stato affermato che il Commissario, ed ora questa Commissione straordinaria, non possa compiere che atti di ordinaria amministrazione.

PRESIDENTE fa presente che circa i poteri di questa Commissione sono state presentate due formulazioni; quella che verrà approvata potrà formare oggetto di un articolo aggiuntivo 13-bis.

La prima è dell’onorevole Perassi:

«La Commissione straordinaria esercita le attribuzioni della Deputazione Regionale. In caso di urgente necessità può adottare provvedimenti in materia di bilancio di competenza dell’Assemblea, salvo ratifica».

L’altra dell’onorevole Mortati:

«La Commissione provvederà all’ordinaria amministrazione di competenza della Deputazione, salvo i provvedimenti di urgenza da sottoporre a ratifica dell’Assemblea».

VANONI desidera siano chiariti i poteri di questa Commissione; se cioè essi siano limitati alle funzioni della Deputazione o se comprendano parte o tutti quelli dell’Assemblea. Bisogna tener presente che il periodo in cui l’Assemblea è sciolta può coincidere con quello nel quale si devono, in base allo Statuto, approvare i bilanci.

LAMI STARNUTI propone di sostituire, nella proposta Mortati, alle parole: «provvedimenti di urgenza», le altre: «provvedimenti non dilazionabili».

MORTATI accetta questa variante.

PRESIDENTE delle due formulazioni presentate pone per prima ai voti quella più ampia dell’onorevole Mortati, con la modifica proposta dall’onorevole Lami Starnuti e accettata dal proponente.

(È approvata).

Dà lettura dell’articolo 13-bis che è così definitivamente formulato:

«La Commissione provvederà all’ordinaria amministrazione di competenza della Deputazione, salvo i provvedimenti non dilazionabili da sottoporre a ratifica dell’Assemblea».

Apre la discussione sull’articolo 14 del progetto del Comitato di redazione:

«Il Presidente della Deputazione Regionale rappresenta il Governo centrale nella Regione per le materie di competenza dello Stato che siano state delegate alla Regione per l’esecuzione.

«Egli è chiamato a partecipare, con voto consultivo, al Consiglio dei Ministri quando siano in discussione argomenti di speciale interesse per la Regione.

«Nel Capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Commissario, il quale esercita le funzioni politico-amministrative dello Stato non delegate alla Regione.

«Per gli atti dell’Amministrazione Regionale relativi a materie dallo Stato delegate alla Regione, il Commissario ne coordina l’opera in corrispondenza alle direttive generali che il Governo creda opportuno di emanare per tutte le Regioni».

MORTATI propone che il secondo comma, il quale tratta di una materia che si distingue dalle altre, sia esaminato a parte e prima degli altri.

PRESIDENTE crede che si possa accedere alla proposta Mortati.

(Così rimane stabilito).

Questo comma risulterebbe quindi così formulato: «Il Presidente della Deputazione Regionale è chiamato a partecipare con voto consultivo al Consiglio dei Ministri quando siano in discussione argomenti di speciale interesse per la Regione».

BOZZI domanda se sia un dovere o una facoltà del Consiglio dei Ministri il chiamare il Presidente della Deputazione Regionale a partecipare alle discussioni.

AMBROSINI, Relatore, chiarisce che, nell’intendimento del Comitato, si tratta di un obbligo.

LACONI fa notare la estrema genericità della frase: «argomenti di speciale interesse della Regione».

MORTATI fa presenti le conseguenze, talvolta paradossali, e tali da ripercuotersi sulla validità degli atti statali, a cui potrebbe portare questa formulazione del comma e propone o di sopprimerlo o di modificarlo così:

«Il Governo richiederà il parere della Regione prima di deliberare sulle materie che ritenga di speciale interesse regionale».

Ritiene che sarebbe preferibile eliminare tale disposizione, ma afferma che tale soluzione più radicale lo trova perplesso, data l’esistenza di una norma nello Statuto siciliano, la quale prescrive l’atto deliberativo del Presidente regionale in Consiglio dei Ministri. Vorrebbe evitare una disparità di trattamento tra le varie Regioni.

VANONI è favorevole alla soppressione di questo comma, perché stabilire l’obbligo per il Consiglio dei Ministri di chiamare il Presidente della Deputazione Regionale, potrebbe creare una complicazione anziché una semplificazione. Le funzioni del Consiglio dei Ministri nella nuova struttura dello Stato dovranno essere ridotte al minimo, mentre gli interessi della Regione sono largamente rappresentati dalla seconda Camera. Non vede perciò la necessità di questo intervento, anzi ritiene di dubbia opportunità la presenza del Presidente della Deputazione Regionale alle discussioni del Consiglio dei Ministri.

TOSATO si preoccupa della necessità di un certo collegamento tra Governo e Presidente della Deputazione Regionale: ma gli sembra preferibile rinviarlo semplicemente ad una legge con una formula più elastica la quale dica, ad esempio, che il parere del Presidente della Deputazione sarà sentito nei casi stabiliti dalla legge.

NOBILE è favorevole alla soppressione e non trova quindi necessario menzionare questa facoltà nella Costituzione, neanche facendo riferimento ad una legge speciale.

BORDON è favorevole a mantenere il comma, perché ritiene che le ragioni addotte dall’onorevole Vanoni si riferiscano soltanto ai casi d’urgenza.

MANNIRONI è d’avviso di mantenere questa disposizione, perché in molti casi sarà utile, se non necessario, sentire il parere del Capo dell’Assemblea Regionale,

PRESIDENTE dichiara il suo parere personale favorevole alla soppressione del comma. Pone ai voti la soppressione del secondo comma dell’articolo 14.

(È approvata).

Mette in discussione il primo comma dell’articolo 14.

NOBILE propone la seguente aggiunta: «Della esecuzione stessa egli risponderà al Governo centrale».

Ricorda di aver fatto notare, durante la discussione dell’articolo 11, che si era per errore omesso di far parola di una responsabilità di fronte al Governo anche nei riguardi dell’esecuzione delegata. Gli sembra questa la sede in cui se ne debba parlare.

MORTATI, data la delicatezza della materia, desidererebbe fosse chiarito se il Presidente della Deputazione regionale diventa organo dello Stato nell’esercizio di questa funzione chiamata delegata, o se la eserciti in proprio, quale organo della Regione. A seconda dell’una o dell’altra soluzione, adotterebbe due dizioni diverse. Ritiene altresì utile una precisazione preliminare, che potrebbe essere formulata nel seguente modo: «La Regione esercita con la propria organizzazione le funzioni di competenza dello Stato ad essa affidate ai sensi del precedente articolo 6», e ciò allo scopo di eliminare il pericolo, espresso come possibile da qualche collega, che si possano creare due serie di uffici, per le funzioni proprie e per quelle delegate.

Se si dovesse, delle due ipotesi sopra prospettate, accettare quella della delegazione governativa, si dovrebbe aggiungere «Il Presidente della Deputazione regionale assume per tali funzioni la rappresentanza del Governo e porta di fronte ad esso la responsabilità del loro adempimento». Se si accetta invece il criterio che il Presidente della Deputazione Regionale eserciti in proprio la funzione, cioè quale organo della Regione, si dovrebbe aggiungere: «Il Presidente della Deputazione regionale assume la titolarità di tali funzioni e ne diviene responsabile di fronte al Governo dello Stato». Nota l’importanza di questa distinzione, soprattutto ai fini dei ricorsi. La figura giuridica che viene ad assumere il Presidente della Deputazione è diversa a seconda che si consideri funzionario del Governo o della Regione.

VANONI domanda come debba intendersi questa responsabilità del Presidente della Deputazione Regionale di fronte al Governo; se cioè è una responsabilità politica o di carattere amministrativo.

MANNIRONI si dichiara favorevole alla eliminazione del principio che considera il capo della Deputazione Regionale come rappresentante del Governo in seno alla Regione, perché non ne vede la necessità né l’utilità. Una volta istituito il Commissario governativo che rappresenta il Governo in tutti i casi ed a tutti gli effetti, non vorrebbe si creasse un duplicato; tanto più che potrebbe sorgere la possibilità di contrasti pericolosi per la Regione e per l’unità dello Stato, quando si ammettesse che questo ha nella Regione due rappresentanti. La posizione dei due rappresentanti del Governo sarebbe sempre inutile e nociva, anche se ne fossero preventivamente determinate le funzioni o fossero stabilite le materie in cui ciascuno dovrebbe fungere da rappresentante del Governo. Il capo della Deputazione Regionale che rappresenti anche il Governo, ricorda troppo la figura del sindaco che è anche ufficiale del Governo. Il capo della Regione deve essere il rappresentante della Regione, non del Governo.

AMBROSINI, Relatore, espone i criteri che hanno guidato il Comitato nel delineare la figura del Presidente della Deputazione Regionale. Dato il sistema dell’autonomia, pensa che non possa essere chiamato a rispondere direttamente al Governo centrale. Rileva che l’organo centrale ha per altro la possibilità di premunirsi di fronte alle eventuali violazioni di legge commesse dal Presidente della Deputazione, soccorrendo in proposito il congegno combinato degli articoli 13 e 15 del progetto.

Quanto all’istituzione, nel capoluogo della Regione, di un Commissario del Governo chiamato a presiedere alle funzioni di competenza dello Stato, illustra le ragioni che indussero il Comitato a deliberare in tal senso. Fa notare che nel suo progetto originario egli aveva al riguardo proposto in modo alternativo l’instaurazione nella Regione di un solo organo, occupandosi del Commissario del Governo nella «variante» all’articolo 15; ma che il Comitato ritenne che potessero coesistere i due organi, cioè il Presidente della Deputazione ed il Commissario del Governo, venendo ad ognuno di essi attribuite funzioni diverse. Si arrivò così alla fusione del testo principale e della variante.

Espone le ragioni per le quali, tutto sommato, il sistema della doppia rappresentanza adottato dal Comitato è raccomandabile, dando esso la possibilità di dare nello stesso tempo soddisfazione alle diverse e complesse esigenze che debbono essere prese in considerazione.

UBERTI ritiene che la doppia rappresentanza del Governo possa essere mantenuta, data la diversità delle materie, ma anche se per le materie delegate alla Regione il Capo dell’Amministrazione regionale risponde al Governo, ciò non significa che dipenda direttamente da lui e che la sua responsabilità sia passibile di vere e proprie sanzioni.

LACONI è favorevole a che il Presidente della Deputazione sia contemporaneamente rappresentante del Governo centrale. Mette in rilievo l’aspetto bifronte che ha tutta la Regione e quindi anche la figura del Presidente della Deputazione. D’altronde, tale rappresentanza va intesa non nei confronti del Commissario, bensì verso l’amministrazione locale, nei confronti della quale il Presidente della Deputazione acquista la veste di rappresentante di quella legge generale che deve fare eseguire.

FABBRI è favorevole alla soppressione del primo comma. Si limiterebbe a dire che «nel capoluogo della Regione il Governo centrale è rappresentato da un Commissario, il quale esercita le funzioni politiche e amministrative dello Stato e corrisponde col Presidente della Deputazione Regionale per assicurare da parte dell’amministrazione locale l’adempimento delle funzioni e dei servizi delegati dal Governo centrale alle Regioni in conformità delle disposizioni della legge». Se il Presidente della Deputazione non adempie alle funzioni delegate, incorre nelle violazioni e mette in moto quelle sanzioni di cui si è parlato prima.

TOSATO anch’egli è favorevole alla soppressione del primo comma dell’articolo 14, anche perché gli sembra esista una contraddizione nei chiarimenti dati dal Relatore, secondo il quale le materie delegate alla Regione non sono delegate in senso tecnico, ma in virtù di un trasferimento di competenza. In questo caso cessa la competenza dello Stato, e comincia quella esclusiva della Regione: nel primo caso la competenza è dello Stato, mentre l’esercizio della competenza, sempre revocabile, viene assunto dalla Regione. Se si tratta di questo secondo significato, non si può parlare di rappresentanza del Governo; e perciò è favorevole alla soppressione del comma.

ZUCCARINI ha aderito alla proposta di soppressione del secondo comma ed ha presentato una aggiunta al primo comma così formulata: «In tal caso partecipa con voto consultivo al Consiglio dei Ministri». Spiega che in questo caso le materie sono ben specificate e verrebbe perciò che il rappresentante della Regione non fosse chiamato solo ad ascoltare, ma partecipasse a tutta la discussione ed anche ad eventuali deliberazioni. Non alla soppressione del primo comma dell’articolo sarebbe favorevole, ma a quella della seconda parte dell’articolo stesso, perché vede le conseguenze dei due poteri distinti nella Regione e vede accanto al Commissario una duplicazione di uffici e di servizi.

VANONI crede che se non si dice espressamente che il Presidente della Deputazione ha questa funzione di rappresentante del Governo per le materie delegate, vi potrebbe essere il dubbio che un atto compiuto dal Presidente in questa funzione di delega istituzionale sia un atto proprio del Presidente e quindi eventualmente impugnabile come tale; mentre con l’affermazione che in questo caso il Presidente esercita funzioni dello Stato, resta aperta la possibilità di tutte le impugnative in via gerarchica.

PERASSI è favorevole a mantenere il primo comma, ma, per precisarne meglio la portata, suggerisce un emendamento di forma ed una aggiunta. Anziché parlare di materie di competenza dello Stato «delegata per la esecuzione», formula forse un po’ troppo ampia, propone di dire: «per le funzioni amministrative di competenza dello Stato che siano delegate alla Regione per l’esecuzione». Si dovrebbe poi aggiungere: «Nell’esercizio di tali funzioni il Presidente è tenuto a conformarsi alle istruzioni del Governo».

LUSSU fa presente che il criterio politico seguito nella formazione di questa legge autonomistica è quello di creare un rapporto di reciproca, costante fiducia tra Regione e Governo e sarebbe errore politico negare la possibilità al Governo di delegare alla Regione alcune branche dell’Amministrazione.

UBERTI è contrario alla soppressione del comma, sia per non menomare l’importanza del Presidente della Deputazione, sia per non aumentare eccessivamente quella del Commissario governativo.

MORTATI è contrario alla soppressione del primo comma, perché ciò ingenererebbe una gran confusione circa il modo di regolare i provvedimenti relativi a queste due serie di funzioni.

PRESIDENTE pone ai voti la soppressione del primo comma dell’articolo 14.

(Non è approvata).

LACONI propone di dividere l’articolo in due parti distinte, come era originariamente, perché dalla sua lettura sembrerebbe che il rappresentante genuino e normale dello Stato nella Regione fosse il Presidente della Deputazione, mentre, almeno per le materie di cui lo Stato mantiene la competenza, il rappresentante genuino è il Commissario.

PRESIDENTE ritiene che la proposta Laconi potrà essere risollevata presso il Comitato di redazione definitiva del progetto.

Mette ai voti la prima parte del comma: «Il Presidente della Deputazione Regionale rappresenta il Governo centrale nella Regione».

(È approvata).

Fa presente che la seconda parte di questo comma è contenuta in un emendamento presentato dall’onorevole Perassi nella seguente formulazione: «…per le funzioni amministrative di competenza dello Stato che siano delegate alla Regione per l’esecuzione».

TOSATO è favorevole a questo emendamento, con l’intesa che, una volta approvato, resterà escluso l’ultimo comma del testo del Comitato.

PRESIDENTE mette ai voti la formulazione dell’onorevole Perassi testé letta.

(È approvata).

Quanto al problema delle responsabilità, non previsto nel progetto del Comitato, fa presente che esso è formulato nelle proposte degli onorevoli Nobile, Perassi e Mortati.

Proposta dell’onorevole Nobile:

«Dell’esecuzione stessa egli risponderà al Governo centrale e, per esso, al suo rappresentante nella Regione».

Proposta dell’onorevole Perassi:

«Nell’esercizio di tali funzioni esso è tenuto a conformarsi alle istruzioni del Governo».

Proposta dell’onorevole Mortati:

«Assume per tali funzioni la rappresentanza del Governo e porta di fronte ad esso la responsabilità del loro buon adempimento».

NOBILE, per semplificare, si associa alla proposta dell’onorevole Mortati, rinunziando alla propria.

TOSATO approva l’emendamento Perassi, perché per le materie delegate v’è la direttiva data direttamente dal Governo; ed inoltre perché in esso non si parla specificatamente di responsabilità.

LUSSU è contrario all’emendamento Mortati, perché ritiene che tale norma non debba trovar posto nella Costituzione, dal momento che è stato ammesso il principio che, se la Deputazione Regionale non adempie alle sue funzioni rispettando le leggi, il Governo può intervenire.

PRESIDENTE mette ai voti la formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

(Con 13 voti favorevoli e 13 contrari, non è approvata).

Mette ai voti la formulazione suggerita dall’onorevole Perassi.

(È approvata).

VANONI, circa la proposta aggiuntiva dell’onorevole Zuccarini («In tal caso partecipa con voto consultivo al Consiglio dei Ministri»), dichiara di esservi contrario, essendosi già escluso l’intervento del Presidente della Deputazione al Consiglio dei Ministri. Qui si tratta soltanto di una formula di decentramento di attività amministrativa per compiti per i quali altrimenti lo Stato dovrebbe creare un’organizzazione periferica.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta aggiuntiva dell’onorevole Zuccarini.

(Non è approvata).

Pone infine ai voti una proposta aggiuntiva dell’onorevole Mortati che però dovrebbe trovar posto all’inizio del comma e che suona così:

«La Regione esercita con la propria organizzazione le funzioni di competenza dello Stato ad essa affidate, ai sensi del precedente articolo 6».

(Non è approvata).

La seduta termina alle 20.25.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Farini, Finocchiaro Aprile, Grieco, Patricolo, Porzio.

MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

57.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie locali (Seguito della discussione)

Presidente – Di Giovanni – Rossi Paolo – Bozzi – Laconi – Nobile – Mortati – Ambrosini, Relatore – Mannironi – Perassi – Zuccarini – Conti – Piccioni – Tosato – Lussu – Uberti – Leone Giovanni – Fabbri – Bordon – La Rocca – Lami Starnuti.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sulle autonomie locali.

PRESIDENTE comunica che da parte del sindaco di Terni è pervenuta una richiesta, accompagnata da apposito progetto relativo alla creazione di una nuova Regione, che dovrebbe essere denominata «Umbro Sabina». Dà incarico all’onorevole Lussu di esaminare tale questione.

Fa presente poi la necessità di proseguire i lavori della Sottocommissione con una certa sollecitudine, visto che l’esame del testo della Costituzione da parte dell’Assemblea Costituente dovrà avere inizio il 20 gennaio.

Avverte infine che l’onorevole Mortati ha presentato all’articolo 12 del progetto del Comitato, su cui verte la discussione odierna già iniziatasi nella riunione antecedente, il seguente emendamento:

«I disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale sono comunicati al Governo, il quale, entro cinque giorni dal ricevimento, provvede alla loro inserzione nella seconda parte della Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

«Dopo trenta giorni da tale inserzione i medesimi, ove non ricorra l’applicazione del successivo comma, acquistano valore di legge e sono pubblicati, a cura del Ministro Guardasigilli, nelle forme prescritte per le leggi dello Stato.

«Nel termine di cui al precedente alinea il Governo, ove ritenga che la legge approvata sia incostituzionale, oppure riesca lesiva degli interessi della Nazione o di altre Regioni, può, con istanza motivata, richiedere un nuovo esame da parte dell’Assemblea regionale.

«Ove questa, a maggioranza assoluta dei suoi membri, rinnovi l’approvazione del progetto, o se vi introduca variazioni che siano ritenute affette da uno dei vizi indicati, il Governo, nel termine di 15 giorni dal ricevimento, ha la facoltà di proporre il ricorso, per i casi di incostituzionalità, alla Suprema Corte di Giustizia costituzionale, e, per i casi di conflitto di interessi, all’Assemblea nazionale, onde ottenere la pronuncia di invalidità del progetto.

«La procedura dell’esame innanzi all’Assemblea è regolata con apposita legge.

«Contro le leggi della Regione, pubblicate a norma del primo comma, è esperibile l’azione di incostituzionalità secondo le norme generali».

Ricorda che all’articolo 12, nella riunione antecedente, sono stati presentati anche altri emendamenti da parte degli onorevoli Rossi, Calamandrei, Nobile e Bozzi.

DI GIOVANNI propone di aggiungere alla fine dell’articolo 12 il seguente comma:

«Nelle leggi delle Regioni, là dove sono impegnati i diritti e gli interessi delle classi lavoratrici, non si possono adottare norme o creare condizioni meno favorevoli di quelle garantite dalle leggi dello Stato».

PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Di Giovanni non è pertinente all’articolo in discussione e potrà quindi essere esaminata in altra occasione.

ROSSI PAOLO desidera rispondere ad alcune osservazioni fatte a proposito degli emendamenti da lui proposti all’articolo 12 insieme all’onorevole Calamandrei.

Gli onorevoli Tosato e Fabbri hanno disapprovato il principio per cui un disegno di legge, approvato da un’Assemblea ragionale, dovrebbe essere pubblicato due volte nella Gazzetta Ufficiale prima di diventare legge. Non vede però come si possa ovviare alla necessità di tale doppia pubblicazione, se il ricorso per l’annullamento dei progetti di legge deve essere consentito anche alle Regioni.

Gli onorevoli La Rocca e Laconi hanno sostenuto che la facoltà di impugnativa dovrebbe essere attribuita anche al Parlamento. L’attuazione di una simile proposta gli sembra assai difficile. Innanzi tutto, è da osservare che, se fosse accolta la proposta secondo cui l’Assemblea nazionale dovrebbe essere chiamata a decidere sul ricorso per motivo di conflitto di interessi, il Parlamento riunito in Assemblea nazionale verrebbe ad essere giudice e sarebbe assai strano che esso nello stesso tempo dovesse essere anche il promotore del ricorso. In secondo luogo, sarebbe assai difficile risolvere il problema della certezza dei termini, se anche al Parlamento fosse consentita la facoltà di impugnativa. A tale proposito, infatti, ci si può domandare se sia possibile imporre un termine per l’impugnazione anche al Parlamento, e se esso possa essere costretto all’osservanza di un qualsiasi termine appositamente stabilito. In terzo luogo, sorge il quesito del modo con cui dovrebbe essere esercitata la facoltà di impugnativa, se, cioè, da parte di un solo rappresentante al Parlamento o da un dato numero di deputati. Da un punto di vista pratico, poi, se la facoltà in questione dovesse essere attribuita non solo al Governo, ma anche alle singole Regioni, sarebbe del tutto inutile concederla anche al Parlamento, visto che qualsivoglia gruppo politico potrebbe sempre trovare il modo di farla esplicare o dal Governo o dalla Regione o magari da un singolo cittadino.

A proposito, infine, dell’ultimo comma dell’emendamento, l’onorevole Mortati non s’è espresso favorevolmente. Si tratta di una disposizione secondo cui alla Suprema Corte costituzionale dovrebbe essere attribuita anche la facoltà di decidere sui conflitti negativi di competenza legislativa che possono sorgere tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni. Fautore di una tale disposizione è stato in principal modo l’onorevole Calamandrei, il quale ha osservato che può accadere che sia la Regione che lo Stato si dichiarino incompetenti a legiferare su una determinata materia: in tal caso nessuno dei due emanerebbe un qualche provvedimento che pur potrebbe essere necessario. Per riparare ad un simile inconveniente si dovrebbe appunto far ricorso all’opera della Suprema Corte costituzionale.

Termina affermando che tra gli emendamenti da lui proposti insieme all’onorevole Calamandrei e quelli dell’onorevole Bozzi e dell’onorevole Mortati non esistono sostanziali differenze: unica disparità di criterio, quella per cui egli ha ritenuto opportuno attribuire la facoltà di impugnativa anche alle Regioni.

BOZZI è del parere che, innanzi tutto, i disegni di logge approvati dalle Assemblee regionali debbano essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Si tratta in sostanza di una inserzione che non può avere altro valore che quello di una notificazione, che è indispensabile, perché a tutti deve essere data la possibilità di venire a conoscenza dei provvedimenti adottati dalle Regioni.

Gli sembra che tutti siano d’accordo nell’ammettere che la facoltà di impugnativa possa essere esercitata in due casi: quando dal Governo i disegni di legge regionali siano ritenuti incostituzionali o siano ritenuti in conflitto con gli interessi della Nazione o di altre Regioni. La competenza nel primo caso non può spettare che alla Corte costituzionale, che è un giudice di legittimità; nel secondo, all’Assemblea nazionale che, trattandosi di una controversia di merito, dovrebbe sostituire una sua propria legge a quella adottata dalla Regione, per giungere ad un componimento degli interessi in contrasto.

Nell’emendamento da lui proposto non si prevede poi il procedimento del rinvio, che è ammesso invece nel progetto del Comitato di redazione e negli emendamenti degli onorevoli Mortati e Rossi-Calamandrei. Con tale procedimento i disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale e trasmessi al Governo, ove questo li ritenga contrari alla Costituzione o eccedenti i limiti di competenza della Regione, possono essere rinviati alla Assemblea regionale affinché li riesamini. Tale procedimento, a suo avviso, è inutile e dannoso, perché, oltre ad essere causa di una notevole perdita di tempo, implicando la necessità di determinate pubblicazioni, acuisce anche e drammatizza il conflitto fra la Regione e lo Stato. Nel caso in cui lo Stato ritenga che un disegno di legge regionale debba essere impugnato, è meglio che esso proceda senz’altro all’impugnativa senza rinviarlo alla Regione. È stato osservato da qualcuno che con ciò si toglierebbe alla Regione la possibilità di dirimere il conflitto; ma l’osservazione non è esatta, perché è vero proprio l’opposto, in quanto la Regione, di fronte all’impugnativa dello Stato, avrebbe sempre la possibilità di ritirare il disegno di legge e con ciò cesserebbe la materia del contendere, ossia si dirimerebbe il conflitto senza esasperarlo.

Quanto alla potestà di impugnativa dei disegni di leggi regionali, è del parere che debba essere attribuita soltanto al Governo. Nell’emendamento dell’onorevole Mortati non è precluso ad ogni singolo cittadino il diritto di impugnare la legge regionale; il che è giusto, ma soltanto quando il provvedimento regionale sia diventato legge alla stessa stregua di ogni altra legge dello Stato. Ma finché ciò non avvenga, nei diversi stadi che un disegno di legge regionale deve compiere per diventare legge, l’unico organo che possa adeguatamente valutare i vizi di legittimità o di merito di un progetto di legge approvato da una Regione non può essere che il Governo. Alle Regioni dovrebbe essere conferita soltanto la facoltà di prospettare al Governo l’opportunità che esso eserciti la sua potestà di impugnativa. È per questo che nel suo emendamento è detto esplicitamente che il Governo, anche su proposta di altre Regioni, può rimettere i disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale.

Ad attestare, infine, che sia compiuta tutta la procedura o che siano decorsi i termini per promuovere l’impugnativa, che cioè un disegno di legge regionale sia diventato legge, occorre, a suo avviso, una nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, accompagnata dal visto del Ministro Guardasigilli.

LACONI osserva che ciò che più interessa è stabilire a chi competa, durante il processo di formazione della legge regionale, la facoltà di promuovere l’impugnativa: se al solo Governo o anche alle Regioni e al Parlamento. A suo avviso, tale facoltà dovrebbe essere concessa, oltre che al Governo, anche al Parlamento. Ormai quasi tutti sono d’accordo nell’ammettere che il Governo possa ricorrere, per il controllo di legittimità, alla Corte costituzionale e per il controllo di merito all’Assemblea nazionale; ma allo stato attuale non è stata ancor presa alcuna decisione relativamente alla istituzione di una Corte costituzionale. Indubbiamente occorre fare una distinzione fra il controllo di legittimità e quello di merito: non per questo, però, si dovrebbe evitare di attribuire anche all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere l’impugnativa contro i disegni di legge approvati dalle Assemblee regionali, così come la si vuole concedere al Governo. In proposito si potrebbe, ad esempio, stabilire di accordare la possibilità di prendere tale iniziativa a un determinato numero di membri dell’Assemblea nazionale. Così anche il Parlamento potrebbe intervenire, il che gli sembra giusto, nel processo di formazione delle leggi regionali.

NOBILE non è favorevole agli emendamenti proposti dagli onorevoli Rossi e Calamandrei, perché gli sembra che essi contengano disposizioni troppo particolareggiate e quindi non adatte a un testo costituzionale.

Per quanto riguarda la questione della pubblicazione dei disegni di legge regionali sulla Gazzetta Ufficiale, ritiene che a una prima pubblicazione al solo scopo di notifica dovrebbe seguirne una seconda, cioè dei disegni di legge diventati legge, perché è necessario che tutti abbiano la possibilità di venire a conoscenza delle leggi approvate da ciascuna Regione. In ogni modo, torna a dichiarare che non gli sembra opportuno scendere a simili particolari in un testo costituzionale.

A proposito del procedimento di rinvio, a cui l’onorevole Bozzi si è dichiarato contrario, osserva che con esso si viene ad esercitare una facoltà assai meno grave e impegnativa di quella relativa al ricorso per annullamento. Col rinvio, da parte del Governo, del disegno di legge all’Assemblea regionale, si può rendere meno aspro il conflitto tra lo Stato e la Regione: il Governo infatti può suggerire all’Assemblea regionale di apportare alcune modifiche, che potrebbero anche essere di modesta importanza, a un dato disegno di legge, che la stessa Assemblea regionale potrebbe consentire. Così può cessare ogni motivo di dissidio fra lo Stato e la Regione.

Per tali considerazioni ritiene che il principio del procedimento di rinvio dovrebbe essere accolto dalla Sottocommissione.

Si domanda infine perché non debba essere affidata anche all’Assemblea nazionale la competenza per i ricorsi di legittimità. L’unico organo competente al riguardo non può essere, a suo avviso, che l’Assemblea nazionale, ed è per questo che egli ha proposto di modificare in tal senso il secondo comma dell’articolo 12. Tutto al più si potrebbe ammettere che l’Assemblea regionale possa ricorrere alla Corte costituzionale soltanto nel caso di una deliberazione ritenuta lesiva della Costituzione.

MORTATI, circa la proposta di accordare la facoltà di impugnativa anche alle Regioni, osserva che, se essa dovesse essere accolta, occorrerebbe assimilare tale facoltà di impugnativa a quella attribuita agli altri soggetti legittimati ad agire autonomamente in caso di incostituzionalità di una legge. Pertanto non ritiene opportuno il disposto contenuto nel testo dell’articolo 12 proposto dagli onorevoli Rossi e Calamandrei, secondo cui si considera a parte la disciplina del ricorso per annullamento promosso dalle Regioni.

Non è favorevole poi, per le considerazioni già svolte dall’onorevole Rossi, alla proposta di attribuire una facoltà autonoma di impugnativa alla Assemblea nazionale.

L’onorevole Bozzi ha affermato che, in casi di conflitto di interessi tra la Regione e lo Stato o fra quella e le altre Regioni, l’Assemblea nazionale dovrebbe provvedere con una sua propria legge, sostitutiva di quella della Regione, al componimento degli interessi in contrasto. Non crede che questo punto di vista possa essere accettato perché, se l’Assemblea nazionale avesse quella facoltà che l’onorevole Bozzi intende attribuirle, essa finirebbe con l’interferire nella competenza autonoma della Regione, con uno spostamento delle competenze che sarebbe anticostituzionale. L’Assemblea nazionale, a suo avviso, in caso di conflitto di interessi, dovrebbe avere soltanto una funzione dichiarativa e mai sostitutiva. A tale proposito desidera sapere dall’onorevole Ambrosini se il problema del conflitto degli interessi fra Stato e Regione si riferisca soltanto ai casi dell’articolo 3 o anche alle disposizioni di cui agli articoli successivi.

Dubita poi, che effettivamente convenga accettare la proposta dell’onorevole Bozzi di sopprimere, nel procedimento progettato, la fase preventiva del rinvio. Con esso, infatti, è possibile dirimere le controversie tra Stato e Regione, perché questa può non dare più corso al disegno di legge che ha dato luogo alle osservazioni del Governo, o può anche modificarlo nel senso prospettato dal Governo.

Bisognerebbe inoltre risolvere il problema della promulgazione delle leggi regionali. In questo campo non crede che possa intervenire il Capo della Regione, ma sarebbe forse da accogliere la proposta dell’onorevole Tosato, secondo cui la promulgazione dovrebbe essere fatta dal Capo dello Stato, e dovrebbe precedere la pubblicazione della legge regionale da effettuare a cura del Ministro Guardasigilli. Ma anche tale soluzione lascia perplessi, perché il Capo dello Stato diventerebbe un organo regionale.

Per il termine relativo all’entrata in vigore delle leggi regionali, ritiene opportuno adottare un termine fisso, che sia il medesimo di quello stabilito per le leggi dello Stato. Nello stesso tempo però dovrebbe essere lasciato alla Regione l’apprezzamento discrezionale di ridurre o no il periodo della vacatio legis.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che la facoltà di promuovere il ricorso per annullamento contro un disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale non ancora divenuto legge ai sensi del primo comma dell’art. 12 del progetto, non possa spettare che al Governo, secondo quanto ha proposto il Comitato di redazione. Non crede opportuno che si attribuisca lo stesso diritto alle altre Regioni, anche perché esse, come qualsiasi cittadino od ente, avrebbero il diritto di ricorrere in seguito contro la legge regionale divenuta esecutiva alla Corte costituzionale.

Egualmente non ritiene opportuna la proposta di attribuire all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere il ricorso per annullamento. La maggioranza dei componenti la Sottocommissione sembra ormai d’accordo nel voler affidare all’Assemblea nazionale il giudizio in materia di conflitto di interessi. Se un simile criterio fosse accolto e nello stesso tempo fosse anche accordata all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere l’impugnativa, si arriverebbe all’incongruenza che uno stesso organo, cioè il Parlamento riunito in Assemblea nazionale, sarebbe contemporaneamente promotore del ricorso e giudice.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Bozzi di sopprimere il procedimento di rinvio. Indica le ragioni per cui con l’accoglimento di tale proposta si rischierebbe di infrenare troppo la potestà legislativa dell’Assemblea regionale.

Osserva d’altra parte che il procedimento del rinvio non inasprirebbe, ma anzi renderebbe più facile la soluzione dell’eventuale contrasto fra Stato e Regione. Il processo di formazione delle leggi, con tale procedimento, indubbiamente si fa più lungo e complesso; ma per la possibilità di uno scambio di osservazioni e di proposte fra organi centrali e regionali, può succedere che taluni progetti di legge, affrettatamente approvati dalle Assemblee regionali, siano modificati e resi così più adeguati agli stessi interessi della Regione.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Nobile che la competenza in materia di risoluzione del conflitto fra Stato e Regione debba spettare soltanto all’Assemblea nazionale, perché con essa, se accolta, si interferirebbe nell’ordinamento generale dei procedimenti di impugnativa contro le leggi incostituzionali. Se a tal fine sarà istituita una Corte costituzionale, a cui ogni cittadino potrà rivolgersi in caso di violazione della Costituzione, perché non dovrebbe lo stesso organo decidere su una impugnativa promossa per eguali motivi dal Governo?

L’onorevole Laconi ha osservato che nulla ancora è stato deciso circa l’istituzione di un’Alta Corte costituzionale, quasi affermando implicitamente che, se l’Assemblea Costituente non dovesse approvare l’istituzione di tale supremo organismo, la facoltà di promuovere impugnativa e la competenza a giudicare sul conflitto non potrebbero essere attribuite che alla sola Assemblea nazionale. Ora, anche nell’ipotesi che non si addivenga alla creazione di un’Alta Corte costituzionale, il giudizio di legittimità, secondo il suo avviso, non potrebbe mai essere riservato all’Assemblea nazionale, ma dovrebbe competere al potere giudiziario. Del resto questo è il sistema che viene adottato nelle Costituzioni a tipo rigido.

L’onorevole Bozzi ha proposto che in caso di conflitto di interessi il Governo possa rinviare i disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale e che questa debba provvedere con legge al componimento degli interessi in contrasto, che debba cioè, in concreto, sostituirsi alla Regione nell’emanare le norme legislative. Ritiene che tale potere non debba essere conferito all’Assemblea nazionale, perché con ciò il Parlamento, in funzione di legislatore ordinario, verrebbe a interferire nella sfera della competenza legislativa attribuita dalla Costituzione alle Regioni. Il fatto che una Regione abbia ecceduto dai suoi poteri non può autorizzare il Parlamento a togliere all’Assemblea regionale di quella Regione una potestà legislativa che le è propria. Il parlamento dovrebbe avere la sola potestà di invalidare le leggi della Regione che ritenesse lesive dell’interesse nazionale.

L’onorevole Mortati ha infine richiesto se la clausola della salvaguardia degli interessi nazionali si riferisca soltanto all’articolo 3 o valga anche per le disposizioni di cui agli articoli successivi. A tale domanda non si può rispondere che affermativamente, perché, se la clausola anzidetta deve sussistere per l’esercizio della maggior potestà legislativa attribuita alle Assemblee regionali a norma dell’articolo 3, essa deve sussistere anche quando la potestà normativa delle Regioni, di cui agli articoli successivi, si esplica entro limiti più circoscritti.

MANNIRONI osserva che il testo dell’articolo 12, presentato dal Comitato di redazione, è assai più semplice e schematico delle varie formulazioni dello stesso articolo proposte da alcuni colleghi. È del parere, quindi, che il testo anzidetto possa essere approvato, purché vi siano apportate alcune modificazioni.

Tra queste la più importante è quella per cui la facoltà di promuovere il ricorso dovrebbe essere attribuita non solo al Governo ma anche alle Regioni, e ciò per evidenti ragioni di reciprocità.

Non è favorevole poi alla proposta dell’onorevole Bozzi di sopprimere il procedimento del rinvio, perché con esso effettivamente, come altri ha già rilevato, si può addivenire a una conciliazione del contrasto fra lo Stato e la Regione.

Circa, infine, la proposta che le leggi regionali siano promulgate dal Capo dello Stato e vistate dal Ministro Guardasigilli, ritiene che ciò non sia necessario, perché, per provare l’autenticità delle leggi regionali, potrebbe bastare soltanto la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

PERASSI è del parere che convenga ammettere il procedimento del rinvio, così come esso è stato predisposto nel testo dell’articolo 12 del Comitato. Si tratta effettivamente di un espediente pratico ed utile per attutire i contrasti tra Stato e Regione.

Ritiene che la competenza a giudicare dei ricorsi nei casi di incostituzionalità debba spettare alla Corte di Giustizia costituzionale, mentre quella a giudicare dei ricorsi per lesione dell’interesse nazionale possa essere attribuita al Parlamento.

Circa la pubblicazione dei disegni di legge regionali, è del parere che la loro inserzione nella Gazzetta Ufficiale non sia necessaria: ciò che gli sembra indispensabile, invece, è che le Assemblee regionali trasmettano al Governo il testo dei disegni di legge da esse approvati, per dare possibilità al Governo di valersi del procedimento del rinvio, se ciò risulterà necessario. Quanto alla pubblicazione in senso proprio, ai fini cioè della conoscenza generale e della consacrazione della autenticità della legge, ritiene che dovrebbe essere fatta su un foglio o bollettino locale e dovrebbe precedere, non già la pubblicazione, ma la semplice inserzione delle leggi regionali nella Gazzetta Ufficiale. È un procedimento questo, che per alcuni atti, ad esempio per la pubblicazione dei bandi, è stato sempre usato nel nostro Paese.

Quanto alla promulgazione delle leggi regionali, non reputa opportuno che essa sia fatta dal Capo dello Stato. A suo avviso si dovrebbe affidare tale incarico al Presidente dell’Assemblea regionale, conformemente a quanto, ad esempio, avviene in Svizzera, dove le leggi federali sono pubblicate a firma del Presidente dell’Assemblea federale.

PRESIDENTE fa presente che non si può procedere all’approvazione dell’articolo 12 seguendo il testo del Comitato di redazione, perché gli articoli formulati da alcuni colleghi come emendamenti non coincidono, comma per comma, con il testo dell’articolo in esame. Converrà quindi mettere in votazione i principî relativi alle varie questioni e proposte fatte nel corso della discussione e redigere in seguito il testo definitivo dell’articolo sulla base dei principî approvati.

Mette pertanto in votazione il primo principio: che i disegni di legge, approvati dalle Assemblee regionali, debbano essere comunicati al Governo centrale.

(È approvato).

Viene ora in discussione il quesito se i disegni di legge, approvati dalle Assemblee regionali, debbano anche essere comunicati all’Assemblea nazionale, in armonia alla proposta, fatta dagli onorevoli Ravagnan e Laconi, che si dia anche all’Assemblea nazionale la possibilità di farsi parte diligente nel procedimento di impugnativa. A tale riguardo tiene ad esprimere la sua opinione personale che, come il controllo sugli atti dei Comuni sarà esercitato da un organo che potrà trovare la sua base nelle Assemblee regionali, così il controllo sugli atti delle Regioni dovrebbe essere esercitato da un organo, emanazione dell’Assemblea nazionale.

MORTATI osserva che la questione in esame è connessa con quella della pubblicazione perché, se si stabilisce che la comunicazione dei disegni di legge al Governo debba essere seguita dalla loro pubblicazione, diventa inutile che essi siano comunicati anche all’Assemblea nazionale.

BOZZI fa presente che si potrebbe stabilire che i disegni di legge debbano essere dalla Regione comunicati al Governo e dal Governo inseriti nella Gazzetta Ufficiale e comunicati all’Assemblea nazionale.

PRESIDENTE rileva che una comunicazione diretta all’Assemblea nazionale starebbe a significare che questa è investita della facoltà di promuovere il procedimento di impugnativa, secondo la proposta fatta dagli onorevoli Ravagnan e Laconi. È ciò che appunto occorre tenere presente a proposito della questione in esame.

ZUCCARINI è favorevole alla comunicazione dei disegni di legge regionali anche all’Assemblea nazionale, perché gli pare ovvio che il Parlamento abbia il pieno diritto di tenersi al corrente della legislazione regionale.

CONTI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Zuccarini.

PICCIONI è pure favorevole alla comunicazione dei disegni di legge regionali all’Assemblea nazionale, ma con la riserva di discutere la funzione di controllo del Parlamento.

TOSATO è invece contrario a tale comunicazione, perché ciò potrebbe far supporre una antitesi fra Governo e Parlamento, ipotesi che senz’altro deve essere scartata.

LUSSU non approva il principio che i disegni di legge regionali debbano essere comunicati anche all’Assemblea nazionale, perché con ciò il Parlamento sarebbe investito di una facoltà che può essere lasciata al Governo, in quanto questo, in un regime parlamentare, rappresenta sempre la volontà della maggioranza.

AMBROSINI, Relatore, ritiene inutile la comunicazione dei disegni di legge regionali anche all’Assemblea nazionale, salvo che con ciò non si voglia ammettere pregiudizialmente la facoltà del Parlamento a promuovere l’impugnativa.

PRESIDENTE mette in votazione il principio che i disegni di legge approvati dalle Assemblee regionali debbano essere comunicati anche all’Assemblea nazionale.

(Non è approvato).

Avverte che ora è in discussione la proposta relativa alla inserzione, a cura del Governo centrale, dei disegni di legge regionali nella parte della Gazzetta Ufficiale della Repubblica destinata soltanto alle informazioni e quindi non a dare autenticità ai testi dei provvedimenti ivi pubblicati. Mette in votazione il principio che il Governo centrale deve provvedere all’inserzione dei disegni di legge regionali nel notiziario della Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

(È approvato).

Circa il termine entro cui si deve provvedere all’inserzione anzidetta, ricorda le due proposte dell’onorevole Mortati (per un termine di 5 giorni) e dell’onorevole Bozzi (per un termine di 30). Crede che sia il caso di adottare un termine di una durata intermedia, cioè di 15 giorni, e mette in votazione il principio che il Governo debba provvedere alla inserzione suddetta entro 15 giorni dalla ricevuta comunicazione dei disegni regionali.

(È approvato).

UBERTI fa presente che alcune volte il testo delle leggi può essere assai lungo. Ciò considerato, e visto anche che la Sottocommissione ha approvato il principio che in un primo tempo i disegni di legge regionali debbano essere inseriti nel notiziario della Gazzetta Ufficiale, si domanda se non sia il caso che di essi sia data informazione soltanto con un annuncio e non già nel testo integrale.

LUSSU credeva che, con l’approvazione della proposta circa l’obbligo della inserzione dei disegni di legge regionali nel notiziario della Gazzetta Ufficiale, già fosse stata risolta la questione nel senso prospettato dall’onorevole Uberti. In ogni modo, tiene a dichiarare che non è favorevole all’inserzione dei disegni di leggi regionali nel testo integrale, perché, così facendo, essi verrebbero ad essere pubblicati due volte.

AMBROSINI, Relatore, dichiara che, poiché è stato accolto dalla Sottocommissione il principio della inserzione, aderisce alla proposta dell’inserzione nella Gazzetta Ufficiale del solo annuncio dei disegni di legge regionali.

LEONE GIOVANNI è favorevole all’inserzione nella Gazzetta Ufficiale del testo integrale, perché soltanto in tal modo è possibile evitare un conflitto di legislazione tra le diverse Regioni.

LACONI è pure favorevole all’inserzione del testo integrale,

PRESIDENTE mette in votazione il principio che i disegni di legge regionali debbano essere inseriti nel notiziario della Gazzetta Ufficiale della Repubblica nel loro testo integrale.

(È approvato).

Avverte che è in discussione la questione del procedimento di rinvio, e mette in votazione l’ammissione di tale procedimento.

(È approvata).

Circa i motivi per cui si può ritenere opportuno di rinviare all’Assemblea Regionale i disegni di legge, ricorda che nel testo proposto dall’onorevole Mortati si prevedono due casi: che la legge approvata sia incostituzionale, oppure che sia lesiva degli interessi della Nazione o di altre Regioni.

MORTATI dichiara che con la parola «incostituzionale» egli intende assorbiti anche i vizi per violazione delle leggi generali dello Stato e per incompetenza, dì cui alla formulazione proposta dagli onorevoli Rossi e Calamandrei.

FABBRI fa presente che occorrerebbe usare il termine «disegno di legge» e non già quello di «legge».

NOBILE chiede la votazione per divisione, perché egli intende votare soltanto per la formula «lesiva degli interessi della Nazione».

PRESIDENTE mette in votazione il principio che possa aver luogo il procedimento di rinvio perché si ritenga incostituzionale il disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale.

(È approvato).

Mette in votazione il principio che possa aver luogo il procedimento di rinvio perché il disegno di legge, approvato dall’Assemblea regionale, si ritenga lesivo degli interessi della Nazione.

(È approvato).

Mette in votazione il principio che possa aver luogo il procedimento di rinvio perché il disegno di legge approvato dall’Assemblea regionale si ritenga lesivo degli interessi di altre Regioni.

(È approvato).

Ricorda che sulla questione di chi possa promuovere il procedimento di rinvio è stato proposto che tale diritto spetti così al Governo, come all’Assemblea nazionale, e come pure alle stesse Regioni.

Mette in votazione il principio che il Governo abbia il diritto di promuovere il procedimento di rinvio.

(È approvato).

UBERTI ritiene che il diritto di promuovere il procedimento di rinvio debba spettare solo al Governo perché, per la presumibile brevità del termine entro cui potrà essere promosso il procedimento di rinvio, l’Assemblea nazionale non avrebbe modo di potersi riunire, e questo diritto sarebbe in pratica esercitato dalla Presidenza dell’Assemblea nazionale, il che non sarebbe opportuno.

LACONI osserva che, per evitare il sorgere dell’inconveniente accennato dall’onorevole Uberti, si potrebbe stabilire una procedura abbreviata.

TOSATO è contrario alla proposta di attribuire alla Assemblea nazionale il diritto di promuovere il procedimento di rinvio per le ragioni già esposte dall’onorevole Uberti.

AMBROSINI, Relatore, è pure contrario a che questo diritto debba spettare anche all’Assemblea nazionale.

FABBRI vi è egualmente contrario, anche perché ritiene che tale facoltà, attribuita al Governo, dovrebbe essere esercitata contemporaneamente all’altra, spettante sempre al Governo, di ricorrere, a seconda dei casi, alla Corte costituzionale o all’Assemblea nazionale. In altri termini, il Governo dovrebbe rinviare il disegno di legge all’Assemblea regionale per ragioni sostanziali, ossia adducendo quelle stesse motivazioni per cui verrebbe a ricorrere alla Corte costituzionale o all’Assemblea nazionale. Ciò servirebbe ad abbreviare la procedura legislativa.

PRESIDENTE rileva che l’osservazione dell’onorevole Fabbri è connessa con la questione relativa ai ricorsi per annullamento, su cui la Sottocommissione non ha preso ancora alcuna decisione.

ROSSI PAOLO è contrario ad attribuire all’Assemblea nazionale la facoltà di promuovere il procedimento di rinvio.

LUSSU vi è pure contrario.

NOBILE chiede che sulla questione in esame la votazione avvenga per appello nominale.

PRESIDENTE mette in votazione per appello nominale il principio che spetti anche all’Assemblea nazionale il diritto di promuovere il procedimento di rinvio.

Rispondono Sì: Grieco, Laconi, Nobile, Ravagnan, Terracini e Zuccarini.

Rispondono No: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Rossi Paolo, Targetti, Tosato e Uberti.

(Con 6 voti favorevoli e 18 contrari, non è approvato).

PERASSI, sul quesito successivo, ritiene inconcepibile attribuire a una Regione la facoltà di rinviare all’Assemblea di un’altra Regione un disegno di legge da questa approvato.

PRESIDENTE mette in votazione il principio che spetti anche alle Regioni la facoltà di promuovere il procedimento di rinvio.

(Non è approvato).

Sulla questione se il disegno di legge, rinviato dal Governo all’Assemblea regionale, debba essere sottoposto da questa a nuovo esame, mette in votazione il principio che l’Assemblea regionale deve riprendere in esame il disegno di legge ad essa rinviato.

(È approvato).

Avverte che ora è in questione la fissazione del termine, decorrente dalla inserzione nella Gazzetta Ufficiale, entro cui il Governo può promuovere il procedimento di rinvio.

BORDON propone che il termine anzidetto sia di 15 giorni.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Bordon.

(Non è approvata).

Mette ai voti la proposta che il termine sia di 30 giorni, secondo gli emendamenti degli onorevoli Bozzi, Mortati, Rossi e Calamandrei.

(È approvata).

Avverte che è in questione il principio secondo cui l’Assemblea regionale, qualora respinga le osservazioni del Governo, debba approvare nuovamente il disegno di legge ad essa rinviato con un numero di voti che raggiunga la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Lo mette ai voti.

(È approvato).

PERASSI osserva che occorre decidere se il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, diventi senz’altro legge oppur no.

PRESIDENTE fa presente che, secondo il parere espresso da alcuni, il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale non dovrebbe diventare legge, perché ciò starebbe a significare un potere prevalente della Regione su quello dello Stato.

PERASSI rileva che, secondo il testo dell’articolo 12 proposto dal Comitato, i disegni di legge approvati nuovamente dall’Assemblea regionale diventano senz’altro leggi.

ROSSI PAOLO si richiama al testo dell’emendamento da lui proposto, secondo cui il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale diventa legge, a meno che il Governo, entro 30 giorni dall’avvenuta nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non proponga ricorso per annullamento, che avrebbe effetto sospensivo. Per accelerare i tempi, propone che il termine suddetto sia ridotto a 15 giorni.

FABBRI è contrario a che il progetto, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, diventi legge, specie in considerazione del fatto che esso dovrebbe essere nuovamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dopo la nuova approvazione. Non è giusto, infatti, che i cittadini siano obbligati ad informarsi se un disegno di legge, dopo 30 giorni dalla sua pubblicazione, sia oppur no divenuto legge.

LEONE GIOVANNI osserva che sarebbe necessario coordinare l’effetto della impugnativa di fronte alla Corte costituzionale, per il caso in esame, con quanto dovrà essere stabilito da un punto di vista generale in materia di ricorsi avanti la stessa Corte costituzionale. In altri termini, non è in sede di discussione odierna che può essere risolto il quesito se l’impugnativa di una legge o di un atto amministrativo presso la Corte costituzionale debba avere carattere sospensivo o se, non avendo tale carattere, debba avere effetto retroattivo. Ciò considerato, crede opportuno sospendere ogni deliberazione sulla questione in esame, per poter conoscere quali saranno le norme che regoleranno il ricorso presso la Corte costituzionale.

LA ROCCA afferma che un’impugnativa senza effetto sospensivo sarebbe praticamente inutile e che pertanto occorre stabilire che, pendendo ricorso presso la Corte costituzionale, la legge regionale non ha efficacia esecutiva.

MANNIRONI è del parere che la legge regionale debba diventare esecutiva solo nel caso in cui il Governo non abbia proposto, nel termine ricorso per annullamento, o, prima di quel termine, quando il Governo abbia dichiarato che vi rinunzia.

PERASSI ritiene che sarebbe opportuno distinguere tra legge ed entrata in vigore della legge. Ammettendo, infatti, tale distinzione, si potrebbe stabilire che il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, diventi senz’altro legge, ma che questa non entri in vigore se, entro un dato termine, il Governo promuova il ricorso per annullamento.

LEONE GIOVANNI torna ad affermare che la questione in esame non può essere risolta, se prima non siano deliberate le norme in materia di ricorsi presso la Corte costituzionale. Fa presente che l’impugnativa contro leggi incostituzionali potrà essere promossa presso la Corte costituzionale, oltreché dal Governo, anche da ogni singolo cittadino. Quindi, tanto per quest’ultimo caso come per quello in discussione, probabilmente dovranno essere adottate identiche disposizioni. Insiste quindi nella proposta di rinvio.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che possa essere accolto il principio a cui s’ispira l’emendamento proposto dagli onorevoli Rossi e Calamandrei, secondo cui il disegno di legge, approvato nuovamente con la prescritta maggioranza qualificata dall’Assemblea regionale, diventi legge, a meno che dal Governo, entro un dato termine dall’avvenuta nuova pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non sia stato proposto il ricorso per annullamento.

LUSSU è favorevole al principio a cui si ispira l’emendamento degli onorevoli Rossi e Calamandrei. Raccomanda, però, che in sede di definitiva formulazione del testo della Costituzione sia fissata una modalità per obbligare la Corte costituzionale a pronunciarsi nel più breve tempo possibile sulla validità della legge regionale impugnata.

MORTATI rileva che nel testo proposto dagli onorevoli Rossi e Calamandrei esiste una contraddizione; infatti, esso dice che il progetto nuovamente approvato dall’Assemblea regionale «diventa legge, a meno che il Governo non proponga il ricorso per annullamento». Ove sia proposto ricorso, quindi, il progetto non diventerebbe legge. In ogni modo ritiene che l’impugnativa promossa dal Governo non dovrebbe avere altro scopo che quello di ottenere una pronuncia dichiarativa di invalidità, non già della legge, ma del progetto riesaminato dall’Assemblea regionale. Tale caso, quindi, non dovrebbe essere assimilato ai comuni casi di incostituzionalità delle leggi. È proprio per questo che non si dovrebbe attribuire vigore di legge a un progetto che si ritenesse lesivo dell’interesse nazionale.

PRESIDENTE condivide il punto di vista espresso dall’onorevole Mortati circa la differenza tra il caso in esame e i comuni casi di incostituzionalità delle leggi.

In ogni modo, poiché l’onorevole Leone insiste nella sua proposta, la mette in votazione.

(Non è approvata).

Prima di procedere innanzi nella discussione, ritiene opportuno stabilire il principio secondo cui il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, dev’essere di nuovo comunicato al Governo, perché questo dev’essere messo in grado di sapere se le sue proposte sono state accolte dall’Assemblea regionale stessa. Mette in votazione questo principio.

(È approvato).

Si dovrebbe ora decidere se il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, debba essere oppur no pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

AMBROSINI, Relatore, osserva che la pubblicazione dovrebbe essere immediata.

NOBILE ricorda che la Sottocommissione ha già approvato il principio dell’inserzione del testo integrale del disegno di legge nel notiziario della Gazzetta Ufficiale. Per il caso in esame basterebbe quindi adottare il criterio di pubblicare soltanto le variazioni apportate dall’Assemblea regionale al testo del disegno di legge rinviato dal Governo.

PRESIDENTE, avendo riesaminata la questione, ritiene che, prima di stabilire se il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale debba, o pur no essere pubblicato, convenga decidere quali debbano essere i titolari del diritto di ricorso, se, cioè, il Governo soltanto o anche l’Assemblea nazionale e le stesse Regioni. Difatti, se il diritto di impugnativa dovesse spettare soltanto al Governo, non sarebbe necessario procedere a una nuova pubblicazione del disegno di legge riesaminato dall’Assemblea regionale: per la decorrenza del termine entro cui potrebbe essere esperito il ricorso per annullamento, sarebbe sufficiente la data dell’avvenuta ricomunicazione del disegno di legge al Governo da parte dell’Assemblea regionale. Lo stesso non si potrebbe dire se i titolari del diritto di impugnativa dovessero anche essere l’Assemblea nazionale e le stesse Regioni.

Mette quindi in votazione il principio della attribuzione al Governo del diritto di impugnativa.

(È approvato).

Mette in rotazione il principio dell’attribuzione all’Assemblea nazionale del diritto di impugnativa.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio dell’attribuzione alle Regioni del diritto di impugnativa.

(Non è approvato).

Osserva che, poiché il titolare del diritto di impugnativa è soltanto il Governo, diventa inutile che il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, sia ripubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

In ogni modo, poiché qualche collega si è mostrato favorevole a tale pubblicazione, mette in votazione il principio per cui il Governo, prima che abbia reso noto se intenda o pur no valersi del diritto di ricorso, debba procedere alla pubblicazione del disegno di legge che nuovamente gli è stato trasmesso dall’Assemblea regionale.

(Non è approvato).

Avverte che è in discussione la durata del termine entro cui il Governo può esercitare il suo diritto di impugnativa. Propone che tale durata sia di 15 giorni e mette in votazione il principio che il Governo, entro 15 giorni dalla nuova comunicazione del disegno di legge fattagli dall’Assemblea regionale, possa esercitare il suo diritto di impugnativa.

(È approvato).

Fa presente che resta da decidere la questione, già precedentemente dibattuta, se il disegno di legge, nuovamente approvato dall’Assemblea regionale, prima della scadenza del termine entro cui il Governo può promuovere il ricorso per annullamento, debba avere o pur no efficacia di legge. Nelle varie proposte di emendamenti all’articolo 12, implicitamente o esplicitamente si accenna alla sospensiva. Ciò considerato, e tenuto conto delle osservazioni fatte nel corso della discussione, mette in votazione il principio per cui, prima della scadenza del termine già fissato entro cui il Governo ha facoltà di esercitare il diritto di impugnativa, il disegno di legge nuovamente approvato dall’Assemblea regionale diventa legge, ma senza efficacia esecutiva.

(È approvato).

MANNIRONI propone che le leggi nuovamente approvate dall’Assemblea regionale possano diventare esecutive prima della scadenza del termine già fissato entro cui il Governo ha facoltà di promuovere il ricorso per annullamento, purché il Governo stesso, prima appunto della scadenza di tale termine, rinunzi a esercitare il diritto di impugnativa.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Mannironi.

(Non è approvata).

Fa presente che occorre ora decidere se il Governo possa ricorrere alla Corte costituzionale per motivo di incostituzionalità e all’Assemblea nazionale per motivo di lesione degli interessi della Nazione o di altre Regioni, secondo quanto è stato proposto dagli onorevoli Bozzi, Mortati, Rossi e Calamandrei. Nella proposta del Comitato si prevedeva soltanto il ricorso alla Corte costituzionale; il Relatore onorevole Ambrosini ha però dichiarato di accedere al criterio a cui si ispirano gli emendamenti degli onorevoli Bozzi, Mortati, Rossi e Calamandrei, ritenendo che tali emendamenti abbiano incontrato il favore della maggioranza dei componenti la Sottocommissione.

Ma occorre decidere prima sulla proposta dell’onorevole Nobile, secondo cui il Governo può ricorrere in ogni caso soltanto all’Assemblea nazionale. La mette in votazione.

(Non è approvata).

Mette in votazione il principio per cui il Governo può ricorrere alla Corte costituzionale per motivi di incostituzionalità e di incompetenza o all’Assemblea nazionale per casi di lesione degli interessi della Nazione o di altre Regioni.

(È approvato).

Fa presente che è ora in discussione il quesito se l’Assemblea nazionale possa semplicemente invalidare la legge o, entrando nel merito, modificarla, provvedendo con nuova legge al coordinamento degli interessi secondo la proposta dell’onorevole Bozzi.

BOZZI avverte che è stato osservato che la sua proposta urterebbe contro il principio costituzionale, già acquisito, della cosiddetta competenza legislativa esclusiva della Regione e per tale ragione essa non potrebbe essere accolta. L’obiezione non gli sembra grave perché, ammessa la regola della competenza legislativa esclusiva delle Regioni, si potrebbe stabilire una eccezione a tale regola, disponendo che l’Assemblea nazionale possa provvedere con legge al coordinamento degli interessi in conflitto. Non bisogna portare la competenza legislativa esclusiva delle Regioni sino al punto di sopprimere la potestà legislativa del Parlamento, il quale, per altro, non potrebbe limitarsi a invalidare la legge, perché non è congegnato in modo da fungere quasi come Corte di cassazione.

AMBROSINI, Relatore, sostiene che l’Assemblea nazionale deve soltanto accertare il conflitto e non provvedere nel merito, perché altrimenti sarebbe violato il principio fondamentale di cui agli articoli 3 e 4.

PERASSI è favorevole al principio che l’Assemblea nazionale debba limitarsi a pronunciare sul conflitto, senza entrare nel merito e fare una nuova legge.

LACONI concorda con l’onorevole Bozzi nel ritenere che l’Assemblea nazionale, accertata l’esistenza di un conflitto tra l’interesse della Regione e quello nazionale, debba provvedere con legge al coordinamento dei contrastanti interessi.

PRESIDENTE è d’avviso che l’Assemblea nazionale, formata anche dai membri della seconda Camera, ossia dai rappresentanti degli interessi regionali, sia l’organo più competente a provvedere anche nel merito in caso di conflitto di interessi fra Regione e Stato.

FABBRI non è favorevole al punto di vista espresso dal Presidente. Il Parlamento, riunito in Assemblea nazionale, non può avere nel caso in esame altro compito che quello di annullare la legge, se con essa si è originato un conflitto fra gli interessi della Nazione e quelli della Regione. Soltanto quando tale compito sarà esaurito, ognuna delle due Camere potrà tornare ad avere la facoltà di promuovere una nuova legge.

PRESIDENTE mette in votazione il principio secondo cui l’Assemblea nazionale deve avere soltanto la competenza d’invalidare la legge.

(È approvato).

Avverte che è ora in discussione il quesito di quale organo sia competente a decidere se il ricorso sia di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale.

ROSSI PAOLO ricorda che la questione accennata dal Presidente è stata lungamente dibattuta. In un primo tempo si fu del parere che il giudice competente nel caso in esame dovesse essere l’Assemblea nazionale; poi sembrò più opportuno che dovesse essere la Corte costituzionale, visto che si trattava di risolvere un problema essenzialmente di carattere giuridico. È per questo che egli, insieme all’onorevole Calamandrei, ha proposto che, quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione debba spettare alla Corte costituzionale.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che, per non complicare il sistema in materia di ricorsi per annullamento, possa essere lasciata al Governo piena libertà di promuovere l’impugnativa, sia presso la Corte costituzionale, che presso l’Assemblea nazionale.

LEONE GIOVANNI è del parere che non possa essere lasciata al Governo questa piena libertà, perché esso è parte in causa, essendo il titolare dell’impugnativa. D’altra parte, nel caso in esame, la competenza non può essere attribuita neanche all’Assemblea nazionale, perché il Governo è espressione della maggioranza del Parlamento, e quindi l’Assemblea nazionale potrebbe avere lo stesso orientamento del Governo. L’unico giudice imparziale non può essere che la Corte costituzionale, che è al di fuori delle parti in causa. Ritiene pertanto che il ricorso debba essere sempre presentato alla Corte costituzionale, la quale, con un giudizio di delibazione, dovrebbe accertare se il ricorso sia di sua competenza o della Assemblea nazionale. Nel primo caso la Corte costituzionale naturalmente tratterrebbe presso di sé il ricorso per esprimere su di esso il suo giudizio; nel secondo, invece, dovrebbe trasmetterlo all’Assemblea nazionale.

LACONI è contrario alle proposte degli onorevoli Rossi e Leone, perché ritiene che, fra un organo democraticamente eletto dal popolo e un altro di cui ancora non è stato stabilito il modo di formazione, la preferenza debba senz’altro essere data al primo. Nel caso in esame occorre fare una questione non soltanto di competenza, ma anche di autorità, e l’autorità per dirimere un conflitto che sorga in una sede così alta e fra organi così qualificati non può averla che il Parlamento, in quanto organo rappresentante la sovranità popolare.

FABBRI è favorevole alla proposta dell’onorevole Leone, in quanto ritiene che con essa l’autorità del Parlamento non sia affatto menomata. Difatti, poiché nel caso di un’impugnativa si tratta soltanto di un giudizio che deve portare a invalidare una legge e non già a un provvedimento di merito, resta sempre intatta la facoltà del Parlamento di provvedere, nell’ambito della Costituzione, alle varie esigenze del Paese.

LUSSU si associa alla proposta dell’onorevole Leone, pur domandandosi se non sia il caso di attribuire alla sola Corte costituzionale la competenza sui ricorsi anche per motivi che non siano di legittimità. Ciò perché teme che, con il rinvio al Parlamento, la procedura per la definizione del ricorso possa diventare troppo lunga, con danno delle Regioni.

PERASSI è favorevole alla proposta degli onorevoli Rossi è Calamandrei, integrata con quella dell’onorevole Leone.

NOBILE è contrario alla proposta degli onorevoli Rossi e Calamandrei, perché ritiene che in tutti i casi la competenza debba spettare soltanto all’Assemblea nazionale.

LAMI STARNUTI osserva che il Parlamento, riunito in Assemblea nazionale, nel caso di un ricorso per annullamento, non agisce più come organo politico, ma come organo giurisdizionale. Ciò considerato, dichiara di essere favorevole al punto di vista espresso dall’onorevole Ambrosini.

MORTATI si associa alla proposta degli onorevoli Rossi e Calamandrei.

PRESIDENTE dichiara, prima di passare alla votazione delle varie proposte, di essere favorevole a quella dell’onorevole Ambrosini, secondo cui il Governo stesso verrebbe a decidere a quale fra i due organi, la Corte costituzionale e l’Assemblea nazionale, debba spettare la competenza sul ricorso.

Mette quindi in votazione la proposta dell’onorevole Leone, per cui il giudizio se il ricorso debba essere di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale deve sempre spettare alla Corte costituzionale stessa.

(Non è approvata).

Mette ai voti la proposta degli onorevoli Rossi e Calamandrei per cui, quando sia dubbio se il motivo di annullamento sia di competenza della Corte costituzionale o dell’Assemblea nazionale, il potere di decidere su tale questione deve spettare alla Corte costituzionale.

(È approvata).

Mette in discussione il principio contenuto nell’ultimo comma dell’emendamento degli onorevoli Rossi e Calamandrei, per cui alla Corte costituzionale dovrebbe spettare anche la decisione sui conflitti negativi di competenza legislativa che possano sorgere tra lo Stato e le Regioni o tra Regioni.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che il caso previsto nell’ultimo comma dell’emendamento degli onorevoli Rossi e Calamandrei assai difficilmente possa verificarsi. In ogni modo, a parte tale considerazione, è del parere che il legislatore non possa mai essere obbligato ad emanare disposizioni che non ritenga opportuno adottare.

Per tali ragioni, non reputa necessario includere nella Costituzione la norma proposta dagli onorevoli Rossi e Calamandrei.

ROSSI PAOLO ritira la sua proposta.

PRESIDENTE pone in discussione la questione relativa alla pubblicazione delle leggi regionali e alla loro promulgazione.

NOBILE fa la seguente proposta:

«La legge regionale, dopo che è divenuta definitiva, verrà sancita e promulgata dal Capo dello Stato o, in nome di questi, dal Rappresentante del Governo centrale della Regione».

Sono due diverse ipotesi e pertanto chiede la votazione dell’emendamento per divisione.

PERASSI propone che le leggi regionali siano pubblicate in un foglio regionale a cura del Presidente dell’Assemblea regionale. Nella Gazzetta Ufficiale si potrebbe tutt’al più fare un’inserzione; ma la pubblicazione valida agli effetti della decorrenza del termine per l’entrata in vigore della legge dovrebbe essere quella del Bollettino Ufficiale della Regione.

PRESIDENTE ricorda che nel testo dell’emendamento dell’onorevole Bozzi, circa la questione in esame, si propone che le leggi regionali debbano essere pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica con il visto del Ministro Guardasigilli.

UBERTI non ritiene opportuno che le leggi regionali siano vistate dal Ministro Guardasigilli, perché ciò potrebbe essere causa di un ulteriore prolungamento del processo di formazione delle leggi regionali, già per se stesso abbastanza lungo e complesso. Non è d’accordo poi con l’onorevole Perassi nel ritenere che le leggi regionali debbano essere pubblicate a cura del Presidente dell’Assemblea regionale. Le leggi nazionali non sono pubblicate a cura del Presidente della Camera, e analogamente non si può attribuire l’incarico di curare la pubblicazione delle leggi regionali al Presidente dell’Assemblea regionale. Il Capo della Regione è il Presidente della Deputazione regionale ed a lui deve essere affidato il compito della pubblicazione e della promulgazione delle leggi regionali.

PERASSI è decisamente contrario a che le leggi regionali debbano essere sanzionate dal Capo dello Stato. È questo un sistema che vigeva in Austria prima dell’avvento della Repubblica e non gli sembra che sia il caso di rifarsi a tale precedente.

Per quanto riguarda l’intervento del Ministro Guardasigilli, non ne vede la necessità, tanto più se sarà accolto il principio della pubblicazione in un foglio locale come prevalente su quella della Gazzetta Ufficiale.

AMBROSINI, Relatore, ritiene che le leggi regionali debbano essere pubblicate, oltre che nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, anche nel Bollettino Ufficiale della Regione, e propone di introdurre nell’articolo 12 una disposizione in tale senso.

In quanto al compito della promulgazione esso, a suo avviso, può essere affidato indifferentemente sia al Presidente dell’Assemblea regionale, che al Presidente della Deputazione regionale.

TOSATO propone una variante alla formula suggerita dall’onorevole Perassi nel senso che le leggi regionali debbano anche portare il visto del rappresentante del Governo centrale nella Regione.

PRESIDENTE mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba avvenire soltanto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba avvenire soltanto nel Bollettino Ufficiale della Regione.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba avvenire sia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica che nel Bollettino Ufficiale della Regione e che fra le due pubblicazioni la prevalenza debba spettare a quella sul Bollettino Ufficiale della Regione.

(È approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dal visto del Ministro Guardasigilli.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dalla firma del Capo dello Stato.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dalla firma del rappresentante del Governo centrale della Regione.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che la pubblicazione delle leggi regionali debba essere accompagnata dalla firma del Presidente dell’Assemblea regionale.

(Non è approvato).

Mette in votazione il principio che le leggi regionali debbano essere promulgate dal Presidente dell’Assemblea regionale e portare il visto del rappresentante del Governo centrale nella Regione.

(È approvato).

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Einaudi.

Assenti: Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Patricolo, Porzio.