Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI SABATO 4 GENNAIO 1947 (Prima sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(PRIMA SEZIONE)

4.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 4 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Potere esecutivo (Seguito della discussione)

Presidente – Bozzi – Tosato Relatore – Perassi – Mortati – Lussu – Fu– schini – Fabbri – Nobile – Einaudi – La Rocca Relatore.

La seduta comincia alle 17.25.

Seguito della discussione sul potere esecutivo.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 17:

«Responsabilità. – Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per violazione della Costituzione.

«In questo caso, su accusa dell’Assemblea Nazionale, sarà giudicato dalla Corte costituzionale».

BOZZI risolleva una questione già discussa in seno al Comitato di redazione, osservando che con questo articolo si ammette la irresponsabilità del Presidente soltanto per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, di modo che non sarebbe coperto da alcuna garanzia se, per esempio, commettesse un reato, laddove invece i membri delle due Camere sono esenti da perquisizioni domiciliari e non possono essere arrestati, senza l’autorizzazione a procedere della Camera di cui fanno parte. Se non si stabilisce qualche cosa del genere anche per il Presidente della Repubblica, egli avrà un trattamento di immunità inferiore a quello dei membri del Parlamento.

TOSATO, Relatore, fa presente che non si è inclusa nell’articolo alcuna disposizione riguardante la responsabilità penale per i reati comuni del Presidente della Repubblica, per ragioni di opportunità e convenienza.

PRESIDENTE rileva che tra le due ipotesi non v’è una perfetta analogia, in quanto per i membri delle due Camere l’autorizzazione a procedere viene concessa dalla Camera di cui l’accusato fa parte, mentre per il Presidente della Repubblica occorre determinare l’organo competente a concederla.

PERASSI cita il seguente articolo della Costituzione cecoslovacca, in cui il reato, compiuto a titolo privato dal Presidente, gode di un trattamento speciale: «Il Presidente della Repubblica non ha alcuna responsabilità politica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. La sua responsabilità non è impegnata se non in quanto egli si renda colpevole di alto tradimento o di violazione volontaria della Costituzione e delle leggi penali, ed è giudicato dal Senato costituito in Corte di giustizia».

TOSATO, Relatore, dà notizia della formula che ha sottoposto al Comitato e che questo non ha approvato: «Il Presidente non può essere sottoposto a procedimento penale, senza previa autorizzazione dell’Assemblea Nazionale».

BOZZI preferirebbe stabilire che, durante l’esercizio delle sue funzioni, il Presidente della Repubblica va esente da procedimento penale. Ritiene opportuna questa forma di esenzione processuale, ad evitare che il Presidente della Repubblica possa essere costretto a sedere sul banco degli accusati, sia pure in seguito ad autorizzazione dell’Assemblea Nazionale.

MORTATI informa che il Comitato ha omesso intenzionalmente ogni regolamentazione della responsabilità ordinaria del Presidente. Si tratta quindi di una lacuna volontaria della Carta costituzionale.

PRESIDENTE si rende conto delle ragioni politiche che possono aver consigliato a seguire questo criterio, ma personalmente è contrario a lasciare questa lacuna nella Costituzione, in quanto ritiene che il Presidente della Repubblica, come ogni altro cittadino, debba essere sottoposto, sebbene con certe cautele, alla legge. Né crede che il fatto che venga evitato il procedimento giudiziario possa essere sufficiente a salvaguardare il prestigio della carica, quando sulla persona del Presidente grava un’accusa o un sospetto di colpevolezza. Consiglia, pertanto, una disposizione del seguente tenore:

«Le norme previste nei confronti dei membri delle Assemblee legislative… ecc., sono applicabili al Presidente della Repubblica, sostituendo l’Assemblea Nazionale alle singole Assemblee».

LUSSU ricorda che in seno al Comitato egli è stato uno di quelli che hanno maggiormente sostenuto l’opportunità politica di tacere su questo argomento, per quanto si possa essere tutti d’accordo che il Presidente della Repubblica, qualora commetta un reato, debba essere chiamato a risponderne come qualsiasi altro cittadino.

BOZZI conviene con l’onorevole Lussu; ma fa osservare che, oltre all’ipotesi di reati dolosi, bisogna considerare anche quella dei reati colposi e dei reati perseguibili a querela di parte. È necessario, pertanto, circondare di garanzie la figura del Presidente della Repubblica anche in questi casi, mentre la questione non sorge per i reati che investono la sua figura morale, per i quali sarà travolto dall’opinione pubblica.

FUSCHINI concorda con coloro che sostengono che la Costituzione debba mantenere il silenzio sull’argomento.

FABBRI, premesso che i reati di lieve entità potrebbero essere coperti dalla prescrizione durante il periodo di durata in carica del Presidente, mentre quelli di una certa entità, per i quali l’azione non si prescriverebbe, potrebbero essere perseguiti quando il Capo dello Stato avesse cessato dalle sue funzioni, propone la seguente formula:

«Durante l’esercizio delle sue funzioni, il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedure penali, tranne che per violazione della Costituzione, nel qual caso, su accusa dell’Assemblea Nazionale, sarà giudicato dalla Corte costituzionale.

«La deliberazione di accusa dell’Assemblea Nazionale implica decadenza dalla carica».

Così nell’ipotesi, per esempio, di omicidio colposo – a meno che non sia di tale natura da intaccare la personalità morale del Presidente – il Procuratore della Repubblica potrebbe tenere in sospeso il procedimento fino alla cessazione dalle funzioni presidenziali.

Ritiene che al Presidente della Repubblica non si possano accordare le immunità concesse ai deputati senza alterare l’essenza di queste, che sono guarentigie inerenti ad una funzione sostanzialmente diversa da quella di carattere eminentemente rappresentativo del Capo dello Stato.

PRESIDENTE dichiara di preferire una lacuna ad una disposizione che conferisca un privilegio troppo grande al Presidente della Repubblica, il quale è sempre un cittadino fra i cittadini, anche se ricopre il più alto ufficio politico. Non ammetterebbe, infatti che per sette anni il Presidente della Repubblica non rispondesse alla giustizia del suo Paese.

NOBILE propone la seguente dizione:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto, durante il tempo che è in carica, a giudizio penale senza l’autorizzazione dell’Assemblea Nazionale».

FABBRI ripete che non gli sembra che possa giovare nei confronti del Capo dello Stato il principio che vale per ogni parlamentare. Occorrerebbe che l’Assemblea Nazionale pronunciasse contemporaneamente un giudizio di revoca – il che è da escludere, dato che non può essere revocato un mandato a termine – in quanto è inammissibile che un Capo dello Stato resti tale, pur essendo posto nella condizione di imputato.

LUSSU ricorda la dizione dell’articolo 59 della Costituzione francese: «Il Presidente della Repubblica non è responsabile che nei casi di alto tradimento. Egli può essere messo in istato di accusa dall’Assemblea Nazionale e rinviato all’alta Corte di giustizia, nelle condizioni previste dall’articolo 43».

Questa disposizione, tratta da una Costituzione ricca di esperienza, dovrebbe, a suo avviso, consigliare di accogliere la formula proposta dal Comitato.

FABBRI obietta che la Costituzione francese, con l’espressione: «non è responsabile che nei casi di alto tradimento», copre il Presidente dalla responsabilità per reati comuni.

NOBILE osserva che l’eventuale procedimento penale nei confronti del Presidente della Repubblica potrebbe essere considerato come uno di quegli impedimenti che comportano la sua sostituzione.

FABBRI insiste sul concetto che alla messa in stato d’accusa debba seguire la decadenza dall’ufficio, in quanto è inammissibile – data la speciale figura dell’imputato – che il Presidente della Repubblica continui ad esercitare le sue funzioni, o ne venga semplicemente sospeso, mentre è pendente contro di lui un procedimento penale.

MORTATI propone di sopprimere l’inciso: «per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni». In conseguenza, il primo comma dell’articolo 17 risulterebbe così concepito:

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile tranne che per violazione della Costituzione».

FABBRI preferisce la sua formula, che per i reati comuni implica soltanto una sospensione della procedura e l’archiviazione degli atti fino a quando il Capo dello Stato non decada dalla sua carica. Fa notare che, in sostanza, la sua formulazione è quella che conferisce minori privilegi al Capo dello Stato.

NOBILE, aderendo ad uno dei concetti espressi dall’onorevole Fabbri, modifica la sua proposta originaria come segue:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a giudizio per reati comuni, senza autorizzazione dell’Assemblea Nazionale.

«Egli non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per violazione della Costituzione.

«In ambedue i casi, su accusa dell’Assemblea Nazionale, decadrà dalla carica e sarà giudicato dalla Corte costituzionale».

PRESIDENTE, riepilogando, avverte che la Sezione si trova di fronte a quattro diversi testi: quello del progetto del Comitato, in cui non si parla di responsabilità penali per reati comuni, ma si stabiliscono soltanto le responsabilità in cui il Presidente della Repubblica può incorrere politicamente nell’esercizio delle sue funzioni; quello dell’onorebole Nobile, a tenore del quale il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a giudizio per reati comuni senza la previa autorizzazione dell’Assemblea Nazionale; quello dell’onorevole Fabbri, per una sospensione del procedimento penale; e quello dell’onorevole Mortati, con cui si sopprime l’inciso: «per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni».

PERASSI nota che, secondo la proposta dell’onorevole Nobile, la messa in stato di accusa produce la decadenza dalla carica. Non vede perché, una volta decaduto dalla carica, il Presidente della Repubblica debba essere sottratto al giudice comune e giudicato dalla Corte costituzionale.

FUSCHINI replica che è il reato (violazione della Costituzione) che implica la giurisdizione speciale.

PRESIDENTE obietta che in questo caso, se mai, non è la natura del reato, ma quella del reo che determina il ricorso alla giurisdizione speciale, perché, se così non fosse, tutti i cittadini colpevoli di violazione della Costituzione dovrebbero essere chiamati a comparire di fronte alla Corte costituzionale. Aggiunge che quanto ha osservato l’onorevole Perassi vale anche per la proposta Fabbri.

FABBRI spiega che, secondo il suo testo, la decadenza consegue unicamente alla violazione della Costituzione. Insiste, quindi, sulla sua formula, rilevando che non è concepibile la qualità di imputato, nei confronti del Capo dello Stato, se non dopo decaduto dalla carica, e nello stesso tempo non è giusto farlo decadere, se il suo reato non è tale da impressionare l’opinione pubblica. D’altro canto, non trova nemmeno logico che debba comparire per i reati comuni al cospetto della Corte costituzionale, anziché dinanzi al giudico ordinario.

PRESIDENTE è contrario alla formula dell’onorevole Fabbri, in quanto crede che dia l’impressione che il Presidente della Repubblica sia immune da ogni azione penale. Qualora la Sezione accogliesse il concetto dell’onorevole Fabbri, consiglierebbe di tradurlo in una formula più comprensibile, in cui si precisasse che il Presidente della Repubblica risponderà degli atti non attinenti alle sue funzioni una volta cessato dalla carica.

Comunque, rilevato che il dissenso dei colleghi verte sull’opportunità di ritenere il Capo dello Stato responsabile anche per i reati comuni, ovvero di sospendere la relativa procedura per tutto il periodo della sua durata in carica, pone ai voti la proposta dell’onorevole Fabbri:

«Durante l’esercizio delle sue funzioni il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedure panali, tranne che per violazione della Costituzione, nel qual caso, su accusa dell’Assemblea Nazionale, sarà giudicato dalla Corte costituzionale.

«La deliberazione di accusa dell’Assemblea Nazionale implica decadenza dalla carica».

Personalmente dichiara che voterà contro, perché ritiene che il Presidente della Repubblica in un regime democratico vada considerato come un cittadino fra i cittadini, e come ogni altro debba osservare le leggi e rispondere alla giustizia del proprio Paese.

(Con 5 voti favorevoli e 5 contrari, non è approvata).

Pone in votazione la prima parte dell’articolo proposto dall’onorevole Nobile:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a giudizio per reati comuni senza autorizzazione dell’Assemblea Nazionale.

«Egli non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per violazione della Costituzione».

(Non è approvata).

Pone ai voti il testo del primo comma dell’articolo 17, con la soppressione dell’inciso: «per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni». Tale testo risulta, quindi, così formulato:

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile tranne che per violazione della Costituzione».

(È approvato).

BOZZI domanda che cosa si intenda per «Costituzione»; se la Carta costituzionale soltanto o tutto il complesso delle leggi costituzionali.

TOSATO, Relatore, risponde che si allude a tutte le disposizioni aventi valore costituzionale, anche se non contenute nella Costituzione.

MORTATI, a proposito del capoverso, prospetta l’opportunità di stabilire che la decisione di porre in stato di accusa il Presidente della Repubblica debba esser presa con una maggioranza qualificata dell’Assemblea Nazionale, anziché a maggioranza semplice. Ciò costituirebbe una maggiore garanzia nei confronti di un’Assemblea desiderosa di sbarazzarsi del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE nota che una certa garanzia è già data dal fatto che si tratta di una deliberazione dell’Assemblea Nazionale e non di una Camera sola.

MORTATI fa rilevare che per l’elezione del Presidente della Repubblica è richiesta una maggioranza qualificata; la stessa procedura dovrebbe quindi seguirsi per deliberarne la decadenza.

BOZZI si associa.

TOSATO, Relatore, propone l’espressione: «dichiarata a maggioranza assoluta dei suoi componenti».

FABBRI insiste sul concetto che non si può ammettere che un Presidente della Repubblica resti in carica, nonostante che sia stato posto in stato d’accusa dalla maggioranza dell’Assemblea Nazionale. Ritiene che la deliberazione dell’Assemblea debba corrispondere ad un atto di revoca.

BOZZI fa rilevare che l’espressione «violazione della Costituzione» è piuttosto vaga, in quanto la violazione potrebbe riferirsi ad una norma secondaria, anche di carattere procedurale, della Carta costituzionale. In questo caso la disposizione diverrebbe di una gravità eccessiva.

PRESIDENTE risponde che anche la violazione di una norma procedurale è una grave mancanza quando è intenzionale.

Pone ai voti il secondo comma dell’articolo 17, così modificato:

«In questo caso, su accusa dell’Assemblea Nazionale, dichiarata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, sarà giudicato dalla Corte costituzionale».

EINAUDI, in quanto non ha fiducia nell’efficienza della Corte costituzionale, formula le sue riserve su tale disposizione.

(È approvato).

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo 18:

«Concorso e responsabilità del Governo per gli atti del Presidente. – Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido, se non controfirmato dal Primo Ministro e dai Ministri competenti che ne assumono la responsabilità».

(È approvato).

Apre la discussione sul Capo «Il Governo della Repubblica», dando lettura dei seguenti articoli del progetto:

«Art. 19. – Composizione del Governo e nomina dei Ministri. – Il Governo della Repubblica è composto del Primo Ministro e dei Ministri. (Variante: Il Governo della Repubblica è composto dal Primo Ministro, Presidente del Consiglio, e dei Ministri).

«Il Primo Ministro è nominato e revocato dal Presidente della Repubblica.

«I Ministri sono nominati e revocati dal Presidente della Repubblica su proposta del Primo Ministro».

«Art. 20. – Il Primo Ministro. – Il Primo Ministro è responsabile della politica generale del Governo. Mantiene l’unità d’indirizzo politico e amministrativo di tutti i Ministeri, coordina individualmente, e in Consiglio dei Ministri, le attività dei Ministri, presiede il Consiglio dei Ministri.

«Il Primo Ministro può assumere un Ministero soltanto ad interim.

«I Ministri sono responsabili degli atti dei loro Ministeri».

«Art. 21. – Presidenza del Consiglio e Ministeri. – La legge provvederà all’ordinamento della Presidenza del Consiglio.

«Il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri saranno pure stabiliti con legge».

Informa che l’onorevole Mortati propone di sostituire agli articoli 19 e 20 del progetto i seguenti:

«Art. 19. – Il Governo della Repubblica si compone del Primo Ministro, Presidente del Consiglio dei Ministri, e dei Ministri».

«Art. 19-bis. – All’inizio della legislatura l’Assemblea Nazionale è convocata per procedere alla formazione del Governo.

«La persona designata dal Capo dello Stato per la carica di Primo Presidente espone innanzi all’Assemblea le direttive politiche dell’azione governativa ed i principali mezzi proposti per la loro attuazione.

«Nel caso che tale programma sia approvato con il voto nominativo della maggioranza dei componenti l’Assemblea, il Capo della Stato investe nella carica il designato, e, su proposta di questi, procede alla nomina dei Ministri.

«Se entro un mese da tale nomina l’Assemblea non revoca la fiducia al Governo, questo rimane in carica per la durata di due anni, salvo non sia stata elevata accusa contro il Primo Ministro e salvo il caso di accettazione delle dimissioni da questo presentate.

«Durante tale periodo il Capo dello Stato, su richiesta e designazione del Primo Ministro, può procedere alla sostituzione di uno o più Ministri».

«Art. 19-ter. – Il Capo dello Stato potrà procedere allo scioglimento delle Camere, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, fino a 3 mesi prima della scadenza del termine di cui al precedente articolo, quando si determini tra il Parlamento e il Governo un persistente conflitto ritenuto gravemente lesivo dell’interesse nazionale.

«La decisione di procedere allo scioglimento deve essere preceduta dalla convocazione dell’Assemblea Nazionale, la quale dovrà formulare espressamente, su appello nominale e con il voto della maggioranza dei suoi membri, il motivo del dissenso con la politica governativa».

«Art. 20. – Il Primo Ministro è responsabile della politica generale del Governo. Egli cura il tempestivo adempimento degli impegni da questo assunto, nonché il mantenimento dell’unità di indirizzo politico ed amministrativo dei Ministeri, ed a questo scopo vigila sull’attività dei Ministri e la coordina, individualmente ed in Consiglio dei Ministri, risolvendo i contrasti che sorgano tra di essi».

«Art. 20-bis. – I Ministri sono responsabili degli atti od omissioni relativi ai compiti dei loro ministeri, nonché degli atti di politica generale cui concorrono». (Oppure: «I Ministri dirigono con piena autonomia, nell’ambito dell’indirizzo politico fissato dal Primo Ministro, gli affari dei loro ministeri e ne sono responsabili»).

MORTATI fa presente che i problemi che si pongono in questo Capo sono due: quello dei rapporti fra Governo e Parlamento (nomina del Presidente del Consiglio, fiducia, ecc.) e quello dell’ordinamento interno del Gabinetto. Posto che il primo richiederà un esame più approfondito, ritiene che per il momento la discussione dovrebbe essere limitata al secondo, nel senso di stabilire se debba farsi luogo ad una distinzione fra il Primo Ministro ed i Ministri agli effetti della responsabilità e se, nell’interno del Gabinetto, debba conferirsi una posizione di preminenza al Primo Ministro.

PRESIDENTE concorda.

NOBILE, premesso che con le norme proposte dal Comitato, in quanto si conferisce al Presidente della Repubblica la facoltà di scegliere il Capo del Governo, si torna ad un sistema parlamentare il cui ricordo è poco confortante, per le frequenti e lunghe crisi da cui è stato funestato, rileva che, ad evitare il ripetersi degli inconvenienti lamentali e ad assicurare al Governo quella stabilità che è nei voti di ognuno, la scelta del Primo Ministro dovrebbe avvenire attraverso il voto dell’Assemblea Nazionale. Propone, quindi, i seguenti emendamenti ispirati alle disposizioni della Costituzione francese:

Art. 19. – Sostituire al 2° e 3° comma: «Il primo Ministro ed i Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica su designazione dell’Assemblea Nazionale, dopo che egli abbia esposto all’Assemblea stessa il programma e la politica del Gabinetto».

Aggiungere in fine il seguente articolo:

Art. 24. – «Se nel corso del periodo normale della legislatura saranno intervenute due crisi ministeriali, il Presidente della Repubblica scioglierà l’Assemblea legislativa».

PRESIDENTE nota che nel terzo comma dell’articolo 19 del Comitato, si indica non solo chi provvede alla nomina dei Ministri, ma anche la persona che fa le relative proposte (il Primo Ministro).

TOSATO, Relatore, pone in evidenza che il Comitato ha proposto gli articoli di cui il Presidente ha dato lettura, richiamandosi alla prassi tradizionale, cioè a dire: il Presidente della Repubblica dà l’incarico di formare il Ministero dopo le consultazioni di rito; la persona che accetta forma il Gabinetto e lo presenta al Parlamento chiamato ad accordare o negare la fiducia. Quindi, la nomina del Primo Ministro solo formalmente è affidata al Presidente della Repubblica, perché sostanzialmente egli fa una proposta che le Camere sono libere di approvare o meno.

FUSCHINI dubita dell’opportunità del sistema innovatore suggerito dall’onorevole Mortati, a tenore del quale il Presidente del Consiglio espone il suo programma di Governo di fronte all’Assemblea Nazionale, per ottenerne la fiducia, prima ancora di aver composto il Gabinetto. Teme che, ove si segua tale criterio, possa accadere che l’Assemblea Nazionale approvi le direttive politiche dell’azione governativa, ma neghi poi la sua fiducia al Governo, non trovando di suo gradimento la composizione del Gabinetto, in quanto non rispecchiante esattamente la situazione politica del Paese.

A suo avviso, il parere dell’Assemblea Nazionale dovrebbe riguardare anche la scelta dei Ministri.

MORTATI nota che le osservazioni dell’onorevole Fuschini concernono il problema dei rapporti tra il Parlamento ed il Governo e, perciò, rientrano nella materia che formerà oggetto di discussione in una successiva seduta. Richiama, quindi, l’attenzione dei colleghi sull’opportunità di pronunciarsi in merito alla posizione giuridica del Primo Ministro: se, cioè, questa debba essere diversa da quella dei Ministri che verrebbero nominati in un secondo momento e su proposta, appunto, del Primo Ministro. A questo proposito fa presente che, sia negli articoli che ha proposto personalmente, sia in quelli del Comitato, la nomina del Primo Ministro ha un carattere pregiudiziale rispetto a quella dei Ministri, che dovrebbero, quindi, godere della fiducia tanto del Presidente della Repubblica che del Primo Ministro. Si concede, cioè, a quest’ultimo una maggiore discrezionalità nella scelta degli uomini che debbono consentirgli di realizzare un determinato indirizzo politico, appunto in quanto lo si considera responsabile della politica generale del Governo.

PRESIDENTE è contrario alla determinazione di una responsabilità esclusiva del Primo Ministro per la politica generale del Governo, per varie ragioni e principalmente per le conseguenze che ne possono derivare in un Governo di coalizione. In questo caso, concedere una simile prerogativa al Presidente del Consiglio dei Ministri, equivarrebbe ad autorizzarlo a condurre una politica di carattere personale, ossia a fare la politica di un partito della coalizione, anziché quella della coalizione nel suo complesso. L’esperienza insegna quale danno ciò possa rappresentare per il Paese, particolarmente nel campo della politica internazionale, in cui il Primo Ministro condurrebbe la politica che riterrebbe migliore, senza impegnare il Gabinetto a concretare le proprie direttive o senza sottoporgli le sue decisioni.

Disapprova, quindi, qualsiasi sistema che renda il Primo Ministro non solo il responsabile, ma addirittura l’ideatore della politica del Governo ed i Ministri suoi collaboratori unicamente nella realizzazione e non anche nella direzione della stessa.

LUSSU, una volta scartata l’idea di un Governo presidenziale – che personalmente non crede utile, nel nostro Paese – ritiene che occorra quanto meno dare al Primo Ministro una posizione che garantisca una omogeneità nelle direttive e nell’azione del Governo. È convinto che chi esamini obiettivamente l’attuale esperimento governativo non possa non notare la mancanza di ordine, di prestigio, di autorità, di direttive, non imputabili a colpa né del Primo Ministro, né dei Ministri. Poiché anche in avvenire non può escludersi la necessità di Governi di coalizione, bisogna per lo meno preoccuparsi che essi abbiano la necessaria omogeneità, nel senso che i partiti che ne facciano parte, pur avendo diversa struttura politica e diverse aspirazioni, concorrano con la loro volontà al raggiungimento di determinati obiettivi. A questo scopo è necessario che il Capo del Governo abbia l’autorità necessaria per convogliare tutti gli sforzi nella giusta direzione e tutte le correnti in un’azione univoca.

Non condivide la preoccupazione del Presidente, che il Capo del Governo possa essere portato a imporre una sua politica personale, in quanto si è previsto che non possa assumere alcun Ministero: la sua sarebbe un’azione di impulso, di coordinamento e di vigilanza dell’operato dei singoli Ministri, ciascuno dei quali sarebbe responsabile, per la parte che lo riguarda, della propria azione politica.

Conclude affermando che il tipo di Governo proposto dal Comitato è quello che più risponde all’esigenze della nostra democrazia.

TOSATO, Relatore, rileva che l’onorevole Lussu ha esposto molto bene gli intendimenti del Comitato, il quale si è preoccupato soprattutto di dare alla Nazione un Governo che sia veramente tale, e non un Governo parlamentare sul tipo di quelli che in passato hanno determinato la crisi della democrazia.

In Italia, un tempo, come nella Francia della terza Repubblica, non si avevano partiti politici organizzati, ma gruppi di uomini attorno a personalità eminenti, pronte a rivestire la carica di Primo Ministro, con possibilità illimitate di formule governative che erano, in fondo, formule personali diverse. Ma quando in uno Stato si ha la presenza di forti partiti organizzati, la possibilità di combinazioni parlamentari è molto limitata, se non addirittura unica. Il problema, quindi, che si pone per la vitalità del Governo parlamentare in Italia, non è tanto quello della stabilità – della quale si preoccupa soprattutto l’onorevole Mortati nelle sue proposte – quanto quello dell’unità e dell’efficienza del Governo. Il Governo non deve essere come un’Assemblea o una Commissione parlamentare, in cui le discussioni possono protrarsi all’infinito senza essere costrette dalla necessità di arrivare rapidamente ad una decisione; è necessaria per esso l’azione che, a sua volta, implica l’unità d’indirizzo. D’altra parte, l’esempio di quasi tutti gli Stati consiglia di dare una posizione preminente al Primo Ministro, se si vuole che il Paese abbia un Governo.

All’onorevole Terracini che paventa i pericoli di una preminenza del Primo Ministro, responsabile della politica generale del Governo – pericoli che sarebbero particolarmente gravi nel campo della politica estera – osserva che, se si manifestasse un contrasto tra i Ministri e il Primo Ministro sulla politica, seguita da questo e in un primo momento approvata da quelli, si avrebbe una crisi ministeriale. Conferendo una posizione di preminenza al Primo Ministro, non gli si consente di imporre la sua politica; gli si dà soltanto la possibilità di svolgerla, una volta che è stata approvata dalle Camere.

MORTATI conviene con quanto hanno sostenuto gli onorevoli Lussu e Tosato circa l’esigenza di un’unità nell’indirizzo politico del Governo, il quale deve svolgere un’azione armonica e coordinata che segua una linea direttiva e non sia affidata alle oscillazioni del momento. Soggiunge che proprio questa esigenza ha portato in tutti i Paesi ad una evoluzione del diritto costituzionale, nel senso di attribuire una preminenza al Capo del Governo rispetto ai singoli Ministri. La legislazione fascista sul Capo del Governo – a cui oggi in parte ci si ispira – non ha fatto altro che copiare dal diritto inglese che è stato l’antesignano di questa evoluzione; ciò perché in Inghilterra il Primo Ministro è il Capo del partito che ha ottenuto la maggioranza nelle elezioni, e questa qualità gli conferisce un prestigio particolare.

La questione che può far sorgere qualche perplessità è se in un Ministero di coalizione si possa affidare al Capo del Governo la stessa preminenza che ad un Premier. Personalmente ritiene che, appunto in un Ministero di coalizione, sia maggiormente sentita l’esigenza di garantire un’armonia e un’unità di indirizzo politico. Se si lasciasse che ogni Ministro attuasse una propria particolare politica, si avrebbe non un Governo ma il caos, il discredito degli organi statali e la dissoluzione dello Stato stesso. Un Governo di coalizione può essere utile, in quanto i vari partiti si accordino veramente, consapevolmente e pubblicamente su di un programma e sui mezzi per attuarlo. Bisogna dunque escogitare gli espedienti per la realizzazione armonica di tale programma, reso pubblico e forte dei consensi non solo delle direzioni dei partiti, ma anche del Paese attraverso il Parlamento, affidando ad un organo il compito di mantenere l’omogeneità e l’unità dell’azione rivolta a corrispondere agli impegni solennemente assunti.

Premesso che in questo problema il punto cruciale è quello della posizione dei Ministri, esprime il suo dissenso dall’ultimo comma dell’articolo 20 del Comitato, ove questi vengono fatti apparire come dei semplici funzionari, responsabili unicamente degli atti dei loro Ministeri ed esonerati da ogni responsabilità per la politica generale. Se l’organo propulsore e direttivo rimane il Primo Ministro, i Ministri conservano tuttavia la figura di organi costituzionali e partecipano nel Consiglio dei Ministri alle deliberazioni intorno alle direttive generali del Governo. Perciò nel suo schema propone la formula: «I Ministri sono responsabili degli atti od omissioni relativi ai compiti dei loro Ministeri, nonché degli atti di politica generale cui concorrono».

Circa la preoccupazione del Presidente, osserva che, qualora il Primo Ministro tendesse a fare una politica personale, troverebbe anzitutto un ostacolo nel Consiglio dei Ministri per gli atti che sono ad esso sottoposti e, quindi, nell’azione dei partiti che lo richiamerebbero alle sue responsabilità e all’obbligo di mantenere gli impegni.

PERASSI aderisce al concetto di dare una preminenza alla figura del Primo Ministro, e rileva che la sua funzione di coordinamento e di mantenimento dell’unità di indirizzo politico non si esplica soltanto mediante un’azione personale, ma anche in Consiglio dei Ministri; il che implica che tutti i Ministri concorrano all’attuazione della politica generale del Governo ed esclude che egli possa tendere ed imporre una sua politica personale. Aggiunge che, il fatto che viene accennata la posizione particolare del Capo del Governo, non significa che i Ministri vengano trasformati in collaboratori subordinati, responsabili solo degli atti dei rispettivi ministeri, in quanto in realtà risponderebbero collegialmente della politica generale del Governo.

Pertanto, mentre sostanzialmente approva gli articoli 19 e 20 del Comitato, propone di migliorare la dizione dell’ultimo comma dell’articolo 20, nel senso di precisare la responsabilità dei Ministri.

TOSATO, Relatore, non ritiene necessaria questa modifica, essendo implicita nella dizione dell’articolo 20 la responsabilità dei Ministri per la politica generale del Governo. Il Primo Ministro ha solo il compito di mantenere l’unità d’azione, ma non compie atti propri; un atto di politica si concreta sempre in un atto di un Ministro. Evidentemente quando un Ministro compie un atto d’accordo col Capo del Governo ne assume anche la responsabilità.

EINAUDI, premesso che dalla discussione è già emerso il criterio che al Governo sia necessaria un’unità d’azione e che il Primo Ministro non è un personaggio a sé, con una propria volontà diversa da quella dei Ministri, osserva che gli articoli 19, 20 e 21 del progetto potrebbero considerarsi pienamente soddisfacenti, qualora l’articolo 20 fosse sfrondato di due frasi, che hanno un carattere didattico, relative all’azione concreta del Primo Ministro e dei Ministri; la prima e l’ultima: «Il Primo Ministro è responsabile della politica generale del Governo», e: «I Ministri sono responsabili degli atti dei loro Ministeri». Se queste due frasi fossero soppresse, i tre articoli risponderebbero tra l’altro alla caratteristica di tutte le buone Costituzioni di non contenere norme a carattere didattico.

Per quanto concerne le citazioni dei passati esperimenti costituzionali che consigliano di dare una preminenza al Primo Ministro, rileva che l’ammaestramento viene soprattutto dalla Costituzione inglese. Peraltro in Inghilterra non si è arrivati a questo risultato come conseguenza di norme scritte, bensì per una evoluzione naturale. Soltanto da poco il Primo Ministro rappresenta colà uno dei primi personaggi dello Stato, e non perché la Costituzione lo abbia stabilito: questo sviluppo naturale della figura del Primo Ministro trae origine dal fatto che la scelta viene compiuta dagli elettori. Crede, quindi, inutile cercar di ottenere attraverso articoli più o meno bene elaborati quello che può essere il frutto soltanto di un costume; meglio sopprimere le espressioni ricordate ed augurarsi che lo stesso fenomeno evolutivo si verifichi anche in Italia.

Altro esempio di funzionamento omogeneo di un Gabinetto si ha in Svizzera, laddove egualmente la Costituzione tace sull’argomento.

Aggiunge che, con la soppressione proposta, non si fa sorgere l’idea che il Primo Ministro sia qualche cosa di più degli altri Ministri, in quanto tutti sono collettivamente responsabili nella politica generale del Gabinetto. Ciò non toglie che un Primo Ministro possa assumere un particolare prestigio, in quanto abbia eccezionali doti personali di coordinatore e di propulsore dell’azione del Gabinetto, come è accaduto con Cavour.

Conclude augurandosi che per l’avvenire, a rendere più efficace l’azione del Governo, il numero dei Ministeri sia ridotto a 7 od 8 al massimo.

NOBILE insiste sulla sua proposta, che la designazione del Primo Ministro sia fatta dall’Assemblea Nazionale; alla quale proposta dà un valore pregiudiziale, in quanto ritiene che soltanto in questo caso si potrebbe ammettere per il Primo Ministro una posizione preminente nel Gabinetto.

LUSSU risponde che in pratica la scelta del Primo Ministro viene fatta sempre attraverso ai partiti e all’Assemblea Nazionale, anche se formalmente la nomina compete al Presidente della Repubblica.

LA ROCCA, Relatore, avverte di aver già fatto in sede di Comitato le sue riserve sulle disposizioni in esame, le quali cercano di tradurre in atto la pratica inglese e più esattamente quella pratica che, senza essere sancita dalla Costituzione, è possibile in Inghilterra per il particolare clima politico che ivi esiste e che non è facile riprodurre in altri Paesi.

In Inghilterra l’autorità del Primo Ministro – che lo pone quasi sullo stesso piano del Presidente degli Stati Uniti – è la conseguenza non di una norma scritta, ma del valore personale di alcuni uomini di Stato e del fatto che tale carica è ricoperta dal leader del partito di maggioranza. Finché una tale situazione non potrà riprodursi in Italia e finché non si affacceranno sulla scena politica personalità di primo piano, è inutile illudersi che si possa ottenere lo stesso risultato attraverso una disposizione costituzionale.

Si dichiara, pertanto, contrario alla espressione: «Il Primo Ministro è responsabile della politica generale del Governo», con cui, a suo avviso, si rischia di dare poteri eccessivi ad uomini che potrebbero non meritarlo, col pericolo cui ha accennato il Presidente.

MORTATI fa osservare, in risposta alle considerazioni degli onorevoli Einaudi, Fuschini e La Rocca, che l’espressione: «il Primo Ministro è responsabile della politica generale del Governo», è la logica conseguenza di quanto è detto poi nell’articolo 20. In quanto mantiene l’unità dell’indirizzo politico e coordina le attività dei vari Ministri, il Primo Ministro deve avere questa preminenza e questa maggiore responsabilità nella politica generale. Ciò non toglie che anche gli altri Ministri abbiano la loro parte di responsabilità, che potrà meglio farsi risaltare dando una forma più precisa all’ultimo comma dello stesso articolo. Del resto, non è una innovazione il fatto che si conferiscano al Primo Ministro i poteri necessari per sindacare l’operato dei Ministri ed accertarsi che corrisponda agli impegni solennemente assunti, perché già si trova una disposizione del genere nel decreto del 1901 sul Consiglio dei Ministri.

All’obiezione che non è il caso di conferire tali poteri a persone che potrebbero non avere le qualità per esercitarli, replica che la Costituzione non può fare riferimento alle attitudini ed alle capacità personali. Essa prevede un determinato funzionamento ed un rapporto di forze; s’intende che i poteri che essa conferisce al capo di un organo potranno giovare soltanto in quanto questi sia una persona di valore.

Soggiunge, quindi, che, se una determinata situazione politica è la risultante di un costume, non va dimenticato peraltro che la Costituzione è uno degli elementi che possono influire di più nel determinare un costume. La Carta costituzionale viene approvata dalla maggioranza delle forze politiche del Paese e quindi una norma in essa contenuta costituisce un impegno, garantito dalle forze stesse, a promuovere quelle lente modificazioni del costume che possono condurre alla realizzazione di un sistema politico.

Nega, quindi, che le prescrizioni dell’articolo 20 possano risultare del tutto inefficaci. Consentiranno invece un perfetto funzionamento del meccanismo, se a capo del Governo vi sarà un uomo che abbia le doti necessarie, mentre daranno risultati meno buoni in caso contrario.

EINAUDI fa rilevare all’onorevole Nobile che la disposizione dell’articolo 19, per cui i Ministri vengono nominati dal Primo Ministro, non è ispirata al desiderio di accentuare – come l’onorevole Nobile sembra ritenere – la differenza esistente fra il Primo Ministro e gli altri Ministri, ma è suggerita da una necessità tecnica. Infatti, il Presidente della Repubblica nomina il Primo Ministro e non può nominare contemporaneamente i Ministri, perché non può sapere quali persone godano la fiducia di quello. Nelle due nomine è dunque necessario procedere gradualmente, in quanto una caratteristica del Gabinetto è data dalla fiducia reciproca tra Primo Ministro e Ministri.

Rispondendo all’onorevole Mortati, dichiara di dubitare che l’espressione: «Il Primo Ministro è responsabile della politica generale del Governo» giovi a creare quel tale costume che è nell’aspirazione di tutti. Teme piuttosto che possa costituire un ostacolo al raggiungimento di siffatta meta, ed un mezzo offerto ad uomini di secondo piano per fare una politica personale.

Il Primo Ministro, a suo avviso, non deve essere personalmente responsabile della politica del Governo; né deve esistere una politica del Primo Ministro o una politica dei singoli Ministri. Deve esistere esclusivamente una politica generale del Governo, di cui il Primo Ministro non è che l’interprete.

FABBRI si dichiara favorevole alla soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 20, ritenendo che vi debba essere una responsabilità collegiale di tutti i Ministri nella politica del Governo, e propone di sostituire al primo comma dello stesso articolo il seguente:

«Il Primo Ministro, a seguito dell’adesione dei vari Ministri al suo programma, precisa e dichiara le direttive della politica generale del Governo, delle azioni e delle omissioni del quale sono responsabili solidamente tutti i Ministri.

«Il Primo Ministro mantiene quindi l’unità d’indirizzo politico, ecc.».

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Einaudi, Fabbri, Fuschini, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Terracini, Tosato.

Intervenuto, autorizzato: Bozzi.

Assenti: Bordon, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Finocchiaro Aprile, Grieco, Lami Starnuti, Piccioni, Rossi Paolo, Vanoni, Zuccarini.