Come nasce la Costituzione

GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

28.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Rossi Paolo – Mortati, Relatore – Lussu – Grieco – Ambrosini – Perassi – Piccioni – Conti, Relatore.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che nell’ultima seduta fu deliberala una sospensione dei lavori per consentire ad alcuni colleghi di fare un ulteriore tentativo di accordo sulla questione della costituzione della seconda Camera.

ROSSI PAOLO informa che per il momento non si è raggiunto un acconto concreto. Soggiunge che si è discusso intorno ad un progetto che il gruppo socialista ritiene contenga il massimo delle concessioni che esso può fare e non sia quindi modificabile in alcuna sua parte.

Si tratta di un progetto redatto dal professore Luzzatto, alquanto complesso nella sua tecnica e che perciò non è facile illustrare in modo succinto. In base ad esso, dovrebbero essere stabilite cinque categorie di eleggibili, rappresentanti le principali attività del Paese, per ciascuna delle quali andrebbero fissate le percentuali dei seggi. Alle elezioni procederebbero le regioni, convocate in collegi regionali, a suffragio universale, diretto e con rappresentanza proporzionale.

Non nega che questo progetto possa dar luogo a qualche disarmonia nei riguardi della distribuzione dei candidati dei vari partiti nelle singole categorie, ma non ritiene che a tale inconveniente debba attribuirsi eccessiva importanza. Comunque, tiene a confermare che il gruppo socialista vi ha aderito solo a condizione che non venga ritoccato, mentre gli consta che l’onorevole Mortati vagheggia un altro sistema che comporterebbe delle liste separate per le cinque categorie. Orbene, il gruppo stesso non entrerebbe in nessun caso nell’ordine d’idee dell’onorevole Mortati, perché queste frustrerebbero lo scopo di concedere la rappresentanza per categorie chiuse salvando però il principio della proporzionale.

MORTATI, Relatore, precisa che si è cercato di raggiungere l’intesa con la rinuncia da ambedue le parli ad alcune delle esigenze sostenute inizialmente.

La rinuncia da parte del suo gruppo è consistita nell’abbandonare il concetto di collegi speciali, consentendo che le elezioni avvengano su una base indifferenziata con suffragio da decidere se di primo o di secondo grado. Dal canto suo considera accettabile il principio della unicità del collegio, il quale però dovrebbe essere a base democratica, con partecipazione di tutti gli elettori in possesso dei titoli per la elezione della prima Camera, ovvero con una elezione di secondo grado, sempre però su basi democratiche.

Da parte dei colleghi della tendenza opposta si è d’altro canto convenuto sulla opportunità che la ripartizione per categorie ricompaia nei riguardi degli eleggibili, i quali dovrebbero quindi essere qualificati e in possesso di certi requisiti. Restava da vedere se, ai fini di un buon funzionamento della seconda Camera, fosse opportuno trovare dei congegni che assicurassero una partecipazione in misura proporzionale ai vari settori. Anche a questa tesi hanno acceduto i colleghi di parte socialista, nel senso cioè di consentire che i seggi vengano ripartiti in quote predeterminate, corrispondenti al peso da dare a ciascuna categoria produttiva.

L’accordo ci sarebbe altresì sul peso da attribuire ai vari gruppi di eleggibili, in quanto questi sarebbero determinati in base alla struttura sociale dello Stato.

Quanto ai problemi relativi al procedimento di elezione, accennati dall’onorevole Rossi, osserva che occorrerebbe fare una pregiudiziale: se cioè convenga occuparsene in sede di Costituzione, o se non sia preferibile per il momento prendere semplicemente accordi di carattere politico, di cui si potrà tener conto in sede di redazione della legge elettorale. Ricorda che, per quanto riguarda la prima Camera, si è appunto deciso in questo senso.

Ciò posto, fa presente che il dissenso sul progetto esaminato riguarderebbe:

1°) il modo di designazione degli eleggibili. Personalmente ritiene che, se si vuole realizzare questo contatto con le categorie produttive, sia più conseguenziale alle premesse che gli stessi appartenenti alle categorie formino le liste, su cui si eserciterà la scelta di tutto il corpo elettorale;

2°) il metodo da seguire nella elezione, cioè se metodo strettamente proporzionale, oppure no. A suo avviso non dovrebbe esserci alcuna obiezione fondamentale all’accettazione del principio proporzionalistico. Si tratta però di vedere come realizzarlo, perché la ripartizione regionale può renderlo per alcuni collegi praticamente inattuabile. Se, per esempio, in un collegio per una data categoria c’è un solo seggio, evidentemente è da escludere un criterio proporzionalistico e si impone quello maggioritario. Neanche col progetto socialista è possibile superare questa difficoltà. La proporzionalità, a cui accennava l’onorevole Rossi, si dovrebbe dunque esercitare fuori del campo delle singole categorie, nel campo della lista comprensiva di tutte le categorie. Comunque, non è escluso che su questi dettagli, che per il momento dividono le due correnti, possa raggiungersi un accordo.

Conviene che il sistema escogitato è complesso, come lo è la struttura che si vorrebbe realizzare. D’altra parte, non si può adottare da noi il congegno attuale in Irlanda, ove ad un sistema analogo di elezione si è applicato il metodo Hare, perché le condizioni di analfabetismo in cui versa l’Italia rendono impossibile l’applicazione di un metodo per il quale gli elettori debbono personalmente scrivere la lista nella scheda.

ROSSI PAOLO precisa che ci sono due pregiudiziali che condizionano in modo assoluto l’adesione del gruppo socialista ad un qualsiasi progetto: la prima, è che le elezioni avvengano a suffragio indifferenziato e diretto e quindi non attraverso le Assemblee regionali o i Consigli comunali, come forse vorrebbe l’onorevole Mortati; la seconda, è che se una delle due esigenze – rappresentanza precisa delle categorie e rispetto esatto della proporzionale – dovrà essere sacrificata, lo sia la prima, ma in nessun caso la seconda.

PRESIDENTE ha l’impressione che per conciliare due principî che non tollerano contemperamenti, si sia escogitato un sistema talmente complesso, dal punto di vista tecnico, da renderne impossibile l’applicazione. Soprattutto esso gli appare di comprensione talmente difficile, da non poter riscuotere la fiducia delle masse popolari. Ritiene altresì che quei punti che l’onorevole Mortati considera come secondari siano invece fondamentali e che il mancato accordo su di essi dimostri l’esistenza di divergenze sostanziali.

Rilevato che l’onorevole Rossi ha messo in maniera molto precisa l’accento su alcuni punti, considera utile conoscere se l’onorevole Mortati intende difendere con la stessa decisione i suoi punti di vista.

MORTATI, Relatore, premette che gli sembra necessario che siano portati a conoscenza dei colleghi i vari progetti elaborati, perché egli stesso ne ha studiato un altro che crede più semplice in rapporto ai compiti dell’elettore. Non trova fondate le preoccupazioni del Presidente circa la difficoltà in cui si troverebbe l’elettore, il quale invece, con ambedue i sistemi, non dovrà fare altro che quello che fa attualmente con la lista di Stato, e cioè annullare dei contrassegni. Si potrebbero per di più sopprimere le preferenze che complicano sensibilmente le cose.

Il dissenso verte sulle operazioni di scrutinio, che non sono demandate all’elettore, ma al seggio elettorale, e cioè se esse debbano farsi categoria per categoria, o, come propone il professore Luzzatto, complessivamente per tutte le categorie.

PRESIDENTE osserva che la discussione sta uscendo dal terreno di competenza della Sottocommissione, per investire materia inerente alla legge elettorale. Crede che per il momento sarebbe bene circoscrivere gli argomenti su cui un accordo appare possibile per fissare, se non altro, dei punti di partenza.

LUSSU manifesta il suo rincrescimento per il mancato accordo fra gli esponenti dei vari partiti. Confessa che, malgrado l’attenzione prestata agli oratori che lo hanno preceduto, non è riuscito ad afferrare tutti i dettagli della loro esposizione, il che significa che la discussione si svolge più nel campo teorico che in quello politico e pratico. Teme quindi che maggiore difficoltà di comprensione incontreranno coloro che non hanno seguito le varie fasi della discussione. Ne conclude che la via finora seguita non è quella giusta e, dato l’insuccesso dei tentativi finora compiuti, pensa che non si possa continuare a transigere. Si domanda pertanto se non convenga invitare i colleghi della Democrazia Cristiana a riesaminare la loro posizione, rinunziando a quella rappresentanza di interessi che è così difficile applicare nei particolari, e ritornando ad un piano più semplice, cioè alle elezioni proporzionali, con riserva di esaminare ancora se sia o no conveniente il suffragio universale o la elezione di secondo grado. Personalmente trova che le elezioni di secondo grado costituiscono una affermazione essenziale che sta a differenziare la prima dalla seconda Camera.

PRESIDENTE condivide le preoccupazioni dell’onorevole Lussu sulla inopportunità di continuare per la strada finora battuta, nell’intendimento di trovare, mediante reciproche concessioni, un accordo sui vari punti controversi. Ormai la Sottocommissione ha esaminato il problema con la necessaria ampiezza e profondità: è necessario che scelga una via per la quale procedere speditamente.

Non ritiene peraltro meritevole di considerazione il suggerimento, da qualcuno avanzato, di sospendere la discussione su questo argomento e di affrontare la questione delle autonomie regionali, perché, a parte il fatto che non si sa se sia pronto il progetto del Comitato all’uopo nominato, questo accantonamento del problema della seconda Camera darebbe una sensazione di incapacità della Sottocommissione di affrontarlo o risolverlo.

Per queste ragioni prospetta la necessità di dirimere nella seduta odierna le questioni pregiudiziali rimaste in sospeso.

GRIECO informa che presso il Comitato incaricato di redigere il progetto sulla organizzazione regionale sono sorte notevoli divergenze di opinioni, di modo che non si può sperare in una rapida conclusione dei lavori.

Per evitare che si perda un tempo prezioso, propone che la discussione sul problema dell’organizzazione regionale sia portata innanzi alla Sottocommissione.

AMBROSINI crede che le divergenze non siano ancora tali da rendere impossibile un accordo. L’onorevole Grieco però ha fatto osservare – ed anche l’onorevole Uberti ed altri lo avevano già notato – che se il Comitato deve limitarsi a discutere su tali divergenze, tanto varrebbe esaminare la questione della organizzazione regionale in seno alla Sottocommissione, per evitare un duplicato di discussione. In ogni modo si rimette completamente a quello che la Sottocommissione crederà opportuno di fare.

LUSSU rileva che le difficoltà che ostacolano il raggiungimento di una soluzione sul problema della seconda Camera non hanno alcuna attinenza con quelle sorte in seno al Comitato per le autonomie regionali. Ritiene quindi che la sospensione dei lavori della Sottocommissione in merito alla questione della formazione della seconda Camera non sarebbe di alcuna utilità.

Non è perciò favorevole alla proposta dell’onorevole Grieco. L’esame della questione delle autonomie regionali deve continuare, così come è stato concordemente stabilito all’inizio dei lavori, in seno al Comitato speciale che, a suo tempo, presenterà le sue conclusioni. Nel frattempo la Sottocommissione proseguirà la discussione sulla formazione della seconda Camera; e così, con uno sforzo di buona volontà, si potrà arrivare al termine dei lavori.

PERASSI concorda con le osservazioni fatte dal Presidente sulla inopportunità di sospendere la discussione sul problema della seconda Camera, per passare a quello delle autonomie regionali. Ritiene che non farebbe buona impressione presso il pubblico che segue i lavori ed è stato informato sul loro andamento, la notizia che essi siano stati sospesi.

È necessario quindi cercare una soluzione del problema in esame, tenendo presenti i punti sui quali già è stata raggiunta una intesa. Precisamente in relazione a tale obiettivo, prescindendo dalle discussioni avvenute fra i rappresentanti delle varie parti, egli si è proposto lo scopo di concretare alcuni punti che diano atto delle conclusioni su cui l’accordo si può ritenere raggiunto ed altri che suggeriscano qualche via di soluzione transattiva per le questioni sulle quali si manifesta ancora una divergenza di opinione. Si ripromette quindi di presentare nella prossima seduta tale elencazione di punti sotto forma di ordine del giorno, dichiarandosi pronto a fornire tutte le necessarie delucidazioni, sia di carattere generale che di carattere particolare.

PRESIDENTE dubita dell’opportunità di iniziare nella prossima riunione una discussione sull’ordine del giorno dell’onorevole Perassi che comprende alcuni punti già acquisiti, quali, ad esempio, quelli della età, della incompatibilità dei membri della prima Camera ad essere membri della seconda, ed altri.

A suo avviso nella prossima riunione si dovrà procedere senz’altro alla votazione di punti ben precisi e specificati. Sarà forse anche necessario costituire un Comitato di redazione, che dovrà avere appunto l’incarico di redigere in forma precisa le affermazioni positive o negative, alle quali la Sottocommissione sarà giunta.

Le decisioni che dovranno essere prese non potranno riguardare che i cinque punti sui quali si sono anche soffermati l’onorevole Mortali e l’onorevole Rossi. Rileva a questo proposito che su tre punti, e precisamente quelli che considerano se la base elettorale debba essere differenziata o indifferenziata, se la differenziazione debba trasferirsi sulla base della eleggibilità, se il sistema debba essere proporzionale o maggioritario, si era raggiunta una identità di vedute; sul quarto punto, se cioè debba trattarsi di un sistema di elezione diretta o di secondo grado, l’accordo sembrava possibile; e soltanto sull’ultimo, relativo alla determinazione di quote fisse di eligendi, l’accordo non ancora era stato raggiunto.

Nella prossima riunione non si potrà volare che su tali punti. La loro formulazione potrà essere per il momento quella proposta dall’onorevole Perassi.

Sarebbe opportuno che le varie proposte potessero essere approvate all’unanimità o da una notevole maggioranza di componenti la Sottocommissione, affinché le votazioni avessero un valore decisivo. Comunque, fa presente che i componenti la Sottocommissione non sono altro che preparatori di progetti che dovranno essere sottoposti prima alla Commissione plenaria, poi all’Assemblea Costituente. Se la Sottocommissione pretendesse raggiungere la completezza degli scopi a cui i più mirano, sembrerebbe voler togliere ogni attività alla Commissione plenaria e all’Assemblea Costituente. Invita quindi i presenti a non irrigidirsi troppo nello loro opinioni.

PICCIONI fa presente che il gruppo di cui fa parte ha chiesto all’Ufficio di Presidenza che non siano tenute riunioni della Sottocommissione nei prossimi due giorni al fine di consentire un avvicinamento fra i vari gruppi, per concretare un progetto definitivo sulla questione in discussione ed anche per consentire ai rappresentanti del suo partito di partecipare alla riunione che il suo Gruppo terrà nella giornata di domani e nella quale saranno esaminati i problemi costituzionali finora discussi.

CONTI, Relatore, osserva che, nel loro Gruppo, i colleghi democratici cristiani potranno discutere delle tendenze che si sono finora manifestate; ma può darsi che, alla prossima riunione della Sottocommissione, essi abbiano a trovarsi di fronte a punti di vista non ancora esposti.

PICCIONI osserva che, parallelamente alle discussioni in seno al suo Gruppo, dovrebbero continuare a svolgersi le trattative fra i vari Gruppi per cercare una soluzione al problema in esame.

D’altra parte, se domani si dovesse passare alla votazione, ogni trattativa per trovare una base di accordo verrebbe ad essere pregiudicata e così diventerebbe inutile la convocazione del Gruppo.

PRESIDENTE riconosce che ciascun commissario può essere preoccupato per il modo con cui dovrà votare; ritiene però che tale preoccupazione non debba costituire un ostacolo alla prosecuzione dei lavori. Dopo dieci giorni di rallentamenti nei lavori della Sottocommissione, non può essere favorevole a una proposta di rinvio. Naturalmente, se la Sottocommissione lo vuole, sarà costretto ad accogliere tale proposta; ma desidera che resti precisato che la decisione di questo rinvio è stata presa contro il suo avviso.

Pone ai voti la proposta di rinviare la discussione a martedì prossimo.

(È approvata).

La seduta termina alle 17.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bulloni.

Assenti: Einaudi, Finocchiaro Aprile, Vanoni.

GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

27.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Ambrosini – Rossi Paolo – Grieco – Lussu – Nobile – Mortati, Relatore – Presidente – Piccioni.

La seduta comincia alle 17.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

AMBROSINI, prima di entrare in merito, ricorda che nella riunione precedente l’onorevole Piccioni ha esposto le ragioni fondamentali che consigliano una rappresentanza degli interessi, facendo altresì alcune considerazioni manifestamente tendenti a trovare una possibilità di intesa tra le diverse opinioni in contrasto. È, quindi, con meraviglia che ha udito successivamente l’onorevole Lussu. affermare che il discorso dell’onorevole Piccioni aveva riportato la questione quasi ad un punto di maggior discordia. A suo avviso invece, specie la seconda parte del discorso anzidetto, mira ad arrivare ad un accordo.

Difatti l’onorevole Piccioni ha fatto ogni possibile sforzo per giungere ad un’intesa, dichiarandosi pronto ad accogliere la proposta di diminuire il quantitativo dei rappresentanti da assegnare alle categorie produttive, e arrivando perfino ad accennare alla possibilità di trasportare il principio della rappresentanza degli interessi dal campo del corpo elettorale differenziato a quello dei requisiti di eleggibilità.

Ad ogni modo egli ritiene che in linea di principio non ci debba essere un profondo contrasto, quando si tenga presente che il sistema della rappresentanza professionale è stato propugnato anche da esponenti del movimento socialista. Crede opportuno richiamare qui un discorso pronunciato il 24 luglio 1919 alla Camera dei Deputati, in sede di discussione del disegno di legge sulla proporzionale, dall’onorevole Cabrini. In quella occasione furono pronunciati, anche da altri deputati, fra i quali Meda, Turati e Tovini, dei discorsi, che potrebbero riuscire anche oggi utili per trovare un punto di intesa, in quanto in essi, parlandosi della proporzionale, si esaminò altresì il problema attualmente discusso dalla Sottocommissione.

Diceva l’onorevole Cabrini: «Parlo non tanto per esprimere opinioni mie personali, che non avrebbero valore di sorta, quanto per inserire nella discussione il pensiero manifestato nei suoi congressi e nelle sue pubblicazioni dalla nostra massima organizzazione proletaria: la Confederazione generale del lavoro.

«Il qual pensiero ritengo debba esser tenuto ben presento dalla Camera, sia perché significa la decisa volontà di esprimere la orientazione politica di una organizzazione sindacale che va rapidamente verso il milione e mezzo di iscritti; sia perché è merito della Confederazione del lavoro di avere con singolare vigoria impostato il problema della revisione del nostro sistema rappresentativo; sia perché il ricordare questo pensiero giova a precisare che, se nella concezione della rappresentanza professionale, come punto di partenza e come punto di arrivo, il movimento che fa capo alla Confederazione si differenzia da quello dei cattolici, i due movimenti si trovano però perfettamente d’accordo nel rifiutarsi a far servire un qualsiasi movimento per la maggior riforma della rappresentanza professionale e per la premessa confederale della Costituente a qualsiasi diversivo che possa danneggiare il movimento proporzionale».

A leggere queste parole vien fatto di pensare che l’onorevole Cabrini si trovava probabilmente in uno stato d’animo simile a quello in cui si trovano attualmente diversi membri della Sottocommissione. L’onorevole Cabrini, proseguendo il suo discorso, citava un passo di un articolo apparso su «Le battaglie sindacali» dell’8 marzo 1919. Per spiegarlo appieno, è utile ricordare che c’era stato allora da parte delle estreme sinistre un movimento in favore della proporzionale, e l’iniziativa era partita da radicali quali gli onorevoli Caetani e Abbiate, e anche dall’onorevole Turati, i quali avevano rispettivamente presentati in proposito dei disegni di legge alla Camera. Riferendosi appunto a tale fatto, l’onorevole Cabrini diceva: «Siamo favorevoli all’iniziativa dell’onorevole Turati, in quanto essa rappresenta per noi il punto di partenza per raggiungere quel sistema elettorale basato sulla circoscrizione professionale, che è il solo modo per sostenere di un robusto contenuto il suffragio universale».

Dopo di che l’onorevole Cabrini aggiungeva: «Reputo doveroso, specialmente dinanzi alle numerose ed inattese manifestazioni che si sono avute durante la discussione a favore della rappresentanza professionale, reputo doveroso di accennare, rapidissimamente, alle ragioni essenziali per le quali il movimento sindacale, che si svolge fiancheggiato dal pensiero socialista, ritiene esso pure indispensabile procedere nel più breve tempo possibile alla rappresentanza delle professioni, ma mediante una organica, integrale organizzazione che basi la rappresentanza professionale – centrale e regionale – sul trasformato regime dell’azienda industriale, commerciale ed agricola; riforma integrale per cui il Parlamento professionale – e i suoi organi regionali – devono stare alla fabbrica, al magazzino, all’impresa agricola, come il tronco, i rami, le foglie di un albero stanno alle poderose radici. (Omissis).

«I colleghi conoscono di quali coefficienti sia formato il movimento che in tutti i Paesi – attraverso svariatissimi aspetti esteriori – punta, spinge verso la revisione del sistema rappresentativo della società borghese – la rappresentanza della popolazione – per sostituirlo e integrarlo con quello della rappresentanza non degli interessi, come taluno dice impropriamente, poiché le classi e le categorie hanno anche dei sentimenti o delle idee, ma delle professioni.

«Regresso apparente verso l’economia medievale, così come ai miopi possono sembrare un ritorno alle forme del comunismo antico le moderne socializzazioni nella proprietà terriera o nella industriale».

Riprendendo quindi a parlare della proporzionale, l’onorevole Cabrini così proseguiva: «Applicata alla popolazione, anziché alle sole professioni, la proporzionale apre o continua a lasciar aperta la porta del Parlamento anche alle forze socialmente improduttive».

Facendo poi la critica della rappresentanza puramente politica, l’onorevole Cabrini osservava: «Le correnti favorevoli alla rappresentanza professionale traggono i loro più forti impulsi precisamente dalla illegittimità e dalla incompetenza di una parte degli eletti della popolazione nel giudicare di ciò che è peculiare interesse o funzione della classe. Quanti conoscono i fattori propulsivi del movimento per la rappresentanza professionale considerano la proporzionale come un avviamento, un incitamento alla rappresentanza delle professioni.

«Evidentemente la vita economica, più vedrà perpetuarsi nel Parlamento la invadente incompetenza del politicantismo e la sovrapposizione di interessi parassitari a quelli delle forze impegnate nella produzione, più troverà nuovi incentivi, a trasformare il regime, o mediante la sostituzione della rappresentanza delle professioni alla rappresentanza della popolazione, o mediante la disciplinata coesistenza delle due rappresentanze, quella coesistenza che Kurt Eisner – il grande socialista assassinato dal militarismo bavarese – aveva segnato con una superba e geniale linea rinnovatrice».

Continuava infine con spirito quasi profetico: «Comunque, io non credo la questione risolubile dalla presente Camera; la quale, per affrontare e risolvere il problema, dovrebbe assurgere ad Assemblea costituente. Ed anche in ciò mi trovo in perfetto accordo con la Confederazione generale del lavoro.

«Darò il mio voto a quell’ordine del giorno che, nella questione della rappresentanza professionale, affermi il principio: ma come un voto di tendenza. Le forze le quali dovranno trasformare il regime rappresentativo sono, o signori, fuori di qui. Ed esse agiranno, o in forma tumultuaria, alla quale potrebbe servire da incentivo un voto di questa Camera, la quale si ostinasse a lasciare immutato il sistema elettorale, quasi a sfida di tutte le forze organizzate del Paese: socialisti, cattolici, combattenti; oppure prescrivendo alla prossima Camera, eletta col sistema proporzionale, il compito di apprestare le norme per la convocazione di quell’Assemblea costituente verso cui la Confederazione del lavoro disciplina ed inalvea i consensi e le simpatie della classe lavoratrice».

Sarebbe superfluo riferire altri passi del discorso dell’onorevole Cabrini, perché quelli citati sono più che sufficienti per dare la nozione piena del pensiero di lui e della Confederazione generale del lavoro in quel periodo della vita nazionale.

Rilevato che i presupposti, da cui partiva l’onorevole Cabrini, per sostenere la trasformazione della rappresentanza politica, non sono in questo secondo dopo-guerra sostanzialmente mutati, afferma che anche oggi si sente la necessità dell’apporto delle rappresentanze specifiche delle varie categorie professionali, specie in relazione alle esigenze della ricostruzione economica del Paese e al suo più organico assetto politico.

Si augura pertanto che la rievocazione del pensiero dell’onorevole Cabrini possa facilitare il superamento del contrasto, e sospingere tutti verso una soluzione di buon compromesso, che dia soddisfazione alle varie tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione durante l’attuale appassionato dibattito.

ROSSI PAOLO tiene innanzitutto a dichiarare che, a suo avviso, il pensiero dello onorevole Cabrini, a cui l’onorevole Ambrosini ha fatto riferimento, in quanto espressione di un sindacalismo soreliano estremo, non coincide più con le attuali esigenze del movimento operaio.

Il partito socialista oggi non è certo contrario alla proporzionale e non sarebbe nemmeno contrario alla rappresentanza sindacale pura proposta dell’onorevole Cabrini. C’è però da osservare che tra la rappresentanza suddetta basata sulle professioni, accennate incompletamente dall’onorevole Cabrini, e la rappresentanza degli interessi di categoria, quale è quella proposta nei progetti sottoposti all’esame della Sottocommissione, c’è una differenza profonda. Non si riesce ad immaginare concretamente nella temperie politica moderna, una seconda Camera che sia composta, in tutto o in parte, per categorie, con un numero fisso di rappresentanti per ogni categoria, e che sia eletta a suffragio diretto, universale, indifferenziato.

Ha sentito parlare di una nuova democrazia organica, la quale dovrebbe trascendere il concetto ottocentesco della democrazia individuale o atomistica. È da ritenere che tale democrazia organica, o corporativa, anziché costituire un superamento del vecchio liberalismo Ottocentesco, costituirebbe un ritorno alle posizioni già superate dallo stesso liberalismo.

Nelle parole dell’onorevole Piccioni ha sentito riecheggiare quella critica sprezzante allo stupide siècle XIX, propria non già dei cattolici novatori, ma di quel notevole gruppo di pensatori reazionari che non hanno dissimulato né la loro antipatia per la rivoluzione del 1789, né i loro rimpianti nostalgici per l’ancien régime.

La rappresentanza degli interessi e delle categorie fu la più antica forma di rappresentanza, e la sostituzione della rappresentanza politica alla rappresentanza corporativa è appunto quel grande passo avanti sulla strada della libertà e della democrazia che è stato compiuto dallo «stupido» secolo decimonono, in mezzo al desolato rammarico dei conservatori.

Frattanto, circa il problema della costituzione di una seconda Camera, si può ricordare che nessuno dei grandi Paesi, dall’U.R.S.S. agli Stati Uniti, dall’Inghilterra alla Francia, possiede una seconda Camera formata in tutto o in parte col sistema corporativo.

Esistono, sì, due Nazioni che hanno un Senato assai simile a quello che nascerebbe dalla proposta dell’onorevole Piccioni, ma sono due tra i Paesi più piccoli e politicamente più arretrati di tutta l’Europa: il Portogallo e l’Irlanda. E quanto al concreto significato politico di un simile Senato, sarà opportuno citare l’interpretazione autentica del titolare della cattedra di diritto pubblico all’Università di Lisbona, Marcelo Gaetano, esegeta ufficioso della Costituzione del suo Paese: «le idee clic dominano la Costituzione portoghese sono autoritarie, anti-parlamentari, nazionaliste, cristiano-sociali e corporative». Se tali sono le idee maestre che devono guidare la Sottocommissione nella risoluzione del problema in esame, si può tranquillamente costituire la seconda Camera in funzione o rappresentanza degli interessi e delle categorie, come nel Portogallo e nell’Irlanda. Altrimenti no.

La verità è che non è possibile rappresentare con la giusta proporzione e senza ingiustizie, capaci di falsare i rapporti politici e di classe, quelle cosiddette forze vive che si vorrebbero porre a fondamento della seconda Camera. Quando anche si potesse raggiungere, in teoria, con sapientissimo dosaggio, l’instabile equilibrio tra gli interessi da rappresentare, si dovrebbe sempre essere contrari a un Senato corporativo, sia esso tale nella sua interezza o a metà, o soltanto per un terzo, come vorrebbe l’onorevole Piccioni, per le seguenti ragioni:

1°) è vero che esistono forze ed interessi della cultura, della tradizione, dell’economia, ma non vi è ragione perché queste forze siano arbitrariamente trasformate in forze politiche e chiamate ad agire in sede politica anziché in quella sede di cultura, di tradizione, di economia che è, e deve essere, la loro sede naturale ed esclusiva;

2°) non è concepibile un’Assemblea che abbia due fonti elettorali diverse. Difficilmente riescono ad intendersi le Assemblee che nascono dalla medesima matrice; c’è da immaginarsi quindi come funzionerebbe una seconda Camera con 200 membri eletti a suffragio universale e 100 membri aristocratici, scelti da categorie oligarchiche. Tutte le Assemblee a composizione mista hanno dato sempre mediocri prove e non sono mai durate troppo a lungo;

3°) fatalmente la rappresentanza delle categorie porta al voto plurimo, di fatto, sia che lo si dica, sia che lo si taccia pudicamente. Si prenda, ad esempio, una regione media in cui vi siano cento professori d’Università, duemila professionisti, diecimila industriali e commercianti, e ottocentomila lavoratori: se verrà fissato un sol posto per le Università, due per le professioni, due per l’industria e commercio, otto per il lavoro manuale e impiegatizio nello sue varie sottospecie, si sarà raggiunto l’optimum praticamente concepibile. Eppure, a questo modo, si verrà a dare un voto ad ogni operaio od impiegato, cinquanta ad ogni industriale o commerciante, cento ad ogni professionista e mille ad ogni professore; ciò che non costituisce né democrazia corporativa, né democrazia organica, né superamento dell’atomismo ottocentesco, ma semplicemente un ritorno, nemmeno mascherato, alle vecchie oligarchie;

 

4°) soltanto se si volesse superare il regionalismo e demandare la nomina dei senatori di categoria, ad un collegio unico nazionale, si potrebbe forse superare, o ridurre le ingiustizie; su cento posti uno potrebbe essere riservato alle Università, due alle professioni, tre agli industriali e così via; la proporzione sarebbe salva se 85 posti toccassero ai prestatori di lavoro. Ma allora tutta l’inutilità di un così complicato sistema salterebbe agli occhi di ognuno. In altri termini: o si crea una rappresentanza di interessi, con carattere preferenziale di certi interessi e di certe categorie rispetto ad altre, e si cade in una ingiustizia non tollerabile; o si raggiunge una rappresentanza veramente equilibrata e giusta, e allora non vale la pena di staccarsi dal suffragio universale che da solo serve benissimo allo scopo.

Si è molto insistito sulla necessità di differenziare la seconda Assemblea dalla prima. Su questo argomento sarà bene fare qualche altra osservazione. Una Nazione ha bisogno di essere governata e tutti ormai sono d’accordo nell’attribuire all’instabilità dei governi parlamentari molta parte delle nostre sciagure. Orbene, se, come si vuole, la seconda Camera dovrà avere poteri identici a quelli della prima, ma con posizione politica differente, l’instabilità del Governo continuerà ed il Paese sarà gettato, da quella stessa Costituzione che dovrebbe preservarlo da ogni sciagura, nell’impotenza e nell’anarchia.

Certamente si può immaginare un Senato scelto da un ristretto corpo elettorale o volto a rappresentare interessi non propriamente politici; ma allora occorre dare ad esso facoltà minori, o diverse, e occorre creare i congegni per cui il conflitto tra le due Camere possa esser risolto senza determinare crisi. Ma se le due Camere debbono essere eguali in dignità, funzioni, poteri, occorre anche che siano eguali come composizione politica; altrimenti i governi non potranno mai reggersi.

Frattanto è doveroso dichiarare che la proposta dell’onorevole Fuschini è quanto di meglio si sia finora trovato per conciliare le opposte esigenze. La qualificazione degli eleggibili, senza differenziare le due Camere politicamente, dà alla seconda quel carattere di maggior ponderazione e di maggiore competenza tecnica, che sono per l’appunto i requisiti che si richiedono al Senato. Per conseguire, appunto, la necessaria differenza di composizione tecnica, e non politica, fra le due Camere, i requisiti richiesti dal progetto dell’onorevole Fuschini potranno essere riesaminati e resi più severi; così potrà essere evitato il pericolo accennato dall’onorevole Piccioni e cioè che possano diventare senatori tutti coloro che hanno i titoli praticamente indispensabili per essere candidati alla prima Camera.

In ogni modo, osserva che il vantaggio sostanziale della bicameralità non risiede nella maggiore preparazione tecnica dei membri della seconda Camera, e tanto meno in una diversa composizione di questa, rispetto alla prima; risiede soltanto nel tempo. Non è l’obbligo del riesame; sono i mesi che passano, le eccitazioni che si spengono, la naturale maturazione dei progetti che costituiscono la vera, la solida, la intrinseca garanzia del sistema bicamerale.

Nel dichiarare che il gruppo socialista è pronto ad accettare la proposta dell’onorevole Fuschini, salvo i perfezionamenti di forma che potranno essere introdotti, fa anche un vivo appello al senso di responsabilità politica e storica di tutti i commissari. Occorre che l’Italia abbia presto una Costituzione, votata a larga maggioranza e capace di raccogliere amplissimi consensi. È questo che ha spinto i socialisti ad accettare alcune proposte ben lontane dalle loro preferenze teoriche.

Eguale sentimento avranno anche i commissari appartenenti agli altri gruppi politici. Ad essi i socialisti chiedono di accettare il progetto di uno dei loro esponenti, non basato su una rappresentanza corporativa, irrealizzabile nei limiti della giustizia, pericolosa e fuori dei tempi.

GRIECO prende la parola perché crede che da parte del suo gruppo, a nome del quale parla, sia necessario fare un’affermazione di principio, specie dopo le chiare, nette dichiarazioni dell’onorevole Piccioni in merito al problema in discussione. A suo avviso l’intervento dell’onorevole Piccioni ha riportato la questione al punto di partenza, mentre sembrava, dopo i discorsi degli onorevoli Lami Starnuti e Lussu, che sarebbe stato possibile giungere presto ad una conclusione.

Dichiara frattanto all’onorevole Conti che egli non è favorevole alla tesi così chiaramente prospettata dall’onorevole Piccioni. Però l’onorevole Conti avrebbe torto se pensasse che gli sforzi per trovare dei punti d’accordo sulle varie questioni non siano degni dei componenti la Sottocommissione. Non può esservi nessun dubbio che in seno alla Sottocommissione si faccia della politica. Si sta lavorando alla Costituzione, cioè ad uno strumento politico fondamentale. Questo strumento non può essere fatto che da uomini politici, con l’aiuto, se necessario, di specialisti e di tecnici, i quali debbono, però, servire gli intendimenti degli uomini politici. Fissato questo criterio, che gli sembra inoppugnabile, occorre formulare il più rapidamente possibile un progetto di Costituzione che venga approvato dalla grande maggioranza dell’Assemblea costituente. Ciò importa e potrà comportare concessioni reciproche. C’è da supporre che ne farà anche l’onorevole Conti, nonostante il suo animo deciso nell’affermare certi suoi principî. Secondo il criterio espresso dall’onorevole Piccioni, un’Assemblea legislativa che sia la rappresentante delle cosiddette forze organiche, e vive – cioè degli interessi materiali e morali catalogati in categorie professionali – sarebbe una espressione moderna della democrazia, di una democrazia «aggiornata», come egli si è espresso. L’onorevole Piccioni si è persino meravigliato che i comunisti, i socialisti, i quali assegnano nelle loro dottrine una parte tanto importante ai fattori economici, rifuggano dall’accedere alla tesi di una rappresentanza organica.

Innanzitutto vorrebbe ricordare all’onorevole Piccioni che non è vero che i comunisti riconducano tutto ai fatti economici. Una simile interpretazione della dottrina comunista appartiene a certa letteratura polemica avversaria che indubbiamente non è molto elevata. I comunisti sanno bene che vi sono numerosi fattori che intervengono nel determinare il moto della storia. Essi reputano che i fatti economici, i quali non sono sempre evidenti o prominenti, sono però quelli che decidono in ultima istanza. In questo senso si può affermare che la storia è stata ed è una storia della lotta delle classi – il che vuole dire che non è solo storia economica, ma anche politica, ideologica, culturale; è storia dell’ascesa, dell’egemonia di certe classi e del declino e della scomparsa di altre.

È precisamente questo modo di vedere i fatti della storia che induce a dissentire dal punto di vista dell’onorevole Piccioni. Questi sembra temere la lotta delle classi, che è il lievito della storia; parla con un colto disprezzo del secolo XVIII, che è il secolo della Rivoluzione francese, della grande vittoria rivoluzionaria della borghesia, da cui sono derivate le elementari libertà politiche moderne, e cerca di attutire i contrasti sociali. In questa ricerca vana, che lo obbliga a ricorrere ad espedienti, l’onorevole Piccioni vede l’attuazione della democrazia. A suo avviso invece la democrazia moderna comporta un’esigenza diversa, cioè, che le masse lavoratrici intervengano come protagoniste della vita politica, e trovino aperte le vie legali, per assurgere a classe dirigente della società nazionale. Per raggiungere questo scopo esse debbono superare i ristretti limiti degli interessi di categoria e salire alla visione degli interessi generali, nazionali. Questo a suo avviso è il contenuto, il senso della democrazia moderna.

L’onorevole Piccioni può vedere che in tutto questo non vi è – né potrebbe esservi – alcun riferimento ad una concezione atomistica. L’atomismo fu un enorme progresso del XVIII secolo, quando occorreva rompere l’involucro feudale della società, spezzare gli ordini medioevali, e liberare la figura del cittadino, del borghese. Ma la borghesia, nel suo prodigioso sviluppo sociale e per sviluppare le forze produttive, ha dovuto dar vita e sviluppo a una nuova classe, che è la netta contradizione dell’atomismo e dell’individualismo. Ora, la storia deve fare i conti con questa classe. È vero che la coscienza di classe dei lavoratori si è formata e si forma più o meno lentamente ed attraverso lotte, spesso durissime, attraverso temporanee sconfitte e conquiste parziali. Ma in questa lotta, la classe dei lavoratori ha superato i limiti della categoria e la concezione strettamente e puramente economica, senza di che non poteva aspirare a diventare classe dirigente, cioè classe politica. Così dalle prime organizzazioni di categoria, isolate, si è arrivati alle Federazioni di categoria e da queste alla Confederazione di tutti i lavoratori. Si è superato il riformismo ed il sindacalismo strettamente corporativo, ai quali ha fatto riferimento l’onorevole Ambrosini, citando alcuni passi di un discorso dell’onorevole Cabrini, sul cui pensiero non è opportuno insistere per fare una critica dei partiti politici di massa. I partiti, infatti, sono l’espressione superiore della coscienza politica delle masse lavoratrici. Non è possibile quindi pensare oggi ad una assemblea legislativa nella quale rappresentanti siano espressione di categoria. Politicamente parlando, sarebbe questo un grande salto indietro.

Inoltre, come accennava ieri l’onorevole Lussu, ciò sarebbe un tentativo di collaborazione di classe forzato. Rileva infine che nessuno, parlando della possibilità di una rappresentanza degli interessi, ha proposto, ad esempio, che la seconda Camera debba essere l’espressione proporzionale delle forze numeriche delle varie categorie. È evidente: perché in tal modo si avrebbe una Camera di rappresentanti dei lavoratori. Allora a cosa può servire una Camera legislativa che non rifletta l’entità delle forze sociali che pretende di rappresentare? E dove sarebbe la democrazia in un’assemblea simile?

Si potrebbe anche discutere, in separata sede, dell’eventualità di creare un Parlamento economico, con compiti consultivi. Ma qui si tratta della seconda Camera legislativa, la quale deve sempre ed in ogni caso rispecchiare in sé il rapporto delle forze politiche esistenti nel corpo che l’ha eletta, perché, se ciò non fosse, la rappresentanza della seconda Camera sarebbe falsata.

In ogni modo, poiché si è tornati a parlare di competenze, di Camere di competenti, sarà bene riconfermare che una Camera legislativa ha sempre in sé le competenze della sua epoca. Se ne fosse priva o largamente deficiente, ciò starebbe a significare un regresso nella società civile, e allora con nessun espediente si potrebbe dare ad un’assemblea ciò che non esiste. Ma per fortuna non si è a questo. È stato già dimostrato che l’Assemblea Costituente ha numerose e solide competenze in ogni ramo, dai professori agli avvocati, dagli industriali ed agrari agli organizzatori sindacali, operai, e così via.

La fissazione di certi titoli individuali per l’eleggibilità alla seconda Camera potrebbe aumentare il numero delle competenze specifiche.

Per queste ragioni, oltre a quelle esposte dall’onorevole Lami Starnuti e dall’onorevole Rossi, dichiara di mantenere il proprio ordine del giorno, nel quale si potrebbe introdurre qualche norma più precisa intesa a rafforzare un carattere regionale della rappresentanza. In ogni modo, se l’onorevole Fuschini mantenesse il suo, si potrebbe vedere di introdurvi qualche modifica, si da raggiungere la formulazione di un testo accetto alla maggioranza dei componenti la Sottocommissione.

LUSSU intende chiarire la posizione a suo tempo assunta dall’onorevole Cabrini, visto che l’onorevole Ambrosini nel suo discorso vi ha fatto un espresso riferimento. Giustamente l’onorevole Rossi ha parlato di Sorci. Ora le idee di Sorci hanno portato alla formazione di due correnti politiche: una prima, che si potrebbe chiamare di estrema sinistra, rimasta più aderente alla dottrina soreliana, sostenne l’organizzazione dei sindacati operai al di fuori del gioco parlamentare, in vista di una vera e propria attività rivoluzionaria; la seconda, interpretata proprio dall’onorevole Cabrini, voleva indirizzare invece la lotta del proletariato verso il Parlamento. Pertanto l’onorevole Ambrosini, riferendosi al pensiero dell’onorevole Cabrini, è stato estremamente imprudente, perché si è ricollegato a una tendenza politica condannata proprio dal gruppo democristiano.

AMBROSINI dichiara che, riferendosi al pensiero dell’onorevole Cabrini, intendeva facilitare un accordo tra due gruppi contrastanti. Il suo intendimento pertanto non è stato ben compreso dall’onorevole Lussu.

NOBILE desidera sapere se, quando si parla di categorie, come avviene nell’ordine del giorno proposto dall’onorevole Mortati, ciò si debba intendere nel senso che, por essere eleggibili, basti appartenere ad esse, oppure che occorra rivestire entro le categorie stesse determinale funzioni.

MORTATI, Relatore, fa presente come sia stato chiesto, da parte dell’onorevole Laconi, che si specificasse qual era la ragione di carattere democratico che induceva ad attribuire un peso predeterminato alla rappresentanza di categorie. Secondo l’onorevole Laconi, tale predeterminazione sarebbe contraria al principio della spontanea scelta degli eligendi e degli spontanei adattamenti della rappresentanza alla volontà della maggioranza. Sta di fatto che è invece un’esigenza democratica la quale induce a far ricorso a una tale predeterminazione, e ciò in base a parecchie ragioni.

Innanzitutto un motivo tecnico, quindi uno più propriamente politico e infine un motivo specifico di giustizia sociale. Dal punto di vista tecnico gli sembra ormai un concetto acquisito l’utilità di una rappresentanza di persone particolarmente competenti, considerata la sempre maggiore estensione dei compiti dello Stato nella sfera tecnico-economica. Ora, ci sono effettivamente queste persone particolarmente competenti nell’attuale Parlamento? L’elezione indifferenziata assicura veramente una rappresentanza di competenze? A una tale domanda non si può rispondere che negativamente, e ciò in base all’esperienza, che mostra una prevalenza di persone, che non sono sempre le più adatte a risolvere quelle questioni tecniche ed economiche, che hanno tanto peso nella legislazione moderna. Onde l’opportunità che la spontanea scelta affidata agli elettori sia limitata dall’intervento del legislatore. La Sottocommissione in una precedente riunione ha negato la facoltà al Governo di emettere provvedimenti d’urgenza: eppure la necessità di tali provvedimenti si è affermata non soltanto nel regime fascista, ma anche nella Francia ultra democratica, anche per questa incapacità del Parlamento a conoscere dei problemi tecnici, che occupano tanta parte nella legislazione odierna. Ma, se si nega al Governo il potere di emettere leggi, si deve tendere a formare un Parlamento il quale sia idoneo a farle, altrimenti, nonostante tutti i divieti, si ritornerà per forza di cose all’inconveniente costituito dall’emanazione dei decreti-legge, che producono gravi conseguenze, perché trasferiscono il potere legislativo nelle mani della burocrazia, sottraendolo ai rappresentanti del popolo. La predeterminazione in quote di una rappresentanza particolarmente qualificata corrisponde, pertanto, all’esigenza di una legislazione improntata a sempre maggiore tecnicismo.

C’è poi un’esigenza politica, che è quella di fare un Parlamento sempre più rappresentativo delle energie viventi nella Nazione. Ora con lo schieramento dei partiti, così come si attua oggi, c’è la possibilità di avere un Parlamento che rappresenti effettivamente tutte le molteplici forze della Nazione? L’esperienza dimostra che ciò non avviene. Il Parlamento indifferenziato non rispecchia interamente la realtà sociale, perché esistono, come tutti sanno, alcune forze assai potenti che vivono e si affermano autonomamente, al di fuori dei partiti.

C’è poi un’altra esigenza, di giustizia sociale, che è la più importante e che dovrebbe essere sentita specialmente dalla parte politica cui appartiene l’onorevole Laconi.

Attribuire, in ogni regione, una quota di rappresentanti ad ogni gruppo socialmente rilevante importa la conseguenza di eccitare coloro che la posseggono in modo meno intenso ad acquistare la coscienza dei propri interessi. In tale guisa si creano le condizioni idonee affinché il gioco politico riesca meglio equilibrato, e sia reso meno facile il prevalere di ceti politicamente più maturi a danno degli interessi di altri più imperfettamente organizzati.

Certo gli accorgimenti di tecnica legislativa non possono conferire efficienza politica a chi difetta dei requisiti necessari. Essi possono tuttavia riuscire utili in quanto creano le condizioni ed offrono gli impulsi a che i più deboli possano gradualmente mettersi in grado di acquistare un peso adeguato alla funzione sociale esercitata.

Agendo in questo modo si procede in una direzione che è caratteristica della democrazia moderna, la quale tende a trasformare in libertà sostanziali quelle puramente formali del vecchio liberalismo.

Nella discussione odierna la visuale si è ampliata, ma non pare che le cose dette portino motivi veramente nuovi contro la tesi sulla quale si controverte.

Si è parlato della rappresentanza di categorie come di un regresso e come un ritorno alla rappresentanza corporativa anteriore alla Rivoluzione francese. Ora, bisogna ricordare che la Rivoluzione francese ebbe a negare la legittimità di corpi od organismi che venissero a rompere l’immediatezza del rapporto fra cittadino e Stato. Ognuno ha nella memoria i divieti che furono posti contro il formarsi di associazioni professionali, e le disposizioni di alcune Costituzioni del periodo rivoluzionario che guardavano con sospetto la formazione dei partiti politici. Ma, poiché non si poteva andare contro la realtà, questi gruppi si formarono molto presto e la struttura sociale si intessé nella trama degli enti particolari, partiti ed associazioni professionali. Di queste forze solo i partiti sono presenti quali elementi di formazione delle assemblee politiche. È opportuno che questa limitazione continui a sussistere? La risposta potrebbe essere affermativa solo a condizione che si accollasse la idoneità dei partiti, così come sono composti e come agiscono attualmente, a riflettere esattamente la realtà sociale. Dalle stesse impostazioni rilevabili nel precedente discorso dell’onorevole Grieco si possono trarre elementi in contrario. I partiti sono portati ad imperniare la lotta politica su astrazioni o addirittura su miti. Uno di questi è per esempio la classe lavoratrice, che non esiste in realtà, esistendo in realtà solo categorie di lavoratori con interessi diversi fra di loro. I lavoratori autonomi in Italia rappresentano più della metà della popolazione lavorativa: possono essi venire inclusi in una stessa massa indifferenziata od avere gli stessi obiettivi d’azione politica?

Sono antiche le accuse di deficienza di concretezza rivolte contro i partiti. Si può ricordare a questo proposito il giudizio negativo su questi dato in un noto lavoro dello Ostrogorski, che proponeva di sostituirli con leghe temporanee, formate sulla base non già di astratti principî, ma di questioni concrete e di specifici interessi.

Poiché nella società odierna esistono gruppi stabilmente formatisi per la tutela di concreti interessi, sembra opportuno utilizzarli anche nel campo politico, mettendoli in condizione di acquistare una sensibilità, e capacità, che consentano loro di considerare le loro esigenze in funzione di quelle aventi carattere generale.

È stato anche osservato che con una rappresentanza organica, si giungerebbe ad esasperare il contrasto fra le varie classi. Appare invece più esatto ritenere che la partecipazione di varie classi ad un consesso, in cui ciascuna sia messa in grado di esprimere le proprie esigenze in confronto a quelle delle altre, giovi a facilitare l’intesa reciproca. Neppure è esatta l’accusa mossa dall’onorevole Lussu, secondo cui il trasporto nel Parlamento degli interessi delle classi in contrasto fra loro sarebbe antidemocratico, impedendo la libera difesa e tutela dei medesimi. Evidentemente la possibilità d’avvicinamento fra i vari interessi, sul piano parlamentare, non esclude l’impiego dei mezzi di difesa consentiti dalla legge, ove un’intesa pacifica non debba raggiungersi…

Non è vero poi che, se sarà formata una seconda Camera sulla base di una rappresentanza organica, e se ossa avrà funzioni pari alla prima, si verrà ad attentare alla sovranità popolare, visto che tale parità, come è stato ripetutamente rilevato, non dovrà condurre ad una supremazia della seconda Camera sulla prima, e visto anche che, in caso di conflitto fra le due Camere, si potrà sempre far ricorso al popolo mediante il referendum e lo scioglimento delle Assemblee.

(La seduta, sospesa alle 18.50, è ripresa alle 19.15).

PRESIDENTE crede che l’ampiezza della discussione sia stata utile sotto molti punti di vista, e soprattutto in quanto, attraverso essa, si è potuto esaminare a fondo il problema della formazione della seconda Camera.

Ciò premesso, rileva che nel corso della discussione si sono definite e irrigidite due posizioni in contrasto, il che costituisce il momento più spiacevole del lungo periodo di lavoro finora trascorso in seno alla Sottocommissione, perché in generale, anche attraverso un certo dissidio di opinioni, si è sempre finito – salvo per pochi casi non troppo importanti – col trovare un contemperamento sul quale si sono riuniti i voti di una notevole maggioranza. Invece, molto probabilmente una votazione affrontata nella odierna seduta darebbe luogo a un risultato di una superiorità assai relativa, il che costituirebbe una base aleatoria per la prosecuzione dei lavori anche in ordine al problema del funzionamento della seconda Camera. Personalmente è dell’avviso che, se non si possono avere delle decisioni di unanimità, sia quanto meno necessario avere delle decisioni in cui si affermi una notevole maggioranza.

Perciò pensa che sia bene accogliere il desiderio espresso da alcuni componenti la Sottocommissione, rappresentanti delle due posizioni contrapposte, di dare ancora un breve respiro alla discussione per cercare di trovare ima base di intesa. Se alcuni membri della Sottocommissione hanno manifestato tale desiderio, è perché forse hanno già intravisto qualche possibilità di avvicinamento e quindi, se non si accedesse a tale desiderio, si potrebbe in seguito sentire il rammarico di non aver acconsentito a questo tentativo.

Se la Sottocommissione è d’accordo, alla ripresa dei lavori si potrebbe senz’altro procedere alla votazione senza più alcun intervento, salvo, eventualmente, le dichiarazioni di voto, purché siano veramente tali e mantenute in un certo limite di tempo. Sarebbe anche opportuno che fin da ora si fissassero i punti sui quali dovrà avvenire la votazione, in modo che ciascuno possa sapere su che cosa dovrà dichiararsi.

Crede che approssimativamente i punti su cui si dovrà votare siano gli stessi sui quali già in precedenza si ritenne che si sarebbe dovuto farlo. Essenzialmente la questione verte attorno alla base elettorale, sé cioè essa debba essere differenziata, o meno, se debba essere totalmente differenziata o solo parzialmente; gli altri punti poi derivano direttamente dalla soluzione che si darà a questo primo quesito.

Il secondo argomento, nell’ipotesi che prevalga la tesi della base elettorale indifferenziata, potrebbe essere quello di trasferire il principio della rappresentanza di interessi sul terreno dei requisiti di eleggibilità. Ove anche questo criterio fosse affermato, si tratterebbe di decidere se la differenziazione debba essere fatta in base a proporzioni fisse, oppure a indicazioni rilasciate alla scelta e alla volontà degli elettori. Un quarto punto sarebbe quello del sistema elettorale: diretto o di secondo grado.

Raccomanda frattanto a chiunque pensi di presentare un ordine del giorno sulle diverse questioni finora discusse di attenersi a questa progressione logica, per facilitarne la votazione.

Pone ai voti la sospensiva.

(È approvata).

PICCIONI domanda se è possibile avere qualche informazione circa i lavori del Comitato incaricato dell’esame delle autonomie regionali, perché questo è l’argomento che andrebbe affrontato subito dopo la votazione della questione della formazione della seconda Camera.

AMBROSINI dà notizia che nella mattinata il Comitato si è riunito ed ha esaminato in primo luogo il criterio di formulazione degli articoli, e specialmente il punto di vista, difeso dall’onorevole Zuccarini, secondo il quale bisognerebbe partire dal comune per arrivare alla regione. Altri erano invece dell’idea che bisognasse prima affermare la vita della regione e disciplinarla, per passare poi ai comuni e agli enti locali. Dopo una discussione di alto interesse, durata circa due ore, si è passati all’esame di alcuni punti specifici; se cioè occorra stabilire un ordinamento uniforme per le regioni, oppure se sia opportuno, con una clausola speciale, lasciare la possibilità che alcune regioni abbiano una posizione giuridica diversa, quindi se non sia opportuno – secondo l’opinione dell’onorevole Grieco a cui egli ha finito por accedere – che siano tassativamente indicate le regioni per le quali si dovrebbe fare un trattamento particolare, in vista della situazione speciale nella quale si trovano. Approvato questo punto di vista, si è esaminata l’opportunità di seguire un articolato preciso per discutere su punti concreti, e il Comitato ha deciso – naturalmente con la sua personale astensione e col voto contrario dell’onorevole Zuccarini per le ragioni di cui sopra – di discutere sullo schema che aveva formulato. Riguardo ai comuni, ha potuto rilevare con soddisfazione che le proposte formulate dall’onorevole Lami Starnuti non differiscono sostanzialmente dal punto di vista del Comitato; difatti l’onorevole Lami Starnuti nelle sue dichiarazioni ha fatto comprendere che soltanto la disposizione fondamentale che riguarda l’autonomia dei comuni dovrebbe essere inserita nella Costituzione, mentre tutte le altre disposizioni che ne disciplinano la struttura e la vita andrebbero trasferite in una legge speciale di carattere costituzionale.

Ha avuto dunque l’impressione che si possa arrivare ad un’intesa generale, visto anche che gli emendamenti dell’onorevole Grieco possono in gran parte accettarsi. Un punto di dissenso potrebbe manifestarsi soltanto in merito all’ammissione o meno della legislazione cosiddetta primaria e ai limiti da attribuirle. Crede tuttavia che anche su questo punto si potrà arrivare ad un accordo, perché sia gli emendamenti dell’onorevole Grieco che quelli dell’onorevole Lami Starnuti concordano nel riconoscere alla regione una facoltà di legislazione secondaria di integrazione.

Ciò premesso, dichiara che il Comitato è a disposizione della Sottocommissione per le direttive che eventualmente voglia impartirgli.

La seduta termina alle 19.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bulloni, Calamandrei, Mannironi.

Assenti: Castiglia, Finocchiaro Aprile, Patricolo, Targetti.

MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

26.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Tosato – Lussu – Di Giovanni – La Rocca – Laconi – Uberti – Fabbri – Nobile – Presidente – Conti, Relatore – Porzio – Lami Starnuti – Bozzi – Piccioni – Russi Paolo.

La seduta comincia alle 17.20.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

TOSATO ritiene che la discussione finora avvenuta non sia stata del tutto inutile perché, diversamente da quel che può sembrare, un certo avvicinamento si è operato, nel corso di essa, fra le diverse opinioni in contrasto. In un primo momento, infatti, i punti di vista erano del tutto divergenti: da un lato si richiedeva che la seconda Camera fosse rappresentativa soltanto di interessi indifferenziati, genericamente intesi: dall’altro, invece, che essa fosse l’espressione soltanto di interessi differenziati, cioè di categoria. Attraverso la discussione queste due tesi in contrasto si sono notevolmente avvicinate: infatti, coloro che erano favorevoli alla prima ipotesi hanno finito con l’ammettere la necessità di una certa differenziazione, vale a dire che debbano essere richiesti alcuni requisiti specifici di eleggibilità, oltre a quelli genericamente intesi; mentre i fautori della seconda ipotesi hanno mostrato di abbandonare l’idea di una rappresentanza esclusiva degli interessi differenziati di categoria, per accedere all’idea di una rappresentanza parziale – per una metà o per un terzo – di tali interessi.

Pertanto si è arrivati ad ammettere da ambedue le parti che per la elezione dei senatori non siano più sufficienti i requisiti generici di eleggibilità, che si richiedono per l’elezione dei deputati. La conclusione a cui si è arrivati è perfettamente logica, perché, se fossero richiesti soltanto i requisiti generali di eleggibilità per i membri della seconda Camera, questa verrebbe ad essere del tutto eguale alla prima, il che certo, almeno ai più, non sembra opportuno.

Frattanto, trovato questo primo punto di intesa, la questione che sorge, sulla quale possono di nuovo manifestarsi opinioni contrastanti, è quella relativa alla determinazione di questi requisiti specifici di eleggibilità.

A tale proposito si può distinguere innanzi tutto il requisito relativo all’età: mentre per le leggibilità alla prima Camera è stata stabilita l’età di 25 anni, per l’eleggibilità alla seconda si dovrebbe stabilire una età maggiore; sul che quasi tutti sono d’accordo.

In secondo luogo, possono essere distinti i requisiti specifici attinenti alla qualità dell’eleggibile, ossia ai suoi attributi, alle funzioni sociali che egli eventualmente può svolgere. Anche su questo punto si può essere d’accordo, perché è evidente l’opportunità che l’eleggibile alla seconda Camera abbia qualche carattere particolare che lo distingua dalla comune persona che può essere eletta alla Camera dei Deputati.

In ogni modo, per la determinazione dei requisiti specifici di eleggibilità dovrebbero essere adottati due criteri, uno negativo e l’altro positivo: il primo. nel senso di escludere tutti quei requisiti che possono essere indice di un privilegio sociale, come ad esempio il censo o l’appartenenza ad una determinata classe, sul che tutti evidentemente non possono che essere di una stessa opinione; il secondo, per il quale i requisiti specifici dovrebbero stare ad indicare una funzione sociale attiva, un’attività produttiva utile alla società, svolta dall’eleggibile. Anche su quest’ultimo punto non crede che sia troppo difficile trovare un accordo.

Le difficoltà più gravi sorgono invece quando si deve stabilire se tali requisiti debbano essere determinati a titolo puramente individuale, oppure in relazione a date categorie sociali di cui la seconda Camera dovrebbe essere l’espressione. Se si raggiungesse l’intesa su quest’ultimo punto, la questione si sposterebbe nel senso che sarebbe necessario stabilire la proporzione con cui le varie categorie, fissate attraverso i requisiti specifici di eleggibilità, dovrebbero essere rappresentale nella seconda Camera. A suo avviso anche tale difficoltà può essere agevolmente sormontala: si tratta, in fondo, di trovare gli adattamenti necessari per impedire che gli interessi di una data categoria possano cristallizzarsi ai danni degli interessi di un’altra. Il problema potrebbe essere risolto facilmente, specie se si ammettesse il principio che la determinazione degli appartenenti ad una data categoria debba essere stabilita dalla legge, su proposta delle singole regioni. Il tal modo verrebbe concesso un certo margine di discrezionalità nelle decisioni da adottare in questo campo, ciò che impedirebbe il sorgere di ogni pericolo di cristallizzazione delle varie categorie, e quindi ogni possibilità di irrigidimento della fluida realtà sociale, a cui alcuni oratori, con legittimo senso di preoccupazione, hanno fatto espresso riferimento.

Con la soluzione delle questioni intermedie ora accennate, si potrebbe trovare un punto di confluenza fra le varie opinioni in contrasto e, senza eccessive difficoltà, si potrebbe dar vita ad una seconda Camera rispondente alle fondamentali esigenze di un ordinamento democratico e che, nello stesso tempo, non fosse una copia o un doppione dell’altra.

LUSSU osserva come non vi sia una gran differenza tra una seconda Camera quale la vorrebbe l’onorevole Tosato e la Camera delle Corporazioni.

DI GIOVANNI ricorda che a suo tempo, per una riforma del vecchio Senato, furono compiuti degli studi ed una Commissione, composta degli onorevoli Beneduce, Labriola ed Abbiate, formulò un progetto, nel quale si prevedeva un maggior numero di categorie di senatori e nello stesso tempo l’istituzione di un Consiglio superiore del lavoro. In sostanza, se si costituisce una seconda Camera con una rappresentanza, almeno parziale, di interessi di categoria, si viene a riassorbire in essa il Consiglio superiore del lavoro progettato da quella Commissione.

A suo avviso, non v’è dubbio che alcune determinate categorie debbano essere rappresentate nella seconda Camera; ma, accanto a questa rappresentanza organica degli interessi, deve esservi anche una rappresentanza politica. Da ciò assolutamente non si può prescindere. Fissati questi criteri, occorrerà stabilire le modalità per l’elezione dei senatori. In ogni modo, si può essere senza altro favorevoli al principio di richiedere, per l’eleggibilità dei membri della seconda Camera, una età maggiore, da fissarsi ad esempio in anni 40, di quella richiesta per l’elezione dei deputati della prima Camera.

LA ROCCA ritorna sulla sua concezione, secondo cui, posto che si è stabilito di attribuire alle due Camere eguali funzioni politiche e legislative, la seconda deve avere la stessa fonte di potere della prima, ossia la volontà popolare, attraverso il suffragio eguale, diretto e segreto. Con ciò non si vuole creare una seconda Camera che sia un doppione dell’altra: per evitare un simile inconveniente occorrerebbe fissare, per gli eleggibili alla seconda, determinati requisiti diversi da quelli richiesti per essere eletti deputati. Il carattere distintivo tra le due Camere dovrebbe proprio essere dato dal fatto che tutti i cittadini potrebbero essere eletti deputati, mentre non tutti potrebbero essere eletti senatori. Potrebbero, ad esempio, essere considerati eleggibili alla seconda Camera i sindaci, i consiglieri comunali, coloro che hanno esercitato date mansioni per un certo numero di anni.

Tiene a far presente poi la necessità di risolvere con la maggior rapidità possibile e definitivamente il problema della formazione della seconda Camera perché essa, insieme alla prima, molto probabilmente sarà chiamata ad eleggere il futuro Capo dello Stato. Se nel momento di tale elezione la seconda Camera non fosse stata formata, si dovrebbe far ricorso a una legge speciale, il che sarebbe sommamente deprecabile.

LACONI constata che si è compiuto un notevole sforzo di avvicinamento fra gli esponenti del gruppo di cui egli fa parte e gli altri, specie quando l’onorevole Mortati ha proposto di sostituire ad una rappresentanza determinata in modo indifferenziato una rappresentanza qualificata. Fu appunto per avvicinarsi a tale concetto che il suo gruppo accettò che si stabilissero determinate condizioni per l’eleggibilità alla seconda Camera.

A tale proposito, però, osserva che l’obbiettivo da proporsi non può essere soltanto quello di avviare le cosiddette forze vive alla rappresentanza della seconda Camera, ina anche l’altro di far avvicinare quanto più è possibile alla vita politica le forze che ne sono ancora assenti. Non si può quindi accettare la tesi di dividere il corpo elettorale in determinate categorie, perché in tal caso resterebbe esclusa dalla vita politica una gran parte di cittadini, e ritiene che, mediante la determinazione dei requisiti di eleggibilità e l’adozione del suffragio universale, sia possibile raggiungere i due obiettivi fondamentali di una Costituzione democratica: dare adeguata rappresentanza alle forze vive e far accedere le più vaste masse della popolazione alla vita politica del Paese.

Non vede però in qual modo sia possibile predeterminare la proporzione con cui le diverse forze vive del Paese dovranno essere rappresentate perché lo stesso concetto di forza viva, ossia di vita, ripugna evidentemente a qualsiasi definizione. È meglio che la rappresentanza di tali forze sia determinata dalla libera volontà popolare.

Non sarebbe nemmeno, a suo avviso, consigliabile accordare alle Assemblee regionali la facoltà di stabilire volta per volta la proporzione con cui le forze anzidette dovranno essere rappresentate nella seconda Camera, perché con l’adozione di un simile criterio si arriverebbe indubbiamente al caos.

Egualmente sconsigliabile gli sembra l’idea di stabilire volta per volta con leggi speciali il diverso peso da attribuirsi alle varie categorie, perché tali leggi dovrebbero essere rinnovate di continuo, visto che la vita di ogni regione non può che mutare rapidamente, soprattutto in un periodo, come l’attuale, di intensa attività ricostruttiva. In ogni modo, il fatto stesso di dover integrare con leggi speciali una Costituzione su un punto di così fondamentale importanza, sta a denunciare l’insufficienza del principio della rappresentanza di categoria.

Concludendo, manifesta l’impressione che si stia cercando la soluzione di un problema che non ne ha o meglio che ne ha una sola, assai chiara: quella di non vincolare la volontà popolare, che è l’unica che possa determinare la diversa proporzione con cui dovranno essere rappresentati i vari interessi della Nazione.

UBERTI ritiene, poiché alcune difficoltà si oppongono all’accoglimento della tesi proposta dall’onorevole Tosato, che sia opportuno riprendere in esame il progetto dell’onorevole Ambrosini, nel quale si prevede la rappresentanza degli interessi di categoria, ma in misura ridotta. Fa presente che una base reale per la determinazione delle varie categorie si può trovare nel censimento del 1936, che contiene l’indicazione dell’appartenenza di tutti i censiti ad una determinata categoria.

Queste forze vive esistono: ciò a cui si deve tendere è che i rappresentanti diretti delle singole categorie produttive, imprenditori e lavoratori – naturalmente su base paritetica, per impedire spostamenti di equilibrio – possano entrare a far parte della seconda Camera, sì che non solo i contrasti fra imprenditori e lavoratori, ma anche le questioni intrinseche della produzione possano essere esaminate in tale sede. L’attuale distacco esistente tra l’Assemblea Costituente ed il popolo deriva forse dal fatto che in seno a questa non v’è una rappresentanza diretta, ma solo una rappresentanza occasionale dei vari interessi di categoria.

Il progetto dell’onorevole Ambrosini prevede che la rappresentanza della seconda Camera sia per un terzo di interessi di categoria e per due terzi regionale, ed egli lo trova giusto, perché è necessario che le varie energie locali siano rappresentate in Senato, in modo da far sentire il loro peso nella vita collettiva del Paese.

Spesso nei comuni si sollevano proteste contro lo Stato; ma il giorno in cui i rappresentanti comunali potranno essere ammessi nel Parlamento e potranno così rendersi conto delle reali possibilità dello Stato, molte di tali proteste cadranno nel nulla.

Frattanto, poiché si deve procedere alla costituzione immediata della seconda Camera, ritiene che, in via provvisoria, potrebbero essere utilizzati alcuni enti già esistenti, quali le Camere di commercio, gli organismi sindacali, le organizzazioni agricole, commerciali, industriali e i Consigli provinciali dell’agricoltura. In altri termini, secondo il suo avviso, si dovrebbe ammettere la rappresentanza dei grandi interessi, cioè dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, del lavoro e, eventualmente, della scuola. Solo così si potrebbe avere un primo, efficace esperimento nella rappresentanza delle forze vive del Paese.

Dichiara infine di non condividere l’opinione dell’onorevole Laconi, il quale si è espresso favorevolmente ad una elezione diretta di primo grado: ritiene infatti che con le elezioni di secondo grado si possa meglio addivenire alla formazione di un Senato competente e autorevole.

FABBRI osserva che, a parte il requisito, per i membri della seconda Camera, di un’età superiore a quella richiesta per i membri della prima, sul quale tutti sono d’accordo, per risolvere il problema in esame occorre più che altro stabilire il titolo per l’eleggibilità. A tal fine è necessario determinare quali siano le cosiddette forze vive del Paese, sulla elencazione delle quali non crede che possano sorgere grandi difficoltà. Esse sono le industrie, il commercio, la cultura, la banca, gli enti di assistenza, ecc. Fatta tale elencazione, si dovrà stabilire per ognuna di queste categorie il titolo rappresentativo che potrà conferire il requisito dell’eleggibilità. Sarebbe così risolta la questione se la rappresentanza della seconda Camera debba essere una rappresentanza politica o di interessi, e ciò perché si avrebbero contemporaneamente ambedue queste rappresentanze. Difatti, se si stabilisce, ad esempio, che il titolo per la eleggibilità in rappresentanza dell’industria è costituito dall’aver partecipato alla direzione di una azienda, o dall’aver fatto parte per un certo periodo di tempo della direzione della relativa organizzazione sindacale, colui che in base a tale titolo verrà eletto membro della seconda Camera sarà non solo un rappresentante della categoria dell’industria, ma anche un rappresentante politico, in quanto diventato tale mediante il suffragio dei suoi elettori.

Le difficoltà, a suo avviso, possono sorgere quando si dovrà procedere alla distribuzione delle categorie. A tale proposito osserva che non esiste regione italiana che non abbia un’agricoltura, una industria, un commercio, un’organizzazione bancaria, una Università e degli enti di assistenza. Quindi, ogni regione avrà i suoi rappresentanti per ciascuna categoria, o almeno per le principali.

Fissato il titolo di eleggibilità per ogni categoria e il numero dei senatori che ciascuna regione dovrà eleggere, si potrebbe infine sancire nella Costituzione che spetti alle Assemblee regionali, in occasione di ogni elezione, di stabilire la distribuzioni degli eligendi.

Adottati tali principî, ciascuno che abbia il titolo di eleggibilità per una determinata categoria potrà porre la sua candidatura. Ciascun partito sosterrà i propri candidati, e scomparirà ogni possibilità di conflitto tra il concetto di rappresentanza di interessi e il concetto di rappresentanza politica. Si riprodurrà, in largo modo, la fisionomia politica della prima Camera, ma con questa enorme differenza, che si tratterà di una Camera viva, e perché eletta su una base strettamente democratica, ossia da tutti i cittadini, e perché composta di uomini di provata esperienza, ciascuno nel proprio campo di attività.

Non crede giusto il rilievo dell’onorevole Lussu, secondo cui non vi sarebbe una gran differenza fra una seconda Camera basata, più o meno, su una rappresentanza di categorie e la Camera dei fasci e delle corporazioni. Questa, infatti, si basava su categorie prestabilite di sindacati aventi un certo numero predeterminato di lavoratori e di datori di lavoro, e la nomina dei suoi membri avveniva per decreto; mentre in una seconda Camera del tipo accennato, indipendentemente da ogni criterio paritetico quanto al numero dei datori di lavoro o dei lavoratori, la scelta dei rappresentanti sarebbe fatta liberamente da tutti gli elettori.

NOBILE domanda agli onorevoli Mortati e Tosato se essi, nelle loro proposte, quando parlano di rappresentanti di categorie, intendono riferirsi sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Nobile che nella proposta dell’onorevole Tosato la categoria del lavoro è considerata a parte, mentre nella proposta dell’onorevole Mortati ogni singola categoria comprende tanto i datori di lavoro quanto i lavoratori.

NOBILE rileva che, se tale è la proposta dell’onorevole Mortati, ogni ragione di contrasto non ha più ragione d’essere. Difatti i partiti di destra avranno come candidati i direttori di azienda o gli agrari; i partiti di sinistra gli operai o i contadini.

L’unica cosa da farsi sarebbe di tenere sempre aggiornati i dati statistici relativi agli appartenenti di ogni singola categoria, sì da poter avere una seconda Camera che effettivamente rispecchi in ogni momento gli interessi del Paese.

Se qualche difficoltà si può avere in questo campo, essa più che altro riguarda la scelta del sistema elettorale, circa il quale taluno ha parlato di elezioni di secondo grado. Tiene a dichiarare che non è favorevole a questo sistema, perché per sua esperienza ha potuto constatare che quando le elezioni avvengono in seno ad organismi ristretti si esercitano quasi sempre dello pressioni di carattere personale o si usano altri mezzi assai poco democratici, onde egli è favorevole al sistema del suffragio universale, uguale, diretto e segreto.

CONTI, Relatore, è contrario a una formazione della seconda Camera su base corporativa e quindi alle proposte fatte dagli onorevoli Mortati e Tosato, basate più o meno sulla rappresentanza organica degli interessi, perché l’attività umana non può essere incasellata in determinati schemi e categorie. Questo incasellamento mortifica la vita e va contro la realtà delle cose.

Per la costituzione della seconda Camera, a suo avviso, bisogna più che altro tener presente il futuro ordinamento regionale. Con l’accoglimento delle proposte degli onorevoli Mortati e Tosato, si finirebbe col perdere di vista l’autonomia delle regioni, sulla quale era da credere che la maggioranza dei componenti la Sottocommissione fosse ormai d’accordo. A tale proposito ricorda il concetto espresso in una precedente riunione dall’onorevole Lussu, e cioè che la seconda Camera dovrà essere la rappresentanza delle regioni e quindi l’anello di congiunzione fra le regioni stesse e lo Stato. La rappresentanza regionale è, perciò, il primo elemento che occorre tener presente per la formazione della seconda Camera. Ora, affinché tale rappresentanza possa veramente esplicare la sua efficacia, occorre procedere all’elezione dei membri della seconda Camera non già col sistema del suffragio diretto, bensì con quello della votazione indiretta o di secondo grado. In altri termini, dovrebbero essere proprio le Assemblee regionali, costituite per la disciplina degli interessi della regione, ad inviare i loro rappresentanti nella seconda Camera. Soltanto così essa potrà essere composta di uomini di provata esperienza e di mature e ben fondate cognizioni.

Ritiene che anche per la cosiddetta rappresentanza degli interessi si dovrebbe far ricorso al criterio regionale.

Analogamente, sempre nell’ambito delle regioni, raccomanda di non dimenticare le organizzazioni operaie e non operaie, le istituzioni generiche, le istituzioni culturali (Università e anche scuole medie), i consigli comunali e le camere di commercio.

In conclusione, è favorevole al progetto Ambrosini, contenente alcune norme il cui concetto ispiratore è assai vicino al pensiero che ha sempre animato la sua condotta politica.

PORZIO osserva che l’odierna discussione, anziché chiarire, ha reso ancor più confuse le idee.

A suo avviso, per agevolare il compito della Sottocommissione, si dovrebbe anzitutto stabilire quale è il corpo elettorale della seconda Camera; in secondo luogo se i candidati debbano avere requisiti speciali. Evidentemente non si può parlare di tali requisiti, se prima non si è stabilito quale debba essere la fonte della seconda Camera.

Ritiene che una rappresentanza basata sulle cosiddette forze vive costituisca una limitazione per il futuro Senato che, a suo parere, dovrebbe avere il prestigio ed il decoro di un’Assemblea coordinatrice: i rappresentanti della seconda Camera dovrebbero venire dalla regione, dalla provincia, dal comune, e dovrebbero essere eletti da tutto il corpo elettorale del Paese.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Porzio che nella riunione precedente la maggioranza della Commissione ha ritenuto opportuno un più approfondito esame generale del problema in esame. In ogni modo è convinto che, giunti alla fine della presente discussione, si ritornerà a quella successione logica di argomenti accennata dall’onorevole Porzio, col vantaggio però di aver conseguito una maggiore chiarificazione del problema nella seduta odierna.

LAMI STARNUTI ricorda di aver avuto l’impressione, quando in una delle precedenti riunioni l’onorevole Fuschini presentò il suo ordine del giorno, che le proposte da lui fatte potessero diventare la base di un voto che raccogliesse almeno l’adesione della maggioranza della Commissione. Le aggiunte, però, proposte dall’onorevole Tosato agli articoli formulati dall’onorevole Fuschini le hanno, a suo giudizio, profondamente trasformate, sicché l’adesione, che poteva essere concessa ai soli articoli dell’onorevole Fuschini, deve essere invece negata agli stessi articoli, se modificati secondo gli intendimenti dell’onorevole Tosato.

Ora, poiché è necessario addivenire ad un accordo per la risoluzione del problema in esame, prega gli esponenti degli altri gruppi politici di non riportare la questione al punto di partenza con le proposte dell’onorevole Tosato. L’accordo, infatti, diventerebbe impossibile, se la formazione della seconda Camera dovesse basarsi soltanto sulla rappresentanza organica degli interessi e non più su una rappresentanza politica.

Domanda all’onorevole Tosato se il caso limite di una seconda Camera composta interamente di sindaci non possa verificarsi con l’attuazione delle sue proposte. Vede che l’onorevole Tosato fa cenno di diniego. In ogni modo, è da osservare che, per giungere alla conclusione negativa dell’onorevole Tosato, occorrerebbe cambiare il sistema elettorale, nel senso cioè che si dovrebbe fare ricorso non più al sistema della proporzionale, ma a quello maggioritario, il che approfondirebbe il contrasto tra le due parti.

Rivolge pertanto un invito al gruppo democristiano di prendere in considerazione soltanto le proposte dell’onorevole Fuschini, perché ritiene che su di esse si possa arrivare a un voto di maggioranza della Sottocommissione.

BOZZI dichiara che, schematicamente, il suo pensiero può essere così riassunto: abbandonare l’idea di corpi elettorali distinti per categorie professionali e trasferire la rappresentanza delle così dette forze vive alle categorie degli eleggibili. Si tratta cioè di identificare titoli particolari di eleggibilità, per poter dare una rappresentanza a quelle che con espressione che doveva riferirsi, non già alle organizzazioni sindacali o agli ordini professionali, bensì alle attività sociali per sé considerate, sono state chiamate le forze vive della società nazionale.

Osserva che con l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Grieco si mira a creare una seconda Camera che sia una copia fedele della prima. Con ciò si ritorna al punto di partenza della discussione, perché il fine che si propone l’onorevole Grieco è appunto quello che la Sottocommissione ha voluto escludere quando ha approvato l’ordine del giorno relativo alla istituzione di una seconda Camera destinata a rappresentare le forze vive del Paese. Con tale espressione infatti si intendeva creare una seconda Camera che fosse integrativa della prima: un’assemblea che, pur essendo costituita dalla rappresentanza di interessi, intesi in senso largo, cioè economici e culturali, fosse anche un’Assemblea politica, in quanto tali interessi non potevano essere visti che in funzione di interessi generali, ossia politici.

Le divergenze potranno sorgere, come giustamente ha affermato l’onorevole Laconi, quando si tratterà di attribuire alla rappresentanza di queste forze vive questo o quel numero di seggi. Ma ciò è una conseguenza del fatto stesso di aver ammesso che tali forze vive debbano essere rappresentate nel futuro Senato. Se si dice, infatti, che la seconda Camera deve essere fondata su un principio politico diverso da quello su cui è fondata la prima, e che tale principio politico diverso consiste nella rappresentanza delle varie forze vive del Paese, assunte per sé stesse, con rilievo autonomo e di primo piano, evidentemente si ammette che la seconda Camera non deve essere un doppione della prima e che, per conseguire tale scopo, occorre configurare la rappresentanza di quelle forze vive in modo diverso da quello in cui esse trovano la loro rappresentanza nella Camera dei Deputati. Quindi, la prima cosa da farsi è quella di individuare queste forze, in modo che esse possano avere la loro voce nel Senato. Raggiunto tale risultato, spetterà alla regione l’ulteriore compito di determinare le singole quote da attribuirsi a ciascuna forza viva. Si sa, infatti, che queste forze vive sono diversamente distribuite in ogni regione: in una, ad esempio, può avere maggiore importanza l’attività agricola, in un’altra quella industriale; e saranno le singole Assemblee regionali a stabilire il numero dei seggi che dovrà essere assegnato ad ogni data categoria fissata dalla Costituzione.

È stato osservato dall’onorevole Laconi che tale sistema non sarebbe democratico, in quanto porrebbe alcuni limiti inammissibili alla volontà degli elettori; ma a tale proposito si può affermare che una certa limitazione alla volontà del corpo elettorale esiste sempre, anche quando si tratta di elezioni a suffragio universale per la formazione della Camera dei Deputati, visto che l’elettore è costretto a scegliere i suoi rappresentanti nelle liste dei candidati proposte dai Comitati elettorali.

Quanto poi alla questione se i rappresentanti della seconda Camera debbano essere eletti a suffragio diretto o indiretto, ritiene che sia più opportuno il suffragio diretto, per varie considerazioni. Non si deve dimenticare che è stato stabilito il principio della parità delle funzioni tra le due Camere. Orbene, tale parità sarebbe un’affermazione più teorica che di fatto, se la seconda Camera dovesse trovare la legittimazione del suo potere in una forza democratica diversa da quella che dà vita e prestigio alla prima.

Inoltre, se si fa dipendere l’elezione dei rappresentanti della seconda Camera da alcuni determinati organismi, quali ad esempio i Consigli comunali o provinciali, si assegnano a questi compiti non più amministrativi, ma politici, deformandone il carattere; il che non sembra opportuno.

Infine fa considerare che non è conveniente collegare la seconda Camera con la sorte dei Consigli comunali e provinciali o delle stesse Assemblee regionali, perché i membri di tali organismi possono sempre cessare di appartenervi, in quanto, ad esempio, può venire a mancar loro a un dato momento la fiducia popolare. Questo collegamento creerebbe complicate situazioni per far coincidere le elezioni comunali o provinciali o delle Assemblee regionali con quelle politiche; e accentuerebbe, con grave danno, il carattere politico delle prime. Domanda in quale situazione verrebbero a trovarsi i membri della seconda Camera eletti da un corpo elettorale a cui fosse venuta meno la fiducia del popolo. Anche se si stabilisse in un articolo della Costituzione che un simile fatto non debba avere conseguenze sulla elezione, ormai avvenuta, dei senatori, le ripercussioni non mancherebbero, con evidente danno per il prestigio della seconda Camera.

PICCIONI crede che sia un errore prendere decisioni con eccessiva fretta sul problema in discussione, che senza dubbio ha notevole importanza. Se i lavori della Costituente premono, preme altresì di arrivare a conclusioni ben fondate e meditate, altrimenti potrebbe accadere di dover ritornare sopra decisioni già prese. È chiaro che in seno alla Sottocommissione è sorto qualche contrasto di opinioni sul problema della formazione della seconda Camera: a suo parere, tuttavia, tale contrasto può e deve essere superato senza gravi difficoltà.

Ritiene opportuno frattanto dichiarare, anche a nome degli altri appartenenti al suo gruppo, che egli è completamente d’accordo con quanto hanno affermato gli onorevoli Mortati, Ambrosini, Tosato, Uberti e Fuschini, e cioè che il partito al quale appartiene tende alla attuazione della democrazia in Italia non già come una ripetizione meccanica degli esperimenti della organizzazione democratica dello Stato quale si è avuta nell’800, bensì partendo da premesse diverse, per giungere alla costruzione del nuovo stato democratico su una base organica. Soggiunge che si può ironizzare sul significato delle parole «rappresentanza organica», ma sta di fatto che esse hanno un senso profondamente realistico, aderente all’odierna struttura sociale. In altri termini, il partito a cui egli appartiene non vuole una struttura della nuova democrazia italiana basata su istituti che esprimano soltanto una concezione atomistica ed individualistica della vita, quale era quella del secolo passato, ma vuole una struttura che poggi su nuovi istituti, più aderenti alla realtà sociale della nostra epoca, realtà che appunto si va manifestando organicamente mediante nuove forme di raggruppamenti sociali, ossia attraverso le così dette forze vive, di cui tanto si è parlato nel corso delle recenti discussioni.

Per venire all’argomento in esame, afferma che si può comprendere il punto di vista di coloro che volevano e vorrebbero ancora una sola Camera; ma soggiunge che una volta adottato il sistema bicamerale, se si vuole essere conseguenti bisogna francamente riconoscere che la seconda Camera non può che essere sostanzialmente diversa dalla prima; e ciò non perché essa debba ripetere la sua legittimità da una rappresentanza democratica di misura inferiore rispetto alla prima – il che non è evidentemente opportuno – ma per la sua composizione, la sua struttura, la sua forza di espressione politica. A suo avviso, la seconda Camera ha il compito di collaborare con la prima alla formazione delle leggi e deve ad un tempo svolgere una funzione di controllo sul Governo, ed un concreto risultato in tale senso non sarebbe raggiunto, se essa fosse una copia conforme della prima.

Non nega che la concezione più semplice per risolvere il problema sia quella per la quale i rappresentanti della seconda Camera dovrebbero essere eletti a suffragio universale diretto, salvo ad avere alcuni requisiti diversi da quelli richiesti per i membri della prima Camera; ma con tale sistema si affiderebbe la scelta dei rappresentanti della seconda Camera a 28 milioni di elettori, sia pure riuniti per regioni, ridotte a circoscrizioni elettorali, e si avrebbe quindi la stessa composizione della prima Camera. Anche elevando il requisito dell’età, per i senatori, da 25 anni così come si richiede per l’elezione a deputato, a 35 o 40, non si influirebbe troppo sulla composizione della seconda Camera, perché nella stessa Camera dei Deputati i membri aventi un’età inferiore ai 35 anni sono assai poco numerosi.

A quanti vorrebbero che fossero eleggibili senatori i sindaci, i consiglieri comunali, coloro che hanno fatto parte di pubbliche amministrazioni e così via, obietta che si tratta di persone che potrebbero sempre essere elette, indipendentemente dalle cariche ricoperte. Tali indicazioni avrebbero soltanto una conseguenza, quella cioè di determinare la scelta degli eleggibili da parte del corpo elettorale con criterio esclusivamente politico; criterio che non può essere esclusivo per la seconda Camera, così come lo è per la prima, altrimenti le due Camere verrebbero ad essere l’una la copia fedele dell’altra. Non si accontenterebbero in questo modo coloro che pensano che la seconda Camera debba avere una sua funzione particolare, ben distinta da quella che svolge la prima.

Domanda ai commissari socialisti e comunisti, che hanno una visione così diversa dalla sua della struttura della vita sociale, poiché la basano in gran parte sul fattore economico, se veramente essi credano che la vita sociale e politica di un Paese possa essere determinata esclusivamente dalla volontà indifferenziata di 28 milioni di elettori. Una simile concezione sarebbe veramente arretrata rispetto alla evoluzione delle dottrine politiche, perché l’orientamento politico di un Paese non è determinato soltanto dall’espressione della volontà individuale, ma anche da quella di alcuni aggruppamenti o, se si vuole, nuclei di forze che sorgono e si formano per la soddisfazione di fondamentali esigenze sociali.

Perciò accanto all’espressione indifferenziata, atomistica, individualistica della volontà popolare, che trova pure una sua forma di organizzazione attraverso i partiti, deve per necessità di cose realizzarsi l’espressione di altre forze organizzate, che operano nella vita sociale e politica più o meno autonomamente.

Un’altra considerazione deve fare rispetto all’opportunità di costituire una seconda Camera col sistema della rappresentanza organica: anziché costringere queste forze ad operare al di fuori dello Stato o a premere sullo Stato, ad essere in una situazione di continuo contrasto ed eventualmente di fotta con lo Stato, bisogna trovare il modo di immetterle nella organizzazione statale, affinché possano operare in concordia con tutte le altre forze politiche e sociali per un rinnovamento profondo della vita nazionale. Per arrivare ad una conclusione di questo genere – poiché non è possibile redigere una Costituzione che preveda l’ulteriore assestamento, sviluppo e specificazione di queste forze sociali – basterebbe indicare nella Costituzione stessa per grandi linee un modello di rappresentanza di tali forze. Ricorda al riguardo che anche nella composizione della Consulta, istituto certo assai difettoso, era prevista l’assegnazione di alcune aliquote di rappresentanza a queste forze in largo modo individuale. Come esse non hanno costituito una remora, un impedimento allo svolgimento dei compiti di un istituto difettoso come era la Consulta, così esse non poi ranno costituire un ostacolo al libero funzionamento della seconda Camera, specialmente quando – e questa è la risposta migliore all’appunto di un eventuale corporativismo – nessuno chiede di fare una seconda Camera sulla base di una rappresentanza esclusiva di interessi di categorie o di professioni. Ritiene che una quota di tale rappresentanza (la terza parte, ha detto l’onorevole Ambrosini) non possa certo influire nel senso di alterare la fisionomia politica del Paese.

Fa presente inoltre che, per avere una rappresentanza, anche se non esclusiva, di interessi di categoria, il miglior modo è sempre costituito non già dal suffragio universale diretto, ma dalle elezioni di secondo grado. E questo si potrebbe realizzare attraverso le assemblee regionali. A tale proposito, ricordando un appunto ingiustificato mosso al suo partito, dichiara che nessuno più di questo vuol rimanere fedele all’istituto della regione, con tutte le sue attribuzioni, capacità e possibilità di vita e di sviluppo. Esprime però il dubbio che l’assemblea regionale, chiamata a procedere alle elezioni di secondo grado per la seconda Camera, possa essere un corpo troppo ristretto. In ogni modo, la cosa potrà essere considerata a suo tempo, quando ci si troverà di fronte al progetto definitivo dell’Ente regione. Si potrebbe pensare frattanto di integrare l’assemblea regionale con altri elementi elettivi (in tal caso si ritornerebbe all’investitura e alla legittimazione del suffragio universale diretto), quali potrebbero essere i sindacati, i Consigli comunali, od altre formazioni elettive della vita locale. Sono tutte questioni che potranno essere risolte in seguito. L’esigenza, però, cui vorrebbe che si rispondesse e su cui insiste, è appunto quella di un avviamento della nuova democrazia verso una forma di rappresentanza organica della vita del Paese; rappresentanza che non può essere realizzata attraverso una indicazione vasta di requisiti di eleggibilità.

Per concludere, ripete che non si tratta di ricopiare una qualsiasi Costituzione ottocentista, individualistica, perché si mancherebbe ai doveri inerenti all’investitura avuta e all’impegno assunto di fronte al Paese di fare una Costituzione realmente democratica e rispondente alle esigenze della vita sociale moderna. Perciò sarà bene inserire nella nuova Costituzione soltanto il principio che la seconda Camera deve avere parità di diritti con la prima; che deve essere eletta per elezione di secondo grado da corpi delle circoscrizioni elettorali; che in essa debbono avere almeno una parziale rappresentanza le forze vive genericamente indicate nell’ordine del giorno già approvato dalla Sottocommissione.

LUSSU ha l’impressione che, dopo il discorso dell’onorevole Piccioni, si sia fatto un notevole passo indietro per la risoluzione del problema. Dopo che questi ha accennato, con severe parole di condanna, all’ordinamento dello Stato secondo le concezioni individualistiche ed atomistiche del XVIII secolo, e dopo che egli ha presentato un progetto per la composizione della seconda Camera basato sulla rappresentanza degli interessi, si ha ragione di ritenere che si voglia costituire una vera e propria Camera dei pari. Forse l’onorevole Piccioni e i suoi amici sono indotti a questo dalla speranza di creare, per mezzo della Costituzione, quella che per essi è una esigenza morale della vita politica moderna, ossia la collaborazione di classe. È naturale che in dati momenti storici si ricerchi il progresso o la rinascita mediante la collaborazione di classe; occorre però che tale collaborazione sia nella coscienza di tutti i cittadini, affinché possa realmente effettuarsi. Un articolo della Costituzione non potrebbe creare la collaborazione di classe ed è, in proposito, da ricordare che in Italia l’odio di classe non è mai stato così forte come quando il fascismo, con le Corporazioni, decretò la collaborazione fra le varie classi in contrasto.

In ogni modo, per tornare al problema in esame, dichiara di essere favorevole a una elezione di secondo grado che potrebbe avere come conseguenza una certa differenziazione della seconda Camera dalla prima; ma deve chiaramente affermare che non potrebbe accettare una seconda Camera intesa come l’espressione di una volontà reazionaria nei confronti della prima.

In conclusione, per poter addivenire ad un accordo tra le varie tendenze in contrasto, ritiene che la soluzione del problema possa aversi nelle elezioni di secondo grado, visto che non si richiede più in modo esclusivo la rappresentanza degli interessi sociali. Por suo conto però vorrebbe che il numero dei rappresentanti fosse in proporzione diretta al numero degli elettori di ogni data categoria. Se così non fosse, la rappresentanza delle categorie sarebbe davvero un comodo mezzo per far trionfare la reazione. Questo è provato da ciò che succede nella Spagna e nel Portogallo, che appunto hanno una rappresentanza di categoria o sono fra i Paesi più arretrati e reazionari del mondo.

ROSSI PAOLO propone la chiusura della discussione.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Paolo Rossi, con l’intesa che sarà riservato il diritto di parlare a coloro che sono già iscritti.

(È approvata).

La seduta termina alle 20.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bulloni, Calamandrei, Cappi.

Assenti: De Michele, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Mannironi, Targetti.

MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

25.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Bozzi – Grieco – Laconi – Presidente – Fuschini – Mortati, Relatore – Nobile – Patricolo – Uberti – Conti, Relatore – Einaudi – Ambrosini – La Rocca – Lussu – Perassi – Piccioni – Zuccarini – Tosato – Castiglia – Fabbri.

La seduta comincia alle 17.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

BOZZI comunica che la riunione dei presentatori di ordini del giorno ha portato, più che a risultati positivi, a identificare i punti controversi che possono essere così riepilogati:

1°) se il corpo elettorale per la seconda Camera debba essere indistinto, oppure se ci debbano essere corpi elettorali professionali. A questo proposito ha notato che, mentre nella precedente riunione egli era quasi l’unico ad aderire all’idea del corpo elettorale indifferenziato, l’onorevole Mortati ha annunciato una seconda edizione del suo ordine del giorno nella quale aderisce a questo punto di vista. All’idea del corpo elettorale professionale aderiscono invece gli onorevoli Ambrosini e Tosato;

2°) se le elezioni debbano essere dirette o indirette. Per queste ultime erano gli onorevoli Ambrosini, Tosato, Perassi e Conti; le dirette raccoglievano invece l’adesione sua e dell’onorevole Mortati;

3°) quale sia la sede idonea per stabilire la proporzione dei seggi tra le varie regioni; se la Costituzione, come sosteneva l’onorevole Mortati, ovvero una legge speciale, secondo l’avviso dell’onorevole Tosato, a cui egli personalmente aderisce.

GRIECO, non avendo preso parte alle precedenti riunioni, ha esaminato con attenzione gli ordini del giorno presentati, ravvisando in ciascuno di essi qualche idea accettabile. Considera innanzi tutto da accogliere il principio «che il corpo elettorale della seconda Camera sia indistinto e che le elezioni siano dirette. È d’avviso però che siano almeno da indicare alcuni dei requisiti per l’eleggibilità. Uno di questi è senza dubbio quello dell’età, ma ve ne potrebbero essere degli altri, come, per esempio, l’essere stato Consigliere comunale, deputato, sindaco, ecc. In questa maniera si andrebbe incontro alle preoccupazioni per la scelta degli eleggibili, senza dover accedere al criterio delle categorie di interessi, contro il quale egli si è già pronunciato.

Esprime infine il parere che le elezioni dovrebbero aver luogo sulla base regionale e con lo stesso sistema che per la prima Camera. Dato poi che per la prima Camera si è stabilita la proporzione di un deputato per ogni 100 mila abitanti, per la seconda consiglierebbe la nomina di uno ogni 150 mila abitanti.

Conclude presentando il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione decide:

1°) i deputati della seconda Camera sono eletti a suffragio universale, diretto, uguale e segreto;

2°) sono eleggibili a membri della seconda Camera tutti i cittadini che abbiano compiuto il 30° anno di età e che rispondano alle condizioni di eleggibilità indicate dalla legge elettorale;

3°) la votazione ha luogo su base regionale e con lo stesso sistema della prima Camera. I deputati sono eletti in ragione di uno ogni 150.000 abitanti».

LACONI si associa all’ordine giorno Grieco e ritira il suo.

PRESIDENTE, dato il numero degli ordini del giorno, propone di non esaminarli uno per uno, ma di discutere innanzi tutto le tre questioni controverse – ormai specificate – per cercare di risolverle. In relazione alle decisioni che saranno adottate, potrà essere scartata una parte degli ordini del giorno.

Apre pertanto la discussione sul primo argomento: se il corpo elettorale debba essere indistinto, ovvero se vi debbano essere corpi elettorali professionali, nel senso che il corpo elettorale venga suddiviso in un certo numero di sottocollegi, ciascuno dei quali nomini un dato numero di membri della seconda Camera.

FUSCHINI, premesso che presupposto indispensabile per procedere alle elezioni è una base elettorale, esprime il timore che, se si adottasse una base differenziata, la nomina dei componenti la seconda Camera dovrebbe essere rimandata ancora per lungo tempo, a meno di ricorrere ad una disposizione transitoria per la prima elezione. Il principio della rappresentanza delle categorie professionali e degli interessi è stato dal suo gruppo sempre difeso; ma non si è mai esaminata a fondo la sua pratica realizzazione, la quale presuppone che gli interessi siano giuridicamente organizzati. Gli sembra di aver letto in una relazione dell’onorevole Di Vittorio che le organizzazioni sindacali, se in possesso di determinati requisiti, avrebbero potuto essere riconosciute ed avere la facoltà di stipulare contratti collettivi di lavoro aventi valore giuridico, com’era previsto dalla legge 4 aprile 1926. Comunque, è convinto che, prima di arrivare ad una completa organizzazione sindacale, ci vorrà molto tempo. Per questi motivi, allo stato attuale dei fatti, pur accettando dal punto di vista teorico il principio della differenziazione del corpo elettorale, preferisce farvi rinuncia. Conclude caldeggiando per la seconda Camera una base elettorale eguale a quella della parità, posto che è stato accettato il principio della parità tra i due organi legislativi.

MORTATI, Relatore, per quanto abbia presentato un ordine del giorno in contrasto con l’avviso espresso dall’onorevole Fuschini, non può negare che le sue considerazioni siano improntate ad un senso di realismo. Riconosce che in effetti un’organizzazione di queste categorie professionali e sindacali oggi ancora non esiste e prima che possa essere giuridicamente completa, molto tempo dovrà trascorrere. Per questi motivi ritiene opportuno recedere dalla sua primitiva proposta, di un collegio duplice, accedendo al concetto di un collegio unico anche per la seconda Camera. Compie questo avvicinamento alle opposte tendenze nella speranza di accelerare un accordo. Un ulteriore passo avanti pensa che potrebbe essere compiuto nel senso di riconoscere che l’esigenza funzionale della seconda Camera meglio sarebbe realizzata, non solo ammettendo una selezione degli eleggibili, ma anche determinando le quote per ciascun gruppo di essi. Tale principio è stato difeso da uno studioso socialista, il Luzzatto, il quale nel mettere in luce questa esigenza funzionale del Senato, notava che sarebbe stato opportuno giungere fino alla graduazione delle categorie ed alla attribuzione di quote per ognuna di esse. Se la Sottocommissione si mettesse su questa via, crede che si potrebbe giungere ad una rapida intesa.

BOZZI si compiace delle dichiarazioni dell’onorevole Mortati, perché fino al giorno avanti era quasi solo a sostenere la necessità di un collegio elettorale indistinto, che ora vede riconosciuta dai più.

Ritiene che il principio della rappresentanza delle attività produttive non andrebbe abbandonato, ma trasferito dal piano del corpo elettorale a quello delle categorie degli eleggibili, fissando altresì il numero di seggi spettanti a ciascuna di esse. In altri termini, si dovrebbe rinunciare al corpo elettorale plurimo, e identificare le categorie di eleggibili tra i rappresentanti non di determinate categorie, ma di attività sociali; svincolandosi così da ogni collegamento con enti, sindacati o qualsiasi altra istituzione. Resterebbe poi da risolvere la questione se la ripartizione dei seggi debba essere fatta dalla Costituzione, o con legge speciale, ovvero dalle stesse Assemblee regionali periodicamente.

NOBILE fa presente che non ha aderito all’ordine del giorno che ha l’onorevole Laconi come primo firmatario, essendo contrario alla elezione dei senatori da parte dei Consigli comunali. Dal momento che è stata accettata la parità di funzioni delle due Camere, ritiene anche necessaria una parità del corpo elettorale.

LACONI tiene a far notare all’onorevole Mortati che, d’accordo coi colleghi, si è già messo sulla strada di un avvicinamento, avendo acceduto all’ordine del giorno dell’onorevole Grieco che sostiene le elezioni a suffragio universale, diretto e segreto. In tal modo egli e i suoi colleghi hanno inteso appunto avvicinarsi alla tesi dell’onorevole Mortati, nel senso di stabilire una differenziazione non nel corpo elettorale, ma negli eleggibili.

Un accordo invece sarà più difficile sulla determinazione delle categorie di eleggibili c sul numero dei seggi da assegnare a ciascuna. In tale campo non vi sono precedenti ed anche nel vecchio Senato, pur essendo gli eleggibili suddivisi in categorie, non erano stabilite delle proporzioni fisse. Il determinare quote proporzionali per ognuna delle categorie gli sembra un voler fissare dei limiti artificiali alla sovrana volontà popolare, che può essere incanalata verso determinati gruppi di interessi, ma non può essere costretta entro i limiti di quote prefissate. Le difficoltà poi sono anche maggiori dal punto di vista pratico, perché da regione a regione la situazione cambia sensibilmente.

Esprime perciò l’avviso che sia meglio lasciare che la proporzione tra le diverse categorie si determini naturalmente nelle diverse regioni, in quanto gli elettori si orienteranno verso quelle categorie che meglio appariranno qualificate per difendere i loro interessi. Non c’è miglior giudice dello stesso elettore.

PATRICOLO rileva che gli onorevoli Laconi e Mortati hanno evitato di pronunciare la parola «compromesso», ma in realtà si va incontro al peggiore dei compromessi, ad un compromesso dettato esclusivamente da ragioni politiche su una questione che riguarda l’ordinamento giuridico dello Stato.

Quale appartenente ad un gruppo di minoranza, non può far prevalere il suo punto di vista, ma tiene ad affermare che, così facendo, si costituirà una seconda Camera che non solo non risponderà alle esigenze del Paese, ma nella quale neppure si vedranno rappresentate quelle «forze vive» di cui parla l’ordine del giorno più volte ricordato. Col sistema che sembra incontrare il favore della maggioranza si eleggeranno uomini che non rappresenteranno nulla, ma saranno solo dei competenti: tanto varrebbe limitarsi a dire che saranno eletti uomini competenti in determinate branche dell’attività economica, sociale o professionale. Voterà quindi contro l’approvazione di un criterio che non risponde alle esigenze espresse in un ordine del giorno già approvato.

UBERTI non crede che una disposizione transitoria, di cui ha parlato l’onorevole Fuschini, come resa necessaria dal fatto che non sarebbe possibile creare subito una organizzazione giuridica delle categorie, costituirebbe un inconveniente grave. Ritiene infatti che non sia cosa assurda stabilire il principio, salvo poi a trovare una soluzione provvisoria per la prima nomina dei componenti la seconda Camera. Ricorda che in numerose altre occasioni si è proceduto in via transitoria, utilizzando organismi già esistenti.

Ha l’impressione tuttavia che, votando a favore di un collegio unico indifferenziato, si precluda la possibilità di sostenere in seguito la nomina attraverso alle Assemblee regionali, sminuendo così il valore dell’ente regione e privandolo della possibilità di far udire la sua voce attraverso alla seconda Camera. Insiste sull’opportunità di non rinunciare alla rappresentanza degli interessi locali – alla quale finora si è dato tanto peso – di fronte alla difficoltà di individuare le categorie professionali.

Aggiunge che, se si accettasse il criterio del suffragio universale, si farebbe un doppione della prima Camera, mentre sarebbe desiderabile un apporto di forze nuove.

PRESIDENTE osserva che non sarà possibile rinunciare ad una serie di votazioni successive, perché, facendosi un’unica votazione sulle varie questioni, i Commissari, trovandosi nella difficoltà di assumere una determinata posizione, si asterrebbero in gran numero dal voto.

CONTI, Relatore, si richiama ad una considerazione di carattere fondamentale fatta dall’onorevole Lussu, secondo la quale l’elezione da parte delle Assemblee regionali di elementi che si vanno ad inserire nella vita dello Stato significa il collegamento fra le parti e il tutto, e rappresenta quindi una affermazione dell’unità nazionale a cui gli autonomisti aspirano.

Da questa premessa scaturisce la sua contrarietà ad una elezione a suffragio universale diretto. Riconosce che questo ha una sua funzione particolare, ma sostiene che non è necessario farvi sempre ricorso, perché, se si partisse da questo punto di vista, sarebbe da condannare anche l’elezione del Capo dello Stato fatta dall’Assemblea Nazionale, cioè in forma indiretta.

Considerata la funzione di integrazione e di perfezionamento della tecnica legislativa, affidata alla seconda Camera, afferma che non si può prescindere per la formazione di questa da una elezione di secondo grado.

PRESIDENTE invita i commissari a non allargare il campo della discussione, che per il momento dovrebbe mantenersi sul corpo elettorale differenziato o indifferenziato, nell’interno della regione. Si tratta cioè di stabilire se i rappresentanti di regione ripeteranno il loro mandato da tutta la regione o soltanto da determinati gruppi interni della regione.

Ricorda che l’onorevole Mortati, nel suo ordine del giorno, proponeva che una metà della seconda Camera fosse eletta in modo indifferenziato e l’altra metà per gruppi di interessi. Senonché lo stesso onorevole Mortati ha poc’anzi esposto le ragioni per cui ha creduto di modificare questa sua prima impostazione – rinunciando al corpo elettorale professionale – al fine di facilitare l’incontro con altre posizioni manifestatesi in seno alla Sottocommissione.

UBERTI domanda se l’onorevole Mortati abbia rinunciato alla sua proposta soltanto in relazione alla prima elezione della seconda Camera, per le difficoltà di immediata attuazione, o anche per le ulteriori.

PRESIDENTE risponde che l’onorevole Mortati ha assunto questo atteggiamento in sede costituzionale, non per una norma transitoria.

EINAUDI dichiara di essere disposto a votare per il collegio indifferenziato, purché resti inteso che un tale voto non pregiudica la questione del suffragio diretto o indiretto. Fa tale atto di adesione anche perché in precedenza ha votato in favore dell’espressione «forze vive», intendendo con ciò di votare contro la rappresentanza di categorie economiche, le quali per conto suo vanno considerate non come forze vive, ma come forze morte.

Ricorda che la distinzione essenziale tra le corporazioni del periodo fascista e le vere corporazioni, era questa: che le corporazioni fasciste erano una brutta copia delle corporazioni del 1600 e del 1700, mentre invece le vere corporazioni erano quelle del 1200 e del 1300. Le vere corporazioni non erano legiferate e non era specificato chi apparteneva ad una categoria o ad un’altra; esse erano vive, appunto perché ciò non era detto e si aveva larga possibilità di passare dall’una all’altra. Quando poi nel 1600-1700 si è cominciato a disciplinarle, sono morte e con esse è morta anche l’economia del Paese.

AMBROSINI, senza entrare in dettagli storici o di principio, rileva che le espressioni: attività professionali, gruppi di produzione, attività lavorative, ecc., comunque si configurino, corrispondono alla realtà e non possono mai essere riguardate come riferentesi a cose morte, perché la legge non può far morire quello che esiste.

Tornando all’argomento in discussione, dichiara di mantenere il suo punto di vista – che ha concretato in un ordine del giorno – favorevole alla doppia rappresentanza.

Circa le difficoltà di indole pratica prospettate riguardo alla formazione del primo Senato, osserva che potrebbero essere superate agevolmente con una norma transitoria, alla quale del resto in nessun caso si potrà fare a meno di ricorrere, finché l’ente regione non sarà costituito. Ma ritiene che il principio dovrebbe essere ammesso, dando ad esso il dovuto rilievo e non trasportandolo sul piano dei requisiti di eleggibilità, perché in tal modo si svuoterebbe di contenuto. Occorrerebbe dare alle categorie la possibilità di eleggere direttamente i propri rappresentanti; solo così la loro voce avrebbe un peso e sarebbe espressione responsabile della categoria interessata.

LA ROCCA si dichiara contrario alla rappresentanza di categorie di interessi, in quanto presuppone una elencazione tassativa che costituirebbe un intralcio alle loro possibilità di sviluppo. Aggiunge che si correrebbe il pericolo di escludere proprio quelle «forze vive» che si vogliono immettere nella seconda Camera.

A suo parere, la rappresentanza diretta a base indifferenziata conferirebbe alla seconda Camera una maggiore autorità e un maggiore prestigio, dando modo a tutte le forze che vivono nella regione di esprimersi.

Inoltre gli interessati saprebbero volta per volta individuare coloro che dànno affidamento di saper meglio difendere i loro diritti e le loro ragioni.

LUSSU rileva che il problema, da qualche giorno in esame, è di tale importanza da indurre a procedere con la massima cautela, senza lasciarsi influenzare dalla esigenza di giungere presto ad una conclusione. Suffraga il suo avviso l’esempio della Francia, ove proprio questo spinoso argomento ha fatto respingere il primo progetto di Costituzione, frutto del lavoro di parecchi mesi, e gli stessi pericoli si profilano per il secondo, in seguito alla posizione assunta da alcuni eminenti uomini politici.

Venendo a parlare del nuovo atteggiamento assunto dall’onorevole Mortati, si compiace del suo avvicinamento al punto di vista che personalmente ha difeso e dell’abbandono di alcune sue posizioni.

Non ritiene ammissibile che nella seconda Camera possano essere rappresentate in egual misura le organizzazioni dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori; il che sarebbe come dire che coloro che hanno un censo maggiore avrebbero diritto ad un maggiore numero di rappresentanti, dato che in Italia, su 18 milioni di cittadini in età da lavorare oltre 15 milioni sono lavoratori e il rimanente datori di lavoro. Dovrebbe invece seguirsi un criterio di proporzionalità, stabilendo una maggioranza e una minoranza.

È favorevole infine all’idea di conciliare le diverse tendenze manifestatesi durante la discussione, trasferendo il problema della rappresentanza sul terreno dei requisiti di eleggibilità. Tali requisiti potrebbero essere costituiti dall’età, dai titoli di studio, dall’aver diretto Camere di lavoro o organizzazioni sindacali, dall’essere stati deputati al Parlamento, dall’essere stati membri dell’Assemblea regionale, ecc.

PERASSI, premesso che condivide l’opinione dell’onorevole Lussu sull’avvedutezza cui bisogna ispirarsi nella discussione in corso, sostiene la necessità di chiarire in maniera inequivocabile che la votazione sul corpo elettorale, indifferenziato o professionale, lascia impregiudicata qualsiasi decisione in merito al suffragio diretto o indiretto. Dovrebbe altresì restare impregiudicato l’esame dei criteri con i quali gli organi procederanno alle elezioni.

Con queste riserve può aderire al concetto di un organo collegiale indistinto.

PICCIONI esprime l’avviso che nella discussione – la cui vitale importanza è stata messa in evidenza – non si sia raggiunto un punto di coagulazione tale da poter stabilire un orientamento per la Sottocommissione. Trova che non vi sarebbe nulla di perduto ad impiegare ancora una o due sedute ad approfondire maggiormente il problema, per chiarire gli eventuali equivoci ed evitare strascichi spiacevoli.

Entrando nel merito, rileva che i vari aspetti del problema sono intimamente connessi ed è impossibile esaminarli separatamente.

Quanto al collegio indifferenziato, osserva che per il momento la sua attuazione concreta appare legata al suffragio diretto, né vede come potrebbe ad esso contrapporsi un suffragio indiretto, quando la Sottocommissione non ha ancora deliberata la composizione dell’Assemblea regionale. D’altra parte, c’è una deliberazione per la quale la seconda Camera dovrebbe essere espressione prevalente delle «forze vive», cioè degli interessi regionali. Ora, se in qualche modo le regioni debbono entrare nella composizione della seconda Camera, si deve preliminarmente sapere che cosa rappresentino, quali poteri abbiano, e come siano composte le Assemblee regionali. Solo quando questi problemi fossero definiti, si potrebbe intravedere concretamente la possibilità di avere un Collegio indifferenziato con suffragio indiretto.

Propone pertanto di sospendere ogni votazione sulla base elettorale, ed affrontare immediatamente l’esame della costituzione dell’ente regione.

LUSSU manifesta la sua contrarietà ad una sospensiva dei lavori rilevando che, per quanto si abbiano ancora idee imprecise sull’autonomia degli enti locali, è evidente che la regione avrà quanto meno un consiglio regionale corrispondente, grosso modo, al consiglio provinciale.

ZUCCARINI condivide l’opinione dello onorevole Piccioni. A suo parere il comitato incaricato della redazione del progetto sulle autonomie regionali dovrebbe affrettare le sue conclusioni, in modo che la Sottocommissione possa risolvere il problema delle autonomie, prima di affrontare quello della composizione della seconda Camera.

Quanto alla rappresentanza di interessi, ritiene che la discussione sia stata utilissima, ma la sua sede più opportuna sarebbe stata quella della composizione della prima Camera, poiché gli interessi, in quanto tali, possono utilmente influire sulla elaborazione della legge, più che sul suo perfezionamento.

Se si volesse veramente dare una rappresentanza alle «forze vive», la questione potrebbe esser posta come base della formazione della prima e non della seconda Camera, che dovrebbe essere l’espressione delle regioni. In via subordinata insisterebbe per il rinvio dell’attuale discussione a quando fosse meglio lineata la struttura dell’organizzazione statale.

TOSATO si associa. Concorda nel ritenere che la discussione non ha ancora raggiunto un punto di-maturità che possa avvicinare ad una soluzione, la quale è resa difficile dalle molte incognite e soprattutto da quella relativa all’ordinamento regionale. Allo state attuale delle cose una votazione non potrebbe avere che un significato negativo, nel senso di escludere la possibilità di elezione da parte di collegi speciali a carattere professionale. Non potrebbe escludere però la possibilità di richiedere determinati requisiti di eleggibilità. È evidente in tal caso che il problema della rappresentanza di interessi sarebbe trasferito da un campo ad un altro, ma la situazione resterebbe immutata, perché i requisiti di eleggibilità importerebbero un riconoscimento, sia pure indiretto, di diverse categorie. Aderisce quindi alla proposta Piccioni.

UBERTI osserva che potrebbe essere utile, agli effetti di una semplificazione del lavoro, affrontare la discussione sull’ente regione direttamente in sede di Sottocommissione.

CASTIGLIA riconosce che ci si trova in un vicolo cieco, e che spingere ulteriormente la discussione approderebbe a ben poco dal punto di vista pratico. L’unica via di uscita crede sia quella suggerita dall’onorevole Piccioni, accogliendo anche la proposta dell’onorevole Uberti di sottoporre direttamente alla Sottocommissione le varie proposte articolate sull’autonomia regionale.

LUSSU prega i colleghi di considerare seriamente se il sistema proposto non intralci i lavori della Sottocommissione. A suo avviso, data la complessità ed il numero delle relazioni presentate sull’autonomia regionale, la Sottocommissione si troverebbe in serio imbarazzo. Sostiene perciò l’opportunità di continuare la discussione in corso, tenendo per acquisita l’esistenza di un ente regione, magari con poteri minimi, e quanto meno di un consiglio regionale, salvo poi a rivedere le eventuali conclusioni alla luce delle decisioni che saranno state prese in materia di autonomie locali.

EINAUDI ritiene che, dopo la discussione sulle regioni, la Sottocommissione si ritroverebbe al punto di partenza, per quel che riguarda la composizione della seconda Camera.

LACONI è dello stesso parere, mentre pensa che si può giungere ad una decisione sul collegio elettorale. Nessuno pone in dubbio la futura esistenza dell’ente regione c dei consigli regionali e comunali: non ha quindi ragion d’essere l’obiezione dell’onorevole Piccioni, che, abbandonando il sistema di un corpo elettorale differenziato, non vi sia altra soluzione che quella di un suffragio diretto, in quanto che non si esclude affatto l’ipotesi di elezioni attraverso le assemblee o i consigli regionali, ovvero attraverso ad un sistema misto.

PRESIDENTE rileva che, mentre da un lato con la proposta di rinvio non si raggiungerebbe lo scopo di smussare corte asperità e di avvicinare i contrastanti punti di vista, dall’altro lato, essendosi impadronita della questione anche la stampa, un rinvio sarebbe interpretato da tutti come una mancanza d’accordo che impedisca di giungere a risultati concreti.

Aggiunge che la soluzione della questione regionale, per quanto urgente, è indipendente da quella in discussione, e non sgombrerà il terreno dai punti controversi. Pertanto un rinvio ritarderebbe ulteriormente la fine dei lavori, per i quali l’Assemblea plenaria ha fissato il termine del 20 ottobre. Del resto, anche l’esame delle autonomie regionali, seppure fosse affrontato risolutamente, non potrebbe sfociare in una conclusione entro un breve periodo di tempo. Tanto meno poi pensa che si possa aderire all’idea di discuterne in sede di Sottocommissione, perché il Comitato di redazione fu nominato appunto in vista delle difficoltà di articolare un progetto.

Neppure vede come si potrebbe aderire alla proposta Piccioni di votare nel suo insieme tutto il problema della formazione della seconda Camera perché, a parte il fatto che si accentuerebbero le differenze di opinioni, verrebbero sicuramente richieste delle votazioni per divisione.

Quanto alla immaturità della questione, nota che essa non è stata avvertita dai presentatori di ordini del giorno che si sono riuniti per tentare un possibile avvicinamento, ché anzi essi hanno posto in rilievo quelli che potevano essere i punti di disaccordo sui quali era necessario venire ad una votazione.

PICCIONI non vede come le ragioni addotte possano consigliare di proseguire nella discussione mantenendo in disparte il problema regionale. Considerare come base per la discussione l’esistenza dei consigli regionali e comunali gli sembra che sia un modo superficiale di esaminare il problema, perché evidentemente il modo come la regione sarà funzionante ha il suo rilievo e senza dubbio può influire direttamente sul problema in esame. Per esempio, troverebbe illogico attribuire, ad un consiglio regionale formato di 50 o 60 membri, la facoltà di nominare da 15 a 20 senatori.

La funzionalità e la competenza dell’ente regionale hanno dunque un peso decisivo, anche in ordine al potere che può essere affidato alle Assemblee regionali circa la nomina dei membri della seconda Camera.

Non crede poi che ci si debba preoccupare della cattiva impressione che potrebbe derivare da un eventuale rinvio, perché la Sottocommissione deve avere soprattutto di mira lo scopo di giungere a conclusioni che possano raccogliere un largo suffragio fra i cittadini.

Per quanto riguarda i punti controversi, avverte che essi non si differenziano gran che da quelli che nell’ultima seduta furono già lumeggiati dallo stesso Presidente. Ma ciò che è più sostanziale è di esaminarli tutti insieme, per votare poi su di uno schema che affronti la questione nella sua integrità. Se invece si dovesse votare su un solo aspetto dei problema, con tulle le riserve che giustamente sono state avanzate dall’onorevole Perassi – ed alle quali aderisce – si finirebbe per non votare nulla di conclusivo, e le questioni che si fossero evitate in una prima votazione risorgerebbero sotto altri aspetti nella successiva.

Conclude esprimendo l’avviso che il problema si debba affrontare più coraggiosamente, cercando una soluzione che sia di soddisfazione almeno per la maggioranza della Sottocommissione e proponendo, sia di esaminare i tre punti controversi nel loro complesso, sia di pregare il Comitato di redazione di intensificare il lavoro relativo all’autonomia regionale, fissando altresì il giorno in cui le conclusioni dovranno essere sottoposte alla Sottocommissione.

PRESIDENTE ripete che se si riunissero i tre punti in un’unica norma, si finirebbe per votare per divisione.

PICCIONI fa presente che, per esempio, egli non potrebbe votare per il collegio indifferenziato, se prima non vedesse salvaguardato il principio della rappresentanza delle «forze vive» della Nazione, che è stato consacrato in un preciso ordine del giorno.

LUSSU è contrario al rinvio, che in nessun caso darebbe dei risultati pratici; preferisce valersi del lavoro proficuo dei presentatori di ordini del giorno, per condurre a termine l’esame della questione, ora che il punctum dolens è stato individuato.

PRESIDENTE non ha niente in contrario alla ripresa della discussione generale se la Sottocommissione avverte il bisogno di ulteriori chiarificazioni.

FABBRI, premesso che tutti i Commissari sembrano d’accordo sul criterio di determinare dei requisiti di idoneità (salvo poi ad avere opinioni discordi sulla loro specificazione), crede che una via di uscita potrebbe trovarsi appunto in una elencazione precisa di detti titoli. In tal modo si avrebbe già un orientamento e la sicurezza che i rappresentanti – chiunque li elegga – sarebbero in possesso della necessaria preparazione ed esperienza di vita vissuta. Né si pregiudicherebbe l’indirizzo politico, stabilendo aprioristicamente chi sarebbe qualificato ad entrare a far parte della seconda Camera.

Quanto alla distribuzione dei seggi tra le varie categorie, ha già detto che dovrebbe essere affidata agli organi regionali, ai quali però sarebbe forse opportuno dare delle direttive per facilitarne il compito. Pensa che la Sottocommissione, seguendo questa linea di condotta, potrebbe evitare di sospendere i lavori.

PRESIDENTE rileva che l’onorevole Fabbri è andato al cuore della questione, perché i requisiti di eleggibilità sono stati presi in considerazione come un succedaneo della suddivisione per categorie del corpo elettorale. È infatti da supporre che, se si decidesse in senso favorevole ad un corpo elettorale differenziato, non sarebbe più necessario prescrivere determinate condizioni di eleggibilità. Si potrebbe, ad esempio, prescindere dal limite di età, in quanto potrebbe esserci un ottimo conduttore di azienda agricola di ventitré anni, che, avendo cominciato a lavorare a tredici anni, avrebbe un’esperienza di dieci anni di attività e potrebbe benissimo rappresentare la categoria.

FABBRI mette in evidenza che ciò non sarebbe mai possibile, ove si stabilisse, per esempio, che il candidato alla nomina debba essere investito di funzioni direttive da almeno dieci anni ed avere un minimo di 40 anni. Ritiene che, se si potesse eliminare la preoccupazione di carattere politico, che è dominante, si farebbe un passo avanti ed aggiunge di essere andato deliberatamente al cuore della questione nel tentativo di facilitare una via conciliativa.

Non dubita che in tutti sia il desiderio di vedere la seconda Camera composta di uomini esperti, riflessivi, capaci di portare un contributo di esperienza e di consapevolezza nella veste di rappresentanti delle attività lavorative. Ove accedesse alla sua idea di convergere tutta l’attenzione sui titoli individuali indispensabili per la candidatura, la Sottocommissione potrebbe, eliminate le perplessità che avevano dato luogo ad una proposta di rinvio, pronunciarsi su dati di fatto più concreti.

PICCIONI aderisce alla proposta Fabbri che consente di avere un quadro più completo del futuro organismo. Prima di votare sul collegio differenziato o indifferenziato, si potrebbero considerare gli altri aspetti del problema e, una volta chiarite le idee, se non sarà possibile un accordo su uno schema complessivo, si potrà votare per divisione.

LACONI fa osservare che il punto dolente non è costituito dai requisiti per l’eleggibilità, ma dalla ripartizione dei seggi tra le varie categorie.

PRESIDENTE dichiara di non avere nulla in contrario a riaprire la discussione generale, pur sottolineando che nessuno dei punti controversi è stato trascurato nelle discussioni precedenti.

NOBILE concorda con l’onorevole Fabbri. Stima infatti miglior partito quello di stabilire prima chi debbano essere gli eletti. Se – per fare un esempio macroscopico – la seconda Camera dovesse essere composta esclusivamente di ingegneri, naturalmente questi dovrebbero essere eletti da un corpo di ingegneri e non da medici od avvocati.

PICCIONI non insiste sulla sua proposta di sospensiva, se si concorda su questo metodo di lavoro. Insiste, tuttavia, sull’esigenza di accelerare le conclusioni sulle autonomie regionali.

AMBROSINI, nella sua qualità di presidente del Comitato, assicura che prenderà accordi con gli altri componenti per imprimere un ritmo ancora più intenso ai lavori.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Rossi Paolo.

Erano assenti: Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Mannironi, Porzio, Targetti.