Nel tormentato periodo della storia italiana che si apre il 25 aprile 1945 e si chiude con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana sono approvati dai governi provvisori dell’epoca due atti normativi noti con il nome di ‘costituzioni’ (anch’esse) ‘provvisorie’ del Regno d’Italia.
È con questi atti che dapprima si compie e poi si conferma la scelta di convocare un’assemblea eletta a suffragio universale, alla quale si prevede di affidare il difficile compito di ridisegnare in senso democratico l’assetto dei poteri pubblici e di scrivere le regole fondamentali della società italiana uscita dalle catastrofi della dittatura e della guerra: un’Assemblea Costituente, appunto, perché chiamata a ‘costituire’, e cioè a ‘mettere insieme’, costruendolo dalle fondamenta, l’intero ordinamento.
La prima costituzione provvisoria risale al giugno 1944 .
La seconda guerra mondiale non è ancora terminata, e anzi è drammaticamente combattuta proprio sul territorio dell’Italia settentrionale come guerra di resistenza e di liberazione dall’occupazione nazista e insieme come guerra civile tra fascisti e antifascisti. Tuttavia, in quel provvedimento già si stabilisce che, una volta terminata la guerra e liberato tutto il territorio nazionale, l’incarico di stendere la nuova Costituzione dell’Italia sarà affidato a un’assemblea elettiva, alla quale in quel momento si chiede anche di indicare la forma istituzionale dello Stato, scegliendo se mantenere la monarchia o introdurre una repubblica.
Fin da allora, quindi, si prevede che il primo parlamento rappresentativo del popolo italiano dopo venti anni di mancanza, in Italia, di libere elezioni politiche – le ultime si erano tenute nel 1924 – sarebbe stato proprio l’Assemblea Costituente.
La seconda costituzione provvisoria è del marzo 1946, e dunque precede di pochi mesi la data nella quale effettivamente il popolo sarà chiamato a eleggere i componenti dell’Assemblea Costituente. Questa seconda costituzione provvisoria stabilisce che la scelta della forma istituzionale dello Stato, così delicata e politicamente controversa, non sia più compiuta dai rappresentanti del popolo, preferendo invece affidarla direttamente al popolo stesso con un referendum.
Il 2 giugno 1946, dunque, in Italia gli elettori e le elettrici – ed è la prima volta che in una consultazione politica votano anche le donne – ricevono due schede elettorali: con una scheda elettorale possono dare la propria preferenza a un partito e scegliere così i deputati all’Assemblea Costituente tramite una legge elettorale di tipo proporzionale, mentre con l’altra scheda possono esprimere la propria scelta tra monarchia e repubblica.
La partecipazione al voto è straordinaria, perché ai seggi si presenta quasi il 90 per cento di coloro che hanno diritto di votare. Non c’è praticamente astensionismo.
Quanto agli esiti del referendum istituzionale, la vittoria della repubblica è netta ma non schiacciante (la repubblica ottiene il 54,3% dei voti validi, e cioè 12.717.923 voti, mentre la monarchia arriva al 45,7%, dei voti validi, e cioè 10.719.284; le schede bianche o nulle sono 1.498.136).
Quanto ai risultati delle elezioni, si può innanzitutto notare che dei 556 deputati eletti all’Assemblea Costituente 21 sono donne. Poche, ma la loro presenza segna una svolta culturale fondamentale per il Paese e avrà anche un peso determinante nella formulazione di alcuni importanti norme della nostra Costituzione.
In Assemblea, inoltre, risultano rappresentate tutte le forze politiche antifasciste. Emergono, tra queste, due grandi blocchi politici: quello dei cattolici democratici, da una parte, e quello delle sinistre, dall’altra parte, che si presentano contrapposti non solo nella politica nazionale, ma anche in quella estera, così delicata, in quel momento, perché l’Italia doveva contrattare le condizioni della pace nella condizione di Nazione che aveva perso una guerra di cui era stata una delle maggiori responsabili, ed era chiamata a scegliere se collocarsi al fianco dei paesi occidentali, che poco dopo daranno vita alla Nato, oppure dell’Unione sovietica.
Il rapporto di forza tra i due blocchi antagonisti, tra l’altro, è sostanzialmente equilibrato. La Democrazia Cristiana da sola conta infatti 207 deputati su 556, ma è raggiunta e superata, sia pure di poco, dalla somma dei deputati delle sinistre (delle quali Partito Comunista ha 104 deputati e il Partito Socialista di unità proletaria 115).
Gli altri deputati presenti in Assemblea Costituente appartengono a partiti minori (Unione democratica nazionale 41 seggi; Fronte dell’uomo qualunque 30; Partito repubblicano 23; Blocco nazionale delle libertà 16; Partito d’azione 7; altre liste 13 seggi). Alcuni di questi partiti rappresentano la terza grande area ideologica e culturale presente in Assemblea Costituente, quella dei ‘vecchi’ liberali che avevano governato fino all’avvento del fascismo. Il loro peso in Assemblea è abbastanza esiguo dal punto di vista numerico, ma tra loro ci sono personalità come Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando e Luigi Einaudi, che godono di indiscussa autorevolezza.
Tra i deputati eletti nelle liste dei partiti minori, inoltre, si ritrovano anche persone che non appartenevano a quella stessa classe politica che non era stata in grado di opporsi all’ascesa del fascismo. Penso ad esempio a Meuccio Ruini, un tecnico del diritto di alto profilo che al momento dell’elezione alla Costituente ricopriva la carica di presidente del Consiglio di Stato, e che aveva certamente molte altre doti personali, tra cui quella di essere un ottimo mediatore, oltre che uomo di vasta cultura e di temperamento determinato. Ruini avrà, come dirò tra poco, un ruolo chiave nell’elaborazione della Carta costituzionale. Sue – non a caso – sono le frasi che ho scelto di collocare in apertura di questa mia presentazione.
Il quadro complessivo è, comunque, quello di un organo rappresentativo segnato da profondissime divisioni politiche e ideologiche, composto da deputati portatori di visioni del mondo all’apparenza inconciliabili e con numeri che non sembrano affatto consentire di portare a termine il compito gravoso di cui l’Assemblea Costituente era stata incaricata.
Se oggi un parlamento, in qualsiasi paese del mondo, si trovasse in una situazione analoga a quella della nostra Assemblea Costituente, nessuno scommetterebbe sulla sua possibilità di funzionare in modo adeguato, né tantomeno confiderebbe nella sua capacità di portare a casa un risultato come quello che allora la nostra Costituente è riuscita a produrre.
Si capisce allora perché gli studiosi parlano spesso della nostra Costituzione come del frutto di un miracolo, il ‘miracolo costituente’, appunto.
Le spiegazioni di questo miracolo sono molte, e non è possibile qui approfondirle. Le più attendibili, comunque, attengono, oltre che all’alto livello degli eletti, di cui ho già detto, al momento storico in cui si colloca l’anno e mezzo dei lavori della Costituente.
Pensiamo innanzitutto all’immediato passato. Molti dei deputati erano stati partigiani e dunque, pur divisi per credo politico, erano uniti dalla comune, recente esperienza della Resistenza. Ma soprattutto, insiste in una sua testimonianza successiva uno dei deputati più attivi nella prima fase dei lavori della Costituente, il democristiano Giuseppe Dossetti, allora giovane ‘professorino’ di diritto canonico, la “matrice originante della nostra Costituzione” è stata l’evento della guerra.
Dossetti sostiene che “anche il più sprovveduto o il più ideologizzato dei costituenti non poteva non sentire alle sue spalle l’evento globale della guerra testé finita. Non poteva, anche se lo avesse cercato di proposito in ogni modo, dimenticare le decine di milioni di morti, i mutamenti radicali della mappa del mondo, la trasformazione quasi totale dei costumi di vita, il tramonto delle grandi culture europee” e così via. Secondo Dossetti, allora, il miracolo che si compie in Assemblea si può spiegare se si pensa che nel 1946 questi “eventi di proporzioni immani erano ancora troppo presenti alla coscienza esperienziale per non vincere, almeno in misura sensibile, sulle concezioni di parte e le esplicitazioni, anche quelle cruente, delle ideologie contrapposte e per non spingere in quale modo tutti a cercare, in fondo, al di là di ogni interesse e strategia particolare, un consenso comune, moderato ed equo”.
Così, insieme e specularmente rispetto al peso dell’immediato passato, è anche la volontà di futuro – di un futuro finalmente di democrazia e di pace – che consiglia a ciascun deputato, e a tutti gli schieramenti politici, di rinunciare a coltivare il proprio orticello per mirare più in alto, in modo da raggiungere il risultato concreto di scrivere, tutti insieme, nel corso di quella straordinaria occasione storica che è la Costituente, una buona Costituzione per l’Italia, capace di reggere nel tempo resistendo a tempeste e intemperie.